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Sommario del 29/05/2013
Udienza generale. Il Papa: la Chiesa sia ricca di famiglie che portano il calore di Dio
◊ Dio è sempre pronto al perdono, perché il suo “progetto” è fare dell’umanità e della Chiesa “un’unica famiglia”. Lo ha affermato questa mattina Papa Francesco all’udienza generale celebrata in Piazza San Pietro di fronte a oltre 90 mila persone, con la quale ha inaugurato un nuoco ciclo di catechesi sul mistero della Chiesa. Un’udienza caratterizzata a tratti da una pioggia intensa, sopportata dal Papa sulla jeep scoperta senza alcun riparo. Al termine dell’udienza, il Pontefice ha invitato i fedeli alla Messa solenne del Corpus Domini, che presiederà domani sera in San Giovanni in Laterano. Il servizio di Alessandro De Carolis:
La figura bianca di Papa Francesco sulla jeep, che saluta e prende i saluti, regala e riprende lo zucchetto, e soprattutto prende tutta la pioggia senza un ombrello sulla testa e senza nessuna fretta di ripararsi, nessuno probabilmente l’aveva mai vista. La vede, stupito, il resto del mondo alla tv e soprattutto la vedono i 90 mila che affollano Piazza San Pietro, assembrati come una testuggine romana sotto gli ombrelli e che per prima cosa si sentono dire, loro, dal Papa:
“Avete mostrato coraggio sotto la pioggia. Siete bravi, eh?”.
Il Papa fradicio di pioggia che non pensa a sé ma a chi è venuto ad ascoltarlo, che guadagna la tettoia senza un cenno d’impazienza e senza che l’acqua che lo bersaglia spenga il suo sorriso pieno di calore, diventa d’istinto la personificazione di quel Padre buono di cui, poco dopo, parlerà durante la catechesi. Il tema del giorno è semplice e chiaro: spiegare come la Chiesa sia “famiglia di Dio”. La riflessione di Papa Francesco si snoda fino al punto in cui afferma – con la consueta, amabile sincerità – che anche in chi compone la Chiesa, Pastori e fedeli, si annidano miserie piccole e grandi:
“Ci sono difetti, imperfezioni, peccati, anche il Papa li ha e ne ha tanti, ma il bello è che quando noi ci accorgiamo di essere peccatori, troviamo la misericordia di Dio, il quale sempre perdona. Non dimenticatelo: Dio sempre perdona e ci riceve nel suo amore di perdono e di misericordia. Alcuni dicono che il peccato è un’offesa a Dio, ma anche un’opportunità di umiliazione per accorgersi che c’è un’altra cosa più bella: la misericordia di Dio. Pensiamo a questo”.
La gente pensa e soprattutto vede il Pastore lievemente scarmigliato rassicurare sulla bontà di Dio, come il padre della parabola che non rimprovera, anzi abbraccia il figlio che è tornato da lui. Perché il progetto di Dio, spiega Papa Francesco…
“… è fare di tutti noi un’unica famiglia dei suoi figli, in cui ciascuno lo senta vicino e si senta amato da Lui, come nella parabola evangelica, senta il calore di essere famiglia di Dio”.
In questo “grande disegno”, prosegue Papa Francesco, “trova la sua radice la Chiesa, che non è – afferma – un’organizzazione nata da un accordo di alcune persone”, ma come tante ricordato da Benedetto XVI, un’opera di Dio che nasce “da questo disegno di amore” e “si realizza progressivamente nella storia”:
“La Chiesa è famiglia in cui si ama e si è amati (…) Ancora oggi qualcuno dice: ‘Cristo sì, la Chiesa no’. Come quelli che dicono ‘io credo in Dio ma non nei preti’. Ma è proprio la Chiesa che ci porta Cristo e che ci porta a Dio (…) Chiediamo al Signore, in modo del tutto particolare in quest’Anno della fede, che le nostre comunità, tutta la Chiesa, siano sempre più vere famiglie che vivono e portano il calore di Dio”.
Il tema della Chiesa come famiglia ha suggerito preghiere e auspici a Papa Francesco, durante la sintesi della catechesi in altre lingue. Ai giovani polacchi ha indicato Dio come “modello di ogni paternità” soggiungendo: “La paternità è un dono di Dio e una grande responsabilità per dare una nuova vita, la quale è un’irripetibile immagine di Dio. Non abbiate paura di essere genitori”. Con i fedeli francesi, il messaggio del Papa è diretto alla realtà della Chiesa nel suo insieme ed è uno sprone a sentirvisi figli, ma anche custodi:
“Amate la Chiesa come l’ha amata Gesù che ha donato ad essa la sua vita e le ha comunicato tutto il suo amore. Non esitate a difenderla, a spendervi per essa, a mettervi al suo servizio, a renderla più fraterna e più accogliente”.
L’ultimo invito è rivolto ai fedeli di Roma e a tutti i pellegrini e riguarda la festa del Corpus Domini, che domani alle 19 vedrà Papa Francesco sull’altare della Basilica di San Giovanni in Laterano per la Messa solenne e poi alla guida della processione fino a Santa Maria Maggiore. Si tratta, conclude il Papa, di “atto di profonda fede verso l’Eucaristia che costituisce il più prezioso tesoro della Chiesa e dell'umanità”.
Tanti i fedeli, accorsi a Piazza San Pietro nonostante la pioggia. A colpire la loro attenzione le parole di Papa Francesco in particolare sulla Chiesa come famiglia. Al microfono di Benedetta Capelli ascoltiamo alcune testimonianze:
R. – Chi ama la Chiesa ama Cristo. Per me, il Papa ha detto delle parole veramente giuste: si è Chiesa quando si ama Cristo, quando si ama Colui che sta accanto a noi. Amare gli umili, amare i popoli, amare i poveri: dove c’è questo amore, c’è la Chiesa e c’è Cristo.
R. – Noi abbiamo l’esempio del Papa che riesce a far passare certi messaggi e la gente se lo segue vuol dire che è assetata di questo. Ha bisogno di chi gli ricorda l’importanza di questi valori. Noi siamo qui per testimoniare che gli vogliamo bene. Abbiamo portato i bambini della scuola, perché già dai bambini deve esserci questo amore per il Papa: i bambini e le famiglie.
R. – Lui ha puntato sempre sulla famiglia e poi sulla misericordia di Dio. Questo penso sia la cosa più grande, più bella per tutti noi, perché tutti siamo figli e di conseguenza il Papa ci fa toccare questa misericordia.
R. – Nella Chiesa di Dio siamo tutti fratelli e quindi figli dello stesso Padre, per cui come in una famiglia circola l’amore fraterno e paterno, così deve essere nella Chiesa: far vedere come la tolleranza, l’accoglienza, la socializzazione sono tutti aspetti che poi portano a volersi bene.
R. – Ciò che mi ha colpito nelle parole di Papa Francesco è quando ha parlato della misericordia, del perdono e del rapporto tra la Chiesa e Cristo: non è possibile parlare soltanto di Cristo senza parlare della Chiesa, perché Cristo è il centro della nostra fede. Per cui, per un cristiano non è possibile scindere queste due realtà.
D. – E’ molto difficile, vista la sua esperienza di pastore, far capire e far passare questo messaggio?
R. – E’ molto difficile, soprattutto nelle nuove generazioni, far capire questo rapporto tra Chiesa e Cristo: molti pensano e dicono di accettare Gesù Cristo e non accettano la Chiesa. Però, secondo me chi non accetta la Chiesa, non accetta neanche Gesù Cristo. È la Chiesa con i suoi limiti che porta a Gesù.
◊ Il trionfalismo ferma la Chiesa: è la tentazione del cristianesimo senza Croce, la Chiesa sia invece umile. E’ quanto ha affermato il Papa stamani nella Messa a “Santa Marta”. Erano presenti alcuni dipendenti del Governatorato. Il servizio di Sergio Centofanti:
Il Vangelo del giorno ci racconta di Gesù che, salendo con i discepoli verso Gerusalemme, annuncia la sua passione, morte e risurrezione. E’ il cammino della fede. I discepoli – spiega il Papa nell’omelia – pensano ad un altro progetto, pensano di fare solo metà del cammino, che è meglio fermarsi” e “discutevano fra loro come sistemare la Chiesa, come sistemare la salvezza”. Così, Giovanni e Giacomo gli chiedono di sedere, nella sua gloria, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, suscitando una discussione tra gli altri su chi fosse il più importante nella Chiesa. “La tentazione dei discepoli – sottolinea il Papa - è la stessa di Gesù nel deserto, quando il diavolo era andato per proporgli un altro cammino”: “Fa tutto in celerità, fa un miracolo, qualcosa che tutti ti vedono. Andiamo al tempio e fai il paracadutista senza l’apparecchio, così tutti vedranno il miracolo e la redenzione è fatta”. E’ la stessa tentazione di Pietro, quando in un primo momento non accetta la passione di Gesù. “E’ la tentazione di un cristianesimo senza croce, un cristianesimo a metà cammino”. C’è poi un’altra tentazione, “un cristianesimo con la Croce, senza Gesù” di cui – ha affermato – parlerà un’altra volta. Ma “la tentazione del cristianesimo senza Croce”, di essere “cristiani a metà cammino, una Chiesa a metà cammino” – che non vuole arrivare dove il Padre vuole, “è la tentazione del trionfalismo. Noi vogliamo il trionfo adesso, senza andare alla Croce, un trionfo mondano, un trionfo ragionevole”:
“Il trionfalismo nella Chiesa, ferma la Chiesa. Il trionfalismo nei cristiani, ferma i cristiani. E’ una Chiesa trionfalista, è una Chiesa a metà cammino, una Chiesa che è felice così, ben sistemata – ben sistemata! - con tutti gli uffici, tutto a posto, tutto bello, eh? Efficiente. Ma una Chiesa che rinnega i martiri, perché non sa che i martiri sono necessari alla Chiesa per il cammino di Croce. Una Chiesa che soltanto pensa ai trionfi, ai successi, che non sa quella regola di Gesù: la regola del trionfo tramite il fallimento, il fallimento umano, il fallimento della Croce. E questa è una tentazione che tutti noi abbiamo”.
