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Sommario del 19/05/2013
◊ Vincere la paura, rinunciare a schemi e sicurezze, per aprirsi agli orizzonti di Dio. E dire no a particolarismi, esclusivismi, cammini paralleli che portano divisioni. Così Papa Francesco nell’omelia della Messa di Pentecoste, celebrata questa mattina in una piazza San Pietro gremita dai pellegrini di movimenti, nuove comunità, associazioni, aggregazioni laicali di tutto il mondo, giunti a Roma in occasione dell’Anno della Fede. 70 tra cardinali e vescovi e 400 sacerdoti hanno concelebrato la liturgia. Il servizio di Roberta Gisotti:
Novità, armonia, missione: tre parole che esprimono l’azione dello Spirito Santo, che “sprigiona il suo dinamismo irresistibile, con esiti sorprendenti”. Così Papa Francesco riflettendo sulla “effusione dello Spirito Santo operata da Cristo risorto sulla sua Chiesa”.
“Un evento di grazia che ha riempito il cenacolo di Gerusalemme per espandersi al mondo intero”.
Gli apostoli nel Cenacolo a Gerusalemme “colpiti nella mente e nel cuore” da “segni precisi e concreti”, un fragore improvviso dal cielo, quasi un vento impetuoso e lingue infuocate che si posano su di loro, vengono colmati di Spirito Santo, cominciano a parlare alla folla, in altre lingue dalla loro, delle grandi opere di Dio. Tutti fanno un’esperienza nuova. Ma noi siamo pronti a questa novità?
“La novità ci fa sempre un po’ di paura, perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo, se siamo noi a costruire, a programmare, a progettare la nostra vita secondo i nostri schemi, le nostre sicurezze, i nostri gusti”.
“E questo avviene anche con Dio. - ha osservato il Papa - “Lo seguiamo, lo accogliamo ma fino a un certo punto; ci è difficile abbandonarci a Lui con piena fiducia, lasciando che sia lo Spirito Santo l’anima, la guida della nostra vita, in tutte le scelte”:
“Abbiamo paura che Dio ci faccia percorrere strade nuove, ci faccia uscire dal nostro orizzonte spesso limitato, chiuso, egoista, per aprirci ai suoi orizzonti”.
Ma “la novità che Dio porta nella nostra vita è ciò che veramente ci realizza, - ha ricordato Francesco - ciò che ci dona la vera gioia, la vera serenità, perché Dio ci ama e vuole solo il nostro bene”.
“Non è la novità per la novità, la ricerca del nuovo per superare la noia, come avviene spesso nel nostro tempo”.
Da qui l’interrogativo:
“Siamo aperti alle 'sorprese di Dio'? O ci chiudiamo, con paura, alla novità dello Spirito Santo? Siamo coraggiosi per andare per le nuove strade che la novità di Dio ci offre o ci difendiamo, chiusi in strutture caduche che hanno perso la capacità di accoglienza? Queste domande, ci farà bene, anche, farle durante tutta la giornata".
E se lo Spirito Santo sembra creare disordine nella Chiesa, portando diversità dei carismi, dei doni, tutto ciò “sotto la sua azione – ha spiegato il Papa - è una grande ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità”, ma armonia. Ma solo lui può operare in tal modo.
“Anche qui, quando siamo noi a voler fare la diversità e ci chiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, portiamo la divisione; e quando siamo noi a voler fare l’unità secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare l’uniformità, l’omologazione.”
“Il camminare insieme, guidati dai pastori, che hanno uno speciale carisma e ministero, è un segno dell’azione dello Spirito Santo”, ha ricordato Francesco ai fedeli dei movimenti e associazioni e comunità di tutto il mondo.
“E’ la Chiesa che mi porta Cristo e mi porta a Cristo; i cammini paralleli sono tanto pericolosi!”.
Quindi il monito: “Non ci si avventura oltre la dottrina e la Comunità ecclesiale”.
“Chiediamoci allora: sono aperto all’armonia dello Spirito Santo, superando ogni esclusivismo? Mi faccio guidare da Lui vivendo nella Chiesa e con la Chiesa?”.
E, lo Spirito Santo è anche “l’anima della missione”:
“Lo Spirito Santo ci fa entrare nel mistero del Dio vivente e ci salva dal pericolo di una Chiesa gnostica e di una Chiesa autoreferenziale, chiusa nel suo recinto”.
