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Sommario del 30/05/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Stasera a San Giovanni in Laterano la Messa del Papa per il Corpus Domini
  • Siria. Mons. Tomasi: far tacere subito le armi, la gente ha pagato fin troppo i costi della guerra
  • Aiuto alla Chiesa che soffre: le persecuzioni anticristiane non fanno notizia
  • Oggi in Primo Piano

  • Missili russi a Damasco: sale la tensione tra Israele e Siria
  • Medici senza Frontiere: situazione umanitaria drammatica in Siria
  • Unicef, Rapporto 2013 sulle disabilità del mondo infantile
  • Il microcredito si rafforza: ne hanno beneficiato 55 mila soggetti
  • Padre Ayuso ad Ankara: rilanciare dialogo interreligioso di amicizia e rispetto
  • Bose: liturgia, arte e architettura al Convegno liturgico internazionale. Il saluto del Papa
  • Dialogo nel segno del Vangelo anche sul web: tavola rotonda alla Radio Vaticana
  • Cagliari. La pala d'altare di Kiko Argüello. Mons. Miglio: negli occhi del Cristo la speranza
  • "Lo Spiraglio", terza edizione del Filmfestival sul disagio psichico
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Vietnam: condannati otto cristiani degli Altipiani per “minaccia” all’unità nazionale
  • Myanmar: è tregua tra governo e ribelli Kachin
  • Sud Corea: i cattolici sono in continuo aumento
  • Bangladesh: la Chiesa è preoccupata per l'aumento dei casi di Aids
  • Sudan: nell'Abyei l'Onu rafforza la missione di pace
  • Mali: al nord è emergenza acqua
  • Somaliland: pene più severe per frenare gli stupri
  • L'arcivescovo di Barcellona: la vera laicità non nega alla fede la dimensione pubblica
  • Bruxelles: confronto Ue-Chiese su ruolo dei cittadini per la "casa comune"
  • "I Teatri del sacro": la presentazione della terza edizione
  • Il Papa e la Santa Sede



    Stasera a San Giovanni in Laterano la Messa del Papa per il Corpus Domini

    ◊   Papa Francesco presiederà per la prima volta, questa sera, la Messa solenne per il Corpus Domini. La celebrazione avrà inizio alle 19 nella Basilica di San Giovanni in Laterano e, come da tradizione, sarà conclusa dalla processione verso la Basilica di Santa Maria Maggiore. In questi due mesi e mezzo di Pontificato, il Papa ha offerto alcuni pensieri sulla centralità dell’Eucaristia, in continuità con il magistero sviluppato in precedenza. Lo ricorda in questo servizio Alessandro De Carolis:

    Il cuore di un cristiano è come la tavola dell’Ultima Cena: va apparecchiato per l’Eucaristia. È così che il cardinale Jorge Mario Bergoglio aveva spiegato il significato del Corpus Domini nell’ultima omelia della solennità, celebrata a Buenos Aires lo scorso anno. Gesù – aveva affermato in quella circostanza, era il 9 giugno 2012 – dà molta importanza al ‘preparare’”. “Io vado a prepararvi un posto”, dice Cristo ai discepoli dopo la Risurrezione, e in questo senso l’Eucaristia – sosteneva il futuro Papa – “è un anticipo di quel luogo” e “ogni volta che ci riuniamo per mangiare il Corpo di Cristo, il luogo in cui celebriamo diventa per un po' il nostro posto in cielo”. Ma non basta. Papa Francesco non concepisce un Cenacolo chiuso, uno spezzare il pane per pochi, privilegiati intimi. “Ci sono molti cenacoli nella nostra città – aveva soggiunto in quell’omelia – dove il Signore condivide il suo pane con l'affamato”. Questa è la sua visione, già più volte ripetuta anche dalla Cattedra di Pietro. Il Corpo di Gesù va spezzato con chi, o pensando a chi, di quel Corpo è “carne” viva e prediletta:

    “La carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri (...) E questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua Incarnazione. Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo”. (Veglia di Pentecoste, 18 maggio 2013)

    La “carne di Cristo” abbonda nelle periferie del mondo. E nelle orecchie della Chiesa risuona da settanta e più giorni l’appello pressante di Papa Francesco: “Uscire, uscire fuori!”. È questa la missione della Chiesa e l’energia per portarla a termine è assicurata dall’Eucaristia, come domenica scorsa il Papa spiegava ai bambini della Prima Comunione:

    “Gesù ci dà la forza. Come ci dà la forza Gesù? Voi questo lo sapete come ci dà forza? Forte, non sento! Nella Comunione ci dà la forza, proprio ci aiuta con la forza. Lui viene a noi. Ma quando voi dite ‘ci dà la Comunione’, un pezzo di pane ti dà tanta forza? Non è pane quello? E’ pane? Questo è pane, ma quello sull’altare è pane o non è pane? Sembra pane! Non è proprio pane. Che cosa è? E’ il corpo di Gesù. Gesù viene nel nostro cuore. Ecco, pensiamo a questo, tutti.” (Prima Messa parrocchia romana, 26 maggio 2013)

    Nel Cenacolo dell’Eucaristia, aveva assicurato in quell’omelia il cardinale Bergoglio, “c’è spazio per tutti”. In una società di tanti “luoghi chiusi” e circoli privati, Gesù prepara un banchetto che non esclude nessuno. E seduti a quel banchetto, nutriti da quel pane, diventiamo visibilmente cristiani, cioè uomini e donne felici:

    “Non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo! Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento! La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili". (Messa delle Palme, 24 marzo 2013)

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    Siria. Mons. Tomasi: far tacere subito le armi, la gente ha pagato fin troppo i costi della guerra

    ◊   Far tacere subito le armi in Siria e promuovere negoziati di pace che ridiano speranza ad una popolazione devastata dalle violenze: è l’accorato appello lanciato ieri dall’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra nel suo intervento alla 63.ma sessione del Consiglio per i diritti umani in corso nella città elvetica. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    In Siria si assiste alla violazione di tutti i diritti umani. La denuncia di mons. Tomasi è forte: “Sono state distrutte decine di migliaia di vite; un milione e mezzo di persone sono state costrette a fuggire all'estero come rifugiati; più di quattro milioni di persone hanno perso le loro case e civili sono stati presi di mira dai belligeranti nel totale disprezzo del diritto umanitario. Questa enorme tragedia nazionale rischia di intensificare i conflitti regionali e globali, di trasformare le ambizioni di potere politico in scontri etnici e religiosi di stampo fondamentalista e di distruggere l'intero Paese”.

    Per il rappresentante della Santa Sede “la strada da seguire non è una intensificazione militare del conflitto armato, ma il dialogo e la riconciliazione” che possono trovare attuazione nella progettata conferenza di pace, “se c’è la volontà politica di sostenerla”. “Un cessate il fuoco immediato – afferma mons. Tomasi - fermerà lo spargimento di sangue, una tragedia inutile e distruttiva che ipoteca il futuro della Siria e del Medio Oriente”. Il presule ricorda l’appello di pace per la Siria lanciato da Papa Francesco a Pasqua: “Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?”. La Santa Sede – ha aggiunto il rappresentante vaticano – “ha sempre insistito sul fatto che solo negoziati pacifici porteranno ad una soluzione accettabile della crisi e che la partecipazione, in un eventuale governo e in posizioni di responsabilità, di rappresentanti di tutti i cittadini può garantire una convivenza pacifica duratura e costruttiva di tutte le comunità che compongono la società siriana”.

    Mons. Tomasi ha ricordato poi che “i bambini nei campi profughi e nelle aree di conflitto, traumatizzati e forzatamente privati ​​dei loro diritti, soffrono di più le conseguenze della violenza e reclamano una generosa solidarietà da parte della comunità internazionale. Solo in questo modo essi e le loro famiglie potranno di nuovo sperare in una esistenza normale. In particolare – ha detto - i minori non accompagnati meritano particolare attenzione e assistenza per evitare che cadano vittime della tratta e di altre forme di sfruttamento”.

    Di qui l’appello: “Mettere a tacere i cannoni è la priorità”. Inoltre, è necessario “superare ogni pessimismo” circa un esito positivo dei negoziati. “Il popolo della Siria – ha concluso mons. Tomasi - ha già pagato troppo” e la “sofferenza indicibile” dei siriani “non deve essere ignorata da nessuna delle parti in causa”: tutti “sono chiamati ad agire ora per la pace, la ricostruzione e un nuovo inizio delle relazioni umane basato sui diritti umani e l'interesse comune della famiglia umana”.

