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Sommario del 31/05/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco: Dio è gioia, il Vangelo non si porta avanti con i cristiani sfiduciati
  • Corpus Domini. Il Papa: "Non dobbiamo avere paura della solidarietà, parola malvista dallo spirito mondano"
  • Il Papa chiude il Mese mariano in Piazza San Pietro
  • Tweet del Papa: "Tutta la storia della salvezza è la storia di Dio che cerca l’uomo"
  • Intervista al presidente dello Ior Ernst von Freyberg: trasparenza con bilanci on line e controlli sui 19 mila conti
  • Il card. Sandri ad Amman: il Papa invoca sulla Giordania prosperità, fratellanza e pace
  • Mons. Tomasi all’Onu: le aziende rispettino i diritti umani dei lavoratori
  • Il Papa riceve in udienza il cardinale Filoni
  • Biennale Venezia: inaugurazione del Padiglione vaticano sul tema della Genesi
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Al via il tour americano di Xi Jinping: il 7 giugno l'incontro con Obama
  • Siria: sparati 17 colpi d'artiglieria sul nord del Libano
  • Myanmar: accordo di pace del governo con i ribelli Kachin
  • Giornata senza tabacco: 600 mila le vittime ma tabagismo non cala
  • Accademia dei Lincei, giornata di studio sulla “Società dell’invecchiamento”
  • Unitalsi, 110 anni: "treni bianchi" per i malati nel corpo e nello spirito

  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: villaggi cristiani nell’area di Homs invasi e devastati da bande armate
  • Gerusalemme: scritte anticristiane contro l'Abbazia della Dormizione sul Monte Sion
  • Mons. Shomali: a Gaza il governo chiede di separare ragazze e ragazzi nelle scuole cattoliche
  • Card. Bagnasco: il matrimonio omosessuale "è un vulnus grave alla famiglia"
  • Incontro Ue-Chiese sull'integrazione europea
  • Congo: appello dei vescovi a Stato e comunità internazionale per le violenze nel Kivu
  • Centrafrica: nuovi fondi di Acs in favore delle quattro diocesi del Paese
  • Turchia: iniziato il “ritorno” dei caldei emigrati in Europa
  • Egitto. Tawadros II: “Non mi è stato chiesto di intervenire per la diga etiopica”
  • India. Vescovo dell’Orissa: unità fra i cristiani, per promuovere pace e giustizia
  • Bhutan: elezioni parlamentari. Silenzio su libertà religiosa e pulizia etnica
  • El Salvador: 1.604 morti per violenze negli ultimi quattro anni
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco: Dio è gioia, il Vangelo non si porta avanti con i cristiani sfiduciati

    ◊   Lo Spirito Santo è “l’autore” della gioia cristiana e per annunciare il Vangelo è necessario avere nel cuore la gioia che dona lo Spirito di Dio. Papa Francesco lo ha ripetuto durante la Messa del mattino celebrata a Casa S. Marta. Con lui sull’altare, vi erano il cardinale Jozef Tomko, l’arcivescovo di Faridabad-Delhi, Kuriakose Bharanikulangara, e quello di Belo Horizonte, Walmor Oliveira de Azevedo. Tra i partecipanti alla Messa, un gruppo di dipendenti dei Servizi economici del Vaticano, con il direttore Sabatino Napolitano, e collaboratori delle Guardie Svizzere. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Con le facce da funerale non si può annunciare Gesù. Papa Francesco traccia una linea di demarcazione rispetto a un certo modo di intendere la vita cristiana, improntato alla tristezza. A suggerire questa riflessione sono le due letture del mattino. La prima, del profeta Sofonia, riporta l’esclamazione “Rallegrati! Grida di gioia, il Signore è in mezzo a te!”. La seconda, tratta dal Vangelo, racconta di Elisabetta e del figlio che le “esulta di gioia” nel grembo all’udire le parole di Maria – di cui il Papa, come domenica scorsa, sottolinea ancora la “fretta” con la quale si è recata in aiuto dalla cugina. Dunque, osserva Papa Francesco, “è tutto gioia, la gioia che è festa”. Eppure, prosegue, “noi cristiani non siamo tanto abituati a parlare di gioia, di allegria”, “credo che tante volte ci piacciano più le lamentele”. E invece, chi “ci dà la gioia è lo Spirito Santo”:

    “E’ proprio lo Spirito che ci guida: Lui è l’autore della gioia, il Creatore della gioia. E questa gioia nello Spirito, ci dà la vera libertà cristiana. Senza gioia, noi cristiani non possiamo diventare liberi, diventiamo schiavi delle nostre tristezze. Il grande Paolo VI diceva che non si può portare avanti il Vangelo con cristiani tristi, sfiduciati, scoraggiati. Non si può. Questo atteggiamento un po’ funebre, eh? Tante volte i cristiani hanno la faccia di andare più a un corteo funebre che di andare a lodare Dio, no? E da questa gioia viene la lode, questa lode di Maria, questa lode che dice Sofonia, questa lode di Simeone, di Anna: la lode di Dio!”

    E come si loda Dio? Si loda uscendo da se stessi, “gratuitamente, com’è gratuita la grazia che Lui ci dà”, spiega Papa Francesco. Il quale stimola un esame di coscienza sui modi di pregare Dio rivolgendo a chi lo ascolta questa domanda:

    “’Lei che è qui a Messa, lei loda Dio o soltanto chiede a Dio e ringrazia Dio? Ma loda Dio?’. E’ una cosa nuova quella, nuova nella nostra vita spirituale. Lodare Dio, uscire da noi stessi per lodare; perdere del tempo lodando. ‘Questa Messa, che lunga s’è fatta!’. Se tu non lodi Dio, non sai quella gratuità di perdere il tempo lodando a Dio, è lunga la Messa. Ma se tu vai su questo atteggiamento della gioia, della lode a Dio, quello è bello! L’eternità sarà quello: lodare Dio! E quello non sarà noioso: sarà bellissimo! Questa gioia ci fa liberi”.

    Il modello di questa lode, e di questa gioia, è ancora una volta la Madre di Gesù. “La Chiesa – ricorda Papa Francesco – la chiama “causa della nostra gioia”, Causa Nostrae Letitiae. Perché? Perché porta la gioia più grande che è Gesù”:

    “Dobbiamo pregare la Madonna, perché portando Gesù ci dia la grazia della gioia, della libertà della gioia. Ci dia la grazia di lodare, di lodare con una preghiera di lode gratuita, di lode, perché Lui è degno di lode sempre. Pregare la Madonna e dirle come le dice la Chiesa: Veni, Precelsa Domina, Maria, tu nos visita, Signora, tu che sei tanto grande, visita noi e donaci la gioia!”.

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    Corpus Domini. Il Papa: "Non dobbiamo avere paura della solidarietà, parola malvista dallo spirito mondano"

    ◊   “Nell’Eucaristia il Signore ci fa percorrere la sua strada, quella del servizio, della condivisione, del dono”. Papa Francesco, per la Solennità del Corpus Domini, celebrata nella Basilica di San Giovanni a Laterano, chiede ai fedeli di seguire Gesù e di ascoltarlo, anche per imparare il valore della parola “solidarietà”. Al termine del rito, Papa Francesco ha presieduto a piedi la processione lungo via Merulana tra due ali di folla ed ha impartito la benedizione eucaristica a Santa Maria Maggiore. Servizio di Francesca Sabatinelli:

    Sequela, comunione, condivisione, attraverso queste tre parole Papa Francesco declina la sua omelia, improntata al Vangelo di Luca sul miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Il Papa ci parla della folla, della moltitudine che segue Gesù, per dirci che ascoltarlo significa fare della nostra vita un dono. "Noi - indica il Papa - siamo la folla del Vangelo, anche noi cerchiamo di seguire Gesù per ascoltarlo, per entrare in comunione con Lui nell’Eucaristia, per accompagnarlo e perché ci accompagni”. Quella folla, di cui ci racconta Luca, ascolta Gesù perché “parla e agisce in modo nuovo”, con verità, con l’autorità di chi “è rivelazione del Volto di un Dio che è amore”:

    "Chiediamoci: come seguo io Gesù? Gesù parla in silenzio nel Mistero dell’Eucaristia e ogni volta ci ricorda che seguirlo vuol dire uscire da noi stessi e fare della nostra vita non un nostro possesso, ma un dono a Lui e agli altri".

    Agli apostoli Gesù chiede di sfamare quella folla, che per seguirlo si trova all’aperto, lontana dai centri abitati, all’imbrunire. Per i suoi discepoli, nonostante la necessità della moltitudine, la soluzione, ci spiega il Papa, è tutt’altra: ognuno pensi a se stesso, congedare la folla. Di qui l’appello ai fedeli:

    "Quante volte noi cristiani abbiamo questa tentazione! Non ci facciamo carico delle necessità degli altri, congedandoli con un pietoso: 'Che Dio ti aiuti'. O con un non tanto pietoso: 'Felice sorte… e se non ti vedo più'…”


    Ciò che invece Gesù propone agli Apostoli è altro, e li sorprende: chiede loro di dare da mangiare, nonostante i soli cinque pani e due pesci. E così avviene. E’ un momento di profonda comunione, questo di cui parla Papa Francesco: “Questa sera – ci dice – anche noi siamo attorno alla mensa del Signore, alla mensa del Sacrificio eucaristico, in cui Egli ci dona ancora una volta il suo Corpo, rende presente l’unico sacrificio della Croce”:

    "E’ nell’ascoltare la sua Parola, nel nutrirci del suo Corpo e del suo Sangue, che Egli ci fa passare dall’essere moltitudine all’essere comunità, dall’anonimato alla comunione.".

    “L’Eucaristia, prosegue, è il Sacramento della comunione, che ci fa uscire dall’individualismo per vivere insieme la sequela, la fede in Lui”:

    "Allora dovremmo chiederci tutti davanti al Signore: come vivo io l’Eucaristia? La vivo in modo anonimo o come momento di vera comunione con il Signore, ma anche con tutti fratelli e sorelle che condividono questa stessa mensa? Come sono le nostre celebrazioni eucaristiche?".

    Terzo e ultimo elemento: da dove nasce la moltiplicazione dei pani? Il Papa ci aiuta a individuare la risposta “nell’invito di Gesù ai discepoli «Voi stessi date…», “dare”, condividere”:

    "E questo ci dice che nella Chiesa, ma anche nella società, una parola chiave di cui non dobbiamo avere paura è 'solidarietà', saper mettere, cioè, a disposizione di Dio quello che abbiamo, le nostre umili capacità, perché solo nella condivisione, nel dono, la nostra vita sarà feconda, porterà frutto. Solidarietà: una parola malvista dallo spirito mondano!".

    In conclusione, Papa Francesco ci dice come, ancora una volta, “il Signore distribuisce per noi il pane che è il suo Corpo, Lui si fa dono”. “E anche noi sperimentiamo la “solidarietà di Dio” con l’uomo, una solidarietà che mai si esaurisce, una solidarietà che non finisce di stupirci: Dio si fa vicino a noi, nel sacrificio della Croce si abbassa entrando nel buio della morte per darci la sua vita, che vince il male, l’egoismo, e la morte:

    "Nell’Eucaristia il Signore ci fa percorrere la sua strada, quella del servizio, della condivisione, del dono, e quel poco che abbiamo, quel poco che siamo, se condiviso, diventa ricchezza, perché la potenza di Dio, che è quella dell’amore, scende nella nostra povertà per trasformarla."

    Papa Francesco si congeda dunque dai fedeli, affidandoci un importante compito, quello di chiederci tutti se grazie all’adorazione di Cristo presente nell’Eucaristia, ci lasciamo trasformare da lui, se consentiamo al Signore che si è donato a noi, di guidarci per farci uscire dai nostri piccoli recinti e per non farci avere paura di donare, di condividere, di amare Lui e gli altri.

