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Sommario del 07/10/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: un “lontano” può ascoltare la voce del Signore, il "vicino" può chiudere il cuore a Dio
  • Il Papa riceve i Reali del Lesotho: educazione, famiglia e libertà religiosa al centro dell’incontro
  • Lampedusa. Papa Francesco aggiornato costantemente dall’Elemosiniere Pontificio
  • Altre udienze e nomine di Papa Francesco
  • Tweet del Papa: la misericordia vera forza che salva l'uomo e il mondo dal male
  • Sud Corea. Il card. Filoni ai seminaristi: "Siate uomini di Dio e non amministratori o burocrati!"
  • Colonia, il card. Sandri alla campagna "Missio": preghiamo per la pace in Egitto
  • Questione antropologica, fondamento del vivere sociale: convegno del Pontificio Consiglio per la Famiglia
  • Seminario sulla Mulieris Dignitatem a 25 anni dalla pubblicazione del documento di Papa Wojtyla
  • La Lev alla Fiera del libro di Francoforte con 700 titoli
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Lampedusa. Mons. Perego: sarebbe vergognoso se i superstiti fossero trattati da clandestini
  • Strage Lampedusa, vittime quasi tutte eritree. L'esperto: punti di raccolta sicuri alla partenza
  • Egitto, violenze e morti. La crisi politica e le pesanti ricadute economiche
  • Siria, si smantellano le armi chimiche. Campanini: incognite sul futuro del Paese
  • Presidenziali in Etiopia: Parlamento chiamato a scegliere il successore di Girma Wolde-Giorgis
  • Mosca. Scoperto busto in bronzo alla memoria di Anna Politkovskaja
  • Giornata Mondiale dell'Habitat: mobilità sostenibile per uno sviluppo equo
  • In Italia sempre meno lavoro qualificato. L'economista Cozzi: puntare sul capitale umano
  • Disturbi dei bambini. Istituto Ortofonologia: serve l’affetto dei genitori non le pillole
  • Italia, timore diffuso sulla riservatezza nel web. Il garante: serve cultura della privacy
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Vescovi europei: non chiusi "in una fortezza" ma portatori di una "speranza"
  • Vescovo del Kurdistan: accogliamo come fratelli i profughi siriani
  • Iraq: il Patriarcato caldeo proibisce la vendita non autorizzata delle proprietà della Chiesa
  • Centrafrica: nuove violenze a Bangassou, riunione all'Ua
  • Pakistan. Peshawar: autobomba uccide sei persone impegnate nelle vaccinazioni antipolio
  • Myanmar: appello della Chiesa dopo i conflitti religiosi
  • Brasile: al via domani la III Conferenza mondiale sul lavoro minorile
  • Usa: dall’11 al 14 novembre a Baltimora l’ Assemblea autunnale dei vescovi
  • Repubblica Domenicana: la Chiesa coinvolta nella campagna di alfabetizzazione
  • Uruguay: la famiglia al centro dell’ottobre missionario
  • Conferenza di Varsavia: Ucraina e Polonia sempre più vicine
  • Due americani e un tedesco insigniti del Nobel per la Medicina 2013
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: un “lontano” può ascoltare la voce del Signore, il "vicino" può chiudere il cuore a Dio

    ◊   Lasciamoci scrivere la nostra vita da Dio. E’ l’esortazione levata stamani da Papa Francesco che, nella Messa alla Casa Santa Marta, si è soffermato sulle figure di Giona e del Buon Samaritano. A volte, ha osservato il Papa, può succedere che anche un cristiano, un cattolico fugga da Dio, mentre un peccatore, considerato lontano da Dio, ascolti la voce del Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Giona serve il Signore, prega tanto e fa del bene, ma quando il Signore lo chiama comincia a fuggire. Papa Francesco ha svolto la sua omelia incentrandola sul tema della “fuga da Dio”. Giona, sottolinea, “aveva la sua storia scritta” e “non voleva essere disturbato”. Il Signore lo invia a Ninive e lui “prende una nave per la Spagna. Fuggiva dal Signore”:

    “La fuga da Dio. Si può fuggire da Dio, ma [pur] essendo cristiano, essendo cattolico, essendo dell’Azione Cattolica, essendo prete, vescovo, Papa … tutti, tutti possiamo fuggire da Dio! E’ una tentazione quotidiana. Non ascoltare Dio, non ascoltare la sua voce, non sentire nel cuore la sua proposta, il suo invito. Si può fuggire direttamente. Ci sono altre maniere di fuggire da Dio, un po’ più educate, un po’ più sofisticate, no? Nel Vangelo, c’è quest’uomo mezzo morto, buttato sul pavimento della strada, e per caso un sacerdote scendeva per quella medesima strada – un degno sacerdote, proprio con la talare, bene, bravissimo! Ha visto e ha guardato: ‘Arrivo tardi a Messa’, e se n’è andato oltre. Non aveva sentito la voce di Dio, lì”.

    Passa poi un levita, che, dice il Papa, avrà forse pensato: “Se io lo prendo o se io mi avvicino, forse sarà morto, e domani devo andare dal giudice e dare la testimonianza…” e passò oltre. Anche lui, osserva il Papa, fugge “da questa voce di Dio”. E aggiunge: “Soltanto ha la capacità di capire la voce di Dio uno che abitualmente fuggiva da Dio, un peccatore”, un samaritano. Questo, constata, “è un peccatore, lontano da Dio”, eppure “ha sentito la voce di Dio e si è avvicinato”. Il samaritano, osserva, “non era abituato alle pratiche religiose, alla vita morale, anche teologicamente era sbagliato”, perché i samaritani “credevano che Dio si dovesse adorare da un’altra parte e non dove voleva il Signore”. E tuttavia, è stata la sua riflessione, il samaritano “ha capito che Dio lo chiamava, e non fuggì”. “Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite versandovi olio e vino, poi lo caricò sulla cavalcatura” e ancora “lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Ha perso tutta la serata”:

    “Il sacerdote è arrivato in tempo per la Santa Messa, e tutti i fedeli contenti; il levita ha avuto, il giorno dopo, una giornata tranquilla secondo quello che lui aveva pensato di fare, perché non ha avuto tutto questo imbroglio di andare dal giudice e tutte queste cose … E perché Giona fuggì da Dio? Perché il sacerdote fuggì da Dio? Perché il levita fuggì da Dio? Perché avevano il cuore chiuso, e quando tu hai il cuore chiuso, non può sentire la voce di Dio. Invece, un samaritano che era in viaggio ‘vide e ne ebbe compassione’: aveva il cuore aperto, era umano. E l’umanità lo avvicinò”.

    “Giona – osserva il Papa - aveva un disegno della sua vita: lui voleva scrivere la sua storia” e così anche il sacerdote e il levita. “Un disegno di lavoro”. Invece, prosegue il Pontefice, questo peccatore, il samaritano “si è lasciato scrivere la vita da Dio: ha cambiato tutto, quella sera, perché il Signore gli ha avvicinato la persona di questo povero uomo, ferito, malamente ferito, buttato sulla strada”:

    “Io mi domando, a me, e domando anche a voi: ci lasciamo scrivere la vita, la nostra vita, da Dio o vogliamo scriverla noi? E questo ci parla della docilità: siamo docili alla Parola di Dio? ‘Sì, io voglio essere docile!’. Ma tu, hai capacità di ascoltarla, di sentirla? Tu hai capacità di trovare la Parola di Dio nella storia di ogni giorno, o le tue idee sono quelle che ti reggono, e non lasci che la sorpresa del Signore ti parli?”

    “Tre persone che sono in fuga da Dio – ha riassunto il Papa - e un’altra in situazione irregolare” che è “capace di ascoltare, aprire il cuore e non fuggire”. Sono sicuro, ha detto il Pontefice, che tutti noi vediamo che “il samaritano, il peccatore, non è fuggito da Dio”. Il Signore, ha concluso, “ci conceda di sentire la voce del Signore, la Sua voce, che ci dice: Va e anche tu fa così!”.

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    Il Papa riceve i Reali del Lesotho: educazione, famiglia e libertà religiosa al centro dell’incontro

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto, nel Palazzo Apostolico, il Re del Lesotho, Letsie III, e la Regina ‘Masenate Mohato Seeiso. Nel corso dei cordiali colloqui, informa una nota della Sala Stampa vaticana, ci si è soffermati sulle buone relazioni esistenti tra la Santa Sede ed il Regno del Lesotho, rilevando “l’importanza della libertà religiosa, per favorire la positiva collaborazione tra lo Stato e la Chiesa”. A tale riguardo, prosegue la nota, “è stato espresso apprezzamento per l’impegno del Sovrano e del Governo nel dare priorità alla sanità e all’educazione, come pure per il significativo contributo ecclesiale nell’ambito della carità, della giustizia e della pace”. Infine, “non sono mancati riferimenti a tematiche d’interesse etico-sociale, quale la famiglia, come pure alcuni accenni alla situazione politica ed economica della regione”.

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    Lampedusa. Papa Francesco aggiornato costantemente dall’Elemosiniere Pontificio

    ◊   Papa Francesco si tiene costantemente informato sul recupero dei corpi degli immigrati morti nel naufragio di giovedì scorso a Lampedusa. A tenerlo aggiornato, riferisce il vescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro, è l’Elemosiniere Pontificio, mons. Konrad Krajewski, da due giorni sull’isola proprio come Inviato del Papa. Mons. Krajewski, da questa mattina, si trova sul gommone della Guardia Costiera impegnato sul luogo della strage nel recupero dei corpi delle vittime. Questa mattina, inoltre, mons. Montenegro ha parlato con il segretario particolare del Papa, don Alfred Xuereb.

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    Altre udienze e nomine di Papa Francesco

    ◊   Il Papa ha ricevuto stamani il card. Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica (degli Istituti di Studi); i membri della presidenza della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti d’America, guidati dal card. Timothy Michael Dolan, arcivescovo di New York e presidente della Conferenza episcopale Usa. Il Papa ha ricevuto inoltre in udienza: mons. Luigi Bonazzi, arcivescovo tit. di Atella, nunzio apostolico in Lituania, Estonia e Lettonia e mons. Michael A. Blume, S.D.V., arcivescovo tit. di Alessano, nunzio apostolico in Uganda.

    Negli Usa, Papa Francesco ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare della diocesi di Green Bay, presentata da mons. Robert Fealey Morneau, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato nunzio apostolico nella Repubblica Dominicana e delegato apostolico in Porto Rico mons. Jude Thaddeus Okolo, arcivescovo titolare di Novica, finora nunzio apostolico nella Repubblica Centroafricana ed in Ciad.

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    Tweet del Papa: la misericordia vera forza che salva l'uomo e il mondo dal male

    ◊   Nuovo tweet di Papa Francesco, lanciato stamattina dal suo account @Pontifex. Questo il testo: “La misericordia è la vera forza che può salvare l'uomo e il mondo dal peccato e dal male”.

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    Sud Corea. Il card. Filoni ai seminaristi: "Siate uomini di Dio e non amministratori o burocrati!"