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    Aiuto alla Chiesa che soffre: le persecuzioni anticristiane non fanno notizia

    ◊   Ogni anno oltre centomila cristiani vengono uccisi per ragioni legate in qualche modo alla propria fede. E’ la denuncia levata nei giorni scorsi all’Onu di Ginevra da mons. Silvano Maria Tomasi. Un dato che mostra, in modo impressionante, quanto la persecuzione dei cristiani sia di drammatica attualità e non storia del passato. Alessandro Gisotti ne ha parlato con Marta Petrosillo, portavoce dell’associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre” in Italia:

    R. – E’ davvero un dato scioccante, come ha detto mons. Tomasi, e purtroppo registriamo degli aumenti nelle violenze anticristiane, negli ultimi anni. Noi, come Aiuto alla Chiesa che Soffre, l’abbiamo riscontrato anche nel nostro ultimo Rapporto sulla libertà religiosa, che prende in esame 196 Paesi. Di questi, 131 sono a maggioranza cristiana e non vengono riscontrate persecuzioni, mentre ad esempio nei 49 Paesi a maggioranza musulmana si riscontrano molti episodi di vere e proprie persecuzioni. Anche perché, ad esempio, in 17 di questi 49 Paesi, l’islam è la religione di Stato.

    D. – Colpisce forse una certa indifferenza, una stanchezza, da una parte dei media, in generale, ma poi forse anche dei fratelli cristiani, che magari vivono in Occidente…

    R. – Questo sì, sicuramente è legato anche al nostro modo di vivere la fede in maniera anche più blanda. Si riscontrano non delle persecuzioni, ma delle discriminazioni in Europa proprio per motivi legati al modo di vivere la religione. Oggi si crede che la religione, soprattutto quella cristiana, debba essere vissuta solamente nel privato. Si rispetta l’altro e si crede erroneamente che, rispettare l’altro, voglia dire nascondere il proprio credo religioso. Sì, è vero, purtroppo, la persecuzione cristiana non fa notizia. Questo credo dipenda anche da noi, da noi cristiani. Un sacerdote egiziano mi ha detto che dai tempi di Diocleziano ogni centimetro della terra egiziana è stato bagnato dal sangue di un martire cristiano.

    D. – Il sangue dei martiri è seme dei nuovi cristiani, come diceva Tertulliano, per cui questa Chiesa che soffre è una Chiesa che testimonia…

    R. – Sì, è una Chiesa che testimonia. Le persecuzioni non sono solamente perpetrate da movimenti nazionalisti o da fondamentalisti, ci sono anche quelle perpetrate dagli Stati. Quello però che riscontriamo è sicuramente un aumento di questi fondamentalisti, una maggiore radicalizzazione. Purtroppo è un fenomeno che si sta allargando.

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    Oggi in Primo Piano



    Missili russi a Damasco: sale la tensione tra Israele e Siria

    ◊   Resta sempre alta la tensione tra Israele e Siria, all'indomani dell'annuncio di Mosca che ha confermato la fornitura dei sistemi missilistici antiaerei S-300 a Damasco. Israele fa sapere che agirà in modo da prevenire che i missili russi diventino operativi sul suolo siriano. E c’è qualche esponente politico che parla anche di minacce di attacchi chimici dalla Siria a Israele. Da parte sua, il ministro degli Esteri siriano, Muallim, afferma che “se Israele attaccherà nuovamente la Siria la rappresaglia sarà immediata”. Fausta Speranza ha parlato del braccio di ferro in atto nell’area con Arduino Paniccia, docente di Studi strategici all’Università di Trieste:

    R. – Sono delle schermaglie, perché naturalmente ad Israele non può far piacere che siano iniziate le consegne dei primi missili S300 da parte della Russia ad Assad. Questa è sicuramente una situazione allarmante. Il braccio di ferro vero, però, continua ad essere quello riguardante l’opposizione siriana, che sta cercando – sembra – in tutti i modi di non fare effettuare la Conferenza Ginevra 2 di pace, progettata da Kerry e dal ministro Lavrov, e coloro che invece cercano di ricondurre la questione sotto l’egida dell’Onu e trovare un tavolino negoziale politico. In questo momento, quindi, credo che la questione principale sia cercare di uscire dalla logica militare, dalla logica della guerra - i cui effetti terribili abbiamo già visto - per cercare di tornare ad una logica negoziale diplomatica concertata.

    D. – Si può dire però che si sono creati diversi livelli d’impasse diplomatica...

    R. – Questa è la constatazione più giusta, perché gli stessi che hanno convocato la Conferenza, per esempio gli Stati Uniti appoggiati dall’Europa, in realtà sulla vicenda siriana negli ultimi tempi si sono spaccati. Gli Stati Uniti hanno in seno almeno un paio di anime: coloro che vorrebbero un intervento forte, di aiuto all’opposizione siriana, per tentare di dare la spallata militare sul campo invece che andare a trattare con Assad, e una componente molto forte, che ha incontrato alcuni rappresentanti dell’opposizione. Questa corrente è molto seguita anche in Turchia e ha come rappresentanti in Europa la Gran Bretagna. Quindi anche l’Europa si è poi presentata spaccata sulla vicenda della fine dell’embargo e dell’inizio dei rifornimenti di armi all’opposizione. La realtà, quindi, è che ci sono numerose fratture all’interno della posizione occidentale, americana, europea e anche dell’alleato turco, mentre, invece, la Federazione russa sta cercando di presentare la propria coalizione - con l’Iran, con la Cina e con gli altri Paesi centro-asiatici, che in qualche modo la stanno appoggiando, compreso poi alla fine il braccio armato di hezbollah - con una posizione molto più coesa, che vuole la pace, vuole andare alla trattativa, ma mostra i muscoli e se occorre anche gli artigli.

    D. – L’Italia è tra i Paesi europei più importanti esposti sul Mediterraneo, potrebbe avere un ruolo nella crisi siriana?

    R. – L’Italia ha già comunque preso una buona decisione, quando ha deciso di non vendere le armi in territorio siriano. Secondo me, però, non basta: noi dobbiamo cercare di aiutare la Conferenza che, come si è capito, vedo come una delle pochissime, forse l’unica strada, per uscire dal massacro in Siria e, addirittura, con uno scontro, come si ipotizzava, con Israele, o l’uso di armi di distruzione di massa. Tutto questo è alle porte. Solo Ginevra 2 può cercare di fermare questa strada, lasciando – a mio parere – perdere deliberazioni come la no-fly zone e altre cose che, nel tempo, nei decenni precedenti, hanno dimostrato tutta la loro debolezza. Prendiamo, uno per tutti, il caso iracheno. Mi concentrerei invece nel tentativo di aprire un tavolino pre-negoziale, cercando di smussare gli angoli, prima di arrivare direttamente alla Conferenza ancora con tutto aperto e, quindi, in una situazione molto più difficile.

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    Medici senza Frontiere: situazione umanitaria drammatica in Siria

    ◊   Drammatica la situazione umanitaria in Siria, il sistema sanitario è al collasso, i bisogni della popolazione sono innumerevoli. A denunciarlo Loris De Filippi, presidente di Medici senza Frontiere Italia, tornato da qualche giorno dal Paese siriano. Benedetta Capelli lo ha intervistato:

    R. - Sono tornato pochi giorni fa, ma ero stato già sei mesi fa nel Paese: quindi ho visto il peggioramento, il deterioramento della situazione in Siria, in particolare nel nord, ovviamente nell’area in cui operiamo noi e cioè Idlib e Aleppo. La situazione è drammatica, perché c’è stato un imbarbarimento del conflitto sicuramente, ma anche un peggioramento delle condizioni di vita delle persone: il fatto che manchi la corrente da ormai più di sei mesi, il fatto che l’acqua non sia potabilizzata, il fatto che i bambini non vengano vaccinati da ormai due anni rende tutto molto più complesso e più difficile. Io credo che ci voglia un intervento massiccio dal punto di vista delle organizzazioni internazionali per far sì che si eviti il peggio quest’estate.

    D. - Voi denunciate un sistema sanitario al collasso e dei bisogni che sono immensi. Ecco, quali sono allora i bisogni di questa popolazione e in che modo si può intervenire?

