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Sommario del 23/05/2013
Il Papa: senza il sale di Gesù siamo insipidi, diventiamo cristiani da museo
◊ I cristiani diffondano il sale della fede, della speranza e della carità: è questa l'esortazione di Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che l’originalità cristiana “non è una uniformità” e ha messo in guardia dal rischio di diventare insipidi, “cristiani da museo”. Alla Messa - concelebrata con i cardinali Angelo Sodano e Leonardo Sandri e con l’arcivescovo di La Paz, Edmundo Abastoflor Montero - hanno preso parte un gruppo di sacerdoti e collaboratori laici della Congregazione per le Chiese Orientali. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Che cos’è il sale nella vita di un cristiano, quale sale ci ha donato Gesù? Nella sua omelia, Papa Francesco si è soffermato sul sapore che i cristiani sono chiamati a dare alla propria vita e a quella degli altri. Il sale che ci dà il Signore, ha osservato, è il sale della fede, della speranza e della carità. Ma, ha avvertito, dobbiamo stare attenti che questo sale, che ci è dato dalla certezza che Gesù è morto e risorto per salvarci, “non divenga insipido, che non perda la sua forza”. Questo sale, ha proseguito, “non è per conservarlo, perché se il sale si conserva in una bottiglietta non fa niente, non serve”:
“Il sale ha senso quando si dà per insaporire le cose. Anche penso che il sale conservato nella bottiglietta, con l’umidità, perde forza e non serve. Il sale che noi abbiamo ricevuto è per darlo, è per insaporire, è per offrirlo. Al contrario diventa insipido e non serve. Dobbiamo chiedere al Signore di non diventare cristiani col sale insipido, col sale chiuso nella bottiglietta. Ma il sale ha anche un’altra particolarità: quando il sale si usa bene, non si sente il gusto del sale, il sapore del sale… Non si sente! Si sente il sapore di ogni pasto: il sale aiuta che il sapore di quel pasto sia più buono, sia più conservato ma più buono, più saporito. Questa è la originalità cristiana!”.
E ha aggiunto che “quando noi annunziamo la fede, con questo sale”, quelli che “ricevono l’annunzio, lo ricevono secondo la propria peculiarità, come per i pasti”. E così “ciascuno con la propria peculiarità riceve il sale e diventa più buono”:
“La originalità cristiana non è una uniformità! Prende ciascuno come è, con la sua personalità, con le sue caratteristiche, con la sua cultura e lo lascia con quello, perché è una ricchezza. Ma gli dà qualcosa di più: gli dà il sapore! Questa originalità cristiana è tanto bella, perché quando noi vogliamo fare una uniformità - tutti siano salati allo stesso modo - le cose saranno come quando la donna butta troppo sale e si sente soltanto il gusto del sale e non il gusto di quel pasto saporito con il sale. L’originalità cristiana è proprio questo: ciascuno è come è, con i doni che il Signore gli ha dato”.
Questo, ha proseguito il Papa, “è il sale che dobbiamo dare”. Un sale che “non è per conservarlo, è per darlo”. E questo, ha detto, “significa un po’ di trascendenza”: “uscire col messaggio, uscire con questa ricchezza che noi abbiamo del sale e darlo agli altri”. D’altro canto, ha sottolineato, ci sono due “uscite” affinché questo sale non si rovini. Primo: dare il sale “al servizio dei pasti, al servizio degli altri, al servizio delle persone”. Secondo: la “trascendenza verso l’autore del sale, il creatore”. Il sale, ha ribadito, “non si conserva soltanto dandolo nella predicazione” ma “ha bisogno anche dell’altra trascendenza, della preghiera, della adorazione”:
“E così il sale si conserva, non perde il suo sapore. Con l’adorazione del Signore io trascendo da me stesso al Signore e con l’annunzio evangelico io vado fuori da me stesso per dare il messaggio. Ma se noi non facciamo questo - queste due cose, queste due trascendenze per dare il sale - il sale rimarrà nella bottiglietta e noi diventeremo cristiani da museo. Possiamo far vedere il sale: questo è il mio sale. Ma che bello che è! Questo è il sale che ho ricevuto nel Battesimo, questo è quello che ho ricevuto nella Cresima, questo è quello che ho ricevuto nella catechesi… Ma guardate: cristiani da museo! Un sale senza sapore, un sale che non fa niente!”.
Il Papa ai vescovi europei: tenere viva la questione di Dio con coraggio e pazienza
◊ Il Papa ha ricevuto stamane i membri della Presidenza della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (Comece): il cardinale presidente Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, accompagnato dai vicepresidenti: mons. Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio, mons. Virgil Bercea, vescovo di Oradea Mare dei Romeni, mons. Jean Kockerols, vescovo tit. di Ieper, ausiliare di Mechelen-Brussel, e da padre Patrick Daly, segretario generale. Sull’incontro Sergio Centofanti ha sentito mons. Gianni Ambrosio:
R. - E’ stato un incontro molto bello, perché abbiamo visto che il Papa è molto attento alla questione europea e, soprattutto dopo aver ricevuto anche personalità europee, ci ha invitati a tenere davvero sempre viva la questione di Dio e a parlare di Dio, perché senza il riferimento a Dio anche le leggi degli uomini rischiano di essere molto disattese. Ci ha poi invitati ad avere coraggio e speranza, ma - nello stesso tempo - anche molta pazienza, proprio perché non dobbiamo sedurre, ma dobbiamo convincere. L’invito che ha fatto alla Comece, l’invito che ha fatto alle Chiese europee è proprio quello di entrare nel dialogo, parlare di Dio, parlare dei grandi problemi, ma anche davvero con una grande pazienza proprio in vista del convincimento. Quindi uno stimolo molto importante per il nostro lavoro, che stiamo svolgendo come vescovi della Comece.
D. - Quali sono stati i punti principali al centro di questo colloquio?
R. - Anzitutto questo della speranza, della fiducia e della questione di Dio. In secondo luogo, la questione della demografia, perché se l’Europa non guarda al futuro, non potrà avere storia e il futuro è nei giovani. Allora un invito anche, appunto, ad essere capaci di generare, di chiamare alla vita da parte delle coppie, perché solo in questo modo si garantisce il futuro dell’Europa, con quella civiltà europea piena di quei valori cristiani da diffondere anche agli altri continenti. Quindi un invito alla speranza e alla fiducia, ma anche a una generatività per favorire le nascite dei figli, la vita accolta dall’inizio alla fine. Ecco il messaggio che il Papa ha voluto lasciare a tutti noi come impegno della nostra attività come Comece.
D. - Papa Francesco è molto attento anche ai temi della famiglia e, in questo momento, in Europa la famiglia sta attraversando un periodo di grave crisi…
R. - Ovviamente anche causata dalla crisi economica. Ma proprio nella famiglia è possibile - ci ha detto il Papa - trovare la risorsa buona, perché le buoni reti familiari possono infondere quella speranza e quella fiducia che sta mancando. Ha citato anche “Ecclesia in Europa”, il documento di Giovanni Paolo II, in cui appunto invitava gli europei a guardare avanti, il futuro, perché altrimenti viene meno nel cuore la speranza. Ma la speranza fondata è in Cristo e quindi invitava ad essere davvero capaci di evangelizzare l’Europa con quella capacità di dialogo e di convincimento che ha segnato tutta la civiltà europea.
D. - E sul fronte della crisi economica che sta vivendo l’Europa, quali le esortazioni del Papa?
R. - E’ sempre stata una esortazione ad avere coraggio, ad avere fiducia, ad avere speranza. Anche i momenti delle difficoltà - ci ha ricordato - sono importanti per renderci conto che la vita è un dono ed è un dono prezioso di cui dobbiamo essere responsabili in ogni momento e in ogni circostanza. Anche la sofferenza è un passaggio difficile certamente, ma anche un passaggio educativo proprio per crescere nella solidarietà e per riporre la nostra fiducia in Dio.
La testimonianza di mons. Romero al centro del colloquio tra il Papa e il presidente di El Salvador
◊ Stamani, il Papa ha ricevuto nel Palazzo Apostolico Vaticano, il presidente di El Salvador, Carlos Mauricio Funes Cartagena, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. Il servizio di Sergio Centofanti:
“Durante i cordiali colloqui – riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana - è stata espressa soddisfazione per le buone relazioni esistenti fra la Santa Sede e lo Stato salvadoregno. In particolare, ci si è soffermati sulla figura del Servo di Dio mons. Oscar Arnulfo Romero y Galdámez, già arcivescovo di San Salvador” assassinato nel 1980 mentre stava celebrando la Messa, e “sull’importanza della sua testimonianza per l’intera Nazione”. Inoltre, “si è apprezzato il contributo che la Chiesa offre per la riconciliazione e per il consolidamento della pace, come pure nei settori della carità, dell’educazione, dello sradicamento della povertà e della criminalità organizzata. Si sono anche toccati alcuni temi etici quali la difesa della vita umana, del matrimonio e della famiglia”.
Il presidente salvadoregno ha donato al Papa un reliquiario contenente un pezzo della veste che mons. Romero indossava quando fu assassinato. Al centro della veste, ben visibile, una macchia di sangue. Il reliquiario è a forma di ostensorio a croce, con i bracci raffiguranti figure umane stilizzate, a rappresentare la partecipazione del popolo di Dio alla morte del suo vescovo. La teca è opera delle Suore dell’Ospedale della Divina Provvidenza nella cui cappella Romero è stato ucciso. Il presidente ha ricordato tra l’altro di essere stato allievo del padre gesuita salvadoregno Rutilio Grande, ucciso tre anni prima di Romero che dal suo esempio trasse poi ispirazione.
Il Papa ad Assisi il 4 ottobre. Mons. Sorrentino: visita che dà nuovo slancio missionario
◊ Papa Francesco visiterà Assisi il prossimo 4 ottobre, nella giornata in cui si celebra la festa di San Francesco, Patrono d’Italia. La data è stata resa nota oggi dall’arcivescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, mons. Domenico Sorrentino. Per festeggiare l’annuncio, le campane della Basilica di San Francesco hanno suonato a lungo a festa. Subito dopo l’annuncio, Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente lo stesso arcivescovo di Assisi, mons. Domenico Sorrentino:
R. - Siamo davvero lieti! Io ringrazierò – appena possibile – il Santo Padre per la grande gioia che ci dà. È veramente un grande segno di attenzione e di benevolenza. Per Assisi, non poteva che essere così, per lui che ha preso il nome di Francesco. Noi ci predisponiamo a riceverlo – naturalmente - con grande esultanza, cercando di metterci veramente alla sua scuola, per la maniera di leggere San Francesco, e attraverso San Francesco, di leggere il Vangelo. Cerchiamo di sentirci ancora di più Chiesa e di stare ancora di più affianco al Santo Padre.
D. - Papa Francesco incontra San Francesco. Semplicemente questo dà la forza spirituale - anche simbolica e straordinaria - di questa visita…
R. - Direi proprio di si! Ha mostrato un grande interesse, anche perché non è stato ancora ad Assisi e già mi ha fatto sapere che intende fare una visita ben articolata che gli consenta di camminare sulle orme di Francesco, sul suo cammino spirituale, sul cammino della sua conversione. Sarà quindi una giornata splendida davvero! Speriamo proprio di aver una grande grazia, come quella che sta già manifestando la Chiesa universale attraverso la sua testimonianza, i suoi gesti, le sue parole. Che questa possa ulteriormente consolidarsi in questo incontro con la città del poverello, e ovviamente con la testimonianza del poverello d’Assisi.