Il Papa, poi, rievoca un momento particolare della sua vita:
“Io ricordo una volta, ero in un momento buio della mia vita spirituale e chiedevo una grazia dal Signore. Poi sono andato a predicare gli esercizi alle suore e l’ultimo giorno si confessano. E’ venuta a confessarsi una suora anziana, più di 80 anni, ma con gli occhi chiari, proprio luminosi: era una donna di Dio. Poi alla fine l’ho vista tanto donna di Dio che le ho detto: 'Ma suora, come penitenza preghi per me, perché ho bisogno di una grazia, eh? Se lei la chiede al Signore, me la darà sicuro'. Lei si è fermata un attimo, come se pregasse, e mi ha detto questo: 'Sicuro che il Signore le darà la grazia ma, non si sbagli: al suo modo divino'. Questo mi ha fatto tanto bene. Sentire che il Signore sempre ci dà quello che chiediamo, ma al suo modo divino. E il modo divino è questo fino alla fine. Il modo divino coinvolge la Croce, non per masochismo: no, no! Per amore. Per amore fino alla fine”.
Questa la preghiera conclusiva del Papa:
“Chiediamo al Signore la grazia di non essere una Chiesa a metà cammino, una Chiesa trionfalista, dei grandi successi, ma di essere una Chiesa umile, che cammina con decisione, come Gesù. Avanti, avanti, avanti. Cuore aperto alla volontà del Padre, come Gesù. Chiediamo questa grazia”.
Omelie del Papa a Santa Marta: nota di padre Lombardi in risposta ad alcune domande
◊ Il grandissimo interesse suscitato dalle brevi omelie del Papa nel corso delle Messe celebrate al mattino nella cappella della Casa Santa Marta fa sì che si sia posta e si continui a porre spesso, da diverse parti, la domanda sulla possibilità di accedere a tale celebrazione o a tale omelia in modo completo e non solo tramite le sintesi pubblicate ogni giorno da Radio Vaticana e Osservatore Romano.
La domanda è comprensibile ed è stata più volte presa in considerazione e fatta oggetto di una riflessione approfondita, e merita una risposta chiara. Anzitutto, è necessario tener conto del carattere che il Santo Padre stesso attribuisce alla celebrazione mattutina della Messa a Santa Marta.
Si tratta di una Messa con la presenza di un gruppo non piccolo di fedeli (in genere oltre cinquanta persone), ma a cui il Papa intende conservare un carattere di familiarità. Per questo, nonostante le richieste pervenute, egli ha esplicitamente desiderato che non venga trasmessa in diretta video o audio.
Quanto alle omelie, non sono pronunciate sulla base di un testo scritto, ma spontaneamente, in lingua italiana, lingua che il Papa possiede molto bene, ma non è la sua lingua materna. Una pubblicazione “integrale” comporterebbe quindi necessariamente una trascrizione e una ristesura del testo in vari punti, dato che la forma scritta è differente da quella orale, che in questo caso è la forma originaria scelta intenzionalmente dal Santo Padre. Insomma, occorrerebbe una revisione del Santo Padre stesso, ma il risultato sarebbe chiaramente “un’altra cosa”, che non è quella che il Santo Padre intende fare ogni mattina.
Dopo attenta riflessione si è quindi considerato che il modo migliore per rendere accessibile a un largo pubblico la ricchezza delle omelie del Papa senza alterarne la natura è quello di pubblicarne un’ampia sintesi, ricca anche di frasi originali virgolettate che riflettano il sapore genuino delle espressioni del Papa. E’ quanto s’impegna a fare l’Osservatore Romano ogni giorno, mentre la Radio Vaticana, in base alla sua natura caratteristica, offre una sintesi più breve, ma corredata anche da alcuni brani dell’audio originale registrato, e il Ctv offre una videoclip corrispondente a uno degli inserti audio pubblicati dalla Radio Vaticana.
Bisogna insistere sul fatto che, nell’insieme dell’attività del Papa, va conservata con cura la differenza fra le diverse situazioni e celebrazioni, come pure il diverso livello di impegno dei suoi pronunciamenti. Così, in occasione delle celebrazioni o attività pubbliche del Papa, trasmesse in diretta televisiva e radiofonica, le omelie o i discorsi vengono trascritti e pubblicati integralmente. In occasione di celebrazioni più familiari e private occorre rispettare il carattere specifico della situazione, della spontaneità e della familiarità delle espressioni del Santo Padre. La soluzione prescelta rispetta quindi anzitutto la volontà del Papa e la natura della celebrazione mattutina, e allo stesso tempo permette a un largo pubblico di accedere ai messaggi principali che il Santo Padre offre ai fedeli anche in tale circostanza.
Papa Francesco riceve il cardinale di Washington, Donald Wuerl
◊ Nel pomeriggio, Papa Francesco riceve il cardinale Donald William Wuerl, arcivescovo di Washington.
Tweet del Papa: "La Chiesa è una famiglia in cui si ama e si è amati"
◊ Al termine dell’udienza generale il Papa ha lanciato un tweet in cui si legge: “La Chiesa nasce dal gesto supremo di amore della Croce, dal costato aperto di Gesù. La Chiesa è una famiglia in cui si ama e si è amati”. L'account @Pontifex in nove lingue ha superato i 6 milioni e 600 mila follower.
Mons. Chullikat all’Onu: mancanza di cibo e acqua potabile per tutti è uno scandalo
◊ Garantire a tutti sicurezza alimentare, acqua, servizi igienici e sanitari “è non solo un necessità evidente ma è anche un imperativo morale”: lo ha ribadito l’arcivescovo Francis Chullikat, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, in due interventi nell’ambito del Gruppo di lavoro sugli obiettivi di sviluppo sostenibile, fissati dall’Onu, da raggiungere entro il 2015. Il servizio di Roberta Gisotti:
Ci sono più vittime per fame e malnutrizione ogni anno che per malattie come Aids, malaria e tubercolosi messe insieme. “Quasi un miliardo di esseri umani nostri fratelli” vanno "a letto affamati ogni giorno”. Uno “scandalo”, ha denunciato l’arcivescovo Chullikat, puntando il dito contro “una crisi morale e umanitaria”, aggravata da politiche e pratiche finanziarie speculative sulle derrate alimentari, da conflitti armati, da risorse alimentari sprecate o dirottate dal consumo alla produzione di energia, e dall’incapacità di fornire l’accesso ai mercati ai produttori dei Paesi in via di sviluppo. E’ davvero uno “spettacolo grottesco” – ha osservato il rappresentante vaticano – assistere alla distruzione di prodotti alimentari per preservare prezzi più alti di mercato ai produttori, anzitutto del Paesi sviluppati. Una “pratica riprovevole”, che privilegia il profitto economico sulla pelle di quelli che muoiono di fame. “Non è distruggendo il sostentamento necessario alla sopravvivenza dei poveri – ha ammonito il presule – che possiamo immaginare di costruire un mondo più prospero e ricco”.
Altro tema dolente affrontato da mons. Chullikat è quello dell’acqua potabile e dei servizi igienici che pure devono essere garantiti a tutti, quale “diritto umano universale”, mentre oggi – ha ricordato l’osservatore permanente della Santa Sede – oltre 800 milioni di persone non hanno accesso a risorse idriche e altri milioni sono senza rifornimenti sicuri e sostenibili. E se l’acqua “non è una risorsa illimitata”, “il suo uso razionale e solidale richiede la collaborazione di tutti gli uomini di buona volontà”. Da qui, anche l’urgenza di creare “autorità competenti a livello regionale e transnazionale per la gestione congiunta, integrata, equa” delle risorse comuni come l’acqua. Ed anche per identificare le responsabilità personali, legali e finanziarie di chi impedisce ed ostacola l’accesso all’acqua potabile per tutti.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ La famiglia di Dio: sotto la pioggia battente il Papa saluta centomila pellegrini e inaugura un nuovo ciclo di catechesi.
Il trionfalismo dei cristiani: messa del Pontefice a Santa Marta.
Non solo un simbolo: Inos Biffi sulla fede della Chiesa nel Corpo e nel Sangue di Cristo.
