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Sommario del 25/05/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco: no all’idolo del profitto, ridare “cittadinanza sociale” alla solidarietà
  • Il Papa: chi si avvicina alla Chiesa trovi porte aperte e non controllori della fede
  • Visita pastorale del Papa nella parrocchia dei Santi Elisabetta e Zaccaria
  • Il Papa riceve i cardinali Ravasi e Thottunkal
  • Il Papa invia il card. Monterisi alle celebrazioni per il 600.mo del ritrovamento della "Madonna della Libera"
  • Tweet del Papa: "Tutti abbiamo nel cuore spazi di incredulità. Diciamo a Dio: aiuta la mia incredulità"
  • In 80 mila alla Beatificazione di don Puglisi. Il card. Romeo: il suo sorriso ha vinto il male
  • Il card. Sandri ordina due vescovi maroniti a Bkerké: “Servono strumenti di pace”
  • Siria. Opposizione, sì a Ginevra se Assad lascia. Il card. Raï: appello al dialogo
  • Il card. Ravasi consegna al Papa l'"opera omnia" di Borges
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Afghanistan: 10 mila palloncini di pace a Kabul. Ban Ki-moon condanna gli attentati
  • Svezia, altra notte di tensione: testimonianze di un corrispondente e una ricercatrice
  • L’Ua compie 50 anni. Le sfide: pacificare l'Africa e ridistribuire la ricchezza
  • Elezioni amministrative in italia: grande attesa per l'esito del voto a Roma
  • Funerali di don Andrea Gallo. Il card. Bagnasco: ha aperto il cuore ai feriti nel corpo e nell'anima
  • Convegno di Scienza e vita sull'obiezione di coscienza medica: diritto da tutelare
  • Quattordicenne suicida. Moige: on line occorrono più controlli
  • Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Uzbekistan: una cristiana condannata per possesso di Bibbie e materiale religioso
  • Nord Kivu: sequestrate otto minorenni e due donne con i loro neonati
  • Karnataka, la speranza della Chiesa in un futuro migliore
  • Bangladesh. Indù e musulmani a raccolta fondi per costruire una chiesa
  • Argentina, dialogo tra Chiesa e istituzioni a favore delle comunità indigene
  • Kuwait, l'impegno delle comunità siro-malabaresi per mantenere viva la fede
  • Repubblica Centrafricana, comunità cristiane attaccate dai ribelli
  • Mali: esercito francese inizia ritiro dopo mesi di operazioni contro i ribelli
  • Colombia: più di 100 mila bambini a rischio lavoro minorile
  • India: la Vergine segno di armonia interreligiosa tra cristiani e islamici
  • Spesa per la solidarietà: Caritas di Roma raccoglie alimenti per famiglie in difficoltà
  • Terra Santa. La riconciliazione attraverso le visite ai mosaici delle chiese cristiane
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco: no all’idolo del profitto, ridare “cittadinanza sociale” alla solidarietà

    ◊   Il sistema economico e finanziario deve essere ripensato in chiave solidale, perché la crisi attuale ha bisogno di una “visione più etica” dei rapporti umani. Lo ha affermato Papa Francesco, nell’udienza ai convegnisti in questi giorni a Roma per la riunione organizzata dalla Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice. Il Papa ha affrontato il tema della disoccupazione e ribadito che l’impossibilità di “guadagnarsi il pane” è la “peggiore povertà materiale”, perché “priva della dignità del lavoro”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Dalla crisi economica non scappa più nessuno e le masse crescenti dei senza lavoro, specie in Occidente, sono una gigantesca spia di questa situazione. Servirebbe ripensare tutto un sistema, eppure a fare argine a questa che si staglia sempre più come un’impellenza sociale c’è la schiera dei servitori del profitto, che alla parola “solidarietà” invece storcono la bocca. Papa Francesco legge con la consueta incisività, che non fa sconti, lo scenario contingente del pianeta, partendo da chi oggi vive il dramma di una estrema precarietà:

    “E’ un fenomeno, quello della disoccupazione - della mancanza e della perdita del lavoro - che si sta allargando a macchia d’olio in ampie zone dell’occidente e che sta estendendo in modo preoccupante i confini della povertà. E non c’è peggiore povertà materiale, mi preme sottolinearlo, di quella che non permette di guadagnarsi il pane e che priva della dignità del lavoro”.

    Le affermazioni del Papa vengono ascoltate dagli esperti che in questo giorni sono a Roma per il Convegno internazionale della Fondazione Centesimus annus pro Pontifice, organismo fondato 20 anni fa da Giovanni Paolo II e dedito alla diffusione del Magistero sociale della Chiesa. Il cuore del Convegno quest’anno riguarda il bisogno di “ripensare la solidarietà”. Papa Francesco spiega in che modo:

    “Non più come semplice assistenza nei confronti dei più poveri, ma come ripensamento globale di tutto il sistema, come ricerca di vie per riformarlo e correggerlo in modo coerente con i diritti fondamentali dell’uomo, di tutti gli uomini. A questa parola “solidarietà”, non ben vista dal mondo economico - come se fosse una parola cattiva -, bisogna ridare la sua meritata cittadinanza sociale. La solidarietà non è un atteggiamento in più, non è un’elemosina sociale: è un valore sociale, che ci chiede la sua cittadinanza”.

    Nord e Sud del mondo, osserva Papa Francesco, sono ormai accomunati dalla ricorrente constatazione che c’è “qualcosa che non funziona”. Anche in questo frangente, il Pontefice è netto quando ribadisce che “la crisi attuale non è solo economica e finanziaria, ma affonda le radici in una crisi etica e antropologica”:

    “Seguire gli idoli del potere, del profitto, del denaro, al di sopra del valore della persona umana, è diventato norma fondamentale di funzionamento e criterio decisivo di organizzazione. Ci si è dimenticati e ci si dimentica tuttora che al di sopra degli affari, della logica e dei parametri di mercato, c’è l’essere umano e c’è qualcosa che è dovuto all’uomo in quanto uomo, in virtù della sua dignità profonda: offrirgli la possibilità di vivere dignitosamente e di partecipare attivamente al bene comune”.

    Ringraziando la Fondazione Centesimus Annus, Papa Francesco indica anche agli specialisti degli insegnamenti sociali della Chiesa che la necessità di una nuova riflessione investe anche i loro studi, almeno in due direzioni:

    “Anzitutto coniugare il magistero con l’evoluzione socio-economica, che, essendo costante e rapida, presenta aspetti sempre nuovi; in secondo luogo, ‘ripensare’ vuol dire approfondire, riflettere ulteriormente, per far emergere tutta la fecondità di un valore – la solidarietà, in questo caso – che in profondità attinge dal Vangelo, cioè da Gesù Cristo, e quindi come tale contiene potenzialità inesauribili”.

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    Il Papa: chi si avvicina alla Chiesa trovi porte aperte e non controllori della fede

    ◊   Quanti si avvicinano alla Chiesa trovino le porte aperte e non dei controllori della fede: è quanto ha affermato il Papa stamani durante la Messa a Santa Marta. Ha concelebrato il cardinale Agostino Cacciavillan, presidente emerito dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Era presente un gruppo di sacerdoti. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Il Vangelo del giorno ci parla di Gesù che rimprovera i discepoli che vogliono allontanare i bambini che la gente porta al Signore perché li benedica. “Gesù li abbraccia, li baciava, li toccava, tutti. Ma si stancava tanto Gesù e i discepoli” volevano impedirlo. E Gesù s’indigna: “Gesù si arrabbiava, alcune volte”. E dice: “Lasciate che vengano a me, non glielo impedite. A chi è come loro, infatti, appartiene il Regno di Dio”. “La fede del Popolo di Dio – osserva il Papa - è una fede semplice, è una fede forse senza tanta teologia, ma con una teologia dentro che non sbaglia, perché c’è lo Spirito dietro”. Il Papa cita il Concilio Vaticano I e il Vaticano II, laddove si dice che “il popolo santo di Dio … non può sbagliarsi nel credere” (Lumen Gentium). E per spiegare questa formulazione teologica aggiunge: “Se tu vuoi sapere chi è Maria vai dal teologo e ti spiegherà bene chi è Maria. Ma se tu vuoi sapere come si ama Maria vai dal Popolo di Dio che lo insegnerà meglio”. Il popolo di Dio – prosegue il Papa – “sempre si avvicina per chiedere qualcosa a Gesù: alcune volte è un po’ insistente in questo. Ma è l’insistenza di chi che crede”:

    “Ricordo una volta, uscendo nella città di Salta, la Festa patronale, c’era una signora umile che chiedeva a un prete la benedizione. Il sacerdote le diceva: ‘Bene, ma signora lei è stata alla Messa!’ e le ha spiegato tutta la teologia della benedizione nella Messa. Lo ha fatto bene ... ‘Ah, grazie padre; sì padre’, diceva la signora. Quando il prete se ne è andato, la signora si rivolge ad un altro prete: ‘Mi dia la benedizione!’. E tutte queste parole non sono entrate, perché lei aveva un’altra necessità: la necessità di essere toccata dal Signore. Quella è la fede che troviamo sempre e questa fede la suscita lo Spirito Santo. Noi dobbiamo facilitarla, farla crescere, aiutarla a crescere”.

    Il Papa cita poi l’episodio del cieco di Gerico, rimproverato dai discepoli perché gridava verso il Signore: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!”:

    “Il Vangelo dice che volevano che non gridasse, volevano che non gridasse e lui gridava di più, perché? Perché aveva fede in Gesù! Lo Spirito Santo aveva messo la fede nel suo cuore. E loro dicevano: ‘No, non si può! Al Signore non si grida. Il protocollo non lo permette. E’ la seconda Persona della Trinità! Guarda cosa fai…’ come se dicessero quello, no?”.

    E pensa all’atteggiamento di tanti cristiani:

    “Pensiamo ai cristiani buoni, con buona volontà; pensiamo al segretario della parrocchia, una segretaria della parrocchia… ‘Buonasera, buongiorno, noi due – fidanzato e fidanzata – vogliamo sposarci’. E invece di dire: ‘Ma che bello!’. Dicono: ‘Ah, benissimo, accomodatevi. Se voi volete la Messa, costa tanto…’. Questi, invece di ricevere una accoglienza buona – ‘E’ cosa buona sposarsi!’ – ricevono questo: ‘Avete il certificato di Battesimo, tutto a posto…’. E trovano una porta chiusa. Quando questo cristiano e questa cristiana ha la possibilità di aprire una porta, ringraziando Dio per questo fatto di un nuovo matrimonio… Siamo tante volte controllori della fede, invece di diventare facilitatori della fede della gente”.