D. - Quali sono le sue speranze per la sua comunità, per la sua diocesi?
R. - Noi camminiamo da sempre sulle orme di Francesco. Ovviamente, in questo momento, stiamo anche in una fase di Sinodo diocesano. Per me riprendere il contatto con Francesco, con il suo messaggio e con la sua figura è veramente la strada maestra per poter raggiungere il Vangelo. Che questo venga a spiegarcelo il Papa, e a testimoniarlo anche con il suo atteggiamento, è una grazia nella grazia. Dunque sono veramente convinto che il Signore sta dando, in particolare alla nostra chiesa particolare di Assisi un colpo d’ala, e che attraverso quanto fa per noi, vuole anche dare alla Chiesa universale un messaggio importante di speranza, di impegno e di ritrovato slancio missionario.
Papa Francesco riceve in udienza il cardinale Scola
◊ Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata il cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola.
Il Papa conferma il card. Vallini suo vicario generale per la Diocesi di Roma
◊ Il Papa ha confermato oggi quale suo vicario generale per la Diocesi di Roma il cardinale Agostino Vallini. Il porporato, 73 anni, era stato chiamato da Benedetto XVI nel 2008 a ricoprire questo incarico. Il cardinale Vallini, che è anche arciprete della Papale Arcibasilica Lateranense e gran cancelliere della Pontificia Università Lateranense, è nato a Poli, piccolo paese in provincia di Roma e in diocesi di Tivoli, il 17 aprile 1940, dove suo padre, maresciallo dei carabinieri, di origini toscane, prestava servizio. Ordinato sacerdote nel 1964, nel 1978 è diventato rettore del Seminario Maggiore di Napoli, ufficio ricoperto fino al 1987, allorché viene nominato decano della sezione S. Tommaso della Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale. Nel 1989 Giovanni Paolo II lo nomina vescovo ausiliare di Napoli. Nel 1999 viene trasferito alla Chiesa Suburbicaria di Albano, dove esercita il ministero episcopale per cinque anni. In seno alla Conferenza Episcopale Italiana è stato per molti anni membro della Commissione per i problemi giuridici e, da ultimo, presidente del Comitato per gli enti e beni ecclesiastici della CEI. Il 27 maggio 2004 Giovanni Paolo II lo nomina prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, promuovendolo in pari tempo alla dignità di arcivescovo. È stato anche presidente della Corte di Cassazione dello Stato della Città del Vaticano e presidente della Commissione per gli Avvocati. Nel 2006 Benedetto XVI lo crea cardinale. Il 27 giugno 2008 Benedetto XVI lo nomina suo vicario generale per la diocesi di Roma, arciprete della Papale Arcibasilica Lateranense, gran cancelliere della Pontificia Università Lateranense.
Tweet del Papa: porto la parola d'amore del Vangelo dove vivo e lavoro?
◊ Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex, ispirato al tema dell’udienza generale di ieri: “Porto la parola di riconciliazione e di amore del Vangelo negli ambienti in cui vivo e lavoro?”
Sabato la Beatificazione di don Pino Puglisi, umile eroe delle periferie del mondo
◊ La Chiesa siciliana e non solo sta contando le ore che la separano da sabato prossimo, giorno in cui, alle 10.30 – in una grande celebrazione all’aperto al Foro Italico “Umberto I” di Palermo – sarà elevato agli onori degli altari don Pino Puglisi. Il sacerdote, ucciso da sicari della mafia il 25 settembre 1993, viene riconosciuto e venerato dalla Chiesa come martire. La sua parabola esistenziale ha lasciato un segno profondo nella coscienza dei siciliani. Al microfono di Manuella Affejee lo acconta don Alessandro Maria Minutella, parroco a S. Giovanni Bosco, la parrocchia dove don Puglisi mosse i primi passi:
R. – Credo che la Beatificazione servirà a indicarlo ancor di più come modello e non solo per la Chiesa di Palermo, giacché don Pino - e questo mi pare importante che venga sottolineato - non è stato un prete antimafia, ma è stato un prete che ha incarnato il Vangelo contro quelle che Von Balthasar chiamava le “forze anticristiche del male”, che possono essere mafia o qualunque altro forma che il male incarna nella storia del mondo. Ecco perché lo si può chiamare martire: perché è stato ucciso in “odium fidei” e quindi è un modello da presentare non solo per i preti di Palermo, per la Chiesa di Palermo e della Sicilia, ma penso che ovunque possa essere un modello da imitare, come tutti i martiri. Poi, penso sarete informati del fatto la riesumazione del corpo ha dimostrato che il corpo pressoché intatto: quindi questo è anche un segno molto bello. I suoi resti mortali adesso si trovano nella cattedrale di Palermo e c’è un’attesa molto forte per questa celebrazione, che farà fatta sabato sul lungomare di Palermo.
D. – In che modo, oggi la Chiesa può impegnarsi contro la mafia?
R. – Don Puglisi amava ripetere un’espressione che è diventata un simbolo: “E se ognuno fa qualcosa, allora tutto può cambiare!”. La mafia molte volte vive di quel retroterra culturale che è fatto di immobilismo, fatalismo… Lui spingeva invece verso una cultura dell’impegno collettivo, alla ricerca del bene comune. E questo alla luce dei valori del Vangelo.
D. – Ci sono ancora dei religiosi, dei preti minacciati, o no?
R. – Non ci risulta, per quanto ne sappiamo, che vi siano casi eclatanti di minacce specifiche. Tuttavia, è chiaro che sia una frontiera pastorale che i preti, soprattutto delle zone periferiche, delle zone più a rischio, conoscono molto bene. In questo senso, don Pino può diventare un modello, un esempio, uno sprone ad andare avanti. Diceva Santa Teresa di Lisieux: “Tutti gli eroi valgono meno di un solo martire”.
D. – Vorrei sapere qual è la sua azione pastorale in questo quartiere di Palermo?
R. – Io sono parroco di questa parrocchia dove don Pino è cresciuto, dove ha mosso i primi passi, ed era anche nella zona dove lui abitava, dove aveva questo piccolo appartamento davanti al quale, proprio all’ingresso di casa sua, è stato ucciso. La parrocchia è una parrocchia eterogenea: ci sono varie condizioni sociali. Si cerca di portare avanti una pastorale che metta in primo luogo il primato di Dio, perché la civiltà cristiana è anche la civiltà che costruisce l’uomo nella sua integralità e nella sua interezza. Questo sforzo che don Pino metteva in atto è anche quello che tentiamo di fare qui noi.
D. – Padre Puglisi aveva creato un centro per i giovani, il "Centro Padre Nostro": quali sono i frutti di questo centro?
R. – Intanto, ha voluto chiamarlo così proprio in riferimento all’amore del Padre, un tema che in questo momento Papa Francesco sottolinea molto, anche perché Papa Francesco parlava qualche tempo fa di una "classe media" della santità, di cui tutti possiamo far parte. Don Pino è stato capace di incarnare – potremmo dire – questo ceto medio della santità nel territorio, dove lui operava: ha lavorato per i più giovani, per i ragazzi che stavano per la strada, cercando di inculcare in loro l’amore per la vita, l’amore per i valori e quindi anche l’amore, in ultima istanza, per il Vangelo.
D. – E questo funziona? I giovani sono sensibili a questo messaggio?
R. – Bisogna sempre lottare e faticare. In questo senso è importante anche raccogliere l’eredità impegnativa che don Pino lascia: la sua è una testimonianza che è una cifra dell’amore che scaturisce dal cuore. Ecco, don Pino si è impegnato a portare questa splendida luce del Vangelo sempre attuale, in una delle periferie del mondo. E Papa Francesco ha sottolineato questa attenzione alle periferie e quindi mi piacerebbe pensare proprio che la sua testimonianza aiuti tutti i preti come me e come gli altri che sono impegnati nelle periferie del mondo a non lasciarci prendere dell’endemico virus del disfattismo, della contrazione del lamento, della piaga del fatalismo, ma a lottare con fiducia, con gioia, sapendo che Cristo ha vinto.
Lateranense, nuova cattedra di ‘Socializzazione politica in Africa’, dedicata al cardinal Gantin
◊ “Socializzazione Politica in Africa”: è la nuova cattedra della Pontificia Università Lateranense, presentata stamane in Sala Stampa vaticana. E’ intitolata al cardinale Bernardin Gantin, primo cardinale di origine africana ad essere messo a capo di un dicastero vaticano, scomparso nel 2008. A parlarne, tra gli altri, il card. Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”; il dott. Thomas Boni Yayi, presidente della Repubblica del Benin; mons. Patrick Valdrini, prorettore della Pontificia Università Lateranense; il prof. Martin Nkafu Nkemnkia, direttore del Dipartimento delle Scienze Umane e Sociali - Studi Africani della Pontificia Università Lateranense. Il servizio di Fausta Speranza:
Il cardinale Gantin ha ricoperto molti incarichi autorevoli fino ad essere decano del Collegio cardinalizio. Si è distinto per l’amore alla Chiesa e il suo atteggiamento sempre umile. Il cardinale Sarah lo vuole ricordare con le parole di Benedetto XVI:
“La sua personalità, umana e sacerdotale, costituiva una sintesi meravigliosa delle caratteristiche dell’animo africano con quelle proprie dello spirito cristiano, della cultura e dell’identità africana e dei valori evangelici”.
E un ricordo personale:
“Non pochi ricordi personali mi legano a questo nostro fratello, a partire proprio da quando insieme ricevemmo la berretta cardinalizia dalle mani del venerato servo di Dio, Papa Paolo VI, 31 anni fa. Insieme abbiamo collaborato qui nella Curia Romana, avendo frequenti contatti, che mi hanno permesso di apprezzare sempre di più la sua prudente saggezza, come pure la sua solida fede e il suo sincero attaccamento a Cristo e al suo Vicario in terra, il Papa”.
Da parte sua, il presidente del Benin, che per formazione è un economista, esprime parole di apprezzamento per l’attenzione allo sviluppo integrale della persona da parte della Dottrina Sociale della Chiesa cattolica, per un mondo – dice – più umano. E poi racconta il suo incontro ieri con Papa Francesco:
"Il est un père, le Pape du peuple, le Papa des pauvres, le Pape de l’humanité …
“E’ padre, Papa della gente, Papa dei poveri, Papa dell’umanità, il Papa del continente africano”, dice così il presidente del Benin. E proprio al continente africano vuole offrire un contributo prezioso la nuova cattedra alla Lateranense, ma non solo, come spiega il prorettore, mons. Valdrini:
“E’ un arricchimento molto importante poter lavorare con gli africani su questo punto e far venire fuori studi di alto livello, che possano aiutare gli africani, ma anche noi. Nelle nostre società abbiamo un diritto molto positivistico, che viene imposto dall’alto – se così posso dire – e lasciamo poco spazio alla creazione del diritto delle comunità. Questo è esattamente il contrario di ciò che vediamo in Africa. Sarebbe, dunque, un bel contributo dell’Africa per la nostra cultura”.
La riflessione del prof. Nkafu della Pontificia Università Lateranense:
“L’Africa, per la sua stessa variegata composizione etnica, è il reale laboratorio politico e sociale di una rinnovata forma di partecipazione democratica, alla gestione delle istituzioni politiche. La nozione stessa di Stato, come momento unitario di consapevolezza giuridica dell’azione, rende ineludibile una nuova realtà di coinvolgimento politico, che chiami in causa quei corpi intermedi tra la società civile e lo stesso Stato, identificabili soprattutto in Africa, nelle diverse realtà familiari, religiose e culturali. La democrazia, nel contesto africano, può essere, pur nelle differenti declinazioni territoriali, un itinerario utile per le moderne società, che attraverso il progresso scientifico e tecnologico non vogliono tuttavia deprimere i principi fondamentali che le diverse istituzioni giuridiche pongono alla base della convivenza civile. Il rispetto e la tolleranza nel dialogo interculturale possono essere i principi fondamentali insegnati attraverso un maggior approfondimento delle tematiche filosofiche, che sono alla base della vita politica contemporanea”.
