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Sommario del 22/05/2013
Udienza generale. Il Papa: lo Spirito dà il coraggio di annunciare il Vangelo "a voce alta"
◊ La Chiesa esiste per evangelizzare, dallo Spirito Santo arriva il coraggio per annunciare il Vangelo dovunque e “a voce alta”. Lo ha riaffermato questa mattina Papa Francesco all’udienza generale, celebrata in Piazza San Pietro davanti a 80 mila persone. Al termine, il Papa ha pregato ancora una volta per le vittime del tornado a Oklahoma City. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Rintanati tra quattro mura e pieni di paura per essere stati compagni di Gesù e poi capaci di annunciarlo in pubblico con “coraggio”, con “franchezza”. La trasformazione dei discepoli in Apostoli, avvenuta nel Cenacolo a Pentecoste, è quella che Papa Francesco auspica per la Chiesa del 21.mo secolo. Evangelizzare, ha affermato il Papa, “è la missione della Chiesa”, il motivo per cui essa esiste. Ma il “motore dell’evangelizzazione” è lo Spirito Santo ed è da qui che tutto comincia e discende:
“Per evangelizzare, allora, è necessario ancora una volta aprirsi all’orizzonte dello Spirito di Dio, senza avere timore di che cosa ci chieda e dove ci guidi. Affidiamoci a Lui! Lui ci renderà capaci di vivere e testimoniare la nostra fede, e illuminerà il cuore di chi incontri”.
Papa Francesco individua “tre effetti” dovuti all’azione dello Spirito. Il primo è la “comunione”. Se Babele, constata, è il monumento alla superbia che provocherà divisione e chiusura tra gli uomini, la Pentecoste, osserva, è il suo opposto. “La lingua del Vangelo – afferma il Papa – è la lingua della comunione”:
“A volte sembra che si ripeta oggi quello che è accaduto a Babele: divisioni, incapacità di comprendersi, rivalità, invidie, egoismo. Io cosa faccio con la mia vita? Faccio unità attorno a me o divido, divido, divido con le chiacchiere, le critiche, le invidie? Cosa faccio? Pensiamo a questo! Portare il Vangelo è annunciare e vivere noi per primi la riconciliazione, il perdono, la pace, l’unità, l’amore che lo Spirito Santo ci dona”.
Secondo effetto, per l’appunto, il “coraggio”. L’esempio che Papa Francesco porta è quello di Pietro, che dopo i giorni della paura si alza in piedi la mattina di Pentecoste e parla pubblicamente di Cristo “a voce alta”. Quel coraggio viene dallo Spirito Santo, dal quale – ribadisce il Pontefice – “si sprigionano nuove energie di missione”:
“Non chiudiamoci mai a questa azione! Viviamo con umiltà e coraggio il Vangelo! Testimoniamo la novità, la speranza, la gioia che il Signore porta nella vita. Sentiamo in noi ‘la dolce e confortante gioia di evangelizzare’. Perché evangelizzare, annunziare Gesù ci dà gioia! Invece l’egoismo ci dà amarezza, tristezza, ci porta giù! Evangelizzare ci porta su!”.
Il terzo effetto, prosegue Papa Francesco, è direttamente connesso alla nuova evangelizzazione ed è chiaro: non c’è “fuoco” dello Spirito se non è invocato nella preghiera. La Chiesa deve chiederlo come gli Apostoli lo invocarono nel Cenacolo:
“Senza la preghiera il nostro agire diventa vuoto e il nostro annunciare non ha anima e non è animato dallo Spirito (...) Lasciamoci guidare da Lui, siamo uomini e donne di preghiera, che testimoniano con coraggio il Vangelo, diventando nel nostro mondo strumenti dell’unità e della comunione con Dio”.
Al momento dei saluti nelle altre lingue, Papa Francesco ha nuovamente levato una preghiera di vicinanza spirituale per le vittime del tornado che due giorni fa ha devastato la città statunitense di Oklahoma City:
“Vi invito tutti a pregare con me per le vittime, specialmente i bambini, del disastro in Oklahoma. Il Signore consoli tutti, in particolare i genitori che hanno perso così tragicamente un loro figlio”.
Ad ascoltare Papa Francesco in Piazza S. Pietro vi erano anche le delegazioni di Lazio e Roma, le squadre di calcio della capitale. Il Pontefice le ha salutate, ricevendo da entrambe una maglia celebrativa con su scritto il suo nome. A rappresentare la Roma vi erano il presidente, James Pallotta, l'amministratore delegato, Italo Zanzi, l'allenatore Aurelio Andreazzoli e il capitano, Francesco Totti. Per la Lazio hanno stretto la mano al Pontefice il presidente, Claudio Lotito, e l'attaccante di nazionalità francese, Louis Saha.
La preghiera del Papa per i cattolici in Cina in occasione della memoria della Madonna di Sheshan
◊ Venerdì prossimo 24 maggio, nella memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani, venerata con grande devozione nel Santuario di Sheshan a Shanghai, si celebra la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, istituita da Benedetto XVI nel 2007. Il Papa, al termine dell’udienza generale, l'ha ricordata. Queste le sue parole:
“Invito tutti i cattolici nel mondo a unirsi in preghiera con i fratelli e le sorelle che sono in Cina, per implorare da Dio la grazia di annunciare con umiltà e con gioia Cristo morto e risorto, di essere fedeli alla sua Chiesa e al Successore di Pietro e di vivere la quotidianità nel servizio al loro Paese e ai loro concittadini in modo coerente con la fede che professano. Facendo nostre alcune parole della preghiera alla Madonna di Sheshan, vorrei insieme con voi invocare Maria così: “Nostra Signora di Sheshan, sostieni l’impegno di quanti in Cina, tra le quotidiane fatiche, continuano a credere, a sperare, ad amare, affinché mai temano di parlare di Gesù al mondo e del mondo a Gesù”. Maria, Vergine fedele, sostenga i cattolici cinesi, renda i loro non facili impegni sempre più preziosi agli occhi del Signore, e faccia crescere l’affetto e la partecipazione della Chiesa che è in Cina al cammino della Chiesa universale".
In udienza dal Papa il presidente del Benin, Thomas Boni Yayi
◊ Al termine dell’udienza generale di questa mattina, Papa Francesco ha ricevuto in udienza il presidente della Repubblica del Benin, Thomas Boni Yayi. Il capo di Stato beninese sarà domattina tra i relatori in Sala Stampa vaticana per la presentazione ai media della Cattedra ''Cardinal Bernardin Gantin'', istituita nella Pontificia Università Lateranense all'interno dell'Area internazionale di ricerca ''Studi interdisciplinari per lo sviluppo della cultura africana''. Il cardinale Gantin, scomparso a Parigi nel maggio 2008, fu per diversi decenni a servizio della Santa Sede. Giovanni Paolo II lo nominò prefetto della Congregazione per i Vescovi nel 1984, primo cardinale di origine africana a ricoprire la carica di capo dicastero.
Papa Francesco: la cultura dell'incontro è alla base della pace
◊ “Fare il bene” è un principio che unisce tutta l’umanità, al di là della diversità di ideologie e religioni, e crea quella cultura dell’incontro che è alla base della pace: è quanto ha affermato il Papa nella Messa di stamani a Santa Marta, alla presenza di alcuni dipendenti del Governatorato. Ha concelebrato il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti. Il servizio di Sergio Centofanti:
Il Vangelo di questo mercoledì ci parla dei discepoli di Gesù che impediscono a una persona esterna al loro gruppo di fare il bene. “Si lamentano" – afferma il Papa nell’omelia - perché dicono: “Se non è dei nostri, non può fare il bene. Se non è del nostro partito, non può fare il bene”. E Gesù li corregge: “Non glielo impedite – dice - Lasciate che lui faccia il bene”. “I discepoli – spiega Papa Francesco – erano un po’ intolleranti”, chiusi nell’idea di possedere la verità, nella convinzione che “tutti quelli che non hanno la verità, non possono fare il bene”. E “questo era sbagliato” e Gesù “allarga l’orizzonte”. “La radice di questa possibilità di fare il bene, che tutti abbiamo” – osserva il Papa - è “nella creazione”:
“Il Signore ci ha creati a sua immagine e somiglianza, e siamo immagine del Signore, e Lui fa il bene e tutti noi abbiamo nel cuore questo comandamento: fai il bene e non fare il male. Tutti. ‘Ma, padre, questo non è cattolico! Non può fare il bene!'. Sì, può farlo. Deve farlo. Non può: deve! Perché ha questo comandamento dentro. ‘Ma, padre, questo non è cristiano, non può farlo!’. Sì, può farlo. Deve farlo. Invece, questa chiusura di non pensare che si possa fare il bene fuori, tutti, è un muro che ci porta alla guerra e anche a quello che alcuni hanno pensato nella storia: uccidere in nome di Dio. Noi possiamo uccidere in nome di Dio. E quello, semplicemente, è una bestemmia. Dire che si possa uccidere in nome di Dio, è una bestemmia”.
“Invece, il Signore – prosegue il Papa - ci ha creati a sua immagine e somiglianza e ci ha dato questo comandamento all’interno del cuore: fai il bene e non fare il male”:
“Il Signore tutti, tutti ci ha redenti con il sangue di Cristo: tutti, non soltanto i cattolici. Tutti! ‘Padre, gli atei?’. Anche loro. Tutti! E questo sangue ci fa figli di Dio di prima categoria! Siamo creati figli con la somiglianza di Dio e il sangue di Cristo ci ha redenti tutti! E tutti noi abbiamo il dovere di fare il bene. E questo comandamento di fare il bene tutti credo che sia una bella strada verso la pace. Se noi, ciascuno per la sua parte, facciamo il bene agli altri, ci incontriamo là, facendo il bene, e facciamo lentamente, adagio, piano piano, facciamo quella cultura dell’incontro: ne abbiamo tanto bisogno. Incontrarsi facendo il bene. ‘Ma io non credo, padre, io sono ateo!’. Ma fai il bene: ci incontriamo là!”.
“Fare il bene” – spiega il Papa – non è una questione di fede, “è un dovere, è una carta d’identità che il nostro Padre ha dato a tutti, perché ci ha fatti a sua immagine e somiglianza. E lui fa il bene, sempre”. Questa la preghiera finale di Papa Francesco:
“Oggi è Santa Rita, Patrona delle cose impossibili, ma questo sembra impossibile: chiediamo a lei questa grazia, questa grazia che tutti, tutti, tutte le persone facciano il bene e ci incontriamo in questo lavoro, che è un lavoro di creazione, assomiglia alla creazione del Padre. Un lavoro di famiglia, perché tutti siamo figli di Dio: tutti, tutti! E Dio ci vuole bene, a tutti! Che Santa Rita ci conceda questa grazia, che sembra quasi impossibile. Così sia”.