    ◊   L’ultimo incontro della visita pastorale in Corea del card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, è stato riservato ai seminaristi, nel pomeriggio di sabato scorso. “Questo incontro idealmente abbraccia tutti gli alunni dei nostri Seminari di Corea, ai quali va il mio affettuoso saluto – ha detto il cardinale ai seminaristi riuniti nel Seminario maggiore di Seoul insieme ai loro formatori - . La Chiesa di Corea risponde oggi, con oltre 1.500 giovani, alle future proprie necessità pastorali, preparandovi al ministero presbiterale.” Il cardinale si è poi soffermato a riflettere sul discernimento e sull’orientamento: “il tempo che voi trascorrete in Seminario – ha detto - è un tempo di discernimento, di orientamento e di preparazione al servizio di Dio e della Chiesa. In questo contesto desidero sottolineare la responsabilità che ricade sui vescovi e sui formatori, i quali non possono dare a questo dovere una piccola parte del loro tempo o una parziale attenzione”. Delineando poi le caratteristiche che devono contraddistinguere il sacerdote, il Prefetto del Dicastero Missionario ha sottolineato: “sia uomo di Dio, sia uomo di preghiera, amante dell’esercizio quotidiano della Liturgia delle Ore e dell’orazione personale; uomo di elevate virtù e di carità… uomo veramente formato alla Parola e alla Sapienza divina. Non, dunque, amministratori o burocrati di questioni religiose come di una qualsiasi associazione pia non governativa (Ong), non ideologi di un messaggio evangelico di tipo socializzante secondo una lettura consona alle scienze politico-sociali, nemmeno un tipo psichiatrico immanente e autoreferenziale, privo di trascendenza e di missionarietà, e nemmeno un tipo elitario, ossia che se ne sta lontano e distante dalla realtà, in un contesto di pessimismo disincarnato, lontano da Dio e dagli uomini”. Dopo aver ringraziato i vescovi, i formatori e gli insegnanti, il card. Filoni ha concluso: “Vorrei assicurarvi, cari seminaristi, che anche la nostra Congregazione vi segue con molta attenzione. Voi rappresentate la speranza della Chiesa di Corea, una Chiesa viva e assai ammirata nel mondo cattolico, nonché in questa Regione Asiatica”. (R.P.)

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    Colonia, il card. Sandri alla campagna "Missio": preghiamo per la pace in Egitto

    ◊   “In comunione con Papa Francesco, vero operatore di pace, in Egitto, come a Colonia, in Siria come a Roma, lasciamo che i nostri cuori rimangano spalancati a Colui che è l'unico Sole che sorge da Oriente, Cristo Gesù nostro Signore”. Con queste parole, il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ha introdotto ieri, nella cattedrale di Colonia, in Germania, la Messa da lui presieduta in apertura della Campagna di “Missio” e del mese missionario, dedicata quest'anno alla Chiesa in Egitto. Con il porporato, in visita fin dal 3 ottobre nella città tedesca hanno concelebrato il patriarca copto cattolico, Ibrahim Sidrak, e l’arcivescovo di Colonia, il cardinale Joachim Meisner. “Questa bellissima Cattedrale – ha affermato il cardinale Sandri – grazie alla presenza delle venerabili reliquie dei Re Magi, è da secoli quasi una porta aperta verso l'Oriente. Oggi, lo è in modo speciale per la presenza della delegazione della Chiesa Patriarcale Copto Cattolica di Alessandria” e “con loro – ha soggiunto – preghiamo per la pace e la riconciliazione in Egitto”.

    Il prefetto delle Chiese orientali ha poi rivolto gli auguri al cardinale Meisner “per i quasi quarant'anni di ministero episcopale”, 25 dei quali – ha ricordato – “spesi qui a Colonia”.

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    Questione antropologica, fondamento del vivere sociale: convegno del Pontificio Consiglio per la Famiglia

    ◊   Il Pontificio Consiglio per la Famiglia, nel 30.mo Anniversario della “Carta dei Diritti della Famiglia”, promuove – nella consapevolezza della rilevanza attuale della questione - il Convegno sul tema “Nuovi orizzonti antropologici e diritti della famiglia”, giovedì 24 ottobre, a Roma, presso la Domus Pacis. Aprirà i lavori il presidente del dicastero, mons. Vincenzo Paglia. Presiederà la prima sessione della mattina il cardinale filippino Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila; la sessione pomeridiana sarà presieduta dal cardinale nigeriano John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja. Il segretario del dicastero, mons. Jean Laffitte, terrà la relazione introduttiva, sul tema: “Fondamenti teologici della Carta dei Diritti della Famiglia". Interverranno: il filosofo e giurista spagnolo Andrés Ollero; la studiosa di diritto della famiglia statunitense Teresa Collet; il cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo, Carl Anderson; la docente americana Jane Adolphe, la storica italiana Lucetta Scaraffia; l’economista Stefano Zamagni.

    “Ogni teoria dei diritti – riferisce un comunicato del dicastero - sottende una visione antropologica e l’antropologia dei diritti – afferma il filosofo Hans Georg Gadamer – è una «fusione di orizzonti». La ‘questione antropologica’ è l’essenza di ogni cultura e il fondamento del vivere sociale e del diritto positivo. La crisi del nostro tempo è, principalmente, una ‘crisi antropologica’, come Giovanni Paolo II non si stancava di ripetere, Benedetto XVI ribadiva e Papa Francesco tante volte ha affermato fin dai primi giorni di Pontificato”.

    Soltanto pochi mesi fa – ricorda il comunicato - è scomparso uno tra i maggiori antropologi cristiani, Julien Ries, che scriveva: «Da oltre due milioni di anni osserviamo la crescita di ciò che chiamiamo ominizzazione (...) C’è una crescita della coscienza nella storia dell’umanità che porta alla nascita delle grandi culture e religioni, ma noi notiamo che dal suo apparire l’uomo è simbolico e religioso. Questa consapevolezza è importante per il nostro tempo».

    “Il Convegno – conclude la nota - rappresenta una occasione importante di dialogo e di crescita non soltanto ecclesiale, ma anche sociale e civile. Ci attendiamo, pertanto, una grande partecipazione di pubblico. Per iscriversi, basta inviare una mail all’indirizzo: pcf@family.va, entro il prossimo venerdi 18 ottobre”.

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    Seminario sulla Mulieris Dignitatem a 25 anni dalla pubblicazione del documento di Papa Wojtyla

    ◊   Il Pontificio Consiglio per i Laici organizza dal 10 al 12 ottobre prossimi un Seminario di studio a Roma per celebrare il 25.mo anniversario della Lettera apostolica del Beato di Giovanni Paolo II “Mulieris dignitatem”, pubblicata il 15 agosto 1988. Una frase dell’importante documento pontificio, “Dio affida l’essere umano alla donna”, sarà il filo conduttore del Seminario: un’affermazione – riferisce un comunicato del dicastero – “forte e piena di significato” ma “forse, non abbastanza ‘afferrata’ e studiata in questi anni”.

    Il Pontificio Consiglio per i Laici vuole proporre “una rinnovata riflessione su questo importante documento”. Va ricordato che la Mulieris dignitatem è stata scritta subito dopo il Sinodo sulla vocazione e missione dei laici nella chiesa e nel mondo, celebrato nel 1987, raccogliendo una richiesta scaturita dall’aula sinodale di considerare i fondamenti antropologici e teologici della condizione femminile come fondamento imprescindibile per ogni novità da attuare nella vita della Chiesa. L’Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles Laici, pubblicata poco dopo la Mulieris dignitatem, contiene il monito: «E' del tutto necessario passare dal riconoscimento teorico della presenza attiva e responsabile della donna nella Chiesa alla realizzazione pratica. … il nuovo Codice di Diritto Canonico contiene molteplici disposizioni sulla partecipazione della donna alla vita e alla missione della Chiesa: sono disposizioni che esigono d'essere più comunemente conosciute e, sia pure secondo le diverse sensibilità culturali e opportunità pastorali, attuate con maggiore tempestività e risoluzione.» (ChL, 51).

    “Oggi – prosegue il comunicato - si sente ancor più l’urgenza di mettere in pratica gli auspici del Sinodo per una più attiva partecipazione della donna nella vita e nella missione della Chiesa: attualizzare le riflessioni di questi documenti offrirà importanti indicazioni sulla strada da percorrere, contribuendo così anche a rispondere agli appelli di Papa Francesco in questo senso”. “Negli ultimi venticinque anni – afferma la nota del Pontificio Consiglio per la Famiglia - la presenza e la partecipazione della donna nella vita sociale, economica, culturale e politica si sono gradualmente incrementate in tutto il mondo. Allo stesso tempo, però, abbiamo assistito alla crescita di una grave crisi antropologica mondiale opportunamente denunciata da Papa Benedetto XVI, che ha rilevato come gli uomini del nostro tempo soffrano di uno ‘strano odio di se stessi’, che si traduce nelle molteplici espressioni di malessere che stanno davanti agli occhi di tutti. Nella Santa Messa per l’inizio del suo Pontificato, Papa Francesco chiamava tutti, uomini e donne, a «essere ‘custodi’ del creato, del disegno di Dio iscritto nella natura, a essere custodi l’uno dell’altro e dell’ambiente» (Omelia nella Santa Messa per l’inizio del Ministero petrino, 19 marzo 2013). La custodia dell’umano, lungi dall’essere un peso imposto dall’esterno, è in realtà un’occasione di realizzazione personale quando viene assunta nella libertà dell’amore. Inoltre, in diversi recenti interventi, Papa Francesco ha messo in risalto che la fecondità è componente essenziale della realizzazione personale di tutti, uomini e donne; la fecondità è fatta di quel «dono sincero di sé» (GS 24) che è vocazione di ogni persona umana, vissuta tuttavia nei modi peculiari del femminile e del maschile. Purtroppo, alcune ideologie hanno fatto perdere di vista la verità e la ricchezza della fecondità propria della donna; una ricchezza che, tuttavia, di fatto, viene vissuta gioiosamente da molte donne nei diversi stati di vita e in diversi contesti geografici e sociali”.

    Al Seminario partecipano esperti e rappresentanti di associazioni e movimenti, provenienti da 25 paesi, 39 associazioni e movimenti ecclesiali, 22 diverse aree professionali: teologi, filosofi, educatori, docenti universitari, giornalisti, storici, medici, avvocati, artisti, ingegneri, ecc. Si tratta di un gruppo assai variegato di donne e uomini che potranno dialogare insieme, “nella Chiesa e come Chiesa”, sulle nuove sfide ed elaborare risposte adeguate partendo dalla dignità e vocazione donata da Dio a ogni donna e ogni uomo.

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    La Lev alla Fiera del libro di Francoforte con 700 titoli

    ◊   Settecento titoli. È la cifra dei volumi che la Libreria Editrice Vaticana (Lev) si appresta a presentare alla “Frankfurter Buchmesse”, la Fiera internazionale del Libro in programma a Francoforte dal 9 al 13 ottobre prossimi. Come da molti anni a questa parte, la Lev avrà un suo stand alla kermesse, tra le più importanti al mondo del settore, che attira circa ottomila espositori provenienti da oltre 100 Paesi. Circa un centinaio gli appuntamenti con vari editori stranieri presenti alla Fiera che vedranno impegnato il direttore della Lev, don Giuseppe Costa, il quale – riferisce un comunicato, sottolinea come “l'interesse degli editori si vada ampliando e diversificando: quella che prima era solo attenzione ai libri del Papa, si è allargata adesso all'intero catalogo”. Gli incontri permetteranno così la stesura di contratti per la vendita dei diritti editoriali, sia dei libri del Pontefice che di altri volumi editi dalla Lev.