    E’ una tentazione che c’è da sempre – spiega il Papa – che è quella “di impadronirci, di appropriarci un po’ del Signore”. E racconta un altro episodio:

    “Pensate a una ragazza madre, che va in chiesa, in parrocchia e al segretario: ‘Voglio battezzare il bambino’. E poi questo cristiano, questa cristiana le dice: ‘No, tu non puoi perché non sei sposata!’. Ma guardi, che questa ragazza che ha avuto il coraggio di portare avanti la sua gravidanza e non rinviare suo figlio al mittente, cosa trova? Una porta chiusa! Questo non è un buon zelo! Allontana dal Signore! Non apre le porte! E così quando noi siamo su questa strada, in questo atteggiamento, noi non facciamo bene alle persone, alla gente, al Popolo di Dio. Ma Gesù ha istituito sette Sacramenti e noi con questo atteggiamento istituiamo l’ottavo: il sacramento della dogana pastorale!”.

    “Gesù si indigna quando vede queste cose” – sottolinea il Papa - perché chi soffre è “il suo popolo fedele, la gente che Lui ama tanto”:

    “Pensiamo oggi a Gesù, che sempre vuole che tutti ci avviciniamo a Lui; pensiamo al Santo Popolo di Dio, un popolo semplice, che vuole avvicinarsi a Gesù; e pensiamo a tanti cristiani di buona volontà che sbagliano e che invece di aprire una porta la chiudono … E chiediamo al Signore che tutti quelli che si avvicinano alla Chiesa trovino le porte aperte, trovino le porte aperte, aperte per incontrare questo amore di Gesù. Chiediamo questa grazia”.

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    Visita pastorale del Papa nella parrocchia dei Santi Elisabetta e Zaccaria

    ◊   Il Papa si reca domani mattina in visita pastorale presso la Parrocchia romana dei Santi Elisabetta e Zaccaria a Prima Porta, dove presiederà alle 9.30 la Messa e amministrerà il Sacramento dell’Eucaristia a 16 bambini. Sull’attesa di questo evento Federico Piana ha intervistato il parroco, don Benoni Ambarus:

    R. - In questi giorni è come se fosse avvenuto una specie di “shock di elettricità”, per cui mi capita spessissimo di scendere in parrocchia e vedere persone che sono già a lavoro. Tantissime persone che nel loro piccolo sono venute a mettere a disposizione anche un’oretta di tempo. Alle prove dei canti, c’erano tutti, anche i bambini! Quindi si ha la sensazione che ognuno, nel suo piccolo, faccia la sua parte per l’arrivo del Papa.

    D. - Che parrocchia è dal punto vista sociale ed ecclesiale?

    R. - I primi nuclei di case sono nati circa 50 anni fa. Poi c’è stato un crescendo notevole quando hanno iniziato a costruire - all’inizio in modo abusivo e poi condonando - in seguito alla lottizzazione. Adesso siamo circa 12 mila abitanti, forse più. È una zona un po’ particolare, perché la maggior parte delle persone vive in case di proprietà. La maggior parte di loro quindi ha costruito la casa per sé e per i propri figli, per cui è molto presente il sistema dei legami familiari; quindi i bimbi piccoli vengono presi da scuola dai nonni, rimangono poi dai nonni nel cortile o nel loro giardinetto. La maggior parte delle persone ha un giardino nella loro casa. C’è una situazione di rete familiare notevole dal punto di vista della configurazione sociologica. Per quanto riguarda la presenza in parrocchia ci troviamo in una situazione di nuova rifondazione della parrocchia, perché il passaggio dalla situazione di garage a quella attuale, ha creato la sensazione di un adolescente che si ritrova con un corpo cresciuto troppo in fretta che non riesce a controllare bene. Per cui in questi tre anni, da quando è stata consacrata la chiesa - ormai siamo nel quarto - si vive questa situazione di abituarsi al nuovo complesso parrocchiale per provare in qualche modo a riempirlo e metterlo a frutto.

    D. - Che cosa si aspetta la parrocchia da questa visita di Papa Francesco?

    R. - Non lo so. Forse non ci siamo posti delle aspettative ben precise. La sua visita è un grande privilegio ed una grande gioia per tutti noi. Per quello che mi riguarda, aspetto la presenza e le parole del Papa come una sorta di “magistero personalizzato” per noi. Le sue parole diventeranno sicuramente, in qualche modo, le indicazioni pastorali per i prossimi cinque - sei anni per la nostra comunità parrocchiale.

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    Il Papa riceve i cardinali Ravasi e Thottunkal

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata il cardinale Baselios Cleemis Thottunkal, arcivescovo maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankaresi, in India.

    In Bolivia, Papa Francesco ha accettato le dimissioni presentate per raggiunti limiti di età dal cardinale Julio Terrzazas Sandoval, dal governo pastorale dell'arcidiocesi Santa Cruz de la Sierra in Bolivia. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Sergio Alfredo Gualberti Calandrina, finora coadiutore della medesima arcidiocesi.

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    Il Papa invia il card. Monterisi alle celebrazioni per il 600.mo del ritrovamento della "Madonna della Libera"

    ◊   Papa Francesco ha nominato il cardinale Francesco Monterisi suo inviato speciale alla celebrazione conclusiva del VI Centenario del ritrovamento della statua della “Madonna della Libera” che si terrà nel Santuario di Cercemaggiore, il 2 luglio 2013.

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    Tweet del Papa: "Tutti abbiamo nel cuore spazi di incredulità. Diciamo a Dio: aiuta la mia incredulità"

    ◊   Stamani il Papa ha lanciato un nuovo tweet: "Tutti noi abbiamo nel cuore qualche spazio di incredulità. Diciamo al Signore: Credo! Aiuta la mia incredulità". Sull'account @Pontifex in nove lingue i follower sono quasi 6 milioni e 600 mila, con la lingua spagnola (2.439.400) sempre più vicina a quella inglese (2.536.900).

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    In 80 mila alla Beatificazione di don Puglisi. Il card. Romeo: il suo sorriso ha vinto il male

    ◊   Don Pino Puglisi, primo martire della mafia della Chiesa palermitana, è Beato e la sua festa sarà il 21 ottobre. Questa mattina a Palermo, si è svolta la cerimonia della Beatificazione del sacerdote siciliano, assassinato da Cosa nostra nel 1993. A presiedere il rito sono stati il cardinale arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, con il cardinale Salvatore De Giorgi, inviato di Papa Francesco. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    In ottantamila hanno acclamato la Beatificazione di don Pino Puglisi, prete che ha combattuto la mafia con il Vangelo, cercando di salvare l’uomo. Al Foro Italico Umberto I di Palermo, il parroco di Brancaccio ucciso da Cosa nostra è stato elevato agli onori degli altari dal cardinale Salvatore De Giorgi, delegato del Papa. Seminatore di perdono e di riconciliazione, l’ha definito il porporato, leggendo la lettera apostolica e annunciando che la celebrazione della sua festa sarà il 21 ottobre di ogni anno. Grande la commozione della folla nel momento in cui è stata scoperta l’immagine del Beato, accanto al palco. Quel giorno dell’omicidio – ha detto il postulatore della Causa di beatificazione, mons. Bertolone – Palermo pianse, oggi è nella gioia perché da quel sangue è nato un popolo nuovo. Il sorriso di Don Pino, sono state le parole del cardinale arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo nel corso dell’omelia, ci unisce tutti:

    "La Chiesa riconosce nella sua vita, sigillata dal martirio in odium fidei, un modello da imitare in ogni sua scelta".

    Un’omelia forte quella del cardinale Romeo, in cui è riecheggiata più volte la parola mafia, in cui l’arcivescovo ha puntato diretto il dito contro le cosche. Don Puglisi, ha detto, “sottraeva alla mafia di Brancaccio consenso, manovalanza, controllo del territorio”. Il Beato Puglisi fu dunque "chicco":

    "La mano mafiosa che quel 15 settembre 1993 lo ha barbaramente assassinato, ha liberato la vita vera di questo ‘chicco di grano’. Quella mano assassina ha amplificato, oltre lo spazio ed il tempo, la sua delicata voce sacerdotale e lo ha donato martire non solo a Brancaccio, non solo a Palermo, non solo alla Sicilia e all’intera nazione italiana, ma al mondo intero, alla Chiesa cattolica.

    E fu in odio a questa fede che la mafia uccise don Pino:

    "La verità è che i mafiosi - che spesso pure si dicono e si mostrano credenti - muovono meccanismi di sopraffazione e di ingiustizia, di rancore e di odio, di violenza e di morte, che nulla hanno a che fare con il Vangelo della vita che Gesù è venuto a portare nel mondo".

    Il cardinale Romeo ha quindi voluto poi ricordare altre vittime di mafia, suscitando commozione tra gli astanti e un lungo applauso:

    "Lasciatemi ricordare oggi - tra gli altri - i magistrati Rosario Levatino, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino… Come dimenticare il sacrificio di tante persone di buona volontà!".

    L’azione assassina dei mafiosi, ha quindi detto in chiusura l’arcivescovo, ne rivela la vera essenza: “Essi rifiutano il Dio della vita e dell’amore”. Il cardinale Romeo ha poi consegnato ai presenti le durissime parole che Giovanni Paolo II pronunciò nel 1993 dalla Valle dei Templi":

    "Nel nome di Cristo, di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è la Via, Verità e Vita lo dico ai responsabili convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!. Beato martire Giuseppe, il tuo sangue continuerà a fecondare questa Chiesa!".

    La Beatificazione di padre Puglisi, scrive il segretario di stato Bertone in un messaggio rivolto all’arcidiocesi di Palermo a nome del Papa, è un momento di festa e di testimonianza per la chiesa che è a Palermo, in Sicilia e nell’Italia intera.


