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Sommario del 02/10/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: "Siamo una Chiesa che accoglie a braccia aperte i peccatori e dona coraggio e speranza?"
  • Riforma Curia, Sinodo e collegialità al centro dei lavori del Consiglio di cardinali. Briefing di p. Lombardi
  • La visita del Papa ad Assisi. Padre Gambetti: evento storico che diventerà messaggio per il mondo intero
  • Mons. Mamberti all'Onu: necessaria finanza più equa, ma questione principale resta quella della pace
  • Sud Corea: il card. Filoni chiede ai vescovi "audacia missionaria”
  • Il cardinale Sandri incontra in Germania i cattolici orientali in diaspora
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: aerei bombardano scuola, 12 bambini uccisi. Ferma condanna dell'Unicef
  • Niente armi nucleari: così Teheran replica al duro intervento di Netanyahu all’Onu
  • Patto Usa-Sud Corea per fronteggiare le minacce nucleari di Pyongyang
  • Dietrofront di Berlusconi, fiducia a Letta. Gruppo di senatori Pdl schierato col governo
  • Rapporto Onu: meno affamati nel mondo. Diritto al cibo negato a 842 milioni di persone
  • Il lavoro di "Rete per l'identità" che aiuta i figli dei desaparecidos argentini a ritrovare le proprie origini
  • Il cardinale Onaiyekan: un dialogo intra-musulmano per placare la violenza in Nigeria
  • Memoria degli Angeli Custodi. Don Lavatori: ci sono sempre accanto per invitarci al bene
  • Evangelizzare cantando: presentato il volume "Musica sacra popolare oggi"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Usa. Appello dei vescovi al governo: “Milioni di americani lottano per vivere”
  • Centrafrica. L'arcivescovo di Bangui: "Ovunque desolazione e rabbia"
  • Centrafrica. Il vescovo di Bangassou: la situazione è esplosiva
  • Kenya: preghiera interreligiosa per le vittime dell’assalto al Westgate
  • Congo. Msf: a Masisi, nel Nord Kivu, violenze contro i civili
  • Zimbabwe: i vescovi su diritti dei poveri ed economia
  • Zambia: preoccupazione della Caritas per il funzionamento dello Stato
  • Vietnam: condannato a 30 mesi di carcere l’avvocato cattolico Le Quoc Quan
  • Filippine: a Mindanao 200 mila sfollati. Appello di vescovi e Caritas
  • Indonesia: i vescovi chiedono maggiore impegno dei cattolici in politica e nel governo
  • Israele: primo arabo dichiarato Giusto fra le Nazioni
  • Messico: le popolazione indigene siano “parte viva” del Paese e della Chiesa
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: "Siamo una Chiesa che accoglie a braccia aperte i peccatori e dona coraggio e speranza?"

    ◊   La Chiesa è santa non per i suoi meriti, “ma perché Dio la rende santa”. Ed è la casa di tutti”, tanto per l’indifferente quanto per chi cerca il perdono ma non ha il coraggio di chiederlo. Papa Francesco lo ha ripetuto questa mattina dedicando la catechesi dell’udienza generale al passaggio del “Credo” in cui si afferma la santità della Chiesa. Molti gli applausi che hanno sottolineato i passaggi più intensi sulla misericordia di Dio verso ogni persona. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Francesco, il Papa che canta la misericordia di Dio. Che assicura chiunque che Dio è un Padre che ha pronto il perdono anche per chi si sente imperdonabile, anche per chi gli volta le spalle. Gli oltre 50 mila che gremiscono la prima udienza generale di ottobre vengono da tutti e cinque i continenti e in tutte le lingue sentono ripetere nell’arco di un’ora e mezza – con l’energia che Papa Francesco sa mettere nelle parole – un’unica, irriducibile verità:

    “Nella Chiesa, il Dio che incontriamo non è un giudice spietato, ma è come il Padre della parabola evangelica. Puoi essere come il figlio che ha lasciato la casa, che ha toccato il fondo della lontananza da Dio. Quando hai la forza di dire: voglio tornare in casa, troverai la porta aperta, Dio ti viene incontro perché ti aspetta sempre. Dio ti aspetta sempre! Dio ti abbraccia, ti bacia e fa festa. E’ cosi il Signore! Così è la tenerezza del nostro Padre!”.

    La catechesi prende le mosse dal Credo, che afferma la Chiesa come “Santa”. Papa Francesco immagina subito l’obiezione di tanti, e le dà voce, guardando negli occhi la folla e scandendo un elenco che strappa l’applauso per la sua sincerità adamantina:

    “Come può essere santa una Chiesa fatta di esseri umani, di peccatori? Uomini peccatori, donne peccatrici, sacerdoti peccatori, suore peccatrici, vescovi peccatori, cardinali peccatori, Papa peccatore… Tutto, tutto così! Come può essere santa una Chiesa così?".

    Nonostante questo, anzi proprio per questo, è possibile comprendere e accettare la santità della Chiesa, che ha le sue radici in una grazia più forte delle sue forze:

    “E questo significa che la Chiesa è santa perché procede da Dio che è santo, le è fedele e non l’abbandona in potere della morte e del male. E’ santa perché Gesù Cristo, il Santo di Dio, è unito in modo indissolubile ad essa; è santa perché è guidata dallo Spirito Santo che purifica, trasforma, rinnova. Non è santa per i nostri meriti, ma perché Dio la rende santa, è frutto dello Spirito Santo e dei suoi doni”.

    Ed è questa la Chiesa santa – scandisce Papa Francesco – “che non rifiuta i peccatori, che invita tutti “a lasciarsi avvolgere dalla misericordia, dalla tenerezza e dal perdono”. E ancora, il Papa anticipa una obiezione – io “ho grandi peccati, come posso sentirmi parte della Chiesa?” – e offre la risposta:

    “Caro fratello, cara sorella, è proprio questo che desidera il Signore; che tu gli dica: ‘Signore sono qui, con i miei peccati!’. Alcuni di voi sono qui senza i vostri peccati? Alcuni di voi? Nessuno! Nessuno di noi! Tutti portiamo con noi i nostri peccati. Ma il Signore vuole sentire che gli diciamo: ‘Perdonami, aiutami a camminare, trasforma il mio cuore!’. E il Signore può trasformare il cuore!”.

    Il finale della catechesi è quello dell’esame di coscienza. “Siamo una Chiesa che chiama e accoglie a braccia aperte i peccatori, che dona coraggio, speranza, o siamo una Chiesa chiusa in se stessa?", si chiede Papa Francesco, per poi mettersi idealmente di fianco al disagio di chi vorrebbe chiedere il perdono del cielo ma si sente “fragile”. “Non avere paura di puntare in alto”, è la replica del Papa, “non avere paura della santità”:

    “La santità non consiste anzitutto nel fare cose straordinarie, ma nel lasciare agire Dio. E’ l’incontro della nostra debolezza con la forza della sua grazia, è avere fiducia nella sua azione che ci permette di vivere nella carità, di fare tutto con gioia e umiltà, per la gloria di Dio e nel servizio del prossimo”.

    Tra i saluti intervallati dalle catechesi in sintesi e in varie lingue, Papa Francesco ne ha rivolto uno speciale ai vari buddisti in Piazza San Pietro, appartenenti a diversi gruppi in arrivo dal Giappone, e ai partecipanti al Convegno nazionale dell’Apostolato della Preghiera e del Congresso nazionale Adoratori.

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    Riforma Curia, Sinodo e collegialità al centro dei lavori del Consiglio di cardinali. Briefing di p. Lombardi

    ◊   Si concludono domani in Vaticano le riunioni del Consiglio di cardinali, il gruppo di otto porporati che ha il compito di coadiuvare il Pontefice nel governo della Chiesa e nel progetto di revisione della Costituzione Apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana. I lavori sono cominciati ieri mattina nella Biblioteca privata della Terza Loggia, nell’Appartamento papale, per poi proseguire a Santa Marta. Soltanto questa mattina il Santo Padre non è intervenuto, per l’impegno dell’udienza generale. Nella Sala stampa vaticana, il briefing di padre Federico Lombardi sui lavori. Il servizio di Giada Aquilino:

    L’introduzione del Papa, poi una riflessione fra i membri del Consiglio sulla ecclesiologia a partire dal Vaticano II: perché quello degli otto cardinali non vuole essere un lavoro di tipo organizzativo ma si colloca in una visione della Chiesa teologica, spirituale, secondo le disposizioni del Concilio di cui si vuole portare avanti l’attuazione. Questo l’avvio dei lavori ieri nella Biblioteca privata della Terza Loggia, riferito da padre Lombardi, soffermatosi anche sugli argomenti:

    “I membri del Consiglio si sono preparati, c’è stata anche questa riflessione da parte loro di carattere teologico, spirituale, di rinfrescare, di ravvivare quella che è la prospettiva della Chiesa, ispirata al Concilio, sulla sua missione, sul rapporto fra Chiesa universale e Chiese locali, sul tema della comunione, della partecipazione, della collegialità nella conduzione della Chiesa, sul tema della Chiesa dei poveri, dei laici nella Chiesa, sul carattere di servizio di tutte le istituzioni ecclesiali e la responsabilità di tutti i membri della Chiesa per il bene comune”.

    Nel pomeriggio di ieri poi, a Santa Marta, si è parlato del prossimo Sinodo dei vescovi. Papa Francesco, ha ricordato padre Lombardi, ha già anticipato il tema del prossimo Sinodo, un tema antropologico, dedicato alla persona e alla famiglia, alla luce del Vangelo. Per questo era presente alla sessione di lavoro anche il nuovo segretario generale del Sinodo, mons. Lorenzo Baldisseri:

    “Si è data una certa priorità a questo tema già nella riunione di ieri pomeriggio sia per l’importanza, evidentemente, della partecipazione dell’Episcopato tramite lo strumento dei Sinodi alla vita della Chiesa universale, sia anche per una certa urgenza di precisare e avviare la preparazione del prossimo Sinodo”.

    L’argomento è stato quello della pastorale familiare e matrimoniale, su come impostarne lo studio e l’approfondimento, temi che il Pontefice ha già annunciato come cruciali per l’attività della Chiesa nei prossimi tempi. In una-due settimane, la Segreteria del Sinodo potrà fornire informazioni più precise al riguardo.

    Oggi l’attenzione è puntata sulla riforma della Curia, nei vari aspetti:

    “Il rapporto dei dicasteri con il Santo Padre, il coordinamento dei dicasteri e la funzione della Segreteria di Stato e così via… Sono temi molto ampi, articolati su cui c’è un’ampia quantità di suggerimenti e di spunti che sono stati presentati. Adesso lavoreranno anche su questa tematica”.

    Gli otto porporati, ha precisato il portavoce vaticano su sollecitazione di uno dei componenti lo stesso Consiglio, non sono delegati continentali, ma membri del Collegio episcopale, che ben conoscono le problematiche reali della Chiesa nelle diverse parti del mondo e che, ovviamente, godono “di grande fiducia e apprezzamento personale da parte del Papa”. Il Consiglio, ha concluso padre Lombardi rispondendo alle domande dei giornalisti, “può trattare anche argomenti che abbiano a che fare con l’amministrazione economica”, ma di fatto fin qui non se ne è parlato.