“La Pentecoste del Cenacolo di Gerusalemme è l’inizio, un inizio che si prolunga”, ha concluso Francesco con un ultima domanda:
“Chiediamoci se abbiamo la tendenza di chiuderci in noi stessi, nel nostro gruppo, o se lasciamo che lo Spirito Santo ci apra alla missione. Ricordiamo, oggi, queste tre parole: novità, armonia, missione".
◊ “Una rinnovata Pentecoste che ha trasformato Piazza San Pietro in un Cenacolo a cielo aperto”: con queste parole Papa Francesco ha commentato al Regina Coeli quella che ha definito la “festa della fede”, iniziata ieri con la Veglia e culminata stamani nell’Eucaristia. Il servizio di Fausta Speranza:
“Abbiamo rivissuto l’esperienza della Chiesa nascente”: così Papa Francesco sottolinea la bellezza dell’unità.
“Anche noi, nella varietà dei carismi, abbiamo sperimentato la bellezza dell’unità, di essere una cosa sola. E questo è opera dello Spirito Santo, che crea sempre nuovamente l’unità nella Chiesa”.
E il Papa ringrazia tutti i Movimenti, le Associazioni, le Comunità, le Aggregazioni ecclesiali:
“Siete un dono e una ricchezza per la Chiesa! Questo siete voi! Ringrazio, in modo particolare, tutti voi che siete venuti da Roma e da tante parti del mondo. Portate sempre la forza del Vangelo! Non abbiate paura. Abbiate sempre la gioia e la passione per la comunione nella Chiesa! Il Signore risorto sia sempre con voi e la Madonna vi protegga!”.
Poi il pensiero alle popolazioni dell’Emilia Romagna che il 20 maggio dell’anno scorso furono colpite dal terremoto. E una preghiera anche “per la Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia”. E il saluto a tutti:
"Fratelli e sorelle, grazie tante per il vostro amore alla Chiesa! Buona domenica, buona festa e buon pranzo!".
Tra i fedeli in Piazza: colpiti dall'incoraggiamento di Papa Francesco
◊ E anche questa domenica piazza san Pietro era gremita. Una folla particolarmente festante si è radunata per ascoltare le parole di Francesco, che durante l’omelia ha invitato più volte i fedeli ad affidarsi totalmente a Dio e allo Spirito Santo. Alcuni commenti raccolti in piazza da Marina Tomarro:
R. – Sicuramente fidandoci dello Spirito e del Maestro che sempre ci indica la strada. Sicuramente è una grande sfida con i nostri ragazzi, ma quello che cerchiamo di fare è proprio trasmettere l’amore di Cristo che ci spinge anche a superare tante sfide del giorno d’oggi.
R. – Senza paura, con coraggio, come dice il Santo Padre, e con pazienza. Perché i tempi di Dio non sono i nostri tempi, e quindi perseveranza nella preghiera: perché il Signore ci dice di pregare per ottenere i suoi doni e le sue grazie.
R. – Attraverso la preghiera, essere sempre guidati da Lui, riflettendo su ogni gesto che si compie durante la giornata, durante la vita, riflettendo su quello che ha fatto Gesù e cercando sempre di imitarlo anche attraverso piccoli gesti.
D. – Il Papa oggi vi ha chiesto più volte di essere nuovi evangelizzatori. In che modo rispondere al suo invito?
R. – Io posso dire principalmente per me: nel mio ambiente, cercando di testimoniare alle persone che ho più vicine, alla mia famiglia, ai miei colleghi di lavoro, a chi ho più prossimo. E poi, da lì allargarsi verso il mondo …
R. – Secondo me, il modo migliore per evangelizzare è sicuramente la testimonianza: la testimonianza nell’accoglienza. E’ saper aprire le porte a qualsiasi persona con qualsiasi difficoltà o situazione che abbia nella vita.
R. – Anzitutto, portare la parola di Cristo nelle nostre scuole e tra le nostre famiglie: siamo certi di potere dare risposte forti alle domande di senso che si portano nel cuore i giovani, soprattutto oggi.
R. – Sicuramente dobbiamo immergerci nell’invito che ci ha rivolto, anche perché noi dell’oratorio, specialmente, dobbiamo essere pronti ad aiutare i bambini, ad aiutare il prossimo ed a svolgere la nostra missione.