Resta da dire che la nuova cattedra di socializzazione politica in Africa rientra nell’area internazionale di Ricerca Studi interdisciplinari per lo sviluppo della cultura africana.
Incontro del Kaiciid a Vienna: dialogo interreligioso, andare oltre le raccomandazioni
◊ Si è svolto ieri a Vienna il primo workshop del Kaiciid, il Centro internazionale per il dialogo interreligioso e culturale, dedicato al tema “L’immagine dell’altro”. All’evento hanno preso parte 130 educatori ed esperti del settore educativo. Il servizio di Isabella Piro:
Fondato da Arabia Saudita, Spagna e Austria e con la Santa Sede nel ruolo di organismo osservatore fondatore, il Kaiciid - il Centro internazionale per il dialogo interreligioso e culturale “Re Abdullah Bin Abdulaziz” - ha riflettuto sul tema “L’immagine dell’altro”, soffermandosi in particolare sull’educazione interreligiosa ed interculturale, cercando i migliori approcci possibili per la regione euro-mediterranea. Ad accogliere i partecipanti all’evento è stato il segretario generale del Kaiciid, Faisal Bin Abdulrahman Bin Muaaammar, il quale ha ribadito: “Il dialogo gioca un ruolo essenziale nella creazione di materiale didattico, nonché nel processo di apprendimento; impariamo a conoscere gli altri quando ci impegniamo in un dialogo reciproco”. Dal suo canto, padre Miguel Angel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e membro del Board of Directors del Kaiciid, ha affermato che “per la Chiesa cattolica, l’immagine dell’altro dovrebbe favorire un’educazione oggettiva e rispettosa, affinché si abbia una buona formazione nella propria tradizione religiosa e una buona informazione sulle altre”. Di qui, l’esortazione di padre Ayuso perché “si rivedano i libri scolastici ed educativi in generale”, così da “eliminarvi quelle visioni distorte dell’altro e preparare una nuova generazione che possa crescere nel dialogo dell’amicizia e del rispetto, ribadito anche da Papa Francesco”. Tra gli altri partecipanti al workshop, anche il Rev. Toby Howart, membro anglicano del Board of Directors del Kaiciid; il dott. Joke van der Leeuw-Roord, direttore esecutivo di Euroclio, l’Associazione europea degli insegnanti di Storia; il dott. Mahmoud Azab, direttore del Dialogo interreligioso presso l’Università Al-Azhar del Cairo; il prof. Wolfram Reiss, docente di Studi religiosi a Vienna; il dott. Fadi Daou, presidente della Fondazione libanese Aydan, dedicata agli studi interreligiosi ed alla solidarietà spirituale; ed il dott. Andreu Clare, direttore generale della Fondazione Anna Lindh per il dialogo tra le culture. Nel comunicato finale diffuso al termine dei lavori, il Kaiciid sottolinea la necessità di “andare oltre le raccomandazioni, poiché è tempo di migliorare l’attuazione e l’azione in modo dimostrabile”, tenendo contro del fatto che “il dialogo interreligioso deve guardare alla complessità dell’identità individuale” e con la consapevolezza che “lo Stato può essere un attore fondamentale che consente ai cittadini di partecipare in modo pieno e paritario nella società senza discriminazioni”. Ribadendo, quindi, che “non esiste una soluzione unica, perché le soluzioni dipendono dal contesto”, il Kaiciid insiste sul bisogno di “un approccio integrato che includa tutti i livelli educativi, dai genitori alle comunità ed alle istituzioni religiose, nonché la società civile ed il governo”. Da ricordare, infine, che il tema “L’immagine dell’altro” verrà sviluppato nell’arco di tre anni: per quest’anno, si guarderà all’educazione, nel 2014 al contesto dei mass media e nel 2015 alla sfera di Internet. L’argomento verrà affrontato in altri tre workshop in programma in America, Asia ed Africa, per poi concludersi il 18 novembre prossimo con una Conferenza internazionale.
Il card. Bertone: la dedizione di don Gallo ai bisognosi figlia del suo sacerdozio
◊ “Un dialogo a volte franco e vivace”. “Un rapporto fraterno e rispettoso”. Con queste parole, rispettivamente, il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e il suo successore alla guida dell’arcidiocesi di Genova, il cardinale Angelo Bagnasco, hanno voluto ricordare don Andrea Gallo, il sacerdote fondatore della Comunità di San Benedetto al Porto, spentosi ieri nel capoluogo ligure all’età di 84 anni. In una dichiarazione resa nota dal direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, il cardinale Bertone afferma di aver “ricordato nella preghiera il suo antico compagno di studi”, rammentando di aver avuto con don Gallo, durante gli anni trascorsi a Genova come arcivescovo, “un dialogo a volte franco e vivace”. E tuttavia, nota il segretario di Stato, “la dedizione in favore dei bisognosi non poteva non avere come sorgiva ispirazione la sua identità sacerdotale”.
Analogo il ricordo di don Gallo che torna alla memoria del cardinale Bagnasco. Pur caratterizzato da “una dialettica”, il nostro rapporto – ha riferito il capo dei vescovi italiani a margine dell’Assemblea generale della Cei – era fondato su “un dialogo di lealtà, di chiarezza, di paternità da parte mia; di rispetto e di affetto da parte sua”. Il cardinale Bagnasco ha anche espresso il desiderio di riuscire a presiedere per domani pomeriggio a Genova la celebrazione delle esequie di don Andrea Gallo.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ La Lettera di Papa Francesco per la conferma del cardinale Agostino Vallini a vicario di Roma.
Quel sale che dà sapore: messa del Pontefice a Santa Marta.
La Santa Sede e le migrazioni forzate: l'arcivescovo Dominique Mamberti alla plenaria del dicastero per i migranti e i rifugiati.
In rilievo, nell'informazione internazionale, il vertice Ue a Bruxelles - su lotta all'evasione e mercato unico dell'energia - che non ha portato a veri risultati.
La donna che stupì Lutero: Lucetta Scaraffia a proposito di una biografia del riformatore e della sua sposa.
L'altro Cannes: l'inviato Silvia Guidi su attori e registi coinvolti nel Festival del silenzio all'abbazia di Lerins.
Riccardo III e la solitudine del male: Notger Slenczka spiega che cosa significa oggi la "giustificazione del peccatore".
Per riannodare i fili della fedeltà: Onorato Bucci su misericordia e castigo nel diritto della Chiesa.
Rinascimento da stampare: il curatore Joris van Grieken illustra la mostra (a Lovanio) dedicata a Hieronymus Cock e Pieter Bruegel.
Dalla dottrina sociale risposte per i giovani: il convegno internazionale annuale della Federazione Centesimus Annus Pro Pontifice.
Borse europee giù dopo crollo a Tokyo. Cozzi: speculazione favorita da austerity
◊ Il crollo della Borsa di Tokyo, che ha chiuso a meno 7,32%, travolge i mercati europei, con Milano che ha toccato anche un meno 3%. A trainare in basso la Borsa giapponese sembrano da un lato la contrazione del manifatturiero in Cina e dall’altro i timori per le dichiarazioni del presidente della Federal Reserve (Fed), Ben Bernanke, su una possibile riduzione degli stimoli monetari della Fed nel caso in cui l’economia americana continui a migliorare. Sui motivi del ridimensionamento di Tokyo, e più in generale della crisi economica, Debora Donnini ha chiesto l'opinione di Tommaso Cozzi, professore di Economia all’Università di Bari e di Etica sociale ed economica all’Ateneo Regina Apostolorum di Roma:
R. – La Borsa di Tokyo si sta ridimensionando per una serie di fattori, non ultimo anche la compensazione dei forti rialzi che ci sono stati di recente.
D. – Si dice anche che sia stata la contrazione del manifatturiero in Cina a pesare sul crollo della borsa di Tokyo…
R. – Certo, ieri c’è stato un intervento in questo senso da parte del presidente della Federal Reserve, che ha fatto appunto rilevare questo aspetto. Il problema è che la Cina sta cominciando a scontare il ridimensionamento di una crescita che in qualche modo non ha toccato la popolazione in senso lato, ma soltanto alcune nicchie della popolazione. Quindi, è chiaro che anche in Cina, se stagnano i consumi interni e esterni, il manifatturiero crolla.
D. – Questo perché in Cina ci sono pochi ricchi e molti poveri rispetto all’enorme popolazione…
R. – In Cina non si sta facendo altro che ricalcare il modello negativo che, evitando la ridistribuzione della ricchezza, ha portato solo pochissimi ad arricchirsi. Ma noi sappiamo bene che se non si alimentano i consumi soprattutto della media borghesia, crollano i settori a cominciare dal manifatturiero.
D. – Questo a differenza dell’Europa che fino a poco tempo fa aveva invece puntato sulla classe media, cioè su un benessere diffuso, che era il nerbo dello sviluppo dell’Europa e degli Stati Uniti…
R. – Certo, la media borghesia ha sempre costituito il punto di riferimento per i consumi. Se noi la distruggiamo con una pressione fiscale esasperata, eliminando i servizi essenziali quali quelli sanitari, quelli educativi eccetera, e costringiamo la media borghesia a indebitarsi, questa viene risucchiata verso il basso, come è stata risucchiata in Europa e negli Stati Uniti.
D. – Secondo lei, tutto quello che sta succedendo potrebbe anche essere visto come un “gioco” della finanza mondiale per guadagnare più soldi?
R. – Certamente sì, perché cosa è accaduto a Tokyo? C’è stata una fortissima vendita di titoli: in particolare, il crollo del 7,2% è dovuto soprattutto al rendimento dei titoli di Stato giapponesi, naturalmente sempre tenendo conto dei collegamenti globali. Quindi, certamente dietro c’è una speculazione molto forte, ma la speculazione è consentita dalle politiche di austerità. Se ci fossero politiche sociali di ridistribuzione più eque, sicuramente gli attacchi speculativi si ridurrebbero. Gli attacchi speculativi ci sono sempre stati, ma non in queste dimensioni.
D. – Cosa dovrebbe fare l’Europa?
R. – L’Europa dovrebbe iniziare a rivedere completamente la politica di austerity. Sembra che da questo punto di vista si insista in maniera ossessiva senza comprendere che la difesa di questo tipo di politica che non libera risorse, non fa altro che affossare ulteriormente anche gli Stati più forti, quali ad esempio la Germania. Bisogna liberare risorse intervenendo soprattutto sulla leva fiscale e ancora sui tassi di cambio. Le banche dovrebbero liberare i prestiti nei confronti delle piccole e medie imprese, dare più liquidità sia alle imprese sia ai consumatori, perché solo in questo modo si rimette in moto la crescita e riusciamo a venirne fuori. Altrimenti, sarà dura ancora per molto tempo.
D. – E bisogna non avere paura dello spread…
R. – Sì, come stiamo vedendo in questi giorni anche nei momenti peggiori di debolezza, ad esempio del sistema politico italiano, non è che lo spread sia andato chissà dove. Anzi si è stabilizzato. Questo non significa che lo spread sia una variabile indipendente dall’economia, ma che è uno dei tanti parametri. Non è il parametro che ci deve condizionare nelle scelte. E dietro a questo condizionamento di carattere psicologico si nasconde una forte pressione speculativa.