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    La visita del Papa ad Assisi. Padre Gambetti: evento storico che diventerà messaggio per il mondo intero

    ◊   “Aspettiamo con gioia e gratitudine quanto il Papa avrà da dire in particolare a noi famiglie francescane”. Così padre Mauro Gambetti, custode del Sacro convento di Assisi, in queste ore che preparano l’arrivo del Papa, venerdì 4 ottobre, Festa del Santo patrono d’Italia. “Sarà una visita storica”, spiega padre Mauro, “perché per la prima volta un Papa che ha scelto il nome di Francesco visiterà i luoghi testimoni dell'esperienza carismatica del frate assisiate. Sarà però anche un momento molto intimo”. Sentiamo le parole del Custode nell’intervista di Gabriella Ceraso:

    R. – Io lo immagino come un incontro che Papa Francesco vuole vivere con San Francesco e Santa Chiara. Un incontro che, credo, innanzitutto, accada nell’intimo, nel cuore del Papa. Penso che, però, naturalmente, sgorgherà proprio da questo incontro una parola, un messaggio per il mondo intero.

    D. – San Francesco ebbe un rapporto particolare con i Papi: si è recato a Roma per avere conferme, avere indicazioni. Ora è un Papa che viene da voi. Attendete qualcosa in particolare?

    R. – Personalmente sarò molto attento a cogliere le linee orientative che lui vuole offrire, forse in primis a noi. Seguo attentamente ciò che dice, ma anche il suo stile, perché avverto che è una parola, anche questa, che illumina il nostro carisma e mi pare che ci aiuti anche ad attualizzare quello che è il nostro carisma. Attendo, quindi.

    D. – Il Papa sta chiedendo alla Chiesa, ai religiosi, più impegno, più coraggio, più apertura. L’avete colto questo e come vi interpella?

    R. – Noi stiamo, non solo riflettendo, ma stiamo anche iniziando a porre qualche azione che evidenzi maggiormente quest’apertura rivolta a tutti. Ogni uomo davvero deve trovare dimora, deve trovare casa anche venendo qui, qui da noi. Insieme a questo, un’attenzione ancora più puntuale, più individuale verso le persone bisognose, in rapporto al territorio in cui siamo inseriti, oltre che tenendo uno sguardo anche oltre il territorio, oltre confine insomma. Ha un respiro universale, infatti, quella che è la realtà di Assisi, del Sacro Convento in particolare.

    D. – Papa Francesco che realtà troverà nella comunità francescana?

    R. – Quello che siamo è questo: una varietà di famiglie francescane e all’interno di ogni famiglia una varietà di provenienze, di culture differenti, che attorno al Vangelo cercano di condividere la vita, di diventare anche testimonianza viva della presenza di Gesù, che unisce le differenze, anzi le esalta.

    D. – La tappa alla Basilica significa pregare sulla tomba di San Francesco. Il Papa l’ha già visitata virtualmente attraverso questa webcam fissa. Che preghiera ha levato il Papa per San Francesco in quell’occasione e che impressione ne avete tratto da quel primo incontro, che si ripeterà il 4 ottobre?

    R. – Il Papa ha chiesto a Francesco di intercedere per la pace. L’impressione che ho ricavato da quell’incontro è di avere incontrato una persona profondamente vitale. Negli occhi mi sembra di avere colto un sorriso dello Spirito, che sono convinto lo animi, lo abiti. E così, penso, ho la certezza proprio di ritrovare qui, quando lui verrà sulla tomba di Francesco, un uomo mosso dallo Spirito di Dio, afferrato da Gesù. Tutto, quindi, sarà facile anche tra Papa Francesco e San Francesco.

    D. – Questa visita avrà come tema conduttore la povertà. Le chiedo: si aspetta un messaggio forte su questo e, secondo lei, povertà in che senso va intesa?

    R. – Sicuramente questo è uno degli aspetti che verrà sottolineato. Pure nel percorso alcune delle tappe parlano di questo e anche la vita di Francesco è caratterizzata da questa scelta di povertà. Ma credo che non sarà semplicemente questo: ci introduce nel mistero della vita di Cristo. La caratterizzazione, anche principale, è quella – direi – della povertà, che ciascuno dovrebbe assumere per se stesso, per la propria esistenza: una povertà che simbolicamente è richiamata dalla nudità, dalla spogliazione, ancor più forse dal mettersi ai piedi dell’altro, in un gesto di umiltà e, in qualche modo, di sottomissione, ravvicinando l’altro. Ecco, credo che questa caratterizzazione dia spessore, dia senso pieno anche a questo tema, ma al contempo apra ad ulteriori spazi sia di testimonianza che di annuncio.

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    Mons. Mamberti all'Onu: necessaria finanza più equa, ma questione principale resta quella della pace

    ◊   La pace è una condizione imprescindibile per lo sviluppo umano integrale e la pace e gli obiettivi di sviluppo a favore di ogni abitante della terra si possono ottenere solo se ogni Stato “si assume pienamente la propria responsabilità per il bene comune di tutti”. E’ quanto ribadito ieri a New York da mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, nel suo intervento alla 68.ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, dedicato anche alla tragedia siriana. Il servizio di Lisa Zengarini:

    Nel sottolineare l’importanza del tema scelto per la sessione, “Prepariamo il terreno per il programma di sviluppo dopo il 2015”, mons. Mamberti ha evidenziato come a poco più di un anno dalla scadenza fissata dall’Onu per gli Obiettivi del Millennio, essi sono lontani dall’essere stati universalmente raggiunti. Questo soprattutto a causa delle difficoltà di mettere a punto i mezzi per realizzare l’ottavo Obiettivo riguardante le risorse necessarie per il raggiungimento degli altri sette. A tale proposito, il presule ha evidenziato come dopo la crisi del 2008, sia urgente coinvolgere tutti gli Stati nella definizione delle politiche economiche internazionali per la promozione di una finanza più responsabile e più equa. Anche la creazione di un nuovo sistema finanziario internazionale riconosciuto da tutti gli Stati, ha peraltro osservato, sarebbe comunque insufficiente se non si confrontassero costantemente i risultati con gli obiettivi fissati per migliorare le condizioni di vita di chi è nel bisogno.

    Il nodo di fondo resta in ogni caso quello della pace, senza la quale non può esserci sviluppo. Per questo è “necessario tornare ai principi fondanti sui quali la comunità internazionale si è solennemente impegnata circa 70 anni fa”: a cominciare dalla limitazione del ricorso alla forza per la risoluzione dei conflitti. “E’ tragico constatare – ha affermato mons. Mamberti – come ancora oggi i meccanismi messi a punto dall’Onu non abbiano permesso di evitare gravi conflitti civili o regionali, né di proteggere le popolazioni”, come dimostrano i casi del Congo, del Centrafrica e del Medio Oriente. Nonostante queste difficoltà – ha peraltro osservato il presule - l’esperienza realizzata dall’Onu per il mantenimento e il consolidamento della pace deve essere considerata nell’insieme positiva, perché è “l’espressione concreta dei due grandi principi del diritto naturale intrinsecamente legati alla dignità dell’uomo”: quello di evitare, per quanto possibile, la guerra e quello della permanente validità della legge morale durante i conflitti armati.

    Il presule si è quindi soffermato sulla tragedia siriana, ribadendo la viva preoccupazione della Santa Sede per la sorte delle comunità cristiane e delle altre minoranze siriane, che, ha detto, “non devono essere costrette all’esilio, ma devono al contrario conservare un ruolo nella futura configurazione politica del Paese e dare il loro contributo al bene comune”. Mons. Mamberti ha ricordato l’accorato appello rivolto da Papa Francesco ai leader del G20 a San Pietroburgo circa la responsabilità della comunità internazionale verso la Siria e per una soluzione pacifica del conflitto attraverso il dialogo. Pur riconoscendo l’impegno delle agenzie Onu per proteggere le popolazioni civili, il presule ha evidenziato che quello che per troppo tempo è mancato agli Stati è il coraggio di “rendere prioritario l’impegno internazionale per la risoluzione del conflitto”. Egli ha ricordato in proposito il principio della “responsabilità di proteggere” enunciato al Summit mondiale dell’Onu del 2005 e pienamente condiviso dalla Santa Sede. Responsabilità – ha puntualizzato - che non implica automaticamente il ricorso alle armi, bensì l’immediata messa in campo di tutte le misure disponibili: quelle diplomatiche, economiche, di opinione pubblica e tutte le procedure previste dalla Carta delle Nazioni Unite.

    In questo senso – ha sottolineato mons. Mamberti – la tragedia siriana rappresenta ad un tempo “una sfida e un’opportunità per l’Onu”. A questo proposito il presule ha evidenziato l’apprezzamento della Santa Sede per la Risoluzione 2118 sull'eliminazione delle armi chimiche in Siria, adottata il 27 settembre dal Consiglio di Sicurezza. “Una soluzione pacifica e durevole del conflitto siriano – ha concluso - creerebbe un precedente significativo per il secolo in corso e faciliterebbe l’inclusione del principio della ‘responsabilità di proteggere’ nella Carta delle Nazioni Unite”, ma sarebbe anche “la manifestazione più chiara ed evidente della volontà di intraprendere un cammino di sviluppo durevole dopo il 2015”.

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    Sud Corea: il card. Filoni chiede ai vescovi "audacia missionaria”

    ◊   “Non accontentatevi del prestigio che la Chiesa ha nel vostro Paese, né delle statistiche, pur così significative, che possiamo leggere. Il più è ancora da fare e bisogna avere intelligenza e audacia missionaria”. E’ la raccomandazione che il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha rivolto oggi ai vescovi della Conferenza episcopale della Corea (Cbck) che ha incontrato a Seoul nel corso della sua visita pastorale nel Paese asiatico in occasione del 50° anniversario della creazione della diocesi di Suwon. Nel suo discorso - riferisce l'agenzia Fides - il Prefetto del Dicastero Missionario ha ricordato le origini della Chiesa locale, che si è potuta sviluppare nonostante “le varie persecuzioni e le leggi anticristiane”, tanto che “oggi la Chiesa cattolica di Corea è una bellissima realtà, ricca di sacerdoti, di religiosi e religiose, di seminaristi e di associazioni laicali, nonché di storiche figure”, come quella del card. Stephen Kim Sou-hwan. Il card. Filoni si è quindi soffermato sul ruolo e la missione dei vescovi, richiamando le indicazioni di Papa Francesco ai vescovi del Celam, incontrati a Rio de Janeiro, quindi ha raccomandato in particolare la visita alle parrocchie, la vigilanza sulla trasparenza amministrativa, l’attenzione ai laici. “Al tempo stesso – ha proseguito -, desidero anche manifestare tutto il mio apprezzamento per lo spirito missionario della Chiesa coreana, non solo ad intra, ma anche ad extra, infatti, con varie centinaia di missionari presenti in circa 80 paesi, essa risponde generosamente all’anelito di evangelizzazione del mondo!” Parlando del rapporto con i sacerdoti, il cardinale ha poi esortato i vescovi a “mantenere con loro relazioni positive, nonché paterne e, quando è necessario ferme, avendo sempre a cuore la loro formazione spirituale, culturale e pastorale permanente”. Quindi ha evidenziato la necessità di visitare spesso i Seminari e “di intrattenere relazioni personali con ciascuno degli alunni della diocesi, perché è compito primo del vescovo ammettere al sacerdozio giovani idonei e degni”. Infine, ha esortato al dialogo, alla collaborazione e alla stima verso i religiosi e le religiose, in quanto “il ruolo e la loro missione nella Chiesa non è secondario e la Chiesa ha bisogno dei loro carismi”. Infine ha esortato a favorire il laicato, poichè “i laici rappresentano un prezioso serbatoio di forze da immettere nella realtà sociale, politica, economica e culturale, ben sapendo che furono proprio dei laici ad introdurre il Vangelo in questo Paese e a creare i prodromi della Chiesa di Corea.” Nella parte conclusiva del suo discorso il card. Filoni ha espresso il suo apprezzamento ai vescovi coreani per la generosità pastorale, per la comunione con il Santo Padre, per il sostegno alle missioni di tutto il mondo, quindi ha concluso: “Grazie anche per l’attitudine positiva che voi avete nei confronti dei fedeli della Corea del Nord, ai quali, in questo momento, va il mio pensiero e la mia preghiera. Grazie anche per l’attenzione che voi riservate alla Chiesa in Cina. In merito, data la delicata situazione che essa attraversa, una migliore intesa con la nostra Congregazione è assai auspicabile”. (A cura di Roberto Piermarini)