◊ Avere il coraggio della fede senza essere cristiani inamidati, costruire una cultura dell’incontro, aiutare il prossimo soprattutto le famiglie, il cui destino è più importante dei bilanci delle banche. Questo in sintesi quanto espresso da Papa Francesco nel discorso rivolto ieri sera alle circa 200 mila persone che hanno gremito Piazza San Pietro per partecipare alla Veglia di Pentecoste dedicata ai Movimenti, le nuove Comunità, le Associazioni e le Aggregazioni laicali. Forti anche le parole del Pontefice sulle persecuzioni contro i cristiani nel mondo: ci sono più martiri oggi - ha detto - che nei primi secoli della Chiesa. Il servizio di Adriana Masotti:
“Almeno 150 diverse realtà ecclesiali, realtà ben conosciute e radicate, ma anche nuove realtà sorte per la chiamata alla nuova evangelizzazione. Vengono da ogni parte del mondo e attestano il grande dono che lo Spirito Santo ha fatto alla Chiesa in questi cinquant’anni dall’inizio del Concilio”. E’ mons. Rino Fisichella, presidente del dicastero per la Nuova Evangelizzazione, a presentare al Papa la piazza “riempita, dice, all’inverosimile”. Ciò che ha spinto quanti sono qui, continua, “è ricercare la via più idonea e coerente per vivere e testimoniare il Vangelo nel mondo di oggi”.
Dell’impegno a vivere coerentemente il Vangelo avevano dato testimonianza poco prima aderenti a Rinnovamento nello Spirito, Movimento dei Focolari, Cellule parrocchiali di animazione, Nuovi orizzonti, Comunione e Liberazione, Neocatecumenali e Sant’Egidio. Parlano del superamento delle difficoltà all’interno della vita di coppia e di famiglia, del passaggio da una vita lontana dalla fede all’incontro con Cristo, dell’annuncio del Vangelo nel proprio ambiente di studio e di lavoro, dell’incontro con Gesù nei poveri. Saranno poi Paul Bhatti, fratello di Shahbaz Bhatti, ministro delle minoranze del governo pakistano, ucciso da estremisti islamici a 43 anni, e John Waters, scrittore e giornalista irlandese, passato da anni di lontananza alla fede, a raccontare di sé di fronte al Papa: “Sono molto grato a Papa Francesco per avermi dato l’opportunità di condividere, con tutti voi, i dolori e le speranze dei cristiani del Pakistan", esordisce Paul Bhatti:
“Nel mio Paese, i cristiani sono una piccola minoranza, molto povera. … Molte volte i cristiani sono soggetti a discriminazioni, e anche violenze. … Ma, come discepoli di Gesù, vogliamo essere uomini di pace, in dialogo con i nostri fratelli musulmani e delle altre religioni. Vogliamo testimoniare con l’amore e la misericordia la nostra fede in Gesù. E’ stata questa la testimonianza del mio fratello più giovane, Shahbaz Bhatti, che ha dato tutta la sua vita per il Vangelo”.
Per tutta la sua vita, racconta ancora, "nonostante le minacce mio fratello è stato fedele alla sua missione di essere vicino ai poveri, di testimoniare l’amore di Gesù nella società violenta del Pakistan, e le sue parole e i suoi gesti hanno dato coraggio ai cristiani pakistani". Ora tanti hanno raccolto la sua testimonianza e “vogliono continuare a testimoniare il Vangelo della mitezza, del dialogo, dell’amore per i nemici”.
“Questa è la storia della mia vita, una vita vissuta dentro la falsa realtà che l’uomo ha costruito per sentirsi sicuro”, dichiara John Waters raccontando come a lungo avesse creduto che Dio fosse incompatibile con la sua ricerca della libertà. Poi la scoperta di quanto una vita senza di Lui fosse insoddisfacente:
“La natura dell'uomo è una continua domanda. Tu e io siamo fatti di desiderio. Non siamo fatti per accontentarci di una soddisfazione timida e fiacca…Questo è il motivo per cui Gesù è venuto fra noi: per mostrarci tutto quello che la vita umana può essere”.
Aiutato da alcuni amici, conclude, Waters: “Ho imparato che il desiderio della Grandezza di Dio non era un bel concetto astratto, ma un fatto al centro della mia struttura e della mia natura … conoscere Cristo è conoscere me stesso, capire come sono fatto e diventare libero”.