In rilievo, nell'informazione internazionale, il rischio di una guerra commerciale tra Pechino e Bruxelles.
Pianeta senza luce: più di un miliardo di persone non hanno accesso all'elettricità.
Godfried Dannells e la "bellezza disarmante" davanti all'universo simbolico della liturgia.
La verità si propone, non si impone: uno dei discorsi del cardinale Lluis Martinez Sistach, arcivescovo di Barcellona, contenuto nel volume - presentato oggi all'Augustinianum - "Cristiani nella società del dialogo e della convivenza".
Maggio di sangue in Iraq: oltre 530 morti. Al Maliki: puniremo autori delle stragi
◊ L'Iraq ancora sconvolto da attacchi dinamitardi, l’ultimo in ordine di tempo con un bilancio provvisorio di 27 morti, tra cui diversi pellegrini sciiti e oltre 50 feriti. Sale così a 530 il numero delle persone uccise nel solo mese di maggio. Maggiormente colpita la capitale Baghdad, ma anche le città di Tarmiyah e di Mosul. Il premier Al Maliki parla di un ritorno ai giorni più buii del Paese e promette il pugno di ferro contro i responsabili, indipendentemente dalla loro appartenenza politica e religiosa. Per un’analisi, Cecilia Seppia ha sentito Francesca Manfroni, giornalista di Osservatorio per l’Iraq:
R. – Ormai, in Iraq ogni mese è diventato un record, nel senso che già aprile era stato dichiarato come mese più sanguinoso del 2013, senza contare che, recentemente, uno studio molto importante ha certificato che quello iracheno sia stato il conflitto più sanguinoso del secolo. A ogni soldato ucciso, infatti, sono corrisposti 24 civili morti. Non ci stupisce, quindi, questa dinamica. Dinamica che, ovviamente, sta assomigliando sempre di più a quella del famoso biennio di sangue 2006-2007, dove morivano una media di mille persone al mese.
D. – Infatti, questo improvviso picco di sangue riporta proprio agli sconvolgimenti degli ultimi dieci anni, prima del ritiro delle truppe americane. C’è il rischio, di una guerra civile?
R. – Il rischio di una guerra civile è alle porte da tantissimo. Ovviamente, con il 2012, il trend delle vittime è cambiato. Fino al 2012 c’era stato un trend di minori morti al mese, poi dal 2012 tutto cambia. E questo fa presupporre che, ovviamente, la crisi siriana abbia travalicato i confini e sia entrata in un conflitto iracheno già esplosivo, per via di tutta una serie di errori - commessi a partire dall’inizio dell’invasione del Paese, dall’occupazione anche americana che ne è seguita - e che oggi si scontano.
D. – All’origine di questa violenza, c’è comunque l’eterna faida tra sunniti e sciiti, una guerra che ha tante connotazioni non soltanto quella religiosa, interetnica...
R. – Assolutamente. La chiamerei più che altro una faida per il potere, nel senso che qui la religione e le differenze religiose c’entrano abbastanza poco. In questo caso, è una questione di equilibri internazionali più grandi, che vedono i soliti noti – Stati Uniti d’America e Iran in primis – darsi battaglia su diversi campi. L’Iraq è stato il terreno di battaglia preferito in questi ultimi dieci anni. Adesso, nel vortice è entrata anche la Siria e ovviamente l’Iraq – che è il Paese "passepartout", in questo contesto, anche geograficamente oltre che politicamente – ne risente ampiamente.
D. – E’ vero anche che i più colpiti sono proprio gli sciiti, i quartieri sciiti di Baghdad, di Kirkuk, di Mosul, oppure i pellegrini sciiti che vengono, per esempio, dall’Iran. Ricordiamo anche che il premier Al Maliki è sciita. Quindi, una lotta anche di chi si contrappone al potere di Al Maliki...
R. – Assolutamente sì. Ricordiamo che Al Maliki, da più parti, non solo dentro l’Iraq, ma anche fuori dell’Iraq, a livello internazionale, ormai è additato come nuovo dittatore. E’ un uomo che ha consolidato il suo potere a forza di mettere i suoi uomini di fiducia ai vertici di ogni istituzione importante che governa oggi l’Iraq. E ricordiamoci che Al Maliki, sciita, ha comunque dei problemi serissimi all’interno del fronte sciita stesso, con Moktada al-Sadr, che ricordiamo tutti essere il famoso leader che governava l’esercito del Mahdi, all’epoca della guerriglia contro gli Stati Uniti, che è assolutamente un dissidente, rispetto alla linea politica di Maliki, così come il partito più legato all’Iran si contrappone molto spesso al suo tentativo di imporre un potere assoluto come quello poi che fu di Saddam. Semplicemente, adesso sono cambiati gli equilibri: adesso, ci sono gli sciiti e prima c’erano i sunniti al potere. Succede anche che, comunque, vi sia una marginalizzazione della componente sunnita al potere, che è assolutamente devastante.
D. – Al Maliki ha promesso tra l’altro, nei giorni scorsi, un cambio della strategia della sicurezza e oggi ha ribadito che saranno puniti tutti i miliziani, indipendentemente dalla loro appartenenza politica o religiosa. Quindi, da una lato c’è la volontà di fare giustizia, dall’altro quella di una lotta alla corruzione. Sembrano però più “slogan propagandistici” rispetto a quello che stai le sta affermando sulla sua figura...
R. – Esattamente. Sono solo slogan, perché chi comanda la sicurezza oggi sono persone assolutamente imposte da Maliki, per cui è lui che scredita se stesso, sostanzialmente. E perché, oltretutto, la mappatura geografica di questi attentati riguarda delle situazioni, delle regioni, ben precise, che celano dei motivi politici ben precisi. Ricordiamoci che ancora non è stata decisa la sorte degli immensi giacimenti, che sono nella zona di Kirkuk e Mosul, e non a caso tanti degli attentati riguardano quella zona.
Libia, si dimette presidente del Congresso per la nuova legge sull'epurazione politica
◊ Un soldato è stato ucciso nelle ultime ore in un attacco contro una pattuglia dell'esercito libico a Bengasi, nell'est della Libia. Intanto nel Paese, a quasi due anni dalla caduta del regime di Gheddafi, fanno molto discutere le dimissioni di Mohammed Magarief, il presidente del Congresso nazionale. Magarief è stato ambasciatore della Libia di Gheddafi prima del 1980 e poi è diventato uno dei leader dell'opposizione in esilio. Si è dimesso in base alla nuova "'Political isolation law", la legge che vieta a chiunque abbia servito il regime del Colonnello dal colpo di Stato del 1969 fino alla caduta del 2011 di ricoprire incarichi politici. La norma è stata approvata il 5 maggio scorso ed entrerà in vigore il 5 giugno. Della legge e del clima nel Paese, Fausta Speranza ha parlato con Gabriele Jacovino, coordinatore degli analisti del Centro studi internazionali:
R. – Le varie milizie tribali che ancora sono attive in Libia cercano di dettare un’agenda politica, seppure possiamo parlare di agenda politica per la decisione del governo di portare avanti questa legge – di fatto approvata dietro minaccia delle milizie che tenevano sotto assedio il Ministero della difesa e il Ministero degli esteri fino alla settimana scorsa. E’ comunque una legge che potrà avere risvolti pericolosi per l’intera stabilizzazione del Paese, perché il presidente del Congresso nazionale libico è la prima vittima "eccellente" di questa legge, avendo lui avuto dei legami con il passato regime, ma non è l’unico. Anche lo stesso presidente libico, lo stesso primo ministro, potrebbero essere i prossimi a doversi dimettere.
D. – Questo può essere motivo di ulteriore instabilità nel Paese?
R. – Assolutamente sì. Le nuove istituzioni libiche cstavano omunque cercando di compiere passi in avanti verso una stabilizzazione del Paese, la quale, se fino a due settimane fa era lontana, in questo momento è ancora più lontana. Anche perché il venir meno di cariche istituzionali così importanti può solamente far cadere il Paese in una crisi istituzionale di cui in questo momento è difficile prevedere la fine.
D. – Parliamo della gente, parliamo del clima nel Paese…
R. – Il clima nel Paese è quello, appunto, di una nazione che dev’essere ricostruita fin dalle proprie fondamenta, sia politiche sia istituzionali ma anche sociali, perché dopo la venuta meno del regime di Gheddafi sono state le strutture tribali a prendere il posto di quelle statali. Quindi, di fatto è un Paese molto diviso al proprio interno, dove le cariche istituzionali non riescono a trasmettere un senso di Paese, un senso di istituzione, un senso unitario.
D. – Quanto è grave il rischio che questa debolezza della Libia possa aprire al rafforzamento di gruppi qaedisti, in quella zona?
R. – Sicuramente, il vuoto di potere lasciato dalle istituzioni libiche del post-Gheddafi ha aperto e continua ad aprire spazi per l’avanzata di gruppi qaedisti o di ispirazione qaedista, non solo libici ma facenti capo a vari gruppi attivi in tutto l’arco nordafricano, ma anche nella regione del Sahel. Possono trovare in Libia uno spazio di azione anche e soprattutto perché il territorio del Mali – che negli ultimi anni era diventato un po’ un paradiso per questi gruppi qaedisti – è venuto meno dopo l’operazione francese. Il territorio libico potrebbe sostituire in un certo senso il territorio del Mali nel dare un retroterra logistico a questi gruppi.