    R. - Uno dei problemi grossi è sicuramente quello delle malattie croniche come il diabete, le ipertensioni, i problemi cardiovascolari, ma anche i problemi derivati dal fatto che manca, ormai da due anni, la vaccinazione sul posto. Cresce poi il numero di donne che arrivano a partorire nei nostri centri e c’è solo un ospedale dei nostri due che garantiscono i parti cesari, per esempio; e l’altro problema che monta - e le risposte sono scarse - è quello della salute mentale: il continuare dei bombardamenti e del conflitto ha portato a un cedimento delle capacità di resistere delle persone. In molti casi vediamo delle sindromi anche acute di carattere psicologico.

    D. - Ci ha descritto molte difficoltà, ma c’è anche un problema di sicurezza per quanto riguarda i vostri operatori?

    R. - Sicuramente e questo non è cambiato! Certamente il problema della sicurezza è un problema da tenere in considerazione. Quello che ci protegge sicuramente non sono né i caschi né altre protezioni fisiche: è il lavoro quotidiano che si fa con le persone e che, in qualche maniera, fa accettare la presenza internazionale di organizzazioni come la nostra.

    D. - Ogni giorno facciamo un resoconto dalla Siria con moltissime vittime, tra di loro soprattutto i bambini. Si sta quasi cancellando una generazione in quel Paese…

    R. - Molti bambini scappano o riescono a rimanere all’interno dei campi profughi; alcuni rimangono vicini a papà e mamma, sotto un conflitto che non risparmia nessuno, e ovviamente sono vittime dirette, direi vittime due volte perché la pressione psicologica su di loro è inaudita: il continuo bombardamento porta al fatto che questi bambini soffrano di disturbi notturni e che siano le vittime principali di questa infinita guerra.

    D. - C’è un’immagine che, più di altre, l’ha colpita in questo suo viaggio in Siria?

    R. - Sì: il fatto che in una rapida sequenza tre bambini sono venuti alla luce in un posto disperato come quello… Sono stati accolti sia dal team locale che dai genitori in maniera festosa. Questa è stata una cosa molto bella proprio per la sequenza rapida in cui questi bambini sono venuti al mondo ed è un momento anche di speranza per il team che così ha fatto una pausa tra un ferito di guerra e un altro…

    D. - In conclusione le chiedo se c’è un appello che Medici senza Frontiere vuole lanciare per questo Paese?

    R. - Sì, due appelli. Il primo è quello che effettivamente si abbia la possibilità, per gli operatori umanitari, di non essere vittime di questo conflitto, quindi si possa passare da una zona all’altra del Paese con più facilità. L’altro è a tutti quelli che ci ascoltano: il fatto che in questo momento siamo concentrati in questa crisi molto, molto grossa e dispendiosa fa sì ci sia effettivamente la necessità di risorse sempre maggiori. Quindi, da un lato, servono sicuramente delle risorse a Medici senza Frontiere e, dall’altro, auspichiamo che ci siano più organizzazioni che vogliano condividere con noi questo cammino difficile.

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    Unicef, Rapporto 2013 sulle disabilità del mondo infantile

    ◊   “La condizione dell’infanzia nel mondo-Bambini e disabilità.” E’ questo il titolo del Rapporto dell’Unicef per l’anno 2013, presentato questa mattina presso a Roma. L’obiettivo è quello di dare maggiore visibilità al dibattito internazionale sempre più urgente sui diritti delle persone con disabilità, in particolare bambini e adolescenti. Al microfono di Gea Finelli, il presidente di Unicef Italia, Giacomo Guerrera:

    R. – Quest’anno, abbiamo voluto mettere sotto i riflettori questo argomento, perché abbiamo notato che c’è una certa disattenzione, una certa superficialità nell’affrontare questo tema, sia per quanto riguarda la situazione italiana, sia per quanto riguarda la situazione mondiale. A livello mondiale, i dati parlano molto chiaro: sono 93 milioni i bambini con disabilità e 165 milioni i bambini che corrono il rischio di diventare disabili perché la malnutrizione che si manifesta nei primi giorni di vita, se continua oltre il secondo anno, diventa irreversibile e determinante, facendo nascere nei bambini forme di disabilità diverse, che vanno dalla crescita fisica fino anche a disturbi intellettivi.

    D. – Quali sono gli altri rischi legati alla disabilità?

    R. – Il rischio di diventare ciechi: sono tra i 250 mila e i 500 mila i bambini che corrono questo rischio, determinato esclusivamente dalla mancanza della vitamina A, che costa appena 5 centesimi l’anno per scongiurare tutto questo. Inoltre, dal 1999 a oggi, almeno mille vittime l’anno sono i bambini che hanno avuto delle disabilità a seguito delle mine terrestri o dei residuati bellici esplosivi.

    D. – Elemento essenziale del Rapporto, la necessità di approcci fondati sull’inclusione e l’equità…

    R. – Certo. Noi vogliamo parlare di inclusione e non di integrazione: l’integrazione, chiaramente, è un processo che inserisce un bambino in un contesto già preesistente. Inclusione è quando al bambino vengono offerte tutte le opportunità necessarie, perché possa ottenere e possa soprattutto completare un percorso educativo nel migliore dei modi: mi riferisco al linguaggio dei segni, al braille, a tanti sistemi che oggi aiutano i bambini. Soprattutto, non dobbiamo dimenticare le barriere architettoniche che ancora sono presenti nelle nostre scuole: il 70% delle scuole non sono in regola con le scale, l’80% delle scuole non ha bagni adeguati per bambini con disabilità. Queste situazioni, sono situazioni che impediscono di offrire al bambino la possibilità di essere incluso veramente, di poter seguire un percorso educativo con gli stessi diritti degli altri bambini.

    D. – Nella classifica complessiva sul benessere dei bambini, l’Italia occupa il 22.mo posto su 29 Paesi: la situazione nel nostro Paese, dunque, non è delle migliori?

    R. – Non è delle migliori. Sicuramente non è delle migliori, ma c’è da dire una cosa: per quanto riguarda la disabilità – lo diciamo nel nostro Rapporto – al di là dei numeri, noi non possediamo dati certi e confrontabili, perché il tema della disabilità non è stato all’attenzione, in maniera adeguata, in tutti questi anni e purtroppo ciascun Paese effettua rilievi in maniera diversa e quindi non confrontabili. Chiaramente, il nostro Paese registra ritardi, ai quali accennavo prima: ritardi sia dal punto di vista inclusivo, sia dal punto di vista delle opportunità che a questi bambini non vengono concesse. Noi dobbiamo immaginare di dover aiutare – e questo lo abbiamo detto al governo e lo ripetiamo – le famiglie soprattutto perché i costi aggiunti, per le famiglie dove ci sono bambini disabili, diventano insopportabili soprattutto in questo periodo.

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    Il microcredito si rafforza: ne hanno beneficiato 55 mila soggetti

    ◊   In Italia, aumenta il ricorso al microcredito per far fronte alla crisi. Nel 2011, i prestiti sono cresciuti del 46% secondo uno studio promosso da Unioncamere. Un impatto importante anche dal punto di vista dell’occupazione, visto che solo le imprese sociale danno lavoro a oltre 380 mila persone. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Dal 2004 ad oggi, la crescita del microcredito è stata lenta ma costante. Duecentosedici i programmi avviati con oltre 55 mila soggetti tra famiglie e imprese e un prestito medio di 9.800 euro. La fanno da padrone i progetti nell’area del sociale, pensiamo ad esempio al contrasto all’usura, ma poi vengono le imprese, con la nascita in questi anni di più di 5.600 nuove attività. E il welfare è la nuova frontiera. Carlo Borgomeo della C.Borgomeo & co che ha curato la ricerca:

    "Il nuovo welfare è un mix intelligente di risorse pubbliche, di nuovo ruolo dei privati e di nuovo protagonismo degli utenti. In questo spazio, l’impresa sociale ha un’autostrada, non facile ma ha un’autostrada”.

    Una nuova frontiera per sconfiggere la fame di credito, visto che solo l’11% delle nuove imprese riesce a ottenere un finanziamento dalle banche. Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere:

    "Se la piccola e media impresa, la microimpresa, continuerà a essere la protagonista del sistema economico del nostro Paese, io credo che in qualche modo potremmo riprendere un cammino operoso. Perché soltanto in questa direzione noi riusciamo, in qualche modo, a rimettere in modo un meccanismo virtuoso di imprenditoria e, dopo, anche di consumi interni, senza i quali - io credo - tutta la microimpresa che vogliamo far rinascere, non avrebbe gli spazi per potersi affermare".

