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Sommario del 24/05/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: la tratta delle persone è una vergogna, Stati non restino insensibili
  • Papa Francesco: sopportare con pazienza le difficoltà e vincere con amore le oppressioni
  • Festa della Madonna di Sheshan. Il Papa prega per i cattolici in Cina
  • Delegazioni bulgara e macedone dal Papa per la festa dei Santi Cirillo e Metodio
  • L'arcivescovo di Rio incontra il Papa in vista della Gmg: fermento e gioia in tutta la città
  • Il Papa ai vescovi italiani: camminate in mezzo al gregge, attenti a rialzare e a infondere speranza
  • Don Puglisi domani Beato. Il card. De Giorgi: la sua voce necessaria come non mai
  • Tweet del Papa: “I miracoli ci sono, ma serve una preghiera coraggiosa!"
  • Il Papa ha creato una nuova diocesi nella Repubblica del Congo
  • Viaggio del card. Sandri in Libano e Giordania: domenica la supplica di pace per la Siria
  • Il cardinale Turkson a Chicago: inaccettabile il continuo impoverimento dei Paesi africani
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria, governo disposto "in via di principio" a partecipare alla Conferenza di pace
  • Sbloccato il negoziato per nuove relazioni economiche Ue-Usa
  • Il card. Bagnasco: grati al Papa per l'incoraggiamento al nostro ruolo di Pastori
  • Italia, ricerca shock: evidente il legame tra gioco d'azzardo e consumo di droghe
  • Pellegrinaggio militare a Lourdes. Mons. Pelvi: Santi anche in divisa
  • Campagna del Campus Bio-Medico di Roma per i malati di autismo
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • L'inviato nordcoreano a Pechino: pronti a riprendere negoziati sul nucleare
  • Coree, segnali di disgelo da Pyongyang. I vescovi: si può riaprire la porta alla speranza
  • Intolleranza verso i cristiani: molti casi anche in Europa occidentale
  • Vietnam. In appello ridotte le pene per attivisti cattolici accusati di sovversione
  • Niger, timori tra la popolazione per il rischio di nuovi attacchi terroristici
  • Migranti, la Commissione internazionale cattolica per le migrazioni fa appello alle istituzioni
  • Mozambico. Human Rights Watch denuncia: da sfruttamento minerario rischi per le popolazioni
  • Fedeli delle diocesi di Napoli e Sorrento-Castellammare in pellegrinaggio mariano a Pompei
  • Convegno sul padre gesuita Antonio Ferrua, tra gli scopritori della Tomba di San Pietro
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: la tratta delle persone è una vergogna, Stati non restino insensibili

    ◊   La tratta degli esseri umani è “ignobile”. Non ha usato mezzi termini Papa Francesco nel condannare questa mattina il triste fenomeno che vede coinvolte nel mondo milioni di persone. L’occasione è stata l’udienza concessa ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti, in corso a Roma e dedicata alle “persone forzatamente sradicate”. Per loro il Papa ha esortato agli Stati ad adottare misure che ne tutelino la dignità. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “Ribadisco qui che la ‘tratta delle persone’ è un’attività ignobile, una vergogna per le nostre società che si dicono civilizzate! Sfruttatori e clienti a tutti i livelli dovrebbero fare un serio esame di coscienza davanti a se stessi e davanti a Dio!”.

    La voce di Papa Francesco vibra di sdegno sommesso quando si ferma a riflettere, al cospetto della plenaria del Pontificio Consiglio dei Migranti, su cosa siano capaci persone senza scrupoli nel momento in cui scelgono di commerciare con la carne umana, alimentando schiavitù vecchie e nuove. Il fenomeno, constata, è purtroppo “in piena espansione” e ciò non fa che dilatare i confini dell’abiezione che lo riguarda, ma anche e soprattutto la carica di solidarietà e bontà che i cristiani per primi devono dimostrare:

    “La Chiesa rinnova oggi il suo forte appello affinché siano sempre tutelate la dignità e la centralità di ogni persona, nel rispetto dei diritti fondamentali (…) In un mondo in cui si parla molto di diritti, quante volte viene di fatto calpestata la dignità umana!. In un mondo nel quale si parla tanto dei diritti, sembra che l’unico che ha diritti sia il denaro. Cari fratelli e sorelle, noi viviamo in un mondo dove comanda il denaro. Noi viviamo in un mondo, in una cultura dove regna il feticismo dei soldi.

    Dalle vittime a chi può strapparle da un destino indegno. Papa Francesco si appella a governanti e legislatori, all’“intera comunità internazionale”, dice, perché tenga in considerazione “la realtà delle persone forzatamente sradicate con iniziative efficaci e nuovi approcci per tutelare la loro dignità, migliorare la loro qualità di vita e far fronte alle sfide che emergono da forme moderne di persecuzione, di oppressione e di schiavitù”:

    “Si tratta, sottolineo, di persone umane, che fanno appello alla solidarietà e all’assistenza, che hanno bisogno di interventi urgenti, ma anche e soprattutto di comprensione e di bontà. Dio è buono: imitiamo Dio. La loro condizione non può lasciare indifferenti”.

    Per chi segue Cristo, offrire comprensione e bontà è una missione più che un dovere. Per questo, Papa Francesco abbraccia con lo sguardo chi gli siede davanti dichiarando “apprezzamento” e “riconoscenza” per tutto ciò che la Chiesa per chi, sostiene, “è costretto a fuggire dal proprio Paese e vive tra sradicamento e integrazione”:

    “La compassione cristiana – il ‘soffrire con’ – si esprime anzitutto nell’impegno di conoscere gli eventi che spingono a lasciare forzatamente la Patria e, dove è necessario, nel dar voce a chi non riesce a far sentire il grido del dolore e dell’oppressione. In questo voi svolgete un compito importante anche nel rendere sensibili le Comunità cristiane verso tanti fratelli segnati da ferite che marcano la loro esistenza”.

    Ferite che il Pontefice enumera una a una per un elenco che è troppo lungo: violenza, soprusi, lontananza dagli affetti familiari, eventi traumatici, fuga da casa, incertezza sul futuro nel campo-profughi. Ferite alle quali la Chiesa deve rispondere con una pastorale adeguata:

    “Essi richiedono una particolare cura pastorale che rispetti le loro tradizioni e li accompagni ad una armoniosa integrazione nelle realtà ecclesiali in cui si trovano a vivere. Le nostre Comunità cristiane siano veramente luoghi di accoglienza, di ascolto, di comunione! Cari amici, non dimenticate la carne di Cristo che è la carne dei rifugiati: è la carne di Cristo”.

    E qui, Papa Francesco opera uno scarto invitando tutti – afferma – a cogliere nonostante tutto "negli occhi e nel cuore dei rifugiati e delle persone forzatamente sradicate anche la luce della speranza”, quella che alla fine del tunnel illumina nuove possibilità. E ciò che il Papa dice colpisce e commuove:

    “Ammiro il coraggio di chi spera di poter gradualmente riprendere la vita normale, in attesa che la gioia e l’amore tornino a rallegrare la sua esistenza. Tutti possiamo e dobbiamo alimentare questa speranza!”.

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    Papa Francesco: sopportare con pazienza le difficoltà e vincere con amore le oppressioni

    ◊   “Sopportare con pazienza e vincere con amore le oppressioni esterne ed interne”: è la preghiera elevata da Papa Francesco durante la Messa Santa Marta nella memoria di Maria Ausiliatrice. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Nell’omelia, Papa Francesco chiede due grazie: “Sopportare con pazienza e vincere con amore”. Si tratta di “grazie proprie di un cristiano”. “Sopportare con pazienza” – osserva – “non è facile!”. “Non è facile, quando vengono le difficoltà da fuori, o quando vengono i problemi nel cuore, nell’anima, i problemi interni”. Ma, sopportare – spiega – non è “portare addosso una difficoltà”:

    “Sopportare è prendere la difficoltà e portarla su, con forza, perché la difficoltà non ci abbassi. Portare su con forza: questa è una virtù cristiana. San Paolo ne parla parecchie volte. Sopportare. Questo significa non lasciarci vincere dalla difficoltà. Questo significa che il cristiano ha la forza di non abbassare le braccia, di averle così. Portare, ma su: sopportare. E non è facile, perché lo scoraggiamento viene, e uno ha la voglia di abbassare le braccia e dire: ‘Mah, avanti, facciamo quello che possiamo ma niente di più’, un po’ così …’. Ma no, sopportare è una grazia. Dobbiamo chiederla, nelle difficoltà”.

    L’altra grazia che il Papa chiede è “vincere con amore”:

    “Si può vincere per tante strade, ma la grazia che noi chiediamo oggi è la grazia della vittoria con l’amore, per mezzo dell’amore. E questo non è facile. Quando noi abbiamo nemici fuori che ci fanno soffrire tanto: non è facile, vincere con l’amore. Ci viene la voglia di vendicarci, di fare un’altra contro di lui … L’amore: quella mitezza che Gesù ci ha insegnato. E quella è la vittoria! L’apostolo Giovanni ci dice, nella prima Lettera: ‘Questa è la nostra vittoria: la nostra fede’. La nostra fede è proprio questo credere in Gesù che ci ha insegnato l’amore e ci ha insegnato ad amare a tutti. E la prova che noi siamo nell’amore è quando noi preghiamo per i nostri nemici”.

    Pregare per i nemici, per quelli che ci fanno soffrire – prosegue il Papa “non è facile”. Ma siamo “cristiani sconfitti” se non perdoniamo i nemici e se non preghiamo per loro. E “quanti cristiani tristi, scoraggiati, troviamo” – ha esclamato - perché “non hanno avuto questa grazia di sopportare con pazienza e vincere con amore”:

    “Per questo, chiediamo alla Madonna che ci dia questa grazia di sopportare con pazienza e vincere con amore. Quante persone – tanti anziani e anziane – hanno fatto questa strada! Ed è bello guardarli: hanno quello sguardo bello, quella felicità serena. Non parlano tanto, ma hanno un cuore paziente e pieno d’amore. Sanno cosa è il perdono ai nemici, sanno cosa è pregare per i nemici. Tanti cristiani sono così”.

    Alla Messa erano presenti i dipendenti del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali guidati dal presidente del dicastero, mons. Claudio Maria Celli. E proprio nel giorno in cui si celebra la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, hanno partecipato al rito anche mons. Savio Hon Tai-Fai, segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, e un gruppo di sacerdoti, religiose, seminaristi e laici cinesi. Al termine della preghiera dei fedeli il Papa ha così pregato: "Per il nobile popolo cinese: che il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca". La Messa è stata conclusa da un canto alla Madonna in cinese.