Congo. Visita di Ban Ki-moon, tregua tra M23 ed esercito. Migliaia in fuga dai campi profughi
◊ E’ tregua temporanea in Congo, alle porte di Goma. I ribelli del Movimento M23 hanno cessato il fuoco per la visita di Ban Ki-moon, il quale dopo l’incontro con il presidente Joseph Kabila ha ribadito che “ora è il momento per la pace e lo sviluppo''. Oggi il Segretario Generale Onu farà tappa a Goma. In questo scenario migliaia di persone sono scappate dai campi profughi vicino ai quali si stanno scontrando l'esercito regolare e gli ammutinati del Movimento 23 Marzo che lottano, a loro dire, per lo scarso impegno del governo nel Paese. Massimiliano Menichetti ha raggiunto telefonicamente a Goma don Piero Gavioli, direttore del Centro giovanile Don Bosco NGangi:
R. – Oggi sembra che la tregua sia rispettata. Non ho sentito nessuno sparo, nessun tiro. Noi siamo abbastanza vicini al fronte a 5, 6 km, quindi si sentono i colpi. Ieri alcune bombe sono cadute nel quartiere vicino Mugumba, quartiere in cui c’è il campo profughi. Sono morti una bambina e un ragazzo e ci sono stati feriti. Molti sono scappati. Secondo statistiche, un campo si sarebbe svuotato del 45 per cento e l’altro del 70 per cento.
D. - Ma quante persone sono in questi campi profughi?
R. – Complessivamente si parlava di 120 mila persone. Sono tre campi profughi.
D. – Sono tutti nell’area vicino a voi?
R. – Dal lato opposto della città. Noi siamo verso il confine con il Rwanda, invece i campi profughi ufficiali sono su una strada che va verso Bukavu che fa il giro del lago Kivu.
D. - Queste persone sono venute anche da voi a cercare ospitalità?
R. – Da noi sono venuti quelli che vengono dal nord, cioè dalla zona dei combattimenti, della guerra. Da lì abbiamo ricevuto 500 persone. Noi abbiamo una scuola, quindi abbiamo dato i campi di calcio all’esterno del centro, però può darsi che in giornata vengano altri e che quindi si debba organizzare gli aiuti per queste famiglie.
D. – La popolazione come vive questa situazione?
R. – C’è abbastanza calma. I combattimenti sono a qualche km a nord… E’ chiaro che c’è paura perché ci possono essere morti attraverso le bombe o pallottole vaganti, cose del genere, ma ormai la gente si è abituata.
D. – Cosa servirebbe secondo lei per fermare questa violenza che sta di fatto insanguinando il Congo?
R. – Il gruppo ribelle è chiaramente sostenuto dal Rwanda e in parte forse dall’Uganda, quindi, per noi, la prima cosa è una pressione internazionale molto forte. Poi anche una pressione forse su Kabila, sul nostro governo, perché non ha un atteggiamento molto chiaro. Qualche volta ci sembra quasi che ci siano accordi segreti per far prolungare la situazione e per non risolverla. Quindi pressione dei due lati senz’altro. E poi i gruppi armati vengono perché lo sviluppo è indietro. Il nostro governo anche se si pronuncia per una politica sociale, qui, nella zona non l’ha fatta finora. Ci dovrebbe essere tutto uno sviluppo economico che permetterebbe ai vari giovani di trovare lavoro e di non iscriversi troppo facilmente nei gruppi armati. Le due cose, pressione internazionale e sviluppo.
D. - Viene vissuta con speranza la visita di Ban ki-Moon?
R. – Speriamo perché è un passo in più. Le sue dichiarazioni sono belle però c’è anceh molto scetticismo.
D. - Ban ki- Moon si è espresso anche per un’azione maggiore della Amonusco, la forza di interposizione dell’onu in Congo?
R. – Finora la Amonusco è stata a guardare. Non è che si impegni nella guerra. Per adesso son i congolesi, è l’esercito congolese che si batte.
D. - La popolazione appoggia di più i ribelli M-23 oppure il governo centrale?
R. – La popolazione è stanca da tutte due le parti perché non è che i ribelli siano esemplari. Cercano anch’essi i loro interessi e sfruttano la popolazione e qualche volta anche massacrano. Quindi la popolazione è stanca, non è stata trattata bene e con rispetto. Si spera che la guerra finisca e la guerra finisce quando i ribelli saranno sconfitti o rimandati in Rwanda da dove molti vengono.
D. – Vuole lanciare un appello dai microfoni della Radio Vaticana?
R. – Parlatene perché la gente sappia che qui si continua a morire per niente. I gruppi armati fanno i loro interessi, l’esercito di Kinshasa ha pure i suoi interessi, ma la gente qui vorrebbe soltanto un po’ di pace per coltivare la propria campagna, fare il proprio commercio e fare le proprie cose. Fate pressione sui governi, che si arrivi a una soluzione.
Oklahoma City. Il vescovo: Chiesa impegnata con tutte le forze negli aiuti
◊ Il presidente Usa, Barack Obama, sarà domenica a Oklahoma City per incontrare le famiglie colpite dal tornado che, lunedì scorso, ha causato almeno 24 morti, centinaia di feriti e danni per 3 miliardi di dollari. Intanto, continuano le operazioni di soccorso nel sobborgo di Moore, il più colpito dal tornado: nelle ultime ore sono stati ritrovati 6 dispersi. Per una testimonianza sulla situazione e l’impegno della Chiesa in questa emergenza, Christopher Wells ha intervistato mons. Paul Coakley, arcivescovo di Oklahoma City:
R. – The situation on the ground, today, around Moore, Oklahoma, is still …
La situazione sul terreno intorno alla cittadina di Moore, in Oklahoma, è sempre caotica. Il numero dei morti semplicemente non è ancora noto, a tutt'oggi. Gran parte della città è ancora senza corrente elettrica e senz'acqua, compresa la nostra parrocchia con la chiesa di Sant’Andrea. Ho appena parlato con il pastore, che ha riparato in un motel alla periferia della città, la scorsa notte, dove ha trovato un posto con corrente elettrica ed acqua. Per quel che ne sappiamo, la parrocchia stessa non è stata danneggiata, almeno non in maniera seria, e sembra che il numero dei feriti tra i parrocchiani di Sant’Andrea sia abbastanza limitato – ringraziando Iddio. Tutti vogliono aiutare: gli abitanti di questo Stato sono molto efficienti nel pronto intervento e nell’aiuto ai vicini. Anche la Chiesa è impegnata, le organizzazioni della comunità: la nostra agenzia cattolica di beneficenza è il team che fa fronte all’emergenza ed è stata già mobilitata. Abbiamo creato un link sul sito della Caritas di Oklahoma City, tramite il quale chiunque voglia può lasciare la sua donazione per dare sostegno alle vittime. Lavoriamo assieme ad altre agenzie e organizzazioni per portare aiuto.
D. – I soccorsi non potranno riguardare solamente le necessità concrete, ma anche un aiuto da fornire alle persone spiritualmente…
R. – That’s very true. We have part of our Catholic Charity’s Disaster…
Questo è profondamente vero. Una parte del nostro gruppo di sostegno alle vittime del disastro è disponibile a fornire servizi di assistenza psicologica, per sostenere le persone nelle loro necessità in questo ambito: si tratta di un’attività che forniamo regolarmente in situazioni di disastro. Ovviamente, diamo anche assistenza pastorale e spirituale a coloro che ne fanno richiesta, attraverso la parrocchia, nelle parrocchie circostanti. Purtroppo, lo abbiamo sperimentato molte volte - in particolare nel 1995, quando ci fu l’attentato all’edificio federale in Oklahoma City - sostenendo le famiglie, i feriti, le persone che avevano perso i loro cari. E anche aiutando i primi soccorritori, che pure vivono esperienze veramente drammatiche quando si trovano faccia a faccia con quella sofferenza terribile.
Rapporto Amnesty: tortura in 112 Paesi, in 80 processi iniqui. Il dramma dei profughi
◊ 112 Paesi hanno torturato loro cittadini, in 80 si sono svolti processi iniqui, in altri 57 prigionieri di coscienza sono rimasti in carcere. Sono le percentuali più significative del rapporto annuale di Amnesty International, che riporta le violazioni dei diritti umani in 159 Paesi e territori. Il volume del 2013 sottolinea come il mondo sia sempre più pericoloso per rifugiati e migranti. Francesca Sabatinelli:
Fuggono dalle violazioni e dai conflitti, cercano rifugio e migliori opportunità , finiscono con il divenire una “sottoclasse globale”, i loro diritti non vengono protetti, ma infranti, “in nome del controllo dell’immigrazione, agendo ben al di là delle legittime misure di controllo alle frontiere”. Il rapporto Amnesty 2013 ci ricorda che i migranti sono 214 milioni, che 12 milioni sono gli apolidi, che 15 milioni sono registrati come rifugiati, per tutti loro il mondo è sempre più pericoloso. Per loro varcare il confine di un Paese è più difficile che per le armi. Carlotta Sami, direttrice generale di Amnesty Italia:
“Il tema dell’immigrazione è il tema dei conflitti, delle crisi che producono gli spostamenti, e non viene affrontato se non in maniera populista e molto dannosa nei confronti delle persone stesse. Per cui si tende a proteggere molto le frontiere, per tutto quello che riguarda l’accesso di persone in fuga, persone in cerca di protezione. Questi milioni e milioni di persone sono quelle che più si trovano assolutamente in pericolo, esposte a qualsiasi tipo di abuso. Parliamo di stupri per le donne, parliamo di vittime di tratta per donne e bambini, parliamo di lavoro forzato, di schiavitù”.
Sono moltissime le crisi e le guerre che hanno spinto l’anno scorso milioni di persone a fuggire dai loro Paesi. Il conflitto in Siria ha registrato finora almeno 1.400.000 profughi approdati nei Paesi vicini, soprattutto Libano. Ma nel rapporto si citano anche fughe dalla Corea del Nord, al Mali, che ha visto il suo anno peggiore per le violazioni, dalla Repubblica Democratica del Congo, al Sudan, paesi dilaniati dal conflitto armato.
“Ci sono alcuni Paesi che, in particolare, si distinguono per violazioni gravissime. In Corea del Nord abbiamo campi di prigionieri politici; sappiamo pochissimo e quello che sappiamo lo sappiamo per coraggiosissimi singoli individui, che riescono a far filtrare un po’ di informazioni. Siamo molto preoccupati per la situazione in Siria e per quanto questa situazione sta creando anche in termini di stabilità dei Paesi attorno alla Siria. Siamo non meno preoccupati dell’area del Mediterraneo come Amnesty International Italia. E’ un’area con cui siamo non solo in relazione, ma verso cui facciamo molta attenzione, perché questi sono Paesi che hanno sempre dato un grande spiraglio di apertura e in cui invece assistiamo ad un retrocedere. Parliamo dell’Egitto, della Tunisia. Quindi siamo particolarmente attenti a questi Paesi. Proprio in questi giorni cerchiamo di capire cosa stia succedendo. I nostri ricercatori sono molti attenti all’evoluzione in Iran, a causa delle elezioni”.