La musica di questa Casa è l'amore: così Papa Francesco durante la visita alla Casa Dono di Maria
◊ “Con il vostro servizio quotidiano” siete “la mano di Dio che sazia la fame di ogni vivente”. Con queste parole Papa Francesco si è rivolto alle Suore missionarie della Carità, fondate dalla Beata Teresa di Calcutta, durante la visita alla Casa Dono di Maria, in Vaticano. La struttura gestita dalle Suore offre ospitalità a circa 25 donne e circa 60 uomini vi consumano i pasti quotidianamente. Il Papa ha incontrato un gruppo di "oltre un centinaio di persone, composto dalle ospiti della casa, dai suoi frequentatori, collaboratori e amici, oltre che dalle Suore della Casa e altre Suore della Carità rappresentanti delle diverse comunità di Roma”, fa sapere il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Occasione della visita la commemorazione del 25.mo dell’affidamento della stessa Casa alla Beata Madre Teresa di Calcutta da parte del Beato Giovanni Paolo II. Il servizio di Debora Donnini:
“Voi, care Suore, insieme ai Missionari della Carità e ai collaboratori, rendete visibile l’amore della Chiesa per i poveri”.
E’ un grazie di cuore quello che Papa Francesco rivolge a quanti operano all’interno della Casa Dono di Maria: “in questi anni, quante volte vi siete chinati su chi ha bisogno, come il buon samaritano”, ricorda , “quante ferite, specialmente spirituali, avete fasciato!”. Festoso il clima dell’incontro, con canti. Le suore hanno posto al collo di Papa Francesco una bella ghirlanda di fiori, secondo l’uso indiano. E il Papa ha salutato i presenti uno ad uno, a cominciare dalle donne ospiti. Questa è una cosa “fra beati” e “la santità è passata”, dice Papa Francesco in riferimento all’inaugurazione fatta da Giovanni Paolo II e a Madre Teresa. Tre le parole su cui si sofferma nel discorso: casa, dono e Maria. Casa è il luogo dell’accoglienza che richiama l’amore e rappresenta dunque la ricchezza umana più preziosa, quella dell’incontro fra persone diverse che si aiutano a crescere. La casa è dunque “un luogo decisivo” nella vita, dove ogni persona “impara a ricevere amore e a donare amore” e questo, ricorda, “cerca di essere da 25 anni anche questa casa":
“Al confine tra Vaticano e Italia, essa è un forte richiamo a tutti noi, alla Chiesa, alla Città di Roma ad essere sempre più famiglia, 'casa' in cui si è aperti all’accoglienza, all’attenzione, alla fraternità”.
Questa casa, poi, si caratterizza perché dona sostegno materiale e spirituale “a voi, cari ospiti”, dice Papa Francesco. “Ma anche voi – aggiunge - siete un dono per questa casa e per la Chiesa”:
“Voi ci dite che amare Dio e il prossimo non è qualcosa di astratto, ma di profondamente concreto: vuol dire vedere in ogni persona il volto del Signore da servire, e servirlo concretamente. E voi siete, cari fratelli e sorelle, il volto di Gesù. Grazie! Voi 'donate' la possibilità a quanti operano in questo luogo di servire Gesù in chi è in difficoltà, in chi ha bisogno di aiuto”.
Il Papa ricorda che nella casa Dono di Maria si vive un’ospitalità aperta “senza distinzione di nazionalità o di religione”. “Dobbiamo recuperare tutti il senso del dono”, della gratuità, della solidarietà, prosegue, sottolineando che “un capitalismo selvaggio ha insegnato la logica del profitto ad ogni costo”, “dello sfruttamento senza guardare alle persone” e, aggiunge, “i risultati li vediamo nella crisi che stiamo vivendo”:
“Questa Casa è un luogo che educa alla carità, una 'scuola' di carità, che insegna ad andare incontro ad ogni persona, non per profitto, ma per amore. La musica - diciamolo così - di questa Casa è l’amore”.
E dunque Papa Francesco apprezza che i seminaristi da tutto il mondo vengano qui per fare un’esperienza di servizio. Quindi la terza parola su cui si dipana il suo discorso è "Maria" che ha fatto della sua esistenza un incessante dono a Dio perché amava il Signore. Ed è quindi uno stimolo “a vivere la carità verso il prossimo non per una sorta di dovere sociale, ma partendo dall’amore di Dio”. Riprendendo le parole pronunciate prima da suor Maria Prema Pierick, Madre Generale delle Missionarie della Carità, sulla Vergine, Papa Francesco ricorda che Maria “ci insegna come andare da Gesù” e Lei “fa famiglia con noi e con Gesù”:
“Per noi cristiani, l’amore per il prossimo nasce dall’amore di Dio e ne è la più limpida espressione. Qui si cerca di amare il prossimo, ma anche di lasciarsi amare dal prossimo”.
Questi due atteggiamenti camminano assieme, non può esserci l’uno, se non c’è anche l’altro, afferma il Papa e conclude con un invito ad “amare Dio nei fratelli e amare i fratelli in Dio” come ricorda la carta intestata delle Missionarie della Carità dove sono stampate queste parole di Gesù: “Tutto quello che avete fatto ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Durante la visita Papa Francesco era accompagnato da mons. Georg Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia, e dal segretario personale mons. Alfred Xuereb. Ad accoglierlo il cardinale Angelo Comastri e la Madre Generale delle Suore della Carità, suor Maria Prema Pierick, che gli ha rivolto un indirizzo di saluto.
Da Papa Francesco una delegazione della Juventus
◊ Papa Francesco ha incontrato ieri pomeriggio, nella Domus Santa Marta in Vaticano, una delegazione della la Juventus, campione d'Italia di calcio. La delegazione era composta dal presidente della società Andrea Agnelli, i direttori generali Marotta e Mazzia, l’allenatore Antonio Conte e il portiere Gigi Buffon. All'udienza privata hanno partecipato anche il cardinale Bertone, l'arcivescovo Becciu e il segretario del Papa Xuereb. Il Pontefice e Agnelli hanno ricordato il valore dello sport come elemento di unione delle persone. Papa Francesco, ha ricevuto in dono da Buffon una maglia autografata da tutta la squadra ed una riproduzione della coppa dello scudetto.
Tweet del Papa: "Vivere il Vangelo è lottare contro l'egoismo"
◊ Il Papa ha lanciato un nuovo tweet al termine dell’udienza generale: “Vivere il Vangelo – scrive - è lottare contro l’egoismo. Il Vangelo è perdono e pace; è l’amore che viene da Dio”. Sull’account Twitter @Pontifex in nove lingue, i follower hanno superato i 6 milioni e mezzo, così suddivisi: 2.528.000 (inglese); 2.412.000 (spagnolo); 754.000 (italiano); 338.100 (portoghese); 140.300 (francese); 106.600 (tedesco); 102.300 (latino); 88.600 (polacco); 61.100 (arabo).
Rapporto Aif: Santa Sede rafforza impegno per la trasparenza finanziaria
◊ Presentato, stamani, nella Sala Stampa vaticana, il primo Rapporto annuale dell’Aif, l’Autorità di Informazione Finanziaria, istituita da Benedetto XVI nel 2010, e presieduta dal cardinale Attilio Nicora. A presentare il Rapporto, che si riferisce all’anno 2012, è stato oggi il direttore dell’Aif, il dott. René Brülhart. Il documento, che si sofferma sulle funzioni e l’attività dell’Aif, rende noto che nel 2012 sono state 6 le segnalazioni di attività sospette. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Intensificare l’impegno per la trasparenza finanziaria, la prevenzione e il contrasto del riciclaggio: è questa la missione dell’Autorità di Informazione Finanziaria sottolineata oggi dal suo direttore, René Brülhart, che ha voluto ribadire come l’istituzione di questo nuovo organismo sia anzitutto “un atto di coerenza ad una missione sul piano morale”, affinché economia e finanza “non siano semplici fini”, ma mezzi al servizio della persona. Il direttore dell’Aif ha quindi affermato che, come mostrato dal Rapporto, il Vaticano è sempre più “un partner credibile nella lotta internazionale contro il riciclaggio” ed ha annunciato che, nei prossimi mesi, verranno emanati dei provvedimenti per potenziare i poteri di vigilanza e ispezione dell’Aif. Il Rapporto ricorda i passi che negli ultimi due anni hanno portato ad una maggiore integrazione dello Stato Vaticano nel sistema giuridico internazionale di lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo. In particolare, si ricorda l’approvazione nel luglio scorso, da parte del Comitato “Moneyval” del Consiglio d’Europa, del rapporto sulla Santa Sede. Il dott. Brülhart ha così ribadito che la procedura “Moneyval” si sta svolgendo regolarmente e con la massima collaborazione nel segno della trasparenza. Al contempo, ha aggiunto, è massima la cooperazione tra Santa Sede e autorità italiane, in particolare con la Banca d’Italia. Il Rapporto sottolinea, inoltre, che le funzioni dell’Aif - organismo costituito di 7 persone - sono raccolte in “due pilastri”: l’attività di informazione finanziaria e l’attività di vigilanza per la prevenzione e il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, incluso il potere di “effettuare ispezioni in loco” e applicare “sanzioni amministrative”.
Il rapporto ricorda, poi, che lo Ior è sottoposto alla normativa vigente e alla vigilanza dell’Aif. Dal canto suo, il direttore Brülhart ha reso noto che è in corso uno screening dei conti correnti dello Ior per avere un quadro chiaro della situazione. I risultati sono attesi nei prossimi mesi. L’attività di informazione finanziaria, scrive ancora nel rapporto, si articola in tre fasi fondamentali: raccolta delle segnalazioni di transazioni sospette; analisi e approfondimento delle segnalazioni e trasmissione di rapporti al Promotore di Giustizia. Una parte del rapporto è dedicata alle statistiche relative alle segnalazioni di attività sospette che sono state 6 nel 2012, una nel 2011. Un segnale, ha detto Brülhart, che il sistema va “costantemente migliorando”. Vi sono inoltre state nell’anno passato 3 richieste di informazioni aggiuntive ai soggetti segnalanti. Si rende noto, inoltre, che nel 2012 sono state 2 le richieste di informazioni ad autorità interne e 2 i Rapporti al Promotore di Giustizia. Per quanto riguarda la collaborazione a livello internazionale, infine, nel 2012 c’è stata una richiesta di informazioni ad autorità estere e 3 ricevute da autorità estere. L’ultima statistica del rapporto riguarda il trasporto transfrontaliero di denaro contante, di cui c’è obbligo di dichiarazione quando si tratta di una valore pari o superiore a 10 mila euro. Nel 2012, informa il documento, ci sono state 598 dichiarazioni in entrata (658 nel 2011) e 1782 in uscita (1894 nel 2011).