Alle 17.30, l’arrivo di Papa Francesco nella piazza. Per mezz’ora percorre con la jeep bianca scoperta tutti i settori stracolmi e parte di via della Conciliazione. Poi, salito sul sagrato, il momento tanto atteso del dialogo tra lui e le migliaia di persone presenti. Non un intervento scritto, ma la risposta a braccio a quattro domande.
Alla prima: “Come ha potuto raggiungere Lei nella Sua vita la certezza sulla fede?”, il Papa risponde:
“Ho ricevuto il primo annuncio cristiano proprio dalla mia nonna, no?, è bellissimo, quello! Il primo annuncio in casa, con la famiglia. E questo mi fa pensare all’amore di tante mamme e tante nonne, nella trasmissione della fede. Noi non troviamo la fede un po’ nell’astratto, no: sempre è una persona che predica, che ci dice chi è Gesù, ti da la fede, ti da il primo annuncio... E questa esperienza della fede è importante. Noi diciamo che dobbiamo cercare Dio, andare da Lui a chiedere perdono … ma quando noi andiamo, Lui ci aspetta, Lui è prima! …. Voi parlavate della fragilità della fede: come si fa per vincerla. Il nemico più grande che ha la fragilità, è curioso, eh?, è la paura. Ma non abbiate paura! Siamo fragili, ma lo sappiamo. Ma Lui è più forte!
Come possiamo comunicare in modo efficace la fede oggi? E’ la seconda domanda:
"Dirò tre parole soltanto. Primo: Gesù. Chi è la cosa più importante? Gesù. Se noi andiamo avanti con l'organizzazione, con altre cose, con belle cose, pure, ma senza Gesù, non andiamo, la cosa non va. La seconda parola è la preghiera. Guardare il volto di Dio, ma soprattutto, e questo è collegato con quello che ho detto prima, sentirsi guardati. Quando Lui ci guarda, ci da forza. Siamo veri evangelizzatori lasciandoci guidare da Lui. E terzo, la testimonianza".
Alla domanda: “Come possiamo vivere una Chiesa povera e per i poveri? Quale contributo possiamo dare per affrontare la grave crisi di oggi? Papa Francesco risponde che vivere il Vangelo è il primo contributo che possiamo dare, e poi continua:
"La Chiesa non è un movimento politico, né una struttura ben organizzata: non è quello. Noi non siamo una ong, e quando la Chiesa diventa una ong perde il sale, non ha sapore, è soltanto una vuota organizzazione".
"Confessare la fede: tanti nostri fratelli soffrono a causa di essa. Vorrei fare di più: ma che cosa?". A quest'ultima domanda, il Papa invita tutti ad avere il coraggio che viene da Dio, per annunciare il Vangelo, e la pazienza per sopportare le difficoltà, e conclude:
"Loro soffrono, e ci sono più martiri oggi, che nei primi secoli della Chiesa. Più martiri. Fratelli e sorelle nostri. Soffrono. Ma il martirio non è mai una sconfitta: il martirio è il grado più alto della testimonianza che noi dobbiamo dare. E anche noi, questa esperienza ci deve portare a promuovere la libertà religiosa, per tutti, per tutti: ogni uomo e ogni donna deve essere libero nella sua confessione religiosa, qualsiasi sia".
Il cardinale Bertone ha ordinato l’arcivescovo Josè Rodriguez Carballo
◊ Francesco d’Assisi raccomandava ai suoi discepoli di vivere il Vangelo e di diventare a loro volta ''Vangelo vivente''. Come religioso, padre Josè Rodriguez Carballo, già ministro generale dei frati minori, ha accolto e fatto proprio questo invito. Ora, come arcivescovo segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, è chiamato a lasciarsi penetrare ancor più dal Vangelo e a trasformarsi in “esegesi vivente della Parola”. E' quanto ha affermato il segretario di Stato Vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone, conferendo ieri l’ordinazione episcopale al nuovo segretario del dicastero per i religiosi, nella Basilica cattedrale di san Giacomo il maggiore di Santiago di Compostela. Secondo quanto riporta l’Osservatore Romano, il porporato ha chiesto in particolare al nuovo arcivescovo di impegnarsi affinché i consacrati, “in fedeltà creativa a Gesù, al proprio carisma e all'uomo di oggi, possano continuare a scrivere una grande storia nella vita della Chiesa e al servizio dell'umanità''. In ogni momento – ha proseguito il cardinale Bertone - “incoraggia la vita religiosa e consacrata a passare dal buono al meglio, guardando al passato con gratitudine, aprendosi al futuro con speranza e vivendo il presente con entusiasmo”. In seguito il porporato ha proposto i tre tratti caratteristici del vescovo: la fedeltà, la prudenza e la bontà. E in fine ha ricordato a grandi linee le tappe fondamentali della vita del nuovo presule, il quale, al termine del Te Deum, ha ringraziato i presenti e letto una lettera autografa di Papa Francesco.