La Siria è sotto la lente di ingrandimento, per la sistematica violazione dei diritti umani da parte dei fedeli al regime di Damasco che hanno continuato a compiere attacchi indiscriminati e mirati contro i civili e a sottoporre i sospetti oppositori a sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie, torture ed esecuzioni extragiudiziarie. A loro volta, i gruppi armati hanno proseguito a catturare ostaggi e a compiere esecuzioni sommarie e torture, seppur su scala minore. Avverte l’organizzazione: non si sa cosa potrà accadere in futuro se non ci sarà un intervento della comunità internazionale. Basta quindi con la scusa che i diritti umani “sono una questione interna”: il consiglio di sicurezza dell’Onu deve agire e fermare gli abusi. Il rapporto sviscera tutte le nefandezze dei governi, si va dalla repressione dei minatori in Sudafrica, che ha provocato oltre 30 morti, ai conflitti sociali per le risorse naturali in America Latina, dalla violenza in Afghanistan, che nel 2012 registra il picco di civili uccisi, all’uso della tortura da parte delle forze di polizia in vari paesi, tra i quali Guinea, Etiopia, Senegal e Zimbabwe. Un gravissimo problema è rappresentato dall’aumentata violenza sulle donne, così come contro i giornalisti e i difensori dei diritti umani, violazioni queste che attraversano tutti le regioni esaminate da Amnesty. La repressione della libertà di espressione è stata documentata in 101 paesi, tra i quali Cambogia, Maldive, Sri Lanka, India, e poi c’è il paravento della crisi economica utilizzato dagli stessi paesi europei per coprire le mancanze degli strumenti di tutela dei diritti umani:
“Il 2012 è proprio un anno che, dal nostro punto di vista, è, insopportabilmente, pieno di violazioni. Sicuramente per quello che concerne l’attenzione dei Paesi più ricchi nei confronti dei diritti umani, si è usato il velo della crisi economica per mascherare di fatto un’insensibilità e una mancanza di attenzione di intervento. Questo lo abbiamo rilevato anche molto recentemente e abbiamo fatto un’uscita pubblica con Grecia, Portogallo e Spagna per dire che la crisi finanziaria, la crisi economica non può essere il motivo per cui l’Unione Europea e i singoli Stati europei evitino costantemente o addirittura violino costantemente i diritti umani dei residenti negli Stati europei e dei migranti che da noi arrivano. C’è, comunque, anche una situazione grave a livello mondiale di diseguaglianza e di povertà costante, che non viene adeguatamente risolta”.
Il capitolo Italia non manca di testimoniare una progressiva erosione dei diritti umani, di ritardi e vuoti legislativi non colmati, di violazioni gravi e costanti, si pensi alla violenza omicida contro le donne, agli ostacoli che incontra chi chiede giustizia per coloro che sono morti mentre si trovavano nelle mani di agenti dello stato. “E’ giunto il momento di fare riforme serie nel campo di diritti umani”, dice Antonio Marchesi, presidente di Amnesty Italia, pronta ad avanzare richieste al nuovo governo italiano di Enrico Letta.
“Noi chiediamo sicuramente una sospensione degli accordi con la Libia. Non è un obiettivo facile ed è evidentemente un obiettivo ambizioso per Amnesty. Riteniamo, però, che sia una richiesta molto giustificata, perché il nuovo governo transitorio libico non garantisce il rispetto dei diritti fondamentali delle persone. Collaborare nella gestione dei flussi migratori con questo interlocutore e in queste condizioni non è possibile, senza mettere a repentaglio la vita e l’integrità di tante persone. Non c’erano, quindi, proprio i presupposti per firmare l’accordo firmato dalla Cancellieri a suo tempo e noi riteniamo che non ci siano ancora e debba esserne quindi sospesa l’applicazione. Cosa ci aspettiamo? Speriamo che almeno la cancellazione del reato di immigrazione clandestina possa essere un obiettivo raggiungibile. Sarebbe una cosa semplice: non richiede tempo, non ha costi particolari, anche perché è stato accertato, non da noi, ma dal precedente governo, che ha prodotto pochissimi effetti. Rimane quindi una specie di norma manifesto, reato manifesto. Noi riteniamo che sia anche profondamente iniquo, perché colpisce persone che, in realtà, reati non ne hanno veramente commessi, perché non hanno commesso reati contro il patrimonio, contro le persone, contro la sicurezza, e sono semplicemente irregolari sul territorio da un punto di vista amministrativo. Ed è contrario agli standard internazionali, che limitano la privazione della libertà a condizioni molto speciali e per un periodo di tempo molto limitato e non consentono questa privazione generalizzata della libertà di tutti coloro che non hanno i permessi in regola”.
Non si devono però tralasciare le buone notizie, come la crescente ritirata della pena di morte, sebbene in Gambia si siano registrate le prime esecuzioni dopo 30 anni, e poi l’adozione nell’aprile 2013 di un trattato delle Nazioni Unite sul commercio di armi, il che, spiega Amnesty, “fa crescere la speranza che le forniture di armi che possono essere usate per commettere atrocità saranno fermate”.
Squinzi: serve vera politica per lavoro e industria
◊ "La mancanza del lavoro è la madre di ogni male sociale". Lo ha detto il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, intervenendo a Roma all'assemblea generale. D'accordo anche il premier Enrico Letta, convinto che per troppo tempo l'industria è stata trascurata. Il servizio di Alessandro Guarasci:
Squinzi parla del principale problema italiano: la disoccupazione. E il presidente di Confindustria afferma che essa "va affrontata in maniera strutturale e con equilibrio, intervenendo su costo, produttività e regole". Le imprese "sono pronte a supportare il governo con investimenti e occupazione". Ma poi c'è il problema del fisco, definito "opaco, complicato, e incerto. E' quanto di peggio si possa immaginare". Dunque serve una vera politica di qualità per sostenere la competitività e la produzione. Questo vale sia per il Sud sia per il Nord, dove però il tracollo dell'industria sarebbe un vero dramma per tutto il Paese. E' poi urgente contrastare la difficoltà di accedere al credito, perché negli ultimi 18 mesi lo stock di prestiti erogati alle imprese "è calato di 50 miliardi: un taglio senza precedenti nel dopoguerra". Il premier Enrico Letta risponde che governo e industriali sono dalla stessa parte. "Forse è finito il girone di andata, durato più di un decennio, quando si è pensato in Italia e in Europa di poter fare a meno dell'industria, facendo crescita senza l'industria - dice Letta - la Ue ha perso la sua leadership". Anche i sindacati mettono in luce la necessità di una nuova alleanza per rilanciare il sistema Italia.
Commemorazione a Palermo: 21 anni fa la strage di Capaci
◊ “Giovanni era una persona timida, seria, taciturna ma di un’ironia e un umorismo particolari. La sua qualità più evidente era la capacità di soffrire, di sopportare molto più degli altri, senza arrendersi mai. La sua tenacia era proverbiale. Giovanni si rialzava sempre. Era allenato alla lotta, si riparava dietro un perenne scudo, in una costante autodifesa. Aveva l’orgoglio di una dignità antica ed era restio a manifestare il benché minimo segno di debolezza. Quante sconfitte dopo ogni successo, quante delegittimazioni in ogni snodo della sua vita e della sua carriera”. Con queste parole il presidente del Senato Pietro Grasso, presente oggi all’aula bunker di Palermo, ha ricordato Giovanni Falcone, suo amico e collega. L’azione di contrasto a Cosa nostra e l’istinto investigativo di Giovanni Falcone vennero fermati dai 500 chili di tritolo della mafia alle 17,58 di ventuno anni fa a Capaci, dove il magistrato perse la vita con la moglie, Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Palermo oggi ricorda le vittime della strage. Tanti gli appuntamenti in città che stanno coinvolgendo migliaia di studenti che nel ’92 non erano nati. A bordo delle navi della legalità, simbolicamente ribattezzate ’Giovanni’ e ’Paolo’ con le gigantografie dei giudici uccisi nelle stragi di Capaci e via D’Amelio, sono arrivati questa mattina circa tremila studenti partiti ieri da Napoli e Civitavecchia insieme al presidente del Senato, Pietro Grasso, al ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, il sottosegretario all’Istruzione, Marco Rossi Doria, il presidente di Libera, don Luigi Ciotti e il commissario antiracket, Giancarlo Trevisone. A dare il benvenuto a Palermo tra cori festanti e l’inno di Mameli, palloncini colorati e bandiere tricolori la sorella del giudice Maria Falcone e centinaia di studenti siciliani con addosso le magliette con su scritto “Le nuove rotte dell’impegno”.
Una parte delle scolaresche ha gremito l’aula bunker del carcere Ucciardone, dove venne celebrato il maxi processo a Cosa nostra siciliana. Fra i molti striscioni colorati che coprono le sbarre dietro le quali si trovavano imputati padrini e picciotti di Cosa nostra si legge “La mafia fa male” e “CAPACI di rompere”. I giovani hanno ascoltato gli interventi di ministri, magistrati, rappresentanti delle forze dell’ordine e autorità che hanno accolto l’invito di Maria Falcone, la quale ha ricordato Agnese Piraino Leto, vedova di Paolo Borsellino, scomparsa di recente e citato il messaggio inviato dal presidente della Rapubblica Giorgio Napolitano in occasione della commemorazione. “L’Italia - sottolinea il Capo dello Stato - fu ferocemente colpita nelle persone di suoi servitori eccezionali, di grandi magistrati, di autentici eroi che sacrificarono la loro vita a difesa della legalità e della democrazia. La battaglia e l’esempio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino diedero i loro frutti”. Per il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari “questo è un anno di bilanci nelle indagini sulle stragi del 92. Abbiamo arrestato 8 persone coinvolte nell’eccidio di Capaci dimostrando che lo Stato non ha dimenticato. E questo è un segnale importante. Su Capaci - ha aggiunto - le indagini non hanno mostrato lacune. A ricostruire l’ultimo segmento di verità siamo arrivati tardi perché la collaborazione di Gaspare Spatuzza è sopraggiunta tardi”. “Ho sempre fiducia nei magistrati – ha detto la sorella del giudice - Loro hanno fatto fino in fondo il loro dovere nell’accertamento della verità sulle stragi. Ma ci sono altri che devono dare un contributo e parlare. Magari Totò Riina, chissà”. “La politica – ha dichiarato Alfredo Morvillo, cognato di Falcone - ha in mano la possibilità di dare la svolta decisiva alla lotta alla mafia”. “L’impegno del governo contro la mafia è fermo e deciso – ha affermato il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri - non abbiamo alcuna intenzione di arretrare nel contrasto al crimine organizzato”. “Serve una forte azione internazionale per essere efficaci nelle confische – ha aggiunto Cancellieri - E per aggredire il mondo del web, un grande mondo che sfugge ai controlli. Non ci fermiamo, soprattutto nell’aggressione ai patrimoni. Dobbiamo togliere il denaro alle mafie, ma dobbiamo farlo con strumenti più sofisticati”. Per il presidente del Senato Pietro Grasso, “è inappropriato che le proposte legislative di contrasto alla mafia possano essere considerate divisive. L’unica divisione possibile è tra onesti e corrotti”. Rispetto a 21 anni fa, ha aggiunto Grasso ricordando anche il giudice Borsellino, “il vento soffia in un’altra direzione. Giovanni e Paolo ci hanno lasciato una grande eredità. Chi rappresenta le istituzioni dovrebbe guardare alla loro vita”. “Giovanni e Paolo - ha concluso il presidente del Senato - hanno provocato una rivoluzione delle coscienze, i loro valori e i loro ideali hanno aperto una nuova fase: dal silenzio complice di un tempo ad un consapevole risveglio delle coscienze, un incredibile passo avanti per questa terra”.