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    Festa della Madonna di Sheshan. Il Papa prega per i cattolici in Cina

    ◊   Nella Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, Papa Francesco ha lanciato un tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Nella festa di Maria Ausiliatrice – si legge – mi unisco ai cattolici in Cina che si affidano alla protezione di N.S. di Sheshan e prego per loro”. Sulla situazione dei cattolici in Cina, Salvatore Sabatino ha intervistato mons. Savio Hon Tai-Fai, segretario della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli:

    R. – Le varie comunità hanno molte difficoltà a mantenere l’identità cattolica. Io parlo non solo della Chiesa non ufficiale, ma anche di quella ufficiale. La seconda cosa è che la difficoltà consiste nella libertà religiosa perché la maggioranza dei cattolici ha grande voglia e anche devozione per il Santo Padre, desiderio di una comunione con il Successore di San Pietro. Ma questa libertà di volere avere un collegamento visibile anche col Santo Padre viene ristretta.

    D. - Qual è l’importanza di questa giornata ?

    R. – Sono due cose. La prima è la comunione della Chiesa, che non è ristretta solo a un luogo; la comunione riguarda la Chiesa universale e in questo Papa Francesco ha un ruolo specifico. La seconda cosa che ci dice questa giornata è l’importanza della preghiera.

    Sulla valenza di questa Giornata di preghiera per i cristiani nel mondo e per i cattolici cinesi in questo momento, Salvatore Sabatino ha intervistato padre Gianni Criveller, missionario del Pime in Cina e a Hong Kong da 23 anni:

    R. – Secondo me, è un appuntamento molto importante, molto prezioso anche se nella Chiesa universale non c’è ancora sufficiente coscienza e conoscenza della grave situazione della Chiesa cattolica in Cina. Per i cattolici cinesi, invece, questa giornata è molto significativa, da quando Benedetto XVI l’ha istituita nel 2007, centrata soprattutto attorno al Santuario nazionale di Sheshan a Shangai.

    D. – Questo Santuario è davvero un punto di riferimento per i cattolici non solo di Shangai, ma di tutta la Cina …

    R. – Esattamente. E’ un santuario nazionale e ha un significato enorme per tutti i cattolici della Cina e durante tutto il mese di maggio ci sono moltissimi fedeli che appartengono sia alla comunità della Chiesa ufficiale, sia quelli che appartengono alle comunità non registrate o a volte chiamate sotterranee, che si recano presso questo Santuario. Sicuramente oggi tutti i cattolici di Cina sono a Shangai e a Sheshan con il loro corpo o con la loro mente e il loro cuore.

    D. – Durante l’udienza generale di mercoledì scorso, Papa Francesco ha accennato a questa giornata di preghiera, puntando su tre elementi: unità, comunione e missione …

    R. – Sono tre elementi molto importanti. L’unità, perché è un bene preziosissimo che ancora, purtroppo, non abbiamo in Cina, all’interno della Chiesa. La missione, a cui ha accennato Papa Francesco, è sicuramente importante perché la Chiesa di Cina ha bisogno di uno slancio missionario che ancora deve amplificarsi soprattutto all’interno del popolo cinese: infatti, i cattolici cinesi, rispetto alla grande popolazione della Cina, sono circa l’1 per cento. Per quanto riguarda, invece, la comunione: è molto importante, per esempio, che si rinsaldino i rapporti tra i preti che appartengono alle varie comunità, quelle registrate o quelle riconosciute dal governo, tra i preti e i vescovi; ma poi, è importante soprattutto che si dia spazio ai laici e alle religiose che sono la vera forza, in sostanza, della Chiesa in Cina, affinché loro abbiano un maggiore ruolo di comunione, di unità all’interno delle comunità cattoliche in Cina.

    D. – Lei è un profondo conoscitore della Cina. Come viene visto Papa Francesco in questo grande Paese?

    R. – I cattolici di Cina hanno sempre avuto un grande affetto nei riguardi della figura del Papa. Sicuramente, Giovanni Paolo II è riuscito a farsi conoscere dai cattolici di Cina; lo stesso Benedetto XVI, con la sua lettera del 2007, che è stata una svolta molto importante della Storia recente della Chiesa cattolica in Cina. Papa Francesco è amato dai cattolici cinesi per lo stesso motivo per cui è amato dai cattolici di tutto il mondo, ovvero perché è il Papa – prima di tutto – e anche perché ha questa caratteristica di portare un nome che indica un modo di essere Chiesa: umile e semplice e povera. Una Chiesa che non punta sugli spetti istituzionali o sui mezzi umani, ma si affida di più ai mezzi della grazia divina. Credo che questo sia molto importante, soprattutto in Cina, oggi.

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    Delegazioni bulgara e macedone dal Papa per la festa dei Santi Cirillo e Metodio

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto due delegazioni giunte da Bulgaria e Macedonia, che ogni anno arrivano in Vaticano in occasione della festa dei co-patroni d’Europa, i Santi Cirillo e Metodio, che secondo il calendario giuliano riccorre il 24 maggio. Le due delegazioni erano guidate rispettivamente dal presidente del Parlamento della Repubblica di Macedonia, Trajko Valjanoski, e da Marin Raykov, premier e ministro degli Esteri bulgaro. Dimitar Gantchev ha intervistato Marin Raykov, chiedendogli quale sia il significato di questa ormai consueta visita in Vaticano:

    R. – Il motivo della mia visita a Roma e in Vaticano è di commemorare l’opera evangelizzatrice dei Santi fratelli Cirillo e Metodio che lo Stato e la nazione bulgara hanno sviluppato e continuano a sviluppare oggi. E’ il nostro contributo all’odierna identità europea. La tradizionale udienza in Vaticano, in occasione di questa festa, ha una vasta eco nella società bulgara perché è segno di riconoscimento del ruolo dei Santi fratelli per lo sviluppo spirituale e culturale di tutto il continente europeo. E' una buona occasione per esprimere il nostro sostegno alla missione spirituale della Santa Sede in favore dei valori cristiani.

    D. – E’ il suo primo incontro con Papa Francesco. Quali impressioni ha del primo Papa latinoamericano?

    R. – Senza dubbio, è un rispettoso e stimatissimo leader ecclesiale. Soprattutto, è sorprendente l’inizio del suo Pontificato e la voglia di cambiamento dimostrato nelle sue prime parole e azioni. Ho una forte considerazione di lui e questo incontro mi ha offerto la possibilità di salutarlo a nome del popolo bulgaro. Mi rallegro di cuore per l’atteggiamento positivo di Papa Francesco verso la Chiesa ortodossa, visto che la maggioranza dei bulgari sono ortodossi. Quello che ci unisce come cristiani è la volontà di pace e comprensione nel mondo e noi apprezziamo molto la dedizione con la quale Papa Francesco lavora dall’inizio del suo Pontificato per la tutela e l’affermazione dei valori cristiani e umani. E, soprattutto, per l’avvicinamento tra diverse religioni e culture per un mondo più pacifico, più giusto, solidale, civilizzato e umano.

    D. – Qual è lo stato attuale dei rapporti tra la Bulgaria e la Santa Sede? Lei vede prospettive concrete per una più intensa collaborazione?

    R. – La Bulgaria promuove, in maniera attiva e coerente, una politica in favore dell’integrazione europea nella regione dei Balcani. Per noi, è una questione d’importanza strategica e con l’adesione della Bulgaria e la Romania all’Ue si è consolidata ancora di più la prospettiva europea in tutta la regione. Il futuro dei Paesi balcanici è legato alla loro adesione all’Ue come membri con pieni diritti. Questo rappresenta una garanzia unica per la pace e la prosperità economica nella regione. La storia dei Balcani è abbastanza complicata e drammatica, ma oggi i popoli balcanici hanno bisogno di sviluppo economico e di collaborazione. In questa prospettiva il ruolo della Santa Sede e della Chiesa ortodossa è molto importante per la pacificazione della regione. Senza dubbio, i valori spirituali sono un ponte che avvicina, creando un clima di comprensione e tolleranza. Le relazioni tra la Santa Sede e la Bulgaria possono avere un ruolo chiave e generare segnali positivi sopratutto in una regione che ha sofferto molto nel passato. Credo che questo potrebbe essere uno dei campi dove possiamo dare non soltanto messaggi positivi, ma anche azioni concrete per dare un buon esempio e affermare la tolleranza, la democrazia e tutti quei valori che sono alla base delle nostre relazioni e anche nel nostro futuro come Paesi europei. Il nostro popolo ha una profonda stima della nobile missione della Santa Sede nel tutelare e affermare ideali e valori universali legati alla pace e la sicurezza. Su questa base, siamo pronti ad approfondire i nostri contatti per coordinare le nostri posizioni non solo a livello globale ma anche regionale. A tale scopo, il nostro governo è molto vicino ad una soluzione per avere un rappresentante diplomatico presso la Santa Sede.

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    L'arcivescovo di Rio incontra il Papa in vista della Gmg: fermento e gioia in tutta la città

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto oggi in udienza mons. Orani João Tempesta, arcivescovo di Rio de Janeiro. La volontà, ha spiegato il presule, è stata quella di informare il Pontefice sullo stato dell’organizzazione per la GMG 2013, in programma dal 23 al 28 luglio nella città brasiliana. Gioia e fermento sicuramente, ma anche tante cose da fare per accogliere le migliaia di giovani che arriveranno da tutto il mondo, ha spiegato lo stesso mons. Tempesta al microfono di Silvonei Protz:

    R. – Mancano due mesi alla Gmg di Rio de Janeiro. Tutta la nostra città e il Comitato che organizza la Giornata a livello locale sono felici di accogliere tutti i giovani che si recheranno a Rio per vivere insieme a noi questo momento. In questo momento, siamo in preparazione del Campus Fidei, a Guaratiba, dove saranno celebrate la Veglia e la Messa a conclusione della Gmg. Continuiamo a ricevere le iscrizioni da parte di tutti i giovani che vogliono venire a Rio de Janeiro che saranno accolti come nostri fratelli appartenenti alla stessa famiglia. Per questo, la nostra preparazione è gioiosa e vogliamo ricevere tutti i giovani che verranno a Rio de Janeiro con il cuore aperto.

    D. – Durante l’appuntamento con Papa Francesco oggi, lei ha portato anche il kit del pellegrino per il "pellegrino numero uno"...

    R. – Si. Abbiamo chiesto questa udienza dal Santo Padre per parlare un po’ di come procede la preparazione della Gmg a Rio, dei giovani che aspettano di incontrarlo, e che con lui, aspettano l’incontro con Gesù Cristo. Abbiamo portato anche qualche simbolo della Gmg: il kit del pellegrino e una statua del Cristo Redentore come ricordo, per stare insieme al Santo Padre, per parlargli della nostra allegria. Tutti lo aspettiamo a Rio, dove il Cristo Redentore lo aspetta con le braccia aperte.

    D. – Che Rio troverà Papa Francesco?

    R. – Una Rio che, nonostante i suoi problemi come città, durante i giorni della Gmg sarà piena della gioventù del mondo. Credo il Santo Padre parlerà a tutto il mondo – non solo ai giovani, ma attraverso i giovani – per far sì che mondo del futuro sia più tranquillo, più fraterno, e più vivo a livello spirituale e sociale.