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    Il Papa chiude il Mese mariano in Piazza San Pietro

    ◊   Papa Francesco chiuderà stasera il Mese mariano in Piazza San Pietro. La celebrazione inizierà alle 20 con la Recita del Rosario. Il Papa concluderà la preghiera con una meditazione e con la benedizione apostolica. Cinque anni fa, il 31 maggio del 2008, anche Benedetto XVI aveva concluso il mese mariano in Piazza San Pietro. Sull’importanza di questo evento, Alessandro Gisotti, ha intervistato padre Salvatore Maria Perrella, preside della Pontificia Facoltà Teologica Marianum:

    R. – Il mese di maggio è tradizionalmente dedicato dal popolo cristiano a Maria, anche se va detto che il mese di maggio è il mese dello Spirito Santo. Quindi, c’è un abbinamento doveroso da fare: lo Spirito e Maria. Lo Spirito fa la Chiesa di Cristo, lo Spirito ha plasmato Maria rendendola Madre di Gesù, icona dei credenti. Per quanto riguarda, poi, la chiusura del mese di maggio noi ci troviamo proprio nel giorno tipico della marianità della fede, perché celebriamo la memoria della Visitazione di Maria a Santa Elisabetta, ed è bello che il vescovo di Roma chiuda il mese di maggio con la contemplazione dei misteri mediante la pia pratica, la bella preghiera evangelica del Rosario.

    D. – Papa Francesco, peraltro, in questo inizio di Pontificato, ha più volte e in più occasioni esortato soprattutto le famiglie a pregare insieme proprio il Rosario …

    R. – Il Rosario è una preghiera a cui i Papi hanno sempre tenuto: da Leone XIII a Paolo VI a Giovanni Paolo II, a Papa Benedetto e quindi a Papa Francesco. Perché il Rosario è preghiera familiare della famiglia di Dio, cioè della Chiesa; è preghiera delle famiglie che devono trovare spazi di preghiera, di orazione, di contemplazione: altrimenti, la famiglia si sradica dal nucleo fondamentale che è la famiglia stessa di Dio, la Trinità, che è presente in ogni famiglia visto che la famiglia – insegnava Papa Giovanni Paolo II – è veramente "icona della Trinità".

    D. – Nel pomeriggio di domani, l’immagine della Madonna di Pompei sarà portata in processione nella Basilica di San Pietro. Un suo pensiero su quanto è importante anche la devozione alla Madonna di Pompei …

    R. – Io ho un affetto particolare verso questa immagine, questa icona della Vergine di Pompei, non solo per il fatto anagrafico: sono napoletano... Per noi, partenopei, gente del Sud ma anche dell’Italia e del mondo, l’icona di Maria che, sorridendo, ci offre la corona e con la corona, più della corona, ci offre il Figlio, è l’immagine più bella che possa veramente ridestare in noi questa passione per il Figlio di Maria, per il Figlio di Dio. Dobbiamo dire con Bartolo Longo che il Rosario è “catena dolce che ci rannoda a Dio”. E’ bello pensare che nella Chiesa in cui il vescovo di Roma celebra e rappresenta l’unità stessa della Chiesa, si trovi l’icona della Vergine di Pompei che Papa Benedetto mesi fa aveva fatto restaurare, ridonandola a Pompei. E’ un ritorno, quasi a dire che Maria ringrazia il Papa per questo restauro doveroso che è stato fatto.

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    Tweet del Papa: "Tutta la storia della salvezza è la storia di Dio che cerca l’uomo"

    ◊   Nella Festa della Visitazione della Beata Vergine Maria, Papa Francesco ha lanciato questo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Tutta la storia della salvezza è la storia di Dio che cerca l’uomo: gli offre il suo amore, lo accoglie con tenerezza”.

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    Intervista al presidente dello Ior Ernst von Freyberg: trasparenza con bilanci on line e controlli sui 19 mila conti

    ◊   Prendendo con decisione l’iniziativa di una nuova “politica di comunicazione” dell’Istituto per le Opere di Religione, il presidente del Consiglio di sorveglianza, Ernst von Freyberg, ha concesso una serie di interviste a qualificati rappresentanti della stampa internazionale, che vengono pubblicate oggi, 31 maggio. Per la Radio Vaticana l’intervista è stata realizzata dal padre Bernd Hagenkord, responsabile della Sezione Tedesca. L’originale è in lingua inglese e viene pubblicato integralmente in scritto e audio sulla pagina web in lingua inglese del sito della Radio Vaticana.

    Ernst von Freyberg è stato nominato presidente dello Ior il 15 febbraio scorso dal Consiglio cardinalizio di sorveglianza dell’Istituto, dopo un lungo e attento processo di selezione delle candidature.

    Lo Ior, nella forma attuale, è stato fondato da Pio XII nel 1942 “per custodire e amministrare beni trasferiti o affidati all’Istituto da persone fisiche o giuridiche, per finalità di opere di religione o di carità”. L’Istituto, sito nella Città del Vaticano, amministra oggi fondi per un valore totale di circa 7 miliardi di Euro, ha circa 19.000 clienti (5.200 istituzioni cattoliche, titolari di oltre l’85% dei fondi amministrati, e 13.700 individui, fra cui gli impiegati vaticani, oltre a religiosi e alcune altre categorie specifiche autorizzate, come i diplomatici accreditati presso la Santa Sede).

    D. – Presidente von Freyberg le piace il suo lavoro, venendo a Roma da Francoforte? Le piace lavorare in Vaticano?

    R. – It is a great privilege to work here; it is the most inspiring environment …
    E’ un grande privilegio lavorare qui; è l’atmosfera più ispiratrice che si possa immaginare, lavorare in Vaticano … Ed è anche una grande sfida servire il Papa nel ristabilire la reputazione di questo Istituto.

    D. – Come aveva immaginato – prima di iniziarlo – il suo lavoro qui?

    R. – Different from what it is. When I came here I thought I would need …
    Diversamente da quello che è. Quando sono venuto, pensavo di dovermi concentrare su quello che normalmente viene definito “fare pulizia” e “mettere in ordine” fra i conti correnti irregolari. A tutt’ora non vi è nulla di tutto questo che io abbia potuto rilevare. Questo non significa che non ci sia niente, ma piuttosto che questa non è la nostra preoccupazione maggiore. La nostra preoccupazione maggiore è la nostra reputazione. Il nostro lavoro – il mio lavoro – riguarda la comunicazione molto più di quanto non avessi pensato originariamente. E’ c’è da fare molta più comunicazione all’interno della Chiesa: non abbiamo fatto abbastanza in passato. Il lavoro inizia in casa nostra, con i nostri stessi dipendenti, con coloro che lavorano per la Chiesa di Roma, con coloro che sono nella Chiesa in tutto il mondo. A loro in primo luogo siamo debitori di trasparenza e di una chiara spiegazione in merito a quel che facciamo e del modo in cui cerchiamo di servire.

    D. – Come avviene che una persona come Lei, con la sua esperienza, possa voler lavorare per il Vaticano, dopo tutte le avventure che ha passato lo Ior?

    R. – You don’t want to. It is not something you sit at home and dream of. …
    Non è una cosa che vuoi. Non è che stai seduto a casa e lo sogni. Anche quando sei al colloquio, non dici a te stesso “Voglio fortemente questo incarico”. Quando poi sei convocato, sei contento di accettare la convocazione e questo penso che sia vero anche per gli altri candidati che hanno fatto il colloquio per questo incarico. Una volta che sei qui, poi, ti rendi conto che si tratta veramente di una bella esperienza e che è molto meno irta di complicazioni e di problemi interni di quanto ci si possa aspettare dall’esterno.

    D. – Come si svolge una giornata-tipo in ufficio? Certo, guardare fuori dalla finestra e trovarsi davanti Piazza San Pietro è certamente una vista alla quale la maggior parte della gente non è abituata … E’ come una giornata-tipo nel suo ufficio a Francoforte?

    R. – A normal day starts in the most extraordinary way, because I have the privilege …
    Una giornata normale che inizia nel modo più straordinario, perché ho il privilegio di alloggiare a Santa Marta e mi è concesso talvolta di partecipare alla Messa celebrata dal Papa. Questo è già un privilegio in sé: essere qui alle sette del mattino ed ascoltare le sue omelie, brevi e sempre molto intense. In ufficio, la mia giornata è strutturata secondo dei progetti. Sono un grande sostenitore dell’affrontare le questioni nella maniera sistematica di gestione del progetto. Il nostro impegno maggiore, qui, è di suddividere il compito in progetti e sotto-progetti, ed io partecipo ai comitati che portano avanti questi progetti. Incontro tutti i giorni il direttore ed il vice direttore per esaminare il lavoro del giorno, preparo riunioni di consiglio e poi comunico. Parlo all’interno della Chiesa, parlo con i giornalisti, oggi [martedì] sono stato a pranzo con l’ambasciatore di uno dei grandi Paesi del mondo per spiegare quello che stiamo facendo. Il mio impegno è diviso tra gestione dei progetti, ordinaria amministrazione e comunicazione.

    D. – E per questo, la ringraziamo di parlare anche con noi. Si è parlato del fatto che lei sarebbe una sorta di direttore part-time. Lei non vive sempre a Roma: riesce a gestire questa situazione?

    R. – When you look at our statutes, they say that we [the board] meet every …
    Se ci attenessimo agli statuti, questi prevedono che noi – il consiglio – ci incontriamo ogni tre mesi in quanto comitato; e che una volta al mese io passi in esame il risultato economico con il direttore generale. Questo è quello che i padri fondatori hanno previsto per la mia posizione. Quando ho fatto il colloquio, mi era stato detto “uno o due giorni alla settimana”; ora sto tre giorni a Roma e uno o due giorni lavoro in altre parti del mondo, ma sempre per l’Istituto. Penso che ad un certo punto dovrò riprendere ad attenermi un po’ di più agli statuti …

    D. – Ma per il momento, va bene per il suo lavoro …

    R. – When I look at the challenges we have, we need every hour on this.
    Se penso alle sfide che abbiamo di fronte, abbiamo bisogno di ogni singola ora di lavoro.

    D. – Lei lavora alle dipendenze di una commissione cardinalizia. In pratica, cosa vuol dire?

    R. – We have a commission of five cardinals, which is the highest instance …
    C’è una commissione di cinque cardinali, la più alta istanza del nostro istituto. Li incontriamo all’incirca ogni due-tre mesi, normalmente nel contesto di una riunione di consiglio. Il direttore generale ed io incontriamo ogni mese il presidente della commissione cardinalizia per rendere conto del nostro operato ma anche per coordinare quello che stiamo facendo.

    D. – Ci sono anche altre agenzie, come società di consulenza, che collaborano al vostro lavoro?

    R. – There is one principal agency, which is not a consulting firm but …
    C’è un’agenzia principale, che non è una società di consulenza ma il nostro supervisore, ed è l’Aif (l’Autorità di informazione finanziaria). Essa è l’autorità finanziaria che ha la supervisione di tutte le istituzioni finanziarie vaticane. A questa agenzia io riferisco regolarmente e con questa lavoro a stretto contatto. Per quando riguarda consulenti esterni: ne ho assunti un certo numero. Penso di avere assunto i consulenti più rinomati a livello mondiale nel campo della consulenza anti-riciclaggio, al fine di esaminare ogni singolo nostro conto corrente e per esaminare le nostre strutture e i nostri procedimenti volti all’identificazione del riciclaggio di denaro. Abbiamo assunto anche esperti della comunicazione ed uno dei più importanti studi legali perché ci assista nella migliore comprensione del quadro normativo nel quale ci muoviamo e nel nostro essere conformi alle leggi.

    D. – Parliamo di riciclaggio di denaro: immagino che ci siano delle norme da applicare …

    R. – The Holy See has committed to international standards. …
    La Santa Sede si è impegnata a rispettare gli standard internazionali. Noi applichiamo le leggi e gli standard più elevati richiesti dalle nostre banche corrispondenti. Personalmente, mi trovo sullo scrittoio ogni settimana tutti i casi sospetti e ho riunioni settimanali con il responsabile nell’impegno anti-riciclaggio. Inoltre, applichiamo una politica di tolleranza zero nei riguardi di clienti e di impiegati coinvolti in attività di riciclaggio.

    D. – Parliamo della banca, “la Banca del Vaticano”: anche se questo termine non è esatto, è così che è conosciuto il suo istituto. E’ legato a molti miti, ma al di là dei miti: cos’è esattamente, lo Ior?