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    Il cardinale Sandri incontra in Germania i cattolici orientali in diaspora

    ◊   Il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, si recherà in Germania dal 3 al 6 ottobre. La visita – riferisce un comunicato del dicastero - si colloca all’apertura della Campagna di “Missio” e del mese missionario, che avrà luogo nella Cattedrale di Colonia, con la solenne concelebrazione di domenica 6 ottobre, insieme al Patriarca Copto Cattolico, Ibrahim Sidrak e all’arcivescovo di Colonia, cardinale Joachim Meisner. Nei giorni precedenti, il cardinale Sandri visiterà le sedi e incontrerà responsabili e collaboratori di alcune delle Agenzie componenti la R.O.A.C.O. (Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali), in particolare la stessa Arcidiocesi di Colonia, Missio Aachen, Misereor, Kindermissionwerk, Deutscher Verein vom Heiligen Land, Pax-Hilfe.

    “Gli incontri – sottolinea il comunicato - vogliono essere un segno di riconoscenza ed incoraggiamento per la solidarietà ammirevole mostrata nel corso degli anni verso le Chiese Orientali, particolarmente provate nell’ultimo periodo in Iraq, Egitto e Siria, senza dimenticare la Terra Santa. La presenza del Patriarca Copto Cattolico offrirà l’opportunità di conoscere dal vivo gli ultimi sviluppi sulla situazione nel Paese del Nilo, ove negli ultimi mesi nei pesanti scontri fra la popolazione civile si sono verificati non pochi episodi diretti contro chiese cristiane, i loro pastori e fedeli”.

    Il cardinale Sandri dedicherà il pomeriggio di sabato 5 ottobre all’incontro con la comunità caldea di Essen, ove presiederà la Santa Qurbana (Celebrazione Eucaristica): questa comunità è una delle numerose presenze di fedeli cattolici appartenenti alla Chiesa Patriarcale di Babilonia dei Caldei, diffusesi in Francia, Germania e nel nord dell’Europa, anche a seguito dei diversi conflitti nell’Iraq. “Si desidera in tal modo – conclude il comunicato - portare l’attenzione sulla presenza dei fedeli orientali cattolici in diaspora, affiancando le loro fatiche e incoraggiandoli ad una testimonianza viva e gioiosa della fede dentro contesti certamente più secolarizzati”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Chiesa santa fatta di peccatori: all'udienza generale il Papa ricorda che Dio non è un giudice spietato ma padre che accoglie tutti nella sua casa.

    I lavori del consiglio dei cardinali con la partecipazione di Papa Francesco.

    Pace e sviluppo integrale l'intervento dell'arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, all'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

    Il Governo Letta va avanti, ma il Pdl si divide: un articolo di Marco Bellizi dopo il voto di fiducia del Senato.

    Francesco e gli operai dell'undicesima ora: in cultura, anticipazione di un saggio di Felice Accrocca su quando Papa Gregorio IX andò ad Assisi per canonizzare il Poverello.

    Educhiamo all'impegno politico: il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, per il cinquantesimo anniversario dell'enciclica "Pacem in Terris" di Giovanni XXIII.

    Volteggiando tra gli scaffali dell'Archivio Segreto: Dario Edoardo Viganò sul documentario "Scrinium Domini Papae" prodotto dal Centro Televisivo Vaticano, e un'intervista di Marcello Filotei al curatore, Lucas Duran.

    Una storia che non sta in piedi: Anna Foa sull'assurda rimozione a Dachau della targa per Giovanni Palatucci.

    Cowboy e gentiluomo: è morto Giuliano Gemma.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: aerei bombardano scuola, 12 bambini uccisi. Ferma condanna dell'Unicef

    ◊   Ancora una strage di bambini in Siria. Questa volta ad essere colpita è stata una scuola secondaria di Raqqa, nel nord est del Paese, bombardata nel primo giorno del nuovo anno scolastico. Pesante il bilancio: almeno 12 alunni hanno perso la vita. Sconcerto è stato espresso dall’Unicef, che condanna questo attacco nel modo più duro possibile e ancora una volta chiede a tutte le parti coinvolte nel conflitto, compreso il governo siriano di proteggere in ogni momento i bambini dagli effetti del conflitto''. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Giacomo Guerrera, presidente di Unicef Italia:

    R. - Ho definito la situazione in Siria “una guerra ai bambini”. I fatti, le notizie che ci pervengono ogni giorno, compreso quest’ultimo, dimostrano soltanto che le vittime di questo conflitto sono proprio i bambini; bambini che sono colpiti nel momento in cui ritornano a scuola. Era il primo giorno di scuola! E possiamo capire da questo il motivo per il quale i genitori hanno paura di mandare i propri figli a scuola.

    D. - Questo infatti si ripercuote anche ovviamente sulla frequenza scolastica, proprio per motivi di sicurezza…

    R. - È proprio così. Sono più di due milioni i bambini che, nell’età tra i sei e i 15 anni, hanno abbandonato la scuola proprio a causa delle violenze e di ciò che sta avvenendo all’interno della Siria. Noi siamo fortemente impegnati sia all’interno che nei Paesi limitrofi con una campagna particolare "Ritorno a scuola”, che vogliamo rilanciare all’interno della Siria anche per consentire ai ragazzi di acquistare un momento di normalità. Questo vuol dire, però, anche un’altra cosa: i bambini devono essere allontanati dagli adulti almeno per il periodo della scuola, perché gli adulti trasmettono ai bambini le loro ansie, le loro preoccupazioni creando dei problemi.

    D. - Lei sta rinnovando un appello che l’Unicef ripete ormai da mesi: preservare le scuole dal conflitto, perché altre volte ci avete raccontato di atti di violenza crudele proprio nei confronti degli alunni.

    R. - In questo periodo, lo facciamo con molto più impegno. Cerchiamo di individuare delle aree nelle quali i bambini possano vivere, se non in maniera tranquilla in assoluto, ma comunque possano avere una vita normale. E' quello che noi stiamo cercando di fare: i bambini sono le vittime non soltanto dei bombardamenti ma di violenze, di soprusi. In Siria, tutte le forme peggiori di violenze nei confronti dell’infanzia si verificano in questo momento, e purtroppo anche nei Paesi limitrofi, dove molto spesso i bambini sono anche soli - i cosiddetti bambini non accompagnati, bambini invisibili - ed esposti a qualsiasi forma di violenza. E noi, per questo cerchiamo di individuare queste aree protette. C’è un altro problema importante in questo momento che non va trascurato: l’avvicinarsi dell’inverno. In questi Paesi fa freddo. Abbiamo bisogno di aiuto da parte di tutti. Visitando il nostro sito è possibile partecipare a questa gara di solidarietà che ci vede impegnati ormai da parecchio tempo. Siamo al terzo anno, non dobbiamo dimenticarlo. Il dramma continua e purtroppo non si vede la fine o quanto meno di una minor violenza, una maggiore disponibilità alla pace e al dialogo.

    D. - E bisognerebbe anche non dimenticare mai che quando si colpiscono i bambini si vanno a minare quelle che sono le basi del futuro di un Paese …

    R. - Esattamente. Questo aspetto non va dimenticato, facendo anche un’altra valutazione se vogliamo: i bambini sono sicuramente il futuro, ma in questo momento sono il presente. Hanno bisogno di aiuto adesso e subito! In questo momento, la comunità internazionale, tutti coloro che desiderano partecipare a questo impegno, possono contribuire per cercare di - se non modificare - aiutare questi bambini a superare questa drammatica situazione. I bambini coinvolti nel conflitto in Siria sono quattro milioni, un numero enorme. È una situazione drammatica alla quale l’Unicef cerca di dare il massimo dell’impegno ed è sicuramente una delle emergenze più gravi. Questo va detto. E noi, come Unicef siamo in grado di poterlo dire: l’emergenza siriana è una delle emergenze più gravi degli ultimi venti anni, forse anche più, che - come Unicef - ci siamo trovati ad affrontare.

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    Niente armi nucleari: così Teheran replica al duro intervento di Netanyahu all’Onu

    ◊   “Le armi nucleari non hanno posto nella dottrina di difesa dell'Iran”: così il rappresentante di Teheran all’Onu ha replicato ieri al primo ministro israeliano nell’ambito dell’Assemblea generale. Netanyahu, nonostante il rinnovato clima di dialogo tra Usa e Iran, aveva fatto poco prima un intervento duro ribadendo che Israele è minacciato dall’Iran ed è pronto a difendersi da solo, se necessario. Della posizione di Tel Aviv nel nuovo contesto di apertura tra Washington e Teheran, Fausta Speranza ha parlato con Paolo Magri, direttore dell’Istituto per gli Studi di politica internazionale, Ispi:

    R. – La posizione di Netanyahu, ieri nell’Assemblea generale, non è una posizione nuova: ha ribadito con forza tesi che nei mesi scorsi ha avanzato ed esprime la forte preoccupazione di Israele sul fatto che quello iraniano possa essere un bluff, “diplomazia gentile” per andare avanti con il programma nucleare. Preoccupazione che Israele continua ad avere nonostante le prese di posizione sull’Olocausto che ha avuto il nuovo presidente iraniano e nonostante lui si sia presentato all’Assemblea generale con un parlamentare ebreo, l’unico parlamentare ebreo iraniano. Israele, infatti, teme che l’Occidente abbia troppo bisogno dell’Iran per la questione siriana e che passi sopra ad altri problemi. Teme soprattutto che Obama abbia troppo bisogno di una buona notizia al fine di “scongelare” una crisi e recuperare la sua popolarità mondiale ed interna in grande difficoltà.