    Attenzione, però, dice Dardanello: l’aumento dell’Iva previsto a ottobre potrebbe deprimere tante aziende che sono appena nate.

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    Padre Ayuso ad Ankara: rilanciare dialogo interreligioso di amicizia e rispetto

    ◊   Rilanciare un dialogo interreligioso di amicizia e di rispetto: è stato questo l’intento dell’incontro ufficiale tenutosi stamani ad Ankara, in Turchia, tra padre Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, e il presidente del Direttorato degli Affari religiosi della Turchia (Diyanet), Mehmet Görmez. Il servizio di Isabella Piro:

    L’appuntamento odierno riprende un impegno annunciato nel 2002 quando a Roma fu siglato un accordo di intesa tra il dicastero vaticano per il Dialogo interreligioso e la Diyanet. Cinque i punti centrali dell’accordo: promuovere una corretta comprensione delle religioni, eliminando incomprensioni e pregiudizi in materia; sostenere la libertà di religione, credo e coscienza; incoraggiare e sviluppare validi programmi di formazione sulle altre religioni; favorire il dialogo interreligioso in tutte le sue forme, in particolare facilitando i contatti tra le istituzioni accademiche che offrono corsi di religione; monitorare l’attuazione di tali accordi attraverso incontri periodici tra i rappresentanti di entrambe le parti. All’epoca, il documento fu siglato dal card. Francis Arinze, allora presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, e da Mehmet Nuri Yilmaz, che guidava la Diyanet. Nel corso dell’incontro di stamani, padre Ayuso – che era accompagnato da mons. Khaled Akasheh, capo ufficio per l'Islam del Dicastero vaticano - ha ricordato il discorso che Benedetto XVI rivolse alla Diyanet il 28 novembre 2006, durante il viaggio apostolico in Turchia: in quell’occasione, l’allora Pontefice sottolineò che la Turchia è un Paese “molto caro ai cristiani”, perché “molte delle primitive comunità della Chiesa vi furono fondate”. Una “nobile terra”, aggiunse Papa Ratzinger, che “ha visto una ragguardevole fioritura della civiltà islamica nei più svariati campi, inclusa la letteratura e l'arte, come pure le istituzioni”. Benedetto XVI richiamò quindi i suoi predecessori: Giovanni XXIII che, in veste di rappresentante pontificio ad Istanbul, disse: “Io amo i Turchi”, e Giovanni Paolo II che visitò la Turchia nel 1979. Infine, Benedetto XVI auspicò “un comune impegno al dialogo fra cristiani e musulmani, come pure un incoraggiamento a perseverare lungo questa via, nel rispetto e nell'amicizia”. Parole riprese anche da Papa Francesco il 20 marzo scorso, durante l’incontro con i rappresentanti delle Chiese e delle altre religioni: “La Chiesa cattolica - ha detto Papa Bergoglio - è consapevole dell’importanza che ha la promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose”.

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    Bose: liturgia, arte e architettura al Convegno liturgico internazionale. Il saluto del Papa

    ◊   A 50 anni dalla promulgazione della Costituzione Sacrosanctum Concilium, la prima approvata dal Concilio Vaticano II, esperti e studiosi di liturgia, arte e architettura si confrontano oggi e domani presso il Monastero di Bose durante l’11.mo Convegno liturgico internazionale. Ai partecipanti sono giunti – a mezzo di in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone – il saluto e la benedizione di Papa Francesco. “Iniziando con il tema della liturgia – aveva detto pochi mesi fa il Papa emerito Benedetto XVI – il Concilio mise in luce in modo molto chiaro il primato di Dio, la sua priorità assoluta”. Paolo Ondarza ha intervistato mons. Stefano Russo, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per i Beni culturali ecclesiastici, tra i promotori del simposio:

    R. – Il nostro sguardo è diretto al passato, per un certo modo di dire, proprio per ritrovare quella fonte ispiratrice che proviene dal Concilio, attraverso la Sacrosanctum Concilium, che ancora oggi è viva e chiede di essere attuata. La Chiesa oggi è chiamata ad avere grande attenzione rispetto alla liturgia, all’arte e all’architettura.

    D. – Più volte, l’importanza della liturgia è stata sottolineata dal Papa emerito Benedetto XVI che ha puntato anche l’attenzione su quanto l’arte possa contribuire a dischiudere gli orizzonti della fede…

    R. – Assolutamente sì. Questo tema dell’arte e del rapporto con l’arte e con gli artisti è un fondamentale. E’ importantissimo che la Chiesa possa trovare le forme di un dialogo, di un rapporto con l’arte. E’ importante che da tale dialogo nascano opere d’arte, affinché ancora oggi, così come nel passato, si possa continuare attraverso l’arte a parlare di Dio.

    D. – Ma perché la liturgia continua a essere importante e soprattutto perché ha bisogno di un’alleanza con l’arte?

    R. – La liturgia è importantissima per la vita della Chiesa. Ha bisogno di un’arte che sia contestualizzata nel luogo liturgico, quindi non dell’arte in generale ma di un’arte che sia attenta anche a quelle che sono le azioni che la liturgia prevede.

    D. – Un dialogo, quello tra liturgia, arte e architettura che presenta numerose sfide. Non sono mancate in questi 50 anni polemiche, anche recenti, circa la costruzione di aule di culto, chiese, poco rispondenti alle esigenze liturgiche…

    R. – In merito a questo, dico soprattutto che ritengo importante che si tenga vivo il dialogo; che non ci si chiuda rispetto a preconcetti, ma che soprattutto si faccia anche di questo discorso intorno all’arte e alla liturgia un’esperienza di Chiesa dove sempre più artisti, architetti professionisti, committenti, liturgisti, possano trovare luoghi dove dialogare. In questo modo anche i luoghi di culto, che sono espressione del nostro tempo, saranno il frutto di un lavoro di Chiesa.

    D. – Auspicabile a tale riguardo la formazione dell’artista ai contenuti della fede, della liturgia?

    R. – Questo è un altro tema fondamentale, quello della formazione. Direi che in questi anni la Chiesa in Italia ha realizzato diverse iniziative di questo tipo, anche promosse dagli stessi Uffici della Conferenza episcopale italiana. Anche il Convegno di questi giorni, che ci vede in collaborazione con la Comunità di Bose, ormai è diventato un appuntamento tradizionale per tanti artisti, architetti, liturgisti, sacerdoti, operatori dei beni culturali ecclesiastici della liturgia. Quindi, andiamo avanti affrontando questa sfida che il nostro tempo ci lancia.

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    Dialogo nel segno del Vangelo anche sul web: tavola rotonda alla Radio Vaticana

    ◊   Dibattere insieme, aprirsi al confronto per poter leggere meglio i segni dei tempi. È uno dei compiti più importanti per chi testimonia la propria fede cristiana oggi, e lo è anche in Rete. Proprio dall’esperienza di un blog collettivo, "VinoNuovo.it", è nata la tavola rotonda "Libero dialogo nella Chiesa. Oggi si può?", che si è svolta ieri alla Radio Vaticana. L’ha seguita Davide Maggiore:

    Vivere il Vangelo cercando nel dialogo ciò che abbiamo in comune. Lo sforzo del cristiano, ancora di più se lavora nella comunicazione, è lo stesso, oggi come ieri. Per fare questo, attualmente, Internet non è solo uno strumento tra i tanti. Secondo padre Francesco Occhetta, scrittore della rivista Civiltà Cattolica, la Rete evidenzia soprattutto un dato:

    “Viviamo una navigazione. La navigazione è molto più complessa del cammino, perché bisogna calcolare i venti, bisogna avere una meta, una bussola. Se la bussola si spacca o si perde è quasi la fine. Dobbiamo aiutarci in questo”.

    Come accade durante ogni navigazione, ci sono dei punti di riferimento, prosegue padre Occhetta:

    “C’è una stella polare, che guida nel mare, in mezzo alle tempeste, che per noi è il Vangelo e la vita di Cristo. Ci sono dei principi, c’è un’Incarnazione, c’è la possibilità di aprire nel mare delle strade. Questo è ciò che stiamo tentando di fare, quello che sta tentando di fare anche 'Vino Nuovo'. Dobbiamo stare insieme, dobbiamo fare rete, dobbiamo offrire questa testimonianza, perché altri possano interloquire”.