    R. – The Ior is the same a sit was set up in 1942. It only does two things: …
    Lo Ior è quello che era quando è stato istituito nel 1942. Fa soltanto due cose. La prima: riceve depositi dai suoi clienti e li custodisce. Anzitutto siamo una sorta di ufficio di famiglia, che protegge i fondi dei membri della famiglia. I membri di questa famiglia sono la Santa Sede, le istituzioni collegate con la Santa Sede, soprattutto le congregazioni religiose con le loro attività estese a livello mondiale, i membri del clero e i dipendenti del Vaticano. Il secondo servizio che forniamo, accanto alla protezione e alla custodia, sono servizi di pagamento: questo significa che forniamo il servizio di trasferimento di fondi – in particolare alle entità vaticane ed alle congregazioni che hanno attività sparse nel mondo – nei luoghi nei quali si svolgono le loro attività.

    D. – Quindi, in termini stretti, non siete una banca?

    R. – We are not a bank. We do not lend money, we do not make investments, …
    Non siamo una banca. Non prestiamo denaro, non facciamo investimenti diretti, non operiamo da controparte finanziaria. Non speculiamo in valuta o merci; il nostro principio è che riceviamo denaro e lo investiamo in titoli di Stato, in alcune obbligazioni societarie e nel mercato inter-bancario, nell’ambito del quale depositiamo ad un tasso d’interesse leggermente più alto rispetto a quello che riceviamo, al fine di poter restituire il denaro ai nostri clienti in qualsiasi momento.

    D. – Quello che avete in comune con altre banche è che guadagnate denaro, e alla fine della giornata c’è un certo guadagno. Questo è voluto o è una cosa che succede?

    R. – Our mission is to serve. If we do our job well, we can expect to gain …
    La nostra missione è servire. Se svolgiamo bene il nostro compito, possiamo aspettarcene un guadagno. Forniamo un contributo di circa 55 milioni di euro al bilancio del Vaticano e ne siamo un pilastro economico importante. Ora, Lei potrebbe chiedermi come facciamo a guadagnare 55 milioni di euro. Analizzando il nostro conto economico, se ne rilevano tre elementi fondamentali: uno sono gli interessi che versiamo a chi deposita. Poi gli interessi attivi che percepiamo da questo. E questa è la parte più rilevante del nostro reddito, che ammonta annualmente a 50-70 milioni di euro, dai quali noi deduciamo poi le nostre spese. Poi abbiamo il guadagno sui prezzi delle obbligazioni, che salgono e scendono: ecco, così si costituisce il nostro profitto. Quindi, margine d’interesse e il cambiamento nei valori dei titoli che possediamo; da questo vanno detratti i costi operativi che ammontano a circa 25 milioni di euro.

    D. – E tutto questo finisce, immagino, su un conto corrente a vantaggio del Vaticano, no?

    R. – It goes into an account which is for the Vatican.
    Finisce su un conto corrente che è per il Vaticano.

    D. – Facciamo un’ipotesi: io vengo da Lei; ho appena fondato una congregazione religiosa. Quali servizi Lei può fornire a me e alla mia congregazione?

    R. – Only two: you could deposit your funds which you have received …
    Solo due: può depositare i fondi che ha ricevuti da chiunque la sostenga, noi li custodiamo, Le versiamo gli interessi su questi fondi e Le restituiamo tutto in qualsiasi momento Lei ne abbia bisogno. Se Lei mi dice che ha istituito tre province, una in Asia, una in Africa e una in America Latina, io potrei garantirLe il trasferimento dei fondi ai suoi confratelli che sono sul posto per svolgere opera di carità, e Le garantirei anche che il denaro possa raggiungerli anche nei posti più strani del mondo.

    D. – Quale servizio rende lo Ior unico? Quale servizio che una normale banca – grande o media – non possa fornire?

    R. – What is really unique is that we really understand the world of the Church …
    Ciò che realmente è unico è che noi veramente comprendiamo il mondo della Chiesa e la missione della Chiesa. Nello Ior ci sono 112 persone che gestiscono 19.000 clienti. In larga maggioranza, essi sono suore o religiosi e molto spesso essi conoscono la persona che allo Ior si occupa di loro da 20 o 30 anni. Noi sappiamo esattamente di cosa hanno bisogno e loro qui trovano una persona fidata, ed è questo rapporto personale che li spinge a venire qui. Siamo in competizione come qualsiasi altro istituto finanziario nel mondo. Ogni singolo nostro cliente viene costantemente sollecitato dalle banche di appoggiarsi a loro. Rimangono con noi perché vogliono rimanere con noi. Vede, se chiedessimo ai nostri clienti: “Chiudiamo lo Ior?”, al 99,99% risponderebbero di no. Vogliono rimanere qui, vogliono portare i loro denari qui. Trovano un’assistenza personalizzata e l’esperienza ha dimostrato che qui sono al sicuro. Lo Ior è altamente capitalizzato, ha un patrimonio netto di circa 800 milioni su un bilancio di 5 miliardi. E’ il doppio di quello che si potrebbe trovare nelle banche al di fuori del Vaticano. In tutta la crisi finanziaria non siamo mai stati in difficoltà. Nessun governo ha dovuto salvarci; siamo molto, molto al sicuro.

    D. – Quindi: il vostro servizio speciale consiste nel fatto che la vostra gente conosce i clienti e la Chiesa, ma a lungo termine anche un’altra istituzione potrebbe fornire questo tipo di servizio. Ci sono altre banche – anche banche cattoliche, ad esempio – che potrebbero fornire servizi uguali, non pensa?

    R. – They also could provide a very good service. I would not say …
    Potrebbero fornire anche un servizio molto buono: non direi uguale, perché ogni servizio è diverso. Probabilmente, molti dei nostri clienti si appoggiano anche ad altre banche e confrontano il nostro servizio con il loro.

    D. – Ma perché il Vaticano dovrebbe avere una “banca”? Questa è una domanda che si sente ripetere spesso, specialmente oggi, dopo l’elezione di Papa Francesco. Qual è la sua risposta?

    R. – I would look at it from two perspectives. One is our customers. They want us …
    Io guarderei alla domanda da due prospettive diverse: una è quella dei nostri clienti. Loro vogliono che noi ci siamo. Questo è il motivo per cui 19.000 clienti hanno scelto di depositare lì i loro denari. L’altro punto di vista è chiedersi se offriamo un buon servizio al Santo Padre. E con la reputazione che abbiamo, non abbiamo reso un buon servigio al Santo Padre, perché questa reputazione oscura il messaggio. E questo per me è il primo e più importante compito da affrontare.

    D. – Per uscire dall’angolo?

    R. – To get out of the limelight and into a corner (ridono): …
    In realtà, per uscire dalle luci della ribalta e tornare nell’angolo (ridono): per svolgere umilmente il nostro servizio e non trovarci costantemente sotto ai riflettori.

    D. – Diceva del numero dei clienti: a confronto con altre banche, è alto, piccolo, medio?

    R. – It’s tiny. There are few smaller banks than our institute.
    E’ piccolo: ci sono solo poche banche più piccole del nostro istituto.

    D. – Il Rapporto dell’Autorità di informazione finanziaria (Aif), a cui lei faceva riferimento prima, ha indicato sei casi illeciti. Questo significa che lo Ior è implicato in comportamenti non idonei, o cosa ci dicono queste cifre?

    R. – The number first of all tells u show rumours start. …
    Prima di tutto, queste cifre ci fanno capire come nascono le “voci”. Non sono “illeciti”, ma “sospetti”, e in realtà ciò dimostra che il nostro sistema di monitoraggio interno incomincia a funzionare. Questo significa che siamo diligenti e che abbiamo identificato sei transazioni delle quali abbiamo pensato che fossero inappropriate e per questo le abbiamo riferite al nostro supervisore. Quando identifichiamo una tale transazione, immediatamente la segnaliamo all’Aif, che è il nostro supervisore.

    D. – Questo è il metodo di trasparenza da parte dell’Aif e anche da parte vostra …

    R. – That is the reporting system, in place within the Holy See, applicable to …
    Questo è il sistema di segnalazione in atto all’interno della Santa Sede, che può essere applicato ad ogni istituzione finanziaria. E’ quello che ci si aspetterebbe in un sistema finanziario moderno: un sistema che controlli ogni transazione. Noi non siamo una banca, ma in quanto istituzione finanziaria, questa disposizione vale anche per noi. Noi controlliamo ogni transazione; se rileviamo un qualsiasi comportamento sospetto, presentiamo un cosiddetto “Rapporto di transazione sospetta” all’Aif. Questo sistema è progettato per prevenire il riciclaggio di denaro sporco e il finanziamento del terrorismo.

    D. – Si è parlato molto anche della “lista bianca” dell’Ocse: il Vaticano vorrebbe essere accolto in quella “lista bianca”. Come il suo Istituto può contribuire affinché ciò avvenga?

    R. – There is no white list. The purpose of the Moneyval process is to identify …
    Non c’è nessuna “lista bianca”. Lo scopo della procedura Moneyval è identificare Paesi e giurisdizioni che possano mettere a rischio il sistema finanziario globale. Questo avviene eseguendo valutazioni riguardo al quadro giuridico di ogni Paese e giurisdizione. Si identificano quei Paesi e quelle giurisdizioni che vengono definiti critici. La Santa Sede si è sottoposta a questa valutazione l’anno scorso e secondo il Rapporto Moneyval, pubblicato l’anno scorso, la Santa Sede ha in atto un sistema funzionale e non è considerata una giurisdizione critica. Detto ciò, noi dello Ior siamo un elemento di tale sistema. Siamo chiamati, in particolare, a mettere in atto procedimenti e strutture più severi al fine di individuare transazioni sospette e clienti sospetti. Perciò ora mi avvalgo dell’opera della migliore agenzia di consulenza del mondo per queste faccende, per riscrivere il nostro manuale su come individuare transazioni e clienti sospetti e come ricontrollare tutti i nostri conti correnti. Strutture e procedure saranno pronte alla fine dell’estate, e con questo avremo compiuto questa parte dell’opera. Ma andremo oltre e controlleremo ogni singolo deposito, e questo sarà portato a conclusione entro la fine dell’anno.

    D. – Nel suo istituto ci sono conti cifrati? Corrono sempre voci su somme enormi senza padrone …

    R. – That is another good example. That is pure fiction. There are no …
    Questo è un altro buon esempio: è pura fantasia. Non esistono conti cifrati. Fin dal 1996 è tecnicamente impossibile, con il nostro sistema, aprire un deposito cifrato. Sarebbe anche contro la legge del Vaticano. Io stesso sono andato a controllare nel sistema, ho fatto controlli a campione: non ho trovato traccia di conti cifrati.

    D. – Nemmeno per quanto riguarda il passato?

    R. – They would not work in the system.
    Non potrebbero esistere in questo sistema.

    D. – Noi ora siamo seduti qui per questa intervista; la settimana scorsa c’è stato il rapporto all’Autorità di informazione finanziaria: trasparenza è la nuova parola d’ordine allo Ior?

    R. – Transparency is a key, but not only transparency but also what …
    La trasparenza è una chiave, ma non solo la trasparenza; anche ciò a cui si mira, una volta diventati trasparenti: e cioè, che siamo completamente puliti, come è necessario essere se si vuole essere accettati nel sistema finanziario internazionale. La trasparenza non è una cosa che il mondo ha da sempre e alla quale il Vaticano dev’essere trascinato. Se torniamo indietro di 15 anni, probabilmente allora eravamo molto normali, nel senso che tutte le istituzioni finanziarie private nel mondo, e anche quelle pubbliche, operavano sulla base del segreto bancario. Oggi è ancora al centro di un grande dibattito all’interno dell’Unione Europea fino a che punto debba valere il segreto bancario. Poi, sono accadute tre cose: la prima è stata l’11 settembre, quando gli americani sono partiti all’attacco per identificare i finanziamenti ai terroristi. Questo processo ovviamente è iniziato dalle maggiori banche del mondo ed ora ha raggiunto anche la più piccola banca o il più piccolo istituto nel più piccolo Stato: per arrivare a questo, ci sono voluti alcuni anni. Poi sono arrivati i social media, e con i mezzi di comunicazione sociale nella pubblica opinione è venuto formandosi un concetto completamente nuovo di segretezza, anche nell’ambito della finanza. Poi è venuta la crisi finanziaria insieme alla necessità e al desiderio che le autorità fiscali trattassero in maniera equa i contribuenti, richiamando gli evasori alle loro responsabilità. Questo, a sua volta, ha costretto le istituzioni finanziarie a rinunciare ad una parte del segreto bancario. Questi tre eventi hanno trasformato l’ambito finanziario nel mondo, e noi siamo arrivati in ritardo, ad adeguarci a questo nuovo mondo. Ora stiamo correndo per recuperare e per tornare dove eravamo 15 anni fa: relativamente normali in confronto con altre istituzioni finanziarie.