    D. – Ma è vero che abbiamo sentito parole da parte di Rohani che non si possono prendere troppo alla leggera: ha fatto affermazioni importanti che rinnovano il contesto…

    R. – Forse Israele sottovaluta il bisogno profondo che l’Iran ha in questo momento di uscire dall’embargo e da una posizione di isolamento politico. Quindi, al di là delle parole, c’è una motivazione di fondo molto forte – che ha espresso anche la Guida suprema – di aprire a una nuova direzione in politica estera, per risolvere anche i problemi economici interni del Paese. Soprattutto, Netanyahu sopravvaluta l’influenza che le sue parole possano avere per modificare la posizione del mondo occidentale: l’immagine di Israele è in difficoltà, i bisogni di Obama sulla Siria sono molto forti e probabilmente le sue parole di preoccupazione e di avvertimento non verranno ascoltate molto. Ciò che è importante è che queste parole saranno una “prova generale” delle difficoltà che, a causa della fortissima lobby di Israele, Obama avrà al Congresso americano nel far passare qualsiasi allentamento dei vincoli e delle sanzioni per l’Iran.

    D. – Non sarà che forse Israele non vuole davvero cambiare nulla dello status quo?

    R. – La politica estera di Israele è da tempo ancorata ad uno status quo. Come dimostra anche il muro totale nel negoziato sulla Palestina, cui siamo arrivati vicini in questi anni a uno sbocco, ma che non fa passi avanti. Quindi, sì, c’è un problema di arroccamento sullo status quo. Ma il problema di Israele in questo momento – come hanno dimostrato le vicende di ammissione della Palestina all’Onu ed altre prese di posizione – è che il suo seguito nel mondo Occidentale sta scemando.

    D. – Che cosa dovrà fare Obama per “rassicurare” Israele? In questo momento, gli Stati Uniti sono forti abbastanza per avere questa forza di tranquillizzare Israele? Forse anche l’Arabia Saudita ha qualche dubbio sulle aperture dell’Iran…

    R. – Certamente, gli Stati Uniti per tranquillizzare Israele, e l’Arabia Saudita, dovrebbero ribadire con fermezza tutti i punti che hanno impedito l’accordo sul nucleare in passato. Dovrebbero quindi tenere molto la loro posizione, ma il punto è capire se una posizione negoziale di questo genere molto dura, non modificata rispetto al passato – quindi intransigente sullo smantellamento, o l’interruzione del processo nucleare – possa essere accettata dall’Iran. E lo vedremo già dalla prossima settimana con la riunione dei 5+1. In questo momento, Rohani ha fatto delle aperture, ma non dimentichiamo cosa è successo al suo rientro: ha avuto applausi e fischi. Una parte dell’Iran non è detto che lo segua su posizioni troppo concilianti. Quindi, il punto di incontro sarà tra quanto gli americani e l’Occidente saranno disposti a cedere – tranquillizzando però Israele e l’Arabia Saudita – e quanto Rohani sarà disposto ad accettare tranquillizzando la posizione della popolazione.

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    Patto Usa-Sud Corea per fronteggiare le minacce nucleari di Pyongyang

    ◊   A conclusione della visita a Seul dal segretario della Difesa americana, Chuck Hagel, Stati Uniti e Corea del Sud hanno adottato oggi un piano per fronteggiare la minaccia nucleare nordcoreana. Secondo Seul, Pyongyang sarebbe in possesso anche di un ingente arsenale chimico. L'accordo mira a fornire alla Corea del Sud – ha detto il capo del Pentagono – una deterrenza credibile, efficace e sostenibile. Sul clima in cui è stata firmata l’intesa, Giancarlo La Vella ha intervistato Rosella Ideo, docente di Storia politica e diplomatica dell’Asia Orientale all’Università di Trieste:

    R. – C’è una tensione molto grande che ha cominciato a determinarsi a febbraio del 2013, dopo che Pyongyang ha compiuto il suo terzo test nucleare. Ora, questa prova di forza, dimostra che si è ritornati davvero a una guerra fredda. Secondo me, dietro c’è sempre un po’ la strategia americana del ritorno in Asia e c’è anche il tentativo di "snidare" un po’ la Cina, che continua a tenere in piedi questo regime con grossi investimenti e con aiuti. Quindi, la situazione è estremamente complessa, sia per le situazioni interne alle due Coree, sia per quelli che sono i piani degli Stati Uniti in Asia.

    D. – La Corea del Nord è un Paese in grave crisi economica e sociale. Non si potrebbe adottare un altro tipo di confronto con Pyongyang?

    R. – In questo momento, non lo vedo possibile, nel senso che è chiaro che questo ulteriore patto tra Stati Uniti e Corea del Sud accresce la tensione e questo non fa che riportare la Corea del Nord su una situazione ancora più difensiva nell’ambito di un gioco più vasto.

    D. – Sullo sfondo, c'è una questione, che un po’ stride con questa situazione: quella della riunificazione delle famiglie coreane tra Nord e Sud. Un processo che, sia pur timidamente, però va avanti…

    R. – Va avanti tra mille difficoltà. È vero che tra l’altro è stata riaperta di recente anche la zona economica di Kaesong tra le Coree, dove lavorano sia dei nordcoreani che dei sudcoreani. Ora, probabilmente, queste riunioni salteranno ancora una volta. Forse, dopo le iniziative per trovare almeno una forma di dialogo, bisogna dire che quella politica, purtroppo, è morta dalla fine del 2007, quando al Sud è stato eletto il primo presidente conservatore, cui è succeduta poi la signora Park, che vuole dimostrare di essere molto dura nei confronti del Nord.

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    Dietrofront di Berlusconi, fiducia a Letta. Gruppo di senatori Pdl schierato col governo

    ◊   Il Senato ha votato la fiducia al governo Letta. La svolta è arrivata in tarda mattinata quando in aula Silvio Berlusconi ha confermato il suo appoggio al governo, dopo che per tutta la mattinata si erano rincorse voci su una scissione da parte di fedelissimi del Cavaliere. Aprendo la seduta, il premier Letta aveva detto "no" a una politica da trincea. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Stamattina, al Senato è successo di tutto e di più Alla fine della riunione del gruppo, Silvio Berlusconi aveva confermato la decisione di votare "no" alla fiducia decidendo di restare in Aula: ''Se uscissimo fuori sarebbe un gesto ambiguo e gli elettori non lo capirebbero'' aveva detto il Cavaliere. Poi, in aula colpo di scena: votiamo "sì", ma - ha precisato il Cavaliere - "per il bene del Paese ma non senza travaglio". Quando le cose sembrano al peggio per l'esecutivo, erano state almeno 25 le firme raccolte tra gli esponenti del Pdl per una una mozione a favore dell’esecutivo. Formigoni aveva detto che il nuovo gruppo si sarebbe chiamato “I Popolari”, ma al contempo aveva precisato che il nome Pdl restava nelle disponibilità del segretario Alfano. “Nasce una nuova maggioranza”, diceva il ministro per i Rapporti col Parlamento, Dario Franceschini. La mattinata si è aperta col discorso di Letta nell’aula di Palazzo Madama. ''Il Paese è stremato da mille conflitti", aveva detto. "E' un appello che rivolgo in primo luogo a me stesso: basta con la politica da trincea". Letta aveva chiesto la fiducia "non contro qualcuno”. Per la sfiducia rimangono Lega, Sel, Gal e il Movimento Cinque Stelle, che presenterà una mozione di sfiducia.
    Al Senato, Letta ha lanciato un appello affinché finisca una politica "fatta di cannoneggiamenti continui" e di "rissa". Le prime a soffrire questo stato di incertezza sono le imprese, soprattutto quelle più piccole, dice il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini:

    R. – Le imprese non ne possono più, ma sono anche i cittadini che non ne possono più. Oggi, la politica ha l’ultima chiamata per riconciliarsi con i cittadini e con le imprese. I problemi reali sono una disoccupazione giovanile al 40%, sono le imprese che stentano ad andare avanti, sono il cuneo fiscale che impedisce la competitività, sono il costo del denaro e la difficoltà di accesso al credito. Da questi fatti, con orgoglio, ci sia un risveglio etico. L’egoismo e la degenerazione etica ci hanno portato fino a qui. Non c’è più voglia di mettersi in gioco. Non c’è più l’amore e il bene comune. Io spero che da qui possa nascere anche una risalita del Paese, perché gli italiani se lo meritano.

    D. – L’incertezza politica dura e va avanti da almeno una decina di anni. Questo quanto ha frenato il Paese e quanto gli altri concorrenti dell’Italia si sono poi avvantaggiati di questa situazione di incertezza?

    R. – L’incertezza politica ha determinato uno spread alto e un costo del denaro. I costi del denaro che le imprese e le famiglie hanno pagato sono soldi sottratti allo sviluppo, all’investimento. Poi, l’incertezza ha determinato che non ci sia più l’attrazione Paese. Le imprese estere e i capitali girano alla larga dall’Italia: vanno in altri mercati. Quando vengono in Italia, vengono per depredare, per fare "shopping" e portare via – è il caso di Telecom – e neanche con grandi progetti industriali, perché Telefonica non ha certamente un progetto industriale e ha più debiti di Telecom. Poi, l’incertezza politica ha, di fatto, determinato l’impossibilità di fare delle politiche stabili per lo sviluppo.

    D. – Da qua a fine anno, bisogna evitare a tutti i costi l’aumento dell’Iva dal 4 al 10% per le Cooperative sociali. Ma se appunto l’Iva aumentasse, cosa succederebbe secondo lei?

    R. – L’effetto sarebbe disastroso, perché noi cominciamo a smantellare quella che è una peculiarità che un ottimo rapporto pubblico, privato e sociale, ha costruito, che è il welfare. La cooperazione sociale, che è stata la stampella del welfare costituito oggi, di fatto con questa operazione viene a prendere un colpo. Invece, noi dobbiamo chiamare il protagonismo dei cittadini, il protagonismo della cooperazione a occuparsi e a gestire cose che oggi il pubblico, lo Stato, non riesce più a gestire.

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    Rapporto Onu: meno affamati nel mondo. Diritto al cibo negato a 842 milioni di persone

    ◊   Presentato ieri il Rapporto delle Nazioni Unite sullo Stato dell’insicurezza alimentare nel mondo 2013. In calo il numero totale degli affamati: 842 milioni rispetto a 868 milioni dello scorso anno. Lo studio è stato elaborato da Fao, Pam ed Ifad, le tre agenzie Onu che si occupano di cibo, alimentazione ed agricoltura, impegnate a raggiungere gli obiettivi del Millennio, fissati al 2015, per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni più povere. Roberta Gisotti ha intervistato Piero Conforti, economista della Fao, responsabile delle Statistiche sulla sicurezza alimentare:

    Tra le forme più drammatiche di povertà è la mancanza di cibo: 1 persona su 8 nell’intero pianeta ancora oggi patisce la fame cronica, massima parte nei Paesi in via di sviluppo, specie nella regione africana subsahariana, dove gli affamati sono 1 su 4 ma anche in Asia e in America Latina il diritto al cibo è negato a centinaia di milioni di persone, cosi come a 16 milioni che vivono nei Paesi ricchi.

    D. – Dott. Conforti, il rapporto indica 86 milioni in meno di affamati rispetto allo scorso anno. Anzitutto, come si arriva a contare chi non ha cibo in tutto il mondo?
    R. – Il fatto che noi comunichiamo spesso un numero di persone che soffrono la fame potrebbe indurre a pensare che siamo in grado di contare una per una queste persone, ma purtroppo non è così. Tutto quello che i dati ci consentono di fare è di stimare una probabilità che un individuo, preso a caso in una popolazione, non abbia cibo sufficiente per condurre una vita attiva e sana.