    Al centro dello stand dell'editrice vaticana, di 100 mq, campeggerà una riproduzione dell'obelisco di piazza San Pietro, mentre il pavimento ricalcherà il tracciato dei famosi sampietrini romani. Sulle pareti, separati da colonne, saranno in mostra le pubblicazioni della Lev e dei Musei Vaticani, che a loro volta porteranno una produzione di 200 volumi. In particolare, tra i volumi presentati spiccano le varie pubblicazioni che ripropongono gli scritti dell'allora cardinale Bergoglio (“Varcare la soglia della fede”, “Solo l'amore ci può salvare”, “Noi come cittadini, noi come popolo”, “In Lui solo la speranza”, “Servire gli altri”), come pure la prima Enciclica di Francesco la Lumen fidei, i suoi messaggi su Twitter e le raccolte dei suoi interventi da Pontefice, che fanno parte della collana "Le parole di Papa Francesco. Diversi anche i volumi che riguardano il Magistero del Papa emerito Benedetto XVI: gli ultimi discorsi riuniti in “Non mi sono mai sentito solo”, le catechesi “Nell'anno della fede”, la raccolta “Meditazioni per il tempo di Quaresima”, e “Sull'aereo di Papa Benedetto. Conversazioni con i giornalisti”, curato da Angela Ambrogetti.

    Tra gli altri nuovi titoli, informa il comunicato della Lev, figurano “Il Vangelo e l'arte”, gli esercizi spirituali predicati dal vescovo Wojtyla agli artisti nel 1962, “I santi evangelizzano” del cardinale Angelo Amato, “Primi cristiani” di Fabrizio Bisconti, “In Turchia sulle orme di Paolo” dell'archeologo Giovanni Uggeri, le “Lettere pastorali sulle orme del Concilio Vaticano II” del cardinale vietnamita Van Thuan, “Ildegarda di Bingen” di Neria De Giovanni, “La grande meretrice” della storica Lucetta Scaraffia, “Il coraggio della speranza. Lettere agli studenti universitari” di monsignor Lorenzo Leuzzi, la “Bibliographie du Concile Vatican II” a cura del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, “Il concetto di pace”, a cura del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, nel 50° dell'Enciclica Pacem in Terris, “Cristiani nella società del dialogo e della convivenza” del cardinale Martinez Sistach, i volumi d'arte del critico Mario Dal Bello, Cristo. I ritratti e Tintoretto. Le visioni, la guida Scala Santa e Sancta Sanctorum, il volume “Il dialogo interreligioso nell'insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica (1963-2013)”, curato da monsignor Gioia per il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Sinodi Continentali. I Consigli Speciali del Sinodo dei Vescovi, a cura dell'arcivescovo Nikola Eterovic, i volumi di Rosa Poggio: Symbolum, I want you, Ave Maria.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il pianto del cuore per i morti di Lampedusa: all’Angelus Papa Francesco ricorda la visita ad Assisi e invita a pregare per le vittime della sciagura.

    In prima pagina, un articolo di Gualtiero Bassetti, arcivescovo metropolita di Perugia-Cttà della Pieve, dal titolo: “Riforma che guarisce: le visite del vescovo di Roma nei luoghi di san Francesco”.

    La Chiesa dei puri: in cultura, Manlio Simonetti su Callisto, Cornelio e la questione dei peccatori postbattesimali.

    Parole che ribaltano la terra: un’anticipazione di uno stralcio del volume del cardinale Gianfranco Ravasi “La Bibbia in un frammento”.

    Caleidoscopio di vita: Silvina Pérez sul pellegrinaggio dei giovani argentini al santuario di Nostra Signora di Luján.

    Frate Jacopa e la casa trasteverina del patrono d’Italia: Silvia Guidi sui tesori di San Francesco a Ripa Grande.

    Nuove polemiche sulla circoncisione: nell’informazione religiosa, una nota del ministero degli Esteri israeliano dopo una risoluzione del Consiglio d’Europa.

    I cristiani perseguitati oggi come ieri: in Serbia per l’anniversario dell’editto di Costantino i patriarchi Bartolomeo e Cirillo.

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    Oggi in Primo Piano



    Lampedusa. Mons. Perego: sarebbe vergognoso se i superstiti fossero trattati da clandestini

    ◊   E’ salito a 213 il numero dei corpi di migranti recuperati al largo di Lampedusa, dopo il drammatico naufragio di giovedì scorso. Le ricerche proseguono, mentre da Strasburgo e da Bruxelles, mercoledì arriveranno sull’isola il presidente della commissione europea Barroso e il commissario Ue per gli affari interni Malmstrom, per fare il punto con le autorità italiani sulle azioni da mettere in atto di fronte alla questione dei rifugiati. Su come migliorare gli interventi in situazioni di emergenza discutono sempre a Lampedusa anche le Caritas diocesane siciliane. Sull’isola è arrivato anche mons. Gianfranco Perego, direttore della Fondazione Migrantes. Francesca Sabatinelli l’hai intervistato:

    R. – Sarebbe effettivamente una vergogna che questo fatto così drammatico e grave fosse dimenticato in pochi giorni, e non diventi invece un motivo attraverso il quale costruire un nuovo progetto di accoglienza e di attenzione, di cooperazione anche internazionale, che guardi soprattutto a chi sta fuggendo per motivi di guerra, di persecuzione religiosa o di persecuzione politica. Io credo che sarebbe vergognoso se queste persone fossero trattate da clandestini e non da persone che hanno bisogno di una casa, di una famiglia, di un Paese che sappia valorizzarle come una risorsa nuova. Sognare che delle persone che sono in situazioni di guerra – 22 guerre in atto nel mondo! – sognare che 232 milioni di persone che si mettono in cammino, non arrivino in Europa, che con gli Stati Uniti è la terra di maggiore attrazione, significa non rendersi conto che occorre leggere la migrazione come un fatto strutturale della vita del Mediterraneo e della vita dell’Europa. In questo senso credo che, guardando al Mediterraneo, occorra mettere a punto non soltanto un controllo di confine, ma un controllo di tutta la realtà del Mediterraneo, attraverso un monitoraggio che renda possibile controllare, attraverso canali umanitari, le persone che si mettono in viaggio da situazioni che, sappiamo, sono drammatiche.

    D. – Sotto tiro la politica italiana: negli ultimi giorni, di nuovo la richiesta di modificare la Bossi-Fini. A suo giudizio, questo è un passaggio importante o è soltanto uno dei tanti che si devono adottare?

    R. – Certamente ogni legge è figlia del suo tempo. Sono passati 10 anni, l’immigrazione in Italia è cambiata, siamo arrivati a 5 milioni di persone. Abbiamo visto come in questi 10 anni l’immigrato sia entrato in Italia al 70% come irregolare, e tutto questo chiede di rileggere gli strumenti che ci siamo dati perché ci sia maggiore incontro tra domanda e offerta di lavoro, ci sia una maggiore attenzione a un mondo nuovo, che è il mondo dei rifugiati e richiedenti asilo e della protezione umanitaria, anche attraverso una legge strutturale e che ci sia la capacità di rileggere la modalità con cui abbiamo fatto accoglienza per riuscire a renderla sempre più organica e progetto per le nostre città.

    D. – Lei diceva che è fondamentale una politica europea. Però, di fatto, l’Italia è uno dei Paesi europei che accoglie meno …

    R. – Richiamare il dovere dell’Europa, che è un discorso importante, all’interno del quale poi c’è tutta la revisione delle leggi sull’asilo, che sta avvenendo, e che entreranno in vigore nel 2014 – al più tardi nel 2015 – è certamente un aspetto importante per sentire insieme, come casa comune, come Europa, un dramma che è fondamentale. Però, dentro l’Europa ogni Stato – e quindi anche l’Italia – deve fare il suo dovere. L’Italia manca di una legge strutturale sull’asilo, manca di un progetto organico di accoglienza per l’asilo, l’Italia, insieme alla Grecia, è al penultimo posto in questi anni per l’accoglienza dei richiedenti asilo: 50 mila contro i 600 mila della Germania. Quindi, è giusto invocare l’Europa ma al tempo stesso, anche riuscire a riprendere un discorso importante sull’accoglienza dei richiedenti asilo in Italia che, da Paese di passaggio, è diventato un Paese che a sua volta sta accogliendo molte persone che fanno domanda d’asilo.


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    Strage Lampedusa, vittime quasi tutte eritree. L'esperto: punti di raccolta sicuri alla partenza

    ◊   La drammatica vicenda di Lampedusa ha rivelato come la maggior parte dei migranti vittime del naufragio di giovedì scorso fosse di nazionalità eritrea. Si tratta di persone che fuggono da un Paese che, nonostante abbia raggiunto l’indipendenza da oltre 20 anni, non ha ancora trovato gli equilibri interni. Elvira Ragosta ne ha parlato con Alganesh Fessaha, membro eritreo della ong Gandhi, che si è recata a Lampedusa per incontrare i connazionali superstiti:

    R. – Finora, le persone che abbiamo identificato sono tutte eritree.

    D. – Tra i superstiti invece?

    R. – Sono tutti eritrei.

    D. – I numeri sono sconcertanti. Perché queste persone fuggono dall’Eritrea?

    R. – Perché noi abbiamo un regime militare dittatoriale che va avanti da 20 anni: non ci sono elezioni, non c’è multipartitismo, non c’è lavoro ma c’è fame. Bisogna fare il servizio militare dall’età di 13 anni ai 54, con una paga di 25 dollari. Un giovane così non potrà mai avere una vita propria. Al governo eritreo non mancano i soldi ma questi vengono spesi per gli armamenti. Questo deve finire! Deve finire anche che i Paesi europei aiutino questo governo.

    D. – Le notizie che arrivano dall’Eritrea parlano di cinque mila prigionieri politici, circa 70 mila rifugiati e di una situazione soprattutto nella zona di confine in cui le forze di polizia sparano…

    R. – Io lavoro nel campo profughi in Etiopia. Adesso, siamo arrivati ad avere 89 mila profughi eritrei in questi quattro campi.

    D. – Coloro che sono arrivati vivi a Lampedusa cosa le hanno raccontato? Come è stato il loro viaggio?

    R. – Loro arrivano in Libia attraverso vari mediatori, anche eritrei. Nel corso del viaggio molti sono stati picchiati, alcune donne sono state anche violentate.

    D. – Cosa potrebbe fare il governo eritreo per evitare questa fuga di massa?

    R. - Il governo eritreo intanto, prima di prevenire la fuga di massa, deve cambiare. Adesso avanzeremo la richiesta, per queste 400 persone, di farle ritornare nel loro Paese e dar loro degna sepoltura. Abbiamo quindi bisogno di un nulla osta, ma il governo eritreo non lo farà. Questo è un grande dramma. In Eritrea, ci vuole un cambiamento, il governo innanzitutto deve togliere il servizio militare; deve poi dare la possibilità ai giovani di studiare; deve dare la libertà di stampa e di parole poi deve dare anche la possibilità di lavorare. Cosa serve fare il servizio militare per tutta la vita?