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    Il Papa ai vescovi italiani: camminate in mezzo al gregge, attenti a rialzare e a infondere speranza

    ◊   Essere pastori vuol dire “camminare in mezzo e dietro al gregge” chinandosi su quanti il Signore ci ha affidato, attenti a rialzare e a infondere speranza: è quanto ha affermato ieri pomeriggio Papa Francesco, nella Basilica di San Pietro, durante la Professione di Fede dell’Episcopato italiano. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    La nostra libertà – ha detto il Pontefice rivolgendosi ai vescovi italiani - è insidiata “da mille condizionamenti interni ed esterni, che spesso suscitano smarrimento, frustrazione, persino incredulità”:

    “Non sono certamente questi i sentimenti e gli atteggiamenti che il Signore intende suscitare; piuttosto, di essi approfitta il Nemico, il Diavolo, per isolare nell'amarezza, nella lamentela e nello scoraggiamento. Gesù, buon Pastore, non umilia né abbandona al rimorso: in Lui parla la tenerezza del Padre, che consola e rilancia; fa passare dalla disgregazione della vergogna - perchè la vergogna davvero ci disgrega - al tessuto della fiducia; ridona coraggio, riaffida responsabilità, consegna alla missione”.

    La mancata vigilanza rende tiepido il Pastore:

    “Lo fa distratto, dimentico e persino insofferente; lo seduce con la prospettiva della carriera, la lusinga del denaro e i compromessi con lo spirito del mondo; lo impigrisce, trasformandolo in un funzionario, un chierico di stato preoccupato più di sé, dell'organizzazione e delle strutture, che del vero bene del Popolo di Dio. Si corre il rischio, allora, come l’Apostolo Pietro, di rinnegare il Signore, anche se formalmente ci si presenta e si parla in suo nome; si offusca la santità della Madre Chiesa gerarchica, rendendola meno feconda”.

    Essere pastori – ha aggiunto il Papa - significa “credere ogni giorno nella grazia e nella forza che viene dal Signore nonostante la nostra debolezza”…

    “E assumere fino in fondo la responsabilità di camminare innanzi al gregge, sciolti da pesi che intralciano la sana celerità apostolica, e senza tentennamenti nella guida, per rendere riconoscibile la nostra voce sia da quanti hanno abbracciato la fede, sia da coloro che ancora “non sono di questo ovile” (Gv 10,16): siamo chiamati a far nostro il sogno di Dio, la cui casa non conosce esclusione di persone o di popoli, come annunciava profeticamente Isaia”.

    Essere pastori “vuol dire anche disporsi a camminare in mezzo e dietro al gregge”:

    “Capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a rialzare, a rassicurare e a infondere speranza. Dalla condivisione con gli umili la nostra fede esce sempre rafforzata: mettiamo da parte, quindi, ogni forma di supponenza, per chinarci su quanti il Signore ha affidato alla nostra sollecitudine. Fra questi, un posto particolare riserviamolo ai nostri sacerdoti: soprattutto per loro, il nostro cuore, la nostra mano e la nostra porta restino aperte in ogni circostanza”.

    La misura del servizio ecclesiale – ha detto il Santo Padre – si esprime “nella disponibilità all'obbedienza, all’abbassamento e alla donazione totale”:

    “Del resto, la conseguenza dell'amare il Signore è dare tutto - proprio tutto, fino alla stessa vita - per Lui: questo è ciò che deve distinguere il nostro ministero pastorale... Non siamo espressione di una struttura o di una necessità organizzativa: anche con il servizio della nostra autorità siamo chiamati a essere segno della presenza e dell'azione del Signore risorto, a edificare, quindi, la comunità nella carità fraterna”.

    Papa Francesco ha infine elevato una preghiera a Maria, Nostra Signora:

    “Madre del silenzio, che custodisce il mistero di Dio, liberaci dall'idolatria del presente, a cui si condanna chi dimentica. Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria: torneremo alla freschezza delle origini, per una Chiesa orante e penitente. Madre della bellezza, che fiorisce dalla fedeltà al lavoro quotidiano, destaci dal torpore della pigrizia, della meschinità e del disfattismo. Rivesti i Pastori di quella compassione che unifica e integra: scopriremo la gioia di una Chiesa serva, umile e fraterna. Madre della tenerezza, che avvolge di pazienza e di misericordia, aiutaci a bruciare tristezze, impazienze e rigidità di chi non conosce appartenenza. Intercedi presso tuo Figlio perché siano agili le nostre mani, i nostri piedi e i nostri cuori: edificheremo la Chiesa con la verità nella carità. E saremo il Popolo di Dio, pellegrinante verso il Regno. Amen”.

    Prima dell'omelia di Papa Francesco, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, aveva rivolto un indirizzo di saluto al Santo Padre, ricordando come il cammino delle diocesi sia scandito dall'annuncio del Vangelo e dalla testimonianza della carità:

    “Tale cammino ci vede impegnati, come pastori delle Chiese che vivono in Italia, nell’accoglienza dell’amore di Dio e nella promozione della dignità di ogni essere umano: ne è segno l’attenzione operosa e quotidiana con cui le nostre parrocchie aprono le porte a quanti sono provati dal perdurare della crisi economica. Ci anima la sollecitudine di aiutare tutti, credenti e non credenti, a ritrovare fiducia nella vita, consapevoli che proprio dal Vangelo discende la proposta di una vita buona, di una vita riuscita, piena”.

    Parole alle quali Papa Francesco ha risposto esortando i vescovi italiani a proseguire lungo questo cammino:

    “Voi avete tanti compiti. Primo, la Chiesa in Italia, il dialogo con le istituzioni culturali, sociali, politiche. È un compito vostro! E non è facile. Andate avanti con fratellanza, e la Conferenza Episcopale vada avanti con questo dialogo che ho detto in principio: con le istituzioni culturali, sociali, politiche. E’ cosa vostra. Avanti!”.

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    Don Puglisi domani Beato. Il card. De Giorgi: la sua voce necessaria come non mai

    ◊   Domani, sabato 25 maggio, don Giuseppe Puglisi sarà proclamato Beato. La messa con il Rito di Beatificazione si terrà alle 10.30 al Foro Italico Umberto I di Palermo. Presiederà la celebrazione l’arcivescovo della diocesi palermitana, il cardinale Paolo Romeo, mentre rappresentante del Papa sarà il cardinale Salvatore De Giorgi, arcivescovo emerito di Palermo, che il 15 settembre 1999 diede avvio al suo processo di Beatificazione. Don Giuseppe, o meglio padre Pino Puglisi, è stato un sacerdote diocesano noto per il suo impegno di contrasto alla criminalità organizzata, in particolare occupandosi della formazione di bambini e ragazzi di strada per i quali fondò il "Centro Padre Nostro”. Morì, ucciso dalla mafia, il 15 settembre del 1993, giorno del suo 56.esimo compleanno. Il decreto di Beatificazione di padre Puglisi per martirio "in odio alla fede” è stato promulgato da Papa Benedetto XVI il 28 giugno 2012. Adriana Masotti ha chiesto al cardinale De Giorgi che cosa rappresenta proprio per Palermo e la Sicilia l’evento di sabato:

    R. – La Beatificazione come martire della fede di don Pino Puglisi rappresenta anzitutto il dono di Dio più atteso da tutta la Sicilia e non solo. Poi, anche uno splendido e stimolante messaggio di fede per tutti nell’Anno della Fede. Il riconoscimento ufficiale del suo martirio da parte della Chiesa è anche il sigillo della perenne autorità del suo messaggio, che con la voce del sangue invita tutti al coraggio, alla coerenza, alla fortezza, alla santa audacia nell’esercizio sia del ministero sacerdotale, come di ogni altro servizio nella Chiesa, per il trionfo delle forze del bene su tutte le aggressioni e le perversioni del male, soprattutto se, come quello mafioso, agisce da perversa struttura di peccato anti-umana ed anti-evangelica, tanto più subdola e pericolosa, quanto più si ammanta e si circonda di segni e di riferimenti religiosi.

    D. – Con questa Beatificazione la Chiesa invia un messaggio chiaro: potrà essere dunque uno stimolo, o meglio un sostegno, a quanti anche oggi si impegnano nella lotta alla mafia?

    R. – A 20 anni dalla sua sacrilega uccisione, don Puglisi parla ancora. Don Puglisi si rivolge anzitutto a noi, i suoi confratelli, per ricordarci che il nostro ministero, come d'altronde la vita di ogni cristiano, è ogni giorno per sua natura vocazione al martirio. Ci ripete che il nostro primo dovere è l’annuncio del Vangelo per aiutare i fratelli a seguire Cristo e quindi a vivere onestamente nell’osservanza dei suoi Comandamenti, per formare le coscienze al rispetto delle persone, all’amore vicendevole, al gusto della solidarietà, al senso della legalità, alla capacità del perdono, a vincere così ogni forma di prepotenza, di violenza, di sopruso, di collaborazione con il crimine. Queste sono piaghe antiche che ancora non si riescono a sanare, soprattutto dove il degrado ambientale e morale è maggiore. Ma la voce di don Pino giunge a tutti i cristiani per ricordare che oggi la testimonianza del Vangelo è necessaria come non mai. La sua voce giunge particolarmente ai genitori perché educhino al bene i propri figli, esposti in particolare oggi alle suggestioni della droga, dell’alcol e - anche soprattutto in certe zone - alla dispersione scolastica, alle peggiori forme di sfruttamento sociale, a violenze sessuali e ai tentacoli della malavita diffusa e organizzata. La sua voce giunge a quanti hanno responsabilità politiche e amministrative, perché abbiano sempre più a cuore la soluzione dei problemi dei quartieri più a rischio, come chiedeva don Pino per il suo quartiere Brancaccio, dove purtroppo i suoi sogni non sono stati ancora del tutto realizzati. La sua voce giunge infine anche – e direi soprattutto – ai criminali per ricordare loro che egli con Gesù ha versato il suo sangue per la loro conversione, per la loro liberazione dalla schiavitù del peccato. Il sorriso con il quale don Puglisi ha detto al suo killer: “Me lo aspettavo” è un invito a tornare decisamente a Dio, che nella sua misericordia infinita li aspetta come il Padre della parabola evangelica.

    D. – Don Puglisi è riconosciuto martire in odio alla fede. Quale legame c’è stato nella vita di don Puglisi tra la sua adesione al Vangelo e il suo impegno a sottrarre alla criminalità organizzata i giovani della sua parrocchia?

