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Sommario del 21/05/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: nella Chiesa l'unica strada per andare avanti è il servizio non il potere
  • Il Papa prega a Messa e in un tweet per la tragedia di Oklahoma City: 91 i morti
  • Nel pomeriggio Papa Francesco tra i poveri della Casa "Dono di Maria"
  • Pentecoste, la gioia dei Movimenti ecclesiali. Interviste con Maria Voce e Chiara Amirante
  • P. Lombardi: quello del Papa non un esorcismo ma una preghiera per un malato
  • Nomine episcopali di Papa Francesco in Angola e Messico
  • Plenaria migranti. Il card. Vegliò: Papa molto preoccupato per la crisi in Siria
  • 30 anni fa la Carta dei diritti della Famiglia. Mons. Paglia: documento che ci provoca
  • Vaticano. Presentato Convegno "La felicità, misura dell'economia?"
  • 20.mo del Catechismo: la morte di Cristo, sacrificio per amore
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: Washington condanna il coinvolgimento degli hezbollah
  • L’Unione Europea media le tensioni tra Kosovo e Serbia
  • Vertice Cina-India: prospettiva di scambi commerciali per 100 miliardi di dollari
  • Italia. Il card. Bagnasco: non perdere tempo, politica pensi al Paese senza distrazioni
  • Mons Crociata: il welfare è assicurato dalla Chiesa e non dallo Stato
  • Giornata Onu della diversità culturale per il dialogo e lo sviluppo. Le lacune dell’Italia
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Iraq. Il patriarca caldeo Sako: la nostra Chiesa accoglie tutti senza distinzioni
  • Nell'enciclica del patriarca Bartolomeo I l'appello per i vescovi siriani rapiti
  • Pakistan: nuova violenza sui cristiani in sud Punjab
  • Onu: aperto il Forum dei popoli indigeni
  • Africa: i bambini “invisibili” del continente sono privi di ogni diritto
  • Nigeria: appello dei vescovi per "salvare" la nazione
  • Guatemala: annullata la storica condanna per genocidio per Rios Montt
  • Messico: per mons. Gallardo c'è meno violenza ma mancano programmi sociali
  • Cile. Mons. Vial alla comunità Mapuche: "Il Paese ha un debito con voi"
  • Colombia: assegnati 2 milioni di ettari ai "campesinos" senza terra
  • Cina: sussidio per i cattolici "Forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera"

  • Si è spento fra Alberto Andreani, per 73 anni in missione in Turchia
  • Singapore: "spiritualità di comunione" nel programma del nuovo arcivescovo
  • Roma: anteprima del film " Un Dio vietato" sui martiri di Barbastro
  • Al Festival di Cannes la Roma di Sorrentino e gli orrori del nazismo e dei Khmer rossi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: nella Chiesa l'unica strada per andare avanti è il servizio non il potere

    ◊   Per un cristiano, progredire significa abbassarsi come ha fatto Gesù. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha inoltre ribadito che il vero potere è il servizio e che non deve esistere la lotta per il potere nella Chiesa. Alla Messa - concelebrata dal direttore dei programmi della Radio Vaticana, padre Andrzej Koprowski - hanno preso parte un gruppo di dipendenti della nostra emittente e un gruppo di dipendenti dell’Ufficio pellegrini e turisti del Governatorato vaticano. Erano inoltre presenti il direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, e Maria Voce e Giancarlo Faletti, presidente e vicepresidente del Movimento dei Focolari. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Gesù parla della sua Passione e i discepoli, invece, sono presi a discutere su chi sia il più grande tra loro. E’ l’amaro episodio narrato dal Vangelo odierno, che offre a Papa Francesco lo spunto per una meditazione sul potere e il servizio. “La lotta per il potere nella Chiesa – ha osservato – non è cosa di questi giorni”, è “cominciata là proprio con Gesù”. E ha sottolineato che “nella chiave evangelica di Gesù, la lotta per il potere nella Chiesa non deve esistere”, perché il vero potere, quello che il Signore “con il suo esempio ci ha insegnato”, è “il potere del servizio”:

    “Il vero potere è il servizio. Come lo ha fatto Lui, che è venuto non a farsi servire, ma a servire, e il suo servizio è stato proprio un servizio della Croce. Lui si è abbassato fino alla morte, alla morte di Croce, per noi, per servire noi, per salvare noi. E non c’è nella Chiesa nessun’altra strada per andare avanti. Per il cristiano, andare avanti, progredire significa abbassarsi. Se noi non impariamo questa regola cristiana, mai, mai potremo capire il vero messaggio di Gesù sul potere”.

    Progredire, ha aggiunto, "significa abbassarsi", “essere al servizio sempre”. E nella Chiesa, ha soggiunto, “il più grande è quello che più serve, che più è al servizio degli altri”. Questa “è la regola”. E tuttavia, ha affermato Papa Francesco, dalle origini fino ad adesso ci sono state “lotte di potere nella Chiesa”, anche “nella nostra maniera di parlare”:

    “Quando a una persona danno una carica che secondo gli occhi del mondo è una carica superiore, si dice: ‘Ah, questa donna è stata promossa a presidente di quell’associazione e questo uomo è stato promosso …’. Questo verbo, promuovere: sì, è un verbo bello, si deve usare nella Chiesa. Sì: questo è stato promosso alla Croce, questo è stato promosso alla umiliazione. Quella è la vera promozione, quella che ci ‘assomiglia meglio’ a Gesù!”

    Il Papa ha dunque ricordato che Sant’Ignazio di Loyola, negli Esercizi spirituali, chiedeva al Signore Crocifisso “la grazia delle umiliazioni”. Questo, ha riaffermato, è “il vero potere del servizio della Chiesa”. Questa è la vera strada di Gesù, la vera promozione e non quelle mondane:

    “La strada del Signore è il Suo servizio: come Lui ha fatto il Suo servizio, noi dobbiamo andare dietro a Lui, il cammino del servizio. Quello è il vero potere nella Chiesa. Io vorrei oggi pregare per tutti noi, perché il Signore ci dia la grazia di capire quello: che il vero potere nella Chiesa è il servizio. E anche per capire quella regola d’oro che Lui ci ha insegnato con il Suo esempio: per un cristiano, progredire, andare avanti significa abbassarsi, abbassarsi. Chiediamo questa grazia”.

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    Il Papa prega a Messa e in un tweet per la tragedia di Oklahoma City: 91 i morti

    ◊   Gli Stati Uniti piangono le vittime causate dal tornado che ha colpito lo Stato dell’Oklahoma. Il bilancio provvisorio parla di 91 morti, di cui almeno 20 bambini rimasti sotto le macerie di due scuole elementari, distrutte dal vento ad oltre 300 km orari. Tantissimi i feriti. Il tragico evento è stato ricordato stamattina anche da Papa Francesco. Il servizio è di Salvatore Sabatino:

    “Preghiamo per le vittime – almeno 50 – e i dispersi, specialmente i bambini, colpiti dal violento tornado abbattutosi su Oklahoma City ieri. Ascoltaci, o Signore!”.

    È questa l’invocazione che Papa Francesco ha elevato questa mattina alla Messa presieduta in Casa S. Marta, concludendo la preghiera dei fedeli. Successivamente, il Pontefice ha lanciato un analogo tweet dal suo account @Pontifex, per esprimere, con parole molto simili, la vicinanza alle popolazioni colpite dal tornado killer. Pesantissimo il bilancio, nel frattempo aggravatosi fino a raggiungere quota 91 morti. E un sobborgo di Oklahoma City, Moore, spazzato via dalla furia del vento, giunto fino a 300 km orari. “E’ come se un’enorme palla da bowling avesse attraversato la città” – dicono gli esperti – lasciando dietro di sé il vuoto. Distrutte circa 7.000 abitazioni, l’ospedale, l’autostrada e due scuole elementari. E’ qui che sono morti almeno 20 bambini ed altrettanti risultano dispersi. Secondo le prime informazioni, gli alunni non erano stati fatti uscire a fine mattinata proprio in previsione del maltempo che si stava per abbattere sulla città. I soccorritori ora scavano a mani nude, nella speranza di riuscire a salvare chi è rimasto sepolto sotto le macerie. Nel frattempo, il presidente Obama ha dichiarato lo stato di calamità naturale, inviando la Guardia nazionale. Per i meteorologi americani è stato uno tra i più violenti eventi climatici al mondo. Ecco l'opinione di Giampiero Maracchi, climatologo del Cnr.

    R. – Quella è una zona dove il fenomeno del tornato si verifica molto frequentemente. Certamente questo – rispetto al valore dell’intensità media dei tornado che si verificano tutti gli anni e che sono decine e decine – ha un’intensità molto alta. Io sono un grande sostenitore dei cambiamenti climatici, ma prima di dire che è dovuto al cambiamento del clima sarei un po’ cauto.

    D. – Però, si ha l’impressione che questi fenomeni, anche in aree in cui sono abbastanza frequenti, diventino sempre più potenti e dirompenti. E’ vero?

    R. – Questo è vero. E' vero per gli uragani, è vero per i tornado e lo si vede anche dai dati. C’è un dato abbastanza interessante di una grande compagnia di assicurazioni, che fa vedere come sono di dieci volte maggiori i danni causati da questi fenomeni dal '90 in poi, rispetto al periodo '60-'90. Se questo faccia parte o sia dovuto al cambiamento, oppure sia un evento eccezionale che si sarebbe verificato, è più difficile dirlo.

    D. – Sono fenomeni che sono circoscritti a quell’area, o possono riguardare anche l’Europa, per esempio?

    R. – Sostanzialmente, in quella dimensione sono circoscritte a quell’area. In Italia, esistono le trombe d’aria, tanto è vero che qualche mese fa se ne è verificata una nel nord dell’Emilia, in una zona dove generalmente non si era mai verifica e anche in una stagione - fra l’altro - non è particolarmente propizia. Però, certamente non di quelle dimensioni lì.

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    Nel pomeriggio Papa Francesco tra i poveri della Casa "Dono di Maria"

    ◊   Suore, volontari e soprattutto loro, i poveri: Papa Francesco li incontrerà oggi pomeriggio, alle 17.30, quando in forma privata si recherà in visita alla Casa “Dono di Maria”, la struttura gestita dalle Suore Missionarie della Carità che sorge accanto al palazzo della Congregazione per la Dottrina della Fede. Inaugurata nel 1988 da Papa Wojtyla e Madre Teresa di Calcutta, la Casa offre ogni giorno cibo a centinaia di persone povere e riparo e cure mediche a diverse decine di donne. Il 4 gennaio 2008, la struttura è stata visitata anche da Benedetto XVI, nel ventennale dell’apertura.