    La tragedia di Lampedusa ha riaperto il dibattito sulla legge Bossi-Fini. Il ministro dell’integrazione, Cecile Kyenge, parla di molti punti da rivedere, di diverso avviso diversi esponenti di Pdl e Lega. Inoltre, polemiche nei giorni scorsi sono sorte dopo la notizia dell’incriminazione dei sopravvissuti per immigrazione clandestina. Antonella Palermo ha intervistato Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dei processi migratori all’Università Statale di Milano:

    R. – Il reato di immigrazione clandestina è collegato alla politica europea, la stessa che ci ha obbligato ad aprire quelli che poi sono diventati i Centri di identificazione ed espulsione per gli immigrati clandestini (Cie). Il problema deriva dall’Europa, dalla politica in generale dei Paesi avanzati che cercano di “chiudere le porte”, di non accogliere non solo i migranti economici ma nemmeno i rifugiati.

    D. – Secondo lei, all’indomani di questa tragedia, l’Europa cambierà atteggiamento sulla politica sulle migrazioni?

    R. – Va detto che l’Europa, in realtà, accoglie molti più rifugiati dell’Italia, quanto meno l’Europa centrosettentrionale. In Italia, accogliamo circa un rifugiato ogni mille abitanti, la Germania ne accoglie sette, la Svezia nove e così via… Nell’ultimo anno, in Italia ci sono state 14 mila domande di asilo e 64 mila in Germania, quindi l’idea che l’Europa lasci gli italiani a gestire il problema degli arrivi è una rappresentazione provinciale della questione. Detto questo, l’Europa dovrebbe fare due cose. La prima: istituire punti di raccolta sicuri per le domande di asilo, il più vicino possibile ai luoghi dove hanno origine i flussi. Sappiamo che molti migranti arrivano da zone in guerra come l’Eritrea, la Somalia, ultimamente dalla Siria e dal Congo, quindi occorre evitare il più possibile rischiosi viaggi per mare. La seconda cosa che l’Europa dovrebbe fare – considerando che ha già stanziato grandi risorse per il sistema "Frontex" e pattuglia con navi, elicotteri ed aerei le sue frontiere, tra cui il Mediterraneo – è di utilizzare meglio queste risorse tecniche, finanziarie per soccorrere i migranti. Anche dal punto di vista della sicurezza, desta perplessità l’idea che non delle barche, ma addirittura dei pescherecci, possano arrivare fino alle nostre coste senza essere intercettati. O il sistema è inadeguato, oppure hanno fatto finta di non vederli.

    D. – Secondo lei, c’è qualcosa di sbagliato nelle reazioni politiche e mediatiche in Italia a fronte di questo tragico avvenimento?

    R. – Purtroppo, c’è un’ottica provinciale, e anche retorica, ad esempio l’idea che i rifugiati siano troppi, che ne arrivino numeri insostenibili. L’81% dei rifugiati del mondo trova asilo nei Paesi del Sud del mondo, il primo Paese per numero di rifugiati accolti è il Pakistan, il secondo è l’Iran. Quindi, questa idea che l’Italia è sotto invasione è sbagliata. Tra l’altro, dieci anni fa i rifugiati accolti nel Nord del mondo erano il 10% in più. Sta diminuendo la nostra volontà e disponibilità di accogliere, stanno funzionando le politiche che tendono a tener lontani i rifugiati dalle nostre coste. Altro errore di giudizio è questa insistita retorica sull’Europa che non aiuta l’Italia, che non condivide i carichi. Il giorno che l’Europa decidesse che si condividono i costi dell’accoglienza dei rifugiati noi ci accorgeremo di dover versare dei contributi per aiutare la Germania, la Svezia, l’Olanda, l’Inghilterra e la Francia che accolgono numeri di rifugiati maggiori rispetto ai rifugiati che accogliamo noi, sia in termini assoluti, sia in proporzione alla loro popolazione.

    D. – L’esodo continua. Qualche suggerimento proprio in questo frangente in cui bisogna intervenire su più fronti?

    R. – Il primo è una cosa da non fare: dire che bisogna allearsi con i Paesi del Sud del Mediterraneo per impedire che partano. C’è un’ipocrisia che va denunciata: la verità è che noi non vogliamo che vengano a morire sotto i nostri occhi, sulle nostre belle spiagge. Se muoiono nel deserto, o nei campi di concentramento libici, o vessati dalle bande che padroneggiano in Paesi come la Libia, allora non ci interessa perché non avviene sotto i nostri occhi. Quindi, il problema non è chiedere agli stati rivieraschi del Sud del Mediterraneo di impedire le partenze, ma semmai di allearsi con loro, affinché i richiedenti asilo vengano accolti umanamente ed affinché le loro domande si possano vagliare rapidamente ed in modo serio per poter accogliere in Europa, o altrove, coloro che ne hanno diritto.

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    Egitto, violenze e morti. La crisi politica e le pesanti ricadute economiche

    ◊   E’ di 5 morti ed almeno 50 feriti il bilancio di un attacco contro il quartier generale delle forze di sicurezza egiziane nel Sinai del Sud. L'esplosione di un'autobomba, secondo fonti locali, ha danneggiato sia la sede della sicurezza di El-Tor che i vicini uffici del governatorato provinciale. Un’altra giornata di violenza, dunque, per l’Egitto dove ieri 50 persone hanno perso la vita in scontri tra sostenitori del deposto presidente Morsi ed Esercito. Una contrapposizione fortissima, quella tra militari e Fratelli Musulmani, che sta trascinando il Paese verso una pericolosa destabilizzazione sia politica che finanziaria. Sulla situazione economica in cui versa il “gigante” mediorientale, Salvatore Sabatino ha intervistato l’economista Giovanni Marseguerra:

    R. – Certamente, le aree nordafricane, mediorientali – e l'Egitto in particolare – in questo momento sono attraversate da una forte instabilità che non è solo politica, ma che va ricercata anche nel profondo disagio economico e sociale che permea questi Paesi. È difficile pensare si possano fare passi avanti dal punto di vista politico se prima non si affrontano questi disagi.

    D. – Questi disagi poi hanno determinato le "primavere arabe". Quanto influisce tutta questa situazione anche sulla crisi economica globale?

    R. – Dico che si tratta di un effetto gravissimo. Si parla di qualcosa come 200 milioni di giovanissimi arabi disoccupati: parliamo dei giovani al di sotto 24 anni presenti nei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Questi ragazzi si trovano senza lavoro, senza prospettive future, se non quella dell’emigrazione. È un gap enorme, dovuto anche alla mentalità patriarcale che vige in molte di queste zone, a un deficit di istruzione, a un mancato indirizzamento di questi ragazzi verso le competenze richieste dal mercato del lavoro. Tutto questo ha creato una pletora di burocrati e loro sono rimasti disoccupati quando sono arrivati i tagli al settore pubblico.

    D. – E tutto questo, ovviamente in un mondo globalizzato, è seriamente un problema…

    R. – È un problema perché poi si riflette nelle attività migratorie che sono diventate un fenomeno assolutamente globale. Si pensi che nel mondo ci sono 232 milioni di persone che hanno lasciato il loro Paese per vivere in un altro. Ora, di fronte a questi dati, credo che qualunque considerazione economica debba lasciare il posto a una riflessione più profonda. Qui si tratta veramente di questioni geopolitiche: l’economia e la politica si mescolano in maniera inscindibile.

    D. – Queste destabilizzazioni hanno avuto ripercussioni anche sul prezzo del petrolio, pur non essendo questi Paesi direttamente produttori. Come mai allora questo innalzamento dei prezzi?

    R. – La Siria, ad esempio, che è stata al centro dell’interesse mondiale negli ultimi mesi, non è un grandissimo produttore di petrolio, ma il timore che un eventuale conflitto e l’instabilità si propagassero ai Paesi limitrofi, che sono forti esportatori di petrolio, ha fatto sì che i prezzi stessi scontassero questa paura.

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    Siria, si smantellano le armi chimiche. Campanini: incognite sul futuro del Paese

    ◊   Soddisfazione nella comunità internazionale, specie da parte di Stati Uniti e Russia, per l’avvio in Siria delle operazioni di smantellamento dell’arsenale chimico, il più grande del Medio Oriente e il quarto al mondo. A certificarlo sono gli ispettori dell’Onu che, giunti martedì scorso a Damasco, hanno ottenuto dal presidente Assad la lista dei siti con gli impianti per la produzione e i depositi di armi chimiche. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento:

    D. – Professor Campanini, una buona notizia in assoluto o ci sono incognite da valutare? Ad esempio, quale contropartita può avere chiesto Assad per questa – possiamo dire – "resa"?

    R. – Io non credo che sia necessario che Assad abbia voluto contropartite. Per come si è svolta la crisi, e per come si è risolta, ha significato un irrobustimento e un consolidamento di Assad, il quale ha trovato una sponda solida nella Russia, ha fatto perdere la faccia a Obama e agli Stati Uniti, e poi è stato riconosciuto come un interlocutore. Quindi, dal punto di vista strettamente diplomatico, io credo che tutto si sia risolto con un consolidamento e una vittoria politica da parte di Assad. Che poi si tratti veramente di un risultato decisivo, tenendo conto che è probabile o comunque possibile che l’uso delle armi chimiche non si sia limitato soltanto al regime di Assad ma che sia stato anche dei ribelli, e quanto poi lo smantellamento dell’arsenale del regime senza che venga smantellato l’arsenale dei ribelli – o il fatto se poi Assad smantellerà veramente sotto il controllo internazionale questo arsenale – lascia tutta la questione in pregiudicato. Mi pare che sostanzialmente si sia fatto molto rumore per nulla e che la montagna abbia partorito un topolino.

    D. – Stati Uniti e Russia si sono detti, ora, favorevoli a fissare quanto prima una data per una conferenza di pace e per questo faranno ‘pressioni’ sull’Onu. Questo comunque fa sperare nella fine delle ostilità, fa ben sperare per la popolazione?

    R. – Allo stato attuale delle cose, nessuno dei due contendenti sembra in grado di vincere militarmente la partita, per cui il fatto di pervenire a una conferenza di pace che possa condurre gli interlocutori ad un tavolo di trattative, mi sembra comunque un risultato positivo, anche perché obiettivamente Assad non potrà più ripresentarsi con lo stesso schema di potere e di controllo della società siriana, perché bene o male il suo ruolo è stato intaccato e la sua funzione di dittatore, di capo assoluto, di dominatore incontrastato della scena politica siriana è stato rimesso in discussione. Di conseguenza, credo che comunque i rivoltosi avranno modo di strappare ad Assad delle concessioni e contemporaneamente Assad potrà dire e sbandierare di fronte all’opinione pubblica internazionale, di avere respinto gli assalti, di aver vinto in qualche modo la sua guerra, perché un incontro di pace vuol dire automaticamente che egli resta al potere: con poteri diminuiti, sicuramente, però indubbiamente rimane al potere. Comunque, penso che lo sbocco di questa situazione senza via d’uscita sia quello di un’intesa generale, in cui possano intervenire le forze e le potenze internazionali, come gli Stati Uniti e come la Russia, e in qualche modo trovino un terreno di convergenza diplomatica e politica tra i due contendenti.