    R. – Don Puglisi è stato ucciso perché sacerdote, perché sacerdote coerente e fedele secondo il cuore di Dio, perché impegnato nell’annuncio del Vangelo e nel suo dovere di educatore soprattutto dei giovani. Don Puglisi è stato ucciso perché con la sua silenziosa ma efficace azione pastorale, sottraeva le nuove generazioni alle suggestioni del male. L’odio al suo zelo pastorale, alla sua opera di evangelizzazione, di formazione delle coscienze, è stato appunto la testimonianza del vero sacerdozio, del vero ministero sacerdotale. L’odio al suo zelo pastorale non è semplicemente l’odio verso un sacerdote, è l’odio a Cristo, alla Chiesa, al Vangelo. E per questo è stato riconosciuto come martire della fede. Don Puglisi è andato incontro alla morte con gli occhi aperti per essere fedele al suo ministero di sacerdote. E lì, ha realizzato quella coraggiosa testimonianza cristiana di cui aveva parlato Papa Giovanni Paolo II ad Agrigento: “La vera forza in grado di vincere queste tendenze distruttive sgorga dalla fede”. Così è stato don Puglisi. Così è riconosciuto dalla Chiesa.

    Sul fermento che attraversa la Chiesa e la città di Palermo in questa giornata di vigilia, riferisce dal capoluogo siciliano Alessandra Zaffiro:

    Palermo si appresta a festeggiare padre Pino Puglisi, primo martire della mafia, che domani mattina davanti a circa ottantamila fedeli provenienti da tutta Italia, sarà elevato agli onori degli altari. Don Pino ha vinto la sua battaglia contro coloro che lo hanno osteggiato fino a sentenziarne la morte, credendo di sconfiggere per sempre il sacerdote di Brancaccio e la sua opera al fianco di quei giovani che la criminalità organizzata reclutava per avere bassa manovalanza. Invece, padre Puglisi continua a vivere grazie alla sua testimonianza e al suo sacrificio. “Non sono un biblista, non sono un teologo, né un sociologo, sono soltanto uno che ha cercato di lavorare per il Regno di Dio”, diceva di sé don Pino, il cui senso della sfida, è racchiuso nella frase: “E se ognuno fa qualcosa”. Il rito di Beatificazione, cui prenderanno parte 40 vescovi e 750 presbiteri, sarà presieduto dal cardinale Salvatore De Giorgi, delegato di Papa Francesco, mentre la celebrazione eucaristica sarà presieduta dall’arcivescovo di Palermo Paolo Romeo. Allo svelamento della foto del sacerdote si canterà il Te Deum, quindi l’arcivescovo Emerito del capoluogo siciliano, De Giorgi, leggerà la Lettera apostolica e incenserà le reliquie di don Pino.

    “Il martirio di Padre Puglisi – afferma oggi il cardinale di Palermo Paolo Romeo – richiama l’educazione delle coscienze e la Chiesa deve essere in prima linea. Qui si capisce la grandezza del martirio di don Puglisi, che è stato ucciso perché era un prete che formava le coscienze, costruiva la comunità parrocchiale e aiutava le persone a uscire dai meccanismi che le rendono schiavi. Questo evidentemente dava fastidio. Perciò - prosegue l’arcivescovo di Palermo - penso che la sua beatificazione ci aiuterà a prendere coscienza del vero cambiamento da attuare. La gente pensa infatti che devono cambiare gli altri. E invece don Puglisi ci dice che ognuno di noi ha qualcosa da cambiare nel proprio cuore, nel proprio pensare, nel proprio agire. Solo così la civiltà dell’amore potrà affermarsi”. Don Pino Puglisi sorride timidamente ai fedeli che custodiscono una sua immagine in casa o lo portano con sé fra piccole icone, documenti d’identità e foto di famiglia. Il suo sguardo ha la forza della Fede e a coloro che si rivolgono a lui, anche chi non lo ha conosciuto, ricorda che pur nelle avversità, possiamo farcela.

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    Tweet del Papa: “I miracoli ci sono, ma serve una preghiera coraggiosa!"

    ◊   Nuovo tweet del Papa dopo mezzogiorno: “I miracoli ci sono – scrive - Ma serve la preghiera! Una preghiera coraggiosa, che lotta, che persevera, non una preghiera di cortesia”.

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    Il Papa ha creato una nuova diocesi nella Repubblica del Congo

    ◊   Papa Francesco ha eretto la nuova diocesi di Dolisie nella Repubblica del Congo, per dismembramento della diocesi di Nkayi, rendendola suffraganea dell’arcidiocesi di Brazzaville, nominando come primo vescovo, il sacerdote Bienvenu Manamika Bafouakouahou, Vicario Generale della Diocesi di Kinkala.

    La nuova diocesi di Dolisie, estesa su una superficie di poco meno di 26 mila Kmq, comprenderà tutta la regione del Niari e confinerà a nord con Gabon, ad est con la Diocesi-madre di Nkayi, a sud con la Repubblica Democratica del Congo e a ovest con la Diocesi di Pointe-Noire. Sarà suffraganea della Provincia ecclesiastica di Brazzaville. La popolazione è di circa 210 mila abitanti, dei quali 71 mila cattolici, suddivisi in 71 parrocchie, rette da 30 sacerdoti diocesani, due sacerdoti religiosi, con l’apporto di 3 religiose e 25 seminaristi. La chiesa parrocchiale di San Paolo di Dolisie diventerà la Chiesa Cattedrale dell'erigenda diocesi.

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    Viaggio del card. Sandri in Libano e Giordania: domenica la supplica di pace per la Siria

    ◊   Il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ha iniziato oggi un viaggio in Medio Oriente: prima tappa è il Libano, poi il 28 maggio si sposterà in Giordania. Il rientro è previsto il primo giugno. Oltre a partecipare all’ordinazione episcopale dei nuovi vescovi maroniti dell’Argentina e dell’Australia, questa domenica celebrerà la Santa Messa nel Santuario interrituale della Madonna di Zahleh, alla quale parteciperanno l’arcivescovo melkita e gli altri pastori delle Chiese orientali locali con i rispettivi fedeli. L’intenzione principale della preghiera in tale circostanza sarà la supplica di pace per la Siria, per il Libano e per tutto il Medio Oriente. Nei giorni seguenti, il cardinale incontrerà i Patriarchi Maronita, Melkita, Siro e Armeno, come pure alcune Comunità religiose e specialmente i giovani volontari di Caritas Libano, che stanno facendo fronte con altri organismi umanitari alla immane tragedia dei profughi provenienti dalla Siria.

    La visita in Giordania sarà pure dedicata all’incontro con i pastori e i fedeli delle diverse comunità cattoliche, in particolare con quella greco-melkita di Petra e Filadelfia e del Patriarcato Latino di Gerusalemme, il cui territorio si estende all’intero Paese. Giovedì 30 maggio il cardinale assisterà all’inaugurazione dell’Università di Madaba, appartenente al Patriarcato Latino di Gerusalemme. E’ prevista la presenza del Re Abdallah II di Giordania. Prima del rientro a Roma, il porporato visiterà il campo di profughi provenienti dalla Siria e da altre regioni del Medio Oriente. A tutti, pastori e fedeli, autorità e popolo del Libano e della Giordania il cardinale porterà il saluto affettuoso, colmo di condivisione delle ansie e del dolore di queste regioni, di Papa Francesco, impartendo la Benedizione apostolica come pegno di vicinanza e di speranza nel Signore per i Paesi dell’intera area Medio Orientale.

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    Il cardinale Turkson a Chicago: inaccettabile il continuo impoverimento dei Paesi africani

    ◊   Gli effetti nefasti della globalizzazione sui Paesi in via di sviluppo e la via da percorrere per tendere ad un’economia che sia moralmente valida. E’ stato questo il tema sviluppato dal cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, alla Conferenza su economia e dottrina sociale della Chiesa, promossa dal Lumen Christi Institute dell’Università di Chicago. A 50 anni dalla morte di Giovanni XXIII il cardinale Turkson ha rammentato l’importanza dell’Enciclica Pacem in Terris e il recente magistero di Papa Francesco che richiama il mondo ad una solidarietà disinteressata affinché si possa tornare nel mondo della finanza e dell’economia ad un’etica incentrata sulla persona. Allo stesso modo il porporato ha citato i principi guida della Caritas in veritate di Benedetto XVI e il suo richiamo ad essere protagonisti della globalizzazione e non vittime, agendo razionalmente guidati dalla carità e dalla verità. E’ per questo che diviene inaccettabile – spiega il porporato nel suo intervento – accettare il paradosso dell’impoverimento progressivo dei Paesi africani, nonostante abbiano delle economie in forte crescita. La speculazione e l’ingiustizia economica che in questi ultimi decenni hanno dominato la globalizzazione devono essere corrette. Sette i principi chiave di questa riforma globale e morale del sistema finanziario ed economico sui quali riflettere: la giustizia economica; il concetto di proprietà; la solidarietà; la fraternità; la riconciliazione; il concetto di governo per il bene comune e il principio di sussidiarietà. Un progresso che garantisca maggiori benefici per tutti richiede – secondo il porporato – non tanto teorie e competenze tecniche, quanto fede e speranza. L’ineguaglianza e l’ingiustizia non sono naturali conseguenze dell’economia di mercato, spiega il cardinale Turkson, aggiungendo che la crisi economica attuale può essere letta come un’opportunità per mettere a fuoco una nuova visione del futuro che vorremmo. (A cura di Stefano Leszczynski)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, in apertura, il nuovo appello di Papa Francesco contro la tratta di uomini, donne e bambini, “una vergogna per le nostre società che si dicono civilizzate”, rivolto alla Chiesa e alla comunità internazionale durante l’udienza ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.

    Di spalla, un articolo sulla meditazione alla professione di fede con i vescovi italiani: stare «in mezzo» al gregge, ha detto Papa Francesco, richiede soprattutto la capacità «di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela».

    Nelle notizie internazionali, il viaggio di John Kerry in Israele e nei Territori per rilanciare il processo di pace, e “Spiragli d’intesa fra Pakistan e talebani”, un articolo dedicato al difficile dialogo in corso tra i miliziani e il futuro premier.

    Un'intera pagina, nella cultura, è dedicata alla beatificazione di don Pino Puglisi, sabato prossimo a Palermo; padre Pino Puglisi, chiamato scherzosamente "tre P" dai suoi ragazzi, viene ricordato da Salvatore De Giorgi, cardinale arcivescovo emerito di Palermo, Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, postulatore della causa di canonizzazione, Emilio Ranzato e Giulia Galeotti.