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    Pentecoste, la gioia dei Movimenti ecclesiali. Interviste con Maria Voce e Chiara Amirante

    ◊   E’ viva la gioia ed è forte lo slancio al servizio alla Chiesa che i rappresentanti di Movimenti, Nuove comunità e Associazioni hanno tratto sabato e domenica scorsi dalla partecipazione con il Papa alla Veglia e alla Messa di Pentecoste. Maria Voce presidente del Movimento dei Focolari, si sofferma al microfono di Gabriella Ceraso sui sentimenti che hanno caratterizzato questo incontro speciale e sulle sfide che attendono il commino comune ai diversi carismi:

    R. – Ha significato intanto una grandissima gioia. Gioia di partecipare così numerosi e così vivaci in un’atmosfera così raccolta, anche di preghiera, a una nuovissima effusione dello Spirito Santo: abbiamo veramente sentito tutti che era una nuova Pentecoste. E’ una grande gioia poter dare al Papa la certezza che c’è questa vivacità e questa forza vitale nella Chiesa, anche oggi, nonostante tutte le difficoltà che si incontrano.

    D. – In che cosa vi siete sentiti confermati nella vostra identità di Movimento dei Focolari e in che cosa rinnovati, attraverso sia le parole del Papa sia la presenza e l’incontro con gli altri Movimenti?

    R. – Confermati, sicuramente, nell’impegno a vivere il nostro carisma, perché si sentiva forte quanto la comunione sia la nota essenziale della Chiesa oggi e quindi mi sembra che il nostro carisma di comunione venisse messo in rilievo come una necessità di servizio alla Chiesa. Questo era anche molto bello e molto confermato nel vedere con che festa ci ritrovavamo, ci domandavamo l’uno dell’altro, ci assicuravamo le preghiere o partecipavamo delle gioie, o anche delle difficoltà, delle prove, che un Movimento o l’altro aveva superato, o stava affrontando. Rinnovati, forse, nel coraggio di affrontare il mondo perché sicuramente ogni Movimento ha questa spinta interiore che Papa Francesco sta sottolineando con forza di andare verso gli altri, di mettersi a disposizione della Chiesa, di servire gli ultimi. Però, sentirselo dire con tale forza era come darci il coraggio di dire: siamo piccoli, siamo deboli, però nonostante tutto Gesù ci guida, Gesù è con noi, il Papa ci manda, quindi possiamo andare.

    D. – Proprio guardando avanti al cammino che aspetta i diversi carismi, i diversi Movimenti, il Papa ha messo in guardia sia dal particolarismo, come l’ha definito, sia dall’omologazione e ha consegnato invece tre parole: armonia, novità, missione. Per lei, che cosa significa questo in concreto?

    R. – A me ha fatto una grande impressione la parola “novità”, è la parola che ci sfida più di tutte. Saremmo tutti tentati in un certo senso di appoggiarci a delle sicurezze per il cammino già fatto, per l’esperienza accumulata. E invece il Papa ci ha guidati ad accogliere le sorprese dello Spirito, ad ascoltare bene quello che Egli ci chiede e a seguirlo per le vie del mondo.

    D. – E invece come pensa che i Movimenti possano contribuire a una Chiesa che non sia autoreferenziale e che non sia un’organizzazione?

    R. – Mi sembra che la cosa che il Papa ci invita a fare è di far precedere Gesù, di far precedere gli interessi di Dio. Mi sembra che lui ci ha detto anche come fare quando ha detto che il Risorto può essere in mezzo a noi: cioè, camminare per le vie del mondo per testimoniare che il Vangelo è vivo, che si vive e che la vita del Vangelo chiede l’amore reciproco fra tutti e che questo poi comporta la presenza del Risorto fra di noi che esce a incontrare gli uomini. Infatti, l’incontro con Gesù che il Papa ha sottolineato tanto fortemente si può fare se Gesù cammina per le vie del mondo, non se rimane chiuso nelle chiese.

    D. – Dunque, avanti: ve lo siete detto anche tra voi?

    R. – Ce lo siamo detti: ci siamo incoraggiati ad andare avanti con rinnovata fiducia.

    Tra i partecipanti alla Veglia e alla Messa del Papa con Movimenti e nuove comunità, sabato e domenica scorsi, vi era anche Chiara Amirante, fondatrice della Comunità "Nuovi Orizzonti". Debora Donnini le ha chiesto cosa le è rimasto delle parole di Papa Francesco e dell’incontro con lui:

    R. – Ogni parola del Santo Padre la portiamo veramente come un tesoro prezioso nel nostro cuore. E’ stato molto bello durante l’omelia, quando ci ha consegnato queste tre parole, che sono tutto un programma – novità, armonia, missione – invitando proprio a lasciarci sorprendere dallo Spirito Santo. L’armonia, come comunione nella distinzione fra le diverse comunità: è stato bello come lui ci ha presentato l’importanza di questa comunione, che è poi il testamento di Gesù, che tutti siano una cosa sola, perché il mondo creda. Papa Francesco, poi, non si stanca mai di ricordarci quanto importante sia la missione: come dice lui, bisogna andare nelle periferie esistenziali, cercare i nostri fratelli per fare questo annuncio di Cristo Risorto.

    D. – Il Papa ha lanciato tante volte un forte appello ad andare verso le periferie esistenziali, ha invitato la Chiesa a non avere paura di uscire. Cosa significa questo per la Comunità "Nuovi Orizzonti"?

    R. – Il carisma della nostra comunità è proprio questo testimoniare la gioia di Cristo Risorto, con una particolare attenzione al mistero della discesa agli inferi, che per noi si concretizza nell’andare a cercare i nostri fratelli più poveri fra i poveri, cioè coloro che non hanno avuto il dono della fede, hanno perso Dio. Siamo partiti cercando di scendere negli "inferi" delle nostre città, in cerca di quei fratelli nella disperazione, in situazioni anche di grave disagio, come tossicodipendenza, alcoolismo, Aids, carcere, devianza. Poi, però, ci siamo accorti che purtroppo oggi il giovane con la morte del cuore non lo trovi solamente nelle strade, ma fa parte del popolo della notte. Ormai, ci capita di scoprire che troppi giovani – anche cosiddetti normali, di famiglie normali – spesso fanno uso di droghe pesanti. C’è soprattutto un grande disordine nella sessualità.

    D. – L’hanno colpita le parole del Papa quando ha detto: “Il Signore sempre ci ‘primerea’”, cioè ci anticipa, già ci sta aspettando nella nostra storia, nella nostra realtà. Pensi che questo sia un aspetto importante anche da trasmettere alle persone?

    R. – Assolutamente sì. Questo aspetto dell’amore, della tenerezza di Dio, che tante volte Papa Francesco ci ha ricordato, credo che in questo tempo che è così malato di amore – si vive più di apparire che di essere e il consumismo usa e getta ha inquinato profondamente anche le relazioni – la scoperta di qualcuno che ci aspetta, e non solo ci aspetta ma ci viene a cercare nei baratri, nella profondità dei nostri inferi, è un aspetto fondamentale di cui fare esperienza. Ho visto tanti giovani in questi anni in strada per i quali a volte è stato sufficiente un ascolto, un interessarsi alla loro situazione, perché potesse riaccendersi la speranza. Quindi, dobbiamo fare in prima persona l’esperienza della misericordia, della tenerezza di un Dio che ci aspetta e che ci cerca, per poi poterla trasmettere con la vita e anche con le parole. Oltre al discorso, questo suo voler salutare e raggiungere tutti per me è sempre un segno bello, perché è come se volesse veramente farci arrivare – anche con i gesti, col suo essere vicino a tutti, in tutti i modi – questa tenerezza, questa dolcezza… Poterlo incontrare personalmente per me è stata veramente una gioia unica, perché nell’incontro con Papa Francesco ti arriva questo amore personale della Chiesa, ma anche proprio del Signore, che ti guarda e ti ama personalmente.

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    P. Lombardi: quello del Papa non un esorcismo ma una preghiera per un malato

    ◊   Non un esorcismo ma una semplice preghiera. Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha risposto così alle domande dei giornalisti che gli chiedevano informazioni sul presunto esorcismo compiuto dal Papa Francesco in Piazza San Pietro, dopo la celebrazione di domenica scorsa. “Il Santo Padre – ha spiegato padre Lombardi – non ha inteso compiere alcun esorcismo. Ma, come fa frequentemente per le persone malate e sofferenti che gli si presentano, ha semplicemente inteso pregare per una persona sofferente che gli era stata presentata”.

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    Nomine episcopali di Papa Francesco in Angola e Messico

    ◊   In Angola, il Santo Padre ha nominato Vescovo della Diocesi di Sumbe, il Rev. Luzizla Kiala, finora Vicario Generale della Diocesi di Uije e Parroco della Cattedrale.

    In Messico, Papa Francesco ha nominato Vescovo di Ensenada il Reverendo Rafael Valdéz Torres, Parroco e Rettore del Santuario del Señor de los Milagros in San Juan Nuevo, diocesi di Zamora.

    Il Santo Padre ha nominato membro del Consiglio Speciale per l'Africa della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi Mons. Claude Rault, M. Afr., Vescovo di Laghouat (Algeria).

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    Plenaria migranti. Il card. Vegliò: Papa molto preoccupato per la crisi in Siria

    ◊   Apre domani in Vaticano, a Palazzo San Calisto, la 20.ma Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti dedicata al tema “La sollecitudine pastorale della Chiesa nel contesto delle migrazioni forzate”. Scopo della riflessione - che si svilupperà fino a venerdì prossimo - sarà analizzare e promuovere la cura pastorale del fenomeno dei rifugiati e delle persone che si trovano nella mobilità forzata e i cui diritti umani sono violati in tutto il mondo, invitando la comunità internazionale a non sottovalutarlo. Situazioni drammatiche nelle quali, come ha ricordato Papa Francesco, la chiesa deve far sentire la sua presenza di tenerezza. Sui motivi che hanno determinato la scelta di questo tema Fabio Colagrande ha intervistato il card. Antonio Maria Vegliò, presidente del dicastero vaticano della pastorale per i migranti:

    R. - In questo momento, suscita particolare apprensione quanto sta avvenendo in Siria. Me ne ha parlato il Santo Padre, Francesco, esprimendomi la sua grande preoccupazione. Ogni giorno migliaia e migliaia di persone fuggono dal Paese. Attualmente, più di un milione e 400 mila rifugiati sono riparati nelle nazioni circostanti, soprattutto Libano e Giordania, mentre programmi di sostegno sono solo in parte finanziati dalla comunità internazionale. La sofferenza è enorme. Oltre alle persone che attraversano la frontiera, milioni sono gli sfollati all'interno della stessa Siria. Voglia il Signore ascoltare la nostra preghiera, affinché in questa regione possa tornare la pace! C’è da notare che in tutto il mondo le persone soggette al traffico di esseri umani sono circa 21 milioni: come dire che tre persone su mille sono vittime di questo odioso crimine. Un’altra piaga dolorosa è quella del reclutamento dei bambini per farne dei soldati nei conflitti armati. Senza dimenticare la tratta di persone, che mette in condizioni di irregolarità e di schiavitù un numero incalcolabile di uomini, donne e bambini.