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    Presidenziali in Etiopia: Parlamento chiamato a scegliere il successore di Girma Wolde-Giorgis

    ◊   È attesa per domani ad Addis Abeba la decisione del Parlamento sull’elezione del nuovo presidente dell’Etiopia. Il capo di Stato uscente, Girma Wolde-Giorgis, dell’etnia maggioritaria Oromo, è in carica da oltre dieci anni. Secondo indiscrezioni, il partito al potere, il Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope - una coalizione che rappresenta le entità del Tigray, degli Oromo, degli Amhara e delle popolazioni del Sud - potrebbe riassegnare la prima carica del Paese ad un rappresentante Oromo. Nei giorni scorsi nella capitale si sono registrate tensioni per le contestazioni alla vigente normativa antiterroristica, criticata da alcune organizzazioni di difesa dei diritti umani che la giudicano diretta a reprimere l’opposizione politica. Sulle presidenziali, Giada Aquilino ha intervistato la collega dell’Agenzia missionaria Misna Alessia De Luca, esperta di Paesi dell’Africa orientale:

    R. – Si tratta delle quarte elezioni nella storia della Repubblica Federale di Etiopia. In base alla legge, il nuovo capo dello Stato ricoprirà questa carica per un periodo di sei anni e dovrà essere nominato dalle due Camere del Parlamento, riunite in seduta congiunta già da questa mattina. Le nostre fonti ad Addis Abeba hanno confermato l’alta presenza di militari per le strade. L’attuale presidente Girma Wolde-Giorgis ha ricoperto due mandati e non potrà più essere rieletto, anche perché anziano e malato. Ci sono diversi nomi che circolano e di cui si è parlato nelle ultime settimane. L’unica cosa su cui molti osservatori concordano è che probabilmente, come Wolde-Giorgis ed i suoi predecessori, si tratterà di un esponente di etnia Oromo, l’etnia maggioritaria in Etiopia, ma non estremamente rappresentata nelle istituzioni, dominate per lo più dalla minoranza tigrina. Ad ogni modo, la maggior parte dei poteri amministrativi ed esecutivi sono affidati al primo ministro e il presidente della Repubblica riveste principalmente un ruolo istituzionale e rappresentativo.

    D. – Che Paese è oggi l’Etiopia, tra i più popolosi d’Africa?

    R. – L’Etiopia è un Paese di 84 milioni di abitanti, di cui un 43 per cento cristiani ortodossi e un 33 per cento musulmani. E’ una delle economie più in crescita di tutto il Continente africano ed anche della zona dell’Africa orientale, del Corno d’Africa. L’anno scorso è morto il leader Meles Zenawi, che è stato al potere per più di 20 anni, che ha rovesciato la dittatura di Mengistu. L’Etiopia è, comunque, un Paese in cui rimangono grandi incognite e grandi sfide, come quella soprattutto della convivenza tra etnie diverse, oltre al fatto che formalmente l’Etiopia è ancora in guerra con la vicina Eritrea, anche se è stata raggiunta una tregua. Scontri sporadici, però, avvengono ancora lungo il confine, che comunque è un’area molto turbolenta.

    D. – Dopo la grave carestia del 1984-1985, qual è la situazione alimentare in Etiopia oggi?

    R. – Sono stati fatti indubbiamente dei passi avanti, ma ciclicamente si ripropongono delle situazioni di carestia soprattutto nella regione dell’Ogaden, che è a maggioranza somala, dove non è consentito l’accesso alle organizzazioni umanitarie e alla Croce Rossa. Noi sappiamo, quindi, poco o nulla di quello che avviene in questa zona.

    D. – Dopo il recente attacco dei miliziani somali Al Shebaab al centro commerciale di Nairobi, in Kenya, il premier etiope Hailemariam Desalegn ha fatto sapere che non ritirerà le truppe del proprio Paese dalla Somalia. Perché Addis Abeba è presente in Somalia, come d’altra parte militari di altri Paesi africani?

    D. – Addis Abeba ha schierato le sue truppe in Somalia, una prima volta nel 2006. Di recente è rientrata in territorio somalo per salvaguardare e controllare il confine comune. Quindi, tutta la zona di Beledweyne, per esempio, è pattugliata da militari etiopi. Ovviamente, una cosa che non si può non notare appena si guarda la cartina del Corno d’Africa, è che l’Etiopia - dopo la secessione dell’Eritrea - è l’unico Paese che non ha accesso al mare. Indubbiamente, la sua presenza e la sua attenzione alle zone del centro-sud della Somalia sono legate anche al fatto che la strada per raggiungere il mare, per l’Etiopia, potrebbe passare appunto anche attraverso la Somalia. Ha tutto l’interesse, quindi, che questa zona sia percorribile.

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    Mosca. Scoperto busto in bronzo alla memoria di Anna Politkovskaja

    ◊   Nel settimo anniversario dell’uccisione della giornalista russa, Anna Politkovskaja, un omaggio le è stato tributato oggi a Mosca dal suo giornale "Nova Gazeta" sotto forma di un bassorilievo in bronzo che reca il ritratto della cronista e con alcune pagine di block notes strappate. Il monumento è stato inaugurato su un muro del palazzo che ospita la redazione, alla presenza dei giornalisti della testata. La giornalista russa venne assassinata brutalmente nella sua abitazione a Mosca. Un omicidio che ha ancora molti punti oscuri e rimane senza mandanti. Il suo giornale, nella pagina web vicino al titolo della testata, continua ad aggiornare periodicamente una cartella con gli esiti dell’inchiesta sul suo omicidio e sul susseguente processo. Le polemiche rimangono forti. Per gli inquirenti, tre fratelli caucasici sarebbero gli esecutori dell’assassino, mentre i mandanti non sono ancora stati scoperti. La famiglia e i giornalisti hanno opinioni diverse. Solo un inquisito ha finora ammesso di aver ottenuto dei soldi per seguire la giornalista. Nei giorni scorsi, sulla Novaja Gazeta, era palese la soddisfazione per il premio “Politkovskaja” assegnato alla ragazzina pakistana Malala Josufsaj, che, nell’ottobre scorso, è stata ferita dai talebani per la sua scelta di continuare ad andare a scuola. (A cura di Giuseppe D'Amato)

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    Giornata Mondiale dell'Habitat: mobilità sostenibile per uno sviluppo equo

    ◊   Riflettere sullo stato delle città e sul fondamentale diritto ad un alloggio sicuro ed adeguato. Questo l’obiettivo dell’odierna Giornata Mondiale dell’Habitat indetta dalle Nazioni Unite. Nel suo messaggio, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ricorda in particolare l’importanza di un efficiente trasporto urbano per uno sviluppo sostenibile ed equo. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    I tifoni, lo scorso mese, in Cina e nelle Filippine, le violente tempeste che hanno colpito a settembre le coste del Messico, il devastante passaggio nei Caraibi lo scorso anno dell’uragano "Sandy". Sono alcune delle recenti calamità che hanno duramente colpito diverse aree del mondo. In particolare secondo l’Onu, entro il 2050, la popolazione nelle grandi città costiere esposta a cicloni ed uragani raddoppierà arrivando ad oltre 680 milioni di persone. Un altro grave rischio è quello sismico che riguarda più delle metà delle grandi città. Strumenti imprescindibili, in questi mega agglomerati, sono per le Nazioni Unite un’attenta pianificazione e il contenimento dell’espansione urbana. Sfide cruciali sono anche quelle legate all’inquinamento e al traffico. La mobilità – scrive nel messaggio il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, – non è semplicemente legata all’incremento delle strade. Si tratta di organizzare sistemi più appropriati in grado di rispondere alle esigenze della maggior parte delle persone nel modo migliore e più equo favorendo, ad esempio, il passaggio dall’uso dell’automobile all’utilizzo di treni, autobus e biciclette. Padre René Manenti, direttore del Centro Studi Emigrazione, istituzione promossa dai missionari scalabriniani:

    R. – Si deve cominciare a ragionare in termini di collettività. Quindi il mio bene arriva fin dove inizia quello dell’altro. Se il mio bene può essere messo in comune con il bene dell’altro, e questo nostro bene, alla fine, aiuta la natura o meglio “distrugge meno” la natura, è logico che questo va a vantaggio di tutti. Se io prendo la mia macchina e sono da solo, perché per me è comodo arrivare in un posto, e se ognuno prende la propria macchina, l’inquinamento logicamente aumenta. Se invece si ragiona facendo un piccolo sacrificio, un piccolo passo indietro, per cui non è la mia macchina il mio bene, ma è un autobus, che magari mi fa arrivare dieci minuti dopo, ma che comunque mi fa arrivare, l’inquinamento è ridotto al massimo, con un mezzo che porta cento, duecento persone. Io dico che questa è una questione di giustizia, è una questione di bene, una questione di rispetto dell’ambiente. E’ il bene comune che, in questo caso, diviene più importante del mio bene personale.

    D. – Tra i “testimonial” di questa mobilità sostenibile, di questo ricorso al mezzo pubblico, rispetto al mezzo privato, abbiamo proprio un esempio eccezionale: Papa Francesco, molto legato al trasporto urbano, all’utilizzo della metropolitana, quando era cardinale a Buenos Aires...

    R. – Sicuramente Papa Francesco per la personalità che ha, ma anche proprio per questo spirito di non pensare solo a se stessi e al proprio bene. Si può fare a volte un passettino indietro e questo bene può diventare il bene comune. C’è bisogno di un cambiamento di mentalità, di un cambiamento nel modo di fare. Probabilmente molte persone l’hanno già fatto, ma molti devono ancora farlo. Bisogna fare dei piccoli sacrifici, pensando nell’ottica del bene comune, dell’utilizzo comune delle risorse. Bisogna pensare che se si pensa solamente a se stessi e al proprio bene, anche Madre Natura prima o poi finirà di lasciarci spazio e di farci fare quello che vogliamo.

    Il trasporto urbano - sottolinea infine l’Onu – è centrale per uno sviluppo sostenibile e per rendere le città accessibili e più vivibili.


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    In Italia sempre meno lavoro qualificato. L'economista Cozzi: puntare sul capitale umano

    ◊   In Italia, cresce il lavoro a bassa professionalità, aumentano colf e badanti, ma cala sempre di più la produzione industriale e il lavoro ad alta qualificazione. Lo riporta un articolo del quotidiano "Repubblica" dove viene messo in luce come questa via italiana sia in controtendenza rispetto all’Europa, in testa la Germania, dove l’economia guarda sempre di più alla formazione e alla qualificazione del capitale umano. Debora Donnini ha approfondito questo tema con Tommaso Cozzi, professore di economia all’Università di Bari:

    R. – Sono oltre trent’anni che noi, come nazione, non investiamo più nella formazione dei cervelli. Pretendiamo che i cervelli in fuga verso l’estero ritornino, ma in realtà nella nostra nazione si investe sempre meno nell’alta qualificazione. Anche il sistema scolastico e universitario tende a livellare verso il basso il livello culturale dei nostri giovani. Quindi da un lato abbiamo delle iper-specializzazioni di laureati che poi, appunto, emigrano all’estero per trovare una collocazione dignitosa; dall’altro lato, anche se teoricamente i titoli di studio - cioè i diplomi di scuola media superiore o le lauree - aumentano, il livello culturale ormai è appiattito verso il basso. E questa è la conseguenza che poi ci porta ad orientare i nostri giovani verso lavori a bassa qualificazione.