Nell’aula bunker gli studenti ’interrogano’ gli adulti: fra loro, anche il capo della polizia facente funzioni Alessandro Marangoni, già questore di Palermo, che ha detto: “Non si insegna a essere eroi. Ognuno deve fare il proprio dovere, senza sottrarsi mai”. “Vogliamo studiare la Costituzione, fatecela studiare nelle scuole, per capire e agire meglio - chiede una ragazza alla platea di ministri - non ne possiamo più di sentire che tutto fa schifo, che non cambierà mai nulla, che non avremo lavoro. Ma voi politici lo volete il nostro aiuto?”. “Spronateci, dovete farlo, metteteci in difficoltà, controllate e pretendete le risposte”, ha detto il ministro all’Istruzione, Maria Chiara Carrozza. Agli studenti il presidente di Libera, don Luigi Ciotti, ha ricordato: “Dobbiamo imparare di più insieme il coraggio di non fare mai compromessi nella vita. Bisogna saper fare delle scelte, decidere da che parte stare, e stare dalla parte del bene e delle cose giuste. Bisogna conoscere per diventare persone più responsabili e non dimenticate mai - ha aggiunto il sacerdote - che il miglior modo di ricordare Giovanni, Paolo e tutti gli altri, è quello di impegnarci di più tutti perché la speranza deve portare anche il nostro nome”. (Da Palermo, Alessandra Zaffiro)
Femminicidio: più centri anti-violenza e un cambiamento di mentalità
◊ Una proposta di legge sul femminicidio e le violenze in famiglia è stata presentata ieri nella sala stampa della Camera da parlamentari del Centro Democratico e dall’Associazione “Valore donna”. Ma di violenza sulle donne si è parlato, sempre ieri, anche in un incontro promosso a Roma dal ministro per le Pari opportunità, Josefa Idem, al quale sono intervenuti i presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso. Tanti gli aspetti analizzati per un fenomeno complesso che oltre a norme adeguate, richiede misure di prevenzione, di protezione delle vittime e un cambio di mentalità collettivo. Adriana Masotti ne ha parlato con Emanuela Moroli, presidente dell’associazione “Differenza Donna”:
R. – Noi abbiamo preso parte alla riunione di cui lei parla e abbiamo fatto le nostre proposte. Se mi chiede quale sia la cosa più urgente, la cosa più urgente è aumentare il numero dei centri antiviolenza. Noi, infatti, ne abbiamo ben 5 a Roma e ciò nonostante tutti i giorni dobbiamo dire a donne che sono in pericolo di vita che non possiamo accoglierle perché non abbiamo posto. Quindi, la prima cosa, la più urgente, è aumentare il numero dei centri antiviolenza. Inoltre, è necessario anche rendere possibile la loro vita perché in Italia i centri antiviolenza sono strutture che vengono sostenute pochissimo e questo è gravissimo. Non si più lavorare senza un sostegno economico da parte delle istituzioni quando il tema è la violenza sulle donne, il femminicidio.
D. – Il presidente del Senato, Grasso, ha assicurato il suo massimo impegno perché venga costituita al più presto una commissione parlamentare per studiare il fenomeno. Ma c’è ancora bisogno di studiare?
R. – Sì, c’è bisogno di questa commissione. L’abbiamo chiesta noi di "Differenza Donna" per prime e ci teniamo molto che si metta in piedi questa Commissione perché ci sono tante cose da studiare. La prima è capire come evitare ancora che le forze dell’ordine quando una donna arriva in questura o negli uffici dei carabinieri, e chiede di essere in qualche modo aiutata e protetta perché rischia la vita, la denuncia di questa donna finisce dentro un cassetto e lì giace con il risultato che torna a casa e magari ci rimette la pelle. Bisogna capire come portare avanti ancora molte cose. Questa di formare le forze dell’ordine a un diverso atteggiamento nei confronti delle donne che subiscono violenza è una delle più urgenti.
D. – Poi, c’è forse da formare anche il personale sanitario…
R. – Sicuramente. Anche i tribunali hanno bisogno di una sensibilizzazione e non parliamo dei Pronto Soccorso per i quali noi abbiamo messo a punto un codice rosa, proprio per aiutarli ad intervenire con le donne che hanno subito violenza, in modo diverso da chi ancora crede che sono cadute dalle scale. Ci sarebbero molte cose da dire in proposito.
D. - Ci sono poi aspetti che sembrano più lontani, non direttamente attinenti; quello, ad esempio, educativo, dell’informazione, della pubblicità.
R. – Certo, è una cosa fondamentale. Se non si cambia la cultura dei più giovani, non avremo mai una condizione diversa per le donne del nostro Paese e questa è un’altra delle cose fondamentali. Ma, come vede, complessivamente, c’è una cultura da ribaltare perché finora il valore di una donna contenta, felice e libera non è stato considerato un valore. Invece, una donna in grado di esprimere tutte le sue potenzialità è una grandissima risorsa per tutta la società. E una donna che subisce violenza e quindi è rassegnata, svalorizzata, incerta, non può mai esprimerle.
D. – Concludiamo allora proprio su questo perché, tornando all’incontro di oggi, Pietro Grasso ha detto anche: la nostra è ancora una società maschilista…
R. – Ha ragione, ha assolutamente ragione. Noi lo tocchiamo con mano tutti i giorni, incontrando ogni giorno decine e decine di donne che di questa società maschilista sono vittime.
Gioco d'azzardo. Cnca: governo e parlamento ne limitino la diffusione
◊ Chiedere al governo e al parlamento di intervenire per regolamentare e limitare la diffusione del gioco d’azzardo in Italia è il tema della conferenza “Mettiamoci in gioco” voluta dall’Anci, l'Associazione nazionale Comuni italiani che l’ha ospitata nella sede romana, e dal Cnca, il Coordinamento nazionale Comunità di accoglienza. Il gioco d’azzardo può portare tanta gente a indebitarsi per cifre esorbitanti, distruggendo non poche famiglie. Qualcuno arriva alla tragica conclusione di togliersi la vita. Al microfono di Elisa Sartarelli, il presidente del Cnca, don Armando Zappolini:
R. - Il fenomeno è ormai molto presente, molto evidente. I casi, sempre più frequenti, di persone che per disperazione, a causa dei debiti da gioco, si tolgono la vita o fanno gesti inconsulti e provocano anche grandi sofferenze di disgregazione anche nelle famiglie. Questo rende ancora più inaccettabile la distrazione e la lontanza della politica da questo tema, fra l’altro una politica che in questi anni si è pesantemente compromessa come responsabilità, perché se l’Italia è diventata un Paese dove, in pratica, c’è un liberismo assoluto sul gioco d’azzardo, che produce queste tante gravi conseguenze, questo è frutto anche di una politica che su questi temi è stata - come minimo - distratta... C’è una rete che si è prodotta nel Paese: una campagna, diverse campagne, diverse sensibilizzazioni. Ultima, quella dei sindaci delle grandi città, che hanno promosso uno spot. Ci sono le reti dei Comuni, dell’Anci: tutte queste grandi realtà che, in qualche modo, si stanno coinvolgendo insieme perché questa cosa passi da una consapevolezza collettiva a un’agenda politica.
D. - E’ la crisi che spinge al gioco d’azzardo, al guadagno facile, in un momento in cui il lavoro non si trova?
R. - Questa è una causa e anche un effetto del problema, perché è la pubblicità che le agenzie del gioco stanno producendo che dà questo messaggio pericolosissimo: tu puoi sistemarti un po'... Per cui, questo e la concomitanza della crisi economica, della mancanza di risorse, di precarietà produce un mix devastante. I dati ci dicono che le persone che giocano di più, che giocano in modo patologico, sono le persone delle fasce più deboli.
D. - E intanto, le sale gioco prolificano nelle città e a volte nascondono attività illegali…
R. - E’ uno strumento che, attraverso il paravento del gioco legale, in realtà favorisce anche il guadagno delle organizzazioni criminali. Le grandi famiglie mafiose - la ’ndrangheta, la camorra - gestiscono il gioco legale oppure esercitano il controllo sui territori di alcuni quartieri, di alcune città anche del sud. Per esempio, a Catania il clan Santapaola gestisce in modo diretto, attraverso le sale gioco, il riciclaggio del denaro, il flusso del denaro dato alle famiglie dei detenuti che non tradiscono la mafia. Tutto un controllo del territorio che, in qualche modo, con il gioco d’azzardo si può in modo più efficiente articolare.
D. - Come si può uscire dal vortice della dipendenza del gioco d’azzardo?
R. - La cosa più efficace è sempre la prevenzione. Per chi questo invece, purtroppo, non lo può più fare perché è già dentro la problema, sicuramente prendere contatto con dei servizi, con delle strutture. Noi stiamo preparando, come campagna “Mettiamoci in gioco”, una mappatura dei servizi del pubblico e del privato che intanto hanno attivato delle risposte. Bisogna prendere questa cosa con grande impegno, perché non è un problema da poco. Noi stiamo chiedendo che il primo accenno di attenzione che il ministro Balduzzi ha avuto con il decreto, riconoscendo il gioco d’azzardo patologico come livello essenziale di assistenza, sia ora riempito di contenuti: quindi siano attivate risorse e percorsi che permettano di strutturare una rete di servizi.
A Milano, incontro sull'esperienza delle "Cellule parrocchiali di evangelizzazione"
◊ Si conclude oggi a Milano, nella chiesa di Sant’Eustorgio, il 24.mo Seminario internazionale sul Sistema di Cellule Parrocchiali di evangelizzazione. Un incontro iniziato lunedì scorso e che ha visto la partecipazione di 300 persone provenienti anche dall’Indonesia, l’Uganda e la Repubblica Democratica del Congo. Un sistema di evangelizzazione che vede nelle parrocchie il cuore dell’annuncio e che mira a trasformarle da “giganti addormentati” in “parrocchie in fiamme”. “Una Chiesa che evangelizza – ha detto ieri il Papa all’udienza generale – deve partire sempre dalla preghiera”: una frase che don Pigi Perini, presidente dell’Organismo Internazionale di servizio per e cellule parrocchiali, commenta così al microfono di Benedetta Capelli:
R. – Per noi è stato proprio così. Quando ho scoperto le "Cellule", io ho scoperto l’Adorazione eucaristica. Quando abbiamo cominciato qui a Milano, nel 1987, la prima cosa che abbiamo fatto è stata proprio quella di stabilire turni di Adorazione per due giorni alla settimana. Nel giro di pochi giorni l’Adorazione è diventata continua. C’è una sete di Dio nel popolo cristiano che è incredibile, una sete di intimità con Dio che è eccezionale. Io ho imparato questo, che anche per l’Evangelizzazione pratica è indispensabile mandare avanti, in avanscoperta, lo Spirito Santo dicendo: rendimi il cammino consono, evitami gli errori, fammi dimenticare di me stesso, e parla tu attraverso di me. Questa è pura azione dello Spirito Santo.
D. - Di cellule parrocchiali di evangelizzazione si è parlato molto in questi ultimi tempi perché lo scorso fine settimana c’è stato questo grande incontro con Papa Francesco, i movimenti, ma appunto anche le cellule parrocchiali di evangelizzazione… La parrocchia che è stata un po’ rimessa al centro del discorso della Nuova evangelizzazione: questo quanto vi ha fatto piacere e soprattutto che stimoli nuovi vi ha dato?
R. – Purtroppo la parrocchia era data per sconfitta. La parrocchia non era ambiente di evangelizzazione, e la nostra fatica è stata quella di riuscire a convincere che la parrocchia può essere l’iniziatrice dell’evangelizzazione. Io dico sempre che se nel mondo le parrocchie, tutte, si impegnassero, almeno con una persona, a evangelizzare ci sarebbe la rivoluzione. Una rivoluzione positiva, di conoscenza del Signore Gesù, di osservanza delle sue leggi, di radicale incarnazione della sua Parola!