    D. - Durante questa plenaria, studierete il documento “Accogliere Cristo nei rifugiati e nelle persone forzate all’emigrazione”. Vuole anticiparci alcuni punti di questo testo?

    R. - Si tratta di una guida pastorale che parte da una premessa fondamentale, cioè che ogni politica deve ispirarsi al principio della centralità e della dignità di ogni persona umana. Anzi, è proprio questo principio a far sì che l’assistenza, prestata dalle istituzioni della Comunità internazionale, dai singoli Stati e dagli Organismi ecclesiali, non sia considerata un’“elemosina”, ma un atto dovuto di giustizia, da una parte, e un’autentica testimonianza di misericordia, dall’altra. In tale contesto, la Chiesa avverte come suo compito quello di ristabilire i valori e la dignità umana, specialmente mediante la promozione di una cultura dell’incontro e del rispetto, che risana le ferite subite e apre nuovi orizzonti di integrazione, di sicurezza e di pace. La sfida consiste nel creare zone di tolleranza, speranza, guarigione, protezione. Ciò risponde anche all’appello di Papa Francesco ad andare “nelle 'periferie' dove c’è sofferenza, dove c’è sangue versato, dove c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni”. (Omelia della Messa del Crisma, 28 marzo 2013).

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    30 anni fa la Carta dei diritti della Famiglia. Mons. Paglia: documento che ci provoca

    ◊   Compirà quest’anno 30 anni la Carta dei Diritti della Famiglia, pubblicata dalla Santa Sede il 22 ottobre del 1983. A segnare questo anniversario, il documento è stato rieditato dalla Libreria Editrice Vaticana, a cura del Pontificio Consiglio per la Famiglia, accompagnato da una Nota di presentazione e un Commento dell’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del dicastero vaticano. Il volume è in vendita in quattro lingue (italiano, francese, inglese e spagnolo), in attesa delle versioni in polacco ed arabo. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Trenta 30 anni non “hanno affievolito l’attualità”, scrive mons. Paglia, di uno dei “più bei documenti di respiro internazionale degli ultimi decen:i”, non certo un “documento rassicurante” da archiviare e affidare agli stor,ici ma “inquietante” nel senso che riletto oggi “ci provoca". Viviamo infatti, aggiunge il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, “un’accelerazione della storia senza eguali”, testimoni di “una duplice frenesia” che vede al suo centro proprio la famiglia, comunemente ritenuta l’istituzione “più solida e “più stabile”, scossa dalle fondamenta: da una parte riconfermata nel suo “valore”, dall’altra parte alterata nella sua “identità”. Su questo dobbiamo riflettere maggiormente, sollecita mons. Paglia.

    La Carta – emanazione della Dichiarazione universale dei diritti umani, varata dall’Onu nel 1948, dove si riconosce la famiglia come “nucleo naturale e fondamentale della società” – ci offre oggi una base adeguata per un’elaborazione concettuale sul piano “psicologico, morale, culturale e religioso”. Passato il tempo in cui la famiglia veniva imputata, ipotizzando una rivoluzione del vivere privato, oggi – spiega mons. Paglia – non si nega né si confuta la famiglia, ma si accetta che accanto ad essa coesistano altre forme di vita ed esperienze relazionali, “apparentemente compatibili con essa, ma che nella realtà delle cose la scardinano”. Non solo tollerare ma legittimare ogni stile di vita, sta portando – ammonisce il presule – “a modellare il vivere sociale secondo paradigmi caraterizzati da un individualismo che non ha solo natura psicologica (...) ma ha inedite cadute socio-relazionali” Non è un problema dottrinale o accademico. “Ciò che è in gioco – conclude il presidente del dicastero vaticano – non il pensato e nemmeno il pensabile in tema di famiglia: è piuttosto il vissuto o, per meglio dire, il vivibile. E' la stessa esperienza che rende umana la nostra vita quotidiana”.

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    Vaticano. Presentato Convegno "La felicità, misura dell'economia?"

    ◊   Sono stati presentati oggi alla stampa, presso il Pontificio Consiglio della Cultura, i temi e le motivazioni alla base del Convegno “Benessere della società: la felicità come misura dell’economia? Una prospettiva culturale”, che si terrà a Roma il 28 maggio prossimo. All’incontro sono intervenuti il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del medesimo dicastero, assieme all’ambasciatore britannico presso la Santa Sede e a quello della Costa Rica, rispettivamente Nigel Baker e Fernando Felipe Sanchez. Non è comune parlare di felicità in materia di economia, anche se, nel titolo del Convegno, viene usato il punto interrogativo. Quale il significato di questa proposta? Adriana Masotti ne ha parlato con mons. Franco Perazzolo del Pontificio Consiglio della Cultura, anch’egli presente al briefing di stamani:

    R. – Per rispondere, vorrei continuare a leggere con il sottotitolo che dice: “Una prospettiva culturale”. Allora si capisce la motivazione per cui abbiamo inserito il termine “felicità” come misura dell’economia, perché l’economia non è più una scienza esclusivamente dei numeri – bilanci, prodotto, prodotto interno lordo – ma l’economia diventa realtà tipicamente umana e la persona umana non è soltanto produzione, non è soltanto stomaco – tanto per essere un po’ crudo nel linguaggio – ma la persona umana è molto di più. Allora, misurare l’economia di un’umanità non significa soltanto far quadrare dei numeri, ma domandarsi anche quante possibilità hanno queste persone di essere persone e quindi essere persone felici.

    D. – E in che modo questa prospettiva culturale può essere valida e presentabile oggi, proprio in mezzo ad una crisi che ci colpisce nelle cose più essenziali?

    R. – Giustissimo. Qualche altro ha chiesto come mai ci si occupi di bellezza, di arte, in un momento in cui ci sarebbe bisogno di trovare fondi per soccorrere situazioni di emergenza. Legittima anche questa domanda. Ma io farei una riflessione, ripartendo di nuovo dalla persona umana. Quando noi viviamo situazioni di crisi a livello economico, la domanda che ci dobbiamo fare non è solo quella di quanti soldi guadagnare, ma quanta possibilità abbiamo di aprire il discorso economico a categorie cui non siamo più abituati. Per esempio, la categoria della gratuità. Benedetto XVI e Papa Francesco adesso stanno continuamente insistendo sul fatto che l’economia non può essere misurata soltanto in termini di produzione, in termini di denaro, ma che bisogna rimettere al centro la persona, la persona che è fatta soprattutto di dinamiche di relazione e non soltanto di dinamiche di scambio. Paradossalmente, direi, proprio nel momento in cui viviamo questa crisi, forse abbiamo la possibilità di riscoprire dimensioni economiche in senso più ampio, che il progresso ci aveva fatto un po’ smarrire.

    D. – La crisi che stiamo vivendo, in fondo, non sembra aver messo abbastanza in discussione, così come invece si poteva sperare, il modo di fare economia, le dinamiche della finanza, del mercato come le abbiamo conosciute finora. Il vostro, quindi, è un contributo a una riflessione ulteriore in questo senso…

    R. – Io spero che la crisi abbia contribuito quantomeno a far riemergere due attenzioni. Una l’abbiamo già detta, ed è quella alla persona, prima che al suo prodotto. La seconda attenzione è l’attenzione etica sulla quale il magistero della Chiesa ci ha sempre richiamati e oggi Papa Francesco lo fa in continuazione, che vuol dire la dimensione della responsabilità. Io non posso costruire un’economia senza domandarmi perché faccio determinate scelte, perché indirizzo certi sforzi in una determinata direzione e non in un’altra, in maniera tale che la domanda di fondo sia sempre questa: la persona, in tutti questi processi economici, dove si trova? Insomma, io vorrei che risuonasse nell’economia quella domanda che Dio fa proprio all’inizio della sua storia con l’umanità: dov’è tuo fratello? E’ moribondo, è affamato, è ai margini, oppure lo stai cercando per riportarlo al centro, in maniera tale che sia possibile veramente vivere la fraternità in tutte le sue dimensioni?

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    20.mo del Catechismo: la morte di Cristo, sacrificio per amore

    ◊   La morte di Gesù non è frutto del caso, ma sacrificio per amore. E’ quanto sottolinea il Catechismo della Chiesa Cattolica. Proprio sul Mistero della morte di Gesù si concentra la 27.ma puntata del ciclo di riflessioni del gesuita, padre Dariusz Kowalczyk, ideato a 20 anni dalla pubblicazione del Catechismo:

    Ci siamo, purtroppo, abituati alle parole del Credo: “Gesù Cristo patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto”. Intanto questa affermazione è uno scandalo. Perché Dio entra nella storia in quel modo? Come mai un Dio onnipotente ci si rivela nel Crocifisso?

    Il Catechismo afferma: “La morte violenta di Gesù non è stata frutto del caso in un concorso sfavorevole delle circostanze. Essa appartiene al mistero del disegno di Dio” (n. 599). Questo significa che i protagonisti delle vicende evangeliche non sono stati solo degli esecutori passivi di un canovaccio divino. Dio prevede, ma non cancella la libertà dell’uomo.

    Dio previde che il suo amore incarnato sarebbe stato respinto con violenza. Egli non si ritirò dalla storia umana però, ma, nella Croce di Gesù ci rivelò la sua solidarietà con l’uomo peccatore. Dio ci ama quindi, anche se noi ci comportiamo come suoi nemici. Il Catechismo riporta le parole di San Paolo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8). Gesù non scende dalla Croce per castigare i cattivi, ma prega: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Questo è proprio l’amore “sino alla fine” (Gv 13,1). Nel Crocifisso vediamo l’onnipotenza di Dio, ma è l’onnipotenza dell’amore e della misericordia.