D. – Secondo lei, potrebbe esserci una qualche influenza sul dibattito attorno a questa legge da parte della comunità internazionale?
R. – Sicuramente, è necessaria a questo punto l’influenza della comunità internazionale, o un impegno maggiore della comunità internazionale in Libia, per aiutare le istituzioni libiche in un processo di stabilizzazione nel post-Gheddafi. Senza un impegno forte della comunità internazionale, ma anche delle organizzazioni internazionali – in primis, l’Onu – la Libia rischia veramente di rimanere in un "limbo" di anarchia e di divisioni tribali da cui sarà difficile uscire.
Italia, deficit. Zamagni: bene decisione Ue ma non cullarsi sugli allori
◊ L'Italia resterà in recessione per tutto il 2013: è quanto afferma l’Ocse. Il Pil comincerà a crescere nel 2014, ma solo dello 0,4%. La disoccupazione, però, continuerà a salire anche l’anno prossimo fino ad arrivare al 12,5%. Intanto, buona notizia, l'Unione Europea ha dato il via libera alla chiusura della procedura per deficit eccessivo a carico dell'Italia. Su questa decisione Emanuela Campanile ha sentito l’economista, Stefano Zamagni:
R. – Questo esito va salutato come una notizia buona perché per noi italiani significa tre cose. Primo, un aumento di reputazione a livello europeo; sappiamo tutti come l’Italia veniva considerata fino a tempi recenti. Secondo, l’uscita dalla procedura di infrazione significa che l’Italia potrà sbloccare, utilizzare, diversi miliardi per opere di tipo infrastrutturale, soprattutto investimenti, finalità, per l’occupazione. Ma questo risultato non sarà immediato, bisognerà attendere sei mesi. Terzo risultato importante: è vero che si parla di aumento dell’Iva ma questo è un fatto contingente perché il vantaggio di cui ho parlato adesso si materializzerà soltanto fra sei mesi e nel frattempo, poiché è stata sospesa l’Imu sulla prima casa, è evidente che per mantenere inalterati i saldi bisognava compensare in questa forma. Comunque, la cosa importante è che questa promozione potrebbe segnare un’inversione di tendenza. Da questo punto di vista, per dire le cose come stanno, Francia e Spagna, per non parlare di Portogallo e Grecia, sono messe molto peggio di noi. Noi, infatti, ormai siamo in vista di un superamento definitivo dei nostri problemi, perché ridurre il deficit sotto il 3%, come imposto dal trattato di Maastricht, vuol dire che l’Italia, senza chiedere aiuti straordinari, all’Europa è riuscita con le sue sole forze a calmare la pressione che arrivava dai mercati speculativi. In conclusione, si tratta di una boccata d’ossigeno importante che come tale va accolta con favore. Al tempo stesso però non possiamo cullarci sugli allori e deresponsabilizzarci. Io mi auguro che il governo voglia prendere questa occasione per rilanciare, soprattutto sul piano dell’occupazione.
D. – La Commissione europea però pubblicherà anche le raccomandazioni specifiche per il nostro Paese, basate su valutazioni molto dettagliate della situazione economica, del bilancio…
R. – Le raccomandazioni che ci vengono dall’Unione Europea a noi vanno bene, perché sono raccomandazioni che ci dicono che dobbiamo tagliare i costi della burocrazia, le posizioni della rendita, tutte cose di per sé valide. Le raccomandazioni non riguardano le modalità di attuazione delle riforme strutturali, questa sarebbe una violazione del principio di sovranità nazionale. Quindi, abbiamo margine di manovra. L’Unione Europea dice: smettete di aumentare i costi della politica, soprattutto della burocrazia, della finanza speculativa e così via. Sono raccomandazioni che non possono che essere accolte con favore anche dai nostri governanti. Ovviamente ci sono margini di negoziazione, questo è evidente.
Save the Children: malnutrizione complice dell'analfabetismo di milioni di bambini
◊ I bambini cronicamente malnutriti hanno il 20% in più di possibilità di restare analfabeti dei coetanei, con una ricaduta economica di 125 miliardi di dollari. E’ la denuncia di Save the Children, alla vigilia del summit sulla nutrizione che anticipa l’annuale vertice G8. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
La malnutrizione dall’inizio della gravidanza, e fino a al compimento del secondo anno di vita, ha un effetto devastante sullo sviluppo cognitivo del bimbo. Lo denuncia Save the Children in un Rapporto pubblicato ieri, a pochi giorni dal summit globale sulla nutrizione, a Londra l’8 giugno. I bambini che soffrono di malnutrizione cronica, spiega l’organizzazione, “hanno in media il 20% di probabilità in più di essere analfabeti rispetto ai coetanei che possono contare su una dieta equilibrata”. Marco Guadagnino, dei programmi internazionali di Save the Children:
"La malnutrizione è una causa fondamentale della riduzione dello sviluppo cognitivo. La malnutrizione aumenta, ovviamente, le possibilità che il bambino si ammali e quindi non riesca a frequentare la scuola e che abbia in qualche modo ridotte notevolmente le proprie capacità di apprendimento: per esempio, la capacità di lettura o di fare semplici calcoli. E’ indispensabile intervenire in questa 'finestra': la finestra dei mille giorni. E’ un arco di tempo che consente uno sviluppo adeguato del bambino. Dopodiché, si può provare a recuperare, ma il danno causato da una cattiva nutrizione, una mancanza di proteine e di micro-nutrienti fondamentali per lo sviluppo del feto e poi del bambino, vanno a incidere in maniera irrimediabile sul futuro del bambino".
Save the Children ha redatto il suo Rapporto sulla base di una ricerca effettuata su migliaia di bambini di Etiopia, India, Perù e Vietnam. Le Nazioni Unite stimano che circa 2.300.000 bambini nel mondo muoiano per cause legate alla malnutrizione:
"Il 50% dei bambini indiano è malnutrito e stime simili possono essere ritrovate nei grandi Paesi dell’Africa subsahariana, in Nigeria per esempio. E stiamo parlando ancora di numeri molto, molto grandi. Chiaramente, immaginare che il 50% dei bambini in un Paese come l’India sia malnutrito porta a pensare che il 50% di questi bambini corra il rischio di non avere uno sviluppo adeguato delle proprie capacità cognitive, e questo comporta conseguenze molto gravi. Avere i bambini in salute, in grado di seguire con profitto il ciclo educativo, è una garanzia per rompere il circolo vizioso della povertà".
In effetti, secondo alcuni recenti studi, l’impatto economico della malnutrizione a livello globale raggiungerebbe i 125 miliardi di dollari. Inoltre, è stimato che “i bambini affetti da malnutrizione guadagneranno in media il 20% in meno nella loro vita da adulti”:
"Non contribuire nei primissimi mesi allo sviluppo del bambino, sicuramente influisce sullo sviluppo dell’intero Paese. Questi Paesi porteranno il fardello di bambini che poi diventeranno adulti che avranno enormi deficit cognitivi che potranno in maniera ridottissima contribuire al benessere e allo sviluppo del Paese dove poi andranno a vivere".
“La malnutrizione rappresenta un vero e proprio tallone d’Achille per lo sviluppo”, continua l’organizzazione:
"Soltanto lo 0,3% dei fondi destinati allo sviluppo vengono indirizzati a programmi di lotta alla malnutrizione: stiamo parlando veramente di briciole, rispetto a tutto il resto dell’aiuto che viene fornito. Questo è il messaggio forte che noi, l’8 giugno, proveremo a mandare alla Conferenza che si terrà a Londra: è necessario investire per abbattere la malnutrizione, è necessario investire su programmi che mettano fortemente in relazione sviluppo e nutrizione. E’ la chiave per rompere il ciclo della povertà".
Dal 2009, dal lancio della campagna "Every One", Save the Children ha raccolto 885 milioni di dollari destinati a interventi a favore della salute e della nutrizione di milioni di bambini e donne in età riproduttiva nei Paesi più poveri del mondo.