◊ Nel 2012, più di 60 milioni di lavoratori provenienti dal continente asiatico hanno spedito a casa più di 260 miliardi di dollari. Nei Paesi in via di sviluppo arriva ben oltre la metà del totale di tutte le rimesse degli emigrati del mondo. È quanto emerge dal Rapporto che l’Ifad presenterà al Forum globale sulle Rimesse che inizia domani a Bangkok, con la partecipazione della Banca Mondiale e l’International Association of Money Transfer Networks. L’IFAD, che dal 1978 ha investito circa 14 miliardi di dollari in donazioni e prestiti a tassi agevolati per finanziare progetti nei Paesi in via di sviluppo, chiede attenzione per queste risorse e misure concrete come il taglio dei costi per l’invio del denaro perché le rimesse dei migranti non siano un business per agenzie internazionali ma vadano davvero tutte a favore delle popolazioni. Di questo flusso di denaro che interessa in particolare l’Asia, Fausta Speranza ha parlato con Pedro De Vasconcelos, coordinatore dei programmi sulle rimesse dell’Ifad, Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo:
R. – 450 billion dollars that are going to developing Countries worldwide …
Sono 450 miliardi di dollari che vanno nei Paesi in via di sviluppo da tutto il mondo, e nel caso particolare dell’Asia parliamo di 260 miliardi di dollari di rimesse. E’ il più grande flusso e corrisponde al 63 per cento del flusso mondiale delle rimesse. Vediamo, ad esempio, che nove Paesi in Asia hanno un prodotto interno lordo nel quale il flusso delle rimesse corrisponde ad oltre il 10 per cento del Pil, fino a raggiungere, in alcuni casi, un picco del 50 per cento, come è il caso del Tagikistan. E c’è da dire che quasi il 40 per cento, in alcuni casi di più, va alle zone rurali: si tratta di povera gente che riceve 200, 300 dollari tutti insieme dalle famiglie che sono all’estero … L’impatto che questo produce sulla vita quotidiana di queste persone è immenso! In molti casi, oltre l’80 per cento di questi importi è destinato al cibo, all’abitazione, al vestiario: tutte queste necessità di fondo che sono imperative. Un po’ di quel che rimane viene investito nell’agricoltura, nelle fattorie, nei villaggi e così via. Pagano sempre tanto, ed è molto difficile ricevere il denaro nelle zone rurali. Se riuscissimo a ridurre i costi delle rimesse, avremmo già fatto molto.
D. – Cosa fare, quindi?
R. – Give them more options to use these funds; more options that actually push …
Dare loro più opzioni per l’uso di questi fondi; dare loro opzioni diverse da quelle che spingono i migranti ad andare via, ad andare nelle zone urbane e in alcuni casi addirittura a lasciare il Paese ed andare all’estero. Se si creassero, nei Paesi d’origine, le condizioni per cui non fosse necessario emigrare, questo sarebbe il risultato migliore ottenibile. Quindi, come fare perché le rimesse producano questo effetto è – credo – il nocciolo della questione.
D. – Quindi, parliamo delle politiche dei governi, del ruolo delle banche, delle prospettive di investimento per queste persone …
R. – Absolutely! As you can see, it’s a multisectoral approach. It’s not just …
Certamente. Come lei vede, si tratta di un approccio multisettoriale. Non si tratta soltanto di prezzi al mercato, nemmeno soltanto della volontà dei migranti di investire: è una combinazione di tutto questo. Io credo che questo sia ben rappresentato nel forum globale sulle rimesse, che si svolgerà la settimana prossima. Sarà rappresentato il settore pubblico, la società civile e il settore privato, tutti insieme con lo scopo di cercare strade per migliorare, in questo caso specifico, il mercato delle rimesse verso l’Asia e per garantire il massimo valore alle rimesse che vengono fatte ogni anno.