    D. – Pure, come Lei ha detto, in questo momento c’è una sorta di ombra sul Vaticano, che un po’ scolora l’immagine e del papato e del Vaticano stesso. C’è stato qualcosa di sbagliato o non ancora applicato …

    R. – Yes. Now we are coming back to our reputation. That is the most important …
    Sì: ora stiamo riguadagnando la nostra reputazione. Questa è la cosa più importante che devo fare: cacciare quell’ombra.

    D. – Sarà possibile?

    R. – Yes. I believe we are a well managed, clean financial institution. …
    Sì, perché credo che siamo un’istituzione finanziaria ben gestita e pulita. Possiamo migliorare in tutti gli ambiti, come tutti gli altri, e ci stiamo impegnando ad essere validi come lo sono istituti simili. Poi, abbiamo bisogno di comunicare. Nel passato, non parlavamo con nessuno, a cominciare dai nostri interlocutori più prossimi. Non abbiamo parlato in maniera sistematica con i cardinali, non con la Curia, non con la Chiesa. E’ diritto di ciascun membro della Chiesa cattolica in ogni parte del mondo di essere informato dettagliatamente su questa istituzione. Cosa faremo ora? Inizieremo a parlare con i media, parleremo nella Chiesa ed informeremo in maniera sistematica i nostri interlocutori fondamentali; presenteremo un rapporto annuale come farebbe ogni altra istituzione finanziaria e lo pubblicheremo in internet il 1° ottobre, sul nostro sito.

    D. – Il suo incarico dura cinque anni, vero?

    R. – To be precise, I stepped in the middle on a term, my term ends in 2015.
    Ad essere precisi, ho iniziato nel mezzo di un mandato: il mio incarico finisce nel 2015.

    D. – Nel 2015, che cosa considererebbe un successo del suo lavoro?

    R. – My dream is a very clear one. My dream is that our reputation is such …
    Il mio sogno è molto chiaro: il mio sogno è che la nostra reputazione sia tale che la gente non pensi più tanto a noi; che quando la gente pensa “Vaticano”, non pensi più “Ior” ma ascolti le parole del Papa.

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    Il card. Sandri ad Amman: il Papa invoca sulla Giordania prosperità, fratellanza e pace

    ◊   Si avvia alla conclusione la visita del cardinale Leonardo Sandri in Libano e Giordania, iniziato il 24 maggio scorso. Il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali rientrerà domani a Roma. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Ultima tappa oggi del viaggio del cardinale Sandri è la visita al centro Regina Pacis nella capitale giordana Amman: si tratta di una istituzione della Chiesa cattolica latina per bambini disabili che negli ultimi mesi è diventata anche un luogo di accoglienza per alcune famiglie cristiane siriane fuggite dal loro Paese a causa della guerra. Ieri, il porporato ha inaugurato ufficialmente l’Università cattolica di Madaba, voluta dal Patriarcato Latino di Gerusalemme, la cui prima pietra è stata posta da Benedetto XVI nel 2009 e che ha aperto i battenti nel 2011. La cerimonia si è svolta alla presenza del Re giordano Abd Allāh II ibn al-Husayn, a cui il cardinale Sandri ha portato il saluto di Papa Francesco che assicura le sue preghiere invocando sull’intera nazione “prosperità, fratellanza e pace”. La Giordania – ha detto il cardinale Sandri – ha “un ruolo chiave nella regione del Medio Oriente per la costruzione della solidarietà e della comprensione internazionale”. Questa Università – ha proseguito – “è, prima di tutto, un’espressione della priorità comune della Chiesa e dello Stato: l'educazione della gioventù” che “è il futuro dell'umanità e della Chiesa. Tutti i conflitti, la povertà e le miserie di tutti i tipi – ha osservato - possono essere gradualmente risolti, se investiamo nell'educazione dei giovani”. “Tuttavia, non ogni tipo di educazione realizzerà questo, ma solo un'educazione integrale, autenticamente umana, che rispetti l’innata dimensione spirituale dell'uomo, tenendo conto della meta finale della vita, che è oltre questa vita”. “Una educazione genuina – ha sottolineato il cardinale Sandri - comprenderà una formazione della coscienza che è compatibile con una sensibilità religiosa, anche se non sono insegnate specifiche dottrine religiose. Tale formazione non solo cercherà lo sviluppo di ciascun individuo, ma anche quello della società, unendo le persone nella ricerca degli aspetti più nobili della nostra comune umanità. In questa ottica, un autentica università”, come quella di Madaba, “diventa un potente agente di dialogo interreligioso”. Il porporato ha quindi esortato i docenti, gli studenti e i sostenitori di questa Università ad essere “coraggiosi testimoni della verità che unisce e non divide! Crescere insieme nel reciproco rispetto per la sensibilità religiosa di ciascuno” con la prospettiva di “una coraggiosa guarigione di storiche ferite”. Papa Francesco – ha concluso il cardinale Sandri – vi porge i suoi auguri e incoraggia i vostri sforzi.

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    Mons. Tomasi all’Onu: le aziende rispettino i diritti umani dei lavoratori

    ◊   Un forte richiamo al rispetto dei diritti umani è giunto da mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra, nel corso della 23.ma Sessione del Consiglio dei Diritti Umani, dedicata al tema “Organizzazioni transnazionali e Diritti Umani”. Prendendo spunto dal crollo di una fabbrica a Dacca, in Bangladesh, nel quale persero la vita di oltre mille persone, l’arcivescovo ha ricordato le parole di Papa Francesco sullo sfruttamento degli operai, considerati “schiavi”, da parte di aziende che guardano soltanto al profitto. Nonostante i grandi progressi, ancora oggi è troppo alto il numero di vite umane perse a causa di condizioni di lavoro poco sicure. Resta dunque importante – ribadisce mons. Tomasi - riconoscere le norme sul lavoro come parte integrante della responsabilità sociale delle imprese. “La libertà di associazione, l'eliminazione di tutte le forme di lavoro forzato e obbligatorio, l'abolizione del lavoro minorile, della discriminazione in materia di occupazione ma anche il pagamento del lavoro devono essere garantiti e applicati in tutte le giurisdizioni”. La Santa Sede pertanto richiama le organizzazioni transnazionali al rispetto dei diritti umani e alla promozione del bene comune per tutti. Una maggiore trasparenza su questo fronte consegnerebbe tutte le informazioni necessarie ai consumatori per formulare un giudizio completo sulle aziende e conseguentemente sulle scelte di acquisto. Certificazioni ed elevati standard internazionali possono anche aiutare ad affrontare questa sfida globale, stabilendo un chiaro punto di riferimento e un quadro per il monitoraggio di coloro che rispettano i diritti umani. Infine un appello anche per lo scambio di buone pratiche, sia nel settore pubblico che privato, perché tutte le aziende pongano come priorità il rispetto dei diritti umani: un passo in più verso il bene comune universale. (A cura di Benedetta Capelli)

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    Il Papa riceve in udienza il cardinale Filoni

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, e l’arcivescovo Luis Francisco Ladaria Ferrer, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede.

    In Scozia, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Motherwell, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Joseph Devin.

    In Belgio, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Liège, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Aloysius Jousten. Al suo posto, il Pontefice ha nominato il sacerdote Jean-Pierre Delville, del clero della medesima diocesi, finora docente presso l’Università Cattolica di Louvain-la-Neuve. Il neo presule è nato il 29 aprile 1951 a Liège, nella diocesi omonima. Dopo gli studi superiori all’Università di Liège, dove ha ottenuto la Licenza in Storia, è entrato in seminario. In seguito si è licenziato in Filosofia all’Università cattolica di Louvain-la-Neuve. Ha studiato a Roma, nella Pontificia Università Gregoriana, ottenendo il baccalaureato in teologia. In seguito ha frequentato l’Istituto Biblico, ottenendo la Licenza in Scienze bibliche. Ha il dottorato in filologia biblica e il dottorato in filosofia e lettere presso l’Università cattolica di Louvain-la-Neuve. È stato ordinato sacerdote il 6 settembre 1980 per la diocesi di Liège. Dopo l’ordinazione, ha ricoperto i seguenti incarichi ministeriali: Vicario parrocchiale presso la parrocchia di Saint-Foy, a Liège (1980-1982). Ha insegnato per alcuni anni nel Seminario di Liège (1982-1995) ; nello stesso tempo ha insegnato all’Institut Supérieur de Catéchèse et Pastorale de Liège (1982-2002); quindi divenne Professore e poi Presidente (Rettore) del Seminario Saint-Paul a Louvain. Dal 2002 ha dato corsi di storia del cristianesimo alla Facoltà di Teologia dell’Università Cattolica di Louvain-le-Neuve, della quale è divenuto Professore dal 2005 e Professore ordinario dal 2010. E’ stato prima Segretario e poi Direttore della Revue d’Histoire ecclesiastique, all’Università cattolica di Louvain-la-Neuve. E’ autore di numerosi articoli nella stessa rivista. E’ anche Responsabile della Fondazione San Paolo, a Louvain-la-Neuve, Presidente dell’Institut de recherche Religions, Spiritualités, Cultures, Sociétés nell’Università di Louvain-la-Neuve e Presidente della biblioteca del Seminario di Liège. Dal 1995, è Animatore della Comunità di S. Egidio nella diocesi di Liège. Attualmente è anche Vicario parrocchiale per le celebrazioni della domenica nella parrocchia di Saint-Lambert, a Liège. Dal 1996 al 2002, è stato Portavoce della Conferenza Episcopale.

    In Argentina, Papa Francesco ha nominato vescovo della diocesi di San Francisco mons. Sergio Osvaldo Buenanueva, finora ausiliare di Mendoza. Mons. Buenanueva è nato il 19 dicembre 1963 a San Martín (Mendoza), ha svolto gli studi filosofici nel Seminario di Mendoza e quelli teologici nel Seminario di Córdoba (1985-1989). Il 29 settembre 1990 ha ricevuto l’ordinazione presbiterale. Nell’arcidiocesi di Mendoza ha svolto i seguenti ministeri ecclesiali: segretario privato dell’Arcivescovo; vicario parrocchiale in San Isidro Labrador; moderatore della quasi-parrocchia dei Santos Mártires Rioplatenses; Preside degli studi della Scuola arcidiocesana per i ministeri e, successivamente, del Seminario. Negli anni 1996-1997 frequentò la Facoltà di Teologia dell’Università Gregoriana, dove ha ottenuto la Licenza in Teologia. Nel 1998 è stato nominato rettore del Seminario di Mendoza e professore di Teologia nel suddetto Seminario e nell’Istituto arcidiocesano di Scienze Religiose Pablo VI. È stato anche membro e moderatore del Consiglio Presbiterale, del Collegio dei Consultori, della Commissione «De admittendis» e della Commissione per la formazione permanente del clero, nonchè portavoce nell’Ufficio Stampa dell’Arcidiocesi di Mendoza. Nominato vescovo titolare di Russubicari ed ausiliare di Mendoza il 16 luglio 2008, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 27 settembre successivo. In seno alla Conferenza Episcopale Argentina è Presidente della Commissione per i Ministeri.