    Un lungo applauso e un volo di colombe bianche, così la Chiesa di Palermo e i fedeli hanno espresso la loro gioia allo svelamento della foto del Beato Pino Puglisi, appena elevato agli onori degli altari. Festante e commossa la partecipazione dei tanti che sono giunti al Foro Italico, come ci riferisce da Palermo Alessandra Zaffiro:

    Religiosi, autorità, gente comune di ogni età ed etnia, come Marie Noelle, componente dell’Ufficio Migrantes del capoluogo siciliano: “Ero appena arrivata in città e mi ha molto impressionato che un uomo di Dio fosse stato trucidato dalla mafia che non conoscevo e poi ho appreso che fa il male ed è contraria a ciò che è pacifico. Padre Puglisi aiutava a vedere che la mafia non è la giusta strada. Oggi rappresenta la liberazione dalla mafia. La nostra cattolicità – conclude – è un segno visibile della Chiesa e facciamo questo cammino della fede insieme ai palermitani”.
    Una giovane mamma che 23 anni fa ha fatto il corso prematrimoniale con il Beato Puglisi ci racconta che “era una persona umile. Oggi, dice, è una gioia immensa per tutti, per i ragazzi che, secondo me, dovrebbero chiedere al Beato Puglisi un lavoro e poi di togliere tutta la sofferenza che c’è per le strade”. Accanto a lei, la sorella, che al nuovo Beato chiede “la conversione dei giovani, che si avvicinino a Gesù. Ci vogliono – aggiunge – sacerdoti che evangelizzino, perché i ragazzi non credono forse abbastanza all’amore di Gesù. E’ Lui che ci dà la forza di andare avanti, anche nei momenti brutti”. A Palermo, è presente anche la scuola media "Padre Pino Puglisi" di Belvedere marittimo in provincia di Cosenza. Per una studentessa della terza media di 13 anni, “essere qui oggi è un vero onore perché padre Puglisi ha combattuto contro la mafia e nel suo piccolo ha fatto tanto per tutti noi. A lui chiedo di pregare per tutti noi e di farci affrontare una vita migliore soprattutto ai più deboli e a quelli che soffrono”. Tra i tanti cartelloni colorati c’è anche quello pieno di foto di padre Puglisi preparato da alcuni bambini che frequentano il “Centro Padre Nostro” fondato a Brancaccio proprio dal primo martire della mafia. Tra loro, una bambina di 10 anni con i capelli biondi. “Oggi provo una grande gioia – ci dice parlando della Beatificazione di padre Puglisi – perché lui se lo merita, era molto buono, non era come la mafia. Aveva solo un vizio: amare, amare e sempre amare”.

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    Il card. Sandri ordina due vescovi maroniti a Bkerké: “Servono strumenti di pace”

    ◊   “Abbiamo bisogno di avere, tra i pastori e tra i fedeli, strumenti di pace”. È stato questo l’invito del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, dopo la celebrazione di oggi a Bkerké, in Libano, durante la quale sono stati ordinati due nuovi vescovi maroniti, mons. Boutros Tarabay per l’eparchia di S. Charbel a Buenos Aires, e mons. Habib Chamieh per l’eparchia di S. Marone di Sydney. Dando il benvenuto ai due nuovi presuli nel collegio episcopale, il cardinale Sandri si è soffermato sull’unità della Chiesa, cioè dei “fedeli attorno al proprio pastore” e di “tutti insieme attorno a Nostro Signore”. L’esortazione del porporato è stata quella “ad essere profondamente radicati nella ricerca della santità”. “Solo in questo modo – ha ricordato – si è fin d’ora servitori della pace e dell’unità”. Il pensiero del prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali è andato poi alle comunità maronite di Sydney e Buenos Aires: due nazioni vaste come l’Australia ed Argentina, ha ricordato, “grazie ai figli della Chiesa che vengono dal piccolo Libano, potranno diventare ancora più grandi”. La presenza dei maroniti ovunque nel mondo, ha inoltre detto il cardinale Sandri rivolgendosi ai presenti, “è speciale perché animata dalle fede cristiana che è l’eredità dei Padri”. Il porporato ha poi portato ai due nuovi vescovi la benedizione di Papa Francesco, di cui ha ricordato l’invito a essere “pastori con l’odore delle proprie pecore”. Dando il suo benvenuto in Argentina al suo “nuovo compatriota”, mons. Chamieh, il cardinale Sandri ha infine ricordato che “tutti, grazie alla Pasqua di Gesù Cristo siamo, come dice l’Apostolo, concittadini dei Santi”. In effetti, ha concluso “la nostra patria è nei Cieli” e ciò ci rende "fratelli e sorelle non solo nel tempo ma anche per l’eternità”. (D.M.)

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    Siria. Opposizione, sì a Ginevra se Assad lascia. Il card. Raï: appello al dialogo

    ◊   Il governo di Damasco ha accettato “in via di principio” di partecipare alla conferenza di pace che Usa e Russia hanno deciso di convocare a Ginevra in giugno. L'opposizione, riunita a Istambul per superare le spaccature, è orientata a sua volta a essere presente, ma a condizione che ci siano garanzie sul fatto che Assad accetti di fare un passo indietro. Intanto sul terreno si segnalano intensi combattimenti nella città di Qusayr, al confine con il libano, dove le milizie libanesi di Hezbollah sono impegnate al fianco delle truppe lealiste. E proprio in Libano, a Tripoli, è salito a 24 il numero delle vittime degli scontri, in corso da una settimana, tra miliziani alawiti, vicini al leader siriano Assad, e sunniti schierati con le opposizioni. Sulle ripercussioni della crisi Siriana nel Paese dei Cedri ascoltiamo il commento del cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti, intervisto da Olivier Tosseri:

    R. – La population libanaise est…
    La popolazione libanese è di 4 milioni; un milione di questi sono persone ferite, persone affamate, persone che non hanno niente, persone ferite nella dignità, nella loro vita. Se la situazione in Siria persiste, è un grande fardello per il Libano, non soltanto sul piano economico ma anche su quello demografico, politico, e della sicurezza. La situazione è molto critica perché tutto il Medio Oriente è fondato sulla demografia ma la particolarità del Libano è che questa uguaglianza tra musulmani e cristiani è basata sulla demografia. I siriani che vengono sono per la maggioranza sunniti e questo crea un problema politico: i sunniti del Libano, probabilmente, potrebbero dire: noi ci facciamo forti di questo gran numero di sunniti. Quando ci sono popoli feriti nella loro dignità e quando sono fatti oggetto di ingiustizia e non hanno il diritto di tornare a casa loro, si può andare incontro al terrorismo, a reazioni e movimenti fondamentalisti. E purtroppo ci sono Paesi - grandi Paesi! - che ne approfittano, che fomentano e favoriscono tutto ciò. Mi dispiace di dire che la coscienza internazionale è praticamente morta, non c’è più il valore della dignità umana.

    D. – Lei ha lanciato diversi appelli in favore di una presa di coscienza della comunità internazionale, di una responsabilità della comunità internazionale per quello che concerne il conflitto siriano… Sappiamo che Hezbollah libanese si è schierata dalla parte del regime di Assad e che ci sono stati scontri e tensioni in alcune città di confine tra la Siria e il Libano. Lei teme un allargamento del conflitto e un’implicazione maggiore del Libano?

    R. – Nous ne cessons jamais de…
    Non smettiamo mai di fare appelli alla comunità internazionale per la pace, per una soluzione pacifica, per il dialogo tra i belligeranti, per le trattative da avviare … Non smettiamo mai di farli. Quanto alla partecipazione di Hezbollah, noi la condanniamo: è contro le direttive e la posizione del governo libanese. Siamo contro qualsiasi intervento, sia di Hezbollah sia dei gruppi fondamentalisti sunniti che pure, purtroppo, entrano in questa guerra con cui non hanno niente a che fare. Noi che abbiamo condannato sempre qualsiasi intervento ed ingerenza negli affari del Libano, condanniamo allo stesso modo ogni ingerenza nelle questioni siriane. Purtroppo tutta questa guerra in Siria è un’ingerenza esterna: sono Paesi arabi e Paesi occidentali che aiutano con soldi, armi e sostegno politico gli uni o gli altri belligeranti. Bisogna rispettare la sovranità dei Paesi, rispettare quello che la popolazione vorrebbe fare.

    D. – Come fare per uscire dall’impasse del conflitto siriano senza alcun intervento dall’esterno?

    R. – Il faut absolument que les Pays…
    E’ assolutamente necessario che i Paesi che mandano soldi e armi all’una o l’altra delle parti smettano di farlo, ed è necessario che la comunità internazionale chiami seriamente al tavolo delle trattative, altrimenti la comunità internazionale e l’Onu perderanno la loro ragion d’essere.

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    Il card. Ravasi consegna al Papa l'"opera omnia" di Borges

    ◊   Da oggi, Papa Francesco conserverà l’“opera omnia” del grande scrittore argentino Jorge Luis Borges, cui era legato da antica stima. È stato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, a consegnare stamattina i libri dell’autore al Pontefice, esaudendo con ciò il desiderio di Maria Kodama, vedova dello scrittore argentino. A riferire della consegna è stato l’Osservatore Romano, che ricorda come lo stesso Ravasi avesse anticipato la notizia durante il convegno “Crescere tra le righe”, promosso dall’Osservatorio permanente Giovani-Editori che si è svolto a Borgo La Bagnaia il 24 e il 25 maggio. Il cardinale ha detto di avere incontrato nei giorni scorsi la vedova Borges e di aver concordato con lei, dopo un lungo dialogo sull’opera dello scrittore, un incontro culturale che con tutta probabilità si terrà nel corso del 2014 a Buenos Aires nell’ambito de Il Cortile dei gentili, promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura. L’allora cardinale Bergoglio – scrive ancora L’Osservatore – è stato professore di Letteratura e psicologia nell’Istituto dell’Immacolata Concezione della città argentina di Santa Fé, lungo il corso del fiume Paranà, tra il 1964 e il 1965. In quegli anni invitò Borges a tenere un corso sulla letteratura gauchista e lo scrittore accettò di scrivere la prefazione al libro che raccoglieva i racconti dei suoi studenti. Una esperienza – conclude il quotidiano della Santa Sede – che Bergoglio non ha mai dimenticato. E una stima nei confronti del grande scrittore argentino ribadita più volte e fondata sull’apprezzamento non solo delle capacità letterarie, ma anche dell’umiltà e dello spessore della persona.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Ai confini della povertà: nel discorso alla Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice il Papa sollecita un ripensamento globale del sistema economico.