    In occasione del decennale della morte dell’epigrafista gesuita Antonio Ferrua, Carlo Carletti ne ricorda la grande perizia e gli atteggiamenti retrò, volutamente anticonformisti. Nella stessa pagina, “Voglia di capire”, dedicato al convegno dell’Osservatorio Permanente Giovani-Editori a Borgo La Bagnaia, in provincia di Siena, una due giorni dedicata all'editoria che vede tra i relatori anche Jill Abramson, la prima donna alla guida del «The New York Times», e Gerard Baker, da pochi mesi direttore del «The Wall Street Journal», per la prima volta insieme su un palco.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria, governo disposto "in via di principio" a partecipare alla Conferenza di pace

    ◊   Il governo siriano è disposto a partecipare alla Conferenza di pace che dovrebbe svolgersi nelle prossime settimane a Ginevra. La notizia della disponibilità “in via di principio” è arrivata tramite il Ministero degli esteri russo. Si registrano divisioni invece nell’opposizione, i cui dirigenti più importanti sono riuniti a Istanbul fino a domani. Intanto, la crisi di sicurezza e umanitaria investe sempre più i Paesi vicini. Il servizio di Davide Maggiore:

    Damasco ha annunciato che parteciperà alla Conferenza di Ginevra “affinché i siriani trovino da soli un sentiero politico” per risolvere la crisi. L’annuncio arrivato da Mosca si inserisce nelle trattative sul vertice con il quale Stati Uniti e Russia sperano di porre fine alla sanguinosa guerra nel Paese arabo. Il governo russo ha però fatto sapere che non sarà possibile fissare una data per l’incontro di Ginevra, prima che l’opposizione siriana indichi i suoi rappresentanti. Ma la Coalizione nazionale siriana, principale sigla d’opposizione, riunita a Istanbul sembra divisa anche sulla proposta del suo leader dimissionario, Moaz al-Khatib, che aveva offerto ad Assad, ai suoi familiari e a 500 esponenti del regime un salvacondotto in cambio della rinuncia al potere.

    Intanto, mentre l’Unione Europea discute sull’opportunità di mantenere l’embargo sulle armi verso la Siria, continuano gli scontri tra sostenitori e oppositori di Assad a Tripoli, nel Libano settentrionale. Negli ultimi cinque giorni, i morti sono stati oltre 20 e circa 200 i feriti. L’emergenza riguarda anche i rifugiati: sono ormai 195 mila solo quelli ufficialmente registrati in Turchia.

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    Sbloccato il negoziato per nuove relazioni economiche Ue-Usa

    ◊   Via libera al negoziato Ue-Usa su commercio e investimenti. L'approvazione da parte del parlamento europeo della proposta di mandato negoziale alla Commissione ha sbloccato un processo pensato da tempo che ridisegnerà i rapporti economici. Si tratta di regolamentare attraverso un unico trattato, e non più affidandosi alle innumerevoli discipline multilaterali, le relazioni tra due sistemi economici che insieme rappresentano il 50% del Pil mondiale e il 30% degli scambi globali. Dei termini effettivi del negoziato, e delle potenzialità in termini di crescita, Fausta Speranza ha parlato con Paolo Guerrieri:

    R. – Quello che c’è di nuovo è che è aumentata fortemente l’esigenza dell’economia, delle imprese, di un progetto e un accordo di questo genere. Noi dobbiamo ricordare che Stati Uniti e Europa, per quanto riguarda soprattutto commercio ma anche investimenti, sono l’area oggi ancora più ricca e più importante nel mondo. Ma in realtà, più che guardare al lato tradizionale degli scambi, cioè importazioni e esportazioni, le tariffe, i dazi come si faceva una volta, quello che interessa di più sono le cosiddette barriere non commerciali alla possibilità che le imprese investano e operino sia in Europa che negli Stati Uniti. L’accordo transatlantico è molto importante da questo punto di vista: potrebbe mirare a rendere sempre più omogenee, se non addirittura uniformare, queste regole, questi standard amministrativi, che per le imprese sono diventati importantissimi e che molte volte ostacolano gli investimenti.

    D. – In qualche modo, andiamo verso una sorta di mercato unico, Unione Europea e Stati Uniti? Ma già l’Unione Europea sta ancora faticosamente costruendo il suo mercato unico interno…

    R. – Credo che a medio e lungo termine l’obiettivo, la finalità, debbano essere così ambiziosi proprio da pensare a un mercato unico, interno, transatlantico. E’ vero che il mercato interno unico addirittura in Europa stenta a nascere. Per i prodotti industriali è un dato di fatto, come sappiamo, ma è sui servizi che il mercato interno europeo è in larga parte da costruire. Ma questo non vuol dire che non ci sia spazio oggi per un’iniziativa comune, Stati Uniti ed Europa, che miri proprio a questo: alla possibilità di creare uno spazio comune europeo e americano dove le imprese si possano muovere senza dover fare i conti con queste barriere, che sono amministrative, burocratiche, e nulla hanno a che vedere con l’economia. Teniamo conto che questo è un disegno molto importante per poter poi fronteggiare la famosa sfida asiatica.

    D. – Ci sono potenzialità di crescita, sembra di capire…

    R. – Quando si crea uno spazio comune di questo tipo, quando si abbattono le barriere, nascono molte potenzialità e quindi la crescita può venire fuori da questo: cioè, le imprese, per sfruttare queste potenzialità, investono perché si riorganizzano, perché invece di avere tante sedi per poter aggirare queste barriere, in realtà razionalizzano la loro organizzazione, e naturalmente quando si investe si crea domanda, si crea occupazione. Quindi, un’iniziativa di questo genere crea potenzialità e nel creare potenzialità spinge e incentiva le imprese a investire. Questo potrebbe essere l’effetto positivo e nulla toglie al fatto che poi siano necessarie politiche macroeconomiche e tutto quello che sappiamo. Ma certamente sarebbe una grande spinta alla possibilità per le imprese di una ristrutturazione e di investimenti per la crescita. E’ avvenuto in Europa esattamente a metà degli anni ’80, anticipando tra l’altro la creazione del mercato interno europeo, perché questa spinta avviene addirittura ancora prima che poi si vari ufficialmente un mercato di questo genere.

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    Il card. Bagnasco: grati al Papa per l'incoraggiamento al nostro ruolo di Pastori

    ◊   Con una conferenza stampa del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, si è chiusa questa mattina la 65.ma Assemblea generale annuale dei vescovi, iniziata lunedì e segnata ieri dalla solenne Professione di fede presieduta da Papa Francesco che, ha detto il cardinale Bagnasco, “ci ha incoraggiati a proseguire con fiducia e rigore il nostro ruolo di pastori”. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    “Le tematiche della nostra assemblea si aprono al momento storico che viviamo come chiesa italiana: il cuore è ed è stato il tema educativo”, ha spiegato il cardinale Angelo Bagnasco, in particolare i criteri di scelta e formazione degli educatori affinché la loro opera sia efficace. Dalla comunità cristiana, primo grembo dell’educazione, ai genitori, invece, i primi attori in quest’ambito. Poi, la riflessione che scaturisce da quella educativa e sui cui i vescovi hanno dibattuto in questi giorni, e cioè la relazione “Umanesimo e umanesimi”, che sarà approfondita anche nel prossimo Convegno ecclesiale di Firenze. Ma il cuore di queste giornate è stato sicuramente l’incontro avuto ieri con il Papa:

    “I vescovi italiani sono molto grati di questo incontro, di questo incoraggiamento, di queste linee di indirizzo che ci ha confermato e che ci ha incoraggiato a proseguire con fiducia e anche, naturalmente, con grande rigore – spirituale, morale e pastorale – per essere noi, vescovi, davanti al gregge - come ci ha detto – ma non solo davanti al gregge per dare l’esempio, ma anche nel gregge e anche dietro al gregge: sono tre piccole parole che però sono molto significative e che descrivono in modo puntuale l’immersione totale del pastore dentro al suo popolo”.

    Anche il richiamo fatto dal Pontefice – un richiamo fraterno – alla vigilanza, alla santità, all’amore a Gesù Cristo innanzitutto, rifuggendo l’attaccamento alle cose o il carrierismo, ha detto il cardinale Bagnasco rispondendo ai giornalisti, è un appello che i vescovi sentono in prima persona e di cui sono grati al Pontefice. Un appello che si pone sulla scia di quanto detto sempre anche da Benedetto XVI. Il cardinale Bagnasco:

    “C’è sempre bisogno di richiamarci e di essere richiamati alla santità. Santità vuol dire anche vigilanza, guardare a Cristo ma anche vigilare su noi stessi. La dottrina cattolica, la fede ci insegna che le conseguenze del peccato originale e dei nostri peccati personali restano: le conseguenze sono una inclinazione, una debolezza verso il male in tutte le sue forme. Quindi, è provvidenziale, opportuno questo richiamo alla vigilanza per noi pastori, rispetto a tutte le forme di ambizione personale, di attaccamento al denaro, alle cose del mondo …”.

    Con i giornalisti, il presidente della Cei è tornato a sottolineare il ‘sì’ all’impegno al dialogo con le istituzioni italiane, che è proprio della Conferenza episcopale, come dettano i documenti stessi della chiesa. E’ tornato anche a sottolineare il timore per gli ultimi dati sul lavoro e la crisi industriale in Italia, ribadendo che l’approccio solo finanziario a questo problema è limitato:

    “Non ci può essere una soluzione al problema industriale, serio, con la sola preoccupazione di sanare i debiti. Insieme ci dev’essere un reale, incisivo e possibile piano di rilancio e di sviluppo industriale. Perché perdere delle parti, perdere dei pezzi, potrebbe avere in prospettiva conseguenze anche molto gravi”.

    E alla domanda se sia opportuno o meno "vendere le chiese", in questo contesto di crisi attuale, il cardinale Bagnasco ribadisce, tornando sulle parole che il Papa ha rivolto alla Caritas internationalis, che quello è stato semplicemente un richiamo, un richiamo a fare di più. Ma i sacerdoti – sottolinea il porporato – non si tirano mai indietro e sono sempre in attività per reperire risorse.

    Riguardo ai funerali da celebrare domani per don Andrea Gallo a Genova, il cardinale sgombra il campo dalle polemiche e da falsità che sono state dette: “Celebro i funerali di tutti i miei preti che tornano a Dio: questa non è un’eccezione. Lo ritengo un mio dovere”:

    “Dentro a questo rapporto di dialogo, di stima, di affetto – di affetto! – che il vescovo ha per tutti i suoi sacerdoti, abbiamo vissuto questi anni. Io a volte ho chiesto spiegazioni, sollecitato anche da altre persone, e si è cercato insieme di fare chiarezza nella stima, nell’affetto reciproco”.

    Non è mancato nemmeno il riferimento ad un altro sacerdote, don Pino Puglisi, di cui domani si celebrerà la Beatificazione a Palermo: definirlo solo un prete della lotta alla mafia è assolutamente riduttivo. Così il cardinale Bagnasco:

    “E’ gravemente riduttivo, perché in odium fidei, in quanto sacerdote che faceva il suo dovere, specialmente sul piano educativo, è stato ucciso. Quindi, martire”.