    Il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Samoa-Pago Pago nelle Isole del Pacifico, presentata per raggiunti limiti di età da mons. John Quinn Weitzel, della Società per le Missioni Estere degli Stati Uniti d’America. Al suo posto, ha nominato vescovo padre Peter Brown, della Congregazione dei Redentoristi, Superiore del suo Istituto in Nuova Zelanda. Mons. Peter Brown è nato nella Diocesi di Christchurch, in Nuova Zelanda, il 9 novembre 1947. Nel 1965, dopo aver iniziato gli studi secondari allo Xavier College di Christchurch, in Nuova Zelanda, è stato accolto dai PP. Redentoristi nel loro Seminario Minore in Australia. Però, questa esperienza si è rivelata negativa e in seguito abbandonò gli studi. Ritornato in Nuova Zelanda, ha completato le scuole secondarie e ha deciso di seguire la vocazione come Fratello Redentorista. Ha emesso la prima professione il 16 febbraio 1969. Dal 1969 al 1973, ha lavorato nella parrocchia affidata ai Redentoristi, ad Auckland, e poi si è trasferito a Samoa, dove ha lavorato per cinque anni. Il 26 ottobre 1975 ha emesso i voti perpetui e ha avvertito di nuovo la chiamata al sacerdozio. Nel 1978 è entrato nel Seminario Redentorista di Melbourne, in Australia, e ha completato gli studi di Filosofia e Teologia presso la Yarra Theological Union, ottenendo il grado accademico di Bachelor of Arts in Teologia. Il 19 dicembre 1981 è stato ordinato sacerdote per la Congregazione del Santissimo Redentore. Dopo l’Ordinazione, ha ricoperto i seguenti incarichi: (1981-1987) Missionario in Samoa; (1987-1998) Cappellano della Comunità Samoana nella Diocesi di Auckland in Nuova Zelanda; (1998 -1999) Periodo sabbatico di sei mesi in Terra Santa; (1999 – 2005) Parroco di Saint Peter Chanel in Diocesi di Auckland; dal 2005 Superiore Regionale dei PP. Redentoristi in Nuova Zelanda. La Diocesi di Samoa-Pago Pago (1982), suffraganea dell'Arcidiocesi di Samoa-Apia, ha una superficie di 197 kmq e una popolazione di 68.000 abitanti, di cui 14.000 sono cattolici. Ci sono 17 Parrocchie, servite da 18 sacerdoti (15 diocesani e 3 religiosi), 27 Diaconi permanenti, 9 suore e 5 seminaristi.

    In Bolivia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare di Cochabamba, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Angel Gelmi Bertocchi, vescovo titolare di Monterano.

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    Biennale Venezia: inaugurazione del Padiglione vaticano sul tema della Genesi

    ◊   Oggi pomeriggio l'inaugurazione del Padiglione della Santa Sede alla 55.ma Biennale d'arte internazionale di Venezia. Grande interesse per l'avvenimento visto che è la prima volta che le istituzioni vaticane partecipano con delle proprie opere a quella che è considerata una delle maggiori esposizioni d'arte del mondo. Micol Forti, direttrice della sezione d'arte contemporanea dei Musei Vaticani, fa parte del comitato scientifico che ha curato il padiglione della Santa Sede. Fabio Colagrande l'ha raggiunta telefonicamente a Venezia:

    R. - I preparativi sono stati estremamente impegnativi ma vanno molto bene e già da questi primi giorni di “vernice” abbiamo dei riscontri assolutamente eccellenti. Siamo molto contenti.

    D. – C’è molta attesa, ovviamente, per l’apertura della Biennale ma in particolare per l’inaugurazione di questo Padiglione. In questo senso sentite che c’è un’aspettativa anche nei vostri confronti?

    R. - C’è un’aspettativa estremamente forte, anche delle forti perplessità perché questa presenza è stata vista da molti con un certo dubbio per quello che possono essere i risultati ed anche l’identità con cui la Santa Sede entra in una istituzione così storicizzata come la Biennale di Venezia. Quindi, abbiamo gli occhi molto puntati su di noi.

    D. – Perplessità alle quali voi risponderete con un padiglione fatto da tre sezioni, il filo conduttore però è la Genesi. Come è avvenuta questa scelta?

    R. – La scelta di lavorare, ragionare, riflettere e rielaborare intorno ai primi 11 capitoli della Genesi è stata del card. Gianfranco Ravasi. È stata una intuizione assolutamente fondamentale per offrire una “colonna vertebrale” a questa iniziativa e a questo Padiglione. All’interno dei primi 11 capitoli abbiamo poi selezionato tre argomenti: quello della creazione, quello della decreazione – ispirandoci al momento del giudizio universale – e quello della ricreazione, cioè all’apertura verso una nuova umanità, una nuova vita, un nuovo viaggio, una nuova speranza.

    D. – Come studiosa di arte contemporanea, questa risposta che si dà anche alle perplessità, ai dubbi, sulla possibilità di dialogo tra la fede e questo genere di arte è una risposta soddisfacente, una risposta interessante?

    R. - Mi sembra una risposta estremamente moderna – se posso usare questo termine – le indicazioni del card. Ravasi sono state in questo senso molto chiare. È una risposta di apertura. L’elemento importante è ricordare a tutti che la Chiesa è stata un luogo di incontro, di scambio, di continua anche contaminazione e dialogo tra culture differenti, tra civiltà differenti. Questa è un’occasione - all’interno di un luogo che presenta moltissimi Paesi, presenta tutti i continenti, presenta molte civiltà, oltre che molte fedi – per essere presenti con opere che offrono e si offrono alla riflessione; non vogliono affermare ma vogliono comunicare ed aprire un dialogo.

    D. – Quindi davvero, come diceva il card. Ravasi, è un tentativo di ricostruire il dialogo interrotto tra arte e fede dopo il divorzio non consensuale del secolo scorso…

    R. – Esattamente, sarà una strada lunga – come probabilmente lo è sempre stata, se guardiamo ovviamente alla storia del passato – ma è una sfida che la nostra cultura contemporanea deve assolutamente affrontare con coraggio e con lucidità.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Nella messa per il Corpus Domini Papa Francesco ricorda che nell’Eucarestia l’amore di Dio trasforma la povertà dell’uomo.

    In prima pagina, la crisi siriana: Assad minaccia di rispondere a nuovi raid israeliani.

    Nell’informazione internazionale, un’intervista di Mary Nolan a Ernst von Freyberg, presidente dell’Istituto per le Opere di Religione.

    Protestiamo solennemente: in cultura, Vicente Cárcel Ortí sull’enciclica «Dilectissima nobis» di Pio XI e sulla sua denuncia della politica antireligiosa della Seconda repubblica spagnola.

    La Chiesa davanti al tribunale della storia: Bruno Forte sul volume “La grande meretrice” a cura di Lucetta Scaraffia, con stralci dall’introduzione e da due capitoli scritti da Sylvie Barnay e da Giulia Galeotti.

    Qui si misura il cammino dell’umanità: GianPaolo Salvini sulla violenza sulle donne.

    Per sapere prima di creare: la nascita di una scuola d’arte sacra a Firenze.

    Obiettivo povertà: campagna di solidarietà della Chiesa in Argentina.

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    Oggi in Primo Piano



    Al via il tour americano di Xi Jinping: il 7 giugno l'incontro con Obama

    ◊   Prende il via oggi la missione americana del presidente cinese Xi Jinping, la prima dal suo mandato. Prima tappa i Caraibi, poi il Centroamerica, soprattutto Costa Rica e Messico. E infine, il 7 e 8 giugno, l’atteso vertice in California con il capo della Casa Bianca, Barack Obama. Un banco di prova per rinsaldare le relazioni bilaterali e per affrontare tante questioni: dai diritti umani agli attacchi informatici, fino agli interessi economici di Pechino soprattutto nei Paesi dell’America Latina. Quale dunque la portata di questo tour? Per un commento, Cecilia Seppia ha sentito Valeria Zanier, docente di economia cinese alla Ca’ Foscari di Venezia:

    R. - Secondo me, c’è una portata duplice in questo viaggio: da una parte un discorso politico, per le tante crisi comuni che i due Paesi si trovano ad affrontare, dall’altra parte una questione economica, che chiaramente adesso salta agli occhi di tutti. La Cina ha recentemente sorpassato gli Stati Uniti come prima potenza esportatrice e gli investimenti cinesi nel mondo sono ormai dappertutto.

    D. - Grande rilevanza le tappe latinoamericane di Trinidad e Tobago, Costa Rica, Messico. Uno spazio, diciamo così, di solito riservato proprio agli Stati Uniti e qui gli interessi economici della Cina sono fortissimi: solo nel 2012 il volume di scambi con questa area ammonta a circa 261 miliardi di dollari. Quindi non è un caso che l’uomo forte di Pechino inizi da quest'area…

    R. - Certo che no! Non è un caso che inizi, appunto, dall’America Latina. Va ricordato che in America Latina la Cina sta investendo nelle infrastrutture, nelle risorse naturali, ma sta anche consolidando il proprio potere con una serie di accordi con le nazioni di quest’area. Anche in questo caso si tratta di un confronto del modello economico cinese - con una forte presenza dello Stato - con i modelli economici di queste nazioni in ascesa, che hanno avuto finora come riferimento il modello del capitalismo americano, con una grandissima libertà per le aziende private. Diciamo che, in questo caso, il modello cinese, da una parte, offrirebbe una sicurezza per queste nazioni per trovare dei punti fermi e - dall’altra - potrebbe però anche rappresentare un modello verso cui aspirare.

    D. - Incontro cruciale quello con Obama, il 7 e 8 giugno, in California: tante le questioni politiche al centro di questo vertice informale, ma ci sono anche i diritti umani; gli attacchi informatici, per cui spesso Washington ha accusato Pechino; e poi le crisi regionali, la Corea, la Siria, all’Iran…

    R. - A mio parere potrebbe essere che in questo vertice le questioni internazionali abbiamo più peso, perché appunto la questione della Corea del Nord è effettivamente piuttosto allarmante per tutta la Comunità internazionale. Basti pensare che la Cina è sempre più presente come potenza a livello geopolitico - ha firmato recentemente il Trattato di libero scambio con Giappone e Corea del Sud - quindi sta consolidando la sua posizione proprio in Asia Orientale. Per cui io credo che le questioni internazionali avranno sicuramente più peso in questo caso, anche perché dobbiamo ricordare che le questioni relative ai diritti umani, che rimangono sempre un punto assolutamente vulnerabile e assolutamente critico del modello cinese, in genere sono state però trattate dagli Stati Uniti più con l’amministrazione Clinton, o comunque in periodi in cui gli Stati Uniti potevano avere una posizione più forte rispetto alla Cina, di quanto magari non l’abbiano adesso.

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    Siria: sparati 17 colpi d'artiglieria sul nord del Libano

    ◊   La scorsa notte, almeno 17 colpi d'artiglieria sono stati sparati dalla Siria verso il nord del Libano, senza causare vittime. Nelle ultime settimane, il conflitto siriano ha sempre più coinvolto il Libano, con migliaia di miliziani sciiti libanesi di Hezbollah che combattono al fianco delle forze del regime di Assad e gli scontri tra sunniti e alawiti a Tripoli, nel nord del Paese dei cedri, che hanno fatto 22 morti e 214 feriti. Il premier libanese, Tamman Salam, ha affermato che il suo Paese 'deve a tutti i costi preservare l'unità nazionale' e restare fuori dal conflitto siriano. Del coinvolgimento del Libano nella crisi siriana Fausta Speranza ha parlato con Germano Dottori, docente di Studi Strategici all’Università Luiss:

    R. – Partiamo con l’elemento fondamentale: c’è un attore importante della politica libanese, Hezbollah, che è fortemente coinvolto a fianco ad Assad nella guerra civile siriana. Ed è coinvolto al fianco di Assad perché dal regime siriano Hezbollah ha avuto notevoli sostegni in passato e inoltre la Siria di Assad è stata un trait d’union tra Hezbollah, che è un movimento fondamentalmente sciita, e l’Iran, che è il grande patron internazionale del “partito di Dio” libanese.

    D. – In questo momento della crisi, in cui si tenta di rilanciare Ginevra 2 e, quindi, di continuare la via diplomatica, il Libano in che modo rappresenta un nodo della situazione?

    R. – E’ un nodo nella misura in cui le milizie che Hezbollah sta fornendo come appoggio ai regolari siriani contribuiscono al rafforzamento della spinta controffensiva che Assad sta sviluppando in alcune località strategiche del territorio siriano, in modo particolare intorno al villaggio di Qusair, dove gli Hezbollah si stanno rivelando decisivi nello spostare i rapporti di forza a favore del regime.

    D. – La coalizione di opposizione siriana chiede che gli Hezbollah escano dal teatro del conflitto come condizione per arrivare a Ginevra 2. Che dire di questo?