    D. – Paesi come l’Italia dovrebbero puntare – come fa la Germania – sull’alta qualificazione e sulla formazione …

    R. – Il punto è proprio questo: che l’alta qualificazione giustifica la presenza anche di alte remunerazioni. Da noi, purtroppo, abbiamo giovani che sopravvivono con stupendi precari, di basso livello, proprio perché non abbiamo investito sul capitale umano che è fondamentale per una nazione che sia competitiva.

    D. – Recentemente è uscito un rapporto sulla competitività dell’Unione Europea, nel quale veniva diffuso un dato allarmante: in Italia, dal 2007 ad oggi, la produzione industriale è calata del 20 per cento, quindi anche in questo senso non c’è stato uno sguardo lungimirante verso il futuro …

    R. – Ormai noi siamo non più in una situazione di decrescita, ma addirittura di depressione economica. La ragione per cui la produzione è calata è dovuta al calo contemporaneo dei consumi. Il punto è proprio questo: per poter essere competitivi è necessario passare dalla logica del Prodotto interno lordo, che pure è significativo per comprendere l’andamento di una nazione, a quello che Amartya Sen definisce “l’indice di sviluppo umano”. E nell’indice di sviluppo umano, uno degli indicatori più importanti è proprio il livello di scolarizzazione, non come titolo formale ma come qualificazione del capitale umano.

    D. – Come mai la Germania cresce e perché, rispetto all’Italia, è riuscita a puntare sulla formazione e sulla riqualificazione?

    R. – La Germania cresce perché dal momento in cui le due Germanie si sono riunificate, noi abbiamo assistito ad un fenomeno interessante: la Germania era la nazione forse più debole, più arretrata d’Europa perché si è ritrovata all’improvviso con il raddoppio della popolazione di cui una parte, l’ex Germania dell’Est, era completamente da ricostruire anche in termini di competenze. Allora la Germania ormai da quasi 30 anni ha impostato le sue politiche proprio sullo sviluppo del capitale umano che, di conseguenza, porta allo sviluppo del sistema imprenditoriale, del sistema industriale e quindi ad altissima competitività.

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    Disturbi dei bambini. Istituto Ortofonologia: serve l’affetto dei genitori non le pillole

    ◊   Nelle Asl italiane, negli ultimi 12 mesi, si è registrato un incremento del 20 per cento di minori con disturbi mentali. L’allarme viene rilanciato dall’Istituto di Ortofonologia che chiede di arrestare l’ondata di medicalizzazione con la quale si insegue esclusivamente l’eliminazione del sintomo. Alessandro Gisotti ne ha parlato con il direttore dell’Istituto, il dott. Federico Bianchi di Castelbianco:

    R. - Un conto è il disagio, che aumenta nei bambini e nei ragazzi, perché è cambiata la società, un’altra cosa è invece la forzatura di volere a tutti i costi mettere etichette e diagnosi ai bambini sul loro comportamento. E il grande problema è che molte di queste definizioni non hanno neanche una grande validità. Di bambini autistici ce n’erano uno ogni duemila, uno ogni mille, e adesso stanno diventando uno ogni cento. Cosa succede? Significa che, da un lato, esiste la problematica dell’autismo di origine per lo meno multifattoriale, genetica, biologica, ma significa pure che in questa etichetta si stanno infilando tante situazioni che nulla hanno a che fare con l’autismo.

    D. – Poi c’è ovviamente un discorso - che voi denunciate in modo molto forte – che la soluzione più semplice, ma ovviamente quella sbagliata, è: "diamogli una pillola..."

    R. – Che ci siano ovviamente dei casi in cui è una necessità, non c’è ombra di dubbio. Bisogna, però, anche fare un conto. La domanda è questa: se in Germania, per la famosa Adhd – bambini che vengono segnalati per un disturbo di iperattività ed incapacità di essere attenti – nel ’93 hanno dato 34 chili di un farmaco e nel 2011 da 34 chili sono passati a 1760 chili in un anno, cosa significa? Significa che l’Adhd è esplosa in Germania. In America non ne parliamo: sono 11 milioni i casi. La cosa, però, su cui dovremmo tutti riflettere è che il padre scientifico dell’Adhd sette mesi prima di morire ha detto: “E’ una malattia fittizia”. Tradotto in “soldoni”, come si direbbe in Italia: 'Ho fatto i soldi inventandomi l’Adhd'. Dobbiamo capire che i nostri figli, rispetto a 30 anni fa, sono molto più arrabbiati. Per farle un esempio: io andavo alle superiori per i fenomeni di bullismo e violenza, poi sono andato alle medie e poi alle elementari e quindi nelle materne. In questi ultimi due anni siamo andati nei nidi, dove i bambini di due anni danno morsi, pugni, calci. Quello che voglio dire è che l’aggressività è presente nei piccoli ed è esplosa, perché abbiamo cambiato tutta una società che si basava sulla famiglia, nel bene e nel male, ma che riusciva a contenere e ad accudire meglio i bambini.

    D. – Papa Francesco ad Assisi parlava proprio di questo, rivolgendosi ai giovani, cioè l’importanza della famiglia – un padre e una madre – che vogliono bene ai propri figli, con i loro limiti, i propri errori, e che però riescono a superare i problemi...

    R. – 30 anni fa i bambini venivano mandati direttamente alla scuola elementare a sei anni; al massimo a 5 anni andavano alla materna ed era una rarità. Adesso alle mamme si chiede se cortesemente riescano a stare il primo anno di vita con il loro figlio e queste rispondono che non possono, perché devono tornare a lavoro. Ma noi non possiamo pensare che un bambino che va a sei mesi al nido sia la stessa cosa di un bambino che va a cinque anni alla scuola materna. E’ un concetto di accudimento che abbiamo perso. A questo i bambini reagiscono con rabbia. E’ una specie di abbandono, che loro vivono, quando a sei o otto mesi vanno in un nido, per quanto siano bravissimi quelli del nido. Comunque la vogliamo girare è una realtà di cui dobbiamo prendere atto e cercare di modificare. Non possiamo pensare di modificare la situazione, quando lui è arrabbiato, dicendo che è iperattivo e dandogli un farmaco. Non ha senso. I farmaci devono essere dati nei casi in cui è veramente necessario, ma non sono una soluzione sociale.

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    Italia, timore diffuso sulla riservatezza nel web. Il garante: serve cultura della privacy

    ◊   Timorosi dei rischi per la riservatezza che derivano da Internet e dai social network, ma poco attrezzati per affrontarli. È questo il ritratto degli italiani secondo l’ultima ricerca del Censis, dedicata al “Valore della privacy nell’epoca della personalizzazione dei media” e presentata oggi a Roma. Il servizio di Davide Maggiore:

    La tendenza alla condivisione vince sulla riservatezza, grazie anche ai social network e ai telefoni cellulari di ultima generazione, sempre in grado di connettersi alla Rete. Ma più di otto italiani su dieci, allo stesso tempo, su Internet vorrebbero non lasciare tracce per paura che i propri dati personali vengano diffusi. Vivono, insomma, in una condizione paradossale, che Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, illustra così:

    “E’ quasi un’apprensione, che però non porta comportamenti conseguenti e cioè a una maggiore consapevolezza di cosa succeda nell'esporre la propria persona, i propri dati, la propria famiglia, le proprie fotografie in Rete… Il web è un grandissimo contenitore che in tempo reale e in modo diretto rende esplicite informazioni che in altri periodi sarebbero rimaste nella riservatezza e quindi non sarebbero così divulgati e condivisi in pubblico”.

    Circa un italiano su tre ha avuto conseguenze negative inserendo dati personali on line: per lo più, si tratta di messaggi di posta elettronica da sconosciuti, o di pubblicità indesiderata, ma c’è chi per proteggersi sarebbe disposto anche a pagare. La privacy, in Italia,"vale" 590 milioni di euro all’anno: è la cifra che gli utenti di Internet spenderebbero, potenzialmente, per difendersi da intrusioni indesiderate. E in effetti, la grande disponibilità di dati in Rete espone anche a rischi. Li elenca ancora Giuseppe Roma:

    “Ci sono i pericoli delle truffe, del furto d’identità, ma anche un pericolo di tipo valoriale: cioè, i miei comportamenti, le mie opinioni, le mie scelte, sia commerciali, di acquisto ma a quel punto, anche di vita, le mie opinioni politiche: c’è la possibilità che siano in qualche modo controllate e orientate. I messaggi – certamente di tipo commerciale, ma potrebbero essere anche di tipo politico-istituzionale, potrebbero essere di tipo culturale – potrebbero essere indirizzati più in profondità, conoscendo i gusti e le propensioni di ciascuno”.

    Più del 53% dei cittadini, di conseguenza, vorrebbe una normativa sulla privacy più severa e sanzioni efficaci per quanto riguarda Internet. Su come difendere la propria riservatezza oggi, ascoltiamo Antonello Soro, presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali:

    “E’ un impegno massiccio che naturalmente richiede un cambiamento di atteggiamento da parte della comunità delle persone che utilizzano gli strumenti della società digitale. Ma occorre anche che gli Stati si facciano carico di un corso di governo: non possiamo immaginare che la libertà di Internet venga sacrificata per le esigenze di controllo dei governi, ma occorre avvertire che anche il cambiamento digitale può costituire una minaccia. Si vince questa minaccia se si ha una cultura della privacy, che vuol dire una cultura della libertà nella società digitale”.

    Le istituzioni e i singoli devono dunque muoversi in parallelo, conclude Soro:

    “Non si può delegare esclusivamente allo Stato la protezione dei dati personali: gli Stati devono fare la loro parte, ma è fondamentale un processo di consapevolezza individuale che porti a un uso responsabile di questi strumenti”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Vescovi europei: non chiusi "in una fortezza" ma portatori di una "speranza"

    ◊   “La risposta della Chiesa non può essere quella della chiusura, trasformandosi in una fortezza nell’Europa. Indipendentemente da ciò che accade, i cristiani hanno una chiara identità basata sulla loro fede che è viva e che risveglia la speranza”. Con la parola “speranza” si è conclusa ieri a Bratislava (Slovacchia) l’Assemblea plenaria dei presidenti delle Conferenze episcopali in Europa. A sottolinearla è il comunicato finale diffuso oggi dal Ccee a conclusione dei lavori. In questi giorni i vescovi hanno dibattuto del tema “Dio e lo Stato. L’Europa tra laicità e laicismo” e nel dibattito che è seguito alla presentazione di un’indagine, “più volte” è apparsa la speranza come “parola chiave”: “I cristiani - si legge nel comunicato ripreso dall'agenzia Sir - sono portatori di una speranza, di un’esperienza e contenuto di fede che è interessante per tutti”. A più riprese, i vescovi hanno espresso la convinzione che “la speranza che reca la Chiesa è qualcosa che il mondo cerca. E questa stessa speranza deve dare ai cristiani, il coraggio di affrontare le situazioni difficili con uno spirito di apertura alle domande delle persone, guardando innanzitutto alla missione evangelizzatrice della Chiesa, la quale, seguendo il Suo Signore, si sente interpellata da tutto quanto appartiene alla vita dell’uomo”. “Non si tratta - prosegue il Ccee - di essere superficiali o mancare di giudizio critico sul mondo, o di rimanere in quello che si suol considerare l’ambito spirituale”. Da un’indagine curata dalla professoressa Emila Hrabovec sullo spazio riconosciuto alla religione nelle società dei Paesi europei, emerge “l’ingerenza di un certo laicismo e il tentativo di costruire un’immagine esclusivamente negativa della Chiesa e della fede”. I vescovi però “propongono di avere un approccio positivo e propositivo nei confronti della realtà e delle dinamiche sociali”. L’assemblea plenaria ha permesso anche di affrontare altre “questioni urgenti” come il tema dei profughi, che arrivano in Europa e che “esige da parte degli Stati europei una solidarietà effettiva perché situazioni come quella vissuta in questi giorni a Lampedusa non si ripetano”, e la crisi economica. A questo riguardo, il Ccee rivolge un “appello a una più grande solidarietà tra Paesi ricchi e poveri”. Per quanto riguarda la situazione in Siria, esce dall’incontro di Bratislava, “un appello perché non ci sia ipocrisia tra quelli che dicono di voler risolvere il problema. Uniti al Santo Padre, i vescovi chiedono che la via del dialogo sia intrapresa con più decisione e che alla preghiera si uniscano decisioni politiche che portino a un immediato cessate-il-fuoco e alla fine dell’ingresso di armi nel Paese che alimentano la guerra”. (R.P.)