Cina: sta bene neonato estratto vivo da un tubo. Rilevante l'interesse dei media cinesi
◊ In Cina, la giovane madre del neonato, estratto vivo da un tubo di scarico di un bagno, ha confessato di aver nascosto la gravidanza aggiungendo che non aveva i soldi per l’aborto. La donna, indagata per tentato omicidio, ha anche riferito alla polizia che il piccolo, le cui condizioni sono stabili, è scivolato accidentalmente nel water al momento del parto. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
(Vagiti)
I vagiti di un neonato, incastrato per ore in un tubo di 10 centimetri di diametro, hanno scritto il lieto fine di una vicenda drammatica. Il pianto del bambino ha richiamato l’attenzione di alcuni vicini di casa che hanno subito richiesto l’intervento dei vigili del fuoco. La squadra di soccorso, dopo diversi tentativi, è riuscita a tagliare, con grande cautela, una sezione della tubatura. Il piccolo, quando è stato estratto dalla condotta, aveva ancora la placenta attaccata al corpo. E’ stato subito trasferito in ospedale, pesa 2,3 kg ed è stato chiamato “59”, il numero della sua incubatrice. Sono già arrivate molte richieste di adozione. Su questa vicenda, di cui la Tv di Stato cinese ha trasmesso le immagini del salvataggio, ascoltiamo il commento di Francesco Sisci, editorialista del quotidiano “Il Sole 24 Ore”, raggiunto telefonicamente a Pechino:
R. – È importante leggere la reazione dei media cinesi e, in qualche modo, del governo cinese che ha lasciato i media cinesi coprire questa vicenda. Se questa vicenda, è stata coperta in questo modo, cioè dando rilievo al fatto che bisognava salvare il bambino e informandoci anche del fatto che la donna oggi è sotto inchiesta per tentativo di infanticidio. Questo è un segnale molto forte contro la pratica dell’infanticidio, che purtroppo è stata molto adottata dall’inizio della “politica del figlio unico” in poi, cioè dal 1980 in poi. Oggi, in questa storia di cronaca sembra di vedere l’inizio di una svolta ed è anche un segnale forte perché è un altro passo avanti verso la fine di questa “politica del figlio unico”. In realtà, negli ultimi anni la “politica del figlio unico” si è man mano sempre più ammorbidita. C’è stata poi una politica di adozioni prima degli stranieri – circa una decina di anni fa – e oggi sempre più anche dei cinesi.
D. – Cosa prevede attualmente la “politica del figlio unico”?
R. – In questo momento, la politica del figlio unico è molto blanda. In realtà, si applica ai funzionari statali che possono avere un figlio unico, altrimenti due figli sono di ostacolo alla carriera. Se non si è funzionario pubblico e si hanno due figli non c’è nessuno ostacolo alla carriera tranne una multa, una tassa da pagare. Quello che ormai però avviene – perché tirare su un bambino costa, costa l’asilo, costano i dottori, costano gli ospedali – è che molte famiglie urbanizzate vogliono un solo figlio, oppure non vogliono figli. Quello che anche succede è che ormai, spesso e volentieri, i figli unici non vogliono figli, oppure ne vogliono uno solo perché in qualche modo sta crescendo l’abitudine del mondo occidentale, dei Paesi sviluppati, in cui c’è questo “egoismo familiare” per cui si vogliono pochi figli. Quindi, c’è una combinazione di vari elementi: le famiglie più disagiate cominciano ad avere più figli, perché i figli sono sempre – come nelle società contadine – una risorsa e lo possono fare con maggiore discrezione del passato. Chi invece potrebbe avere un figlio spesso però non lo ha e questo sta creando dei problemi, perché la Cina si avvicina molto velocemente all’età di un invecchiamento sociale, quasi da società moderna, pur non essendo una società completamente sviluppata. Per questo motivo, molti pensano che entro un paio di anni la politica del figlio unico sarà completamente abbandonata.
La vicenda del neonato, estratto vivo dalla tubatura, risale a sabato scorso, ma la notizia è stata divulgata solo ieri. Le immagini del recupero del neonato stanno facendo il giro della Rete.
Sisma Emilia, un anno dopo. Imprenditori: serve aiuto per rialzare la nostra regione
◊ Il 29 maggio dello scorso anno, i sismografi registravano il secondo giorno di forti scosse in Emilia. La regione era già stata prostrata da quelle di pochi giorni prima, il 20. Ai sette precedenti morti se ne aggiungono altri venti, centinaia di feriti e danni incalcolabili al patrimonio artistico, alle costruzioni rurali ed industriali. Gloria Trevisani dal 1989 guida la "CREA-SI", azienda tutta al femminile che realizza capi da collezione per le grandi firme della moda. Il capannone della sua impresa, a Rovereto sulla Secchia, in provincia di Modena, è crollato per il sisma, fortunatamente senza vittime, ma provocando un danno economico di circa 200 mila euro. Dopo soli 40 giorni, la Trevisani è riuscita a riaprire l’impresa a Carpi, sempre in provincia di Modena, e a ridare lavoro alle sue dipendenti, grazie anche al sostegno dell’organizzazione Cesvi. Francesca Sabatinelli l’ha intervistata:
R. – Io ancora oggi, se ripercorro quella mattina, ricordo momento per momento, secondo per secondo, tutto quello che è successo: questa cosa che veramente ha cambiato la vita di tanti, oltre ad aver cambiato il nostro modo di vedere le cose. Se ritorno indietro di un anno, ricordo benissimo tutte le sensazioni, le parole, le sirene. Io credo che questa sia una cosa che nessuno si scorderà più.
D. – E ricorda quindi anche quale fu la sua immediata reazione?
R. – Quando ho visto, mi emoziono ancora a dirlo, la parete crollata del mio capannone, nel momento in cui mi sono trovata lì davanti, dove tutto era desolato e con tutta questa paura, ho detto: “No, no, non può essere questo che ci ferma!”. E’ stato l’inizio della reazione. Da quel momento, grazie anche alla solidarietà che ho sentito – le persone, fornitori, clienti, che mi chiamavano, i miei collaboratori che mi chiedevano: “Cosa facciamo, cosa hai deciso, cosa fai…” – questo mi ha fatto trovare la forza di dire: "No, non può essere una cosa così a fermarci". Avevo la responsabilità di tante persone, la responsabilità del mio lavoro, della mia vita e da lì è scattato questo meccanismo. Il giorno dopo, ho chiamato tutti i clienti dicendo: “Noi stiamo tutti bene, adesso cercheremo uno spazio, cercheremo di recuperare tutte le vostre materie prime”. Da lì, è cominciata la nostra ripartenza.
D. – Il suo racconto possiamo dire che è il simbolo di quella forza, di quella laboriosità, si ripete ormai da un anno, tipica e propria dell’Emilia, perché tutti gli imprenditori, o moltissimi, hanno reagito esattamente come lei…
R. – Sì. Ho tanti colleghi che hanno fatto esattamente le stesse cose che ho fatto io e che magari erano messi anche in condizioni peggiori delle mie, avevano avuto ancora più danni, e hanno avuto lo stesso tipo di reazione. Questa è, probabilmente, una reazione tipica, della nostra terra, ma anche di chi si trova davanti ad un problema che è così tanto grande e così tanto inaspettato. Credo faccia parte proprio del nostro modo di essere e di dire: no, questo non è possibile, io devo farcela, devo farcela per me, per i miei dipendenti, per la mia terra. Quello che ho fatto io è lo specchio di quello che hanno fatto tanti.
D. – Rovereto adesso in che condizioni è?
R. – Rovereto è in uno stato veramente desolante. La zona artigianale dove si trovava il mio capannone ora è morta, nel senso che non ci sono più aziende: ne è rimasta una sola su 10–12. Nel paese, invece, vediamo solo case fissate con transenne di legno, con pali di legno, vediamo grandi spazi dove hanno demolito case. Questa è la situazione e credo che il racconto non dia l’idea di quello che c’è nei paesi. Rovereto è stato uno dei più colpiti dalla seconda scossa – Rovereto, Novi, Moglia – e quando uno va lì si chiede come faccia una persona, non dico i giovani ma magari una persona che ha una certa età, a ritornare ad avere una speranza nel proprio Paese.
D. – Da emiliana, e non da imprenditrice, come vede la sua terra?
R. – A un anno di distanza, mi sento di dire che nonostante sia stato fatto tanto, probabilmente non è stata presa in giusta considerazione una situazione che era molto grave. Secondo me, è stata presa un po’ sotto gamba e di conseguenza, a un anno di distanza, io vorrei vedere di più di quanto non sia stato fatto, perché tutto quello che è stato fatto lo è stato per l’iniziativa delle persone. Che siano aziende o privati, a questo punto non fa differenza: parliamo di persone. Invece, tutto quello che noi ci saremmo dovuti aspettare dallo Stato, dalle istituzioni, secondo me non è stato altrettanto “reattivo” così come è stata la reazione degli emiliani. Quello che noi vogliamo è che i nostri paesi, prima di tutto le nostre persone e, di riflesso, le nostre aziende tornino ad essere quelle di prima, anche migliori. Purtroppo, per fare questo non basta la nostra iniziativa privata, o l’iniziativa dei volontari, o dei donatori. Bisogna che si insista di più sulle istituzioni, sui finanziamenti e sugli aiuti per far rialzare questa terra, perché l’Emilia si è tirata su in piedi ma ora ha bisogno di essere sorretta, e questo io lo voglio ribadire fortemente. Non abbiamo tempo da perdere. Le case continuano a cadere, per rifarle ci vogliono tante risorse e questi devono essere aiuti che ci devono arrivare. Noi ci mettiamo la voglia di lavorare, il resto bisogna che ce lo mettano gli altri.