Il Rapporto rammenta inoltre che l’Aif ha adottato cinque regolamenti e sei istruzioni, tra l’altro in materia di trasporto di denaro contante in entrata e uscita dal Vaticano e di trasferimento di fondi. Oltre a queste funzioni, prosegue il documento, l’Aif provvede anche alla raccolta e analisi delle dichiarazioni di trasporto transfrontaliero di denaro contante e di titoli al portatore. D’altro canto, si evidenzia che in materia di provvedimenti preventivi, l’Aif può sospendere per un periodo di cinque giorni lavorativi le attività sospette di riciclaggio.
Chiesa e migrazione forzate. Card. Vegliò: cosa facciamo per Gesù straniero tra noi?
◊ “Accogliere Cristo nei rifugiati e nelle persone forzatamente sradicate”. Il titolo del documento al centro dei lavori della XX Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti, in corso da oggi a venerdì prossimo nel Palazzo San Calisto in Vaticano, presenti relatori di istituzioni ecclesiali, governative e non, esperti ed operatori umanitari di tutto il mondo. Il servizio di Roberta Gisotti:
Gesù Cristo, "straniero in mezzo a noi", deve interpellare il nostro essere e agire da cristiani, ha premesso il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontifico Consiglio per la Pastorale dei Migranti e degli Itineranti. “La presenza e la sofferenza di persone forzatamente sradicate – ha detto – sono una sfida per la nostra fede”. Papa Francesco, all’udienza generale del 24 aprile scorso, ci ha sollecitati: “Cosa facciamo per loro?”. Sono infatti cambiati gli scenari migratori: anni fa, la differenza tra migrazione volontaria e involontaria era più definita. Oggi è “vaga”, a volte “controversa” “contestata”, e dunque, ha sottolineato il porporato, bisogna capire e mettere in atto le risposte necessarie.
Da un lato, si è allargato il mandato delle agenzie Onu e di altri organismi specializzati per assistere almeno 100 milioni di persone che si stima abbiano lasciato a malincuore le loro case e si trovino in esilio. D’altro lato, la presenza di questi esuli forzatamente sradicati è vista come un problema dalla comunità internazionale e dai governi dei Paesi, dove le opinioni pubbliche tendono a chiudersi nei propri egoismi “minacciando gli spazi di protezione” per migranti, rifugiati, sfollati, vittime della tratta internazionale, sfruttati nel lavoro, nella prostituzione, nomadi e rom, studenti esteri.
Tra i relatori della mattina, Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), si è soffermato sulle migrazioni forzate tra Africa ed Europa, sollecitando “nuove politiche” per “l’arrivo legale e protetto di rifugiati e persone in cerca di protezione”. Hein ha caldeggiato la possibilità che le persone forzate ad abbandonare il loro Paese possano presentare richiesta di protezione - prima ancora di raggiungere le frontiere - alle sedi diplomatiche all’estero. Una proposta in tal senso è attesa quest’anno dalla Commissione europea.
Il card. Sandri a Cascia per Santa Rita. Premiate 5 donne per coraggio, tenacia e misericordia
◊ E’ stato il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, a presiedere oggi a Cascia, in Umbria, il Solenne Pontificale in onore di Santa Rita, monaca agostiniana di cui oggi la Chiesa fa memoria. “Anche oggi Rita dal cielo si china a guardare su di noi… Troppe divisioni sono ancora nel cuore degli uomini… - ha detto nell’omelia il porporato -. Quante ferite alla dignità dell’uomo, persino dei bambini e dei deboli, fatti oggetti di violenza nel corpo e nella mente; quanta insopportabile divisione tra chi è ricco e chi è povero, ma soprattutto – ha insistito – quanto ignobile silenzio di fronte a queste ingiustizie. Ce lo ha ricordato Papa Francesco nel corso della Veglia e della Santa Messa di Pentecoste”. Il cardinale Sandri ha voluto anche ricordare la “guerra che da troppo tempo insanguina l’amata Siria, territorio affidato alla cura della Congregazione per le Chiese Orientali” e “a Beirut, nel confinante Libano, il grande Santuario di Santa Rita oggi particolarmente … unito in preghiera con Cascia per impetrare la pace”. Il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali ha avuto anche un pensiero per la città rumena di Ramnicu Valcea, gemellata quest’anno con Cascia, dove si trova un tempio bizantino dedicato a Santa Rita. “Vorrei che ci sentissimo uniti alla Chiesa Greco-Cattolica Rumena… è una comunità che ha contato un grande numero di martiri e di perseguitati durante la dittatura comunista, a motivo dell’amore a Dio e al Santo Padre portato sino alla fine. Ora – ha aggiunto il porporato – come fu per Santa Rita, chiediamo che le sofferenze di allora germoglino in frutti di riconciliazione e in un rinnovato slancio per il cammino ecumenico”. Infine, il cardinale Sandri ha pregato Santa Rita, “soprannominata la santa dei casi impossibili” perché nell’Anno della Fede, con la sua intercessione, i cristiani possano essere guariti dal dubbio che la santità sia impossibile. Le grandi celebrazioni per festeggiare la taumaturga agostiniana sono cominciate a Cascia lunedì; ieri la consegna del Riconoscimento Internazionale Santa Rita, a 5 donne che per tenacia, umiltà, servizio, abbandono a Cristo, perdono e il coraggio di essere se stesse, hanno ricalcato le doti della monaca vissuta fra il XIV e XV secolo. Quest’anno, si sono distinte per aver portato il messaggio di pace e perdono nella vita di tutti i giorni Alexandra Jianu (Brezoi, Romania), che malgrado le difficoltà legate alla condizione socio-religiosa in Romania durante il regime comunista, è riuscita a mantenere principi fortemente legati alla fede; Lina Trappetti (Spoleto, Perugia), che con il lavoro e i sacrifici non ha mai smesso di donarsi agli altri, in silenzio e con umiltà; suor Elsa Caterina Galfrè (Caraglio, Cuneo), della Congregazione delle Suore di S. Giuseppe di Cuneo, che si occupa dei meno fortunati, come una missionaria nella sua città; Zenobia Elmi (Marsciano, Perugia), che non si è lasciata sopraffare dalla propria diversità fisica, affidando, come Santa Rita, la propria vita a Gesù e infine Teresina Natalino (Lamezia Terme, Catanzaro), che dopo aver perso il marito – travolto da un auto guidata da un ragazzo sotto l’effetto di stupefacenti –, si è lasciata condurre dalla fede, che le ha dato la forza e il coraggio di mandare un messaggio di perdono e amore. (A cura di Tiziana Campisi)
Al via a Vienna il primo workshop del Kaiciid sul tema “L’immagine dell’altro”
◊ “L’immagine dell’altro”: su questo tema, si svolge oggi a Vienna il primo workshop del Kaiciid, il Centro internazionale per il dialogo interreligioso e culturale “Re Abdullah Bin Abdulaziz” fondato da Arabia Saudita, Spagna e Austria e in cui la Santa Sede ha il ruolo di organismo osservatore fondatore. All’incontro odierno prende parte padre Miguel Angel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e membro del Board of Directors del Kaiciid. Il workshop intende rispondere alla sfida “Come dare un’immagine obiettiva dell’altro?” che sarà sviluppata nell’arco di tre anni: per il 2013, si guarderà all’educazione, il prossimo anno al contesto dei mass media e nel 2015 alla sfera di Internet. Già lo scorso febbraio, a Madrid, si era tenuto un primo incontro del Board direttivo del Kaiciid, in occasione del 20.mo anniversario degli accordi di cooperazione tra la Spagna e le confessioni evangeliche, ebree e musulmane. Inaugurato ufficialmente il 26 novembre 2012, il Centro Kaiciid è stato fondato per facilitare, rafforzare ed incoraggiare il dialogo tra i seguaci delle diverse religioni e culture del mondo, così da migliore la cooperazione, il rispetto delle diversità, la giustizia e la pace. Alla cerimonia inaugurale dello scorso anno ha preso parte il card. Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, il quale ha definito il Centro “un’opportunità per aprire un dialogo su molti temi”, tra cui quello della “libertà religiosa in tutte le sue forme, per ogni uomo, per ogni comunità, ovunque”. In quell’occasione, il card. Tauran ha ribadito inoltre la necessità di tre atteggiamenti per i credenti: “Rispetto dell’altro nella sua specificità; conoscenza oggettiva reciproca delle tradizioni religiosa di ognuno, specialmente attraverso l’educazione; collaborazione affinché il nostro pellegrinaggio verso la verità sia realizzato nella libertà e nella serenità”. Sempre nel novembre scorso, spiegando l’iniziativa, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi aveva detto: “È importante osservare che il nuovo Centro non si qualifica come un’istituzione propria del Regno dell’Arabia Saudita, ma come Organizzazione internazionale indipendente, riconosciuta dalle Nazioni Unite”, “un’opportunità e uno spazio di dialogo” in cui “mettere ulteriormente a frutto l’esperienza e l’autorevolezza della Santa Sede nel campo del dialogo interreligioso”. Da ricordare, infine, che il Re d’Arabia, Abdullah Bin Abdulaziz, aveva informato personalmente l’allora Pontefice Benedetto XVI del progetto relativo al Kaiciid il 6 novembre 2007, durante un’udienza in Vaticano. (A cura di Isabella Piro)
Tre nuovi spazi espositivi al Museo Tecnico Storico di Radio Vaticana
◊ Tre nuovi spazi espositivi nel Museo Tecnico Storico della Radio Vaticana per raccontare ancora meglio la storia e la vita dell’emittente del Papa. Ieri l’inaugurazione degli allestimenti nella Palazzina Marconi, sede storica della radio, all’interno dei Giardini Vaticani. Benedetta Capelli:
Un ampio spazio nel quale passeggiare, curiosare e appassionarsi alla Radio Vaticana. Si presenta così, in una veste rinnovata, il Museo Tecnico Storico della nostra emittente. Tre nuovi allestimenti sono stati presentati ieri al direttore generale, padre Federico Lombardi, che ha evidenziato alcune peculiarità di questo museo:
“Elemento assolutamente prezioso nell’insieme della Radio Vaticana, della nostra storia, della nostra comunità di lavoro. Tra l’altro, in questo museo c’è anche il valore particolare di essere nel luogo originario della Radio stessa a cui teniamo molto e a cui siamo molto affezionati. È veramente il luogo più adatto per ripercorre la storia di questa nostra avventura straordinaria, che viviamo da più di 80 anni”.