D. - Cosa vi ha lasciato l’incontro con Papa Francesco, questa due giorni in piazza San Pietro, una vera e propria festa della fede…
R. – Sì è stata una vera e propria festa. Quest’anno la caratteristica è stata il Papa, il Papa che parla la lingua estremamente semplice e adatta ad ogni orecchio.
D. – Qual è stata la frase, il pensiero, che più l’ha colpita di quanto ha detto Papa Francesco?
R. – Quando ha detto: io sono entrato sommerso dagli applausi, però l’applauso doveva essere un altro, l’invocazione a Gesù. Gesù, Gesù, Gesù! Quando il Papa parlava - diceva: non avete invocato Gesù - io ho sofferto perché era proprio quello che sentivo nel cuore.
D. - Veniamo al 24.mo seminario internazionale sul sistema di cellule parrocchiali di evangelizzazione. Cosa è venuto fuori da questo vostro incontro?
R. – Il fatto che sia il 24.mo ci dice che c’è un’esperienza antica ed è stato un crescendo, sia nel numero che nella profondità dei cambiamenti. Noi stiamo insistendo sul ruolo dello Spirito Santo: il cambiamento radicale di mentalità del parroco che non deve limitarsi a curare la crescita puntuale dei suoi fedeli, ma ciascuno. Predicate il Vangelo a tutte le creature. Bisogna seguire il suo esempio: lascia le cento pecore nell’ovile per andare a cercare l’ultima.
Londra, soldato ucciso. Mons. Nichols: serve unità delle comunità di fede
◊ “Mentre gli estremisti cercano di seminare divisioni nelle nostre strade, le comunità di fede londinesi rimangono unite in questo difficilissimo momento”. Con queste parole il Primate cattolico, mons. Vincent Nichols, commenta all'agenzia Sir l’uccisione di un soldato nel quartiere di Woolwich, sud est di Londra, da parte di due uomini che avrebbero gridato slogan islamici. Il presidente della Conferenza episcopale cattolica di Inghilterra e Galles ha anche dato il sostegno a un comunicato pubblicato dal “Faiths Forum for London”, associazione per la promozione del dialogo interreligioso nella quale si ritrovano rappresentanti delle nove comunità religiose londinesi, delle autorità locali, del mondo degli affari e di quello accademico. “Come rappresentanti di molte delle religioni presenti a Londra deploriamo il terribile attacco di Woolwich”, si legge nel comunicato firmato da rappresentanti della Chiesa cattolica, di quella anglicana, delle comunità musulmane, sikh, indù e ebree e della Chiesa battista. “Tutte le nostre religioni esaltano la santità della vita umana e nessuna ingiustizia può giustificare un assalto così barbarico che è costato a un giovane uomo la vita. Il terrorismo non ha posto nelle nostre strade”. Lanciato nel 2010, il Forum punta a migliorare i rapporti tra le diverse tradizioni religiose con incontri e momenti di preghiera soprattutto in occasione di episodi di estremismo. (R.P.)
Siria. Il metropolita siro ortodosso Roham: il popolo soffre anche dove non si combatte
◊ Le aree extraurbane della Siria settentrionale “sono per lo più controllate da diversi gruppi di insorti”. L'esercito governativo ha abbandonato le zone rurali, per concentrare la sua presenza sulle città di Hassakè e Kamishly. “Ma le persone in queste due città hanno una gran paura che i combattimenti possano iniziare da un momento all'altro. In quel caso, un gran numero di bambini, ragazze, donne e anziani attraverserà il confine con la Turchia”. Così Eustathius Matta Roham, metropolita siro ortodosso di Jazirah e Eufrate, descrive la situazione d'allarme permanente vissuto dalle popolazioni siriane nel governatorato nord orientale di Hassakè, confinante con Turchia e Iraq. In un resoconto inviato all'agenzia Fides, il metropolita siro ortodosso conferma che nella città di Ras al-Ayn le chiese e tutti i simboli cristiani sono stati distrutti, e riferisce che nell'area il conflitto militare sta vivendo al momento una fase di stallo, ma tutta la popolazione soffre per collasso delle attività economiche e per la carenza di beni primari che ha fatto più che decuplicare i prezzi. “Prosegue la prassi sistematica dei rapimenti” spiega Roham “e si registra un flusso permanente di persone in fuga verso la Turchia”. Sabato scorso il metropolita Roham ha incontrato a Monaco di Baviera rappresentanti di organizzazioni caritative cristiane per valutare con loro i programmi di soccorso a favore delle popolazioni siriane. L'incontro fa parte di una missione in Europa che Roham sta realizzando su mandato del patriarca siro ortodosso Ignatius Zakka I Iwas, anche per accertarsi della condizione in cui vivono i rifugiati siriani che hanno raggiunto la Grecia. In precedenza, nel corso della sua “missione” europea, il metropolita siro ortodosso aveva già incontrato i funzionari degli organismi assistenziali Misereor, Missio e Aiuto alla Chiesa che Soffre, e anche il card. Christoph Schönborn, al quale ha potuto consegnare una lettera del patriarca ZakkaI Iwas. (R.P.)
Migramed. Appello di Caritas Internationalis sulla Siria. Voci da Libano e Turchia
◊ Un milione e mezzo di profughi fuggiti dalla Siria, con 10.000 nuovi ingressi al giorno alle frontiere di Turchia, Libano, Giordania, Iraq fino all’Egitto. Fuggono anche i cristiani. Ogni Paese regge da anni una media di mezzo milione di presenze. Un po’ meno in Iraq ed Egitto, ma pur sempre un peso enorme, con tensioni sociali sul punto di esplodere e problemi emergenti come la tratta di persone a scopo di sfruttamento lavorativo e sessuale, i matrimoni forzati. In Libano, ma anche in Turchia, alcune famiglie vendono figlie giovanissime per 5.000 dollari. Le donne si prostituiscono per soli 3 dollari. E molti siriani, visto che il conflitto non accenna a placarsi, stanno cercando vie di fuga verso l’Europa. Caritas internationalis, impegnata per la Siria con progetti pari a circa 15 milioni di euro (destinati alle varie Caritas locali che aiutano complessivamente oltre 100 mila persone), lancia un appello in cinque punti per chiedere la fine delle violenze, la ricerca di una soluzione diplomatica e maggiore solidarietà. Lo ha fatto al Migramed meeting in corso in questi giorni ad Otranto, organizzato da Caritas italiana, che vede oltre 100 partecipanti dalle Caritas diocesane, europee e del bacino del Mediterraneo. (R.P.)
Usa: i vescovi sollevano dubbi morali sull’uso dei droni
◊ I vescovi statunitensi mettono in guardia contro l’impiego indiscriminato dei droni, gli aerei senza pilota impiegati dalle forze armate americane per eliminare sospetti terroristi anche in territori non in guerra, e invitano a riflettere sulle sue implicazioni morali. Come è noto, l'uso di droni è aumentato in modo esponenziale, specie nella guerra in Afghanistan e l'Amministrazione Obama ha intensificato gli attacchi, in particolare in Pakistan e in Yemen. Un’escalation che ha suscitato proteste anche ufficiali per l’alto numero di civili uccisi, quasi un migliaio in Pakistan nel solo 2010. In una lettera indirizzata al consulente per la sicurezza nazionale Thomas E. Donilon e ai presidenti di diverse commissioni del Congresso, il responsabile della Commissione episcopale per la giustizia e la pace, mons. Richard E. Pates, chiede di inserire il ricorso ai droni in un quadro normativo certo. Senza nulla togliere al diritto degli Stati Uniti di difendersi da un pericolo reale come quello rappresentato da al-Qaeda, mons. Pates evidenzia, tuttavia, che nella lotta al terrorismo l’Amministrazione americana dovrebbe privilegiare l’impiego di “strumenti non militari per costruire la pace attraverso il rispetto dei diritti umani e affrontando quelle ingiustizie che i terroristi strumentalizzano senza scrupoli”. La missiva mette quindi in guardia contro l’abuso del concetto di “guerra giusta” nella lotta al terrorismo: “Non ogni attacco di Al-Qaeda giustifica una guerra e non ogni uso della forza come difesa è una guerra”. Anche alla luce dei precisi standard fissati dalla “guerra giusta”, osserva il presule, l’uso dei droni pone una serie di interrogativi etici, con riferimento in particolare ai criteri con cui l’Amministrazione americana definisce gli obiettivi da abbattere che comprendono tutti gli uomini di una certa età quali possibili combattenti. Criteri troppo generici per escludere il rischio di colpire persone innocenti. A questi aggiungono i cosiddetti “danni collaterali”, causati da questi attacchi. “Il successo nella campagna contro il terrorismo – ammonisce la lettera - non può essere misurato solo dai numeri dei combattenti uccisi”. Citando il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, mons. Pates ricorda che “la Chiesa insegna che la lotta contro il terrorismo deve essere sempre condotta nel rispetto dei diritti umani e dei principi dello stato di diritto” e che “l’uso della forza, anche quando necessario, deve essere accompagnato da un’analisi coraggiosa e lucida delle ragioni che sono dietro agli attacchi terroristici”. In mancanza di ciò c’è anche il rischio che le misure contro il terrorismo siano controproducenti e che alimentino sentimenti anti-americani. La lettera conclude quindi con l’auspicio che i dubbi sollevati sugli omicidi mirati “possano contribuire all’elaborazione di una politica contro il terrorismo che sia di più ampio respiro, più morale e più efficace”. (L.Z.)
Fr. Michael Perry nuovo Ministro generale dei Francescani
◊ Fr. Michael Anthony Perry è stato eletto Ministro generale dell'Ordine dei Francescani per i prossimi sei anni. Nato a Indianapolis negli Stati Uniti nel 1954, fr. Michael è stato fino vicario generale dell'Ordine. È stato anche Ministro provinciale della Provincia del Sacro Cuore di Gesù negli Usa. Ha promosso nella sua provincia la Formazione teologica, la Formazione dopo il noviziato e la Giustizia, Pace e Integrazione del Creato (Jpic) internazionale. È stato in missione per dieci anni nella Repubblica Democratica del Congo. Ha servito anche nel Catholic Relief Services e presso la Conferenza episcopale degli Usa. Nel curriculum di fr. Michael Perry il Ph.D in Antropologia religiosa, Master in Teologia, Master in formazione sacerdotale e laurea in Storia e Filosofia. Fr. Michael Antony Perry succede a mons. fr. José Rodriguez Carballo, nominato dal Papa Francesco il 6 aprile segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Come riferisce l’agenzia Fides, nell’omelia della sua prima messa, come nuovo Ministro, celebrata questa mattina a Roma, fra Perry ha ricordato che “i frati minori non devono fare affidamento su altro se non nello Spirito di Dio”. Di fronte a un mondo in cui “ i giovani hanno fame di una vita densa di significato, “gli anziani sono assetati di qualcuno che dia loro nuovi spazi di vita, i poveri e gli emarginati sono desiderosi di essere riconosciuti nella loro dignità umana”, ha proseguito, “noi frati abbiamo la vocazione a vivere e annunciare la fraternità e la condivisione, come segno della misericordia del Padre”. Il Ministro ha sottolineato l’importanza di diventare una “fraternità profetica”, imparando insieme come “leggere i desideri e le sofferenze del nostro tempo e lasciandosi permeare dal Vangelo, che è Gesù Cristo stesso”. Nel suo primo messaggio che si è articolato su tre parole chiave: condivisione, fraternità, misericordia, fra Perry afferma che “i frati minori sono chiamati a vivere la condivisione e la fraternità come testimonianza della misericordia di Dio”. (R.B.)