Roma, Teatro Olimpico: in scena e in musica due storie di donne coraggio
◊ Due opere in prima assoluta questa sera al Teatro Olimpico di Roma per la stagione dell’Accademia Filarmonica Romana ispirate alla cronaca del nostro tempo e oggi di tragica attualità: quella di giovani donne oppresse, ma infine più forti del loro oppressore. A sostenere in prima linea il progetto il comitato “Donne per il nostro tempo”, oltre 180 sostenitrici che con il loro generoso contributo hanno reso possibile la realizzazione della serata. Il servizio di Luca Pellegrini:
"Donna, serva della mia casa": questo il titolo provocatorio del dittico operistico con la regia di Cesare Scarton che, riprendendo un verso delle "Coefore" di Eschilo nella traduzione di Pasolini, mette in scena questa sera "Fadwa" di Dimitri Scarlato e "La stanza di Lena" di Daniele Carnini. La prima, sul libretto dello stesso compositore, trae spunto dalla vicenda di Hina Saleem, la giovane pakistana assassinata dal padre con l’aiuto di altri familiari nell’agosto 2006 in provincia di Brescia, perché ritenuta “colpevole” di convivere con un ragazzo italiano e di avere un lavoro. La seconda, una “favola tragica” su libretto della scrittrice Renata Molinari, narra una storia di segregazione e umiliazione ispirata alla vicenda di Natascha Kampusch, la ragazza austriaca vittima a 10 anni di un rapimento, rimasta segregata per 8 anni, fino a quando riuscì a fuggire dal suo rapitore. Abbiamo chiesto a Daniele Carnini con quale spirito ha affrontato il difficile compito di accompagnare con la musica questa tragica storia.
“Il compito era difficile soprattutto perché si tratta di una vicenda di oppressione su una donna e io sono un uomo, anche se è una librettista donna che ha affrontato insieme a me il compito. Quello che volevamo fare e che penso che abbiamo fatto, è dare di questa vicenda estremamente cruda il distillato, qualche cosa che sia valido per quella vicenda ma in genere. E’ una storia che per quello che ci riguarda è più una storia di una libertà che di una prigionia, una storia di una liberazione. Questa era la cosa che volevamo mettere in luce più di ogni altra. 'La stanza di Lena' è, anche se è molto breve visto che si tratta di neanche mezz’ora, un’opera vera e propria, con cantanti, non attori, che per l’opera contemporanea non è secondario, e che quindi ha un struttura del tempo teatrale che si avvicina molto a quella dell’opera italiana”.
Nel mondo oltre un miliardo di persone vive senza elettricità
◊ Circa un miliardo e 200 milioni di persone nel mondo non hanno accesso all’elettricità mentre due miliardi e 800 milioni dipendono dal legname o da altre biomasse per cucinare e riscaldare le proprie abitazioni. E’ quanto emerge da un rapporto elaborato da esperti di 15 organismi internazionali – fra cui le Nazioni Unite, l’Agenzia internazionale dell’energia e la Banca Mondiale – il primo della campagna “Energia sostenibile per tutti” lanciata nel 2011 dal segretario generale del Palazzo di Vetro, Ban Ki-moon. Obiettivo è arrivare entro il 2030 all’accesso universale a forme moderne di energia. Il rapporto - riporta l'agenzia Misna - evidenzia che sebbene fra il 1990 e il 2010 un miliardo e 700 milioni di persone abbiano avuto per la prima volta accesso all’energia elettrica si tratta di un numero che supera appena l’aumento della popolazione planetaria nello stesso arco di tempo (un miliardo e 600 milioni). Di conseguenza, fra il 1990 e il 2010 si è prodotto solo un “modesto” miglioramento. L’80% delle popolazioni che non hanno elettricità vive in zone rurali e due terzi si concentrano in 20 Paesi di Africa e Asia: fra questi, Nigeria, Etiopia, India e Bangladesh. Garantendo l’accesso a moderne forme di energia, sostiene il rapporto, si eviterebbe l’uso di legna, sterco e carbone per cucinare, materiali molto contaminanti in spazi chiusi che ogni anno sono fra le cause della morte di tre milioni e mezzo di persone. L’altro obiettivo fissato dall’Onu è raddoppiare entro il 2030 la quota delle energie rinnovabili al livello globale portandola dal 18% del 2010 al 36%. A dare l’esempio dovrebbero essere i 20 Paesi che consumano l’80% dell’energia mondiale. Solo Stati Uniti e Cina ne assorbono il 40% ma la Repubblica popolare risulta anche il Paese che più ha progredito dal 1990 a oggi in efficienza energetica e uso di fonti alternative. Notevoli anche i progressi dell’India che ha portato l’elettricità a una media di 24 milioni di persone l’anno fra il 1990 e il 2010 ma che ha ancora molto da fare per garantirla ad altri 306 milioni di cittadini. (R.P.)
La Papua Nuova Guinea ripristina la pena di morte. Contrari i vescovi
◊ Lo Stato-arcipelago di Papua Nuova Guinea nel Pacifico, uno dei Paesi piu' poveri al mondo, ha ripristinato la pena di morte per omicidio, stupro aggravato e rapina a mano armata. Il parlamento di Port Moresby ha anche abrogato una controversa legge sulla stregoneria, che offriva forti attenuanti per crimini violenti se l'accusato agiva per fermare atti di stregoneria. Il voto a larga maggioranza fa seguito a una serie di stupri di gruppo, anche di donne straniere, e di raccapriccianti torture e uccisioni di donne accusate di stregoneria, una credenza tuttora diffusa nel Paese. La pena capitale, con impiccagione, sedia elettrica, iniezione letale o fucilazione, si estende a casi gravi di corruzione e puo' essere applicata anche alla coltivazione di marijuana. I vescovi della Papua Nuova Guinea e Isole Salomone avevano ribadito il loro “no” alla pena di morte, Come ha riferito a Fides una nota di padre Victor Roche, segretario generale della Conferenza episcopale, la Chiesa locale aveva offerto al dibattito pubblico tre ragioni per rifiutare la pena capitale. La prima è che è contro la Bibbia e contro i principi cristiani, contro il comandamento “Non uccidere”. Poiché Dio è l'autore della vita “né la magistratura né il governo hanno il potere di togliere la vita a qualcuno”. La seconda ragione è che “la pena di morte non ha fatto diminuire il tasso di criminalità nei Paesi in cui viene utilizzata e la Papua Nuova Guinea non farà eccezione”. “Migliorare il sistema di giustizia e dare la certezza della pena sono deterrenti anche migliori per il crimine”, notano i vescovi. In terzo luogo, la Chiesa chiede: “Chi giustizierà i criminali condannati a morte in Papua Nuova Guinea? Saranno connazionali o alcuni stranieri pagati? Se saranno nostri concittadini, potrebbero aver luogo uccisioni per vendetta contro la famiglia dei carnefici”, dunque questo provvedimento potrebbe “far scoppiare lotte tribali”, a danno dell’armonia nella società. Dal canto suo Amnesty International ha condannato il ritorno alla pena di morte in Papua Nuova Guinea come una maniera ''orribile e repressiva'' oltre che''controproducente'', di combattere il crimine. (R.P.)
Siria: missione umanitaria del vescovo mons. Vera Lòpez
◊ Il vescovo messicano Raùl Vera Lòpez farà parte di una delegazione di 12 osservatori che nella prima metà di giugno proveranno a entrare in Siria per raccogliere dati e informazioni su atrocità e violazioni dei diritti umani in atto nel Paese dilaniato dalla guerra civile. Secondo informazioni attribuite alla diocesi di Saltillo, la missione in Siria di mons. Lòpez avverrà dopo gli esercizi spirituali che il vescovo sta predicando alla comunità domenicana di Porto Rico. Mons. Raùl Vera Lopez è stato vescovo coadiutore di San Cristòbal de Las Casas negli anni in cui l'arcidiocesi del Chiapas era retta dal vescovo Samuel Ruiz Garcìa, a cui era legato da profonda amicizia. Nel 2000 Vera Lòpez è diventato vescovo della diocesi di Saltillo, nel Messico nord-orientale. E' stato candidato al Premio Nobel 2012 per il suo impegno a favore della difesa dei diritti umani. (R.P.)
Pakistan. I vescovi al governo: no alla discriminazione religiosa nei testi scolastici
◊ L’istruzione e la formazione della mentalità dei giovani sono uno dei punti fondamentali sui cui intervenire per cambiare il Pakistan, per ridurre l’intolleranza religiosa e per promuovere armonia e pace nella società. Partendo da questo assunto, la Commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza episcopale presenta al nuovo Premier, Nawaz Sharif – uscito vincitore dalle recenti elezioni generali e ora impegnato nella formazione di un nuovo governo – il tema scottante della discriminazione religiosa contenuta nei testi scolastici e insegnata sui banchi di scuola. In una nota inviata a Fides, la Commissione segnala, inoltre, che gli studenti non musulmani, iscritti alla scuola pubblica, sono di fatto costretti a seguire gli studi islamici e questa è una violazione dei loro diritti inalienabili. Secondo uno studio pubblicato dalla Commissione “Giustizia a Pace”, e inviato all’agenzia Fides, 55 capitoli in 22 libri di testo utilizzati nel Sindh e Punjab, contengono affermazioni errate, offensive e discriminatorie nei confronti delle minoranze religiose, I libri di testo sono stati utilizzati dalle scuole elementari fino alle superiori. Nella nota inviata a Fides da Peter Jacob, direttore esecutivo della Commissione, si afferma paradossalmente che il dilemma è fra “istruire o diffondere odio”, dato che i testi riportano fatti storici distorti e creano nei ragazzi un pregiudizio di fondo e alimentano l’intolleranza verso le minoranze religiose. Secondo Jacob, “tale approccio è visibilmente discriminatorio nei confronti dei cittadini non musulmani del Pakistan e viola gli articoli 18, 20, 22 e 25 della Costituzione”. La Commissione nota che le affermazioni discriminatorie sono aumentate negli anni: nel 2009, i casi segnalati nei testi erano 45, mentre il numero è salito a 122 nel 2013. I partiti politici e le istituzioni, nota Jacob, sono chiamati a intervenire, dato che la questione tocca la sfera dei diritti umani, la libertà religiosa e il sistema di istruzione. La Commissione suggerisce al nuovo governo di rivedere le politiche dell’istruzione e chiede interventi per rimuovere “lezioni discriminatorie nei confronti delle minoranze”. Per fare questo si potrebbe costituire una Commissione indipendente di studiosi e storici. Inoltre si chiede che gli studenti non musulmani non debbano seguire lezioni di studi islamici ma possano studiare le loro rispettive religioni o studi alternativi. (R.P.)