    R. – Intanto, questo prova il peso militare che l’insurrezione anti-Assad riconosce all’intervento di Hezbollah nella guerra civile. E questo è un dato fondamentale. E’ anche possibile che in questa posizione serva alla coalizione nazionale siriana il più grande cartello di opposizione riconosciuto internazionalmente, per coprire in parte le grandi divisioni, che stanno emergendo al suo interno. Grandi divisioni, che rendono più facile identificare l’opposizione militare ad Assad con l’organizzazione che in questo momento è militarmente più forte, cioè il Fronte al-Nuṣra, che ha purtroppo dei legami molto forti con i jaedisti e soprattutto con Al Qaeda. Ed è sospettata di essere entrata in possesso di aggressivi chimici estremamente letali, come il sarin. In effetti, in Turchia, alcuni giorni fa, elementi di al-Nuṣra sono stati catturati con una quantità piuttosto significativa di questo aggressivo. Tutto ciò rende estremamente complicato sbrogliare la matassa. Ma, a mio avviso, c’è un elemento ulteriore che va preso in considerazione: il semplice fatto che circolino ormai abbastanza liberamente queste informazioni, e queste informazioni siano riprese dai media internazionali, secondo me potrebbe anche significare che si stia cercando di preparare l’opinione pubblica internazionale rispetto alla desiderabilità di un accordo di compromesso. Non so se i tempi siano maturi, ed effettivamente sulla strada di Ginevra ci sono ostacoli crescenti. Però, mi pare che un tentativo in questa direzione sia in piedi.

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    Myanmar: accordo di pace del governo con i ribelli Kachin

    ◊   Va avanti il processo di democratizzazione in Myanmar. Il governo centrale e i ribelli Kachin, attivi nel nord del Paese, hanno raggiunto nei giorni scorsi l’accordo per un cessate il fuoco provvisorio. L’intesa fa ben sperare in una stabilizzazione dei rapporti anche con altre etnie, con le quali l’ex regime militare era in conflitto. Anche la leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, si è dichiarata favorevole a una fine delle tensioni. I cattolici Kachin hanno espresso, a loro volta, un cauto ottimismo per l’intesa. Ma si può parlare realmente di svolta positiva? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Stefano Vecchia, esperto di Estremo Oriente:

    R. – Indubbiamente sì. Teniamo presente che le milizie del Kachin sono quelle più forti tra quelle che sono ancora nella condizione di guerriglia aperta con il governo. Quindi, certamente è un accordo importante. Bisognerà vedere, però, se la tregua reggerà: questo è particolarmente decisivo in questo momento in cui il Paese è appunto avviato verso una democrazia - ancora estremamente parziale - ed in cui purtroppo, in molte zone, si registrano anche scontri tra i buddisti e i birmani di fede musulmana. Questo è un ulteriore elemento che prima non si era riscontrato e che purtroppo in questi ultimi mesi invece è tornato alla ribalta; tant’è vero che anche Aung San Suu Kyi, leader storico dell’opposizione, ha preso una posizione di condanna rispetto alle violenze di sostegno al dialogo in particolare con le etnie finora tenute al di fuori di questo processo di liberalizzazione e di democratizzazione.

    D. – Quali sono le istanze di queste etnie nei confronti del governo ex birmano?

    R. – Certamente di maggiore autonomia, ma soprattutto di maggiore sicurezza. Teniamo presente che le milizie etniche hanno combattuto per decenni contro l’esercito birmano, che ha sempre cercato in qualche modo di sottometterle, riuscendoci soltanto in parte; anni fa il governo è riuscito a concludere degli accordi separati con alcune di queste e con altre invece la tensione continuava con periodici scoppi di violenza. Le etnie hanno subito pesantemente il predominio birmano e hanno vissuto innumerevoli episodi di violenza. La repressione è sempre stata estremamente brutale. Quindi, già il fatto che il dialogo si sia attivato in sé è positivo.

    D. – Qual è l’atteggiamento del governo del Myanmar? E’ un atteggiamento di inclusione o, comunque, rimane di confronto?

    R. – In questo momento, il tentativo è quello dell’inclusione. Teniamo presente che il Paese si è trasformato da una dittatura sostanzialmente militare ad una repubblica federale con un parlamento, un governo, quindi diciamo con una parvenza di democrazia. Il governo funziona, il parlamento sta funzionando e nel parlamento sono anche rappresentate le etnie, se pur con personaggi chiaramente vicini all’esecutivo. Da sottolineare che il governo stesso poi è erede del regime militare. È un processo lento che però si è avviato, che probabilmente prenderà slancio ancor di più in vista delle elezioni del 2015, quando Aung San Suu Kyi potrebbe addirittura diventare presidente. Questo sarà veramente il momento della svolta per la democrazia birmana. Per il momento il tentativo è quello di includere le etnie in un dialogo.

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    Giornata senza tabacco: 600 mila le vittime ma tabagismo non cala

    ◊   Oggi si celebra in tutto il mondo la Giornata senza tabacco, che si pone l’obiettivo di attirare l’attenzione globale sui rischi per la salute associati al fumo e di invocare politiche efficaci per la riduzione del tabagismo. Molte le iniziative in programma, come quella della Lega italiana per la lotta contro i tumori che ha portato alunni delle scuole elementari a ripulire dai mozziconi di sigaretta Piazzale del Gianicolo a Roma. Roberta Barbi ha intervistato il presidente della Lilt, l’oncologo Francesco Schittulli, sull’importanza di questo appuntamento che ricorre ogni anno:

    R. – Intanto, abbiamo cercato di coinvolgere soprattutto il mondo scolastico, per favorire una maggiore diffusione della lotta al tabagismo, perché non ha subito un decremento, anzi: registriamo un incremento particolare da parte delle giovani donne.

    D. – Un problema, quello della dipendenza da fumo, ancora molto presente: ogni anno, nel mondo, causa sei milioni di morti, di cui 600 mila per il fumo passivo. Vogliamo ricordare quali sono i rischi per i fumatori?

    R. – Malattie cardiache, malattie circolatorie, malattie vascolari, malattie polmonari. Per quanto riguarda le malattie polmonari, poi, nello specifico registriamo un incremento dei casi di cancro: tumori che non colpiscono soltanto l’apparato respiratorio. Ci sono anche altri organi, altri apparati – penso alla vescica, penso alla mammella nella donna – che vengono influenzati dallo sviluppo di un cancro.

    D. – Un mondo senza fumo è possibile: quali obiettivi ci si pone, a breve termine?

    R. – Quello di poter estendere il divieto di fumo anche nei luoghi aperti, e cioè negli stadi, nell’ambito dei giardini, dei parchi ma anche delle aree sanitarie, ospedaliere, delle aree scolastiche…

    D. – Che peso hanno misure quali il divieto di pubblicità dei prodotti di tabacco, quello di fumare nei locali pubblici o l’introduzione di avvertenze sanitarie sui pacchetti?

    R. – Noi siamo riusciti già ad arginare questa problematica per quanto riguarda, per esempio, le grandi autovetture: penso, per esempio, alle varie Formule 1 e via dicendo. Però, vi è una pubblicità occulta che è determinata dalle grandi multinazionali che investono enormi quantità di denaro in pubblicità, in uffici legali di protezione, in azioni di lobby che sono capaci anche di disinformare il pubblico. Questo 31 maggio è dedicato proprio alla lotta contro la pubblicità, quindi l’importanza di sottolineare la pericolosità del tabacco: i danni sono innumerevoli. Sono quelli sanitari, ma sono anche quelli ambientali. Pensate: il tempo medio necessario per distruggere gli effetti nocivi di un mozzicone di sigaretta si aggira intorno ai 10 anni…

    D. – In Italia è boom delle sigarette elettroniche con ben 500 mila utilizzatori abituali. Ma solo il 10% di questi ha dichiarato di aver davvero smesso di fumare sigarette tradizionali…

    R. – Intanto, noi non sappiamo ancora gli eventuali effetti nocivi della sigaretta elettronica, perché c’è una combustione del vapore acqueo, e inoltre in essa è presente comunque la nicotina. Si rischia che, dando la sigaretta elettronica ai ragazzi, questo possa essere un processo di iniziazione per passare poi al consumo di sigaretta vera e propria. Per quanto riguarda gli ex-fumatori, questo può essere uno stimolo a ritornare a fumare.

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    Accademia dei Lincei, giornata di studio sulla “Società dell’invecchiamento”

    ◊   In Italia, gli over 65 sono il 30% della popolazione. Nel 2030, ci saranno, ogni quattro adulti, tre persone bisognose di cure. Al tema dell’invecchiamento è dedicato oggi a Roma una giornata di studi, organizzata dall’Accademia dei Lincei insieme con l’Ocse e il Ministero dell’istruzione. Tra i vari temi al centro della riflessione, gli aspetti economici. Ascoltiamo, al microfono di Amedeo Lomonaco, il presidente della Fondazione Economia dell’Università di Tor Vergata di Roma, Luigi Paganetto:

    R. - L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno di lungo periodo, che crea delle differenze intanto nel modo di determinare la spesa pubblica, ma anche la produttiva dell’economia.

    D. - Qual è l’aspetto positivo di una società che cambia, che invecchia?

    R. - Io direi che c’è un aspetto positivo, perché in effetti si tende sempre a sottolineare le difficoltà: credo che il contenuto di conoscenza che nasce dalla consolidata competenza che si realizza da parte di chi è già sul mondo del lavoro, è un patrimonio che dovrebbe essere valorizzato. Noi abbiamo due effetti negativi, che in questo momento si sommano: il mondo del lavoro offre poco ai giovani - lo sappiamo, abbiamo addirittura un 31% dei giovani che non sono nel mondo del lavoro - e allo stesso tempo abbiamo degli anziani di cui non viene valorizzata la competenza. Ora, non è detto che la cosiddetta staffetta intragenerazionale o generazionale sia la soluzione, ma non c’è dubbio che bisogna valorizzare le competenze degli anziani. Il mondo dei giovani e il mondo degli anziani devono trovare la maniera di collegarsi attraverso forme opportune, che si realizzino nel mondo del lavoro, non fuori dal mondo del lavoro, perché questo significa trasmettere competenze e capacità che, per noi, sono decisive per il futuro e per la capacità del nostro Paese di riprendere la strada dello sviluppo.

    D. - Gli anziani sono poi un ammortizzatore sociale, trasmettono valori anche spirituali che aiutano la società ad avere riferimenti sani per un autentico sviluppo…

    R. - Su questo non c’è dubbio. Tanto più si realizzano forme di solidarietà familiare, di volontariato orientato al sostegno, si soddisfano esigenze di trasmettere e conservare il principio di solidarietà e la capacità di guardare a una società integrata, che vuole che il benessere spirituale - oltre che materiale - sia presente.

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    Unitalsi, 110 anni: "treni bianchi" per i malati nel corpo e nello spirito

    ◊   Centodieci anni fa veniva fondata l’Unitalsi, l'Unione nazionale italiana per il trasporto degli ammalati a Lourdes e nei santuari internazionale. L’Associazione, che oggi offre tutta una serie di servizi ai disabili e agli ammalati, ha celebrato la ricorrenza presso la sede della nostra emittente alla presenza di Salvatore Pagliuca e Dante D’Elpidio, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’Unitalsi, e del direttore della Divisione passeggeri di Trenitalia, Gianfranco Battisti. Il servizio di Marco Guerra:

    “Giovanni Battista Tomassi era ammalato in carrozzina e andò a Lourdes per fare un gesto eclatante: suicidarsi sotto la Grotta, come forma di protesta contro Dio, contro gli uomini… Invece, non solo non si suicidò ma tornò in Italia e fondò l’Unitalsi, perché pensò che il Santuario di Lourdes dovesse accogliere gli ammalati, perché anche loro avrebbero trovato questa pace”.

    Così, il presidente dell’Unitalsi, Salvatore Pagliuca, ripercorre quanto successo nel 1903 al figlio dell’amministratore dei Principi Barberini. Una storia che segna l’inizio dell’Associazione che in 110 anni ha accompagnato milioni di malati, nel corpo e nello spirito, nei più importanti Santuari mariani in Europa. Dai treni a vapore alle attuali cittadelle su rotaia con cappella per la Messa, mensa, infermeria e personale medico. Un’attività incessante anche al di fuori dei pellegrinaggi, come sottolinea il presidente Pagliuca:

    “Il nostro motto è ‘Treni bianchi e non solo’: ed ecco nascere una serie di attività di valenza sociale. Case famiglia, case di accoglienza, case vacanza …”.