    Presentato in Conferenza stampa anche lo schema della ripartizione dell'8 per mille: la Chiesa italiana potrà disporre per il 2013 di circa 115 milioni in meno rispetto all'anno precedente. Il dato costringe i vescovi a rimodulare le sue voci di bilancio, approvate a chiusura dell'Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana. "Questo calo - precisa il cardinale Angelo Bagnasco - è frutto più di una diminuzione del reddito complessivo degli italiani che non di una scelta dei contribuenti. Infatti, il numero di coloro che hanno destinato l'8 per mille alla Chiesa cattolica è diminuito in maniera quasi impercettibile". In totale, si passa da 1 miliardo 148 milioni 76mila euro del 2012 a 1 miliardo 32 milioni 667mila euro del 2013. Nella rimodulazione delle voci di bilancio, le esigenze di culto e per la pastorale scendono da 479 milioni a 421 milioni, di interventi caritativi da 255 milioni a 240 milioni. "Ma non diminuiranno nel loro complesso", assicura il cardinale Bagnasco, mentre si passa da 364 a 382 milioni per il sostentamento del clero.

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    Italia, ricerca shock: evidente il legame tra gioco d'azzardo e consumo di droghe

    ◊   E’ sempre più evidente, soprattutto tra i giovani e gli anziani, il legame tra gioco d’azzardo e consumo di droghe. E’ quanto emerge dallo studio condotto in Italia con dati relativi al 2012 e diffusi dal Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri. Sugli aspetti principali emersi da questa indagine, ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco, il capo Dipartimento Politiche antidroga, Giovanni Serpelloni:

    R. - Chi fa un utilizzo maggiore delle macchinette da gioco, cioè le slot machine, chi è più colpito da gioco d’azzardo patologico ha anche - contestualmente - un aumento dell’uso di sostanze stupefacenti, in particolare cannabis e cocaina. Sono colpiti fondamentalmente i giovani e gli anziani. I giovani, soprattutto, hanno una condizione di immaturità cerebrale, poiché tale maturità va a completarsi verso i 22 - 23 anni. Nel momento in cui si instaurano o si inseriscono percorsi di dipendenza, sia da sostanze sia da gioco d’azzardo, questo sviluppo cerebrale, e quindi tutti i modelli cognitivi che stanno sopra i valori delle persone, vengono comunque deviati.

    D. - Possiamo dire che il gioco d’azzardo è la miccia d’innesco di altre dipendenze?

    R. - Noi su questo ci stiamo lavorando, perché è un’idea che abbiamo intuito, ma di cui non abbiamo ancora prove scientifiche. Abbiamo visto - comunque - che chi ha una propensione alle dipendenze, è una persona cosiddetta vulnerabile; ha dipendenze perché nasce con delle caratteristiche individuali, a volte geneticamente trasmesse, che lo rendono più incline a ricercare stimoli emotivi molto forti e quindi, poi, a restarne dipendente. Non abbiamo ancora certezze, perché semplicemente non le abbiamo cercate, per stabilire se il gioco d’azzardo possa essere una prima introduzione alle dipendenze. Ma sicuramente è una cosa che va approfondita dal punto scientifico. E questo lo stiamo facendo.

    D. - Dunque, le dipendenze formano spesso una rete articolata, una ‘trappola’ da cui le persone non riescono a liberarsi. Un approccio integrato, che utilizza una pluralità di competenze, appare la risposta più adeguata ...

    R. – Sì, la prevenzione deve essere assolutamente di stampo educativo. Una buona educazione, impostata in particolare sulla famiglia e sulla scuola, fatta molto precocemente, con i linguaggi adeguati, con la trasmissione di stili di vita, di comportamenti, di atteggiamenti, di valori paga assolutamente nel tempo. Quindi la prevenzione è quella che poi scientificamente provoca anche una maggiore ritenzione dei messaggi e dei comportamenti nel tempo all’interno del cervello delle persone. Parlo da neuro scienziato; le assicuro che l’educazione è in grado di forgiare e di mettere all’interno di un cervello principi che poi restano per tutta la vita.

    D. - Anche lo Stato ha delle evidenti responsabilità. Ricordiamo che in Italia, il gioco d’azzardo ha assunto dimensioni rilevanti anche grazie ad una forte spinta commerciale di matrice statale…

    R. - Lo Stato ha e deve avere come priorità la salute dei cittadini. Non è possibile pensare e andare avanti facendo reddito o rimpinguando le casse dello Stato con i giochi d’azzardo, e tanto meno, con la legalizzazione di sostanze stupefacenti o cose di questo genere. Ci sono delle priorità da rispettare. È chiaro che - di fatto - c’è una situazione molto complessa, perché dietro al gioco d’azzardo legale ci sono circa seimila aziende, con centinaia di migliaia di addetti. In qualche modo, è necessario comprendere come bilanciare l’intervento dello Stato per non andare a lesionare anche posti di lavoro. Ma, sicuramente, le priorità sono la protezione dell’individuo e della famiglia.

    D. - A proposito di priorità, il Dipartimento politiche antidroga ha annunciato la nascita del Comitato consultivo nazionale per il gioco d’azzardo…

    R. - In questi giorni stiamo raccogliendo le adesioni per la realizzazione di un comitato consultivo dove tutti quelli che hanno un’organizzazione, un’associazione o comunque una struttura associativa rappresentativa della varie parti della società civile, possono esprimere la loro opinione e dare consigli ed indicazioni. Indicazioni che noi riporteremo fedelmente all’interno dell’osservatorio, in modo da poter costruire quelle linee di indirizzo che sono state chieste, sia interne di prevenzione, sia di cura e soprattutto di riabilitazione, con la partecipazione di tutti. Questa è una battaglia che si può vincere, come quella contro la droga, come quella contro tutte le dipendenze, solo se l’intera società si mobilita. È chiaro che gli interessi di qualcuno non possono essere superiori a quelli della società e della comunità in generale come è in questo caso. Quindi quel comitato consultivo dovrà per noi essere il motore di idee, di indicazioni, che poi porteremo all’interno dell’osservatorio, dove sono presenti - fondamentalmente - tutte le amministrazioni centrali che devono dare le risposte a questo problema.

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    Pellegrinaggio militare a Lourdes. Mons. Pelvi: Santi anche in divisa

    ◊   È iniziato oggi il 55.mo pellegrinaggio militare internazionale a Lourdes, ispirato all’Anno della Fede. Ad accompagnare il folto contingente italiano in uno dei luoghi mariani più frequentati al mondo è l’ordinario militare, mons. Vincenzo Pelvi. Alla vigilia dell’evento, Luca Collodi lo ha intervistato:

    R. – E’ un pellegrinaggio significativo per il cammino spirituale delle famiglie dei nostri militari e dei militari stessi. Quest’anno, il pellegrinaggio vede la partecipazione di oltre 3.500 militari italiani ed ha connotazione speciale, l’Anno della Fede. Lourdes è una delle tappe del nostro cammino di quest’anno che si unisce anche al pellegrinaggio fatto a Capodanno in Terra Santa, la porta della fede. Maria ci fa entrare in Gesù, ci accompagna in lui e ci guida attraverso la sua materna vicinanza al Signore vivente e risorto.

    D. – Il pellegrinaggio di quest’anno ha come riferimento alcuni testimoni del mondo militare che sono Santi. Si può essere Santi anche vivendo un’esperienza militare?

    R. – Sì, perché l’anno della Fede e Lourdes vogliono essere per noi l’occasione per rivolgere l’attenzione ai Santi che nel firmamento della storia militare sono come stelle di orientamento. E’ l’attualità dei nostri Santi militari di ogni Forza Armata, cappellani militari ma anche fedeli laici, che hanno vissuto la loro professione militare. Negli anniversari che il mondo civile si appresta a celebrare, in riferimento alle due grandi guerre mondiali, non può mancare quella centralità di vita. Possiamo dire che i nostri Santi militari sono coloro che uniscono insieme la scienza della fede e la scienza dell’amore, nella carne donata dai nostri Santi militari per il bene e la gioia del mondo. Vorrei sottolineare la loro attualità. Se penso a come si è immolato Salvo d’Acquisto, del quale celebriamo a settembre il 70.mo dalla morte. O faccio riferimento alle missioni di sicurezza, all’immolarsi per gli altri. Penso a Carlo Gnocchi, la speranza di una vita che supera la fragilità. Penso al finanziere Gabbana, e allora dico che è possibile oggi uno stile di fraternità umana sul suo esempio, andando oltre quelli che sono i parametri di immediatezza della stessa fede. Perché Gabbana ha veramente salvato, come altre cappellani, gli ebrei. Ha cercato di mettere pace in una terra come quella istriana. Oppure, la tragedia recente di Genova mi porta al pensiero di Egidio Bullesi, l’“angelo del tabernacolo” per la sua fede eucaristica, apostolo dei giovani nella zona di Trieste. Ricorderei Semeria, un patriota cristiano, che ha cercato di conciliare fede e vita.

    D. – La dimensione internazionale del pellegrinaggio a Lourdes può rafforzare l’esperienza delle missioni di pace all’estero?

    R. – Certamente. I nostri militari sono persone che posseggono il Vangelo della solidarietà e dell’accoglienza. Se mi riferisco a Giovanni XXIII, il “cappellano” della Pacem in Terris, direi che questo pellegrinaggio a Lourdes invita tutti a guardare fuori i confini del nostro Paese. A Lourdes, preghiamo per la pace nel mondo ma preghiamo anche per il delicato momento che attraversa l’Italia. Mi pare sia significativo il richiamo, in questo senso, a Papa Giovanni XXIII che, celebrando il centenario dell’Unità d’Italia, disse che la storia tutto vela e tutto svela. Dobbiamo cioè voltare pagina sulle divisioni e incoraggiare la vita democratica dell’Italia e, aggiungerei, una parola bella di preghiera che facciamo nostra a Lourdes che è di Semeria. Impegnato nella riconciliazione tra la Chiesa e la Patria, convinto che l’ingresso dei cattolici nel sociale, poteva rinnovare umanamente e spiritualmente l’Italia. L’incoraggiamento ai nostri soldati è quello di essere fieri per portare a tutti il senso della misericordia della tenerezza e della pace.

    D. – Il pellegrinaggio a Lourdes richiama l’impegno del laicato cattolico nel sociale al servizio della democrazia?

    R. – I militari vengono da esperienze ecclesiali e credo che come istituzione siano una cerniera molto solida e robusta di intesa tra quelli che sono i veri valori e quella che è la crisi del relativismo, del permissivismo, dell’egoismo. I militari mostrano, con la testimonianza familiare e personale, che vale la pena andare avanti sapendo che la storia è fatta di coraggio, determinazione, ma anche di consapevolezza che nulla va perso di quello che diamo agli altri nella vita.

    D. – Il pellegrinaggio a Lourdes arriva alla vigilia della festa della Repubblica italiana del 2 giugno, celebrata con la tradizionale parata militare. Cosa significa festeggiare la Repubblica pensando a quanti sono caduti per l’istituzione repubblicana in missione di pace, o ai due marò ancora bloccati in India?