    In questo contesto, è importante imparare a parlare il linguaggio della Rete. Lo sottolinea Jesus Colina, direttore editoriale del network "Aleteia.org":

    “Abbiamo una ricchezza: un messaggio stupendo, straordinario. Abbiamo la più grande comunità esistente in Internet: di un miliardo e 200 milioni di battezzati, più di 450 milioni sono in Rete, sono collegati ad Internet. La sfida è veramente quella di parlare il linguaggio di Internet, che ha le sue regole, le sue caratteristiche tecniche, ma soprattutto è una questione di atteggiamento. Internet, come il cristianesimo, deve essere un luogo di incontro. Se noi impariamo il linguaggio digitale, daremo a più persone la possibilità di trovare in Internet un primo luogo di incontro, per poi scoprire la comunità, la Chiesa. Non dobbiamo restare chiusi al mondo virtuale, ma passare anche al mondo reale”.

    Il dialogo è quindi innanzitutto dialogo tra persone, che mettono in comune le proprie esperienze, qualunque sia il mezzo attraverso cui ciò avviene. A sottolineare le affinità è Gilberto Borghi, insegnante di religione e scrittore, tra gli autori di "Vinonuovo.it":

    “La sensazione di fondo che ho è che abbiano in comune intanto la mia fede, nel senso che, ovviamente, sono tipi di dialogo che nascono tutti dall’esperienza di fede che io ho. Credo ci sia anche, però, il tentativo di imparare a usare meglio gli strumenti della comunicazione, a tutti i livelli. Quindi, sono dialoghi che in qualche modo s’intersecano, legati alla necessità di trovare un modo di comunicare, che oggi funzioni con tutte le persone”.

    Un’altra, fondamentale analogia sta nel principio che, per il cristiano, guida il dialogo. Ancora Jesus Colina:

    “Il comandamento del cristiano è il comandamento dell’amore, è la nostra grande rivoluzione: amare il 'nemico' in comunicazione è dare sempre spazio al dialogo, anche se non sono d’accordo con lui. Se lui sente che io lo amo, lui sarà aperto. Se io lo condanno, il dialogo è finito”.

    Il dialogo, infine, porta frutti anche perché riesce ad arricchire entrambi gli interlocutori. Gliberto Borghi descrive così l’esperienza vissuta grazie agli alunni delle sue classi:

    “Il valore del dialogo sta nel fatto che sono io a imparare: sono io a imparare davvero modi di leggere la fede, di viverla, che sono molto reali, molto concreti, perché in realtà nascono dalla vita, dalla pelle, dal cuore, di questi ragazzi”.

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    Cagliari. La pala d'altare di Kiko Argüello. Mons. Miglio: negli occhi del Cristo la speranza

    ◊   Una pala d’altare di 85 metri quadri: al centro il Cristo Pantocrator e ai lati le scene principali della sua vita terrena, la Dormizione di Maria e la Pentecoste. La grande opera pittorica è stata realizzata nella Chiesa della Vergine della Salute, a Cagliari, da un’equipe di circa 25 pittori spagnoli e italiani e completata da Kiko Argüello, artista e iniziatore del Cammino neocatecumenale. L’inaugurazione è avvenuta ieri alla presenza dell’arcivescovo di Cagliari, mons. Arrigo Miglio e dello stesso Kiko Argüello. Il servizio di Debora Donnini:

    Dall’Annuncio dell’Angelo a Maria all’Apparizione del Risorto fino alla Pentecoste: sono le scene che coronano il grande Cristo Pantocrator posto al centro della pala d’altare della Chiesa della Vergine della Salute, a Cagliari. Una pittura che con il suo sfondo d’oro vuole aiutare i fedeli nella fede attraverso la bellezza. I dipinti sono realizzati con lo stile delle icone. Perché? Ci risponde Kiko Argüello:

    R. – Stiamo cercando di creare un ponte con l’Oriente. Bisogna recuperare il canone della Chiesa orientale, che è stato mantenuto durante i secoli, mentre la Chiesa d’Occidente dopo il 1.400, con Giotto, comincia a tracciare la prospettiva e la terza dimensione. Oggi, penso che anche grazie a tutta l’arte occidentale moderna – grazie a Picasso, a Braque, alle grandi scoperte impressionistiche – si possa arricchire la bellezza dell’arte orientale, riprendendo il canone. Molta gente, infatti, resta impressionata e in moltissima gente si risveglia l’anima, perché questa pittura usa la prospettiva inversa: il punto focale non è dentro il quadro, ma è fuori.

    D. – La bellezza, l’arte, colpisce la parte dell’uomo più emotiva. Perché è importante questo per l’evangelizzazione: perché le persone si sentano amate?

    R. – Tutta la natura è piena della bellezza di Dio. Tutto è bello nella natura. Noi seguiamo questa linea anche per evangelizzare: sto facendo anche musica, scultura. E’ stata fatta una scultura di Giovanni Paolo II e adesso questa grande pala d’altare, che fa presente il Cielo.

    D. – Questa immagine di Giovanni Paolo II per cosa è?

    R. – Lo Stato d’Israele vuole realizzare un parco in memoria di Giovanni Paolo II, sul Monte delle Beatitudini, dove c’è stato l’incontro con 150 mila giovani e mi è stata commissionata una statua di Giovanni Paolo II.

    L’inaugurazione della pala d’altare o "Retablo" è avvenuta alla presenza di mons. Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari. Gli abbiamo chiesto quale l’importanza di quest’opera pittorica:

    R. – Mi pare il segno della maturità di una comunità parrocchiale fatta di tutte queste comunità del Cammino neocatecumenale e anche, ovviamente, di tutte le altre persone che vivono sul territorio. Ma la caratteristica di questa parrocchia è stata proprio la crescita progressiva e, al tempo stesso, un volto giovane.

    D. – Quali sono i particolari che più la colpiscono di questa pittura, che ha anche un senso di evangelizzazione per chi entra nella Chiesa?

    R. – Le pagine della vita di Cristo scelte sono tra le più significative del Vangelo e poi la pittura culmina nel volto nel Cristo che viene, il Cristo Risorto dell’Apocalisse, che viene alla fine dei tempi. Questo volto mette in evidenza due aspetti: l’austerità del Giudice che viene, ma gli occhi di questo volto sono gli occhi della misericordia, che offre ancora una volta l’occasione di pentimento, di guarigione e di salvezza. Mi pare che questi due aspetti siano armonizzati molto bene e diano, quindi, un messaggio di grande speranza.

    D. – La prima visita che Papa Francesco farà in Italia, a settembre, sarà proprio a Cagliari, alla Madonna di Bonaria, che tra l’altro è legata proprio a Buenos Aires, perché da qui viene il nome “aria buona”. Come state aspettando questa visita di Papa Francesco?

    R. – L’attesa è molto viva ma è interessante com’è nata questa visita: c’è un disegno provvidenziale. Dobbiamo risalire a febbraio, quindi prima del Conclave e di ogni previsione: a febbraio giunge a noi, a Cagliari, la richiesta da parte della Municipalità di Buenos Aires di un simulacro della Madonna di Bonaria, da collocare all’interno della Municipalità, negli uffici. Con l’elezione di Papa Francesco questa richiesta, giuntaci più o meno un mese prima, ci ha veramente stupiti e commossi. Quindi, l’invito a Papa Francesco è stato spontaneo e immediato, così come è stata spontanea e gioiosa la sua risposta a venire. Questo ci lega ancora di più a Buenos Aires e all’Argentina, perché il nome di Buenos Aires – Papa Francesco lo ha spiegato bene durante l’udienza del 15 maggio – è venuto proprio dai marinai che portavano il simulacro della Madonna di Bonaria e il nome è rimasto alla nuova città, all’inizio del 1500. Quindi, è una visita carica di suggestione, anche per come è nata. Il desiderio, l’augurio per tutti è che davvero questa visita porti speranza a una Regione, a un territorio tra i più provati, tra i più segnati dalla povertà.