Un’avventura, nata nel cuore del Vaticano, grazie alla straordinaria intuizione di Papa Pio XI e all’acuta intelligenza di Guglielmo Marconi. E il primo spazio del Museo racconta proprio questa fase della Radio Vaticana: un percorso che si snoda attraverso gli strumenti del tempo – microfoni, registratori e ricevitori – quasi tutti perfettamente funzionanti. Il secondo spazio vede come protagonista il trasmettitore della Radio nel quale si può addirittura entrare all’interno:
“C’è anche molta intelligenza nel riutilizzare i pezzi della nostra storia. Entrare dentro un trasmettitore: anche questa è un’esperienza per me nuova e simpatica! Finora, li ho sempre visti da davanti adesso il fatto di entrare dentro incuriosisce. Questo è quello che i musei moderni cercano di fare: dare modo di entrare nelle cose, di utilizzarle. Il fatto che siano tutti apparati funzionanti – e che quindi permettano anche magari di rivalorizzare dei documenti storici che ogni tanto si trovano e che vanno riletti con i vari registratori delle varie epoche – tutto questo è estremamente importante”.
C’è infine un terzo spazio dedicato alla Radio Vaticana dal 1970 ad oggi. Un piccolo museo, dunque, ma che non manca di appassionare. Sono infatti molti i ragazzi delle università, gli esperti di telecomunicazioni e i semplici curiosi che nel corso di quest’anno hanno fatto una visita. Alido Brinzaglia, direttore del Museo:
“Il Museo è diventato uno strumento di comunicazione. Basti pensare che in questi ultimi due mesi abbiamo registrato circa 400 visitatori. Noi utilizziamo il museo non solo per spiegare la radio, ma anche per spiegare la Radio Vaticana nel passato, oggi e anche in futuro, con le nuove tecnologie del web che stanno avanzando”.
Un Museo che vive della passione e della dedizione di tanti tecnici che hanno lavorato alla Radio Vaticana e “che dimostra – ha evidenziato padre Lombardi – di avere davanti a sé una vita ed una speranza”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ La lingua della riconciliazione: all'udienza generale il Pontefice sottolinea l'importanza della preghiera per una Chiesa che evangelizza.
Una bella realtà del Vaticano: la visita di Papa Francesco alla casa Dono di Maria.
Nell'informazione internazionale, il primo rapporto annuale dell'Autorità di informazione finanziaria (presentato ai giornalisti nella Sala Stampa della Santa Sede).
Doppia sfida per l'Unione europea: al vertice di Bruxelles, la lotta all'evasione fiscale e il mercato unico dell'energia.
Apartheid d'Europa: il rapporto Osce 2012 sulle discriminazioni contro i cristiani.
Il cemento della vita religiosa: aperto a Roma l'incontro dell'Unione superiori generali.
Presidenziali in Iran. Esclusi l'ex presidente Rafsanjani e il delfino di Ahmadinejad
◊ In Iran sale la tensione politica in vista delle elezioni presidenziali del prossimo 14 giugno. Esclusi dal Consiglio dei Guardiani - consesso di dodici membri controllato dalla Guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei - l'ex presidente, Akbar Hashemi Rafsanjani, e Esfandiar Rahim Mashai, consigliere e delfino del presidente Mahmoud Ahmadinejad. L’attuale leader, che non si può ricandidare per limiti imposti dalla Costituzione, ha ribadito che solleverà la questione del suo uomo di fiducia proprio con la Guida suprema. Mashai è accusato di tendenze religiose deviazioniste, mentre Rafsanjani è stato criticato per le sue simpatie riformiste e per i suoi 78 anni, giudicati da più parti come un età troppo avanzata. Ahmadinejad ha comunque sottolineato che Mashai è “uomo fedele, affidabile e utile per la nazione”. Otto per ora i candidati, dei 686 iscritti, rimasti in lizza per la poltrona da presidente, tra cui spiccano il capo negoziatore per il nucleare, Saed Jalili, il consigliere per la politica estera di Ahmadinejad, Ali Akbar Velayati, e il sindaco di Teheran, Mohammad Baqer Qalibaf. Al microfono di Massimiliano Menichetti, l'opinione di Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all'Università Cattolica di Milano:
R. - Queste due esclusioni eccellenti tagliano le parti più interessanti dal punto di vista elettorale, cioè Rafsanjani - che pur non essendo un riformista, è la persona più avvicinabile ai riformisti - e Mashai, che rappresenta un po’ gli ultraradicali, quel nuovo tipo di conservatori che non risponde direttamente al leader, l’ayatollah Khamenei. Questa è la dimostrazione che Khamenei ha completamente deformato le elezioni presidenziali. Ha deciso di non voler più correre alcuna sorpresa, non vuole proteste nelle piazze, non vuole i riformisti, non vuole neanche i conservatori troppo radicali a lui e non fedelissimi.
D. - Quindi, diciamo che anche l’annunciato ricorso all’ayatollah Khamenei da parte di Ahmadinejad, di fatto ha già la sua risposta in un “no”.
R. - Tutto l’Iran è, come dire, estremamente fluido. Credo che Khamenei voglia controllare e vedere le reazioni, e in caso si trattasse di reazioni molto forti da parte del gruppo di Ahmadinejad o anche di minacce di rivelazioni - come è stato ventilato - potrebbe in qualche modo riammetterlo, ma rafforzerebbe comunque la propria posizione perché sarebbe una concessione. Quanto a Rafsanjani, egli ha detto che non ricorrerà, anche perché i riformisti sono estremamente più deboli degli ultra radicali.
D. - Un Paese in difficoltà economica all’interno. Sullo scacchiere internazionale i problemi non sono pochi: dal nucleare, alle interazioni nell’area… Qual è, secondo lei, il futuro dell’Iran?
R. - L’Iran, fino a qualche anno fa, aveva un gradissimo peso geopolitico regionale. Poi un po’ per Ahmadinejad, con il suo estremismo, un po’ per l’incapacità del leader Khamenei di accettare dei compromessi con l’Occidente, l’Iran si è fortemente indebolito. Oggi, si trova in una grandissima crisi economica e finanziaria causata dalle sanzioni, una crisi che pur essendo molto seria non mette in ginocchio il regime, ma colpisce la popolazione, soprattutto il ceto medio, quello più occidentalizzato del Paese. A livello regionale e internazionale, è indebolito e minacciato dai bombardamenti. Si è infilato in un angolo dal quale è impossibile uscire ora, senza che ciò appaia come una grande sconfitta strategica e geopolitica del leader stesso.
D. - Poi, c’è tutta la questione dei Paesi del Golfo…
R. - Si sono spaventati per l’ascesa dei gruppi sciiti in Iraq e in Libano e hanno deciso di sostenere i movimenti sunniti estremisti e di contrattaccare, indebolendo l’Iran e facendo leva sulla debolezza economica iraniana, ma soprattutto sull’isolamento iraniano, cioè andando a colpire i pochi alleati rimasti a Teheran. Quindi, sul fattore regionale sicuramente l’Iran deve difendersi da questa fronte pressione arabo - sunnita.
D. - Tralasciando la questione nucleare, le aperture ci sono comunque sul fronte Russia e Cina…
R. – Certo, ma questi due filoni, Cina e Russia, non sono sufficienti a ristabilire e a compensare la debolezza iraniana e il suo isolamento a livello regionale e verso l’Occidente.
Cinque minatori feriti in scontri con la polizia nel nord del Sudafrica
◊ Di nuovo scontri in una miniera in Sudafrica. Disordini tra polizia e lavoratori in sciopero sono scoppiati nel nord del Sudafrica, presso una miniera di cromo, di proprietà del gruppo Lanxess, a Rustenburg, Secondo la portavoce dell'azienda, i minatori hanno cominciato a lanciare pietre contro la polizia che ha risposto sparando proiettili di gomma “per difendersi”. Dieci i feriti. A febbraio in un’altra miniera di platino nei disordini erano rimasti uccisi cinque minatori. Ben più grave, con decine di morti, era stato il bilancio della situazione di crisi di un anno fa. Della tensione legata al settore minerario e del contesto sociale del Sudafrica, Fausta Speranza ha parlato con Anna Bono, docente di Storia dei Paesi e delle istituzioni africane all’Università di Torino:
R. – E’ una situazione di tensione crescente che oltretutto – in particolare per il fatto che è sul punto di aprirsi il negoziato sulla ridefinizione dei salari e delle condizioni di lavoro nel settore minerario – non promette niente di buono.
D. – Una situazione particolare, questa dei lavoratori nelle miniere, ma in qualche modo rappresentativa di tutta una tensione sociale: è così?
R. – Certamente. Questo Paese dal 2010 è entrato a far parte dei Paesi emergenti e, in effetti, rispetto al panorama generale del continente africano, è in condizioni decisamente più rosee: basti pensare che nel vicino Zimbabwe la disoccupazione è calcolata al 75%, mentre in Sudafrica è “soltanto” – si fa per dire – al 25%. Tuttavia, nel 2008-2009 questo Paese, risentendo della crisi internazionale ma anche di scelte politiche ed economiche che non sono state delle più felici, è entrato in recessione. Soprattutto l’industria mineraria, che è una parte fondamentale dell’economia di questo Paese, è entrata in crisi, in recessione: c’è stata una diminuzione della produzione e quindi degli introiti. E, in generale, si può dire che ormai da alcuni anni il Paese risenta soprattutto, anche in presenza di miglioramenti tangibili – almeno in certi settori – delle condizioni di vita della popolazione, della delusione per le promesse mancate. A 18 anni dalla fine del regime di apartheid, ci sono ancora non dico sacche di povertà, che sarebbe già grave, ma c’è ancora un terzo circa della popolazione del Paese che vive sotto la soglia della povertà. E il disagio è aumentato proprio per la delusione delle promesse mancate, delle aspettative enormi che sono state deluse in questi anni da una classe dirigente e da una classe politica che non si sono dimostrate all’altezza.
D. – La classe dirigente non è stata all’altezza della crisi economica globale, o delle situazioni particolari da risanare all’interno della società del Sudafrica?
R. – Entrambe le cose. Non è stata all’altezza e poteva anche essere comprensibile, date le proporzioni della crisi globale, mondiale, che stiamo attraversando. Non è stata all’altezza dell’emergenza che si è creata a partire dal 2008, ma soprattutto non è stata capace di avviare politiche generali nel settore dei servizi e delle infrastrutture e nel settore dell’occupazione, che consentano un reale miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, in particolare dei dipendenti delle miniere che sono protagonisti – ma non soltanto loro – ormai da oltre un anno di proteste vivaci e anche molto ben organizzate. Lamentano condizioni di lavoro pericolose, lamentano condizioni abitative e, in generale, di vita per se stessi e per le famiglie del tutto al di sotto della soglia non dico di povertà ma di dignità. Naturalmente, questo si riflette in questo Paese, a differenza forse di altri, in un risentimento che non prende di mira soltanto le multinazionali, ma il governo stesso. In un certo senso, è un elemento positivo perché dovrebbe essere indicatore di una maggiore capacità di analisi e di valutazione della situazione da parte dei sudafricani.