D. – Per quanto riguarda la crisi, cosa emerge dal Rapporto?
R. – Regarding the crisis actually in Asia, we see that they were not affected that …
Per quanto riguarda la crisi in Asia, abbiamo potuto constatare che il settore non è stato toccato eccessivamente. I soldi sono cruciali per chi riceve: questo è quelo che pensa chi manda i soldi a casa. E dunque l’assorbimento dello shock della crisi è avvenuto a livello delle famiglie che inviano il denaro. Loro vivono con il meno possibile per garantire alle loro famiglie di ricevere di più. E questo nel massimo sacrificio che stanno compiendo, che è quello di lasciare a casa i loro cari, venire per cercare di avere una vita migliore, per essere in grado di mandare denaro a casa. Quindi, in effetti la crisi in quella particolare zona del mondo non è stata sentita tanto quanto magari in altre aree. Ma ovunque si tratta dello stesso fenomeno mondiale: in tutta la crisi finanziaria alla quale abbiamo assistito negli anni – nel mondo, in Europa – abbiamo visto che il flusso delle rimesse può scendere fino al 10 per cento, ma poi si riprende, perché la necessità, a casa, c’è veramente.
In due volumi per bambini, la testimonianza di don Puglisi presto Beato
◊ Talvolta occorre parlare il linguaggio dei bambini per comunicare in maniera diretta e far arrivare messaggi di fede e di speranza ai cuori degli uomini. E’ così che nasce l’idea di due autori siciliani di ripercorrere la vita, la testimonianza, la missione di don Pino Puglisi, parroco palermitano ucciso dalla mafia nel 1993, attraverso due volumi dedicati ai più piccoli. I testi, editi dalla casa editrice “Pozzo di Giacobbe - Di Girolamo Editore”, sono stati presentati nei giorni scorsi in vista della beatificazione, il 25 maggio a Palermo, di don Puglisi, martire della mafia. Gea Finelli ha intervistato Lilli Genco, coautrice insieme ad Augusto Cavadi dei due volumi:
R. - Don Pino Puglisi ha dedicato tutta la sua vita ai giovani, ai ragazzi, ai bambini, che ha cercato di educare alla fraternità e alla legalità per esempio creando per loro a Brancaccio il centro “Padre nostro”. Ha lavorato nel Centro diocesano vocazioni e come educatore nel seminario vescovile. Ha aiutato centinaia di giovani a dare un senso alla propria vita, a riscoprirsi figli di Dio, a trovare il proprio posto nel mondo e nella Chiesa. Quindi non si poteva non dedicare proprio ai giovani, ai ragazzi, ai bambini, pubblicazioni che raccontassero la vita, la testimonianza, l’eredità di don Pino Puglisi.
D. - Puglisi, attraverso la sua attività pastorale, mirava a restituire ai bambini l’infanzia talvolta perduta ed in generale alla gente la dignità e la speranza…
R. – Sì, è proprio questo il messaggio dirompente della santità di don Pino Puglisi. Don Pino Puglisi in fondo è un prete, non è certamente soltanto un operatore sociale o un’icona dell’antimafia. E’ un prete che ha riacceso questa scintilla dell’amore di Dio nei giovani soprattutto nei poveri, in chi era sfiduciato, in chi pensava che non ci fosse un futuro.
D. - Padre Puglisi è stato brutalmente ucciso dalla mafia con due colpi di pistola alla nuca ma lascia a tutti noi la certezza che chi ama è strumento efficace dell’amore di Dio e della sua capacità di salvezza. Cosa ne è oggi di questo progetto?
R. – Don Pino Puglisi aveva scritto sul ricordo che aveva lasciato ai suoi famigliari e ai suoi amici, il giorno della sua ordinazione: “Signore fa che io sia uno strumento valido nelle tue mani per la salvezza del mondo”. In fondo don Pino ci lascia questo. Ma la sua fama è cresciuta soprattutto dopo la sua morte, con il suo martirio, che ha lasciato un segno incancellabile non solo nella Chiesa ma in tutta la società siciliana.
D. – Molti mafiosi nel corso delle loro vite hanno mostrato, indossato, simboli di fede cristiana. Il martirio di don Puglisi ha il merito anche di mettere fine all’ipocrisia del comportamento e a mostrare tutta l’inconciliabilità tra la vita cristiana e la mentalità mafiosa?