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    "Lo Spiraglio", terza edizione del Filmfestival sul disagio psichico

    ◊   La terza edizione del Filmfestival della salute mentale “Lo Spiraglio” si terrà a Roma dal 31 maggio al primo giugno. In concorso, otto lungometraggi e una decina di cortometraggi che porteranno sullo schermo storie d’amore, viaggi per mondi sconosciuti e profonde riflessioni sul disagio psichico. Al microfono di Elisa Sartarelli, il direttore scientifico Federico Russo:

    R. – Questo è un Festival tematico che nasce dall’idea di dare visibilità a tante opere che trattano il tema della salute mentale, con la capacità di avvicinare il grande pubblico a temi da sempre considerati un po’ inquietanti e ostici. Abbiamo tanti film in concorso. Ci sono otto lungometraggi che spaziano da focus sul tema della malattia mentale, nella sua prospettiva storica, a storie dello sviluppo della sofferenza e della malattia, ma anche della speranza e della riscossa nella fase dell’adolescenza, come in “Ulidi, piccola mia”. Poi, addirittura, abbiamo storie che parlano dei grandi calciatori che da ragazzini sono grandi promesse che poi però non riescono a sfondare e rimangono un po’ incastrati dentro un mito mai raggiunto. Ancora, abbiamo cortometraggi in cui si spazia da temi che affrontano l’incontro con la sofferenza, ma anche temi più simbolici che trattano del mondo dell’infanzia e dei suoi angoli e risvolti tra la malattia, il disagio, e la ricerca di una propria identità e delle proprie soluzioni per affrontare la vita.

    D. – Alcuni film presenti al Festival mostrano indagini effettuate su dichiarate patologie mentali, quali?

    R. – “Il sonno della ragione” insieme a “Il canto delle sirene” e a “Muyeye” sono i lungometraggi che vanno più direttamente nel campo della salute mentale. Questo Festival nasce dentro un servizio di salute mentale pubblico per vocazione, un po’ per priorità: noi ci occupiamo di gravi disturbi di personalità, il famoso disturbo bipolare, la vecchia mania depressiva, le oscillazioni fra stati maniacali e depressivi e la schizofrenia, che è un po’ una patologia stereotipo a cui facciamo riferimento quando pensiamo alla follia. Quindi, patologie importanti che determinano grosse alterazioni del funzionamento ma rispetto alle quali si possono creare percorsi virtuosi che noi pensiamo possano portare in tante situazioni a eccellenti recuperi finanche a guarigioni.

    D. – La paura della malattia mentale dell’altro ci spaventa, ci fa sentire in pericolo, mentre noi stessi siamo spesso vittime di un disagio interiore quotidiano benché leggero, magari senza rendercene conto…

    R. – Direi che il problema è che quella sorta di barriera prima concreta, oggi più invisibile, che divide il mondo dei sani dal mondo dei malati mentali, in questi ultimi anni, è definitivamente crollata. Prima, in Italia, siamo riusciti ad abbattere i muri reali, quelli del manicomio ma ci sono voluti altri 30 anni per rivedere profondamente nella società e anche nella scienza i concetti e le barriere, i limiti, che separano salute e malattia. L’idea di tenersi alla larga da questi temi è in fondo, più che la paura dell’altro, la paura di se stessi. Questo è proprio uno dei motivi cardine, una delle cose che ci ha mosso e che ci ha dato la forza di continuare questo Festival. Noi pensiamo che sia una sorta di evento che avvicina alle nostre vicende più interne e che in qualche modo ci permette di guardare con un po’ più di tenerezza i nostri stessi disagi e le nostre stesse fragilità così come quelle dell’altro.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Vietnam: condannati otto cristiani degli Altipiani per “minaccia” all’unità nazionale

    ◊   Un tribunale degli Altipiani centrali in Vietnam ha condannato otto membri della minoranza etnica montagnard, in gran parte cristiani e spesso vittima di persecuzioni nel Paese, a pene variabili da 3 a 11 anni di carcere. I giudici li hanno riconosciuti colpevoli di "minaccia all'unità dello Stato", per la loro appartenenza a un gruppo cattolico "non riconosciuto" dai vertici comunisti di Hanoi. Nelle ultime settimane si sono moltiplicati gli attacchi del governo contro religioni, blogger e gruppi dissidenti, considerati una "minaccia" perché contrari al dominio del partito unico e la richiesta di maggiore libertà personale. La Corte della provincia di Gia Lai ha condannato una parte degli imputati perché avrebbero lavorato per un movimento in esilio, nel tentativo di dar vita a uno Stato indipendente abitato da popolazioni indigene negli Altipiani centrali. Le altre persone alla sbarra - riporta l'agenzia AsiaNews - sono state incriminate per aver "sobillato" e incitato alla rivolta migliaia di manifestanti in piazza nel 2008 per protestare contro l'esproprio forzato delle loro case, per far posto a un impianto idroelettrico. Gli otto cristiani condannati hanno un'età variabile fra i 32 e i 73 anni e sono finiti in galera per aver violato l'articolo 87 del codice penale, che punisce quanti "mettono in pericolo l'unità politica", incitando "alla divisione" o all'odio religioso. Scott Johnson, della Montagnard Foundation, con base negli Usa, parla di sentenza ingiustificata, perché queste persone legate alle minoranze etniche "vogliono solo vivere nella loro terra e godere dei diritti di base"; essi "non sono terroristi, non sono separatisti e non sono alla ricerca di uno Stato indipendente". In realtà, conclude, è un "pretesto" usato dal governo per reprimere la libertà religiosa e i movimenti slegati dal partito. Da anni le "tribù dei monti" subiscono una persecuzione religiosa da parte del governo, retaggio dei tempi della guerra in Vietnam quando le tribù si sono schierate a fianco degli Stati Uniti nel tentativo di dar vita a una nazione autonoma. Nel tempo le autorità di Hanoi hanno continuato a reprimerle, accusandole di "secessione" ed espropriando con questo pretesto i terreni. In molti hanno cercato rifugio in Cambogia, ma Phnom Penh ha più volte rispedito al mittente i fuggiaschi, in violazione alle norme Onu sui rifugiati politici. La loro appartenenza alla comunità cristiana rappresenta infine un ulteriore elemento di sospetto, che agli attacchi di natura etnico-politica unisce anche una persecuzione di matrice confessionale. (R.P.)

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    Myanmar: è tregua tra governo e ribelli Kachin

    ◊   Un accordo per un cessate-il-fuoco “provvisorio” è stato raggiunto dai rappresentanti del governo e dell’Organizzazione per l’indipendenza dei Kachin, braccio politico di un gruppo ribelle che ha le sue basi nel nord-est del Myanmar: lo hanno riferito i partecipanti al negoziato in corso nella città di Myitkyina. Secondo Min Zaw Oo, responsabile del Centro per la pace in Myanmar, il cessate-il-fuoco è uno dei sette punti di un’intesa sottoscritta nell’ultima giornata dei colloqui. Il conflitto tra l’esercito e i ribelli Kachin, una delle minoranze etniche del Myanmar, è ripreso nel 2011 dopo una tregua di 17 anni. Gli scontri - riporta l'agenzia Misna - sono stati particolarmente intensi tra il dicembre e il gennaio scorsi, quando l’esercito ha conquistato una postazione nei pressi della roccaforte ribelle di Laiza, una cittadina al confine con la Cina. Solo negli ultimi mesi il conflitto ha costretto a lasciare le loro case decine di migliaia di persone. (R.P.)

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    Sud Corea: i cattolici sono in continuo aumento

    ◊   La Chiesa sudcoreana è in continua crescita. Le statistiche sul 2012 pubblicate dalla conferenza dei vescovi documentano un aumento dell'1.6%, valore di poco inferiore alla media dell'ultimo decennio. Nel Paese - riferisce l'agenzia AsiaNews - sono presenti 5.361.369 cattolici, circa il 10.3% della popolazione complessiva. Il 55% di questi è concentrato nell'area metropolitana di Seoul, Suwon, Incheon e Uijeongbu. Dal 2001 al 2012, la comunità cattolica della Corea del sud ha registrato un'espansione progressiva e costante, con un tasso di crescita tra il 2% e il 3%. Nel corso dell'ultimo anno, 84.959 fedeli si sono uniti alla Chiesa e 17 nuove parrocchie sono sorte nel Paese. Seoul, l'arcidiocesi più popolosa, ospita il 27.1% dei fedeli coreani, seguita da Suwon(15.1%), Daegu(8.8%) e Incheon(8.7%). I dati riportano che nel 2012 sono stati celebrati 20.712 matrimoni, 12.506 tra coreani battezzati e non. Il numero di fedeli che si sono accostati al sacramento della Confessione è invece del 4.6% inferiore rispetto al 2011 e anche i battesimi, 132.076 nell'ultimo anno, hanno registrato una diminuzione dell'1.8%. Un'evoluzione analoga ha caratterizzato la crescita del clero: nel 2012 il rapporto tra sacerdoti e fedeli è di uno a 1.149. L'affluenza media alla messa domenicale ha registrato infine la partecipazione 1.233.114 di fedeli, circa il 23% dei cattolici coreani. (R.P.)