    La morte di Cristo – come ci ricorda il Catechismo – è il sacrificio che fa ritornare l’uomo alla comunione con Dio (cfr. n. 613). Non dobbiamo però pensare che il Figlio si sacrificò per placare l’ira del Padre. Fu il sacrificio per amore. Dio è santo e come tale non accetta il peccato. Per salvare il peccatore annienta in se stesso i suoi peccati. E compiendo quell’atto offre all’uomo il perdono, la riconciliazione e la risurrezione per la vita eterna.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Diritti e fine della vita: in prima pagina, un articolo di Ferdinando Cancelli sul dibattito in Francia intorno alle cure palliative.

    Oklahoma City devastata da un tornado: nel servizio internazionale, in rilievo la tempesta che ha causato negli Stati Uniti almeno cento vittime.

    La colpa non è mai collettiva: Anna Foa ricostruisce la storia di Gehrard Kurzbach, l’ufficiale della Wehrmacht riconosciuto Giusto delle Nazioni.

    Quell’opera totale che anticipa videoclip e giochi elettronici: Marcello Filotei sui duecento anni dalla nascita di Richard Wagner.

    L’editrice che costruisce ponti: in cultura, Giulia Galeotti a colloquio con don Giuseppe Costa sulla Lev al Salone internazionale del Libro a Torino.

    Come Erasmo cacciò il Papa dal cielo: Massimo Rospocher su un caso letterario del Cinquecento finalmente risolto.

    Un momento cruciale per la libertà religiosa: presentata dall’episcopato cattolico statunitense l’edizione 2013 della Fortnight for Freedom.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: Washington condanna il coinvolgimento degli hezbollah

    ◊   Gli Stati Uniti hanno espresso ferma condanna per il coinvolgimento nella guerra civile siriana della milizia sciita libanese Hezbollah, in appoggio all’esercito di Damasco. Il dipartimento di Stato ha condannato, in particolare, il diretto intervento e l’assalto a Kussair, dove i miliziani hanno svolto un ruolo decisivo nella riconquista della città da parte del regime. Sulla possibile regionalizzazione del conflitto, che coinvolga anche il Libano, Antonella Palermo ha parlato con Lorenzo Trombetta, dell’Ansa di Beirut, autore del volume “Siria: dagli Ottomani agli Assad e oltre…”, edito da Mondadori:

    R. – Il Libano non è a rischio contagio. Sono passati più di due anni dall’inizio delle violenze in Siria e il Libano, a livello generale, ha tenuto, anzi ha mostrato una flessibilità e una capacità di assorbimento delle tensioni non indifferente. Se guardiamo il Libano nelle sue varie regioni, il contagio c’è, ma c’è sempre stato, nel senso che la realtà siriana e quella libanese, per motivi storici, per motivi culturali, politici, economici, sia recenti ma anche meno recenti, ha sempre avuto una continuità anche territoriale, anche fisica, anche geografica, con la Siria.

    D. – Si parla molto oggi della Russia che finanzia con le armi il regime siriano…

    R. – Non è una novità, l’Unione Sovietica e poi la Russia sono da decenni il primo partner militare e strategico della Siria degli Assad. Comunque, la Siria durante la Guerra Fredda e anche successivamente è stata sempre nell’orbita di Mosca. Ovviamente la Russia non difende gli Assad, né difende i siriani; semplicemente, ha un piede in Medio Oriente, l’unico, l’ultimo che ha in Medio Oriente e sul Mediterraneo, e cerca quindi di difenderlo a spada tratta.

    D. – Questo libro vorrebbe aiutarci a calarci nelle ragioni endemiche che hanno poi portato alla situazione attuale…

    R. – In generale, nel corso degli ultimi 10 anni si è assistito a un graduale impoverimento del rapporto fra Damasco e le realtà locali e periferiche. E non è un caso che, nel 2011, proprio queste realtà periferiche sono state il motore della rivolta: negli ultimi 10 anni, di fatto, sono state dimenticate o non hanno più avuto le attenzioni che prima Assad padre gli aveva dedicato.

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    L’Unione Europea media le tensioni tra Kosovo e Serbia

    ◊   Kosovo e Serbia si incontrano in Belgio. Oggi, a Bruxelles, i leader di Pristina e Belgrado, con la mediazione Ue, siedono insieme intorno ad un tavolo per riuscire a trovare un'intesa sull'attuazione dell'accordo raggiunto lo scorso aprile. Al centro dell'incontro, lo smantellamento, nel Nord del Kosovo, delle strutture parallele di governo serbe. Nel pomeriggio, la rappresentante per la politica estera Ue, Catherine Ashton, avvierà i colloqui bilaterali con il primo ministro serbo, Ivica Dacic, e poi con il primo ministro kosovaro, Hashim Thaci. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Matteo Tacconi, esperto dell’area:

    R. – Il contesto è quello dell’implementazione degli accordi che sono stati sottoscritti il 19 aprile a Bruxelles, su mediazione della Ashton stessa, tra la Serbia e il Kosovo. Questa intesa, per sintetizzare, crea uno status quo accettabile nel nord del Kosovo, che era la fonte di maggiore di attrito tra i due Paesi.

    D. – Nodo spinoso dunque il nord del Kosovo a maggioranza serba, che non riconosce l’autorità di Pristina…

    R. – L’accordo sottoscritto il 19 aprile scorso prevede un parziale smantellamento. La Serbia smantella la sua polizia parallela e la fa confluire in quella kosovara, mantenendo però il diritto di nomina sul comandante, che sarà un serbo, dei distretti a maggioranza serba. Stessa cosa per la giustizia. I tribunali paralleli serbi confluiscono in quelli kosovari, però ci sarà una speciale Corte d’appello, con una maggioranza di giudici serbi che decide sui reati commessi dai serbi stessi. Quindi, la Serbia – se uno va a guardare la fotografia reale della situazione nel nord del Kosovo – smantella in parte le sue istituzioni parallele, ma ottiene in cambio il più ampio grado di autonomia che una minoranza possa vedere per ora in Europa. Dall’altra parte, il Kosovo non riesce a dispiegare totalmente la sua sovranità statuale però, di fatto, un po’ la ottiene. E' un accordo quindi che non accontenta del tutto nessuno, ma nemmeno scontenta del tutto le parti.

    D. – Dunque, si fortificherà questo accordo, si implementerà?

    R. – Personalmente, credo che l’implementazione andrà a buon fine, anche perché la Serbia a giugno può ottenere il via libera per l’avvio dei negoziati per l’ingresso nell’Unione Europea. Quindi, significa che se non l’implementa, i negoziati non partono. Questi accordi, anche per il Kosovo, hanno aperto un dialogo serio e concreto con l’Unione Europea, tant’è che si parla di firma degli accordi di associazione e stabilizzazione, che significano area di libero mercato, possibilità di esportare e potenziale liberalizzazione del regime dei visti. Questa, per il Kosovo, è una questione di vitale importanza.

    D. – Gli oppositori all’indipendenza del Kosovo rimangono Russia, Cina…

    R. – Il fronte non è cambiato. Il punto è che questo accordo che c’è stato non va a sbloccare la situazione dei riconoscimenti e la questione della Russia e della Cina, così come la Serbia. La Serbia non riconoscerà ufficialmente il Kosovo, anche se questo accordo ha creato una sorta di riconoscimento de facto di alcune strutture dello Stato kosovaro. Però, queste sono questioni che verranno decise in un futuro e credo nemmeno tanto prossimo. Per adesso, la cosa importante era raggiungere un modus vivendi nel nord del Kosovo. Mi pare che da parte di entrambi gli Stati ci sia stato un passo importante in termini di responsabilità e questo grazie anche alla Ashton, che li ha messi davanti a un bivio: firmare questo accordo, oppure rimanete nell’isolamento. Questo dimostra anche che l’Unione Europea, quando decide di negoziare, riesce a far valere le sue ragioni, soprattutto se riesce a evocare uno spazio concreto di dialogo europeo e di integrazione.

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    Vertice Cina-India: prospettiva di scambi commerciali per 100 miliardi di dollari

    ◊   “Rafforzamento del dialogo e cooperazione bilaterale”: Cina e India sintetizzano così la nuova strategia di rapporti che prende il via dal colloquio, a New Delhi, tra il premier cinese, Li Keqiang, e l’omologo indiano, Manmohan Sigh. Quella in India è la prima visita all’estero del nuovo primo ministro cinese. Il vertice si è concluso con la firma di una dichiarazione in cui si sostiene che “esiste spazio per lo sviluppo di India e Cina” e che “il mondo ha bisogno della crescita di entrambi i Paesi”. Si parla di un possibile interscambio, nel 2015, di 100 miliardi di dollari rispetto ai 66,5 miliardi del 2012. Di problematiche aperte e di potenzialità a livello interno e sul piano globale, Fausta Speranza ha parlato con Giovanni Ferri, docente di economia all’Università Lumsa:

    R. – Sono due le questioni principali. Una è quella di governare le risorse scarse, in primo luogo l’acqua. Naturalmente l’acqua è una risorsa particolarmente strategica già oggi e lo sarà ancora di più nel futuro. Sappiamo che ci sono ampie zone desertiche in Cina, che non sono lontane dal confine con l’India, e sappiamo che ci sono zone desertiche in India. Insomma, il problema dell’acqua è un problema importante. L’altra questione è come si possano parlare in maniera complementare invece che di conflitto e di concorrenza gli apparati produttivi della Cina e dell’India. In Cina abbiamo una produzione soprattutto manifatturiera. L’India invece ha sì un apparato manifatturiero, ma è più forte nei servizi, e nell’ambito manifatturiero è forte nella manifattura legata alle nuove tecnologie, in un’area contigua a quella dei servizi.

    D. – La prima strategia, quindi, è creare un interscambio a livello economico?

    R. – Esatto, per ora è un “memorandum of understanding”, quindi è una dichiarazione di intenzione. Sapendo che i cinesi fanno sul serio e non si mettono a perdere tempo probabilmente c’è un’intenzione vera.

    D. – Considerando che se Delhi e Pechino riuniscono le forze si parla del 40 per cento della popolazione mondiale, allora diciamo una parola anche sul significato globale e strategico?