    A Roma tra i romani: domani la prima visita di Papa Francesco in una parrocchia.

    Accoglienza cristiana: messa del Pontefice a Santa Marta.

    Un derby stellare: in prima pagina, José G. Funes, direttore della Specola vaticana, sulla finale, domani, di Coppa Italia, anch'essa metafora della vita cristiana.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, i cinquant'anni dell'Unione africana.

    Tra spirito contemplativo e allegre bizzarrie, Edoardo Aldo Cerrato, vescovo di Ivrea, svela il "cuore" di san Filippo Neri.

    La maledizione del "do" ripetuto: l'inviato Marcello Filotei sull'omaggio a Verdi, al San Carlo di Napoli, con il "Rigoletto".

    Quando l'ecumenismo si avvera: Inos Biffi riguardo alla Trinità e all'"ut unum sint".

    Condivisione e vicinanza del Papa al Medio Oriente: la visita del cardinale Leonardo Sandri in Libano e Giordania.

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    Oggi in Primo Piano



    Afghanistan: 10 mila palloncini di pace a Kabul. Ban Ki-moon condanna gli attentati

    ◊   Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha condannato “fermamente” l'attentato di ieri a Kabul, in Afghanistan. Dieci le vittime, diversi i feriti, in gravi condizioni la funzionaria italiana Barbara De Anna, che oggi sarà trasferita in Germania. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    La violenza non abbandona l’Afghanistan. Questa mattina, un kamikaze è rimasto ucciso a Kabul a causa dell'esplosione della carica che trasportava. Ieri, un commando di sei talebani ha preso di mira il distretto di Borj-e Sharahah, dove si trovano la sede dell’"Afghan Public Protection Force", molte organizzazioni internazionali e un ospedale di Emergency. “Abbiamo attaccato un edificio che ospitava stranieri, tra i quali agenti Cia che addestravano le forze di sicurezza afghane”, ha affermato il portavoce dei terroristi, Zabiullah Mujahid, citato da un’agenzia locale. Dopo un pomeriggio di fuoco, sono morti tutti gli assalitori, tra cui due kamikaze, uccisi anche tre agenti della sicurezza e un bambino. Quattrodici i feriti, tra cui Barbara De Anna, funzionaria italiana, che lavorava per l'Organizzazione internazionale per le migrazioni e che rimane in gravi condizioni. La donna, che in un primo momento è stata trasferita all'ospedale militare di Bagram, oggi sarà portata nell'ospedale americano di Ramstein, in Germania. Il segretario generale delle Nazioni Unite ha condannato con fermezza l’attentato, invitando tutte le parti a fare ogni sforzo per porre fine alla violenza. Nelle ultime 24 ore, però, altre nove persone sono morte e molte altre sono rimaste ferite, nella provincia orientale di Ghazni, per l’esplosione di una bomba all'interno di una moschea, mentre nella provincia centrale di Uruzgan un agente della polizia locale ha aperto il fuoco accidentalmente contro alcuni suoi compagni uccidendone tre. In questo scenario di terrore, il Paese comunque lancia un messaggio di pace attraverso 10 mila palloncini rosa che sono stati liberati oggi a Kabul. L’iniziativa pensata dall'artista americano Yazmany Arboleda è stata appoggiata da oltre 100 giovani artisti e volontari afghani che hanno coinvolto la popolazione della capitale.

    Sulla situazione in Afghanistan Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto Affari Internazionali:

    R. – I talebani hanno la capacità di condurre attacchi terroristici di questo genere. Hanno evidentemente ancora una rete di appoggi molto ampia in Afghanistan. Questi attacchi di per sé non sono in grado di rovesciare la situazione, di cambiare il quadro strategico, però mantengono questo livello d’incertezza, soprattutto sulla tenuta reale del governo afghano, una volta che si siano ritirate le forze alleate. Questo è il punto d’incertezza, legato soprattutto al fatto che il governo Karzai non è estremamente popolare e non si sa bene quale potrebbe essere una sua successione.

    D. – In sostanza, è come se i talebani volessero mandare il messaggio che il governo non garantisce stabilità?

    R. – Sì, certo. Il governo non garantisce sicurezza. E’ un messaggio molto parziale, un messaggio che naturalmente non riescono ad applicare in tutto il Paese e quindi si concentrano su Kabul, perché questo ha l’effetto mediatico più evidente. Io credo che in realtà i talebani siano molto meno forti di quello che appaiono con questi attacchi.

    D. – Da giugno, le operazioni da combattimento saranno totalmente afghane e la missione Nato Isaf entrerà in quella che viene definita una modalità di consulenza e supporto. Secondo lei, l’esercito afghano è sufficientemente preparato per rispondere alla minaccia terroristica dei talebani?

    R. – Si hanno rapporti contraddittori. Come al solito, abbiamo unità che sono preparate e unità che sono meno preparate. C’è da vedere la tenuta politica, la fedeltà delle Forze armate: se regge quella, poi regge anche il sistema.

    D. – Bisognerebbe lavorare sul fronte internazionale per sostenere il governo afghano?

    R. – Uno dei grossi rischi del ritiro delle forze Nato è che vicini dell’Afghanistan – India, Pakistan, Iran, per non parlare di Russia e Cina – potrebbero cominciare ad avere delle politiche divergenti tra loro, come già hanno, e cioè alimentare la frammentazione invece di favorire la coesione. Questa è la sfida internazionale più importante. Io credo sia quella su cui bisognerà concentrarsi nel prossimo anno. Se si riesce a trovare un accordo tra i Paesi vicini all’Afghanistan, che li porti ad appoggiare lo stesso tipo di coalizione politica, la stessa formula di governo, questo potrebbe favorire enormemente la tenuta del sistema del Paese stesso.

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    Svezia, altra notte di tensione: testimonianze di un corrispondente e una ricercatrice

    ◊   Nuova notte di tensione a Stoccolma, in Svezia, ma con meno incidenti rispetto ai giorni precedenti grazie al numero crescente di agenti impiegati nelle periferie della capitale. A Orebro, nel centro del Paese, 25 giovani hanno dato fuoco a tre auto e a una scuola e tentato di dare alle fiamme un commissariato di polizia. Il servizio di Benedetta Capelli:

    Sesta notte di disordini con veicoli in fiamme in diversi quartieri di Stoccolma, ma l’impiego di agenti, provenienti da Goteborg e da Malmoe ha fatto sì che quella passata sia stata una notte meno carica di tensione. Nel centro della Svezia, a Orebro, un gruppo di giovani ha invece dato fuoco ad alcune auto, mentre non lontano da Stoccolma è stato incendiato un edificio disabitato. Tutto è iniziato lo scorso 13 maggio, dopo l’uccisione di un uomo armato di coltello da parte della polizia: l'episodio ha scatenato reazioni forti con incendi, saccheggi, atti di sciacallaggio, tanto da spingere le Ambasciate di Gran Bretagna e Stati Uniti a invitare i propri connazionali a tenersi lontani da alcuni quartieri.

    Le violenze di questi giorni hanno suscitato molta curiosità all’estero, diversa la reazione all’interno dell’opinione pubblica svedese. Ma per i fatti di Stoccolma è difficile dare un’unica lettura. Ake Malm, corrispondente in Italia del quotidano “Aftonbladet”:

    “La situazione è molto complessa ed è molto difficile fare generalizzazioni. Non c’è dubbio che in Svezia negli ultimi anni ci siano stati fenomeni molto frequenti di razzismo. Abbiamo al potere un partito chiaramente xenofobo, arrivato a essere il terzo più grande partito del Paese e questo è estremamente preoccupante”.

    “Non c’è una valenza razziale in questi disordini”, aggiunge Marta Paterniti, ricercatrice del “Karolinska Institut” di Stoccolma, uno dei più importanti Centri di ricerca al mondo, da anni nel Paese scandinavo. C’è da aggiungere che la società svedese è cambiata molto negli ultimi dieci anni, a causa anche di alcune riforme attuate come quella della scuola:

    “Negli ultimi anni, ha visto mancare molto la disciplina, c’è molta poca disciplina. C’è l’attitudine, da una parte, di rispettare le idee del bambino e a volte è come se i maestri diventassero passivi o addirittura vittime dei voleri dei bambini. Secondo me, questa cosa sta scappando di mano e messa in un contesto di segregazione crea dei problemi. Quando dalla scuola non arrivano modelli educativi forti, le famiglie di immigrati, che hanno già tutti i disagi del caso, vivono ancora di più questo disagio dei figli”.

    Sembra in crisi il modello di accoglienza svedese che - se da un lato ha portato nel Paese una presenza di immigrati pari al 15% e con 44 mila richieste di asilo solo lo scorso anno - dall’altro ha visto crescere negli stessi immigrati, relegati in periferia, un forte senso di emarginazione rispetto alla società svedese. Ancora Marta Paterniti:

    “Lavoro al 'Karolinska Institut' e sono un’immigrata privilegiata. Io, però, come l’immigrato di Husby, che è il quartiere da cui è partito tutto, abbiamo gli stessi benefici sociali dallo Stato svedese. La società svedese è molto chiusa e, secondo me, non c’è ancora la cultura di vedere nella persona diversa, quindi nell’immigrato, una ricchezza”.

    Dunque, pari diritti per tutti ma rischio di omologazione: è un po’ questo il cuore del problema accanto ad altri fattori sociali, come il taglio di sussidi di disoccupazione e la crescente disoccupazione dei lavoratori non qualificati. Ma la Svezia non è un Paese in crisi economica. Il giornalista Ake Malm:

    “L’economia ha tenuto in un momento in cui il resto dell’Europa si trovava in una grande crisi, in deficit di bilancio e nel debito pubblico. La Svezia ha un debito pubblico del 34% e non è questo il problema. Fino a quest’anno abbiamo, avuto l’aumento del pil di oltre il 2% e adesso siamo all’1, 5%. E’ diminuito, ma non si può parlare di grave crisi. La crisi invece sta nel cambiamento del mercato del lavoro. Molte di quelle fabbriche che una volta richiedevano gente senza grande preparazione, non ci sono più perché sono state spostate in Asia. Chi arriva senza una specifica preparazione, quindi, trova difficilmente lavoro. Senza una preparazione, si hanno grandissime difficoltà anche nell’integrarsi”.