    D. – Essere scesi ad 842 milioni di affamati è un buon traguardo?

    R. – Ci sono due obiettivi principali a livello internazionale per quanto riguarda la lotta alla fame nel mondo. Siamo in una condizione di assoluta impossibilità a raggiungere il primo dei due obiettivi, quello più ambizioso: ridurre entro il 2015 il numero di persone sottonutrite a meno di 500 milioni. Questo in due anni è impossibile dato che ne contiamo adesso circa 840 milioni. Viceversa, l’Obiettivo del Millennio che parla solo della percentuale di persone sottonutrite è relativamente vicino: l’attuale percentuale globale è valutata intorno al 14% e dovremmo ridurla di un altro paio di punti percentuali entro il 2015. Questo, quindi non è impossibile.

    D. – Nel Rapporto, si dice che con una spinta finale l’obiettivo di sviluppo può essere raggiunto. In che modo?

    R. – Bisogna fare una serie di interventi che aiutino a ridurre a breve il numero di persone che soffrono di sottonutrizione senza compromettere lo sviluppo a lungo termine. Quello che a lungo termine vediamo è che la crescita economica – soprattutto se condivisa e se capace di creare opportunità economiche, di impiego per i più poveri – ha un impatto positivo sulla sicurezza alimentare. Quindi, occorre fare di più, diventare più efficienti e crescere. Inoltre, occorre condividere i frutti di questo processo con i più poveri, in particolare con gli agricoltori che hanno una parte molto importante in questa storia. Tutte quelle che sono le reti di protezione sociale e altri elementi ridistributivi di questo genere possono aiutare molto la causa della fame, anche a breve termine.

    D. – L’importante è che le tre agenzie dell’Onu facciano sentire la loro voce alla comunità internazionale…

    R. – Sì, è quello in cui siamo impegnati. La settimana prossima, alla Fao si terrà la riunione annuale del Comitato per la sicurezza alimentare: un grande foro in cui si cerca di facilitare il dialogo tra le agenzie come la nostra, le altre agenzie con base a Roma, i governi e tutti gli altri attori coinvolti inclusa la società civile e, nella misura possibile, anche il settore privato. Crediamo molto nell’importanza di facilitare questo dialogo per identificare le politiche più adatte a migliorare la condizione della sicurezza alimentare nel mondo.

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    Il lavoro di "Rete per l'identità" che aiuta i figli dei desaparecidos argentini a ritrovare le proprie origini

    ◊   Sarebbero quasi 500 i figli dei desaparecidos argentini nati nei campi di concentramento o sequestrati insieme ai loro genitori durante la dittatura di Jorge Videla. Identificarli è difficile, perché molti di loro sono stati adottati, sia in America Latina sia in Europa, con altri nomi. Da anni, le abuelas de Plaza de Majo cercano i loro nipoti scomparsi e, con l’aiuto della "Rete per l’identità", la ricerca continua anche in Italia. Il servizio di Elvira Ragosta:

    A oggi, sono 109 i nipoti intercettati dal lavoro investigativo e delle abuelas de Plaza de Mayo. Nonne e nonni segugi, che negli anni non hanno mai smesso di cercare e incrociare dati, non solo in America Latina, anche attraverso i certificati elettorali. Bambini, oggi adulti, finiti nella rete del terrore del "Piano Condor", la sparizione sistematica degli oppositori politici alle dittature latinoamericane, che coinvolse anche l’Argentina. E il dubbio che anche in Italia possano essere arrivati con le adozioni figli di desaparecidos ha aperto una campagna lanciata da “Rete per l’Identità" e “24marzo.it", che offre ai giovani nati in Argentina, dubbiosi sulla loro identità, la possibilità di scavare nel prorpio passato. Jorge Ithurburu, coordinatore della Rete per l’Identità Italia:

    “Ai giovani che possono avere dei dubbi noi diamo assistenza psicologica, li aiutiamo a fare i prelievi del dna …”.

    Nel 2006, le leggi di amnistia e di indulto in Argentina sono state cancellate e il 2012 è stato l’anno dei “grandi processi" agli ex militari per crimini contro l’umanità. Ma procedimenti giudiziari ci sono stati anche in Italia:

    “In Italia, ci sono stati già due procedimenti che hanno riguardato bambini sottratti: il processo per quanto riguarda la vicenda l’omicidio di Laura Carlotto, quello per Guido, il bambino sequestrato nel 2007, la sentenza per il processo Esma riguardante Evelyn Pegoraro e l’omicidio di sua mamma Susanna e di suo nonno Giovanni. Anche adesso si sta aprendo un nuovo procedimento a Roma. É un processo conosciuto come 'Il Processo Condor' che riguarda militari uruguaiani, cileni, boliviani e peruviani. In questo caso ci sono due giovani, Mariana Zaffaroni e Carlos D’Elia, nati in campo di concentramento e poi ritrovati dalle nonne di Plaza De Mayo”.

    Macarena, fino a 23 anni viveva in Uruguay, studiava biochimica e sognava di fare l’insegnante. Poi, la scoperta, improvvisa e inattesa, di essere stata adottata e di essere figlia di desaparecidos. A scoprirlo e a ridarle l’identità genetica è suo nonno, il famoso poeta argentino Juan Gelman. Manuel, invece, aveva saputo fin da piccolo di essere adottato. Ma mai avrebbe pensato di essere il fratellastro di Gaston Goncalves, il batterista del famoso gruppo musicale di cui aveva tutti i dischi. Manuel, che da adottato si chiamava Claudio, è stato uno dei primi nipoti intercettati. Il 15 aprile del 1976, Pablo German aveva 5 mesi e mezzo. Fu rapito a Buenos Aires assieme ai suoi genitori. Dopo pochi mesi, Pablo fu registrato come figlio proprio da una coppia legata al regime civico militare. Oggi, i suoi genitori adottivi sono detenuti pechè coinvolti in una causa per crimini contro l’umanità. Pablo è l’ultimo nipote ritrovato, ma ricerca della Rete per l’identità continua:

    “La vita di questi ragazzi è sempre molto particolare fin dalla nascita. Se un giovane che pensava di essere un figlio adottivo, scoprisse di essere figlio di desaparecidos, questa sarebbe la migliore notizia che gli possiamo dare, perché gli stiamo dicendo: guarda che tua mamma e tuo papà non ti hanno mai abbandonato. Guarda che la tua famiglia ti ha sempre cercato. Così puoi ricucire i pezzi mancanti della tua vita “.

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    Il cardinale Onaiyekan: un dialogo intra-musulmano per placare la violenza in Nigeria

    ◊   E' questo il tempo opportuno per una rivolta della speranza e dello spirito, a cominciare dalle religioni. Lo hanno scritto nel loro Appello di pace i leader religiosi convenuti a Roma per il XXVII incontro per la pace, organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio e terminato ieri sera. Nel testo si respinge con forza il terrorismo religioso, perché, si legge, “utilizzare il nome di Dio per uccidere è blasfemo. Il terrorismo religioso nega in radice la religione". Tra i firmatari, il cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, in Nigeria, Paese scosso il 29 settembre scorso dall’ennesimo, sanguinoso, atto del gruppo islamista Boko Haram, che in un attacco contro un istituto scolastico ha ucciso nel sonno oltre 40 studenti. Francesca Sabatinelli ha intervistato il cardinale Onaiyekan:

    R. – Possiamo interpretarlo come gli ultimi tentativi di questi terroristi per causare disordine. Siccome il governo ha messo soldati ben armati, non c’è più lo scontro frontale tra i terroristi e l’esercito. I terroristi, invece, si sono dispersi nelle campagne e attaccano la povera gente, completamente indifesa. Non è la prima volta che vengono attaccate le scuole, dove si uccidono i bambini che dormono. A volte entrano in un villaggio, dove non c’è polizia, e uccidono la gente. Rimane sempre difficile capire perché fanno queste cose, a meno che uno non pensi a qualcosa di diabolico. Anche per il musulmano nigeriano, infatti, tutto questo è di grande imbarazzo. Dimostra quindi che i terroristi non possono essere vinti solo con i soldati e le armi, ma si deve cercare un modo per parlare con loro. Non so chi parlerà con i terroristi. Se non ci riusciamo, come potremo cambiare la loro mentalità?

    D. – Il dialogo da cosa dovrebbe partire, se non si riesce ad individuare la richiesta che ci può essere dietro a questa violenza?

    R. – Ormai, è chiaro che questa gente non agisce in nome dell’islam nigeriano. Il nostro dialogo continua con l’islam nigeriano, che è disposto a questo dialogo e con il quale lo continuiamo. Per i terroristi, secondo noi, ci vuole un dialogo intra-musulmano. Saranno i musulmani a cercare di parlare con questa gente. Stanno cercando di farlo, ma non è facile. Si deve riconoscere, secondo me, che Boko Haram, il terrorismo, è soltanto l’estremo punto di un tragitto.

    D. – Che parte da dove?

    R. – Che parte da un atteggiamento di estremismo, di esclusivismo, di fanatismo religioso, che si trova molto spesso tra alcuni gruppi di musulmani, nelle prediche di qualche imam, che non portano bombe, che non uccidono nessuno, ma il linguaggio è un linguaggio che presenta l’islam come unica religione giusta. Questo è ciò che si riflette, quando si trovano musulmani che insistono sulla sharia in Nigeria. Sono sempre una piccola minoranza, ma credo sia arrivato il tempo in cui in Nigeria si debba decidere che vogliamo vivere in pace e che non è importante a quale religione uno appartenga. I terroristi come Boko Haram non credono nel dialogo, non credono nemmeno che le altre religioni abbiano il diritto di esistere, e non attaccano solo i cristiani, ma anche i musulmani che sono diversi da loro. E’ chiaro che abbiamo a che fare con una rete internazionale di terrorismo islamico.

    D. – Lei teme che ci possa essere ancora un’evoluzione peggiore delle azioni di Boko Haram?

    R. – No, non credo. Credo che continueranno a fare questi gesti qua e là, ma che prima o poi finirà, perché il popolo intero è contro di loro adesso. C’è il fenomeno dei “vigilanti”: giovani musulmani che si sono armati per combattere Boko Haram.

    D. – Lei è qui a Roma, ospite della Comunità di Sant’Egidio, per ribadire quello che il Papa ha detto: non si può usare il nome di Dio per le guerre...

    R. – E per uccidere. E’ un messaggio che deve arrivare a tutti e che tutti dovrebbero riprendere. Non basta dire: “Oh va bene, il Papa ha parlato, bene!” No, tutti devono dirlo chiaro. I musulmani devono dirlo chiaro, con la voce più alta possibile, che non si può uccidere in nome di Dio. Dobbiamo ricordare che la storia della relazione tra cristiani e musulmani è piena di questi episodi di uccisioni in nome della religione. Allora, dobbiamo trovare il modo di cambiare quella storia. Perché anche se noi due non ci crediamo più, c’è tanta altra gente là fuori che ancora pensa in quel modo.