Ha salvato le vite di molti profughi eritrei nel Sinai. La testimonianza dello Sheikh Hassan Awwad
◊ E’ grazie all’azione umanitaria di un autorevole esponente religioso egiziano che sono stati salvati molti profughi eritrei rapiti tra il Sudan e la Penisola del Sinai. Lo sceicco Hassan Awwad è in questi giorni in Italia, a Roma ospite della Comunità di Sant’Egidio. Francesca Sabatinelli lo ha incontrato:
Ha 32 anni lo sceicco egiziano Mohammed Ali Hassan Awwad, è salafita, e ha salvato centinaia di persone, tutti quei disgraziati che in fuga sopratuttto dall’Eritrea si affidano a trafficanti per attraversare il Sinai e approdare in Israele.
"La cosa è iniziata nel 2007 e inizialmente si occupavano soltanto di portare gli immigrati attraverso il Sinai, oltre il confine di Israele, per 200 dollari circa. Questa cosa è durata circa due anni, dal 2007 al 2009. Erano tutti contenti: chi faceva il trasporto, si prendeva i soldi; chi voleva arrivare, ci riusciva senza problemi. Poi alcuni di quelli che si occupavano del trasporto hanno iniziato ad alzare i prezzi e gli africani che dovevano passare non potevano pagare. Ed ecco che hanno iniziato a torturarli! Con il tempo sono aumentate le richieste di denaro, 40 mila dollari a persona, e sono aumentate le torture. L’unica cosa ad interessare i trafficanti è che le famiglie dei trasportati, ovvero dei rapiti, paghino questa cifra. Non importa torturarli o picchiarli, importante è avere la somma richiesta".
Lo sceicco testimonia in questo modo che non tutti gli abitanti del Sinai sono trafficanti di morte, che ci sono tribù come la sua che aiutano queste persone, collegate tra di loro pur di salvare queste persone. La tribù dello sceicco Awwad è a pochi chilometri dal valico di Rafah, che segna il confine con Israele. Cerca in tutti i modi, a costo della sua vita, di portare in salvo i rifugiati. Il suo è un appello a tutti, all’Italia, perché non faccia cadere l’attenzione, al governo egiziano, perché esca dall’immobilismo e reagisca intervenendo contro i predoni, e all’Eritrea, perché salvi i suoi figli, avvisandoli della sorte a cui vanno incontro una volta fuggiti dal paese.
"Come ce ne siamo accorti? Ci siamo imbattuti in capanni, prigioni. Queste persone erano ferite, le abbiamo portate dal medico, le abbiamo fatte curare e quindi abbiamo chiesto loro: “Cosa vi è successo?”. Ci hanno risposto: “Sono stati i trafficanti, i nostri rapitori”. Allora abbiamo chiesto: “Perché andate in Israele? Perché fuggite dal vostro Paese?”. “Perché nel nostro Paese c’è una dittatura, il governo dittatoriale si comporta male, ci costringe a fare un duro servizio militare…”.
Delle volte li liberiamo dalle loro prigioni: queste persone sono tenute praticamente in capannoni in mezzo al deserto, ma con un solo guardiano armato. A volte riescono a scappare, magari mentre il guardiano sta dormendo, noi li incontriamo e li prendiamo con noi. Non glieli ridiamo indietro quando ce li vengono a richiedere. Lo facciamo in nome di Dio. Tutti possono fare qualcosa per aiutare le persone in difficoltà, i poveri, ovunque!"
Difficile accertare quanti siano stati i morti in questi anni, si parla di 4-5mila vittime nel Sinai, dal 2008 ad oggi, più gli scomparsi al confine con Israele. C’è anche chi , dopo aver esaminato i corpi, ha ipotizzato un traffico di organi. Ad occuparsi di queste persone una volta liberate è l’Ong Gandhi, Alganesh Fesseha ne è la presidente è lei che chiamata dallo sceicco vola in Egitto:
R. - Noi liberiamo queste persone. Lui o le trova per la strada oppure va nei capannoni, dove sono legate, e riesce a liberarle. Poi arrivo io: mi chiama e mi dice “Alga, ci sono tot persone che sono nella mia casa. Li tengo nascosti”. Allora io gli chiedo di mandarmi le foto. A quel punto faccio preparare, dalle Nazioni Uniti, la “yellow card” - il nullaosta - vado, li prelevo, li porto al Cairo e li consegno alle Nazioni Unite. Spesso rimango a dormire con la tribù, e di notte vado a cercare queste persone nel Sinai.
D. - Questi trafficanti sono solo egiziani? Ci sono organizzazioni più vaste dietro alla loro azione?
R. – I primi a prendere queste persone sono sudanesi, i Rashaida. Poi questi, dietro pagamento immediato, le vendono agli egiziani che a loro volta vogliono essere pagati attraverso Western Union in Arabia Saudita, in America… Allora io dico: questi soldi qualcuno li raccoglie!
D. - In che condizioni trovate questi poveretti?
R. - Disastrose! La prima cosa che fa lo sceicco è chiamare un medico e dar loro assistenza; sono pieni di ferite dovute alle catene, alle bruciature; le ragazze sono state violentate e i ragazzi sodomizzati. Abbiamo alcune ragazze che hanno gli organi femminili devastati, perché poi rimangono incinte e le fanno partorire lì, in quella situazione, e i neonati muoiono. C’era una ragazza di 17 anni che ha tentato di scappare: l’hanno presa e le hanno versato l’acqua bollente con l’olio addosso, ha tutta la parte destra - il corpo, il braccio - bruciata. Era nelle prigioni egiziane. Adesso è in Etiopia, l’abbiamo liberata! Quando gli egiziani, i poliziotti, trovano questi fuggitivi li mettono in prigione per immigrazione illegale, non hanno neanche l’assistenza medica in quelle condizioni fisiche. La nostra azione si svolge in due modi. Il primo quando lo sceicco Mohammed chiama oppure quando vado a trovarlo per fare queste ricerche di persone, per liberarle e portarle al Cairo, affittando una macchina o un pulmino. Il secondo è quello di farli rilasciare dalle prigioni normali, in Egitto, perché qui sono stati arrestati per immigrazione illegale, poi li portiamo in Etiopia. L’unico Stato che ci accetta come profughi politici e per ragioni umanitarie è l’Etiopia. Io ringrazio lo sceicco, perché è riuscito a formare un gruppo veramente solido di persone che lo aiutano in questa impresa, perché non è facile: gli hanno bruciato la macchina e gli hanno anche sparato. Lui però appartiene a una delle famiglie più grandi, c’è rispetto da parte degli altri e lo ascoltano. Lui, ogni venerdì, va nelle moschee a predicare e a chiedere aiuto per queste persone. E’ ammirevole!
Istat: né studio né lavoro per 2 milioni di giovani, 15 milioni di italiani in disagio economico
◊ Gli effetti prodotti in Italia dalla crisi su imprese e capitale umano. Criticità e potenzialità per il sistema Paese. Questi i temi al centro del Rapporto annuale dell’Istat, presentato oggi a Roma. Lo studio, aiutando a comprendere le conseguenze della crisi – sottolinea in un messaggio il presidente italiano Giorgio Napolitano – “può fornire ai decisori politici un importante supporto conoscitivo”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Nella fotografia dell’Istat prevalgono dati negativi. Acuti appaiono gli effetti della recessione. L’Italia ha la quota più alta in Europa di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano: 2 milioni 250 mila nel 2012, pari al 23,9%, circa uno su quattro. In un anno, sono aumentati di 100 mila unità. Nel 2012, il potere d'acquisto delle famiglie italiane ha registrato una diminuzione del 4,8%. Al calo del reddito disponibile (-2,2%) è corrisposta una flessione del 4,3% delle quantità di beni e servizi acquistati. L’incidenza delle imposte correnti sul reddito disponibile delle famiglie è salita al 16,1%, raggiungendo il livello più alto dal 1990. Sono quasi 15 milioni, a fine 2012, gli individui in condizione di deprivazione, circa il 25% della popolazione (40% al Sud). In una situazione di grave disagio, in particolare, si trovano 8,6 milioni di persone, cioè il 14,3%, con un’incidenza più che raddoppiata in due anni. La crisi si riflette in vari ambiti. Maria Carone, direttore generale dell’Istat:
“La profondità e la straordinaria durata della crisi economica sta producendo effetti significativi anche sulla dimensione psicologica della popolazione. Tale dimensione, oltre a essere elemento essenziale per la tenuta della coesione sociale, condiziona la capacità di reazione del sistema economico e l’efficace credibilità dell’azione di politica economica”.
Nonostante la crisi e queste criticità, gli italiani guardano comunque in positivo al futuro. Sono soprattutto i giovani, fino a 34 anni, ad essere i più ottimisti. Dal Rapporto emerge inoltre un generale riconoscimento del ruolo positivo delle relazioni interculturali e della multiculturalità. Per quasi il 63% degli intervistati, gli immigrati non tolgono lavoro agli italiani. Cala invece la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Diffusa, infine, l’insoddisfazione dei cittadini verso il Parlamento e i partiti politici.
Otranto: le Caritas di Italia e Mediterraneo si incontrano a "MigraMed"
◊ Torna “MigraMed”, l’incontro annuale tra le Caritas europee e del bacino del Mediterraneo, in particolare nordafricane e mediorientali, che si svolge a Otranto da oggi al 24 maggio. Presenti oltre 60 Caritas italiane, con oltre 100 operatori. Per la prima volta, anche volontari provenienti da Svizzera, Svezia, Ucraina, Austria e Armenia. Al centro di questa edizione, il tema della protezione internazionale. Nell’intervista di Elisa Sartarelli, il direttore della Caritas di Otranto, don Maurizio Tarantino:
R. – La produzione internazionale consiste in realtà nell’accoglienza dei rifugiati politici o delle persone che scappano da situazioni di violenza. Siccome le aree di crisi stanno aumentando notevolmente nel mondo – pensiamo alla situazione in questo periodo, in modo particolare della Siria – è evidente che i Paesi che accolgono devono in qualche modo strutturare questa accoglienza, tenendo conto che non si tratta di migranti, lo dico in maniera brutale, ma si tratta di persone che scappano da situazioni alcune volte drammatiche.
D. – Dopo la "primavera araba", scaduta l’ultima proroga concessa dal governo, molti rifugiati sono rimasti in Italia senza l’assistenza che avevano ricevuto in un primo momento. Come stanno operando le Caritas italiane a questo riguardo?
R. – Le Caritas in Italia stanno continuando ad assicurare evidentemente l’accoglienza di queste persone, ma è evidente che ciò diventa un problema molto grande. Noi non possiamo ovviamente dire: “E’ finita la fase dell’emergenza, andatevene via!”. Si tratta quindi di trovare strumenti legislativi, perché possa essere assicurato a queste persone, adesso, un percorso di reinserimento. Oppure, possano essere aiutate, laddove questo sia possibile, a ritornare nei loro Paesi.