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    Vescovo del Kurdistan: accogliamo come fratelli i profughi siriani

    ◊   "Accogliamo nelle nostre case i profughi siriani, perché desideriamo dare loro una testimonianza della universalità della Chiesa e del messaggio di amore del cristianesimo". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews mons. Rabban al-Qas, arcivescovo caldeo della diocesi di Amadiyah-Zakho, una delle aree del Kurdistan iracheno che in questi mesi ha raccolto le oltre 20mila persone fuggite dagli orrori della guerra in Siria. "La maggior parte di essi - racconta il prelato - ha perso tutto: parenti, amici, le proprie case e molti anche la speranza di tornare. Ho invitato i fedeli della diocesi a ospitare nelle loro abitazioni i fratelli siriani, perché non devono sentirsi stranieri, evitati o emarginati, ma accolti". I frutti di questo approccio basato sull'amore per il prossimo sono già emersi. Un villaggio situato nei pressi del confine ha dato ospitalità a più di 20 famiglie cristiane, che si sono integrate nella comunità locale. "In agosto - racconta il vescovo - ho dato la prima comunione a molti bambini figli dei rifugiati siriani. Tutta la diocesi ha partecipato a questa festa offrendo denaro, cibo, doni per le famiglie ospitate". Mons. al-Qas sottolinea che "un tale legame con popolazioni di etnia e lingua diversa non è mai scontato in queste zone". In Siria si parla l'arabo, mentre nel Kurdistan iracheno le lingue più diffuse sono il kurdo e l'aramaico. Spesso a fuggire sono famiglie umili abituate a comunicare da sempre nella propria lingua e che tendono ad isolarsi dal resto della popolazione. L'episodio più recente di tale unità è il matrimonio di Giorgio e Nour, due giovani siriani giunti in Kurdistan insieme ai loro parenti. "I giovani sposi - continua l'arcivescovo caldeo - si sono uniti in matrimonio davanti a tutta la comunità cristiana del villaggio che li ospita. Per noi è stato un giorno di festa e di gioia dedicato a questi due giovani. Nell'omelia ho ribadito che le lingue e le culture differenti non sono un ostacolo per vedere l'amore di Dio, che si manifesta in questi piccoli gesti. Chi giunge nei nostri villaggi è nostro fratello, non uno straniero". (R.P.)

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    Iraq: il Patriarcato caldeo proibisce la vendita non autorizzata delle proprietà della Chiesa

    ◊   Il patriarcato di Babilonia dei caldei ha formalmente proibito la vendita di terre e case appartenenti al patrimonio della Chiesa senza previa autorizzazione “delle alte autorità ecclesiastiche”. La disposizione restrittiva è stata resa pubblica in una nota che porta la data del 5 ottobre e fa riferimento esplicito alla Santa Sede come ultima istanza chiamata a concedere le licenze per la vendita dei beni della Chiesa. Il testo della direttiva, pervenuto all'agenzia Fides, richiama l'Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente (firmata da Papa Benedetto XVI) insieme a altre indicazioni emanate dai dicasteri della Santa Sede riguardo alle dismissioni di proprietà ecclesiastiche, in particolare nei Paesi dell'area mediorientale. Il patriarcato richiama tutti i vescovi e i capi dei monasteri di farsi carico dell'indicazione contenuta nella nota. Fin dalla sua elezione alla Sede patriarcale di Babilonia dei caldei, avvenuta alla fine di gennaio, il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako è intervenuto più volte sulla questione sensibile della gestione dei beni della Chiesa, denunciando le forme di alienazione non autorizzata come un incentivo al generale sradicamento delle comunità cristiane autoctone di tradizione apostolica dal Medio Oriente. (R.P.)

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    Centrafrica: nuove violenze a Bangassou, riunione all'Ua

    ◊   Almeno 14 persone hanno perso la vita nell’ultima ondata di violenze che si è verificata nella remota città orientale di Bangassou, causando anche la fuga di migliaia di persone. “Gli ultimi quattro civili uccisi sono cristiani”: il bilancio è stato riferito dal vescovo locale, mons. Juan José Aguirre, aggiungendo che “alla sede della diocesi stiamo facendo fronte all’arrivo di migliaia di donne, bambini e uomini in cerca di un rifugio”. Ancora una volta - riferisce l'agenzia Misna - la responsabilità degli ultimi disordini è stata assegnata agli uomini della coalizione ribelle Seleka, che ha preso il potere con un colpo di stato lo scorso 24 marzo. Da allora le nuove autorità di transizione, a cominciare dall’ex capo ribelle proclamato presidente, Michel Djotodia, non riescono a ristabilire l’ordine e la sicurezza su tutto il territorio nazionale. Nonostante il perdurare delle violenze, la scorsa settimana il governo ha deciso di rimuovere il coprifuoco decretato all’indomani del putsch militare. A Bangassou, 750 km ad est di Bangui, il confronto violento è cominciato martedì scorso, quando i cristiani sono scesi in piazza per protestare contro gli abusi dei ribelli Seleka, a maggioranza musulmana, stabiliti in città. Abitanti musulmani assieme ai combattenti armati hanno cercato di bloccare la marcia: nei disordini successivi dieci persone sono morte, lo stesso numero dalle due parti. L’incapacità delle nuove autorità di riprendere la situazione in mano, in mancanza di forze di sicurezza competenti e di mezzi militari, sta spingendo la comunità regionale ad intervenire in Centrafrica, dove ha già dispiegato un suo contingente (Fomac) di 2.000 uomini. Oltre ai Paesi vicini della Comunità degli Stati dell’Africa centrale (Ceeac) anche l’Unione Africana (Ua), la Francia e l’Onu dovrebbero contribuire alla futura Missione di stabilizzazione africana in Centrafrica (Misca), con 3.600 soldati da dispiegare prima del 2014. Proprio oggi ad Addis Abeba, sede dell’Unione Africana, si terrà una riunione di esperti militari per definire la strategia dell’operazione, pianificare il suo dispiegamento, valutarne le necessità in uomini ed equipaggiamenti. Dal punto di vista finanziario, un sostegno arriverà dall’Unione Europea (Ue), dalla Francia e dall’Onu. Entro la fine del mese il Consiglio di sicurezza dovrebbe approvare una prima risoluzione sul Centrafrica, presentata da Parigi, per formalizzare il sostegno alla missione dell’Unione Africana. Ricco di oro, uranio e diamanti, il Centrafrica è un Paese altamente instabile e con rapporti difficili con i vicini, in particolare il Ciad, la cui popolazione di 4,5 milioni di abitanti sopravvive nella povertà. (R.P.)

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    Pakistan. Peshawar: autobomba uccide sei persone impegnate nelle vaccinazioni antipolio

    ◊   È di sei morti e almeno 12 feriti il bilancio dell'esplosione che ha investito un convoglio nei pressi di un ospedale a Budh Bher, quartiere di Peshawar, provincia di Khyber Pakhtunkhwa, nel nordovest del Pakistan. Secondo le prime ricostruzioni- riferisce l'agenzia AsiaNews - obiettivo dell'attacco un gruppo di attivisti impegnati in una campagna anti-polio e già in passato oggetto di minacce da parte dei talebani. Non si ferma dunque la lunga ondata di violenze di matrice estremista islamica, che ha segnato la città di Peshawar nell'ultimo periodo. Risale all'ultima settimana di settembre la sanguinosa striscia di attentati, iniziata con la strage alla chiesa di Tutti i Santi, che ha causato almeno 200 vittime e centinaia di feriti; il tutto nell'impotenza delle autorità e dei responsabili della sicurezza, incapaci di arginare l'escalation del terrore. La bomba esplosa questa mattina all'alba a Peshawar ha ucciso sei persone, fra cui quattro poliziotti e due attivisti di un comitato di pace locale, impegnati nella distribuzione dei vaccini anti-polio nelle aree più critiche del Paese. L'ordigno è stato attivato mentre gli operatori stavano raggiungendo un gruppo di abitazioni. In precedenza i talebani avevano attaccato e ucciso alcuni operatori sanitari, anch'essi attivi nella campagna di profilassi contro la malattia. Il Pakistan è una delle tre nazioni al mondo in cui la polio ha ancora natura "endemica". Nel 2011 si sono registrati 198 casi, il numero più alto al mondo. Grazie a un impegno costante e al programma sostenuto dalle Nazioni Unite, nel 2012 il numero dei contagiati è sceso a 58; ma gli attacchi dei fondamentalisti islamici potrebbero rovesciare i rapporti. Tanto che solo nei primi mesi del 2013 si contano 27 nuovi casi confermati, al terzo posto dietro Somalia e Nigeria. Lo scorso anno due gruppi talebani pakistani hanno di fatto imposto il bando alle vaccinazioni contro la polio, nel North e South Waziristan. I miliziani, in risposta ai raid dei droni statunitensi, hanno anche ucciso una dozzina fra lavoratori, volontari e membri della sicurezza attivi nella campagna di prevenzione. Secondo gli estremisti islamici le vaccinazioni sono un pretesto per sterilizzare i bambini musulmani: essi accusano gli operatori sanitari di essere spie al soldo degli Usa. Accuse amplificate dall'uso da parte della Cia di un medico pakistano, nelle operazioni che hanno portato nel 2011 all'identificazione e al successivo raid contro il rifugio di Osama Bin Laden ad Abbottabad, non distante dalla capitale Islamabad. A rimetterci in questa guerra fra talebani e istituzioni sono i bambini, che sempre più numerosi finiscono per essere colpiti dalla malattia. (R.P.)