Congo: dopo gli scontri a Bukavu nel Sud Kivu, accuse ed appelli
◊ Un appello a consegnare le armi, prima del dispiegamento nella regione della Brigata di intervento dell’Onu: lo ha rivolto il ministro della Difesa, Alexandre Luba Ntambo, a tutte le milizie attive nel Sud Kivu, provincia confinante con il Nord Kivu, teatro di una crisi armata. “E’ giunto il momento di arrendersi per evitare che ci siano vittime collaterali nel prossimo intervento della Brigata Onu” ha detto il ministro, in visita da lunedì nel capoluogo Bukavu. Entro due mesi - riporta l'agenzia Misna - più di 3000 soldati inviati da Sudafrica, Malawi e Tanzania saranno operativi affianco ai Caschi blu della Monusco con un mandato offensivo per “lottare contro i gruppi ribelli” e “riportare la pace nell’est del Congo”, confinante con Rwanda e Uganda. Anche il Sud Kivu sta subendo i contraccolpi della crisi in atto dal 2012 nella provincia gemella del Nord Kivu, alimentata dalla ribellione del Movimento del 23 marzo (M23). La scorsa settimana a Bukavu si sono verificati scontri interetnici tra Banyamulenge – tutsi congolesi di origine ruandese – e congolesi nativi della regione. Questi ultimi hanno accusato i giovani tutsi di sostenere i ribelli dell’M23, in armi contro il governo di Kinshasa. I disordini della scorsa settimana hanno causato una quarantina di feriti, fra cui otto agenti di polizia. Rivolgendosi alle comunità locali, il ministro della Difesa ha inoltre dichiarato che “le ultime violenze sono l’opera di manipolatori che vogliono dimostrare che l’aggressione di cui il nostro Paese è vittima, è dovuta a problemi intercomunitari”, invitando la popolazione di Bukavu a “non cedere ai tentativi di manipolazione”. Il governatore del Sud Kivu Marcellin Cishambo ha denunciato il “vento di guerra che sta minacciando la nostra provincia”, chiedendo alle diverse comunità di “adoperarsi a favore della coabitazione pacifica tra tutti i congolesi”. Da mesi esperti Onu e esponenti della società civile congolese hanno dimostrato che l’ultima ribellione passata all’offensiva in Nord Kivu, l’M23, è sostenuta politicamente e militarmente da Kigali e Kampala, i due Paesi confinanti che hanno interessi diretti, anche economici, nelle due province del Kivu. Inoltre fin dai primi anni 90 – e soprattutto dopo il genocidio ruandese del 1994 – la questione dei Banyamulenge, e dei cittadini tutsi in generale è al centro di numerose problematiche socio-politiche nelle due province del Kivu. (R.P.)
Tanzania. La Chiesa: attacchi contro i cristiani, strategia di gruppi islamisti stranieri
◊ I recenti attacchi contro la comunità cristiana in Tanzania “non sono fatti isolati e separati”, ma fanno parte di una precisa strategia di organizzazioni islamiste straniere che hanno come obiettivo quello di islamizzare l’Africa. Ad affermarlo, in un’intervista all’agenzia Cns, è mons. Tarcisius Ngalalekumtwa, vescovo di Iringa e presidente della Conferenza episcopale tanzaniana, commentando l’ultimo attentato avvenuto il 5 maggio durante l’inaugurazione della parrocchia di San Giuseppe ad Arusha, che ha causato 3 morti e una sessantina di feriti. “I rapporti tra cristiani e musulmani in Tanzania sono sempre stati cordiali qui ed è il motivo per cui queste ultime violenze ci lasciano sbalorditi. Ne deduciamo che si tratta di interferenze esterne”, ha affermato il presule, ripetendo quanto vanno dicendo da mesi fonti della Chiesa locale. “I comuni musulmani – ha aggiunto - non hanno nulla contro la religione cristiana e la fede cattolica. Sono i fondamentalisti, influenzati dall’esterno ad essere ostili”. Il presule si è detto comunque convinto che i cattolici sapranno superare questo difficile momento grazie alla solidarietà di tutte le comunità cristiane locali: “Siamo tutti esposti a intimidazioni, ma siamo anche molto uniti, ci incontriamo e preghiamo insieme regolarmente per darci coraggio”. Per l’attentato del 5 maggio è stato arrestato un tassista, mentre quattro arabi fermati sono stati rilasciati. L’attacco, dal quale è uscito illeso il nunzio mons. Francisco Padilla presente alla Messa, è stato l’ultimo di una serie di episodi di violenza che hanno segnato in questi ultimi due anni un’escalation delle tensioni nel Paese, dove la comunità cristiana e quella musulmana rappresentano rispettivamente circa un terzo della popolazione. A febbraio, a Zanzibar (provincia autonoma a maggioranza musulmana) è stato ucciso padre Evarist Mushi, mentre a Natale, nello stesso arcipelago, era stato gravemente ferito in un agguato un altro sacerdote, Ambrose Mkenda. Inoltre alcune chiese cristiane erano state saccheggiate. A ottobre 120 persone erano state arrestate nel corso di scontri a Dar es Salaam in cui un gruppo di manifestanti musulmani aveva cercato di attaccare alcune chiese cristiane della capitale. A questo si aggiungono le intimidazioni contro la Chiesa e i suoi leader attraverso pubblicazioni e diversi media. Mons. Ngalalekumtwa ha denunciato che il governo non ha sinora risposto agli appelli della Chiesa ad intervenire e a prendere posizione contro queste violenze. Il presule ha inoltre annunciato che il 31 maggio i vescovi del Paese si riuniranno per discutere il da farsi. (L.Z.)
Etiopia: protesta dei rifugiati eritrei contro il regime di Asmara
◊ Circa tremila rifugiati eritrei hanno dimostrato presso il campo di Berahle nella regione Afar dell’Etiopia a pochi chilometri dal confine con l’Eritrea. I dimostranti hanno così voluto attirare l’attenzione della comunità internazionale su quello che definiscono “il genocidio commesso dal governo di Asmara contro la minoranza Afar”. “Facciamo appello alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale di proteggere gli Afar eritrei dalla pulizia etnica perpetrata da questo regime brutale” affermano i rifugiati in una dichiarazione. In un’intervista al Sudan Tribune, Rashid Saleh, presidente dell’associazione giovanile del campo di rifugiati di Berahle, afferma che la dimostrazione è stata organizzata in coincidenza con il 22esimo anniversario dell’indipendenza dell’Eritrea (per ottenere la quale è stata condotta una guerra ultra trentennale contro l’Etiopia prima del Negus Selassié, poi di quella del regime marxista di Menghistu), sottolineando che “nonostante l’Eritrea abbia conquistato l’indipendenza oltre 20 anni fa, la sua popolazione non è stata ancora liberata”. Si stima che vi siano 5.000 prigionieri politici in Eritrea detenuti in condizioni spaventose. Migliaia di giovani preferiscono fuggire dal Paese, finendo spesso vittima dei mercanti di esseri umani (vi sono diversi eritrei tra le persone che scompaiono inghiottiti dalle acque del Mediterraneo nel tentare l’attraversata del Canale di Sicilia). Nella sola Etiopia vi sono 70.000 rifugiati eritrei. Il campo di Berahle è stato costituto nel 2008. Si trova in una regione desertica dove la temperatura raggiunge facilmente i 45° centigradi. Il campo accoglie più di 5.000 persone in condizioni igieniche-sanitarie precarie. (R.P.)