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    Memoria degli Angeli Custodi. Don Lavatori: ci sono sempre accanto per invitarci al bene

    ◊   Intermediari, protettori e messaggeri. Sono questi alcuni dei tratti peculiari che contraddistinguono gli Angeli Custodi, di cui oggi la Chiesa celebra la memoria. Al termine dell’udienza generale, Papa Francesco ha auspicato stamani che “la loro presenza rafforzi in ciascuno” la certezza che Dio accompagna l’uomo “nel cammino della vita”. Sulla natura degli Angeli Custodi, Amedeo Lomonaco ha intervistato don Renzo Lavatori, studioso di demonologia e angelologia:

    R. – Gli Angeli Custodi sono essere spirituali, messaggeri di Dio, di cui parla sia l’Antico Testamento che il Nuovo Testamento, tutta la tradizione della Chiesa, che assistono ogni creatura umana, in particolare dopo il Battesimo, dall’inizio dell’esistenza fino alla fine, anche nell’ultimo momento, quando si muore e si va verso il Regno dei Cieli. Sono i nostri protettori, consolatori, quelli che ci illuminano e che ci guidano, ci difendono da ogni male, ci accompagnano con grande dedizione, amore, e con grande generosità. Sono veramente i nostri amici, i migliori, gli Angeli Custodi.

    D. – Cosa può e deve fare l’uomo per rendere sempre più feconda questa amicizia?

    R. – Loro non possono forzare la libertà umana. Il libero arbitrio, una facoltà che Dio ci ha donato, è a nostra disposizione soltanto. Neanche Dio può obbligarci a fare certe cose. Per cui, l’Angelo ha una presenza molto delicata, dolce, soave, ma costante. Tuttavia, richiede la nostra disponibilità ai valori che loro ci propongono e che sono quelli del bene, della verità, dell’onestà, della bontà, dell’amore. Come sappiamo, sono i valori evangelici che sono la nostra vera felicità anche su questa terra. Però, lo fanno con questo spirito di delicatezza, senza forzare. Occorre perciò, primo, una sensibilità interiore e, secondo, la preghiera. Noi abbiamo quella piccola formula, ma molto bella, tradizionale, “Angelo di Dio che sei mio custode”, che in effetti andrebbe detta senza timore, anche quando ci troviamo nelle difficoltà, sia fisiche sia psichiche, sia spirituali. Quando ci troviamo davanti a difficoltà anche economiche, a tutti i livelli, anche nelle piccole cose di ogni giorno, possiamo invocare questa presenza e questa preghiera apre un certo "feeling" con loro che ci consente poi di essere maggiormente protetti e aiutati dal nostro Angelo Custode. E poi, terzo, anche un po’ di raccoglimento, il silenzio perché lo spirito parla nel silenzio. Se la creatura umana vive sempre nel chiasso, nella grande confusione, senza avere mai dei momenti di concentrazione, anche di silenzio e di raccoglimento, fa fatica a percepire la loro presenza e perciò resta fuori da questo flusso di amore, di grazia che loro ci passano e ci comunicano. Perché loro non fanno niente di loro iniziativa. Trasmettono a noi ciò che Dio loro ordina e ciò che fa bene a noi, ma la fonte primaria della nostra salvezza è sempre in Dio, in Cristo, nella potenza dello Spirito. Loro sono intermediari, strumenti secondari, ma importanti affinché questa grazia di Dio arrivi a noi e porti frutto.

    D. – Sono intermediari e sono anche dei messaggeri come dice il nome. Come saper riconoscere i messaggi degli Angeli Custodi?

    R. – Qui occorre veramente un piccolo discernimento, che i direttori spirituali nella tradizione della Chiesa hanno sempre suggerito. Il discernimento è questo: se il suggerimento che uno sente di fare una cosa piuttosto che un’altra, conduce a una certa serenità e quiete interiore è chiaro che viene dallo spirito buono. Se invece questo suggerimento porta ansia, preoccupazione, agitazione, allora non viene dallo spirito buono, ma dallo spirito cattivo, perché l’Angelo Custode è sempre accanto a noi – non c’è un "angelo cattivo" accanto a noi – però il diavolo, anche lui, prova a tentarci, a sedurci, a portarci fuori dalla strada che invece gli Angeli ci indicano.

    D. – Tutta la vita della Chiesa beneficia di questo aiuto misterioso, potente degli Angeli…

    R. – Con l’Angelo Custode intendiamo soprattutto l’angelo personale di ciascuno, che è irripetibile. Il mio Angelo Custode è commisurato alla mia personalità, alla mia sensibilità, alla mia struttura personale. Questo è l’Angelo Custode. Nella tradizione della Chiesa, c’è anche l’Angelo che protegge le nazioni, come l’Angelo del Portogallo quando è apparsa Maria a Fatima. Poi, ci sono gli Angeli che custodiscono anche le comunità cristiane, come le parrocchie, le diocesi: nell’Apocalisse, appunto, si parla dei sette Angeli che stanno a guardia delle sette chiese. Quindi, anche le comunità cristiane, cioè le chiese, hanno il loro angelo. E così anche tutta la Chiesa universale, la Chiesa cattolica, ha il suo angelo protettore. In questo senso, quindi, la custodia degli Angeli si apre dall’individuo alle comunità e anche, in particolare, alle chiese diocesane locali, come dice il Vaticano II, che poi sono unite sotto l’unico pastore che è il vescovo di Roma. Tutto questo complesso, che è l’organismo vitale di Cristo, il suo Corpo mistico, naturalmente è accompagnato dagli Angeli Custodi.

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    Evangelizzare cantando: presentato il volume "Musica sacra popolare oggi"

    ◊   “Evangelizzar cantando”, questo è il fine educativo della musica sacra popolare, che è stata raccontata nella sua storia attraverso i secoli, nel volume “Musica sacra popolare oggi. Liturgia, pietà popolare, catechesi ed evangelizzazione”, edito dalla Libreria Editrice Vaticana (Lev). Il libro, scritto da don Amelio Cimini, è stato presentato ieri a Roma presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra. Come nasce questo viaggio attraverso la musica sacra? Ascoltiamo l’autore, al microfono di Marina Tomarro:

    R. - Nasce, forse, per eredità genetica. È una passione che ho da adolescente, da musicista, che è andata a cercarsi un po’ le radici di tutto questo patrimonio enorme e, attraverso la ricerca, ci si è resi conto che non è un patrimonio che riguarda il passato, ma riguarda il passato per camminare e per guardare al futuro. Quindi, è qualcosa da non dimenticare, ma soprattutto da cui ripartire per camminare con i tempi ed esprimere con i tempi quella fede che il nostro popolo ha sempre espresso a proprio modo.

    D. - Quanto è conosciuta oggi la musica sacra popolare?

    R. - Diciamo che è in riscoperta. Il fatto stesso che quanto noi facciamo qualcosa la gente rimaga molto colpita, partecipe e contenta, vuol dire che percepisce qualcosa in questi canti, che è fede trasmessa nei secoli attraverso partiture che, nel tempo, non si stancano mai di riportare con la loro voce, ma soprattutto con il loro animo, con la loro fede, qualcosa che è eterno, che non tramonta mai.

    E conservare la memoria di questi canti, vuol dire anche evitare l’oblio di un patrimonio storico molto prezioso. Mons. Vincenzo De Gregorio, presidente del Pontificio Istituto di Musica Sacra:

    R. - Con la riforma liturgica, è caduto un discrimine che prima esisteva tra musica strettamente liturgica e musica popolare. Oggi, il problema è questo: scommettiamo che grazie a questa caduta dello steccato, la musica popolare non ha più spazio perché è tutta assorbita all’interno della liturgia? Perché questo significherebbe togliere la genialità dell’intuizione, dell’improvvisazione del popolo, dello spazio di autonomia. Per cui, oggi si tratta prima di tutto di gestire una spontaneità che non esiste più. E' un discorso quindi che riguarda il passato, il presente, e dall’altra parte riguarda poi un dovere di custodia di questo grandissimo patrimonio che bisogna raccogliere, studiare, catalogare, custodire. Perché altrimenti è una fetta di storia della musica che ci viene a mancare.

    D. - Quanto è conosciuta oggi la musica popolare?

    R. - Allora, questo è il problema. Non è conosciuta. Facciamo il paragone con i nostri giovani: quel bellissimo repertorio degli Anni ’40-’50-’60 lo conoscono? No. Allora, il problema ha la stessa stregua, anzi forse solo la chiesa rimane il luogo dove si possa cantare "Noi vogliam Dio", "Mira il tuo popolo", "Dell’Aurora tu sorgi più bella" ed ecco immediatamente tutti seguono. Quindi, è un fatto che travalica i confini della musica religiosa popolare ed è un problema delle nostre nuove generazioni, che conoscono benissimo il repertorio degli autori contemporanei, del cantautore di grido, ma non conoscono nulla del loro patrimonio musicale popolare non soltanto religioso, ma anche italiano.

    Il ruolo iniziale di queste melodie era quello di evangelizzare il popolo in maniera semplice e comprensibile a tutti. Ascoltiamo il maestro Ambrogio Sparagna, esperto in etnomusicologia:

    "Questi canti sono alla base una sorta di Vangelo per i poveri. Sono forme di racconti tratti dal Vangelo ed esemplificati. Il catechismo dei poveri, questa era la funzione. Per quanto riguarda la mia funzione di studioso, ho scoperto del materiale di assoluta bellezza, anche poetica, soprattutto, ad esempio, nella grande tradizione siciliana nata dopo la Controriforma, ad opera dei Gesuiti, quando incominciarono a scrivere in dialetto siciliano tutta una serie di passi del Vangelo per renderlo appunto accessibile chi non sapeva né leggere né scrivere”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Usa. Appello dei vescovi al governo: “Milioni di americani lottano per vivere”

    ◊   I vescovi presidenti di tre Commissioni della Conferenza episcopale degli Stati Uniti d'America (Usccb) hanno esortato il Congresso ad adempiere con urgenza al suo ruolo fondamentale di governo ed a rispondere alle sfide che si presentano, in patria e all'estero. Il 30 settembre infatti i vescovi mons. José H. Gomez (Los Angeles, Commissione per le Migrazioni), mons. Stephen E. Blaire (Stockton, California, Commissione per la Giustizia interna e lo sviluppo umano ) e mons. Richard E. Pates (Des Moines, Iowa, Commissione internazionale Giustizia e Pace) hanno presentato una lettera alla Camera e al Senato citando alcune questioni urgenti, tra cui la tremenda disoccupazione nel Paese e i milioni di persone sfollate a causa del conflitto in Siria. Come informa il comunicato della Conferenza episcopale inviato all’agenzia Fides, "i vescovi cattolici degli Stati Uniti sono pronti a lavorare con i leader di entrambe le parti per un progetto che riduca i futuri disavanzi insostenibili, per proteggere i poveri e i più vulnerabili, per sostenere il bene comune e promuovere la vita e la dignità umana". Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che il ruolo proprio del governo è "rendere accessibile a ciascuno ciò che è necessario per condurre una vita veramente umana", tra cui cibo, vestiti, sanità, istruzione e cultura, ricordano i vescovi. "Nel nostro Paese oggi milioni di americani lottano per soddisfare queste esigenze di base, non per colpa loro, ma a causa di un'economia che continua a non riuscire a creare sufficienti opportunità economiche" è scritto nel comunicato. "Lo scorso anno il tasso di povertà è rimasto come 20 anni fa, più di un bambino su 5 vive in povertà, e 49 milioni di americani hanno sofferto per l’insicurezza alimentare". Il comunicato aggiunge che attualmente si parla di 23 milioni di americani disoccupati o sottoccupati. (R.P.)