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    Bangladesh: la Chiesa è preoccupata per l'aumento dei casi di Aids

    ◊   La Chiesa cattolica in Bangladesh è preoccupata per l'aumento di casi di Hiv/Aids nella comunità. A lanciare l'allarme è stato il dottor Edward Pallab Rozario, coordinatore sanitario della Caritas nazionale, durante un seminario svoltosi a Dhaka, nel quartier generale della Caritas. All'incontro hanno partecipato anche 28 sieropositivi, con le loro famiglie. Si è parlato dell'emarginazione sociale che deriva da questa malattia e come affrontarla. Secondo i dati riferiti da Rozario, che è anche segretario per la commissione Sanità presso la Conferenza episcopale del Bangladesh, l'1,5% dei cattolici è sieropositivo. Il dottore ha spiegato che, in parte, il problema è legato a chi va a lavorare all'estero e torna infetto, ma lo nascondono. D'altra parte anche la mancanza di conoscenza della malattia tra la gente contribuisce all'aumento della sua diffusione. La Caritas - riferisce l'agenzia AsiaNews - è impegnata nella lotta all'Aids, ma vive una costante mancanza di fondi per il progetto. "Vogliamo lavorarci - ha ammesso il medico - ma soffriamo per la mancanza di donazioni. Se qualcuno ci aiutasse, sarebbe grandioso". La Caritas fornisce medicinali e sostegno finanziario e morale ai malati di Aids e alle loro famiglie. A livello sociale vivono nella discriminazione, perché un sieropositivo non è accettato. Così questi pazienti devono subire anche la disoccupazione, il fatto che i loro figli non siano ammessi a scuola, o che non siano trattati come gli altri. "Gli insegnanti non volevano iscrivere mio figlio a scuola, ma la Caritas li ha convinti ad accettarlo e ora frequenta regolarmente le lezioni", ha raccontato uno dei partecipanti al seminario, Momota Cruze. Più di cento sieropositivi e le loro rispettive famiglie soffrono lo stesso dramma. "Ho perso il lavoro quando il mio capo ha sentito che ero sieropositivo", ha raccontato Rupa Corraya. La donna ha riconosciuto che la Caritas ha fatto un grande lavoro per tutto loro anche sul piano della sensibilizzazione della società, attraverso varie attività e seminari per i giovani. Secondo dati dell'anno scorso, in Bangladesh - su 160 milioni di abitanti - vi sono 2.871 casi di Hiv/Aids, anche se i numeri non ufficiali parlano di una cifra più vicina ai 7mila malati.

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    Sudan: nell'Abyei l'Onu rafforza la missione di pace

    ◊   Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato l’invio di 1.100 soldati a sostegno di una missione di peacekeeping dell’Onu ad Abyei, alcune settimane dopo gli scontri a fuoco che in questa regione petrolifera contesa al confine tra Sudan e Sud Sudan avevano contrapposto due comunità. In un comunicato delle Nazioni Unite si riferisce che con una risoluzione votata ieri sera a New York, il Consiglio di sicurezza ha esteso il mandato di “Unisfa” fino al 30 novembre, autorizzando parallelamente un rafforzamento della missione fino a 5.326 soldati. Un aumento della presenza dei peacekeeper era stato chiesto nei giorni scorsi dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, secondo il quale ad Abyei gruppi “armati e profondamente ostili tra loro” continuano ad alimentare il rischio di violenze. Il 4 maggio - riporta l'agenzia Misna - scontri a fuoco erano tornati a contrapporre la comunità Dinka, vicina al governo del Sud Sudan, e i pastori Misseriya, tradizionalmente alleati di Khartoum. Nei combattimenti avevano perso la vita una ventina di persone, tra le quali un capo tradizionale Dinka e due peacekeeper dell’Onu di nazionalità etiopica. Considerata una delle regioni più ricche di petrolio dell’Africa orientale, Abyei è rimasta contesa nonostante la fine della guerra civile sudanese nel 2005 e la nascita di uno Stato del Sud indipendente due anni fa. Nel 2011 si sarebbe dovuto tenere un referendum per decidere se la regione avrebbe dovuto essere governata da Khartoum o da Juba. La consultazione però non si è mai tenuta a causa delle difficoltà nell’identificare gli aventi diritto al voto: solo i residenti Dinka, come vorrebbe il Sud Sudan, o anche i pastori arabi Misseriya, che si spostano nella regione solo alcuni mesi l’anno. (R.P.)

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    Mali: al nord è emergenza acqua

    ◊   Sono destinate a crescere le richieste di aiuti umanitari nelle regioni nord-orientali, dal 2012 teatro di una crisi politico-militare: a lanciare l’allarme è l’Onu per cui entro fine anno la situazione già “estremamente inquietante” dell’Azawad è destinata ad aggravarsi. Particolarmente a rischio è la sorte dei 70.000 abitanti di Gao, dove la fornitura di acqua potabile è molto scarsa, rendendo la sopravvivenza quotidiana sempre più complessa. “Fuori dal capoluogo è ancora peggio: non c’è corrente elettrica quindi le pompe dell’acqua sono totalmente fuori uso” ha riferito Jean Laerke, portavoce dell’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha). La popolazione - riferisce l'agenzia Misna - potrebbe anche attingere al fiume Niger, ma “dall’inizio del mese sono stati registrati 22 casi di colera e due vittime”; un rischio di contaminazione che in questo momento fa del terzo corso d’acqua più lungo dell’Africa una fonte di approvvigionamento rischiosa. La situazione umanitaria particolarmente critica è conseguenza diretta della crisi che da gennaio 2012 sta tenendo in scacco le regioni settentrionali, occupate per un anno dai gruppi armati tuareg ed islamisti. Scontri, attentati e ordigni hanno contribuito a danneggiare le infrastrutture già vetuste e carenti dell’Azawad – estesa regione desertica dimenticata dalle istituzioni centrali – in particolare la rete di elettricità e di distribuzione dell’acqua potabile. Due settimane fa a Bruxelles la comunità internazionale si è impegnata per tre miliardi e 250 milioni di euro, da destinare in parte alla “ricostruzione” del Mali. Ma per Bamako e i partner occidentali l’azione prioritaria riguarda l’organizzazione delle elezioni presidenziali in agenda per il 28 luglio. In visita ufficiale, il ministro degli Esteri Alain Juppé si è detto fiducioso “sull’organizzazione tecnica delle presidenziali”, ma ha ribadito che il voto “dovrà tenersi su tutto il territorio nazionale. E' evidente che non ci possono essere due Paesi in una sola nazione”. Il capo della diplomazia francese ha fatto riferimento al caso di Kidal, il capoluogo nord-orientale controllato dalla ribellione tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnal) e da altri gruppi armati. I ribelli, che temono violazioni da parte dell’esercito nazionale – per lo più costituito da soldati neri e originari del sud – auspicano il monitoraggio delle votazioni da parte dei Caschi blu della missione di peacekeeping dell’Onu, che dovrebbe essere dispiegata entro luglio. Negoziati sponsorizzati dall’Africa occidentale sono in corso a Ouagadougou per ottenere dall’Mnla un via libera allo svolgimento dello scrutinio anche a Kidal. (R.P.)

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    Somaliland: pene più severe per frenare gli stupri

    ◊   Secondo le stime ufficiali, nel 2012, in Somaliland sono stati registrati circa 5 mila casi di stupro, rispetto ai 4 mila del 2011. Anche le cifre del Sexual Assaults Referral Centre (SARC), facente parte del gruppo ospedaliero di Hargeisa, indicano una tendenza all’aumento di questo fenomeno. Il Centro, nel 2012, si è occupato di 195 casi di stupro, rispetto ai 130 del 2011. I casi segnalati sono principalmente delle zone vicino Hargeisa. Pene più severe e una minore dipendenza dai sistemi di giustizia tradizionali - riferisce l'agenzia Fides - potrebbero aiutare a porre fine alla crescente incidenza del fenomeno nella Repubblica. Sono poche le vittime che vanno a farsi curare e sono quelle che arrivano subito dopo aver subito le aggressioni. Molte non riescono a raggiungere il Centro entro le prime 24 ore dall’incidente e di conseguenza le prove dello stupro non sono più facilmente visibili. Tra le vittime di queste atrocità ci sono sfortunatamente anche molti bambini. L’ultimo caso denunciato riguardava un bambino di 6 anni, sfollato della zona di Hargeisa, violentato da un familiare. Tuttavia molti non vengono denunciati o vengono “risolti” con accordi tra i familiari delle vittime e i carnefici. (R.P.)