    Una speranza donata a tanti disabili e ai numerosi volontari che operano nell’Unitalsi:

    “Molti dei nostri pellegrini scoprono un mondo che non conoscono, perché veramente Lourdes cambia il cuore e ci si riscopre da pellegrini del nulla a pellegrini dell’essenziale, laddove l’essenziale più importante è Dio”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: villaggi cristiani nell’area di Homs invasi e devastati da bande armate

    ◊   E’ di nuovo alta la temperatura del conflitto siriano nell’area di Homs. Forti combattimenti si sono registrati nei giorni scorsi nell’area di Qusayr. E, secondo informazioni giunte a Fides tramite il racconto di alcuni profughi, si sono verificate violenze gratuite su villaggi cristiani, abitati solo da civili, nella provincia di Homs. Secondo le testimonianze raccolte dall'agenzia Fides, il 26 maggio scorso la violenza di bande armate – secondo alcuni riconducibili al gruppo “Jabhat al-Nusra” – ha riguardato il villaggio di Douar, dove vivevano circa 100 famiglie di cristiani greco-ortodossi. Douar si trova lungo la strada che congiunge Homs a Tartous. Probabilmente gruppi armati ribelli, dopo aver combattuto a Qusair, intendevano raggiungere una scuola militare dell’esercito regolare che si trova a poca distanza da Douar. Per farlo, sono passati attraverso il villaggio di Douar e, nel passaggio, non hanno risparmiato la violenza sui civili. Due abitanti, un uomo e sua figlia, sono stati uccisi in casa loro e i loro corpi bruciati. Tutte le famiglie del villaggio hanno iniziato a fuggire precipitosamente. I gruppi armati hanno occupato la chiesa del villaggio e da lì alcuni cecchini, sparando sulla gente in fuga, hanno ucciso anche un ragazzo di 11 anni e una ragazza di 18, ferendo altre 10 persone, due gravemente. I guerriglieri sono rimasti appostati all’interno della chiesa ed hanno trattenuto con loro, sequestrandoli, il sindaco del villaggio, il cristiano Joseph Jamil Adra, e un altro uomo cristiano. Intanto tutte le case del villaggio sono state devastate e date alle fiamme. Le famiglie fuggite, terrorizzate e traumatizzate, sono state accolte in un parrocchia armena ortodossa alla periferia di Homs. Le autorità civili e i sacerdoti locali, insieme con la Croce Rossa, stanno provvedendo alla loro prima assistenza, in scuole o presso altre famiglie. Identica sorte è avvenuta, due giorni fa, a un altro villaggio cristiano della provincia di Homs. Gruppi armati penetrati nel villaggio di Oum Sharshouh, nei pressi di Talbisseh, hanno iniziato a sparare e a fare irruzione nelle case, devastando e bruciando ogni cosa. Oltre 250 famiglie cristiane sono state costrette alla fuga, data l’invasione. “Perchè tutto questo? Perche tutto questo odio su civili innocenti?”, si chiede attonita la comunità locale. Secondo informazioni pervenute a Fides, anche in alcuni villaggi nell’area di Hama si stanno registrando violenze immotivate sui civili. (R.P.)

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    Gerusalemme: scritte anticristiane contro l'Abbazia della Dormizione sul Monte Sion

    ◊   In Terra Santa questa notte si è verificato un altro atto di vandalismo e di intolleranza contro i cristiani. I muri del convento dell’abbazia benedettina della Dormizione sul Monte Sion a Gerusalemme sono stati coperti da scritte anti cristiane in lingua ebraica. Anche due automobili parcheggiate nei pressi della chiesa sono state trovate con gli pneumatici squarciati e le carrozzerie imbrattate con scritte anti-cristiane. Ne ha dato notizia il priore del monastero il quale ha avvertito la Delegazione pontificia a Gerusalemme. L'incaricato d'Affari mons. Waldemar Stanisław Sommertag si è recato sul posto per verificare l’accaduto ed anche per far sentire ai monaci la solidarietà della stessa Delegazione apostolica e della Santa Sede. La Rappresentanza pontificia da parte sua, fará doverosa segnalazione al Ministero degli Affari Esteri israeliano, attraverso i consueti canali diplomatici, con la richiesta di una seria e approfondita indagine sull’accaduto. Un incidente analogo si era verificato contro la stessa Abbazia nell'ottobre scorso mentre alcuni mesi fa era stato imbrattato il cancello, sempre sul Monte Sion, del cosiddetto Cenacolino. Secondo gli inquirenti israeliani - che non hanno mai identificato gli autori di tutti questi atti vandalici - questo genere di attacchi e' in forte crescita nelle ultime settimane in Cisgiordania ed a Gerusalemme est. Secondo la stampa locale, gli autori hanno vandalizzato con scritte insultanti anche il vicino cimitero greco-ortodosso. “Bisogna assolutamente mettere fine a questi atti di vandalismo favorendo una migliore educazione nelle scuole” ha dichiarato il vescovo mons. William Shomali, vicario patriarcale del Patriarcato di Gerusalemme dei latini, dicendosi convinto che “si tratta di un processo a lungo termine” e che “ci vorrà molta pazienza”. (R.P.)

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    Mons. Shomali: a Gaza il governo chiede di separare ragazze e ragazzi nelle scuole cattoliche

    ◊   Scuole cattoliche a rischio a Gaza. Tre giorni fa nel corso di una riunione, il Governo della Striscia, a guida di Hamas, ha chiesto al patriarcato latino di Gerusalemme che nelle sue tre scuole, frequentate da oltre 5mila studenti in larghissima maggioranza musulmani, vengano tenuti separati studenti e studentesse. A raccontarlo a un gruppo di testate giornalistiche italiane, tra cui il Sir, è il vescovo ausiliare di Gerusalemme e vicario patriarcale per la Palestina, mons. William Shomali. “A Gaza - ha dichiarato - ci sono circa 1500 cristiani di cui solo 200 cattolici. Sono obbligati a restare lì dove hanno casa, un lavoro ed un pezzo di terra. Non possono uscire. All’interno della Striscia la situazione è grave e inoltre stiamo assistendo a una svolta islamista da parte di Hamas che la governa”. “Tre giorni fa - aggiunge mons. Shomali - abbiamo tenuto una riunione con il Governo che ha chiesto alle scuole private di tenere separati ragazze e ragazzi. Non possono più frequentare la stessa scuola. Hamas crede così di allontanare le tentazioni dai giovani. A Gaza abbiamo tre scuole, non possiamo certo costruirne altre tre. Lo scorso anno avevano fatto la stessa richiesta ma eravamo riusciti a evitarla. Questa volta non sappiamo cosa fare. E potrebbe un giorno arrivare anche la richiesta alle ragazze di indossare il velo. L’islamizzazione è evidente - ha concluso - hanno impedito l’apertura di negozi di alcoolici, i ristoranti devono essere chiusi durante il Ramadan, non si può fumare in strada”. Il Patriarcato latino a Gaza è presente dal 1990, non solo con le sue tre scuole ma anche con Caritas Gerusalemme che mantiene operativi due Centri medici e una clinica mobile con venti operatori. (R.P.)

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    Card. Bagnasco: il matrimonio omosessuale "è un vulnus grave alla famiglia"

    ◊   Il matrimonio omosessuale, come quello celebrato mercoledì in Francia, “è un vulnus grave alla famiglia che, ovunque nel mondo, non solo nel nostro Paese, è il presidio dell’umano dove i bambini vengono non solo concepiti e generati ma educati, come è diritto e dovere primario e fondamentale dei genitori. Un papà e una mamma che, nella loro completezza di personalità, danno ai propri figli un’educazione integrale nella libertà di ciascuno”. Lo ha dichiarato l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, a margine di una presentazione presso il Museo diocesano di Genova. Il cardinale - riporta l'agenzia Sir - ha poi ribadito il punto di vista dei vescovi italiani in merito al riconoscimento giuridico delle coppie di fatto non solo omosessuali. “L’assicurazione circa i bisogni, i desiderata, i diritti individuali - ha affermato - sono già assicurati dal diritto civile senza la necessità di creare un nuovo soggetto di diritto”. E in margine alla stressa presentazione il porporato ha affermato che la violenza sulle donne, il femminicidio, è "una tragedia, un comportamento inaccettabile ed assolutamente deprecabile, frutto di una diseducazione, di una cultura che sempre più esalta le emozioni, crea sensazioni forti, che a un certo momento prendono il sopravvento sulla ragione". "Dove ci sono delle emozioni delle sensazioni forti, dolorose, problematiche, conflittuali - ha aggiunto il cardinale - ad un certo momento la ragione viene oscurata e l‘individuo diventa succube fino a questi drammi". Il porporato ha quindi ricordato che "la responsabilità delle famiglie è all‘interno della responsabilità sociale che è di tipo educativo". "I genitori - ha proseguito - sono i primissimi educatori dei figli però anche i genitori vivono dentro un contesto culturale che può aiutarli, ma anche ostacolarli". "In questo momento - ha concluso - è più forte l‘ostacolo perché viene privilegiato il sentimento e non la ragione". (R.P.)

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    Incontro Ue-Chiese sull'integrazione europea

    ◊   “La Chiesa cattolica sostiene il progetto europeo” ed “è coinvolta nella sua realizzazione”. Padre Patrick Daly, segretario generale della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea), commenta all'agenzia Sir l’incontro fra Ue e Chiese, avvenuto ieri a Bruxelles. “Come ha ricordato il presidente della Comece, il card. Marx, durante il nostro recente incontro con il Santo Padre, abbiamo il compito di trasmettere un’idea positiva” dell’integrazione europea, promuovendola presso i fedeli e cittadini d’Europa. In vista delle elezioni del prossimo anno per il rinnovo dell’Europarlamento, come possono contribuire le comunità religiose a responsabilizzare i cittadini? “Appunto con questo impegno a sostenere il disegno di una Europa unita”r, mostrandone i compiti, gli obiettivi e i vantaggi. Padre Daly spiega inoltre che in vista del voto del maggio 2014 dai vescovi della Comece giungerà “un contributo di riflessione” sulle implicazioni e il valore del voto e della stessa cittadinanza europea. “Per lottare contro la povertà, per superare questa crisi, c’è bisogno di più Europa, non di meno Europa”: così Nikolaus Schneider, presidente del Consiglio delle Chiese evangeliche in Germania, riassume, con l’approvazione degli altri rappresentanti delle Chiese in Europa, un pensiero che ha attraversato il summit di ieri a Bruxelles. Dal canto loro Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio Ue ha detto che le molteplici prospettive avanzate dai rappresentanti delle comunità e delle fedi religiose “ci sono di aiuto per costruire il progetto europeo” mentre per José Manuel Barroso, presidente della Commissione Ue, “abbiamo ascoltato voci diverse, ma tutte sono rivolte alla costruzione del bene comune” in Europa. (R.P.)

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    Congo: appello dei vescovi a Stato e comunità internazionale per le violenze nel Kivu

    ◊   “Le popolazioni dell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) hanno in bocca il gusto amaro di appartenere a comunità spogliate, violentate, abusate, umiliate e abbandonate dal loro Stato e guardate da lontano dalla comunità internazionale” denunciano i vescovi della Provincia ecclesiastica del Kivu (est della Rdc) nel messaggio pubblicato al termine della loro Assemblea ordinaria, tenutasi la scorsa settimana. Il messaggio è stato presentato in una conferenza stampa da mons. Melchisédech Sikuli Paluku, vescovo di Butembo-Beni. La provincia del Nord Kivu vive da più di 20 anni nell’instabilità per la presenza di diversi gruppi armati che depredano le immense risorse naturali dell’area a spese della popolazione civile, costretta a subire violenze e angherie di ogni tipo. Il più importante di questi gruppi è l’M23, che dicono i vescovi, è un “prolungamento” di sigle precedenti ed è responsabile “di omicidi, di stupri oltre che del considerevole sfollamento delle popolazioni che si recano nei campi dove non sono però al riparo dagli aggressori”. Oltre all’M23 nel messaggio si denunciano “la molteplicità di gruppi e bande armate che la fanno da padroni nelle aree dove il potere e l’autorità dello Stato sono assenti”. All’assenza dello Stato si aggiunge l’impotenza della Monusco (la forza di stabilizzazione Onu nella Rdc) che, affermano i vescovi, pur dotata “di risorse umane e materiali consistenti” sembra essere “appena sbarcata” nell’area. La Momusco (nata nel 2010 sulla base della precedente Monuc, ha dispiegato nella Rdc oltre 22.000 uomini, dei quali circa 19.000 sono militari armati. È in corso di dispiegamento una brigata di intervento per rafforzare la capacità militare delle truppe Onu. Per riportare la pace nel Kivu i vescovi fanno appello ai politici perché “garantiscano la sovranità nazionale”, ai leader delle comunità locali perché “evitino di amplificare e legittimare la violenza” e alla comunità internazionale perché “le operazioni militari internazionali siano più precise ed efficaci” prendendo ad esempio l’operazione Artemis del 2006 nella stessa Rdc e l’operazione Serval nel nord del Mali. (R.P.)