    R. – Il significato globale e strategico c’è, non solo per la dimensione di questi due Paesi, ma anche perché il futuro degli equilibri globali si gioca su un equilibrio multipolare, in cui l’Europa e anche gli Stati Uniti dovranno abituarsi ad essere partecipanti ad un tavolo più importante, più ampio, dove saranno rappresentati anche gli altri. Se c’è un colloquio bilaterale tra due che sono i principali protagonisti - in termini di dimensione di popolazione e, probabilmente, diventeranno due dei principali protagonisti anche in termini di importanza economica tra qualche anno - se questo dialogo c’è, è una cosa che fa bene all’intero tavolo, dove si siedono gli attori della governance multilaterale, della governance globale.

    D. – Lo sguardo allargato fa bene alla comunità internazionale, ma nell’immediato dà un po’ fastidio in particolare agli Stati Uniti...

    R. – Penso di sì, penso che possa dare fastidio, perché gli Stati Uniti naturalmente hanno qualche difficoltà ad accettare un ridimensionamento del loro ruolo. Questo ridimensionamento è nei fatti. Nel momento in cui si reinseriscono a livello globale i due grandi attori - India e Cina - conteranno di più. E questo - se ci ricordiamo bene – è stato sancito nel momento in cui, al colmo della crisi, nel 2008, non si è convocato il G8 ma si è convocato il G20, in modo da avere allo stesso tavolo anche gli emergenti, ivi inclusi i più importanti di tutti: la Cina e l’India.


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    Italia. Il card. Bagnasco: non perdere tempo, politica pensi al Paese senza distrazioni

    ◊   Pensare alla gente, senza populismi inconcludenti e dannosi. Questo l’appello che il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, rivolge alla classe politica nella sua prolusione per l’assemblea della Conferenza episcopale, che si è aperta ieri in Vaticano. Il porporato mette in luce la necessità di pensare al lavoro, difendere la famiglia fondata sull’unione tra uomo e donna. Un pensiero poi per i vescovi ortodossi rapiti in Siria e al giornalista Domenico Quirico, ancora disperso, affinché tornino in libertà. Alessandro Guarasci:

    Non si può perdere tempo, perché qualsiasi intoppo, nella situazione attuale del Paese, rimarrà scritto nella storia. Insomma, non si può disperdere il duro cammino fatto dagli italiani. Il cardinale Angelo Bagnasco:

    “Dopo il responso delle urne, i cittadini hanno il diritto che quanti sono stati investiti di responsabilità e onore per servire il Paese pensino al Paese senza distrazioni, tattiche o strategiche che siano”.

    D'altronde, l’esempio c’è visto che, dice il porporato, “in questi giorni abbiamo visto, ad alti livelli, gesti e disponibilità esemplari che devono ispirare tutti”. Il lavoro rimane un’emergenza, una “lama dolorosa nella carne della gente”, ma non sia troppo invasivo:

    "È del tutto evidente che il lavoro domenicale impedisce che la famiglia si ritrovi unita in un tempo disteso e comune da dedicare a se stessa, agli altri e, se credente, a Dio e alla comunità cristiana".

    E poi la famiglia, che va tutelata di più, favorendo la natalità, contrastando la povertà, perché demolirla “è un crimine. Ma allo stesso tempo tutelando il diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni. Netto "no" poi a una visione individualistica della società, all’eutanasia, al suicidio assistito, alla violenza sulle donne. E in attesa dell’incontro con Papa Francesco, i vescovi italiani gli assicurano piena vicinanza.

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    Mons Crociata: il welfare è assicurato dalla Chiesa e non dallo Stato

    ◊   Al termine della sessione di lavoro di questa mattina dell’Assemblea dei vescovi italiani, il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata, ha tenuto una conferenza stampa per inquadrare l’attività dell’assise. L’ha seguita per noi Gabriella Ceraso:

    L’Assemblea in corso è profondamente radicata nella prolusione del cardinale Bagnasco, esordisce mons. Crociata, che spiega i tre aspetti che hanno ispirato stamani la riflessione dei vescovi. Il primo è la figura del Papa. Dopo poco più di due mesi dall’elezione, l’indirizzo dato da Papa Francesco alla Chiesa appare chiaro, spiega, e forte è il rapporto stabilito già con i vescovi, tanto che ciascuno, aggiunge, ha sentito di voler "far proprio lo stile del Pontefice". Secondo punto toccato è il presente sociale italiano in crisi, cui la Chiesa rinnova il suo appoggio, ma sul quale tutti gli interventi dei vescovi lasciano emergere una forte preoccupazione. E’ in atto un "capovolgimento allarmante", secondo mons Crociata:

    “Lo Stato sociale, il welfare, viene assicurato dalla Chiesa, e non dallo Stato. Strutture pubbliche rimandano alle Caritas: è un capovolgimento che chiede una riflessione attenta da parte di tutti”.

    Terzo punto affrontato è quello della tematica educativa, in particolare la formazione degli educatori su cui sarà centrata la conferenza stampa di domani. Interrogato dai giornalisti, mons. Crociata ha infine ribadito la posizione dei vescovi su alcuni punti fondamentali: l’urgenza che anche il governo italiano risponda adeguatamente alla crisi senza perdersi, dice, in sterili polemiche da campagna elettorale, la apoliticità della Chiesa - che non prende posizioni ma è per il bene di tutti e di tutto l’uomo - e l’impegno contro la mafia. Mons. Crociata cita poi la beatificazione di don Pino Puglisi e il suo ruolo esemplare:

    “E’ stato ucciso perché era un prete che si dedicava all’opera pastorale, educativa, facendo la vera lotta alla mafia, cioè togliendo le radici a quella visione della realtà così distorta da essere distruttrice. Allora, che cosa può fare la Chiesa? La Chiesa può essere Chiesa, ma se è Chiesa fino in fondo, allora, per natura sua va contro la mafia, è proprio l’opposto, l’antagonista per eccellenza, perché toglie alla radice tutte le motivazioni che possono indurre alcuno a lasciarsi trascinare nel modo di vedere e di agire che è proprio di queste organizzazioni criminali”.

    Appuntamento importante per i vescovi è la Professio fidei prevista per giovedì prossimo, alla presenza del Papa.

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    Giornata Onu della diversità culturale per il dialogo e lo sviluppo. Le lacune dell’Italia

    ◊   Si celebra oggi la Giornata della diversità culturale per il dialogo e lo sviluppo, istituita dall’Onu nel 2001, l’anno degli attentati dell’11 settembre negli Usa, simbolo dell’odio cieco, ottuso tra i popoli. Ma da allora quale cammino si è fatto per valorizzare questa diversità? Solo parole o anche fatti? Roberta Gisotti lo ha chiesto al prof. Giovanni Puglisi, presidente dell’Unesco in Italia:

    R. – Io credo che, purtroppo, bisogna distinguere il profilo internazionale dal profilo italiano. Nell’ambito internazionale, l’Unesco si è molto impegnata, attraverso le azioni dei Paesi membri, soprattutto quelli che hanno maggiore sensibilità nell’ambito della cooperazione internazionale - penso ai Paesi in via di sviluppo, penso ai Paesi delle aree sensibili -, per creare sempre opportunità di integrazione. L’Italia invece è sempre stata e continua ad essere abbastanza refrattaria a passare dalla convegnistica ai fatti, anche se negli anni scorsi abbiamo realizzato due Forum a Monza sulle "industrie culturali", dove abbiamo visto la partecipazione di diverse personalità, esperienze, competenze nell’ambito dei Paesi in via di sviluppo. Per il resto è stato fatto abbastanza poco. Io credo che invece occorrerebbe fare molto di più in termini di integrazione e per fare qualcosa in termini di integrazione bisogna alzare la soglia della conoscenza e la soglia del rispetto reciproco. Io non voglio parlare di tolleranza, perché già il concetto di tolleranza presuppone il suo contrario. Vorrei parlare del rispetto delle persone che credo sia il grande messaggio che viene dal nuovo Papa, che insiste molto sulla chiave della speranza come momento gnoseologico del bisogno di conoscenza.

    D. – In Italia si parla anche poco e male di diversità culturale in genere sulla stampa dove si paventa la diversità per fatti di cronaca nera. Quale ruolo, invece, potrebbe giocare la stampa?

    R. – Io credo che la stampa dovrebbe giocare un ruolo molto diverso in tante circostanze, in tanti casi, compreso in questo. Purtroppo, il caso della diversità costituisce notizia quando la diversità si coniuga al male, al delitto, alla tragedia. Invece, io credo che dovremmo sottolineare sempre di più la diversità come integrazione, la diversità come momento di cooperazione, non solo fra i popoli ma anche tra le persone. La stampa dovrebbe scoprire che possono essere una notizia anche la bellezza e la bontà, non soltanto la bruttezza e la cattiveria.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Iraq. Il patriarca caldeo Sako: la nostra Chiesa accoglie tutti senza distinzioni

    ◊   L'attaccamento alle proprie radici etniche e culturali “caldee” non deve diventare culto fanatico della propria identità nazionale, se non si vuole oscurare la cattolicità della Chiesa. E' questo il messaggio chiave che il patriarca di Babilonia dei caldei Louis Raphael I Sako ha voluto esprimere in una lettera rivolta al clero della sua Chiesa, per condividere con vescovi, sacerdoti e religiosi le preoccupazioni e le speranze sull'attuale momento vissuto dalla compagine ecclesiale da lui guidata. Nella missiva, pervenuta all'agenzia Fides, mons. Sako descrive la Chiesa caldea come una realtà “ferita” e “dispersa”, delineando tra le cause di questa condizione deplorevole anche la destabilizzazione nel Paese seguita alla caduta del regime di Saddam e “la fuga di alcuni sacerdoti in Occidente, diversi dei quali sono passati ad altre Chiese”. Riguardo ai richiami al nazionalismo caldeo che a volte suscitano controversie anche in ambito ecclesiale, il patriarca caldeo sottolinea che “non è un difetto amare la propria nazione e esserne orgoglioso. Il difetto consiste nel considerare essa come superiore alle altre, peggio ancora quando qualcuno insulta chi non appartiene alla sua identità nazionale. È successo qualcosa del genere negli ultimi tempi”. La deriva nazionalista identitaria – che sembra a volte contagiare alcuni siti internet e alcuni gruppi di militanti politici - secondo Louis Raphael I - rischia a volte di oscurare la stessa cattolicità della Chiesa caldea: oggi in essa “ci sono assiri, arabi e curdi: dobbiamo farli tutti caldei? E che dovremmo dire dei caldei musulmani?” si chiede il patriarca. A suo giudizio, le diverse sensibilità ecclesiali riguardo alla cosiddetta “caldeità” non vanno interpretate come contrapposizioni tra una “minoranza “ e una “maggioranza”. Parlare di queste dinamiche in termini di “vittoria, come se fossimo in guerra” rappresenta secondo il Patriarca “una vergogna”. Nella lettera, mons. Sako ribadisce che l'impegno diretto in politica è una prerogativa propria dei laici e che i sacerdoti non possono proporsi come militanti o aderenti delle diverse sigle partitiche, perchè la loro vocazione sacerdotale è “al servizio di tutti, senza eccezione”. (R.P.)