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    L’Ua compie 50 anni. Le sfide: pacificare l'Africa e ridistribuire la ricchezza

    ◊   Il 25 maggio di cinquant’anni fa, veniva fondata l’organizzazione dell’Unità Africana, poi divenuta Unione Africana (Ua). Per la ricorrenza di questo anniversario, fatto coincidere con la Giornata per l’Africa, i leader e capi di governo del continente sono riuniti in questi giorni ad Adis Abeba per il 21.mo summit dell’organizzazione. Il tema del vertice è rimasto lo stesso dell'ultimo meeting, ovvero "Il panafricanismo e la rinascita dell'Africa". Ma quale ruolo ha saputo svolgere l’Unione Africana in questo mezzo secolo? Marco Guerra lo ha chiesto Raffaello Zordan, africanista della rivista Nigrizia:

    R. – L’Unione Africana, così come si è venuta a configurare in questi 50 anni, ha svolto un ruolo, o ha tentato si volgere un ruolo diplomatico, in alcune crisi: penso a quella del Darfur, in Sierra Leone, nella Repubblica Democratica del Congo. Però, non si è fatto un investimento politico forte in questa organizzazione. Essendo nata sotto la spinta della decolonizzazione e del panafricanismo, avrebbe dovuto diventare un’istituzione di governo del continente. Questo non è ancora successo ed è un luogo dove ci si confronta ma si agisce poco e spesso molto in ritardo. Basti vedere cosa è successo con la recente crisi in Mali. L’Unione Africana non solo non esprime contenuti politici rilevanti, ma non è nemmeno in grado di mandare forze sul terreno, e infatti è intervenuta la Francia.

    D. – Le stime economiche registrano nel 2012 una crescita del 5,1% nel continente. Eppure, quasi la metà degli africani vive ancora sotto la soglia di povertà. Che riflessi ci sono sul reale benessere delle popolazioni?

    R. – Le persone, soprattutto quelle che vivono in città, risentono in positivo delle ricadute, della ricchezza che ancora è in mano di pochi, però si creano di più occasioni di lavoro. E’ evidente che quando si trova un’Africa che abbia meno scie di sangue, molti Stati divengano interessanti dal punto di vista degli investimenti… Ecco, questo sarebbe il compito dell’Unione Africana. Un altro suo compito sarebbe quello di orientare un modello di sviluppo e anche far pesare di più l’Africa nei rapporti di forza geopolitici e quindi l’Unione Africana dovrebbe fare anche questo, ma non lo sta facendo. Credo poi che un’Africa che fosse veramente unita sarebbe in grado di trasformare la crescita della ricchezza in maggiore bene comune.

    D. – L’Unione Africana come può favorire questa ridistribuzione della ricchezza e del benessere?

    R. – Semplicemente, se diventa un luogo che costruisce possibilità. Sto parlando di spingere verso un processo di integrazione economica. C’è già una comunità economica africana che però va spinta ancor più. C’è un commercio interno, interafricano, che non è mai decollato veramente. Lavorare entro questi temi dovrebbe essere l’obiettivo dell’Unione Africana dei prossimi anni.

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    Elezioni amministrative in italia: grande attesa per l'esito del voto a Roma

    ◊   In Italia giornata di silenzio elettorale in vista del voto amministrativo di questa domenica e lunedì in 564 comuni, 14 dei quali capoluogo di provincia. Il 9 e 10 giugno gli eventuali ballottaggi. Riflettori accesi soprattutto su Roma, dove ieri sera ai comizi dei candidati sindaco sono intervenuti i leader di partito. A tenere banco, nelle ultime ore, il tema tasse e la riforma del finanziamento dei partiti. Il servizio di Giampiero Guadagni.

    Sono 7 milioni circa gli italiani chiamati alle urne in due capoluoghi di regione: Ancona e Roma. E in 14 capoluoghi di provincia: Avellino, Barletta, Brescia, Iglesias, Imperia, Isernia, Lodi, Massa, Pisa, Siena, Sondrio, Treviso, Vicenza e Viterbo. Si vota anche in Valle d’Aosta per il rinnovo del consiglio regionale. Ma l’attesa è naturalmente tutta per il voto nella capitale dove il sindaco uscente Alemanno, del centrodestra, è sfidato da Marino, centrosinistra; Marchini, liste civiche e De Vito, Movimento 5 Stelle. Un voto locale che come quasi sempre accade ha una valenza nazionale. Questo, in particolare, è il primo banco di prova elettorale per la maggioranza delle larghe intese che appoggia il Governo Letta. E così ieri sera a Roma confronto a distanza tra leader politici, in piazze per la verità poco affollate. Berlusconi ha garantito lealtà all’Esecutivo, sollecitando un decreto choc per rilanciare l’economia. Di lavoro ma anche di riforme istituzionali ha parlato il segretario del Pd Epifani, che apre al semipresidenzialismo e chiede una nuova legge elettorale in grado di garantire vera governabilità. Da parte sua Grillo è tornato ad attaccare duramente Pdl e Pd, definendo un bluff l’intesa della maggioranza sul nuovo meccanismo di finanziamento ai partiti, approvato ieri nelle sue linee guida dal Consiglio dei ministri e che verrà presentato la prossima settimana in un disegno di legge: prevista l'abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti e l’introduzione, attraverso meccanismi simili al 5x1000, del sostegno alla politica da parte dei cittadini.

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    Funerali di don Andrea Gallo. Il card. Bagnasco: ha aperto il cuore ai feriti nel corpo e nell'anima

    ◊   Sono stati celebrati stamattina nella parrocchia di Nostra Signora del Carmine i funerali di don Andrea Gallo, spentosi il 22 maggio scorso all’età di 85 anni. Ha presieduto il rito l'arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco, che nell'omelia ha ripercorso la vita del sacerdote scomparso e quando “nel 1964 bussò alla porta del cardinale Siri che don Andrea ha sempre considerato padre e benefattore”. Da Genova, Dino Frambati:

    Il presidente della Conferenza episcopale italiana ha detto nell’omelia che “sguardo e cuore di don Gallo erano portati per ascoltare coloro che portavano ferite nel corpo e nell’anima. Come missione ha cercato di lenire le loro sofferenze con l'olio della consolazione e il vino della fiducia, per dare una speranza guardando al domani”, come il samaritano nel Vangelo. Il porporato ha poi rievocato l'opera svolta nella comunità di San Benedetto: “apriva la porta a chi bussava e cercava calore. La comunità divenne sempre più abbraccio fecondo di chi appariva ai margini, forse senza nome. Sapeva che la sua era risposta a coloro sono percossi dalla vita, ma con la voglia di cercare o solo di attendere un sorriso o una carezza. Sapeva che era la sua risposta e non pretendeva che fosse di tutti, perché la fantasia del bene è grande ed è percorsa con generoso sacrificio da molti’. Bagnasco ha infine rievocato l'incontro con don Gallo negli ultimi giorni della malattia, trovandolo “ felice e grato”. Ed una preghiera detta assieme. Omelia interrotta due volte da fischi ed urla e forse anche per questo ridotta rispetto al testo originale; contestazione apparsa limitata ma rumorosa e disapprovata dalla segretaria di don Gallo salita sull'altare invitando ad ascolto e rispetto come, ha detto, don Andrea ne aveva per il suo vescovo. Don Luigi Ciotti, concelebrante, per ricordare don Gallo ha scelto le parole di Papa Francesco che ha detto “no ai cristiani da salotto” ed ha aggiunto: “ha dato nome a chi non lo aveva ed ha sempre dato un'opportunità a tutte le persone”. All'esterno della chiesa un commosso ricordo del sacerdote è stato fatto dal sindaco di Genova, Marco Doria. Oggi pomeriggio tumulazione al cimitero di Campoligure, piccolo centro dell'entroterra genovese accanto a madre, padre, fratello e altri parenti, come aveva chiesto don Gallo.

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    Convegno di Scienza e vita sull'obiezione di coscienza medica: diritto da tutelare

    ◊   Un diritto da garantire, ma che spesso finisce per essere motivo di penalizzazione o discriminazione per i tanti medici o farmacisti che vi ricorrono. “L’obiezione di coscienza tra libertà e responsabilità”: a questo è dedicato il nono Convegno nazionale di Scienza e vita che si svolge tra ieri e oggi a Roma. Recentemente, campagne mediatiche hanno definito un cattivo comportamento quello del medico obiettore, perché in contrasto con la deontologia e con altri diritti, come quello della donna ad abortire. Tuttavia, il Comitato nazionale di bioetica ha definito l’obiezione costituzionalmente fondata invitando ad esercitarla in modo sostenibile. Al microfono di Paolo Ondarza, la presidente di Scienza e Vita, Paola Ricci Sindoni:

    R . – L’obiettore di coscienza non va lasciato solo, va seguito e va indirizzato, affinché le proprie scelte valoriali vengano rispettato, come va rispettato anche il diritto della donna ad abortire. Ora, non si capisce perché nell’opinione pubblica l’obiezione di coscienza, ad esempio nei riguardi della sperimentazione sugli animali, venga accolta favorevolmente, a motivo anche di queste ondate naturalistiche, mentre dall’altra parte, quando la natura tocca invece l’essere umano, si reagisca malamente pensando sempre che, comunque, l’obiezione di coscienza sia un modo per lavorare di meno, fare di meno.

    D. – Tanti medici obiettori di coscienza sono discriminati talvolta per la loro scelta: viene negata loro anche la possibilità di carriera. Forse questo diritto configge con degli interessi di altro tipo?

    R. – Certamente. Naturalmente, le strutture sanitarie pubbliche hanno l’interesse a far funzionare il sistema: l’esigenza di far fronte a questa domanda, delle donne che vogliono abortire, dovrebbe essere sempre coperta in modo che anche dei parametri di credibilità dell’istituzione pubblica venga ad essere premiata. C’è comunque da risottolineare che l’obiezione di coscienza nella pratica medica e in quella farmaceutica non è un capriccio o un arbitrio, tanto più che nella legge 194 si prevede, all’art. 9, la figura dell’obiettore. Da qui, la necessità anche di correggere un po’ il tiro di fronte a quei pregiudizi laicistici che continuano a sostenere che le difficoltà della struttura a lavorare sulla legge 194 dipenda esclusivamente dall’obiettore di coscienza.