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    Centrafrica. L'arcivescovo di Bangui: "Ovunque desolazione e rabbia"

    ◊   Due settimane dopo l’ultimatum del presidente di transizione Michel Djotodia, i ribelli della coalizione Seleka, già sciolta, si rifiutano ancora di consegnare armi e di ritirarsi nelle caserme. “Se i combattenti dovessero insistere su questa strada, il loro atteggiamento sarà considerato come una dichiarazione di guerra nei confronti dei dieci Paesi della regione” ha detto il generale Jean Félix Akaga. Il comandante dei 2000 soldati della missione dell’Africa centrale (Fomac), dispiegata da tempo in Centrafrica, ha lanciato un nuovo ultimatum ai miliziani: “Se le armi non vengono consegnate entro questa settimana, comincerà un’operazione forzata di disarmo” ha avvertito Akaga. Le stesse difficoltà sono state confermate dal ministro della Pubblica sicurezza, Jose Binoua, che ha riconosciuto che “nessun ufficiale Seleka ha dato prova della volontà di abbandonare le armi si rifiutano di collaborare”. Contattato dall'agenzia Misna, l’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga, riferisce che la Fomac sta pattugliando mattina e sera per le strade della capitale, in cerca di uomini, armi e munizioni, ma che sono ancora troppo pochi i ribelli relegati nelle caserme. “Ci sono interi quartieri che sono delle vere polveriere, tra cui il Km5, Kina, Meskine e Combattant, e dove la Fomac deve ancora arrivare. Finora solo 117 armi sono state consegnate, un numero irrisorio” aggiunge mons. Nzapalainga, dicendosi preoccupato per la “fuga di decine di ribelli all’interno del Paese, dove la situazione sta peggiorando di giorno in giorno. Ora come ora qualunque goccia d’acqua può far traboccare il vaso delle violenze e scatenare vendette a catena” sottolinea mons. Nzapalainga. Negli ultimi giorni notizie altrettanto allarmanti sono giunte da Paoua e Bozoum (nord-ovest) ma anche da Bangassou (sud-est). Nel lanciare un appello alla comunità africana ed internazionale per l’invio di truppe e di maggiori aiuti per ristabilire la sicurezza e fare fronte alla crisi umanitaria, l’arcivescovo di Bangui ribadisce alla Misna che “nessuno, cristiano quanto musulmano, è stato risparmiato da saccheggi, violenze e violazioni”. Nell’omelia della scorsa domenica il presule ha invitato i centrafricani a “evitare di fare di tutta un’erba un fascio tra Seleka e comunità musulmana” e a “ritrovare la strada della coesione e del vivere insieme in modo armonioso, come abbiamo sempre fatto”. Paese già instabile e povero, il Centrafrica è stato ulteriormente destabilizzato dal colpo di stato della coalizione ribelle Seleka che lo scorso marzo ha destituito l’ex presidente François Bozizé. (R.P.)

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    Centrafrica. Il vescovo di Bangassou: la situazione è esplosiva

    ◊   “È una situazione esplosiva che rischia di provocare una tragedia” dice all’agenzia Fides mons. Juan José Aguirre Muños, vescovo di Bangassou, dove nel quartiere di Tokoyo, gli abitanti hanno creato una barricata per protestare contro le violenze e i soprusi dei ribelli Seleka. “La protesta è scoppiata lunedì sera dopo che gli uomini di Seleka hanno torturato un ragazzo del quartiere, un conducente di mototaxi. Gli abitanti sono esausti delle continue angherie dei ribelli che hanno istituto dei posti di blocco al solo scopo di taglieggiare quotidianamente la popolazione, già priva di tutto” riferisce il vescovo. “Si è creata una situazione incendiaria perché davanti alla barricata degli abitanti del quartiere, armati di machete, si sono radunati gli uomini di Seleka affiancati da diversi commercianti musulmani locali, a loro volta armati di Kalashnikov forniti in precedenza dai ribelli” afferma il vescovo. “Avvertito dal parroco del quartiere ho inviato i due miei vicari con indosso la toga bianca per cercare di calmare gli animi, e abbiamo chiesto all’Iman e al rappresentante dei giovani musulmani di aiutarci a riportare la pace” dice mons. Aguirre. “Il vero problema non è uno scontro di religione, cristiani contro musulmani, ma sono i continui abusi nei confronti della popolazione da parte dei ribelli” sottolinea mons. Aguirre. “Quello che sta accadendo in questo momento a Bangassou avviene anche in altre città del Centrafrica perché la popolazione è veramente esasperata di essere derubata ogni giorno dai ribelli di Seleka”conclude il vescovo. (R.P.)

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    Kenya: preghiera interreligiosa per le vittime dell’assalto al Westgate

    ◊   I leader religiosi del Kenya hanno condannato unanimemente l’attacco terroristico al Centro commerciale Westgate di Nairobi. Come riferisce l’agenzia Cisa, una speciale preghiera interreligiosa si è tenuta ieri presso il Kenyatta International Conference Centre (Kicc) di Nairobi, alla quale hanno partecipato i principali esponenti religiosi cristiani e musulmani. Tutti hanno espresso il desiderio di lavorare per la pace e la riconciliazione nazionale ed hanno commemorato le vittime dell’atto terroristico. Il vescovo ausiliare di Nairobi, David Kamau, che rappresentava il cardinale John Njue, arcivescovo della capitale keniana - riferisce l'agenzia Fides - ha sottolineato che nonostante i drammatici momenti vissuti, i keniani sono ancora pieni di speranza e usciranno rafforzati dalla lotta contro il terrorismo. Adan Wachu, Segretario generale del Consiglio superiore dei musulmani del Kenya, ha affermato che coloro che hanno ucciso e mutilato civili innocenti al Centro Westgate sotto la sembianza dell’Islam, vanno condannati nei più forti termini. “Nel Corano o nella Bibbia non c’è da nessuna parte un precetto che dà a qualcuno il potere di uccidere vittime innocenti” ha sottolineato. Il Segretario generale del National Council of Churches of Kenya (Ncc) ha infine affermato che l’unità e la diversità della nazione sono una ricchezza e che i terroristi non potranno mai mettere in pericolo la pacifica coesistenza dei keniani. Secondo un bilancio ancora provvisorio nei 4 giorni di assedio al Westgate 61 civili e 6 tra agenti di polizia e militari hanno perso la vita. (R.P.)

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    Congo. Msf: a Masisi, nel Nord Kivu, violenze contro i civili

    ◊   Gruppi armati si sono scontrati lo scorso 27 settembre, nella zona di Osso-Banyungu, vicino a Masisi, Provincia del Nord Kivu, Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Si sono verificati anche attacchi contro i civili nei villaggi di Butemure, Lwibo, Bikudje, Majengo e Katiri. Lo denuncia oggi Medici Senza Frontiere (Msf), che ha immediatamente organizzato delle cliniche mobili per fornire assistenza d’emergenza alle vittime, chiedendo ai gruppi armati di rispettare i civili, come stabilito dal diritto internazionale umanitario. Diverse dozzine di persone sono state attaccate, inclusi donne e bambini. Molte vittime hanno riportato ferite. E’ difficile confermare il numero di morti, feriti e dispersi perché molti abitanti dei villaggi sono fuggiti nella boscaglia per paura di ulteriori attacchi. “Ho sentito i vicini urlare che l’esercito stava arrivando - racconta una donna -. Sono corsa nel campo per raggiungere mio marito. Ma quando sono arrivata lì, non c’era nessuno. Tutto quello che ho trovato è stato il suo cappello e i suoi attrezzi sporchi di sangue”. Altri hanno raccontato agli operatori di Msf che 46 bambini e 3 maestre sono stati rapiti dopo che la loro scuola è stata bruciata. Durante l’incursione armata è stato distrutto un ponte, usato dagli abitanti per fuggire. Un abitante del villaggio di Lwibo ha riferito di aver visto “uomini armati che usavano i machete per distruggere le ultime corde che tenevano il ponte. Prima, davanti al ponte, hanno tagliato le gole agli uomini prima di buttarli in acqua”. Il giorno dopo l’attacco, Msf ha curato oltre 80 pazienti nel villaggio di Lwibo e assistito 9 vittime di violenza sessuale. Un’equipe ha visitato il villaggio di Bikudje dove due persone sono state ferite e circa 30 risultano disperse. L’équipe di Msf sta ancora cercando di valutare l’entità di questi attacchi ed il numero di donne e uomini feriti, con il fine di adattare la risposta sanitaria. “Vari villaggi sono accessibili solo a piedi, e abbiamo paura di arrivare troppo tardi. Ciò nonostante, sembra già chiaro che gli atti di violenza sono stati compiuti contro i civili e non si può rimanere in silenzio dinanzi a questa cosa”, afferma Bertrand Perrochet, capo missione di Msf in Rdc. “I gruppi armati presenti nella regione devono rispettare la popolazione civile come stabilito dal diritto internazionale umanitario”, conclude. Nel territorio di Masisi si verificano ricorrenti violenze e l’insicurezza è continua, tanto che le persone sono costrette a scappare dai loro villaggi. Ad agosto, secondo le stime, erano più di un milione gli sfollati interni in Nord Kivu. (R.P.)

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    Zimbabwe: i vescovi su diritti dei poveri ed economia

    ◊   “La priorità è l’economia e per favorire una ripresa servono sia la Cina che l’Europa e gli Stati Uniti, sia l’Oriente che l’Occidente”: con l'agenzia Misna parla di politica padre Frederick Chiromba, segretario generale della Conferenza episcopale dello Zimbabwe, ma senza perdere di vista le emergenze di tutti i giorni. Dopo le elezioni di luglio, vinte dal presidente Robert Mugabe e dal suo partito Zanu-Pf, una delle preoccupazioni principali resta l’emergenza alimentare che sta colpendo molte aree del Paese. “Circa due milioni e 200.000 persone hanno bisogno di aiuti alimentari urgenti – sottolinea padre Chiromba – e i prossimi mesi saranno i più difficili”. Attraverso la Caritas la Chiesa cattolica sta distribuendo cibo e altri prodotti essenziali, ma in una prospettiva di medio periodo appare indispensabile un miglioramento generale del contesto economico. “La revoca delle sanzioni nei confronti del gruppo statale che gestisce l’estrazione e il commercio dei diamanti – sottolinea il segretario generale della Conferenza episcopale – può essere un primo passo sulla via di una normalizzazione dei rapporti con l’Occidente, essenziale perché nello Zimbabwe a investire non siano soltanto i cinesi”. Secondo padre Chiromba, dopo oltre dieci anni di sanzioni il governo di Mugabe ha la volontà e l’interesse di migliorare le relazioni con l’Europa e gli Stati Uniti. “Ma perché questo avvenga – avverte il religioso – devono realizzarsi due condizioni: che le potenze occidentali si dimostrino disposte a trattare su una base di parità e che lo Zimbabwe sappia attrarre chi investe”. Uno dei nodi è l’Indigenisation and Empowerment Act, una legge che prevede il trasferimento di quote di controllo nella proprietà delle società di grandi e medie dimensioni alla popolazione nera discriminata prima del 1980. “La via è stretta – sottolinea padre Chiromba – ma bisogna conciliare le logiche del mercato con l’impegno di giustizia sociale”. (R.P.)