D. – Quest’anno è la Puglia ad ospitare il Meeting internazionale e si parlerà della passata vicenda albanese, dopo 20 anni dall’immigrazione che ha interessato in particolare questa terra...
R. – Sì, questa terra ricorda ormai da 20 anni i grandi sbarchi, quelli avvenuti nel ’91 con gli albanesi e poi l’emergenza del Kosovo. Questa terra si conferma, però, in qualche misura, per la posizione geografica, una terra di accoglienza. In realtà è, molto spesso, il primo approdo per le persone che arrivano. Credo che da questo punto di vista, per quanto ci riguarda come Caritas, siamo chiamati a ricordarlo anche nei progetti pastorali ordinari. Io credo che la pastorale debba partire proprio dall’attenzione concreta al territorio, lì dove si trova. Allora, la Puglia diventa da questo punto di vista una specie di avamposto, perché l’accoglienza diventi sempre più una realtà ordinaria nel cammino delle nostre chiese.
Bicentenario wagneriano. Pestelli: "L'uomo al centro del suo teatro innovativo"
◊ Il 22 maggio del 1813, nasceva a Lipsia Richard Wagner. Un genio multiforme, autore di scritti, saggi e opere letterarie di vario genere oltre che di tredici opere teatrali che innovarono la concezione stessa del teatro musicale in Germania e nel mondo. Fu indubbiamente una delle figure più complesse del secolo scorso, che ha incarnato le più forti contraddizioni del Romanticismo tedesco. Ma cosa resta indelebile della sua arte a distanza di 200 anni? Gabriella Ceraso lo ha chiesto al critico e musicologo, Giorgio Pestelli:
R. – Una conquista indelebile resta legata al fatto che ha reso il linguaggio musicale ipersensibile, capace di esprimere stati d’animo anche complessi, sottili, ineffabili, cose cioè dell’interiorità mai espresse in musica e che, dopo di lui, hanno avuto un grande seguito. Senza di lui, uno Strauss o un Mahler non sarebbero concepibili e anche, fuori dalla Germania, un Debussy o un Franck, o anche – fuori dalla musica, in pittura, in letteratura – un Baudelaire o un Proust. La prosa di Proust e tutta la concezione del suo grande romanzo ciclico senza la presenza di questo fluire della musica di Wagner sarebbero state diverse.
D. – Lei ha parlato di un fluire e in effetti l'idea di "opera totale" di Wagner è un’idea nuova. Cosa voleva dire?
R. – Un’idea più interiore dello spettacolo, in cui la parola, il canto e la scena, tutte confluissero in un ideale di unità quasi mistica, quasi da rito.
D. – Lei lo definirebbe un autore difficile?
R. – Senza dubbio, è un autore difficile soprattutto da rappresentare, perché ha delle pretese musicali di orchestra, di voci, di fatica di voce e sceniche molto importanti. Per il pubblico è indispensabile, secondo me, sapere cosa questi personaggi dicono, perché Wagner è un grande moralista, è uno che va a fondo nei dialoghi.
D. – Qual era la visione che aveva Wagner dell’umanità e dell’uomo?
R. – Un mondo che nella realtà che lui rappresenta è sempre dominato da questa oscura presenza del male, oscura e misteriosa: non si sa perché c’è il male nel mondo, ma l’uomo è veramente oppresso da questo peso. A questo si contrappone un riscatto lontano o un’illusione suprema, che è quella dell’amore. In tutta la sua opera, poi, c’è questo tema della rinuncia e cioè una concezione della vita in cui solo la rinuncia – la rinuncia all’amore, la rinuncia al potere, all’oro e alla ricchezza – dà un orizzonte ottimista.
D. – Lo trova un autore con contenuti e idee attuali?
R. – Sì, senza dubbio, perchè in Wagner il ricorso a leggende mitiche è una copertura che egli usa per analizzare l’uomo in se stesso. Diceva: “A me interessa quello che è tipicamente umano, l’eternamente umano”. Secondo me, quindi, Wagner è attualissimo, ma bisogna saperlo trattare, nelle regie, negli aspetti giusti.
D. – Un contemporaneo di Wagner – e il bicentenario è anche il suo – è Verdi. La storia li ha sempre un po’ contrapposti. E’ corretto contrapporli? Non hanno veramente niente in comune i due?
R. – I due certamente hanno avuto una carriera parallela, ma venivano da due ambienti molto diversi. In Verdi, c’era una matrice molto più popolare e scriveva opere italiane secondo la ricetta usuale. Resta un musicista in cui il teatro è soprattutto voce. Per Wagner, invece, i personaggi erano immersi nell’orchestra, che rappresentava il cosmo, la vita dell’universo, e i personaggi erano minori. In comune certamente avevano la morale del lavoro e poi, in fondo, in tutti e due il centro del loro teatro era l’uomo, le passioni dell’uomo, la coscienza umana.
D. – C’è qualcuno che trova in comune tra i due anche un ruolo svolto nella costruzione di una certa idea di nazione libera, democratica, nei loro rispettivi Paesi, Germania e Italia...
R. – Per Verdi, si può dire senz’altro che sia così. Ha rappresentato l’identità della coscienza italiana nel suo diventare nazione. Per Wagner non direi: Wagner era più un anarchico e nella sua concezione teatrale si è tenuto al di fuori della politica Che poi la nazione tedesca e, peggio ancora, l’epoca del nazismo abbiano usato la sua musica per i loro fini propagandistici, è un altro discorso.
Giordania: marcia di preghiera per i vescovi siriani rapiti
◊ Più di duemila persone hanno attraversato ieri sera Amman con in mano le candele, per invocare la liberazione dei vescovi e dei sacerdoti rapiti in Siria e chiedere il dono della pace per tutto il Medio Oriente. La marcia di preghiera e silenzio - riferisce l'agenzia Fides - è partita dalla cattedrale greco-ortodossa della Presentazione di Gesù al Tempio e si è snodata fino a quella siro ortodossa di Sant'Efrem, passando davanti alla chiesa cattolica di Santa Maria di Nazareth, presso il vicariato latino. La marcia con le candele, convocata a un mese dal rapimento dei due vescovi di Aleppo – il metropolita siro ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e quello greco ortodosso Boulos al-Yazigi, sequestrati il 22 aprile - era guidata da capi e rappresentanti delle Chiese e delle comunità ecclesiali presenti in Giordania. All'arrivo nella cattedrale siro-ortodossa, l'arcivescovo Maroun Lahham - vicario patriarcale per la Giordania del patriarcato latino di Gerusalemme - ha letto una dichiarazione sottoscritta da tutti i vescovi e i capi delle Chiese e delle comunità ecclesiali locali in cui si esprime la ferma condanna dei rapimenti che hanno avuto per vittime “due tra le più rilevanti personalità arabe cristiane del nostro tempo” e si prega “il Signore onnipotente affinchè riporti tranquilità e stabilità nell'amata Siria”. Nel loro appello, i leader cristiani hanno anche reclamato “il rispetto dei Luoghi Santi in Palestina, specialmente a Gerusalemme Est” e hanno invocato l'Onnipotente di “benedire il Regno Hashemita di Giordania e custodire il dono della stabilità, della sicurezza e della preziosa unità nazionale sotto la guida del Re Abdullah II Ibn Al Hussein”. “Abbiamo pregato affinchè la Giordania non sia contagiata dai conflitti che stanno facendo soffrire i popoli dei Paesi vicini” dichiara a Fides l'Arcivescovo Maroun Lahham. (R.P.)
Siria: Aleppo prega per i vescovi ortodossi a un mese dal loro sequestro
◊ "Pregate per la liberazione di mons. Youhanna Ibrahim e mons. Boulos Yaziji e per tutta la popolazione siriana". È l'appello di mons. Antoine Audo, arcivescovo caldeo di Aleppo a un mese dal rapimento dei due prelati ortodossi, avvenuto lo scorso 22 aprile al confine con la Turchia. "Ciò che più ci addolora - dice il prelato all'agenzia AsiaNews - e rattrista la popolazione è la totale assenza di notizie sulla condizione dei due vescovi e su dove sono prigionieri". Lo scorso 18 maggio, tutte le chiese cristiane di Aleppo, cattoliche e ortodosse, hanno organizzato una giornata di preghiera comune per la Siria. Migliaia di persone hanno partecipato, sfidando le bombe, il rischio di rapine e rapimenti. Per il vescovo, sacerdoti e leader religiosi sono un facile obiettivo per criminali ed estremisti: "Io stesso non posso muovermi liberamente per paura di essere rapito. Dobbiamo pianificare tutti i nostri spostamenti". Il 24 maggio, la Chiesa cattolica di Aleppo terrà un ritiro di preghiera e riflessione nella cattedrale melchita. Ad esso parteciperanno sacerdoti e vescovi della diocesi. "Gli esercizi spirituali di quest'anno - racconta il prelato - sono incentrati su quanto accaduto a mons. Youhanna e mons. Yaziji. Tutte le nostre preghiere e celebrazioni saranno offerte per loro". Il clima di una città sotto assedio, non limita la vita della Chiesa, divenuta l'unico segno di speranza in un Paese distrutto. "Siamo nel tempo di Pasqua - sottolinea mons. Audo - e in tutte le chiese risuona il canto 'Cristo è risorto Alleluia'. Sentire questa musica in un clima di dolore e guerra, ci commuove". Nei giorni scorsi, Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, ha lanciato un appello per la liberazione dei due prelati nell'enciclica patriarcale e sinodale diffusa in tutte le comunità ortodosse in occasione del 17mo centenario della promulgazione dell'Editto di Milano. Nel testo, Bartolomeo esprime la sua profonda preoccupazione e angoscia per "le persecuzioni ancora dilaganti nella terra e in particolare di recente contro le popolazioni cristiane del Medio Oriente". "Omicidi, rapimenti, minacce e azioni legali" contro i cristiani: "Condividiamo - si legge nell'enciclica del patriarca Bartolomeo - il dolore, l'afflizione e le difficoltà che affrontano i cristiani in Medio Oriente e in Egitto, in particolare l'antico e venerabile patriarcato di Antiochia. Senza prendere alcuna posizione politica, condanniamo senza esitazione e ancora una volta ogni forma di violenza contro i cristiani, facendo appello ai potenti della terra perché facciano rispettare i diritti fondamentali dell'uomo, il diritto alla vita, la dignità e il diritto di avere un futuro, sapendo e lodando il loro comportamento pacifico e silenzioso, e il loro costante sforzo a stare lontano da ogni violenza e conflitto". Da parte sua, "il patriarcato ecumenico non cesserà mai di sostenere con tutte le forze a sua disposizione, gli sforzi di dialogo pacifico tra le diverse religioni per una soluzione pacifica dei conflitti e la creazione di un clima di tolleranza, di riconciliazione e cooperazione tra le persone di ogni religione e di ogni origine etnica". (R.P.)