    D. – Si conoscono i numeri di quanti sono i medici obiettori? C’è una statistica?

    R. – Sì, è una statistica che comunque andrebbe "ripulita" da certi criteri di lettura, spesso ideologici. Si parla di alcune strutture in cui addirittura il 70% dei medici sono obiettori. Questo, per l'appunto, è un cavallo di battaglia della stampa laicista, perché sta ad indicare che quel 30% non può soddisfare completamente la domanda e dunque le donne sono obbligate a passare ad altri fronti. Altre statistiche, invece, dimostrano che non c’è questa altissima percentuale, per cui è difficile stabilirlo. Se anche si dovesse assestare al 50%, sta a significare che la legge prevede questa libertà e questa libertà va veramente sostenuta, compresa nelle sue radici profonde e dunque anche accolta all’interno di una società pluralistica dove spesso il "credo" laicista tende in qualche modo a sopraffare il credo valoriale o il credo religioso che ciascuno ha in sé. E’ per questo che il valore laico dell’intangibilità della coscienza credo debba essere accettato da tutti. Il medico non può solo far riferimento alla sua deontologia, perché l’obiezione è qualcosa che va altro: è più della deontologia professionale.

    D. – E’ giusto inquadrare tale diritto non in un ambito confessionale, ma come una scelta libera: un diritto civile…

    R. – Assolutamente sì, perché se alcuni medici dicono di obbedire anche a una libertà di coscienza che, in qualche modo, è intrisa anche di valori cristiani. Altri medici invece – laicamente e razionalmente – pensano che è la scienza stessa che ti mette sulla strada a indicare che l’embrione contiene tutta la struttura dell’essere umano.

    D. – Dato scientifico che è indubbiamente sostenuto anche dal Papa, che non ha mancato, in questi primissimi mesi di Pontificato, di esprimersi in favore della vita…

    R. – Sì e lo fa anche con un linguaggio molto chiaro, mai appesantito da una normativa di tipo dogmatico, ma sempre cercando di stare intorno e dentro i bisogni e i desideri delle persone, per far capire che c’è un limite invalicabile: l’origine, l’inizio della vita nascente e la fine naturale della vita stessa.

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    Quattordicenne suicida. Moige: on line occorrono più controlli

    ◊   Otto minorenni indagati per istigazione al suicidio tramite Facebook in relazione alla morte della quattordicenne Carolina a gennaio, a Novara. E’ questo ultimo caso di "cyber-bullismo" che ha motivato la denuncia del Moige, il Movimento italiano genitori, contro il social network americano, accusato di sottoscrivere contratti di iscrizione con minori senza l’autorizzazione dei genitori. Per il Moige, gli strumenti per controllare la sicurezza dei più piccoli on line sono inadeguati. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    La notizia di minorenni che hanno istigato al suicidio la giovane Carolina ha riaperto una ferita mai sanata, quella dello strapotere della Rete sui più piccoli senza un’adeguata capacità di controllo. Lo lamenta il Moige che ha denunciato Facebook, parlando di un "far west" ormai intollerabile. Il direttore generale dell’Associazione dei genitori, Antonio Affinita:

    “Il problema è che i genitori, intorno a quella che è la vita di Internet dei loro figli, sono tenuti completamente all’oscuro proprio dal sistema di Facebook: non si può formalizzare un contratto con il minore senza il consenso del genitore, che rimane il primo educatore ed il responsabile di quello che succede ai propri figli. Non possiamo consentire una situazione oramai di terrore dei genitori davanti a questo strapotere del social network, davanti al quale si è fortissimamente impotenti. I genitori non possono controllare i contenuti, non possono essere consapevoli che magari il figlio stata vivendo un episodio gravissimo di cyber-bullismo; non possono sapere che ci sono dei finti account di amici, che magari cercano di adescarli”.

    Dunque, strumenti finora inadeguati e una multinazionale che non permette ai genitori di compiere in pieno il loro principale ruolo, quello educativo e di controllo sui figli, specie se minori. Facebook, dal canto suo, fa sapere di aver aperto uno speciale online dedicato alla sicurezza, in cui trovare consigli per i giovanissimi per gestire la propria presenza in rete, spiegando opzioni per bloccare contatti offensivi o contenuti inappropriati. “Certo le misure di sicurezza si affineranno sempre più nel tempo”, spiega Nunzia Ciardi, direttore della Polizia postale delle comunicazioni, e Facebook in molti casi si è dimostrato già collaborativo, ma l’azione resta sempre difficile:

    R. – Premesso che Facebook è una società americana per cui le leggi non sono le nostre a regolare l’attività di Facebook. Io però, come funzionario della Polizia Postale e anche come madre, credo che fondamentale sia il dialogo con i ragazzi, l’educazione dei ragazzi ad un uso corretto dei social network in particolare e della rete in generale.

    D. – Però, c’è anche da dire che è molto semplice imbrogliare in rete e lo stesso Facebook: data di nascita, e-mail… E’ facile cambiare le carte in tavola...

    R. – Esatto. E proprio qui è importante la prevenzione: trasmettere ai giovani che la Rete è uno strumento prezioso ma particolare, che spesso disorienta: solo, davanti a un computer, sembra tutto più facile, più semplice e quindi mentire sulla propria età, “bullizzare” un compagno, postare un’immagine, magari un’immagine intima, senza rendersi conto del disvalore sociale, che è enorme, di quello che fanno, ma anche del disvalore giuridico, perchè vanno incontro a configurazioni di reati importanti.

    E la Polizia, specie nelle scuole, ha avviato numerosi programmi di informazione e prevenzione che hanno già coinvolto oltre 500 mila studenti e che ora si rivolge anche ai dirigenti scolastici. Ancora la dottoressa Nunzia Ciardi:

    “Andiamo nelle scuole e diamo ai giovani tutti i criteri per navigare in sicurezza. E non solo ai giovani: spesso parliamo anche con i genitori e con gli insegnanti. Per consentire un rapporto proficuo con gli stessi ragazzi, noi abbiamo addirittura messo a disposizione per tutti i dirigenti scolastici una e-mail, attraverso la quale i dirigenti possono chiedere il nostro intervento nelle scuole per dare ai giovani tutti gli insegnamenti di cui, secondo noi, hanno bisogno".

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    Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

    ◊   In questa domenica, Solennità della Santissima Trinità, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù manifesta ai discepoli il suo rapporto con il Padre e lo Spirito Santo. Molte cose ha ancora da dire, ma per il momento quanti lo seguono non sono capaci di portarne il peso. Sarà lo Spirito Santo a guidarli a tutta la verità:

    «Tutto quello che il Padre possiede è mio; lo Spirito prenderà del mio e ve lo annuncerà».

    Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

    Si sono appena compiuti i 50 giorni della Pasqua. Abbiamo ancora negli occhi le lingue di fuoco della Pentecoste. Il Vangelo di oggi ci porta, con i discepoli, attorno alla mensa di Pasqua, nell’ultima cena, dove il Signore Gesù ci apre uno spiraglio sul mistero d’amore che unisce il Padre e il Figlio, nello Spirito Santo: il mistero della Trinità. “Le tre persone divine stanno in tale comunione fra loro che possono essere immaginate solo come ‘danzanti insieme’ in una danza comune: il Figlio è completamente nel Padre, e con il Padre, il Padre completamente nel Figlio, e con il Figlio, e ambedue trovano la loro unità mediante il vincolo dello Spirito Santo” (G. Greshake, La fede nel Dio trinitario. Una chiave per comprendere, p. 31). Cristo ci rivela il Padre, e donandoci lo Spirito ci rende “icone di Dio”, ci riconduce al Padre. Questo mistero d’amore, questa “relazione” – e quindi questa festa che celebriamo – non è la definizione di una verità, un dogma solo da credere, lontano da noi. È piuttosto entrare in comunione con le sorgenti stesse della vita: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, l’Unica e indivisa Trinità, la primordiale comunità d’amore nella cui immagine siamo stati creati. Ecco allora l’opera dello Spirito Santo in noi: in questa celebrazione Egli prende Cristo e ce lo dona: diventiamo partecipi del suo Corpo, spezzato per noi, del suo Sangue, versato per noi. Rivestiti di Lui, entriamo anche noi nella “danza divina” della comunione fraterna, della comunità cristiana. È vinta la dispersione e la solitudine: a noi è dato il pegno della vita eterna, di questa “danza divina” d’amore.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Uzbekistan: una cristiana condannata per possesso di Bibbie e materiale religioso

    ◊   Dovrà scontare 18 mesi di lavori correttivi l’uzbeka Sharofat Allamova, cristiana protestante, trovata in possesso di Bibbie e materiale religioso, oltre a dover pagare una multa che si traduce nel versamento di parte del suo stipendio allo Stato. A darne notizia è l’agenzia AsiaNews. La donna, di Urgench, nel nordovest del Paese, è stata giudicata colpevole di "produzione illegale, archiviazione, importazione o distribuzione di materiale religioso". La condanna decisa dal giudice è di compiere lavori umili al servizio dello Stato, mentre buona parte del suo stipendio servirà a pagare la multa a suo carico. A questo si aggiunge che per i prossimi mesi la donna non potrà uscire dall’Uzbekistan. Fonti locali hanno espresso ad Asianews dubbi sulla veridicità delle prove fornite durante il processo contro la donna. Punizioni analoghe erano scattate a maggio per lo stesso crimine: possesso di materiale religioso. Oltre alla confisca della Bibbia e di altri testi religiosi, si teme che in autunno la donna cristiana possa essere mandata a lavorare nei campi di cotone. Si tratta di un lavoro massacrante, per il quale lo Stato utilizza i condannati. Pesanti multe sono state addebitate anche a un gruppo di persone che nella capitale Tashkent si erano riunite in una casa a pregare e leggere testi sacri. In Uzbekistan, i cristiani costituiscono l’8% della popolazione, contro l’88% di fede musulmana sunnita, e il governo limita fortemente la libertà confessionale. Nel Rapporto annuale della Commissione statunitense per la Libertà religiosa (pubblicato lo scorso 30 aprile) il governo di Tashkent compare nella lista dei 15 governi inseriti sotto la voce "Paesi oggetto di particolare attenzione". (E.S.)