    R. – Credo che la Festa della Repubblica sia una manifestazione di affetto, di vicinanza per coloro che sono testimoni di una carità fatta di rinunce, di sacrificio fino alla vita, di una carità che diventa linfa di speranza per un futuro sereno dei popoli. Credo veramente che i nostri militari diano tutto quello che hanno. Fino ad offrire la loro vita, perché ci sia speranza nel mondo. E qui il pensiero va alle famiglie che soffrono i loro caduti in missione di pace. C’è chi muore in servizio come i nostri militari, come anche i civili che hanno perso la vita recentemente nel porto di Genova. Un pensiero poi a Salvatore e Massimiliano, che saranno presenti spiritualmente a Lourdes e ai Fori imperiali a Roma con la loro fede e anche con il loro coraggio di salvaguardare l’interesse dell’Italia, pur restando in India. Il nostro pensiero a tutti quanti, 24 ore su 24, ci mettono nella possibilità di potere vivere una vita serena, una vita fatta di incontro, dialogo, condivisione e fraternità.

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    Campagna del Campus Bio-Medico di Roma per i malati di autismo

    ◊   Una malattia che si manifesta intorno ai tre anni di vita con la difficoltà sempre più evidente a intrecciare relazioni con gli altri, fino al completo isolamento e alla difficoltà di vivere una vita sociale e lavorativa. Questo è l’autismo, un tempo considerata malattia rara. Oggi, se si confronta la sua incidenza sulla popolazione con gli scarsi strumenti a disposizione di pazienti e famiglie per affrontarla, si potrebbe piuttosto parlare di una malattia ancora in buona parte sommersa. Di qui la necessità di proseguire nella ricerca. Ed è con questo obiettivo che nasce la campagna “Non lasciamoli soli”, promossa dall’Associazione “Amici del Campus Bio-Medico” Onlus. Attraverso un sms solidale, al 45502, si potrà contribuire fino al primo giugno a finanziare i progetti condotti dall’Unità di Ricerca di Neuropsichiatria dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, diretta dal Professor Antonio Persico. Salvatore Sabatino lo ha intervistato:

    R. – L’autismo è una patologia, in cui è praticamente coinvolta sia l’interazione sociale sia la capacità di comunicare con gli altri - quindi persone che appaiono molto isolate - sia la presenza di comportamenti particolari, come per esempio sfarfallare con le mani oppure non guardare negli occhi o non girarsi quando una persona ti chiama.

    D. – Quante sono le persone coinvolte?

    R. – Sono molte più di quelle che si stimavano un tempo. Oggi si sa che all’incirca ad un bambino ogni cento che nascono, nel corso della sua vita, verrà diagnosticata una sindrome autistica. Quando noi parliamo di un caso su cento, stiamo generalmente parlando di forme piuttosto importanti. Quando una persona ne viene colpita e quando noi ad un bambino facciamo una diagnosi di autismo prima dei tre anni, con tutti gli interventi terapeutici che sono oggi disponibili, quel bambino, bene o male, comunque sia, sarà un adolescente autistico, un adulto autistico ed un giorno un anziano autistico. E’ molto importante, quindi, lo sforzo che si vuole fare in questo momento, per finanziare la ricerca, per comprendere le cause della malattia, per fare una diagnosi precoce, quindi un intervento terapeutico più mirato.

    D. – Lei diceva “un bambino ogni cento”, ma nel 1985 nascevano dai tre ai quattro bambini autistici ogni 10 mila. Come mai questo incremento?

    R. – Una causa sicura è che l’incremento apparente probabilmente è dovuto ad una maggiore capacità diagnostica, che noi oggi abbiamo, e al fatto che un tempo li si sarebbe chiamati in altro modo. A quell’epoca si sarebbero più facilmente chiamati ritardi mentali o altro. In realtà, è probabile però che ci sia anche un reale aumento d’incidenza, perché alcuni fattori ambientali che agiscono in epoca prenatale sono molto più presenti oggi di un tempo, ma soprattutto perché l’età dei genitori, al concepimento del primo figlio, si sta facendo sempre più avanzata, e questo noi sappiamo che è da sempre correlato ad un aumento dell’incidenza di malattie, che bene o male hanno un’importante componente genetica.

    D. – La ricerca verso una cura si sta indirizzando verso terapie molecolari personalizzate, già in fase avanzata di studio, per alcuni sottogruppi di pazienti. Cosa vuol dire questo?

    R. – Vuol dire che se si riesce a fare una diagnosi che non è semplicemente una diagnosi di autismo presente-assente, ma una diagnosi molto più raffinata, una diagnosi cioè in cui noi di un soggetto conosciamo anche la struttura genetica e quindi l’origine precisa ed esatta della malattia, per alcuni soggetti già oggi sono disponibili terapie che si stanno utilizzando in termini ancora sperimentali, che possono effettivamente mostrare un’efficacia mirata. Ora, questo campo delle terapie molecolari personalizzate è un campo che deve crescere, deve crescere molto, come deve crescere la conoscenza delle basi molecolari della malattia sul singolo individuo.

    D. – Tutto questo ha bisogno ovviamente di fondi...

    R. – Certamente, perché il progetto cui facevo riferimento è un progetto che dal 2012 al 2016 verrà finanziato a livello europeo, ma solo per una modesta parte dei costi generali e che vede il Campus Bio-Medico impegnato come unico gruppo italiano. E’ un progetto che mira per il 2016 a darci delle conoscenze, in termini diagnostici, molecolari e possibilmente terapeutici, che vadano direttamente ad influire su un miglioramento della qualità di vita di questi pazienti e delle loro famiglie. E’ per questo, quindi, che è molto, molto importante che, pur essendo questo un difficile momento economico, chi può sostenga questa campagna con un sms solidale.

    D. – Questa campagna si chiama “Non lasciamoli soli” ed è un vero e proprio appello alla solidarietà...

    R. – Sì, è un appello alla solidarietà. Con un sms al 45502 tutti possono donare due euro. Sono tante piccole gocce, che messe insieme a questo parziale finanziamento europeo, possono effettivamente darci una grossa mano, per procedere con una conoscenza dettagliata proprio delle basi molecolari della malattia. Nel singolo bambino una diagnosi sempre più precoce e precisa è una terapia sempre più mirata ed efficace.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    L'inviato nordcoreano a Pechino: pronti a riprendere negoziati sul nucleare

    ◊   La Corea del Nord è pronta a tornare ai negoziati sul suo programma nucleare. E’ quanto ha assicurato ai media cinesi l’inviato di Pyongyang a Pechino, Choe Ryong-hae, dopo un incontro nella capitale cinese con Liu Yunshan, membro del Comitato permanente del Partito comunista. “Le parti coinvolte hanno l’obiettivo della denuclearizzazione nella penisola coreana, del mantenimento della pace e della stabilità”, ha spiegato Liu in un comunicato diffuso dopo l’incontro, chiedendo a tutti di “adottare misure concrete per abbassare le tensioni e progredire attivamente nel dialogo”. Secondo le intenzioni del leader nord coreano Kim Jong Un, sarebbe inoltre stata avanzata la richiesta di un negoziato a sei da fare in tempi rapidi. Di segnali positivi parla il portavoce del governo giapponese, che ha osservato: “Questa apertura di Pyongyang, che sembra voler interrompe le sue provocazioni, potrebbe essere il segno di voler accettare il dialogo”. L’inviato del governo nordcoreano ha poi incontrato il presidente cinese Xi Jinping a cui avrebbe consegnato una lettera di Kin Jong Un. (C.S.)

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    Coree, segnali di disgelo da Pyongyang. I vescovi: si può riaprire la porta alla speranza

    ◊   Un evento congiunto per commemorare il vertice intercoreano del 2000. È questa – riferisce la Fides – la proposta ufficiale della Corea del Nord alla Corea del Sud di ospitare un evento congiunto per commemorare il summit del 2000, che segnò l’inizio di un fase di disgelo e riavvicinamento (diventato noto come “sunshine policy”) fra le due nazioni. In quell’occasione, tra i leader Kim Dae-jung (Corea del Sud) e Kim Jong-il (Corea del Nord) fu concluso uno storico accordo che prevedeva cooperazione economica, riunioni di famiglie separate, rinnovato dialogo fra i governi. La Nord Corea propone oggi di celebrare quell’evento nella città di confine di Kaeseong o a Mount Geumgangsan, dove le due nazioni hanno tenuto celebrazioni annuali congiunte dal 2001 fino al 2008. In quell’anno, la crisi dei rapporti bilaterali segnò l’interruzione degli incontri. Secondo gli osservatori, la proposta di Pyongyang indica la volontà di riattivare i progetti congiunti e anche l’area industriale di Kaeseong. La proposta arriva in un momento in cui la tensione fra le due Coree è alta, dopo le minacce di guerra lanciate da Pyongyang. Ma la nuova proposta proveniente dal Nord potrebbe cambiare lo scenario. Secondo i vescovi coreani, l’iniziativa è “segno che si può riaprire la porta della speranza”. Lo dice mons. Igino Kim Hee-joong, arcivescovo di Kwanju, presidente della Commissione episcopale per il Dialogo Interreligioso e della “Korean Conference Religions for Peace”, organismo che riunisce i leader religiosi coreani. “Certo, il governo di Seul ha detto che valuterà bene la proposta, in quanto interessa l’avvio di un processo sincero di riavvicinamento e non solo una celebrazione di facciata”, spiega il presule. “Da parte nostra – prosegue – speriamo di riprendere presto i lavoro di dialogo interreligioso: abbiamo inviato a Pyongyang la proposta di un meeting intercoreano dei leader religiosi, come quelli che si sono tenuti negli anni scorsi. Speriamo di avere ben presto una risposta positiva”. (D.M.)

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    Intolleranza verso i cristiani: molti casi anche in Europa occidentale

    ◊   L’intolleranza nei confronti dei cristiani è frequente anche in Europa: lo ha evidenziato Gudrun Kugler, direttrice dell’Archivio viennese di documentazione dell’intolleranza e della discriminazione nei confronti di cristiani in Europa. Come riporta il Sir, Kugler, intervenuta a una conferenza dell'Ocse svoltasi a Tirana nei giorni scorsi, ha riferito che “solo nello scorso anno, in tutta l’Europa sono stati registrati 169 casi di forte intolleranza nei confronti di cristiani. Inoltre, in 41 casi documentati, le norme di 15 Stati Ue sono sfavorevoli per i cristiani”. Durante gli ultimi cinque anni, l’archivio ha registrato 800 casi di intolleranza e discriminazione negli Stati occidentali dell’Ue, “tra cui manifestazioni di odio, stereotipi negativi ed esclusione, oltre ad ostacoli legali”. Se nei Paesi dell’Europa orientale “è difficile registrare chiese e tutelare le loro proprietà, ottenere un visto per il clero proveniente dall’estero e formare sacerdoti, la situazione nei Paesi occidentali è diversa”, ha spiegato la giurista e teologa, e riguarda “chi tenta di vivere secondo gli alti principi etici del Cristianesimo”. (D.M.)