India: i cristiani porteranno aiuti ai profughi siriani in un viaggio di solidarietà
◊ I cristiani indiani si mobilitano per i confratelli in Siria dove, dall’inizio del conflitto civile, le vittime sono oltre 90.000 e i profughi continuano a crescere. I cristiani siriani stanno soffrendo insieme con la popolazione per sfollamento e povertà e si calcola che oltre un milione e mezzo di siriani siano emigrati. Per questo, la Chiesa giacobita in Kerala, legata al Patriarcato siro-ortodosso di Antiochia, ha lanciato un raccolta di aiuti umanitari per l’assistenza alle comunità cristiane in Siria. “La lotta è diventata sempre più violenta e ha lasciato la maggior parte delle chiese e proprietà cristiane in Siria danneggiate”, spiega una nota della Chiesa giacobita pervenuta all’agenzia Fides. Tutte le comunità di fedeli in Kerala stanno contribuendo generosamente alla raccolta, che farà capo al Catholicòs Baselios Thomas I, leader della Chiesa giacobita in India. Nelle prossime settimane una delegazione della Chiesa compirà una missione di solidarietà in Siria, consegnando gli aiuti. Le comunità cristiane indiane, di tutte le confessioni, esprimono vicinanza e preoccupazione anche per la delicata vicenda, tuttora irrisolta, del rapimento di due vescovi siriani. La Chiesa giacobita siriaca, una delle varie chiese cristiane fondate in India dalla predicazione di san Tommaso Apostolo, è parte integrante della Chiesa siro-ortodossa, e ha il patriarca di Antiochia come suo capo supremo. Il capo della Chiesa in India è il “Catholicòs d'Oriente”, attualmente Baselios Thomas I, e ha la sua sede nello stato del Kerala, nell’India meridionale. (R.P.)
Austria: appello per la Siria del card. Schönborn
◊ Un “appello urgente” per aiutare la Siria in loco e “un appello urgente alla politica affinché faccia finalmente qualcosa” è stato espresso a Vienna dal card. Christoph Schönborn, presidente della Conferenza episcopale austriaca e arcivescovo della capitale. Il cardinale ha illustrato la situazione drammatica nel Paese mediorientale, che “colpisce in modo particolarmente forte i cristiani, presi tra due fuochi”. Grazie alla rete della Caritas locale, il card. Schönborn si è detto “certo che gli aiuti che arriveranno in Siria giungeranno davvero alle persone”. Insieme con il direttore della Caritas viennese, Michael Landau, il cardinale ha pertanto invitato ad aiutare i profughi siriani con l’iniziativa “Nachbar in Not”. “La catastrofe umanitaria in Siria è allarmante”, ha raccontato Landau, sottolineando che “sui circa 22, 5 milioni di abitanti, un buon quarto è in fuga”. Il direttore della Caritas Vienna ha riferito sulla situazione esplosiva del Libano, che ha finora accolto un milione e mezzo di siriani. “Ogni giorno, nei Paesi vicini viene registrato l’arrivo di 7.000 nuovi profughi provenienti dalla Siria”. Pertanto, ha proseguito, “la più grande sfida ora è occuparsi dei rifugiati in loco. Si tratta”, ha detto, di far sopravvivere la gente nella stessa regione. Perciò, ogni aiuto è importante”. (R.P.)
Gran Bretagna: "sì" alle unioni gay. L'appello dei vescovi cattolici
◊ “Molte persone all‘interno e fuori delle comunità di fede sono profondamente convinte che lo Stato non dovrebbe cercare di cambiare il significato fondamentale del matrimonio. Questa proposta di modifica della legge è molto più profonda di quanto sembra”. La Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles - riferisce l'agenzia Sir - rilancia il lungo documento redatto dal primate cattolico Vincent Nichols e dall’arcivescovo Peter Smith il giorno in cui la Camera dei Comuni ha approvato con una maggioranza di 366 contro 161 la legislazione sui matrimoni gay. Nel documento i vescovi fanno notare come con la nuova legislazione “il matrimonio diventerà un’istituzione in cui l’apertura ai figli e, con essa, la responsabilità per padri e madri di rimanere insieme per occuparsi dei bambini nati nella loro famiglia, non è più al centro dell’interpretazione che la società dà dell’istituzione matrimonio”. I vescovi hanno anche proposto una serie di emendamenti che puntano a tutelare la libertà di parola in quanto secondo l’episcopato cattolico (ma anche anglicano) “il disegno di legge nella sua attuale formulazione comporta gravi rischi per la libertà di parola e la libertà di religione”. Ai membri, i vescovi chiedono che sia garantite con l’approvazione di emendamenti “queste libertà fondamentali che tutti noi amiamo sono chiaramente e palesemente salvaguardati”. (R.P.)
Pakistan: ucciso uno studente cattolico nel villaggio di Kushpur
◊ Un attacco premeditato, un giovane cattolico ucciso, due feriti: è il bilancio dell’aggressione avvenuta nel villaggio di Kushpur, del distretto di Faisalabad, nella Provincia del Punjab. Kushpur (in urdu “terra della felicità”) è il villaggio famoso per essere “il cuore pulsante dei cattolici pakistani”: è tutto abitato da cristiani a ha dato i natali a uomini come Shahbaz Bhatti (il ministro cristiano ucciso due anni fa), oltre che a numerosi vescovi e sacerdoti. Secondo quanto conferma all'agenzia Fides Fr. Khalid Rashid, vicario generale della diocesi di Faislabad, l’omicidio, avvenuto il 17 maggio, è stato motivato dalla disputa su un pezzo di terra che alcuni abitanti cristiani di Khushpur hanno venduto a una famiglia musulmana. Nella spedizione punitiva è stato ucciso il 14enne cattolico Faisal Patras, mentre suo fratello Danish e suo padre Patras Masih sono rimasti gravemente feriti da colpi di arma da fuoco. La polizia è intervenuto e ha arrestato l’omicida, un uomo musulmano di 25 anni. Padre Khalid Rashid, che ha celebrato i funerali del giovane, racconta a Fides: “C’era molta tristezza e commozione. Tutto il villaggio si è stretto attorno alla famiglia colpita. Ho lanciato un messaggio di perdono e di pace: i cristiani non cercano vendetta. La giustizia farà il suo corso per le vie legali. L’omicidio non è motivato da odio religioso, ma da una lite fra contadini. Certo, i cristiani sono sempre i più vulnerabili. Confidiamo nel nuovo governo e speriamo possa fare qualcosa in più per la tutela delle minoranze”. Gli incidenti e le dispute fra piccoli agricoltori sono frequenti poiché, con il fenomeno dell’urbanizzazione, molti contadini cristiani dei villaggi del Punjab – che avevano ricevuto la terra in dono dai missionari cristiani – si spostano in città e vendono il terreno a contadini musulmani. L’attacco si aggiunge al grave incidente avvenuto in Sud Punjab, dove un villaggio nei pressi di Multan è stato abbandonato da oltre 1.500 fedeli cristiani che erano a rischio di uccisione di massa. Khalid Gill, responsabile della “All Pakistan Minorities Alliance” (Apma) ha fermamente condannato l'attacco al villaggio di Khushpur chiedendo la punizione dell’assassino e la protezione dei cristiani. (R.P.)
Iran. "No al culto in lingua persiana": pastore cristiano arrestato
◊ Il Pastore cristiano Robert Asserian, della denominazione protestante “Assemblea di Dio” (“Assembly of God”) è stato arrestato ieri a Teheran, durante lo svolgimento di un incontro di preghiera nella sua chiesa. Secondo quanto riferisce a Fides l’Ong “Christian Solidarity Worldwide” (Csw) la chiesa potrebbe essere costretta a chiudere entro la fine di giugno. Le forze di sicurezza hanno fatto irruzione in casa del rev. Asserian e hanno confiscato alcuni dei suoi effetti personali, come computer e libri. Si sono poi recati alla chiesa, arrestando il Pastore che stava conducendo un incontro di preghiera. La comunità cristiana già aveva denunciato nei mesi scorsi intimidazioni da parte delle forze di sicurezza. La pressione sui cristiani iraniani si è intensificata negli ultimi anni, soprattutto verso le comunità che, come la “Assemblea di Dio”, offre servizi di culto in “farsi” (la lingua persiana). Già nel 2009 era stato imposto il divieto di tenere liturgie in persiano il Venerdì, mentre restava in vigore l’autorizzazione per la domenica. Le autorità hanno ora ordinato di fermare il culto in “farsi” anche la domenica, lasciando la possibilità di celebrare in armeno. Il divieto di usare la lingua persiana deriva dai timori che cittadini musulmani iraniani possano convertirsi al cristianesimo. Secondo l’ultimo rapporto della Commissione internazionale Usa sulla libertà religiosa, l’Iran è fra le nazioni (con Egitto, l'Arabia Saudita, Iraq, Corea del Nord e Cina) dove vi sono le violazioni più gravi della libertà religiosa come “abusi sistematici sui credenti non musulmani, atti di tortura, detenzione prolungata senza accuse, sparizioni”. (R.P.)
Parigi. Suicidio a Notre Dame: per il card. Vingt-Trois "la violenza produce violenza"
◊ “Mai nessuna violenza fa progredire l’essere umano nella conoscenza di ciò che è buono e nella volontà di farlo. Mai nessuna violenza fa progredire l’amore. La violenza non produce che violenza e la morte”. Lo ha detto l’arcivescovo di Parigi, cardinale André Vingt-Trois, introducendo ieri sera nella cattedrale di Notre-Dame la veglia di preghiera per la vita che è stata segnata dal suicidio di un uomo che si è sparato all’interno della cattedrale nel pomeriggio. Prevista da tempo e promossa dalle 8 diocesi dell’“Ile de France”, la veglia di preghiera per la vita si è svolta ugualmente dopo che la cattedrale è stata benedetta. Nel prendere la parola all’inizio della celebrazione - riporta l'agenzia Sir - il cardinale ha detto: “Non possiamo cominciare questa veglia di preghiera senza fare memoria di quanto è successo oggi in questa cattedrale quando un uomo si è suicidato commettendo questo atto estremo di violenza per far passare le sue convinzioni e le sue idee nel mondo”. L’arcivescovo ha quindi detto ai numerosi fedeli che hanno riempito Notre-Dame che la cattedrale era stata benedetta. Ma ha subito aggiunto: “Più che la cattedrale, sono i nostri cuori che devono essere purificati. È dai nostri cuori che bisogna cacciare la violenza”. È a questo punto che il cardinale ha dato voce a un’esortazione: “Mai nessuna violenza, di qualsiasi tipo, che sia fisica o verbale, che tocca il bambino innocente che è chiamato a nascere o l’anziano che è stato abbandonato e che si vuol far morire, che colpisce il nostro avversario o che colpisce noi stessi”. Poi l’esortazione si è trasformata in appello, in vista della grande manifestazione che si terrà su iniziativa della “Manif pour tous” a Parigi, domenica prossima, 26 maggio, per protestare contro la legge sui matrimoni gay. “Visto che molti cattolici domenica prossima parteciperanno alla manifestazione che sarà organizzata a Parigi - ha detto il cardinale - domandiamo loro, come abbiamo fatto per le manifestazioni precedenti, di astenersi da ogni forma di violenza, non solamente nei gesti ma anche nelle parole. Domandiamo loro di essere testimoni della pace e della vita”. (R.P.)