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    L'arcivescovo di Barcellona: la vera laicità non nega alla fede la dimensione pubblica

    ◊   E’ stato presentato ieri a Roma, presso l’Istituto patristico Augustinianum, il volume Cristiani nella società del dialogo e della convivenza (Libreria Editrice Vaticana) che raccoglie una serie di discorsi tenuti dall’arcivescovo di Barcellona, il cardinale Lluís Martínez Sistach, tra il 1986 e il 2012. Il porporato, ricordando il contributo fondamentale della Chiesa nella società, ha affrontato il tema della laicità: “E’ necessario – secondo l’arcivescovo di Barcellona - distinguere tra ciò che è ‘laicità dello Stato’ e ciò che è una ‘società laica’. Non si può ignorare che la laicità dello Stato è al servizio di una società pluralistica nella sfera religiosa. Una società laica, invece, comporterebbe la negazione sociale del fenomeno religioso o, almeno, del diritto di vivere la fede nella sua dimensione pubblica. Cosa che sarebbe contraria alla laicità dello Stato”. Per il porporato “la Chiesa, lungi dal chiudersi in se stessa rinunciando all’azione, deve mantenersi viva e incrementare il suo dinamismo. I cristiani devono dare risposte positive e convincenti alle attese e agli interrogativi delle gente. Se sapremo farlo, la Chiesa renderà un grande servizio ai nostri Paesi. La società pluralista in cui viviamo vuole cercare il ‘posto’ proprio dei cristiani e della Chiesa in questa nuova situazione socio-culturale, senza che ciò supponga la perdita della propria identità”. Certo, “la Chiesa non può pretendere di imporre ad altri la propria verità. L’importanza sociale e pubblica della fede cristiana deve evitare una pretesa di egemonia culturale che si avrebbe se non si riconoscesse che la verità si propone, ma non si impone. Ma questo non significa che la Chiesa non debba offrirla alla società, con tutto quello che significa realizzare l’«annuncio del Vangelo»”. “La presentazione del messaggio di Gesù, in modo chiaro e fedele – secondo il cardinale Martínez Sistach - è il compito prioritario della Chiesa nella nostra società”. In questo senso, “a nessuno dovrebbe dar fastidio la voce profetica della Chiesa sulla vita familiare, sociale e politica, anche quando va controcorrente rispetto a opinioni ampiamente diffuse. Il nostro conformismo priverebbe la società di un’antica saggezza che abbiamo ricevuto dall’alto e che è stata presente e attiva nelle radici della nostra antropologia e della nostra storia”. Per il porporato, infine, “lo Stato non può ignorare l’esistenza del fenomeno religioso nella società. Pretendere che lo Stato laico debba agire come se questo fatto religioso, anche come corpo sociale organizzato, non esistesse, equivale a situarsi ai margini della realtà. Il problema fondamentale del laicismo che esclude dall’ambito pubblico la dimensione religiosa consiste nel fatto che si tratta di una concezione della vita sociale che pensa e vuole organizzare una società che non è la società reale. La fede o la non credenza sono oggetto di una scelta che i cittadini devono compiere nella società, soprattutto in una società culturalmente pluralista in rapporto al fatto religioso. Lo Stato è laico, ma la società non lo è”. (S.C.)

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    Bruxelles: confronto Ue-Chiese su ruolo dei cittadini per la "casa comune"

    ◊   Comunità religiose presenti in Europa e rappresentanti delle istituzioni comunitarie si sono seduti attorno a un tavolo del palazzo Berlaymont, sede della Commissione a Bruxelles, per l’incontro annuale tra Ue e chiese definito dall’art. 17 del Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009. Per l’edizione di questo 2013, Anno europeo dei cittadini, è stato scelto proprio il tema “Mettere i cittadini al cuore dell’Europa in un periodo di trasformazione”. Si parla, come ha chiarito un portavoce della Commissione, della partecipazione attiva degli europei alla costruzione della “casa comune”, dei diritti fondamentali delle persone, del ruolo della società civile, della realizzazione di un dibattito ampio sul futuro dell’Europa con il contributo delle comunità religiose e il loro specifico apporto etico, spirituale e caritativo. Le istituzioni dei Ventisette - riporta l'agenzia Sir - sono rappresentate dal presidente della Commissione, José Manuel Barroso, da quello del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, e dal vice presidente dell’Euroassemblea, László Surján. Le chiese (confessioni cristiane, islam, ebraismo, induismo), sono rappresentate da una ventina di dignitari. La delegazione della chiesa cattolica comprende mons. Manuel Clemente, vescovo di Porto, mons. Jean Kockerols, vice presidente della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea), e mons. Youssef Soueif, arcivescovo dei maroniti di Cipro e componente della Comece. Gli incontri tra Ue e comunità religiose si svolgono informalmente dai primi anni del nuovo secolo, ma nel 2008 hanno assunto la forma attuale. Il primo summit era dedicato alla difesa del Creato (tema “Abbiamo bisogno di una conversione ecologica”); nel 2009 si era affrontato il nodo della crisi economica (“Per riprendersi dalla crisi, politica e società dovrebbero rivedere i loro sistemi di valori”). Nel 2010 - primo appuntamento ufficiale dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona - era stato discusso il nodo dell’indigenza (“La povertà è una sfida che l’Unione europea e le Chiese devono affrontare insieme”). Il summit del 2011, anno della “primavera araba”, si era concentrato sul tema: “I rappresentanti religiosi e le istituzioni europee fanno causa comune per la democratizzazione e la pace nel sud del Mediterraneo”. Infine, lo scorso anno, l’incontro aveva in agenda “La solidarietà intergenerazionale richiede il sostegno dell’Ue e degli Stati membri al fine di superare la crisi economica e demografica”. (R.P.)

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    "I Teatri del sacro": la presentazione della terza edizione

    ◊   Torna per la 3.a edizione a Lucca, dal 10 al 16 giugno, “I Teatri del Sacro”, la rassegna che sta conquistando sempre di più un posto di primo piano nel panorama teatrale italiano con 22 spettacoli gratuiti in prima nazionale assoluta e alcuni fra gli artisti più significativi della scena nazionale. La conferenza stampa di presentazione si svolgerà martedì 4 giugno, alle 11, a Roma, presso la “Sala Marconi” della Radio Vaticana. Interverranno: mons. Domenico Pompili, sottosegretario Cei e direttore Ufficio nazionale comunicazioni sociali (Ucs), Vittorio Sozzi, responsabile Servizio nazionale per il Progetto culturale, Fabrizio Fiaschini, direttore artistico de “I Teatri del Sacro” e presidente Federgat, Patrizia Favati, assessore cultura, turismo, opera delle mura del Comune di Lucca, Francesco Giraldo, segretario generale Acec, Giorgio Testa, Casa dello Spettatore, e alcuni tra gli artisti protagonisti della rassegna. “I Teatri del Sacro” non è solo un Festival e neppure una semplice vetrina di nuove produzioni, si legge nel comunicato dell’Ucs ripreso dall'agenzia Sir: “In prima istanza è un 'corpo a corpo’ libero e sincero con le domande dello spirito, un’iniziativa che mette in primo piano il senso profondo del teatro, sia dal punto di vista artistico che da quello del sostegno alle Compagnie, ancor più significativo in un momento così difficile per la cultura in Italia”. Caratteristica unica de “I Teatri del Sacro”, prosegue la nota, è quella di “proporre spettacoli delle più importanti realtà del teatro professionistico italiano, ma anche di compagnie amatoriali. Apparentemente uno 'scandalo’, ma in realtà un valore aggiunto, nella convinzione che il desiderio di fare teatro affondi le sue radici e produca i suoi frutti in un terreno comune e indivisibile: quello del gioco mimetico, con cui l’uomo ha fin dall’infanzia cercato di conoscere se stesso e di incontrare gli altri”. Un teatro, quindi, “di tutti e il più possibile per tutti, affinché lo spettacolo torni ad essere un’occasione di partecipazione popolare, una festa a servizio della collettività e del suo 'bene comune’, in nome di una bellezza concepita come gesto comunitario”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 150

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