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    Centrafrica: nuovi fondi di Acs in favore delle quattro diocesi del Paese

    ◊   La situazione continua a essere molto grave nella Repubblica Centrafricana, dove a due mesi dal colpo di Stato del gruppo ribelle Seleka, si contano oltre 300 morti tra i civili. La fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) ha appena stanziato un contributo di 160mila euro destinato alle quattro diocesi in cui è diviso il Paese che conta il 66% di cristiani tra la popolazione. Questi fondi vanno ad aggiungersi ai 40mila euro già inviati all’inizio dell’anno in favore della diocesi di Kaga Bandoro. “Il clima ora è meno teso ma la popolazione continua ad avere paura e soprattutto a non ricevere il salario”, racconta ad Acs il missionario carmelitano padre Aurelio Gazzera, che da dieci anni vive a Bozoum, cittadina 350 km a nord della capitale Bangui, dove dirige anche la Caritas diocesana di Bouar. Secondo il sacerdote, finora i principali obiettivi dei ribelli sono stati non-islamici, in particolare le missioni e le chiese cattoliche e ciò “contribuisce alla nascita di tensioni religiose in un Paese in cui non ci sono mai state”. Un altro elemento destabilizzante è l’ingerenza di Ciad e Sudan, da cui proviene la maggioranza dei ribelli: padre Gazzera ha più volte tentato un contatto con il gruppo Seleka in seguito a furti, violenze e sequestri: esperienze che racconta quotidianamente nel suo blog, Bozoum in diretta. “È bene che circoli il maggior numero di informazioni possibili”, ha concluso il sacerdote che assicura la vicinanza delle missioni della sua diocesi ai cristiani che hanno paura. (R.B.)

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    Turchia: iniziato il “ritorno” dei caldei emigrati in Europa

    ◊   Dopo una serie di negoziati condotti in Francia e in Belgio, 27 famiglie di cristiani caldei originarie della Turchia si apprestano a tornare nelle aree da dove erano emigrate negli anni '90 anche per sottrarsi agli scontri tra esercito turco e guerriglieri curdi del Pkk. Il programma di contro-esodo, caldeggiato dalle autorità turche, punta a ripopolare alcuni villaggi nel distretto di Silopi, nella Provincia sud-orientale di Şırnak. Da lì – in particolare dal villaggio di Aksu - nei decenni scorsi più di 4mila cristiani caldei e siri erano fuggiti per trovare accoglienza in diversi Paesi europei. Il cristiano caldeo Petrus Karatay, responsabile del Comitato di coordinamento dell'operazione-ritorno, ha dichiarato che essa potrebbe coinvolgere un numero crescente di cristiani, se a chi ritorna saranno garantite condizioni di vita decenti e stabili dal punto di vista economico e della sicurezza sociale. “Noi” ha dichiarato Kataray “consideriamo positivi gli inviti al ritorno rivolti dalle autorità ai cittadini non musulmani che vivono all'estero". Karatay ha anche ribadito che i caldei sostengono il processo di pacificazione in atto tra Ankara e gli indipendentisti curdi. In tempi recenti, in linea con il “neo-ottomanesimo” che ispira l'attuale leadership turca, si moltiplicano i segnali d'attenzione e di disponibilità del governo di Recep Tayyip Erdogan nei confronti di diverse minoranze cristiane. La Turchia tende a proporsi come “homeland” per i tanti cristiani siriaci (caldei, siri, assiri) ora residenti in Siria e in Europa, i cui avi vivevano in territorio turco. Lo stesso primo Ministro Erdogan ha invitato i cristiani siriaci emigrati a far ritorno in Turchia. Mentre il Ministro degli esteri Ahmet Davutoglu ha più volte ribadito la sua disponibilità a aiutare i cristiani siriaci coinvolti dalla guerra civile siriana. (R.P.)

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    Egitto. Tawadros II: “Non mi è stato chiesto di intervenire per la diga etiopica”

    ◊   Tawadros II, patriarca della Chiesa copta ortodossa egiziana, ha smentito che l’ufficio del Presidente Mohammed Morsi gli abbia chiesto di esercitare pressioni sul governo etiopico per bloccare la costruzione della diga “Grande Rinascita” sul Nilo Azzurro. Tawadros ha dichiarato al quotidiano egiziano Al-Tahrir che se è vero che la chiesa ortodossa etiopica ed egiziana hanno forti legami storici, questo non significa che egli abbia l’autorità di interferire nelle decisioni del governo di Addis Abeba. La precisazione del Patriarca ortodosso si spiega con le forti preoccupazioni da parte egiziana per l’avvio della costruzione di quella che è considerata la più grande diga d'Africa con una lunghezza di 1800m e un'altezza di 170m, che dovrà permettere la produzione di energia elettrica per una potenza di 6000 megawatt. L’Etiopia ha assicurato che il progetto non avrà impatti significativi sulla portata d’acqua del fiume, perché il corso del Nilo Azzurro, uno dei due affluenti del fiume più lungo del mondo, sarà ripristinata una volta che la diga verrà completata. Un rapporto pubblicato da un comitato tripartito composto da esperti provenienti da Egitto, Sudan ed Etiopia afferma invece che la diga priverà gli egiziani di 12 miliardi di metri cubi di acqua all'anno. La stampa del Cairo riferisce che nei circoli politici e militari egiziani si levano le voci di chi vuole fermare il progetto etiopico ad ogni costo, ricorrendo anche all’opzione militare, con un bombardamento aereo dell’opera in costruzione. (R.P.)

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    India. Vescovo dell’Orissa: unità fra i cristiani, per promuovere pace e giustizia

    ◊   La Chiesa in Orissa intende promuovere un approccio "inclusivo" per la promozione "della pace e della giustizia", che possa essere di beneficio non solo a livello locale, ma per tutta la Chiesa universale. È quanto ha sottolineato mons. Thomas Thiruthalil, vescovo di Balasore e presidente della Conferenza episcopale dell'Orissa, analizzando la realtà di una comunità che porta ancora i segni dei pogrom anti-cristiani del 2008. E per raggiungere l'obiettivo, aggiunge il prelato nel suo intervento, è necessario operare in modo "unito" perché in molti casi le altre denominazioni (cristiane) seguono "la leadership e i dettami" indicati dai cattolici. Mons. Thiruthalil parla del bisogno assoluto di "identità" che deve caratterizzare la Chiesa in Orissa, una terra - come tutta l'India - dalla "profonda religiosità" e dalle "ricche tradizioni". Egli - riferisce l'agenzia AsiaNews - invita prima di tutto a guardare al benessere dei cittadini, nessuno escluso, con una particolare attenzione "alle questioni riguardanti i Dalit e le popolazioni tribali", spesso ai margini della società. Tra i problemi più urgenti e irrisolti vi sono la povertà, la confisca arbitraria dei terreni, la migrazione e la disoccupazione. Per questo, aggiunge il prelato, è ancora più importante rafforzare "nei prossimi anni" la presenza e l'opera della Chiesa in un contesto povero ed emarginato. E non nasconde il proprio ottimismo, pur se rimangono ferite aperte - le persecuzioni del 2007 e 2008 - che devono ancora essere rimarginate. La storia della Chiesa mostra che, conclude mons. Thomas Thiruthalil, i problemi e le difficoltà "hanno sempre rafforzato la nostra fede". Per questo è necessario "perseverare" anche in mezzo a pressioni e difficoltà, affidandoci sempre a Dio nei tempi di crisi. "Ma resta ancora un lungo cammino da compiere - conclude il presule - per rendere sempre più attuale la Chiesa come unione di comunità diverse". (R.P.)

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    Bhutan: elezioni parlamentari. Silenzio su libertà religiosa e pulizia etnica

    ◊   Al via in Bhutan le elezioni per rinnovare il Parlamento. Le votazioni sono le seconde nella storia del Paese, famoso nel mondo per il suo "Pil della felicità". Gli elettori sono circa 390 mila su una popolazione di 750mila abitanti, residenti soprattutto in villaggi montani a oltre 4mila metri di quota. Il dato supera quello della passata edizione, dove migliaia di persone non avevano potuto votare perché impossibilitati a raggiungere i seggi. Per la prima volta i politici hanno fatto una vera e propria campagna elettorale villaggio per villaggio, affrontando temi come economia, educazione, infrastrutture. Il Paese, grazie alle aperture al turismo e allo sfruttamento minerario promosse da re Jigme Khesar Namgyel Wangchuck - riferisce l'agenzia AsiaNews - sta avendo un piccolo boom economico. Tuttavia, nessuno dei candidati ha accennato al grande problema degli oltre 850mila profughi di etnia nepalese espulsi dal Paese negli anni '90 e a tutt'oggi costretti a vivere "prigionieri" nei campi al confine con il Nepal. Altro tema "tabù" per queste elezioni sono le leggi anti-conversione, varate nel 2010, che impediscono alla popolazione, al 90% buddista, di cambiare religione. Quest'anno almeno 50mila cittadini hanno inviato il loro voto per posta agli uffici della capitale Thimphu. In questa occasione concorrono quattro partiti, nell'edizione del 2008 erano solo due . Essi sono: il Druk Nymrub Tshogpa il Druck Chirwang Tshogpa, entrambi guidati da donne, il Druk Phuensum Tshogpa attuale partito di governo, e il Partito democratico popolare, che per anni è stato l'unico movimento di opposizione. I partiti e le formazioni che prenderanno più voti si affronteranno nelle votazioni definitive del 13 luglio in cui verranno assegnati i 47 seggi del Parlamento. Dal 2006 il governo del Bhutan ha iniziato a promuovere una democrazia formale, dopo secoli di monarchia assoluta che proibiva la pratica di religioni diverse dal buddismo. Varata nel 2008, la nuova Costituzione prevede - almeno in via ufficiale - libertà religiosa per tutti i bhutanesi, previa segnalazione alle autorità competenti. Negli anni sono sorti così alcuni templi indù. Tuttavia, ancora oggi i cristiani non possono costruire chiese e celebrare la messa in pubblico. (R.P.)

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    El Salvador: 1.604 morti per violenze negli ultimi quattro anni

    ◊   Massacri di minori, bambini scomparsi o sequestrati da bande criminali, uso dei piccoli per estorsione, il reclutamento di queste povere vittime da parte di gruppi armati, sono i dati emersi da un recente studio condotto dalla Procuraduría para la Defensa de los Derechos Humanos (Pddh) e dal Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (Unicef). Negli ultimi 4 anni, si legge nel rapporto, sono morti 1.604 minori da 0 a 17 anni di età e, solo lo scorso anno, sono stati assassinati 12 neonati. La violenza sociale nel Paese continua ad aumentare in particolare contro i bambini. Nonostante un calo del 48% degli omicidi di minori tra il 2011 e il 2012, il tasso di assassinii di adolescenti continua ad essere molto elevato. Su 234 dei 265 uccisi registrati lo scorso anno, le vittime avevano tra 14 e 17 anni. Secondo il Pddh, il tasso di omicidi è stato di 41 ogni 100.000 abitanti nel 2012 e aumenta fino a 70 ogni 100.000 se si considerano gli adolescenti. Inoltre, sempre nello studio del Pddh si legge la denuncia da parte del Consiglio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza (Conna) di almeno 5.564 casi di maltrattamento, abuso e sfruttamento sessuale, bullismo, tratta e violazioni dei diritti alla salute e all’istruzione contro i minori di 18 anni verificatisi nel 2012. Secondo i dati del Ministero di Giustizia e Sicurezza Pubblica, il 2011 è stato l’anno più violento con 507 bambini uccisi. La tendenza è ridotta quasi alla metà nel 2012 con 265 casi. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 151

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