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    Nord Kivu: sequestrate otto minorenni e due donne con i loro neonati

    ◊   Nessuna notizia dei religiosi rapiti a Kivu, in Congo, mentre continuano i sequestri. Drammatica la testimonianza rilasciata all’Agenzia Misna a Mbau, nella diocesi di Butembo-Beni, nel Nord Kivu. Lì sono stati rapiti otto mesi fa tre religiosi Agostiniani dell’Assunzione, dei quali non si hanno ancora notizie. Una fonte religiosa, che per motivi di sicurezza è rimasta anonima, ha raccontato: “Ancora una volta, ieri, a pochi metri dalla Parrocchia di Nostra Signora dei Poveri dove erano stati sequestrati i nostri confratelli Jean-Pierre Ndulani, Anselme Wasinkundi ed Edmond Bamutute, altre quindici persone sono state rapite, a pochi passi dall’accampamento dei militari inviati per proteggerci”. Tra questi, ci sarebbero anche otto ragazze minorenni e due donne che avevano appena partorito, che sono state rapite insieme ai loro bambini appena nati. La fonte della Misna ha spiegato che una delle due donne era la cuoca dei Padri assunzionisti. Intanto, nella Parrocchia di Luofu, che si trova più a sud, altri religiosi Assunzionisti vivono accerchiati dalle milizie Interhamwe e da un gruppo di ribelli Mai. Dopo l’offensiva dei ribelli del Movimento 23 marzo, che hanno conquistato il capoluogo di Goma, la situazione della regione orientale, al confine col Rwanda, risulta ancora più instabile. A Kampala, i negoziati con il governo di Kinshasa non hanno a oggi portato a risolvere la crisi. “Pregate per noi – ha chiesto la fonte religiosa anonima – e per questo popolo che lotta contro la violenza ma non desidera altro che la pace. Abbiamo bisogno di aiuto, è da troppo tempo che il conflitto va avanti, siamo sfiniti”. (E.S.)

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    Karnataka, la speranza della Chiesa in un futuro migliore

    ◊   Ci può essere un futuro diverso, fatto di rispetto dei diritti, dialogo, giustizia e armonia per i cristiani in Karnataka, uno dei maggiori Stati indiani, dove negli anni scorsi si sono verificate numerose violenze anticristiane. Dopo le elezioni locali del 5 maggio scorso, il partito indù “Bharatiya Janata Party” (BJP, “Partito del popolo indiano”), al governo nello scorso mandato, ha infatti ottenuto solo 40 seggi nel Parlamento del Karnataka, mentre la maggioranza è andata al Partito del congresso, che ha ottenuto 121 seggi, sui 223 totali. Come riporta Fides, l’arcivescovo di Bangalore, Bernard Moras, ha incontrato il neo eletto capo del governo, Siddaramaiah, portando gli auguri del Consiglio dei vescovi del Karnataka, di cui mons. Moras è presidente, ed esprimendo speranza e attese a nome di tutti i cristiani del territorio. Il presule ha sottolineato l’opportunità che fedeli cristiani siano coinvolti maggiormente e siano presenti in posti di governo, in enti e istituzioni pubbliche. Un quadro più disteso emerge anche dalle parole di padre Faustine Lobo, sacerdote di Bangalore e direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in India: “Oggi c’è più fiducia fra la popolazione – spiega – si può costruire un nuova atmosfera sociale e religiosa”. Secondo il sacerdote, il BJP è andato incontro a una sconfitta politica “per varie ragioni: è diviso in varie fazioni, è stato protagonista di casi di corruzione, perfino con tre ministri arrestati, ha usato l’approccio del ‘comunitarismo’, spingendo per una politica di divisione e discriminazione verso le minoranze”. Oggi, il Partito del congresso, prosegue il religioso, “ha una buona opportunità di mostrare una politica di buon governo, che potrebbe portare buoni frutti, in quanto tra un anno e mezzo vi saranno le elezioni nazionali”. “I risultati del voto in Karnataka – spiega ancora p. Faustine – sono un monito per l’intera nazione: fomentare la conflittualità sociale e religiosa non paga”. “Come Chiesa – specifica il religioso – abbiamo sempre promosso e continueremo a promuovere un approccio basato sul dialogo e sull’armonia fra comunità diverse. Confidiamo in un futuro di pace e di sviluppo per i cristiani in Karnataka”. Secondo un recente rapporto dell’Ong “Catholic Secular Forum”, il Karnataka è al vertice nei casi di violenza intercomunitaria e interreligiosa, con oltre 1.000 attacchi sui cristiani nel 2011, una media di 3-5 attacchi ogni giorno. (D.M.)

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    Bangladesh. Indù e musulmani a raccolta fondi per costruire una chiesa

    ◊   Esiste un luogo del Bangladesh, nella piccola città di Mathbari, dove l’odio interreligioso e le violenze dei fondamentalisti musulmani, perpetrate nei confronti delle minoranze cristiane del Paese, non trovano asilo. In questa località nelle vicinanze di Dhaka, indù e musulmani si sono perfino uniti in una raccolta fondi lanciata dalla comunità cattolica per finanziare la costruzione di una chiesa. Il parroco del distretto ha dichiarato “di essere felicissimo”, poiché “questa iniziativa è il segnale di un ottimo rapporto di convivenza”. Il costo della chiesa è di circa 380 mila dollari. I parrocchiani di Mathbari provavano da tempo a finanziarne la costruzione, ma la somma raccolta fino a oggi era stata insufficiente. Secondo i cattolici della città, padre Boniface Subrata Tolentino, il parroco della Chiesa di Mathbari, ha grandi meriti nella creazione del clima di serenità e concordia che si respira tra le differenti realtà confessionali. “È rispettoso nei confronti degli altri gruppi religiosi, invita i loro membri alle nostre feste e noi stessi ci sentiamo arricchiti da queste esperienze”, spiega Nandon Cruze, parrocchiano della chiesa locale. In Bangladesh, la maggioranza della popolazione è di fede musulmana, mentre la comunità cristiana, in gran parte cattolica, rappresenta soltanto lo 0,4%. Nella cittadina, sono presenti 3500 cattolici: l'unica chiesa presente fu costruita nel 1925 e porta il nome di Sant’Agostino. Le sue dimensioni ridotte non consentivano tuttavia di accogliere tutti i fedeli, da qui la necessità di un secondo tempio parrocchiale. (G.F.)

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    Argentina, dialogo tra Chiesa e istituzioni a favore delle comunità indigene

    ◊   La Chiesa argentina è impegnata a favore delle popolazioni indigene, anche attraverso il dialogo con le istituzioni locali. La Fides riporta la notizia di un incontro del presidente della Commissione episcopale per la Pastorale sociale (Cepas), mons. Jorge Eduardo Lozano, vescovo di Gualeguaychú, con numerose autorità della provincia di Formosa, presso la sede episcopale di Buenos Aires. La Pastorale sociale ha prestato ascolto alle preoccupazioni dei diversi protagonisti della vita pubblica argentina, legati al problema della comunità Qom "La Primavera" - nella provincia di Formosa, vicino alla frontiera con il Paraguay - i cui diritti non sono rispettati e i cui componenti sono vittime di persecuzioni. I funzionari locali presenti hanno parlato del lavoro svolto durante gli ultimi decenni nella provincia per il riconoscimento della proprietà delle terre a in favore delle comunità indigene. Si è confermato che la provincia di Formosa è una comunità multietnica e multiculturale e sono stati notati i progressi in materia di istruzione, avvenuti anche grazie all’apporto dalla Chiesa cattolica. Non sono terminati però i problemi sociali che riguardano le comunità Qom. Un membro della comunità della provincia del Chaco è morto in circostanze ancora non chiare, durante la repressione di una protesta. Le comunità Qom si trovano in diverse province dell’Argentina. Vi sono comunità Qom anche in Bolivia, Paraguay, ma quella che vive in Argentina è la più consistente, essendo composta da circa 60 mila persone. (D.M.)

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    Kuwait, l'impegno delle comunità siro-malabaresi per mantenere viva la fede

    ◊   Rafforzare la fede dei giovani indiani che vivono nei Paesi del Golfo, per offrire una testimonianza autentica e credibile di Cristo: per questo si terrà il 30 maggio prossimo, nella chiesa cattedrale della Sacra Famiglia a Kuwait City, un incontro delle associazioni ecclesiali cattoliche di rito siro-malabarese presenti nel Golfo. Come riferisce la Fides, l’incontro è organizzato dall’Associazione culturale siro-malabarese del Kuwait, sotto l'egida della Commissione della Chiesa siro-malabarese per i migranti, che ha sede nello stato del Kerala, in India. Sarano presenti diversi rappresenti della Chiesa siro-malabarese in Kerala, come il vescovo Sebastian Vadakkel, presidente della Commissione per la pastorale dei migranti nella Chiesa siro-malabarese, oltre a vari sacerdoti. L’incontro è nato dalla consapevolezza che la Chiesa siro malabarese – Chiesa cattolica di rito orientale nata dalla predicazione di San Tommaso Apostolo – conta circa 500 mila credenti nei Paesi del Golfo. I fedeli della regione sono riuniti in associazioni e gruppi costituiti con lo scopo di preservare i valori e l’identità cristiana, specialmente nelle nuove generazioni. Durante l’incontro si cercherà di tracciare un nuovo piano d'azione per queste associazioni, perché possano mantenere vive la fede, la testimonianza e la missione. (D.M.)