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    Vietnam. In appello ridotte le pene per attivisti cattolici accusati di sovversione

    ◊   Il Tribunale del popolo di Vinh, cittadina della provincia di Nghe An, sulla costa nord del Vietnam, ha ridotto le sentenze per quattro dei 14 attivisti, in maggioranza cattolici, condannati a gennaio scorso con l'accusa di "sovversione contro lo Stato”. Otto di loro – riferisce AsiaNews – avevano fatto ricorso in appello e, dopo alcuni rinvii, ieri si è tenuto il dibattimento in aula. Per altre quattro persone è arrivata invece la conferma della pena, che era già stata criticata da attivisti per i diritti umani e varie organizzazioni internazionali. Fra quanti, hanno visto ridotta la condanna vi è anche il famoso blogger cattolico, Paulus Le Van Son, che dovrà scontare quattro anni di carcere invece dei 13 inflitti in un primo momento. Gli avvocati della difesa hanno espresso disappunto per l'esito del processo. "Siamo decisamente insoddisfatti per le valutazioni espresse dalla giuria", ha dichiarato uno di loro. Alla base della condanna il legame dei giovani con il movimento Viet Tan, gruppo di esiliati con base negli Stati Uniti, che il governo di Hanoi considera militante e controrivoluzionario, con l'obiettivo di rovesciare il sistema costituito. Oltre al blogger cattolico Le Van Son, altri tre attivisti hanno potuto beneficiare di una riduzione della condanna con sconti di pena tra i sei mesi e i due anni e mezzo. Durante il processo, hanno manifestato solidarietà agli arrestati decine di simpatizzanti e cittadini. Alcune manifestazioni all'esterno del tribunale sono però state disperse dalle forze di sicurezza, che hanno anche compiuto diversi fermi fra i presenti. Negli scorsi mesi, da nazioni europee e commissioni asiatiche e internazionali pro-diritti umani sono arrivate richieste di rilascio per i 14 attivisti. Finora, sono state anche raccolte oltre 30 mila firme, in cui si chiede alle autorità di intercedere per la liberazione. Quest’anno, almeno 38 vietnamiti sono stati condannati per attività "contro lo Stato". Per la liberazione di questi attivisti e di altri detenuti la comunità cattolica si è più volte riunita in preghiera: il 19 maggio, si è tenuta una Messa speciale nella parrocchia di Thai Ha, alla quale hanno partecipato oltre mille fedeli. (D.M.)

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    Niger, timori tra la popolazione per il rischio di nuovi attacchi terroristici

    ◊   Due attentati ieri hanno sconvolto il Niger. Sconvolto ma non sorpreso la popolazione dello Stato africano. Nonostante si tratti del primo caso di doppio attentato suicida nella storia del Paese, gli attacchi avvenuti nelle località di Agadez e Arlit nella regione settentrionale erano prevedibili, secondo fonti dell’Agenzia Misna. “Gli attacchi di Agadez e Arlit fanno temere che Niamey possa essere il prossimo bersaglio dei gruppi armati”, hanno continuato fonti religiose contattate dall’agenzia nella capitale del Niger. L’attentato è stato rivendicato dal Movimento per l’unità e il jihad in Africa occidentale (Mujao), un gruppo islamista legato ad Al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi), attivo soprattutto al di là della frontiera con il Mali, dove ha già messo a segno attacchi di questo genere. Nell’attentato contro la caserma di Agadez, sono rimasti uccisi 18 militari e un civile mentre altri 13 soldati sono stati feriti, sei dei quali versano in gravi condizoni. I quattro kamikaze sono morti nell’esplosione. Ad Arlit, 240 km più a nord, la società francese Areva, che da decenni sfrutta l’uranio nigerino, ha annunciato la morte di una persona rimasta ferita nell’attentato a un suo impianto. La centrale elettrica della fabbrica di trasformazione dell’uranio ha subito pesanti danni e almeno 14 lavoratori locali sono stati feriti dall’esplosione del veicolo guidato da due kamikaze. Il bilancio fornito dal governo fa invece riferimento a 49 agenti delle forze di sicurezza e un civile feriti nell’impianto, da mesi sorvegliato da soldati nigerini e francesi. Le autorità di Niamey hanno decretato il lutto nazionale e dovrebbero ulteriormente rafforzare il suo dispositivo di sicurezza al confine col Mali, ma anche nella capitale. Le fonti locali sottolineano ricordando che quello del Niger è stato il primo governo a chiedere un intervento militare internazionale per “salvare il Mali”, e anche a dispiegare 700 soldati quattro mesi fa accanto alle truppe francesi e maliane. Inoltre, il presidente Issoufou ha autorizzato gli Stati Uniti a stabilire due basi – a Niamey e Agadez – per il sorvolo della regione con droni, mentre il Ciad utilizza il Niger come punto di transito e rifornimento dei propri soldati impegnati sul fronte maliano. (G.F.)

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    Migranti, la Commissione internazionale cattolica per le migrazioni fa appello alle istituzioni

    ◊   La Commissione internazionale cattolica per le migrazioni (Cicm) chiede attenzione al tema di chi è costretto a lasciare la propria terra. Secondo Johan Ketelers, segretario della Commissione, citato dal Sir, “i meccanismi tradizionali di protezione e sviluppo della solidarietà internazionale sono sotto grave pressione a fronte della diminuzione dei mezzi finanziari, di un atteggiamento tenace di autodifesa in molte società e politiche e di un numero in costante ampliamento dei rischi e dei bisogni di protezione”. “In un mondo di crescente mobilità umana – ha proseguito Ketelers – questo influisce direttamente sulla risposta pastorale e invita tutti noi a prendere in considerazione nuove strategie, prese di posizione e sinergie”. Per il segretario del Cicm, che è intervenuto all’ultima giornata della XX Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, la protezione “non deve essere organizzata soltanto per le vittime della persecuzione e della guerra, ma anche per le vittime di molte altre circostanze e cause”. “La sfida oggi – ha sottolineato – è dunque quella di sviluppare modi migliori per abbracciare questa definizione più ampia e sviluppare adeguate risposte istituzionali e politiche, che ugualmente siano al servizio di molti altri che necessitano di protezione”. (D.M.)

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    Mozambico. Human Rights Watch denuncia: da sfruttamento minerario rischi per le popolazioni

    ◊   In Mozambico, lo sfruttamento di giacimenti di carbone ha portato al trasferimento delle popolazioni di interi villaggi in zone aride, dove è alto il rischio della fame. A sollevare il problema è lo studio di un’organizzazione non governativa americana, citato dall’agenzia Misna. Il Rapporto, pubblicato da Human Rights Watch, cita tra gli altri il colosso brasiliano "Vale" e quello anglo-australiano "Rio Tinto". Entrambi sono titolari di concessioni nella provincia settentrionale di Tete, quella dove si trovano i giacimenti di carbone più ricchi e dove si è concentrata l’attenzione dei ricercatori. Secondo lo studio, il governo ha già dato o sta per dare in concessione per prospezioni o progetti di sfruttamento minerario una superficie di terra di un’estensione pari a due terzi dell’intera provincia di Tete. Almeno 1.429 famiglie di contadini un tempo “autosufficienti”, sottolineano gli autori del Rapporto, hanno oggi “problemi gravi a causa della mancanza di cibo, acqua e lavoro”. (D.M.)

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    Fedeli delle diocesi di Napoli e Sorrento-Castellammare in pellegrinaggio mariano a Pompei

    ◊   A piedi a Pompei, per esprimere così l’amore a Maria e Gesù. I fedeli delle arcidiocesi di Napoli e Sorrento - Castellammare di Stabia, con i loro vescovi, saranno, tra oggi e domani, nel Santuario mariano, dopo pellegrinaggi di molti chilometri a piedi. Stasera, intorno alle 23, parte il pellegrinaggio dell’arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia. Secondo quanto riferito dal Sir, i fedeli accompagnati dai loro sacerdoti, dopo aver camminato e pregato per oltre 27 chilometri, si ritroveranno con il loro arcivescovo, monsignor Francesco Alfano, alle 6.30 di domani mattina nel piazzale Beato Giovanni XXIII, all’esterno del Santuario, per la celebrazione eucaristica. Nella serata di sabato, invece, giungeranno a Pompei i fedeli della diocesi di Napoli. “Con Maria sui passi della fede” è il tema che guiderà quest’anno le riflessioni del pellegrinaggio, sempre a piedi, organizzato dall’Azione cattolica diocesana. Il punto di ritrovo è la bBasilica di S. Maria del Carmine Maggiore, dalla quale alle 13, dopo la benedizione, partirà il pellegrinaggio. Diverse sono le tappe previste, durante le quali si aggiungeranno altri fedeli. L’arrivo a Pompei è previsto intorno alle 21.30, nell’area meeting, dove sarà recitato il Rosario. Alle 22, il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, presiederà la Messa di chiusura del pellegrinaggio. I fedeli delle due diocesi campane si aggiungeranno così ai molti gruppi di pellegrini che nel mese mariano di maggio giungono al Santuario di Pompei. (D.M.)

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    Convegno sul padre gesuita Antonio Ferrua, tra gli scopritori della Tomba di San Pietro

    ◊   A 10 anni dalla morte, domani e dopodomani, a Trinità e a Mondovì, in provincia di Cuneo, un convegno ricorda la figura del padre gesuita Antonio Ferrua, uno degli studiosi più eminenti nel campo dell’archeologia e dell’epigrafia cristiana, tra i responsabili delle ricerche condotte sotto la Basilica Vaticana per individuare la Tomba di San Pietro. Nella cittadina piemontese che ha dato i natali al religioso, resta inoltre aperta al pubblico, fino al 16 giugno, nella Sala delle Unioni della Dimora Storica Conti Costa della Trinità, una mostra documentaria sull’eminente studioso che, come segretario della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, ha fatto importanti scoperte nella Roma sotterranea. Le due giornate di studio si svolgono nella Biblioteca Civica “Padre A. Ferrua” e nella Sala delle Lauree Antica Università del vescovado di Mondovì e vi prendono parte diversi esperti che ricorderanno le imprese di padre Ferrua: la scoperta nella capitale della catacomba di via Latina, definita “la pinacoteca dell’arte paleocristiana”, di nuove aree negli antichi cimiteri dei Santi Pietro e Marcellino, di Commodilla, Domitilla, Pretestato, Calepodio e di Sant’Alessandro e ancora in altri cimiteri del Lazio e della Sicilia. Il religioso gesuita è lo studioso che ha pubblicato il maggior numero di epigrafi nel secolo scorso (ben 40 mila raccolte nella pubblicazione Inscriptiones christianae Urbis Romae) ed è autore di un’ampia bibliografia. Per molti anni ha insegnato Epigrafia classica e cristiana al Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, di cui è stato anche rettore. Si è spento all’età di 102 anni il 25 maggio di 10 anni fa, a Roma, nella residenza romana di San Pietro Canisio. Domenica, a Mondovì, nella chiesa della Missione, alle 8.30, presiederà una Messa per ricordarlo il vescovo della diocesi, mons. Luciano Pacomio. (A cura di Tiziana Campisi)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 144

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.