Costa d'Avorio: conclusa la Plenaria dei vescovi sulla nuova evangelizzazione
◊ La situazione finanziaria della Chiesa in Costa d’Avorio, il punto sulle attività svolte dai suoi vari organismi e più in generale le prospettive della Chiesa nel Paese con particolare attenzione all’evangelizzazione. Questi i temi principali che hanno caratterizzato i lavori della 96.ma assemblea plenaria dei vescovi della Costa d’Avorio svoltasi presso il Centro Sainte Thérèse de Bingerville, vicino alla capitale Abidjan. Ai lavori – riporta il comunicato finale - ha assistito anche l’incaricato di affari della nunziatura apostolica in Costa d’Avorio, padre Roberto Campisi, che nel suo intervento ha ringraziato i vescovi per il lavoro svolto per l’Anno della Fede e per il loro attivo impegno a favore della pace e della riconciliazione nel Paese, impegnato in un delicato processo di pacificazione dopo la nuova grave crisi politica in cui era ripiombato nell’ottobre 2010 con la sconfitta elettorale di Laurent Gbagbo e la vittoria dell’attuale presidente Alassane Ouattara. Il rappresentante della Santa Sede ha altresì esortato i presuli ivoriani a raddoppiare i loro sforzi per l’evangelizzazione, invocando anche un ruolo più attivo dei laici in questo ambito in stretta collaborazione con i loro Pastori. Per quanto riguarda l’evangelizzazione, l’Assemblea ha deciso di istituire una speciale Commissione per la nuova evangelizzazione rivolta a chi si è allontanato dalla Chiesa. Un’altra importante decisione è stata l’istituzione di un Fondo Nazionale Cattolico per rendere la Chiesa ivoriana finanziariamente autosufficiente, un problema che - come è noto - riguarda diverse Chiese del continente. Durante i lavori i vescovi ivoriani hanno ascoltato le relazioni dei vari responsabili degli organismi cattolici e nominato i nuovi rettori dei seminari maggiori del Paese. La prossima Assemblea plenaria è stata fissata per il gennaio 2014 a San Pedro nell’arcidiocesi di Gagnoa. (A cura di Lisa Zengarini)
Madagascar. Appello dei vescovi per le presidenziali: pensare al bene comune
◊ Si terranno il 24 luglio le elezioni presidenziali in Madagascar: un appuntamento importante in vista del quale la Conferenza episcopale ha lanciato un appello al termine della Plenaria straordinaria, conclusasi il 24 maggio. “Le prossime votazioni – si legge nel documento finale dei lavori, intitolato ‘Dio, benedici la nostra patria e il Madagascar diventerà una terra di pace e di gioia’ – sono un’espressione della sovranità nazionale, perciò chiediamo che i cittadini possano esprimere liberamente la loro scelta e che i risultati non vengano manipolati”. Quindi, rivolgendosi direttamente ai candidati alla guida del Paese, i vescovi malgasci ribadiscono: “Il bene comune e il rispetto della persona siano al centro dei vostri discorsi e delle vostre azioni durante la campagna elettorale; la demagogia non prenda piede; mantenete le promesse e siate persone degne di fiducia”. Nell’ottica di dare nuova vita a “valori ancestrali come la riconciliazione e i buoni rapporti interpersonali”, la Chiesa del Madagascar evidenzia l’urgenza di “una nuova governance della nazione e dell’uso delle ricchezze del Paese a vantaggio di tutti”, perché solo così “il Paese diventerà indipendente e potrà progredire”. Non sono poche, infatti, le difficoltà che i vescovi elencano nel loro documento: la miseria, il divario tra ricchi e poveri, le famiglie divise, la corruzione, l’insicurezza, “un clima generale di violenza che non cessa di crescere”. Inoltre, i vescovi malgasci puntano il dito contro “l’ingerenza degli stranieri negli affari del Paese, dovuta alla mancanza di una volontà politica ed all’assenza di un sentimento patriottico tra i dirigenti”. Di qui, l’invito a tutte le persone di buona volontà a perseguire le vie della riconciliazione, anche perché la Chiesa “Madre e Maestra ha il dovere di mettere in guardia contro tutto ciò che porta alla deriva, per incoraggiare a percorrere il giusto cammino”. Infine, i presuli esortano i giovani a “diventare persone responsabili per costruire una nazione prospera”. Il documento episcopale si conclude, quindi, con una preghiera per la pace in cui si chiede al Signore di aiutare gli uomini a “conoscere la giustizia, unica fonte di pace”. (A cura di Isabella Piro)
Colombia: soddisfazione della Chiesa per l'accordo sull'equa distribuzione della terra
◊ "Come vescovi colombiani riteniamo che la questione della terra è fondamentale per la costruzione di una pace vera. In effetti, la Dottrina sociale della Chiesa sottolinea la necessità di un'equa distribuzione della terra e di politiche che contribuiscono allo sviluppo generale, sociale ed economico alle aree rurali” afferma il messaggio presentato il 27 maggio, dal card. Rubén Salazar Gómez, presidente della Conferenza episcopale della Colombia (Cec), che ha espresso a nome della Chiesa la soddisfazione per l’accordo sulla questione agraria concluso nell’ambito dei colloqui di pace tra il governo e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc). “Ci auguriamo che l'accordo raggiunto, diventi l'effettiva attuazione di una politica di sviluppo agricolo che riesca a salvaguardare i legittimi diritti e gli interessi delle famiglie contadine". Il cardinale ha aggiunto di sperare che i delegati del governo e delle Farc “riescano, attraverso un dialogo trasparente che cerca il bene comune, a continuare il delicato compito di stabilire le basi per la cessazione definitiva del conflitto armato”. Il cardinale auspica infine che si possa offrire uno speciale sostegno alle vittime della guerra civile. Sebbene i membri della gerarchia ecclesiale non sono presenti nel dialogo di pace a Cuba, la Chiesa è coinvolta perché, secondo quanto dichiarato dai vescovi: "Tutti dobbiamo sostenere e proteggere gli sforzi di pace" che si svolgono nella capitale cubana dall'anno scorso. (R.P.)
Honduras: le bande chiedono perdono alla società e dialogo con il governo
◊ Ieri i leader delle bande Mara Salvatrucha (MS-13) e Mara 18 (M-18) hanno chiesto perdono pubblicamente per i loro crimini e hanno affermato di essere disponibili ad una tregua per porre fine al terrore nei quartieri delle grandi città dell’Honduras . Una nota inviata all'agenzia Fides, riferisce che durante una conferenza stampa, i leader di entrambe le bande si sono presentati separatamente nel Centro Penale di San Pedro Sula, seconda città dell'Honduras a 240 km a nord della capitale, alla presenza dei mediatori, il vescovo della città, mons. Romulo Emiliani, e il rappresentante dell'Organizzazione degli Stati Americani (Osa), Adam Blackwell. "Davanti a Dio ci scusiamo con la società, se mai abbiamo fatto dei danni, vogliamo anche chiedere perdono alle nostre autorità. Ciò che vogliamo è lavorare, vogliamo la pace con Dio, la pace con la nostra società e le autorità", ha affermato uno dei membri della MS-13, che si è identificato come "Marcos". “Il dialogo è un seme che viene piantato e può diventare un albero che darà frutti buoni", ha asserito un altro membro del MS-13 che ha detto di chiamarsi Isaac. Questi ha poi annunciato come gesto di buona volontà la donazione ad una casa di cura dei letti di legno da loro fabbricati nella falegnameria del carcere. In seguito un appartenente alla M-18, che ha rifiutato di dare il suo nome, ha affermato:"veniamo in pace a chiedere perdono alla società." "Questo è l'inizio di un processo di dialogo" per "diminuire la violenza", ha sottolineato un altro membro della M-18 che poi ha aggiunto: "Diamo la nostra parola che se il governo ci ascolta, ci offre posti di lavoro, e rispetta i nostri diritti, continueremo a dialogare". (R.P.)
Cile: denuncia di un gruppo di religiosi per violenze sui bambini Mapuche
◊ Un gruppo di religiosi, religiose e sacerdoti impegnati nel lavoro di pastorale con le comunità mapuche, composte dagli abitanti amerindi originari del Cile centrale e meridionale e del Sud dell’Argentina, hanno denunciato gravi violenze da parte delle forze pubbliche contro i bambini di questa etnia. In un comunicato diffuso dagli stessi religiosi si legge di minori umiliati per terra, ammanettati, tirati giù dai rispettivi letti, con le armi da fuoco puntate e interrogati. E ancora, genitori minacciati, maltrattati in loro presenza, privati di beni di ogni genere come oggetti personali, telefoni cellulari e computer. Questi piccoli sono terrorizzati, temono di essere ancora violentati e abusati in qualsiasi momento in casa. I religiosi insistono sul fatto che nonostante le denunce contro la polizia e le condanne dei tribunali di giustizia i diritti fondamentali dei bambini continuino ad essere violati. Le comunità di Trapilwe e Mawidache hanno recentemente subito irruzioni improvvise, i bambini sono stati abusati nelle loro case da agenti completamente incappucciati nel momento in cui si alzavano la mattina per andare a scuola. “Sollecitiamo il Servizio Nazionale dei Minori a pronunciarsi su questi fatti, visto che la sua missione è quella di tutelare e restituire i diritti ai minori e agli adolescenti violati”, dichiarano i religiosi che aggiungono che in questo modo si sta alimentando un circolo vizioso di violenza invece di promuovere la giustizia in queste comunità. “Ci sembra che stia diventando pericolosamente normale questo modo di agire da parte delle istituzioni che invece dovrebbero essere le prime a rispettare i diritti di bambini e anziani nelle comunità mapuche” concludono i religiosi. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 149