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    Nell'enciclica del patriarca Bartolomeo I l'appello per i vescovi siriani rapiti

    ◊   Un appello accorato per i due vescovi di Aleppo della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia Boulos al-Yazij e della Chiesa siro-ortodossa Youhanna Ibrahim rapiti il 22 aprile scorso e di cui non si hanno più notizie. È contenuto nella enciclica patriarcale e sinodale diffusa dal patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I in occasione del 17° centenario della promulgazione dell’Editto di Milano. Un tema ed una commemorazione che sono stati in questi giorni al centro delle attività del patriarca Bartolomeo prima con un viaggio a Milano e subito dopo con un seminario di studio promosso in collaborazione con il Consiglio delle Conferenze episcopali europee. Ora il patriarcato - riporta l'agenzia Sir - presenta un’enciclica dedicata all’Editto di Milano in cui di nuovo esprime la sua profonda preoccupazione e angoscia per “le persecuzioni ancora dilaganti nella terra e in particolare di recente contro le popolazioni cristiane del Medio Oriente”. “Omicidi, rapimenti, minacce e azioni legali” contro i cristiani: “Condividiamo - si legge nell'enciclica del patriarca Bartolomeo - il dolore, l’afflizione e le difficoltà che affrontano i cristiani in Medio Oriente e in Egitto, in particolare l’antico e venerabile patriarcato di Antiochia. Senza prendere alcuna posizione politica, condanniamo senza esitazione e ancora una volta ogni forma di violenza contro i cristiani, facendo appello ai potenti della terra perché facciano rispettare i diritti fondamentali dell’uomo, il diritto alla vita, la dignità e il diritto di avere un futuro, sapendo e lodando il loro comportamento pacifico e silenzioso, e il loro costante sforzo a stare lontano da ogni violenza e conflitto”. Da parte sua, “il patriarcato ecumenico non cesserà mai di sostenere con tutti i messi spirituali a sua disposizione, gli sforzi di dialogo pacifico tra le diverse religioni per una soluzione pacifica dei conflitti e la creazione di un clima di tolleranza, di riconciliazione e cooperazione tra le persone di ogni religione e di ogni origine etnica”. (R.P.)

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    Pakistan: nuova violenza sui cristiani in sud Punjab

    ◊   Oltre 250 famiglie cristiane sono state minacciate di morte e cacciate dalle loro case, nel villaggio “Chak 31” nel distretto di Khanewal, in Sud Punjab, per paura di attacchi di massa e di un incendio doloso del loro villaggio. Quanto accaduto in Sud Punjab “testimonia l’aumento degli episodi di violenza e i soprusi contro le minoranze religiose in Pakistan” e “ricorda il grave episodio dell’attacco alla Jospeh Colony, quartiere cristiano di Lahore, avvenuto due mesi fa”, afferma un rapporto inviato all’agenzia Fides, compilato da due organizzazioni della società civile pakistana, la “Human Rights Commission of Pakistan” (Hrcp) e “Organization for Development and Peace” (Odp), impegnate nel promuovere la pace e difendere i diritti umani. Mentre la politica pakistana è arrovellata nella formazione del nuovo governo, dopo le elezioni generali, le due organizzazioni lanciano un pressante appello “a tutte le parti interessate, alla politica, ai partiti, alla società civile, alle organizzazioni religiose, perché operino attivamente per mitigare l'intolleranza religiosa e promuovere la coesione sociale”. L’appello è lanciato “nell’interesse del Paese e non solo per la tutela dei diritti delle minoranze”. Ognuna delle famiglie messe in fuga dagli estremisti islamici aveva circa sei persone, dunque i fedeli attualmente senza tetto sono oltre 1.500. La fuga è stata la soluzione prescelta per evitare un massacro. Come riferito all'agenzia Fides, tutto è nato da una provocazione: circa 15 giorni fa, alcuni musulmani hanno accusato un commerciante cristiano, Asher Yaqoob, proprietario di un piccolo negozio di alimentari, e i suoi clienti cristiani di aver atteggiamenti poco rispettosi verso l’islam, aizzando i fedeli del villaggio vicino, il “Chak 30” (i villaggi rurali sono numerati, e non hanno nome proprio, ndr), tutto musulmano. I cristiani hanno chiamato la polizia, ma un ufficiale di polizia, invece di proteggerli, è giunto a capo di un folla di 60 musulmani che hanno cominciato a percuotere qualunque persona incontrassero, e a devastare case e negozi. Ne sono seguiti scontri e Asif Khan, un musulmano fra gli aggressori, è stato colpito da un sparo ed è deceduto. Alla notizia della morte, la folla ha minacciato un attacco di massa e di dare alle fiamme l’intero villaggio. Le famiglie cristiane non hanno avuto altra scelta che la fuga immediata. Negli scontri 20 cristiani sono stati arrestati dalla polizia. Le due organizzazioni Hrcp e Odp hanno denunciato il tutto alla polizia di Multan chiesto l’intervento delle autorità civili e religiose per riportare la pace fra i due villaggi. (R.P.)

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    Onu: aperto il Forum dei popoli indigeni

    ◊   “I popoli indigeni dell’Africa affrontano molte difficoltà, prima fra tutte il riconoscimento della loro identità” ha detto Paul Kanyinke Sena, avvocato kenyano, nuovo presidente del Forum permanente dell’Onu sulle questioni indigene, aprendo a New York un nuovo ciclo di sessioni incentrate sull’Africa e gli Obiettivi del Millennio visti dai popoli originari. Kanyinke, primo africano a presiedere il Forum, ha denunciato altri abusi patiti dai nativi del suo continente, analoghi a quelli sofferti in altre regioni del mondo: allontanamenti forzati dai territori ancestrali, perdita delle terre, invasione delle aziende attratte dallo sfruttamento delle risorse naturali. E’ tempo, ha detto, che i principi dalla Dichiarazione dell’Onu sui diritti dei popoli indigeni si traducano in realtà, “soprattutto in Africa”. Alle sessioni, che si concluderanno a fine mese, con la partecipazione di 2000 rappresentanti di comunità autoctone di tutto il pianeta, si affronteranno, fra l’altro, anche i preparativi per la prossima Conferenza mondiale sui popoli indigeni in programma nel settembre 2014 e la definizione di un agenda per lo sviluppo che sostituisca gli Obiettivi del Millennio una volta scaduti, nel 2015. “Dobbiamo proteggere la ricca eredità e i sistemi di valori degli indigeni, cominciando dall’istruzione e migliorando l’accesso al servizio sanitario, rispettando al contempo le loro tradizioni” ha detto il segretario generale del Palazzo di Vetro, Ban Ki-moon, in un messaggio inviato al Forum. In programma c’è anche la presentazione del primo rapporto sugli Obiettivi del Millennio da una prospettiva indigena, “L’altra visione”, elaborato dall’Organizzazione nazionale indigena della Colombia (Onic). Sopravvissuti alle colonizzazioni, i popoli indigeni sostengono a tutte le latitudini gli stessi principi di base: protezione e difesa della terra, autodeterminazione, sviluppo basato sul ‘buon vivere’, in equilibrio e armonia con la natura. Chiedono allo stesso tempo il rispetto della Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro che prevede la consultazione previa delle popolazioni interessate all’approvazione di mega-progetti di sfruttamento nei loro territori. (R.P.)

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    Africa: i bambini “invisibili” del continente sono privi di ogni diritto

    ◊   La metà dei bambini africani sono “invisibili” in quanto non compaiono in nessun registro anagrafico. E’ quanto emerso in un comunicato rilasciato in occasione del XXI Meeting dell’Unione Africana (Ua) appena iniziato ad Addis Abeba. Secondo l’Unicef solo il 44% dei minori di 5 anni di età in Africa risulta nel registro delle nascite. Senza alcuna identità legale, i piccoli sono privi di servizi sociali, istruzione, tutela contro il lavoro minorile, il reclutamento militare, la tratta di esseri umani e altre forme di sfruttamento. In questo contesto - riporta l'agenzia Fides - il vertice della Ua, che celebra il 50° anniversario dell’Organizzazione dell’Unione Africana (Oua), predecessore dell’Ua, costituisce una grande opportunità per un impegno duraturo verso i bambini del continente. Per l’Unicef questo impegno deve prevedere soprattutto la possibilità di dare ad ogni bambino un nome e uno stato legale. Nell’Africa subsahariana lavorano circa un bambino su 3, ossia 69 milioni di minorenni. In totale, nel mondo lavorano circa 158 milioni di piccoli tra 5 e 14 anni. L’Ong delle Nazioni Unite dichiara inoltre che la popolazione infantile del continente prima del 2015 arriverà ad essere di 130 milioni. (R.P.)

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    Nigeria: appello dei vescovi per "salvare" la nazione

    ◊   Il governo “continui a valutare gli strumenti di dialogo più efficaci per riportare il paese alla normalità”: lo hanno chiesto i vescovi cattolici della Nigeria, al termine di un incontro di preghiera che si è tenuto dopo l’entrata in vigore di uno stato di emergenza nelle regioni nord-orientali roccaforte di Boko Haram. In un documento diffuso ad Abuja, intitolato “Salvare la Nigeria dal crollo”, i vescovi affermano di aver assistito negli ultimi due anni “a un’escalation di violenza e criminalità senza precedenti”. “Un semplice scontro tra forze di sicurezza e membri della setta islamica nota come Boko Haram – scrivono i religiosi – è sfociato in quella che, nel modo più ottimistico, può essere definita una guerra di bassa intensità”. Nel testo si esprime la speranza che le misure straordinarie introdotte dal governo negli Stati di Borno, Yobe e Adamawa “raggiungano gli obiettivi auspicati”. Allo stesso tempo - riferisce l'agenzia Misna - i vescovi non bocciano in linea di principio l’idea di un’amnistia nei confronti di membri o ex membri di Boko Haram. “Una vera amnistia – avvertono però – dovrebbe significare perdonare i militanti pentiti e non placare i criminali e i loro sostenitori perché stiano tranquilli”. Nel documento si stabilisce una relazione tra Boko Haram e problemi che, da decenni, condizionano lo sviluppo economico e sociale della Nigeria. “È chiaro – scrivono i vescovi – che il nostro Paese sta vivendo gli effetti cumulati e l’impatto corrosivo della corruzione; se i nostri leader politici non troveranno il coraggio di utilizzare le istituzioni dello Stato per combatterla, questo mostro divorerà la nazione intera”. (R.P.)