Nepal: cattolici, musulmani e indù ricordano l'attentato alla cattedrale di Kathmandu
◊ Centinaia di persone si sono riunite questa mattina nella chiesa dell'Assunzione di Kathmandu per ricordare il terribile attentato avvenuto il 23 maggio 2009 e costato la vita a due persone e causato 13 feriti. "Non abbiamo paura di continuare il nostro servizio nel nome di Dio", ha affermato padre Robin Rai, parroco della cattedrale in una chiesa gremita non solo di cattolici, ma anche di indù e musulmani. "Le minacce degli estremisti - ha aggiunto - non ci spaventano, proseguiremo la nostra missione con ancora più vigore". Il sacerdote ha sottolineato che i "i cattolici non sono per la vendetta, ma da sempre lavorano per il bene della società e dell'uomo, in solidarietà con tutte le altre fedi religiose". Alla cerimonia erano presenti anche le famiglie delle vittime e i sopravvissuti all'attacco. Shyam Rai, rimasto gravemente ferito dall'esplosione della bomba piazzata dagli estremisti indù, dichiara all'agenzia AsiaNews che questa esperienza drammatica "ha aumentato la sua fede in Dio. Ora sono pronto ad affrontare qualsiasi avversità nel Suo nome". La piccola comunità cattolica di Kathmandu ha condiviso la preghiera insieme con i rappresentanti musulmani e indù, che in questi anni hanno dimostrato in più di una occasione la loro solidarietà ai cristiani. Damodar Gautam, leader indù e delegato del Consiglio per il dialogo interreligioso, spiega che "l'attacco non ha nulla a che fare con la nostra religione. Nessun fedele ha il diritto di compiere un tale gesto utilizzando il pretesto della fede". "Purtroppo - aggiunge - l'induismo è da anni preda degli estremisti, che compiono violenze in nome della religione". In questi anni, il Nepal ha registrato diversi omicidi e attacchi contro le minoranze religiose, di solito per mano di estremisti indù. Il Nepal Defence Army (Nda), il gruppo responsabile dell'attentato alla cattedrale dell'Assunzione di Kathmandu, è responsabile anche dell'attacco alla moschea di Birantnagar nel 2010 e della morte di padre John Prakash nel 2008. A tutt'oggi molti dei suoi leader sono in carcere. Nonostante le minacce e gli attentanti, la comunità cattolica nepalese è cresciuta in questi anni. Oggi conta oltre 7mila fedeli e costituisce circa 0,45% della popolazione. Le sue opere, soprattutto quelle educative sono conosciute e stimate in tutto il Paese. Nel 2011 il governo ha dichiarato il Natale festa nazionale, consentendo ai cristiani processioni e manifestazioni a cui partecipano ogni anno centinaia di persone di altre fedi. (R.P.)
Myanmar: campagna interreligiosa dei giovani contro la violenza
◊ Uno sforzo comune di preghiera e di sensibilizzazione per fermare la violenza interreligiosa che attraversa la nazione: così si presenta la campagna “Pregate per il Myanmar”, lanciata da un gruppo di leader religiosi, a cui hanno aderito comunità buddiste, musulmane, cristiane, indù. Come riferito all’agenzia Fides dalla Chiesa in Myanmar, la campagna, che intende mitigare le tensioni religiose, ha trovato il forte appoggio dei giovani cristiani delle “Ymca” (Young Men’s Christian Association) che stanno sensibilizzando la popolazione con eventi, metodi e forme tipicamente giovanili, associandosi a giovani di altre comunità religiose. Ad esempio i giovani girano per le strade della capitale distribuendo adesivi e magliette su cui è scritto “Non lascerò che la violenza etnica o religiosa inizi con me”. L’iniziativa della campagna è nata dopo l’incontro fra Thet Swe Win, buddista, e Minn Paing Soe, musulmano, due attivisti impegnati nella società civile birmana, che si sono uniti per cercare di ridurre le tensioni sociali e religiose. Alla fine di marzo, la violenza fra buddisti e musulmani ha scosso il Myanmar centrale, nella città di Meiktila, facendo oltre e 40 morti e aumentando le tensioni nel Paese, dove la popolazione è al 90% buddista, 5% cristiana, 4% musulmana, circa 1% indù. Le tensioni religiose stanno lanciando un'ombra sulla fase di apertura politica inaugurata dal governo, che ha condannato l’intolleranza religiosa, promettendo i proteggere le minoranze. I musulmani in Myanmar sono preoccupati soprattutto dalla campagna “969”, che trae il nome da una disposizione numerologica di insegnamenti del buddismo e si configura come movimento di orgoglio nazionalistico. Il movimento introduce nella società forme virulente di segregazione su base religiosa: incoraggia i buddisti a frequentare solo negozi buddisti, e diffonde discorsi di odio religioso anti-musulmano, che ora circolano anche su Internet, dopo il calo della censura governativa sui media. (R.P.)
Sud Sudan: la Chiesa vuole contribuire alla prima Costituzione del Paese
◊ Le Chiese del Sud Sudan vogliono partecipare e contribuire alla stesura della prima Costituzione permanente del Paese: la richiesta è contenuta in una lettera inviata alla commissione statale incaricata di rivedere ed emendare la Carta provvisoria entrata in vigore dopo la proclamazione dell’indipendenza nel 2011. Secondo l’emittente cattolica Radio Bakhita, ripresa dalla Misna, la lettera è stata diffusa dal Consiglio delle Chiese del Sudan in questi giorni. Nel testo si sottolinea che l’organismo ecumenico, del quale fa parte anche la Chiesa cattolica, ha già creato un proprio comitato incaricato di affrontare i temi rilevanti ai fini della revisione della Costituzione. Il presidente della commissione statale, Akolda Man Tier, e il ministro dell’Informazione, Barmaba Marial Benjamin, hanno entrambi sottolineato che sia prima che dopo l’indipendenza le Chiese hanno avuto un ruolo chiave nella vita nazionale. Il Sud Sudan è divenuto indipendente da Khartoum due anni fa, dopo una lunga guerra civile (1983-2005). Una Carta definitiva dovrebbe essere promulgata dopo le prime elezioni, previste nel 2015. La commissione incaricata di rivedere la Costituzione è composta da 45 membri, espressione sia di partiti politici che di organizzazioni della società civile. (L.Z.)
Niger: timore di ulteriori contagi di colera nei campi profughi
◊ In Niger, una grave epidemia di colera ha colpito 248 persone a Ayorou, nella regione nordoccidentale di Tillabéry. Secondo gli uffici sanitari di Tillabéry e l’agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), i morti finora registrati sono sei, due dei quali profughi del Mali. Tra le persone contagiate, 31 sono profughi che vivono nei campi di Tabareybarey e Mangaize al confine con il Mali. Per cercare di contenere il fenomeno, l’Unhcr ha aumentato la distribuzione, nei campi profughi e nei villaggi circostanti, di acqua potabile, soluzioni orali reidratanti, sapone e tavolette disinfettanti, ma urgono molti farmaci. Il timore è che il colera possa rapidamente diffondersi a causa dell’alta concentrazione di profughi nella regione. La maggior parte dei casi riguardano gli abitanti della città di Ayorou, che la domenica ospita un mercato di bestiame frequentato da persone provenienti da tutta la regione. Il Ministero della Salute sta cercando di chiudere temporaneamente questo mercato, che si trova proprio accanto al fiume Niger, sospetta fonte della contaminazione. Ha inoltre vietato a chiunque di utilizzare, o bere, l'acqua del fiume, anche se è molto difficile tenere la situazione sotto controllo. Secondo i dati diffusi dall’Unhcr, lo scorso anno nel Paese sono state contagiate 5,785 persone, 110 delle quali sono morte. (R.P.)
Celam: "Missione continentale con coloro che soffrono"
◊ "La Chiesa in America Latina, disposta ed impegnata a portare frutti di vita tra i nostri popoli, accoglie come orientamento evangelico e pieno di saggezza la proposta programmatica di Papa Francesco per tutta la Chiesa". Inizia così il messaggio dei vescovi delle 22 Conferenze episcopali della America Latina e dei Caraibi, riuniti nella 34.ma Assemblea Ordinaria del Celam a Città del Panama dal 14 al 17 Maggio 2013. "Ci siamo resi conto e abbiamo riflettuto sui gravi problemi dei nostri popoli, tra i quali segnaliamo: il deterioramento delle istituzioni democratiche, un modello economico che favorisce la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, le decisioni legislative in contrasto con i valori morali, le diverse espressioni di violenza che minacciano la dignità umana e la coesistenza pacifica. Dinanzi l'urgenza di queste sfide, desideriamo rinnovare l'impegno di proseguire con la Missione Continentale, in solidarietà con coloro che soffrono di più, come Gesù ha insegnato e Papa Francesco ci ricorda”, si legge nel testo del messaggio che riporta l'agenzia Fides. L’America vive come una grande sfida la Missione Continentale e proprio per questo che il documento conclude in questo modo: "Nel mondo di oggi, per evangelizzare efficacemente, dobbiamo dare la priorità ai gesti". (R.P.)
Comece: "Settimana della speranza" nel cuore del quartiere europeo di Bruxelles
◊ Una “Settimana della speranza” nel cuore del quartiere europeo di Bruxelles. La proposta giunge dalla Comece, Commissione degli episcopati della Comunità europea, che ha predisposto un fitto calendario di appuntamenti fra il 23 e il 27 giugno, ricollegandosi a una data storica: infatti dieci anni or sono, il 29 giugno 2003, papa Giovanni Paolo II pubblicava l’esortazione apostolica “Ecclesia in Europa”, uno dei punti più alti del magistero ecclesiale sulla evangelizzazione e la presenza cristiana nel vecchio continente. Da qui - riporta l'agenzia Sir - l’invito dei vescovi della Comece, che affermano: “Oggi, alla luce della crisi attuale, lo scetticismo e il dubbio a volte sembrano avere la meglio. Tuttavia, guardando a ciò che abbiamo finora realizzato in Europa, tutti noi dovremmo rimanere europei di speranza”. Nell’Anno della cittadinanza europea, i vescovi invitano ogni cittadino a trasmettere le speranze personali attraverso il proprio lavoro e impegno, anche aderendo alla Settimana della speranza. Gli appuntamenti prenderanno avvio domenica 23 giugno con una messa di apertura nella Cappella della resurrezione. Quindi da lunedì 24 a giovedì 27 seguiranno tre incontri al giorno: al mattino (Start your day), con un momento di preghiera, a metà giornata (Have a break) con un “appetitoso dibattito”, e a sera (Finish your day), con uno scambio di vedute. Durante la “Week for hope” promossa dalla Comece saranno posti al centro delle riflessioni alcuni temi della presenza credente nella società di oggi, fra cui la convivenza tra fedi diverse, il ruolo pubblico della donna, le persecuzioni e il martirio, il servizio alle persone povere ed emarginate; saranno affrontati anche altri argomenti quali l’educazione, l’economia, il contrasto al crimine, le migrazioni. Ognuno di questi aspetti verrà introdotto dalla presentazione di varie figure di santi e beati della Chiesa cattolica, spaziando dal polacco padre Jerzy Popieluszko all’austriaca Hildegard Burjan, dallo spagnolo Pedro Poveda all’italiano don Pino Puglisi, dalla tedesca Ildegarda di Bingen all’inglese John Henry Newman. La settimana si concluderà il 27 giugno con una messa nella chiesa di Notre Dame du Sablon. (R.P.)