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    Myanmar: appello della Chiesa dopo i conflitti religiosi

    ◊   Non si placano i conflitti religiosi in Myanmar. Il fenomeno dei gruppi nazionalisti buddisti e dei monaci buddisti radicali che alimentano sentimenti anti-musulmani in tutto il Paese provoca nuova violenza: una recrudescenza degli attacchi ha causato sei musulmani morti e decine di case distrutte in una settimana nei dintorni di Thandwe, nella parte occidentale del paese, dove la polizia ha nuovamente imposto il coprifuoco. Di fronte alla violenza che non accenna a cessare, l’arcivescovo di Yangon, Charles Maung Bo, ha rinnovato un appello alla pace, alla comprensione fra credenti e alla misericordia, come riferisce una nota inviata da Mons. Bo all’agenzia Fides. Intervenendo a una recente conferenza interreligiosa organizzata dalla Accademia Buddista a Yangon, l’arcivescovo ha ricordato: “Buddha ha predicato un messaggio di compassione che ha valore universale. Cristo ha annunciato il messaggio ‘Pace in terra’. Gandhi, un indù convinto, è stato apostolo della non violenza”. Facendo appello a tutti leader religiosi, l’arcivescovo ha detto che “nel nuovo Myanmar non hanno posto discorsi di odio”. “L'Onnipotente ha benedetto la nostra terra . Possiamo essere una nazione con uno sviluppo invidiabile. Ma – prosegue il testo giunto a Fides – come nazione, dobbiamo stare lontano da narrazioni di odio e violenza”. La Chiesa mette in guardia dalla possibilità che il Myanmar diventi “nazione dai conflitti interni cronici”, che frenano il benessere la felicità dei cittadini. “Abbiamo bisogno di celebrare la nostra unità nella diversità: siamo sette grandi tribù e 135 sotto-tribù”, dice l’arcivescovo e conclude: “Quello tra i figli e le figlie della nostra grande nazione sia un fervido incontro per la pace e l'armonia. E’ necessario inviare un segnale forte a coloro che seminano i semi di disarmonia. Che la nostra voce sia forte, articolata e diffusa dai tetti. La pace scorra come un fiume. Lasciate che i grandi sogni di un futuro Myanmar siano costruiti su giustizia, pace e fratellanza”. I conflitti fra musulmani e buddisti restano acuti anche nello stato birmano di Rakhine, al confine con il Bangladesh. L'anno scorso, oltre 150 persone sono state uccise e oltre 100.000 sono stati costretti a fuggire dalle loro case. La maggior parte delle vittime sono musulmani Rohingya , gruppo etnico di circa un milione di persone, non ufficialmente riconosciuti in Myanmar e che per questo non hanno cittadinanza. (R.P.)

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    Brasile: al via domani la III Conferenza mondiale sul lavoro minorile

    ◊   Eliminare ogni forma di sfruttamento minorile e accelerare gli sforzi globali per attuare tale processo, sono i due principali obiettivi della III Conferenza mondiale sul Lavoro Minorile, promossa dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) e in calendario dall’8 al 10 ottobre a Brasilia. Ospitata quest’anno dal governo brasiliano, come riferisce l’agenzia di notizie Fides, l’iniziativa, vedrà la partecipazione dei rappresentanti di 150 Paesi dei cinque continenti, chiamati a riflettere sulle esperienze di lavoro minorile urbano, del settore agricolo e nelle catene di produzione, che verranno condivise durante i lavori. I partecipanti alla conferenza si concentreranno, inoltre, su tematiche quali la violazione dei diritti dell’infanzia, la migrazione e i modelli di istruzione, oltre al ruolo fondamentale rappresentato dal sistema giuridico nella lotta al lavoro infantile. Secondo un rapporto redatto dall’Oil lo scorso settembre, il numero di piccoli lavoratori nella fascia di età tra 5 e 17 anni nel mondo è diminuito di un terzo, passando da 246 milioni a 168 milioni tra il 2000 e il 2012. I progressi principali sono stati registrati tra il 2008 e il 2012, con un calo da 215 a 168 milioni. In Brasile, tra il 1992 e il 2012, il numero di minori lavoratori è diminuito del 58%. (C.S.)

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    Usa: dall’11 al 14 novembre a Baltimora l’ Assemblea autunnale dei vescovi

    ◊   Si svolgerà dall’11 al 14 novembre a Baltimora la prossima Assemblea autunnale della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb). Ad aprire la sessione sarà la relazione del presidente uscente della Usccb, il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, e l’intervento del nunzio apostolico negli Stati Uniti mons. Carlo Maria Viganò. Tra i principali punti in agenda: l’elezione del nuovo presidente e vice-presidente della Usccb, nonché dei nuovi presidenti di alcune commissioni e organismi episcopali e l’approvazione del bilancio preventivo del 2014. La riunione farà inoltre il punto sulle iniziative promosse nell’ambito della campagna lanciata quest’anno dalla Conferenza episcopale a favore della tutela della vita, del matrimonio e della libertà religiosa. Essa dovrà poi approvare la traduzione spagnola delle preghiere del Messale Romano e di alcuni suoi adattamenti per gli Stati Uniti ed esaminare le bozze di traduzione dell’Ordine della celebrazione del matrimonio e del sacramento della confermazione, insieme ad alcuni adattamenti dell’ordine della celebrazione del matrimonio per gli Stati Uniti. All’esame dell’Assemblea anche una proposta per l’elaborazione di una dichiarazione della Usccb sulla pornografia. Infine, i vescovi saranno aggiornati sulle attività della Sottocommissione per la difesa del matrimonio, presieduta dall’arcivescovo di San Francisco Salvatore Cordileone, e sulle attività dei Catholic Relief Services, l’agenzia caritativa internazionale della Chiesa americana.(A cura di Lisa Zengarini)

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    Repubblica Domenicana: la Chiesa coinvolta nella campagna di alfabetizzazione

    ◊   Il Presidente della Repubblica Dominicana, Danilo Medina, e la moglie Candida Montilla de Medina, sono stati testimoni della firma dell'accordo - impegno della Conferenza episcopale dominicana (Ced) con cui la Chiesa si impegna anch’essa nel Piano di Alfabetizzazione del paese, attraverso la registrazione di qualsiasi persona sopra i 15 anni che abbia bisogno di imparare a leggere e scrivere. Secondo la nota pervenuta all’agenzia Fides, l'atto ha avuto luogo nella Casa di evangelizzazione Giovanni Paolo II, nella zona nord di Santo Domingo. Erano presenti diverse autorità da parte del governo, mentre a nome della Ced hanno firmato l’accordo il cardinale Nicolás de Jesús López Rodríguez, presidente della Ced; mons. Gregorio Nicanor Peña Rodríguez, vice presidente, ed altri vescovi. Le parti hanno concordato di riunirsi ogni due mesi per esaminare i progressi e coordinare nuove azioni di alfabetizzazione da realizzare. La Conferenza episcopale promuoverà inoltre progetti locali di alfabetizzazione in ogni parrocchia, guidati da volontari selezionati tra i fedeli delle parrocchie stesse. Solo nella provincia di Santo Domingo sono stati organizzati 1.611 Centri di incontro per i primi 19.000 iscritti al programma. Il Piano Nazionale di alfabetizzazione ha avuto inizio a gennaio 2013 quando il governo ha verificato, in un primo sondaggio ufficiale, che ci sono circa 851.396 persone con più di 15 anni che non sanno né leggere né scrivere. Il piano prevedeva, al momento del lancio, di organizzare un minimo di 6.054 Centri in tutto il Paese per raggiungere 70.000 persone in 6 mesi. (R.P.)

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    Uruguay: la famiglia al centro dell’ottobre missionario

    ◊   Con lo slogan "Uruguay Missionario condividi la tua fede. Va, costruisci, confessa", anche l’Uruguay si prepara a celebrare, il 19 e 20 ottobre, la Giornata Missionaria Mondiale. Le Pontificie Opere Missionarie (Pom) dell’Uruguay hanno inviato all’agenzia Fides le informazioni circa i sussidi ed altro materiale preparato per vivere il mese missionario. Come negli altri Paesi dell'America Latina, ogni settimana di ottobre ha un tema preciso su cui si lavora, si riflette e ci si impegna per vivere il mandato missionario. In Uruguay la prima settimana tutte le comunità hanno riflettuto sul tema "Il cammino di fede delle famiglie missionarie", la seconda settimana ha per tema "Costruire nella fede con le famiglie della comunità", la terza settimana "Cosa significa confessare la fede" e la quarta settimana: "La famiglia, ambiente primario della missione". Proprio per la preparazione e la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale, le Pom dell’Uruguay hanno rinnovato completamente il loro sito web, da cui si può anche scaricare il “Boletin Digital” e si possono seguire le diverse attività dei gruppi missionari attraverso i video. (R.P.)

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    Conferenza di Varsavia: Ucraina e Polonia sempre più vicine

    ◊   Chiese in Europa: “La riconciliazione tra polacchi e ucraini costituisce una sfida per le Chiese cristiane di entrambi i Paesi”. E’ quanto affermato dai partecipanti alla conferenza sul riavvicinamento tra i due popoli, svoltasi a Varsavia dal 2 al 4 ottobre, su iniziativa del Consiglio ecumenico polacco. Come riferisce l’agenzia di notizie Sir, nel corso dell’incontro è emersa la volontà di arrivare al dialogo tra le diverse Chiese dell’Europa centrale e orientale, “poichè dare ascolto, seduti allo stesso tavolo, è il primo passo per una migliore conoscenza e comprensione reciproca”. Un dialogo, quello tra le Chiese europee centrali e dell’est, che può rivelarsi possibile basandosi “sul comune fondamento cristiano di riconciliazione di Dio con gli uomini”. Alla conferenza, sostenuta anche dal Consiglio della Chiesa evangelica tedesca, sono intervenuti vari studiosi insieme ai rappresentanti delle comunità che quotidianamente testimoniano l’intesa tra il popolo polacco e quello ucraino, divisi dalle vicende storiche. Da diverso tempo le Chiese cristiane di entrambi i Paesi, insieme ai cristiani tedeschi, latini e protestanti, sono impegnate nel difficile processo di “rimarginazione delle storiche ferite”, le ultime delle quali risalenti alla seconda guerra mondiale. Le iniziative di frontiera che permettono una migliore conoscenza reciproca fra polacchi e ucraini, facilitando, tra gli altri, le visite oltre confine degli abitanti dei due Paesi, coinvolgono anche la popolazione ucraina di origine russa e - come suggerito alla conferenza - dovrebbero essere allargate alla Bielorussia. (C.S.)

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    Due americani e un tedesco insigniti del Nobel per la Medicina 2013

    ◊   James E. Rothman, Randy Schekman e Thomas Sudhof sono i vincitori del Nobel 2013 per la Medicina. Si tratta di due americani, di 63 e 65 anni, e di un tedesco di 58, trapiantato negli Stati Uniti. I loro studi hanno permesso di chiarire come siano regolati i complessi meccanismi che regolano la trasmissione di materiale organico all'interno delle cellule. Rothman, originario del Massachusetts, laurea ad Harvard, studia le vescicole che trasportano le molecole nelle cellule dalla fine degli anni '70, presso l'Università californiana di Stanford, e a partire dal 2008 insegna nel dipartimento di Biologia cellulare dell'università di Yale. Randy W. Schekman, nato nel Minnesota, insegna invece dal 1976 nel dipartimento di Biologia cellulare e molecolare dell'Università californiana di Berkeley. Ha studiato nell'Università della California a Los Angeles, dove si è laureato con il Nobel, Arthur Kornberg. Anche il ricercatore tedesco Thomas C. Sudhof, che lavora negli Stati Uniti dal 1983, ha affiancato i Nobel Michael Brown e Joseph Goldstein, premiati entrambi per la Medicina nel 1985. Dal 2008 insegna Fisiologia cellulare nell'Università di Stanford. È Nato nel 1955 in Germania, a Gottinga, e ha studiato Neurochimica nell'universita' Georg-August. (A.D.C.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 280

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.