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    Guatemala: annullata la storica condanna per genocidio per Rios Montt

    ◊   “Accogliendo un ricorso della difesa, si annulla la sentenza e il processo è retrodatato al 19 aprile”: così il segretario della Corte Costituzionale, Martín Guzmán, ha annunciato nelle ultime ore in una conferenza stampa l’annullamento della storica condanna a 80 anni di carcere per genocidio e crimini contro l’umanità inflitta il 10 maggio all’ex dittatore José Efraín Ríos Montt (1982-1983). Viene allo stesso tempo cancellata l’assoluzione per il co-imputato, l’ex capo dell’intelligence militare José Mauricio Rodríguez Sánchez. La decisione è stata presa con i voti a favore del presidente dell’alto tribunale, Héctor Pérez Aguilera, e dei magistrati Alejandro Maldonado e Roberto Molina; si sono opposti solo Mauro Rodriguez Chacón e Gloria Porras. È basata su uno dei ricorsi presentati dalla difesa del generale a riposo, mentre restano pendenti due richieste di destituire il ‘Tribunal Primero A de Mayor Riesgo’, presso il quale si tiene il processo. La risoluzione, si legge sulla stampa del Guatemala, mantiene come presidente della corte la giudice Yazmín Barrios, retrodatando il dibattimento sull’eccidio di 1771 indigeni Ixiles perpetrato dall’esercito nel dipartimento nord-occidentale del Quiché durante la guerra civile (1960-1996) al 19 aprile, un mese dopo l’inizio: in quella data, un giudice d’appello aveva deciso la sospensione temporanea del processo, poi ripreso nonostante rimanesse da stabilire l’esito di un ricorso avanzato dal legale di Ríos Montt Francisco García Gudiel, espulso dall’aula il 19 marzo dopo aver tentato ripetutamente di impedire l’avvio del dibattimento. Ríos Montt, 86 anni, è ricoverato da una settimana nell’ospedale militare di Città del Guatemala dopo aver sofferto una crisi ipertensiva. Il suo regime, durato poco più di un anno, fu fra i più sanguinosi della guerra: secondo una Commissione della Verità sostenuta dalle Nazioni Unite, furono commessi in media 800 omicidi al giorno. Su Ríos Montt pesa un’altra causa, quella per la strage di Dos Erres, perpetrata il 7 dicembre 1982, quando le forze speciali antiguerriglia Kaibiles assassinarono 201 persone, per la maggior parte donne e bambini. Finora, cinque dei militari che parteciparono al massacro sono stati condannati a 6060 anni di prigione ciascuno, una pena simbolica per ciascuna delle vittime che nella prassi si traduce a 50 anni di detenzione. (R.P.)

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    Messico: per mons. Gallardo c'è meno violenza ma mancano programmi sociali

    ◊   Il vescovo messicano di Veracruz, mons. Luis Felipe Gallardo Martin del Campo ha riconosciuto il lavoro svolto dalle autorità dell’omonimo Stato in materia di sicurezza e ha riferito che in due anni di amministrazione si è verificato un cambiamento radicale. Il Vescovo ha però osservato che occorrono sforzi maggiori per eliminare reati “minori”, se paragonati agli omicidi, come assalti, rapine, rapimenti ed estorsioni. A questo proposito ha osservato che anche la Chiesa cattolica è stata vittima di un rapimento a scopo d’estorsione quando, cinque mesi fa, due giovani seminaristi sono stati rapiti ad un mese l’uno dell’altro. Il direttore del seminario di Veracruz ricevette una richiesta di riscatto per liberare i due seminaristi. Nella nota pervenuta all'agenzia Fides, il vescovo, senza offrire ulteriori dettagli sul caso, ha spiegato che ha informato il governatore Javier Duarte de Ochoa in un incontro tenutosi la scorsa settimana. "Abbiamo subito anche noi un sequestro di persona che per fortuna non è finito male. I due seminaristi sono stati liberati grazia all'intervento dei militari della Marina”. Il governatore si è impegnato a dare ascolto alle richieste della Chiesa cattolica. Mons. Gallardo Martin ha sottolineato la necessità di programmi sociali che promuovono la cultura della legalità, della non violenza e l'armonia familiare. (R.P.)


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    Cile. Mons. Vial alla comunità Mapuche: "Il Paese ha un debito con voi"

    ◊   “Il Cile ha un debito con la comunità Mapuche”, ha riferito in una nota inviata all'agenzia Fides mons. Manuel Camilo Vial Risopatrón, che da una settimana è divenuto vescovo emerito della diocesi cilena di Temuco, che nei suoi undici anni a capo della diocesi la comunità si è impegnata con i Mapuche, ma ancora c'è molto da fare per loro nel campo dei diritti umani. Mons. Vial - riporta l'agenzia Fides - ha voluto salutare così la comunità nella celebrazione dei suoi 78 anni di vita nella cattedrale della capitale della Araucania. Mons. Vial ha detto che le persone non hanno cura e preoccupazione per il bene del Cile, aggiungendo che ci si appassiona per il Cile solo quando gioca la squadra di calcio della nazionale. Mons. Vial ha festeggiato 78 anni di vita, 33 di vescovo e 11 al servizio della diocesi di Temuco. Sette giorni fa è stato nominato vescovo di Temuco, mons. Héctor Eduardo Vargas Bastidas, (che era vescovo di Arica dal 2003). Mons. Vial ha riferito alla stampa che ha fissato la sua nuova residenza nella zona metropolitana di Temuco, e che continuerà a lavorare con le comunità Mapuche. (R.P.)

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    Colombia: assegnati 2 milioni di ettari ai "campesinos" senza terra

    ◊   Dall’agosto 2010 due milioni di ettari di terre in Colombia sono stati assegnati dal governo a 57.450 ‘campesinos’, comunità indigene e afrodiscendenti. Un risultato possibile – ha detto il presidente Juan Manuel Santos – grazie agli sforzi per sradicare la povertà dalle aree rurali, uniti agli strumenti forniti da una legge ‘ad hoc’ che prevede la restituzione delle terre alle vittime di spostamenti forzati per mano dei gruppi armati. Santos - riferisce l'agenzia Misna - ha parlato nel fine-settimana durante una cerimonia pubblica in cui ha consegnato titoli di proprietà di lotti situati nel comune di Pacho, nel centro del Paese, sequestrati al defunto narcotrafficante Gonzalo Rodríguez Gacha, alias “El Mexicano”, principale socio di Pablo Escobar nel disciolto cartello della droga di Medellín. Nella stessa occasione ha anche confermato le dimissioni del ministro dell’Agricoltura, Juan Camilo Restrepo, senza tuttavia renderne pubblici i motivi. In Colombia, il 52% delle terre è in mano all’1,15% della popolazione, secondo il rapporto sullo sviluppo umano stilato nel 2011 dal Programma dell’Onu per lo sviluppo (Unpd). Allo stesso tempo, il Paese sudamericano registra oltre 3,7 milioni di ‘desplazados’ (sfollati con la forza), un numero fra i più alti al mondo, a causa di un conflitto che perdura da quasi mezzo secolo. Il problema della terra è il primo dei cinque punti dell’agenda dello storico processo di pace fra il governo di Santos e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), ospitato a Cuba. (R.P.)

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    Cina: sussidio per i cattolici "Forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera"

    ◊   In vista della Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina – che si celebrerà in tutto il mondo il prossimo 24 maggio – esce il primo sussidio predisposto in Italia per accompagnare i fedeli che vogliono testimoniare la propria vicinanza orante ai fratelli cinesi attraverso un incontro di preghiera. L'opuscolo, intitolato Forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera è pubblicato dalla Editrice Missionaria Italiana (Emi) e propone una veglia di preghiera integrata da importanti spunti di riflessione sulla storia e le vicende della Chiesa in Cina, segnate da sofferenze e da commoventi testimonianze di fede. Il sussidio raccoglie anche testi di Benedetto XVI e stralci della sua Lettera ai cattolici cinesi del 2007. In quel testo, il Papa esaltava la testimonianza resa dai cattolici di Cina invitandoli all’unità e ricordando che “nessuna difficoltà può separarci dall’amore di Cristo”. Nell'opuscolo si propone anche l'esperienza di don Bao, sacerdote cinese che racconta il suo cammino spirituale, sempre illuminato dalla fede. “La mia forza” dice don Bao “è Gesù stesso. Lui ha detto: Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi. Su questa strada io trovo la croce ma anche la gioia e la pace”. La pubblicazione è curata da Gerolamo Fazzini, caporedattore di Credere, e padre Angelo Lazzarotto, missionario del Pime con una lunga esperienza di rapporti con la Cina. “Pubblicare e diffondere il sussidio ci è sembrato un modo semplice e concreto per essere vicini ai nostri fratelli nella fede che vivono in Cina” dichiara all'agenzia Fides Lorenzo Fazzini, direttore della Emi. La Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina è stata istituita da Benedetto XVI nel 2007. Il 24 maggio, nella festa di Santa Maria Ausiliatrice, i cattolici cinesi rendono omaggio in particolare alla Vergine nel Santuario di Sheshan, nei pressi di Shanghai. (R.P.)