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    Repubblica Centrafricana, comunità cristiane attaccate dai ribelli

    ◊   Nella Repubblica Centrafricana, anche le comunità cristiane risentono pesantemente del clima di violenza diffuso da tempo nel Paese. In particolare, alcuni cristiani sono stati picchiati, legati e costretti a consegnare denaro per avere salva la vita. La notizia di queste azioni portate avanti da miliziani ribelli è giunta alla Fides da un pastore di una chiesa locale, che ha chiesto l’anonimato per motivi di sicurezza. Già nei mesi scorsi, alcuni cristiani sono stati uccisi o feriti. I ribelli in alcuni casi sono andati in cerca di sacerdoti e altri lavoratori cristiani, mentre luoghi di culto e proprietà private vengono attaccate e saccheggiate. Molti cristiani – prosegue una nota arrivata a Fides – hanno abbandonato le loro case in campagna e sono troppo spaventati per tornare. Complessivamente, oltre 200 mila persone sono sfollate, mentre 49 mila rifugiati sono stati registrati nei Paesi limitrofi. Il 10 maggio scorso, Human Rights Watch (Hrw) ha pubblicato un rapporto che cita “gravi violazioni” commesse dai ribelli Seleka contro i civili, come saccheggi, esecuzioni sommarie, stupri e torture. Tra gli episodi citati, un raid in una chiesa nella capitale Bangui, uno dei primi obiettivi dei ribelli Seleka, quando sono entrati in città. Hrw racconta anche dell’attacco contro un corteo funebre a Bangui il 13 aprile scorso, quando le forze Seleka hanno aperto il fuoco sulla folla, uccidendo un leader cristiano. “La crisi del Centrafrica è ignorata dai mass media e la popolazione si sente abbandonata dalla comunità internazionale”, notano i leader cristiani locali. La scorsa settimana, l'inviato delle Nazioni Unite nella Repubblica Centrafricana, Margaret Vogt, ha invitato il Consiglio di sicurezza a prendere in considerazione il dispiegamento di una forza di sicurezza per “contenere l'attuale stato di anarchia”, chiedendo l'imposizione di sanzioni contro i ribelli, accusati di gravi violazioni dei diritti umani. (D.M.)

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    Mali: esercito francese inizia ritiro dopo mesi di operazioni contro i ribelli

    ◊   Dopo quattro mesi dall’intervento francese in Mali, Parigi ha dato il via alla prima parte del ritiro delle truppe impegnate per respingere i ribelli islamisti nel nord del Paese africano. La Bbc riferisce che un convoglio di camion ha lasciato una base francese al di fuori della capitale Bamako in direzione sud, verso la Costa d'Avorio. L'obiettivo è di consegnare progressivamente all'esercito maliano e ad una forza di pace dell'Onu il controllo del territorio, in vista delle elezioni di luglio. (M.G.)

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    Colombia: più di 100 mila bambini a rischio lavoro minorile

    ◊   Sono 34.831 i bambini vittime del fenomeno del lavoro minorile e oltre 100 mila sono a rischio. I dati profengono dal Ministero del lavoro colombiano e sono stati forniti in vista della Giornata mondiale contro il lavoro minorile, che si terrà il 12 giugno prossimo a Bogotà. Spesso si tratta di lavoro domestico, che interessa centinaia di migliaia di bambini in Colombia e che impedisce loro di andare a scuola e dedicarsi al gioco o ad attività ricreative. E proprio sull’eradicazione del lavoro domestico punterà la Giornata del 12 giugno. Nel Paese dell’America Latina, tra i mesi di settembre e ottobre dello scorso anno, in 270 municipi di 26 dipartimenti della Colombia sono stati condotti 550 mila sondaggi su questo tema. Ne è emerso che ben 28.047 minori sono costretti a portare avanti attività lavorative considerate le peggiori da svolgere. Lo studio è stato consegnato al Comitato nazionale per l’eradicazione del lavoro minorile, affinché in Colombia i Ministeri dell’istruzione, della Sanità e l’Istituto colombiano del welfare familiare comincino ad avviare un serio lavoro che, prendendo in considerazione i 118.968 minori identificati e registrati, vada a tutelare i diritti dei più piccoli e delle rispettive famiglie. (E.S.)

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    India: la Vergine segno di armonia interreligiosa tra cristiani e islamici

    ◊   C’é un simbolo, una figura della fede cristiana, la cui devozione viaggia da un culto a un altro senza confini, senza barriere di sorta, diventando un vero fenomeno di armonia interreligiosa. Si tratta della Vergine Maria, che unisce cattolici e musulmani e persone di ogni credo, al punto che in India l’80% dei pellegrini che visitano i Santuari mariani è costituito da non cattolici. In occasione della festa di ieri dedicata a Maria Ausiliatrice, AsiaNews
    ha parlato col gesuita e studioso di scritture, padre Errol Fernandes, per capire la natura di questa devozione. “La Madre di Dio è sempre stata venerata fin dall'antichità. Le dee Durga e Kali sono alcuni esempi di questa venerazione – ha spiegato il religioso – Nonostante il fatto che le figlie femmine non siano ben accette e in molti casi le donne siano trattate come oggetti più che come persone, la tradizione indiana paradossalmente ha tenuto sempre in grande considerazione le divinità femminili”. Secondo il religioso, Maria, la Madre di Dio, “è sempre stata venerata da persone di tutte le fedi in molte parti dell'India”. Il Santuario di Nostra Signora di Velankanni a Chennai, Nostra Signora del Perpetuo Soccorso e Monte di Maria a Mumbai sono esempi impressionanti di questa venerazione. “Le persone – ha sottolineato padre Fernandes – riescono a vedere in Maria la figura di chi ascolterà le loro preghiere”.“Ho sentito la storia di molte persone che hanno fatto la Novena a Nostra Signora del Perpetuo Soccorso e poi hanno visto realizzarsi cose che credevano impossibili – ha continuato il padre Fernandes – come il concepimento di un figlio dopo molti anni, un posto di lavoro, la pacificazione di dispute familiari”. Il sacerdote ha poi spiegato perché non è strano vedere donne musulmane pregare la Vergine Maria. “Maria è l'unica donna menzionata esplicitamente nel Corano. Il Corano crede nell'Immacolata Concezione e anche nella verginità di Maria. Il terzo capitolo del Corano fa risalire genealogicamente la famiglia di Maria ad Abramo, Noè e Adamo. Il Corano ha anche versetti sull'Annunciazione e la Natività. Nel diciannovesimo capitolo, ci sono 41 versetti su Gesù e Maria”.“Credo che chi sia devoto alla Madonna – conclude padre Errol – sia sulla giusta via. Non si conosce persona che avendo chiesto la sua protezione, sia rimasta inascoltata”. (G.F.)

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    Spesa per la solidarietà: Caritas di Roma raccoglie alimenti per famiglie in difficoltà

    ◊   Una giornata di solidarietà per sostenere le famiglie in difficoltà economica. Oggi, 500 volontari della Caritas saranno presenti in 48 supermercati di Roma per raccogliere fondi da devolvere alle famiglie assistite dall’organizzazione umanitaria. In tutti i punti vendita di "Simply", "IperSimply" e "Punto Simply" della capitale sarà possibile, facendo la spesa, donarne una parte che verrà raccolta in appositi sacchetti. I volontari distribuiranno materiale informativo e illustreranno lo scopo dell’iniziativa ai clienti. I beni richiesti sono i generi alimentari di facile conservazione e stoccaggio, come pasta, riso, olio, caffè, orzo, o prodotti per l’infanzia (pannolini, pappe e omogeneizzati) e i prodotti per l’igiene. I beni raccolti serviranno per rifornire i due "Empori della solidarietà" presenti a Roma in via Casilina Vecchia 19 e in via C. Avolio 6, due veri e propri supermercati a cui possono accedere le persone indigenti assistite dalla Caritas e dai servizi sociali. Un’iniziativa estremamente importante se si pensa che, secondo gli ultimi dati Istat, rispetto al 2011 il numero delle famiglie in difficoltà è aumentato del 32%, (400 mila persone in più rispetto al 2011), metre nel 2012 quelle che hanno chiesto aiuto per mangiare sono aumentate del 9%. In totale, sono 3,7 milioni le persone assistite nelle mense gratuite. Da oltre sei anni, la Simply supporta la Caritas in questo progetto di aiuto e sostegno alle famiglie in difficoltà, consentendo di raccogliere ogni anno 80 tonnellate di alimenti e prodotti di prima necessità dai clienti dei propri punti vendita. Per conoscere i punti vendita che aderiscono all’iniziativa e per info, visitare i siti "simplymarket.it” o “caritasroma.it”.

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    Terra Santa. La riconciliazione attraverso le visite ai mosaici delle chiese cristiane

    ◊   Stimolare la riconciliazione e il desiderio di conoscenza fra i popoli della Terra Santa – cristiani, musulmani ed ebrei: è questo l’obiettivo di Khalid Hamdan, il giovane musulmano che descrive agli studenti islamici i mosaici delle chiese cristiane di Gerusalemme. All’agenzia AsiaNews, Khalid, giovane professore, ha parlato del suo impegno per costruire un ponte tra le culture. Laureato in storia dell’arte, Khalid Hamdan ha cominciato un’importante opera nei confronti degli studenti, per la maggior parte musulmani, che spesso non sono mai entrati in una chiesa cristiana. Da anni, questo docente lavora come volontario per l’associazione “Ats Pro Terra Sancta”, ong della custodia della Terra Santa, che ha dato vita a un programma di restauro di mosaici. Sono stati coinvolti anche sei giovani del “Mosaic “Center” di Gerico, per il recupero della Basilica del Getsemani. Ed è proprio la funzione decorativa nella Basilica del Getsemani che Khalid spiega ai piccoli studenti degli istituti di Gerusalemme Est. “Nelle scuole gli studenti conoscono poco le tradizioni delle altre religioni presenti nella Terra Santa", ha spiegato Khalid ad AsiaNews. "Alcuni – ha proseguito – pensano che non possono entrare perché sono musulmani. Io rispondo che non è vero: le basiliche sono un luogo pubblico, tutti possono entrare e ammirarle. Chiese e moschee vivono insieme da secoli”. La divisione non è solo religiosa ma anche linguistica ed è in base a questa appartenenza che sono spesso divise le scuole: ci sono bambini che parlano arabo e altri che parlano ebraico. “Da adolescente lavoravo come cameriere in una reception di un hotel di Gerusalemme – ha raccontato Khalid – e spesso venivano a chiedermi informazioni clienti ebrei. I miei colleghi mi dicevano che questi non erano mai gentili con noi. Io conoscevo un po' di ebraico e cercavo di comunicare con loro nella loro lingua. Questa mia attenzione alla loro cultura, che è anche la mia, li stupiva e iniziavano a guardarmi in un modo diverso”. La speranza del professore musulmano è che il progetto di far conoscere ai ragazzi le loro origini possa riconciliare i popoli della Terra Santa: "Noi viviamo l'uno a fianco all'altro e non possiamo ignorarci", ha concluso. "Sono i governi che invece vogliono questo e puntano su questa divisione, che è soprattutto ideologica”. (E.S.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 145

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.