Congo: si combatte attorno a Goma. Ban Ki-moon a Kinshasa
◊ Proseguono per il terzo giorno consecutivo alle porte di Goma i combattimenti tra i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23) e l’esercito regolare congolese (Fardc) mentre a Kinshasa è cominciata la visita ufficiale del Segretario generale Onu Ban Ki-moon. Gli scontri si stanno concentrando nel villaggio di Mutaho, a una decina di chilometri a nord del capoluogo della provincia del Nord Kivu, nell’est del Paese, al confine con Rwanda e Uganda. Il colonnello Olivier Hamuli, portavoce militare dell’esercito regolare nella ricca provincia mineraria - riferisce l'agenzia Misna - ha assicurato che “non abbiamo perso alcuna posizione”, accusando i ribelli di voler prendere il controllo di Mutaho e di “lanciare deliberatamente bombe sulle popolazioni”. Fonti Onu sul posto hanno confermato che razzi di lunga gittata hanno raggiunto Muguet, quartiere a ovest di Goma che ospita un campo sfollati. Anche la zona di Ndosho sarebbe stata colpita da ordigni utilizzati dall’M23. Oltre ad aver causato lo sfollamento di più di un migliaio di civili, arrivati al centro di Goma per mettersi al riparo, i scontri hanno già provocato almeno 19 vittime e 27 feriti, in base all’unico bilancio ufficiale diffuso dal governo. Il responsabile della società civile del Nord Kivu, Omar Kavota, ha denunciato all’emittente Onu in Congo ‘Radio Okapi’, la presenza di soldati ruandesi che combattono affianco ai ribelli. “Tutto ciò era prevedibile e noi avevamo già avvertito le autorità congolesi che hanno reagito in ritardo. Almeno 300 uomini dell’esercito ruandese hanno varcato il confine a piedi a Gasizi e poi sono passati per Kingarambe per raggiungere i ranghi dell’M23” ha detto Kavota, sottolineando che “in realtà l’obiettivo è quello di attaccare Goma e sfidare la brigata di intervento Onu”. La ripresa dei combattimenti, dopo sei mesi di tregua, viene ricollegata da fonti locali e osservatori al dispiegamento in corso di soldati africani – inviati da Tanzania, Sudafrica e Malawi – con mandato offensivo per lottare ai gruppi armati che da anni destabilizzano il Nord Kivu. Il riaccendersi delle violenze in Nord Kivu sarà uno dei temi centrali della visita di Ban, arrivato a Kinshasa con il presidente della Banca Mondiale, Jim Yong Kim. In teoria il Segretario generale Onu è atteso per domani a Goma, prima di partire per Kigali (Rwanda) e Entebbe (Uganda). Con il presidente Joseph Kabila e le autorità dei Paesi confinanti, coinvolti nella crisi, Ban valuterà l’attuazione dell’accordo di Addis Abeba, firmato lo scorso febbraio per ristabilire la pace nell’est del Congo, condizione necessaria per lavorare allo sviluppo economico della regione. Alla vigilia dell’arrivo del massimo esponente Onu, i principali partiti di opposizione si sono uniti in un “Fronte comune dell’opposizione” (Fco) con la speranza di ottenere un colloquio con Ban. La nascita del fronte – costituito dall’Udps, Unc, liberali, Fac e Ufc – è stata pensata anche in vista del dialogo nazionale promesso da Kabila per tentare di riappacificare la vita politica dopo le contestate elezioni generali del 2011. (R.P.)
Vietnam: cattolici in preghiera per la liberazione degli attivisti cristiani di Vinh
◊ Cattolici, attivisti per i diritti umani, membri della società civile e organismi internazionali continuano la loro mobilitazione per il rilascio dei 14 attivisti cristiani - 13 cattolici e un protestante - condannati a varie pene detentive, per un massimo di 13 anni di prigione. Dopo numerosi rinvii, domani è in programma l'udienza di otto imputati, che compariranno davanti ai giudici della Corte suprema di Vinh, provincia di Nghe An, nel nord del Vietnam. In questo mese di maggio, dedicato nel Paese asiatico alla Madonna e ai fiori, la comunità cattolica si stringe attorno ai giovani, finiti alla sbarra con l'accusa di "sovversione" contro lo Stato, e si appella al governo di Hanoi perché liberi persone del tutto estranee ai fatti ascritti. Attivisti e organizzazioni internazionali non hanno risparmiato critiche verso il governo, per l'arresto illegale e la successiva condanna. Gruppi di cittadini ricordano che "le autorità locali hanno sfruttato l'uso di forze paramilitari per arrestare e reprimere l'azione [politica] di dissidenti e patrioti". Essi puntano il dito contro la sproporzione della condanna emessa, a fronte di prove inesistenti e capi di accusa infondati. A difesa dei 14 attivisti cristiani sono scesi in campo anche nazioni europee, commissioni asiatiche e internazionali pro-diritti umani, per chiedere il loro rilascio e la fine di processi ingiusti e perpetrati in base a false accuse. Finora sono state anche raccolte oltre 30mila firme, in cui si chiede alle autorità comuniste di intercedere per la liberazione. Alla vicenda dei giovani cristiani in carcere - e in attesa di appello - si legano a doppio filo le carcerazioni arbitrarie ai danni di attivisti e nazionalisti, colpevoli solo di aver dimostrato in piazza in modo pacifico contro l'aggressione "imperialista" di Pechino nel mar Cinese meridionale. Fra di essi vi sono la 21enne studentessa cattolica Nguyen Phouong Uyen e il giovane Dinh Nguyen Kha, altri 36 blogger accusati di crimini di rete e "dissidenti pacifici" in galera per reati di opinione. Per la liberazione di attivisti e cristiani, nei giorni scorsi la comunità cattolica vietnamita si è più volte riunita in preghiera; il 19 maggio si è tenuta una messa speciale nella parrocchia di Thai Ha - già al centro di controversie con il governo locale per il possesso di alcuni terreni e del monastero del Carmelo - alla quale hanno partecipato oltre mille fedeli. Il superiore provinciale dei Redentoristi ha infine chiesto preghiere alla Madonna per il bene della Chiesa, dei fedeli e di tutto il Paese. (R.P.)
Brasile: il Consiglio missionario denuncia la repressione contro gli indigeni
◊ Il Consiglio Missionario Indigeno (Cimi), ha rilasciato una dichiarazione pubblicata il 20 maggio dove ha denunciato il modo “illegale e autoritario” con il quale i missionari e il personale del Cimi sono stati trattati dalla Polizia Federale nello stato del Mato Grosso do Sul, nel comune di Sidrolândia, nel corso delle operazioni di sgombero della fattoria Buriti, occupata dagli indigeni dal 15 maggio. Il comunicato ricorda avvenimenti analoghi nei quali la polizia ha espulso i giornalisti o membri del Cimi, come nel caso della centrale idroelettrica di Belo Monte. "In Brasile, sempre più spesso, la polizia assume il ruolo di interlocutore politico nei conflitti per la terra e le violazioni dei diritti dei popoli indigeni. Ciò che sta accadendo è la militarizzazione dei conflitti legati alla lotta per i diritti indigeni. L'istituzionalizzazione di questa pratica è un brutale attacco contro l'esercizio della professione di un giornalista, contro la libertà delle organizzazioni sociali e, ancor di più, contro le relazioni democratiche e di diritto stabilite nella nostra società. Denunciamo questo atto di censura ingiustificato, arbitrario e illegale", si legge nel comunicato inviato a Fides. (R.P.)
Tanzania. Un vescovo: la Chiesa oggetto di persecuzione ma il governo non interviene
◊ Il recente attentato all’inaugurazione della parrocchia di San Giuseppe Lavoratore ad Arusha è solo l’ultimo di una serie di atti persecutori contro i cristiani in Tanzania. Lo ha denunciato mons. Tarcisius Ngalalekumwta, vescovo di Iringa e presidente della Conferenza episcopale della Tanzania, nell’omelia ai funerali delle tre vittime dell’attentato. Nel suo discorso, il cui testo solo ora è giunto all’attenzione dell’agenzia Fides, si ricorda che “diversi segnali precursori avevano annunciato questi atti inumani, selvaggi, vergognosi e indegni per il nostro Paese. In aggiunta, vi sono state intimidazione contro la Chiesa e i suoi leader attraverso pubblicazioni, opuscoli, riviste, Dvd, Cd, radio. Minacce cui sono seguiti l'incendio di chiese, attacchi e omicidi di leader della Chiesa”. Ricordiamo che a febbraio è stato ucciso a Zanzibar padre Evarist Mushi, mentre a Natale era stato gravemente ferito in un agguato un altro sacerdote cattolico, Ambrose Mkenda. Inoltre alcune chiese cristiane erano state saccheggiate. Mons. Ngalalekumwta denuncia in particolare la propaganda violenta da parte di alcuni leader estremisti musulmani nei confronti della Chiesa, ricordando ad esempio l’incontro tenutosi il 15 gennaio 2011 da parte di un gruppo di credenti nell'Islam presso il Diamond Jubilee Hall di Dar es Salaam, nel corso del quale si è affermato che la Tanzania è “governata in maniera cristiana”. Questo gruppo ha anche chiesto la chiusura della locale Nunziatura. “Il loro obiettivo, secondo le loro dichiarazioni e le loro pubblicazioni, è quello di sradicare il cristianesimo” afferma mons. Ngalalekumwta. “Quello che è veramente triste per noi, è che il nostro governo non ha mai condannato le rivendicazioni e le accuse di queste persone, né le ha arrestate” sottolinea il presidente della Conferenza episcopale. Mons. Ngalalekumwta dopo aver rammentato che gli estremisti non rappresentano la maggioranza dei musulmani tanzaniani, conclude sottolineando che il processo di costruzione della nazione è fondato sui sentimenti “di pace, di amore, di unità e di solidarietà che abbiamo ereditato dai padri fondatori della nazione”. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 142