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    Zambia: preoccupazione della Caritas per il funzionamento dello Stato

    ◊   “Abbiamo ancora uno Stato funzionante?”. Si intitola così il comunicato di Caritas Zambia inviato all’agenzia Fides nel quale si esprime preoccupazione per il deterioramento delle funzioni statali nel Paese. “Il livello di caos, di teppismo e di illegalità nello Zambia ha raggiunto livelli senza precedenti a tal punto che si ha il diritto di chiedersi se se esiste ancora uno Stato funzionante nel nostro Paese” afferma il documento. “L’elemento grave di questa situazione è che il partito al potere, Patriotic Front (Pf), che nel 2011 era stato eletto dal popolo per garantire i propri diritti, la pace e la sicurezza, è al centro di questi problemi” sottolinea il comunicato. Le divisioni interne del partito di governo sono uscite dall’ambito interno per riversarsi nella vita sociale del Paese, traducendosi, secondo la Caritas nel “ perturbamento delle normali condizioni di vita, in violenze contro persone innocenti e nel furto di proprietà private”. “Tutto questo avviene in una società dove la maggior parte dei poveri fa fatica ad avere accesso al cibo, ad un’assistenza sanitaria di qualità e al lavoro”. La grave situazione nella quale è sprofondato il Paese, rimarca la Caritas, sembra però passare in secondo piano rispetto alle lotte di potere all’interno del Patriotic Front. “C’è evidentemente una mancanza di leadership nel partito di governo che non è stato in grado di prevenire i problemi odierni. Gli stessi leader politici al vertice sono al centro della confusione”. Ad accrescere la tensione nel Paese vi sono inoltre le occupazioni illegali di terre da parte di persone legate al Patriotic Front, le polemiche relative alla mancata approvazione della legge sulla libertà di espressione e la più volta rimandata approvazione della nuova Costituzione. (R.P.)

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    Vietnam: condannato a 30 mesi di carcere l’avvocato cattolico Le Quoc Quan

    ◊   I giudici del tribunale di Hanoi hanno condannato l'avvocato e attivista cattolico Le Quoc Quan, a processo per presunta "evasione fiscale", a 30 mesi di prigione e al pagamento di 56mila dollari di multa. L'udienza è durata un paio di ore e - nonostante le proteste e gli appelli della difesa - si è conclusa con il carcere una pesantissima pena pecuniaria. All'esterno - riferisce l'agenzia Asianews - migliaia di cattolici hanno manifestato il proprio sostegno per le vie della capitale, agitando palme in un gesto simbolico che richiama la domenica in cui Gesù fa il suo ingresso a Gerusalemme. In un primo momento le autorità avevano promesso un processo aperto al pubblico; tuttavia, le strade che portano al tribunale sono state bloccate da un muro umano formato da polizia e militari. Da giorni si susseguivano messaggi e avvertimenti lanciati alla popolazione, perché non organizzasse manifestazioni in vista del dibattimento in aula. Assieme ai cattolici, moltissimi buddisti (fra cui una religiosa) hanno manifestato in modo pacifico per le vie di Hanoi per chiedere la libertà di Le Quoc Quan e definendo il processo una farsa. Non solo, i dimostranti chiedono anche piena libertà , rispetto dei diritti e la fine di tutte le azioni persecutorie nei confronti dei fedeli di tutte le religioni. In precedenza, i vertici della Chiesa cattolica vietnamita hanno promosso incontri di preghiera e fiaccolate per la liberazione dell'avvocato e attivista cattolico. (R.P.)

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    Filippine: a Mindanao 200 mila sfollati. Appello di vescovi e Caritas

    ◊   Oltre 200 mila sfollati e circa 200 morti: è questo il bilancio a tre settimane dall’inizio degli scontri tra i ribelli islamici del Fronte nazionale di liberazione Moro (Mnlf) e l’esercito governativo a Zamboanga, la città nell’isola filippina di Mindanao. A lanciare un appello per l’assistenza umanitaria degli sfollati - riferisce l'agenzia Sir - è Nassa (National secretariat for social action), ossia l’organizzazione che fa capo alla Conferenza episcopale filippina, equivalente alla Caritas. Nassa ha aperto oggi le donazioni per supportare il lavoro delle sedi locali in aiuto agli sfollati. Finora Nassa ha mandato all’arcidiocesi di Zamboanga circa 2.300 dollari come contributo iniziale per le famiglie sfollate. Dal 9 settembre le autorità locali hanno chiesto all’arcidiocesi di aprire le chiese per alloggiare gli sfollati. Attualmente assiste 18.736 sfollati in 11 Centri. L’arcidiocesi di Zamboanga distribuisce 3.500 pacchi di cibo ogni giorno. Altri 40mila sfollati sono assistiti dal governo. I combattimenti, afferma mons. Broderick Pabillo, vescovo ausiliare di Manila e presidente di Nassa, “hanno avuto un impatto devastante sulla popolazione di Zamboanga”: “I bisogni continuano ad aumentare di giorno in giorno e si pensa che rimarranno tali per i prossimi tre o sei mesi”. Il presidente di Nassa chiede aiuto “per sostenere gli interventi della Chiesa e portare allo stesso tempo il messaggio cristiano di amore e pace ai nostri fratelli e sorelle in difficoltà”. “Alcune diocesi hanno bisogno di abiti, fagioli e riso - spiega il vescovo -. I bambini, in particolare, si stanno ammalando per la mancanza di varietà nella dieta, anche perché i cibi tradizionali come fagioli e verdure non sono disponibili sul mercato”. Alcune strutture hanno la cucina a disposizione, altre no. Secondo fonti governative durante i combattimenti sono andate distrutte 10mila case e si prevedono perdite economiche pari a 115 milioni di dollari. (R.P.)

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    Indonesia: i vescovi chiedono maggiore impegno dei cattolici in politica e nel governo

    ◊   I cattolici devono impegnarsi sempre più in politica, anche e soprattutto nel Paese musulmano più popoloso al mondo che - nel 2014 - sarà chiamato alle urne per le elezioni generali e del nuovo Presidente. Una presenza - riferisce l'agenzia AsiaNews - che riguarda in particolare i giovani e gli studenti universitari, che costituiscono il futuro di una nazione che si dice multiculturale sulla carta costituzionale ma, nei fatti, è teatro di scontri e violenze confessionali. Di questi temi si è parlato nel corso di un convegno di quattro giorni a Jakarta, promosso dalla Commissione per l'Apostolato dei laici (Cal) della Conferenza episcopale indonesiana (Kwi). Dopo anni di silenzi e vuoto, i prelati rilanciano il compito di partecipare alla vita pubblica e alla guida del Paese. Ora l'attenzione si concentra sulla formazione dei cattolici, un cammino che deve basarsi sui valori etici e l'impegno al bene comune. I 37 delegati in rappresentanza delle rispettive diocesi hanno discusso i problemi e proposto idee e progetti, che guardano con particolare attenzione ai giovani indonesiani. La politica attiva, l'impegno di governo costituiscono infatti un nuovo terreno di "evangelizzazione" e di promozione dei valori e delle proposte cristiane anche se in Indonesia manca ad oggi un vero e proprio partito cattolico. L'attenzione è concentrata sulle elezioni del prossimo anno, che potrebbero significare un cambiamento deciso dopo i due mandati del presidente Susilo Bambang Yudhoyono; considerato un "moderato", egli non ha saputo fermare la deriva islamista che, nell'ultimo periodo, ha causato attacchi e violenze contro le minoranze. Attraverso lettere pastorali, messaggi e documenti i vescovi accompagneranno i fedeli fino al voto, chiedendo sempre maggiore impegno nel nome della crescita e dello sviluppo. (R.P.)

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    Israele: primo arabo dichiarato Giusto fra le Nazioni

    ◊   Il medico egiziano Mohamed Helmy è stato nominato Giusto fra le Nazioni: si tratta del primo arabo a ricevere questo particolare riconoscimento. La decisione - riporta L'Osservatore Romano - è stata presa lunedì dallo Yad Vashem, che è ora alla ricerca dei parenti di Helmy, morto nel 1982, per consegnare loro la medaglia e l’attestato. Il medico, che però non è il primo musulmano a essere insignito del riconoscimento, operò, con grave rischio della propria vita, a Berlino durante la guerra. Lui e la signora tedesca Frieda Szturmann, anche lei nominata in questa occasione Giusto fra le Nazioni, riuscirono a salvare una famiglia ebrea. Helmy, nato a Khartoum nel 1901, si trasferì nel 1922 a Berlino per studiare medicina. Dopo aver completato gli studi, trovò lavoro nell’Istituto Robert Koch che — dicono fonti dello Yad Vashem — era fortemente coinvolto nella politica sanitaria nazista. (R.P.)

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    Messico: le popolazione indigene siano “parte viva” del Paese e della Chiesa

    ◊   Quasi protetta dalle colline di Metztepetl, Tonallan e Citlalan (della luna, del sole e delle stelle), nella cattedrale di Napuan dedicata a San Marco (in lingua nahuatl "El Tecuán", cioè colui che diventa la piccola tigre), il vescovo di San Cristóbal de las Casas, mons. Felipe Arizmendi Esquivel, ha celebrato una Messa di ringraziamento per i suoi 50 anni di sacerdozio, durante il V Incontro di Cultura Nahuatl. Il workshop, che si svolge dal 30 settembre al 3 ottobre - riferisce l'agenzia Fides - è organizzato dalla Conferenza episcopale messicana (Cem), con l'obiettivo di far conoscere le traduzioni bibliche e liturgiche della Chiesa cattolica. In occasione della celebrazione di mons. Arizmendi con la comunità di Naupan, nella sierra a nord di Puebla, perfino la piazza era vestita a festa con tante ghirlande colorate, e la chiesa agostiniana, costruita nel 1590, ha visto esibirsi davanti ad essa, nelle loro danze di festa postcoloniali, Toreadores, Negritos, Chinelos e Viejitos. Mons. Arizmendi, che nella diocesi di Chiapas coordina anche il lavoro dei traduttori, ha avuto modo di sottolineare in diverse occasioni che "in questo lavoro è presente una teologia india, pensata come la ricerca della presenza di Dio nelle culture originarie", attraverso l'inculturazione della dottrina della Chiesa cattolica. Nella nota inviata dal Messico all’agenzia Fides si legge quanto affermato da un rappresentante della comunità di Naupan: "Dobbiamo conoscere e rispettare i miti e i riti dei popoli indigeni per poter scoprire in essi i segni di Dio, i modi in cui si manifesta e che spesso rifiutiamo per non conoscere fino in fondo la loro storia, il loro contenuto e significato. Per conoscerli dobbiamo amare e rispettare chi li comunica e pratica". "Vengo da uno Stato dove la maggioranza della popolazione è indigena - ha detto il vescovo di San Cristóbal de las Casas -, e siamo venuti nello Stato di Puebla per il popolo Nahuatl, perché esso possa avere l'importanza che merita, sia nella società che nella Chiesa, perché si sentano parte viva del Paese e così sia dato maggior valore ai popoli originari". Il vescovo, insieme ad un gruppo di sacerdoti e catechisti, per 3 giorni ha svolto catechesi, incontri e celebrazioni con la popolazione, in questo contesto missionario. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 275

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.