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    Si è spento fra Alberto Andreani, per 73 anni in missione in Turchia

    ◊   Il 14 maggio scorso si è spento all’ospedale S. Maria Maggiore di Reggio Emilia il 97.enne fra Alberto Andreani, cappuccino. Potrebbe sembrare una notizia “ordinaria”, soprattutto tenendo conto dell’età del religioso; si tratta, invece, di una notizia importante, perché fra Alberto ha lavorato in Turchia per 73 anni, passati tutti a Yeşilköy (Villaggio verde), il convento dei missionari cappuccini italiani vicino all’aeroporto di Istanbul. Originario delle Cinque Terre, fu inviato “provvisoriamente” in Turchia al tempo in cui mons. Angelo Roncalli era delegato apostolico e frequentava il convento. Ne divenne, così, un caro amico e, più tardi, quando il delegato fu eletto Papa e, soprattutto, quando fu aperto il processo per la sua Beatificazione, un testimone conteso dai media. Aiutato da un’eccezionale memoria che gli consentiva di ricordare nomi e particolari preziosi per la storia, parlava volentieri delle visite di Roncalli, mettendone in rilievo la semplicità, l’adattabilità e l’arguzia con cui intratteneva i suoi interlocutori, compresi i Religiosi con cui spesso condivideva la mensa. L’occupazione principale di fra Alberto è stata l’accoglienza, innanzitutto dei cristiani del luogo (a Yeşilköy c’era un tempo un bel numero di cattolici), dei musulmani, che lo amavano come un fratello, e dei turisti, specialmente dopo che l’agenzia di viaggi Eteria iniziò ad accompagnare in Turchia quanti volevano ripercorrere il “cammino di Paolo”. Nessuno sa dire quante migliaia ne abbia accolti, gentilissimo con tutti, grazie alla rara capacità che aveva di instaurare subito un piacevole rapporto umano con chiunque. Un suo confratello ha scritto che apriva le braccia agli ospiti “con un sorriso che metteva subito a proprio agio e con la limpida consapevolezza di collaborare all’attività dei suoi confratelli sacerdoti” (compresi quelli passati), continuando una tradizione propria dei Fratelli cappuccini, che dell’accoglienza hanno fatto una virtù che ha contribuito a farne i famosi “frati del popolo”. (A cura di padre Egidio Picucci)

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    Singapore: "spiritualità di comunione" nel programma del nuovo arcivescovo

    ◊   La “spiritualità di comunione” è lo stile e il manifesto pastorale del nuovo arcivescovo di Singapore, appena nominato da Papa Francesco. Si tratta di mons. William Goh, che succede a mons. Nichols Chia Yeck Joo, del quale era coadiutore. Come riferisce un nota inviata all’agenzia Fides dalla Chiesa di Singapore, l'arcivescovo inizierò il suo ministero durante una Santa Messa che sarà celebrata il 24 maggio prossimo nella cattedrale del Buon Pastore. “La Chiesa in Singapore intende ringraziare Dio per il contributo dato dall'arcivescovo emerito, per il nuovo arcivescovo (il quarto nell’isola) e implorare su di lui la guida e protezione di Dio e della Vergine Maria”. “La Chiesa di Singapore potrà rinnovarsi tenendo come fondamento la preghiera e la spiritualità di comunione”, dichiara il nuovo arcivescovo in un messaggio appena inviato al clero diocesano. L’arcivescovo intende incontrare tutti i sacerdoti e religiosi nelle prossime settimane per condividere con loro i suoi piani pastorali per la Chiesa di Singapore. Passerà il suo primo anno di ministero episcopale visitando parrocchie, istituzioni e organizzazioni religiose, per “conoscere intimamente - ha detto - le esigenze e le preoccupazioni dei fedeli”. Mons. Goh ricorda le parole di Papa Wojtyla nella Lettera“Novo Milleninio ineunte”: “La nostra testimonianza sarebbe insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo contemplatori del suo volto. Tutte le iniziative pastorali devono essere impostate in relazione alla santità”. Per dare il volto di una Chiesa “vivace ed evangelica”, l’arcivescovo intende rafforzare i legami fraterni fra i sacerdoti e lo zelo pastorale, in modo che essi, a loro volta, possano aiutare i laici “a essere corresponsabile alla missione della Chiesa”. Questo è particolarmente vero – nota il messaggio – “nella protezione del matrimonio e della famiglia, nel promuovere l’armonia e il dialogo interreligioso, nel farsi portatori di valori universali di verità e giustizia, promozione della vita e della dignità dei poveri”. Mons. Goh nota l’urgenza della “nuova evangelizzazione” che, afferma, inizia con i giovani. “Molti dei nostri giovani non riescono a trovare un significato nella fede, perché non vedono la rilevanza della loro fede in questo mondo laico, razionalista e relativista. Dobbiamo aiutarli a incontrare Gesù Cristo: senza questo incontro personale, non ci può essere vera missione o passione”. A Singapore vi sono circa 300mila cattolici battezzati, inclusi gli immigrati, su oltre 5 milioni di abitanti. (R.P.)

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    Roma: anteprima del film " Un Dio vietato" sui martiri di Barbastro

    ◊   Sarà proiettato in anteprima oggi, alle ore 18 presso il Cinema Farnese Persol di Roma, “Un Dios prohibido” (“Un dio vietato”) di Pablo Moreno, interpretato tra gli altri da Iñigo Etayo, Jerónimo Salas e Alex Larumbe. Il film, tratto da una vicenda reale, è ambientato nell’estate del 1936, all’inizio della Guerra Civile spagnola, e narra il martirio di 51 membri della Comunità clarettiana di Barbastro (Huesca). Il racconto si concentra sulle ultime settimane della loro vita, dalla prigionia alla fucilazione. Durante questo periodo, realizzano diversi scritti in cui parlano della loro situazione, dei loro compagni di prigionia, della gente che li vede. Questi scritti - riferisce l'agenzia Sir - sono stati il punto di partenza per realizzare il film. Barbastro, località della regione di Huesca, che a quell’epoca contava circa 8mila abitanti, diventa un luogo importante dal punto vista della strategia militare, dovuto alla presenza di caserme e di un comitato rivoluzionario della Cnt perfettamente organizzato. La casa della Comunità clarettiana fu assalita il 20 luglio 1936 da miliziani rivoluzionari. I martiri di Barbastro furono beatificati da Giovanni Paolo II. (R.P.)

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    Al Festival di Cannes la Roma di Sorrentino e gli orrori del nazismo e dei Khmer rossi

    ◊   Il mondo che non c’è, che non c’è più, che scompare. Mentre Cannes è invasa da una folla straboccante di curiosi, gli schermi del Festival si riempiono di memoria, di viaggi al termine della notte, di ricostruzioni evocative del passato. Tre film, une finzione e due documentari, hanno coinvolto gli spettatori, come un’ombra del loro stesso divenire. “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino è la storia di un microcosmo edonistico estenuato, di un ambiente in lento disfacimento, di un fascino antico, ormai al tramonto. Il film si snoda intorno ai vagabondaggi del suo personaggio principale, uno scrittore giornalista, re delle feste mondane, nottambulo, fumatore incallito. Osservatore disincantato dello svanire dell’età, di un’epoca e dei personaggi che l’hanno popolata, Jep Gambardella è un uomo nel pieno di quella che lo scrittore Peter Handke avrebbe chiamato «infelicità senza desideri». Ma è un’infelicità quieta, non tragica: una constatazione, sovente cinica e divertita, della menzogna delle parole, dei corpi, dei luoghi destinati ad ospitarli. Roma è sullo sfondo, filmata come da tempo non si vedeva. La città respira col film, col suo protagonista che l’attraversa nella notte, nel crepuscolo, nei primi chiarori dell’alba. Sorrentino ha un’abilità straordinaria nel raccontare per frammenti, con scarti improvvisi di inquadrature e di sequenze, ciò che resta della «dolce vita». “La grande bellezza” insegue il sogno di Fellini, lo sfiora, lo spezza. La volgarità allegra e vitalistica degli anni ‘60 diventa qui il ghigno sardonico della morte in attesa. La frenesia della grande illusione di allora si è trasformata nel grande niente di oggi. Con “Le dernier des injustes”, Claude Lanzmann compie un passo indispensabile. L’autore di “Shoah” e di altri film che accompagnano il tortuoso cammino della comunità ebraica nel corso del ventesimo secolo, sceglie qui di rompere un silenzio durato quasi quarant’anni, riportando alla luce una lunga intervista al rabbino Benjamin Murmelstein, fatta a Roma nel 1975, e soprattutto la tragica epopea del ghetto di Terezin. Fatto di un lungo dialogo con quello che fu l’ultimo presidente del Consiglio ebraico, ma anche di importanti materiali di archivio e degli interventi dello stesso cineasta davanti alla macchina da presa, “Le dernier des injustes” racconta la grande menzogna dei nazisti che presentarono Terezin come la città donata da Hitler agli ebrei, filmandola come un luogo paradisiaco, quando invece era l’anticamera di una lunga agonia. Murmelstein, «il più anziano degli ebrei» come spregiativamente lo chiamavano i carnefici, mostra nelle sue parole una statura eccezionale. Il racconto della sua lunga lotta con Eichmann, allora incaricato della «soluzione finale», colpisce per la sua lucidità, per la sua precisione, per la sua saggezza. Murmelstein riuscì a fare emigrare 121 mila ebrei e ad evitare la liquidazione del ghetto. Lanzmann è stato – è ancora – un grande cineasta della testimonianza, della memoria. Vederlo sullo schermo ripercorrere i luoghi e i ricordi ci mette di fronte a una constatazione: ora che la Shoah è nella storia del mondo, coloro che l’hanno vissuta pian piano scompaiono. Murmelstein e Lanzmann ce ne consegnano le ultime tracce. Lavora sulla stessa materia, sullo stesso dolore, il cambogiano Rithy Panh. Il suo Paese, la sua gente, ha vissuto un altro genocidio, un’altra cancellazione. Testimone diretto della lenta distruzione di un popolo sulla base di un’aberrante ideologia di eguaglianza e purificazione, il cineasta ci consegna con “L’image manquante” il risultato di un lavoro eccezionale. Qui non ci sono vittime che ricordano, né materiali d’archivio che ci mostrino ciò che la vita era, prima. I Khmer rossi hanno proceduto a un’eliminazione sistematica non solo degli individui, ma della loro stessa memoria. La rieducazione prevedeva una tabula rasa. Allora, con una pazienza infinita, Rithy Panh cerca di dare corpo ai suoi ricordi, li ricostruisce con le mani, con un lento lavoro di artigiano. Il mondo sparito riprende forma negli spazi e nelle figurine di terracotta. L’esistenza felice dell’infanzia e l’orrore di ciò che venne dopo procedono nelle parole, nelle musiche, nei pochi frammenti di film rimasti, nelle immagini di propaganda. Curiosamente, i Khmer rossi presero il potere nel 1975, proprio quando Lanzmann a Roma raccoglieva la testimonianza di Murmelstein. Il cinema, i film, i festival, hanno talvolta la forza e il compito di una staffetta. Il testimone passa di mano in mano, da una memoria all’altra. La Storia sta dietro le spalle. Il presente avanza con la coscienza di un futuro difficile. (Da Cannes, Luciano Barisone)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 141

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