R. – Il fatto che la Chiesa ha riconosciuto il martirio di don Puglisi, e in odium fidei, in qualche maniera segna sì uno spartiacque. La mafia è incompatibile con il Vangelo, ce lo avevano detto i documenti, ma adesso è il sangue di don Pino Puglisi che ce lo grida. Nessun mafioso potrà mai più usare Bibbie sul comodino, santini, per dirsi cristiano ma nemmeno nessun cattolico potrà più far finta di niente o essere connivente con la mafia. Nessun prete potrà più accettare soldi, regalie e denaro di mafiosi anche se servissero per le attività pastorali.
In questo senso davvero è lo spartiacque.
D. - Voi come autori in questi testi avete spiegato efficacemente a bambini dai 5 agli 8 anni cosa è la mafia. Un compito davvero difficile…
R. - Speriamo di esserci riusciti perché non è semplice spiegare cosa è la mafia. Spesso si fanno tanti incontri sulla legalità nelle scuole, ma a volte non sono efficaci. In questo caso bisogna parlare un linguaggio che parte dalla vita e noi abbiamo cercato di spiegarla partendo anche dai piccoli atteggiamenti, dai piccoli gesti. Abbiamo spiegato la mafia come un’organizzazione criminale di persone prepotenti, cattive, che cercano di dominare le persone anche a costo di ucciderle. Il contrario della mafia è proprio la libertà, la legalità intesa come libertà: la libertà dei figli di Dio, quella che insegnava don Pino Puglisi.
La “Festa dei popoli” a Roma: quest’anno coincide con la Pentecoste
◊ A Roma la “Festa dei Popoli”, manifestazione alla quale prendono parte numerose comunità etniche presenti nella Capitale, che quest’anno coincide con la Pentecoste. La festa, organizzata dai missionari Scalabrini, dall’ufficio Migrantes di Roma, dalla Caritas diocesana e dalle comunità etniche della Capitale, sarà ospitata per tutta la giornata nel piazzale antistante San Giovanni in Laterano. Al microfono di Elisa Sartarelli, padre Gaetano Saracino, missionario scalabrino, ci parla della “Festa dei popoli”.
R. – E’ nata 22 anni fa per l’incontro delle comunità etniche presenti qui a Roma, organizzate in centri pastorali o associazioni. Nasce in seno alla comunità cattolica di Roma, per la vitalità del carisma dei missionari scalabriniani, condiviso dalla diocesi sin dal 1999 con l’Ufficio Migrantes ed esteso pertanto a tutte le comunità che fanno capo alla diocesi, viventi qui a Roma non nate a Roma. Tuttavia, la festa è diventata, e non poteva essere altrimenti, una festa della città, delle comunità etniche presenti in tutta la città di Roma. Avremo quindi in piazza oltre 150 etnie, che vivono nella nostra città. Per loro e con loro è realizzata la Festa dei Popoli, dalle 9 del mattino alle 9 della sera.
D. – Che significato ha il tema di quest’anno “Incontro che cambia”?
R. – Cambiare. In 22 anni sarebbe anche giusto che la festa si evolvesse e cambiasse. E’ nata come una messa in rete di alcune piccole comunità - eravamo 300 persone alla prima edizione - e si è sviluppata come una festa che andava ad invitare le persone, diventando essa stessa il luogo delle reti fra gli immigrati, delle situazioni che si occupano degli immigrati. A cambiare, però, non è solo la festa: cambia anche chi viene alla festa. Questo è bello, soprattutto perché, nella solennità della Pentecoste, a cambiare non è certo lo Spirito Santo, ma coloro che lo ricevono. Di Pentecoste, nella Festa dei Popoli, ce n’è davvero tanta.
D. – Quest’anno alle coreografie previste parteciperanno anche dei bambini...
R. – Inevitabile anche questo. Stanno arrivando le seconde generazioni. Chi non se n’è accorto? Sui bambini nati qua, se ne fa un dibattito politico, che lasciamo a quelle sedi. Tuttavia queste presenze sono qui e dicono la loro. Parlano romanesco, ma parlano anche la lingua dei loro genitori. Vivono la cultura dei loro genitori e quindi si esprimono, ad esempio, con il folklore dei loro genitori. Vedremo filippini di seconda generazione esprimersi, vedremo indonesiani esprimersi in un balletto sul sagrato, allestito proprio per il momento folklorico del pomeriggio, dalle 15 sino alle ore 20. Tuttavia, vedremo anche una scuola di Roma, del quartiere Talenti, che ha dei ragazzi che non sono nati a Roma, ma che vanno a scuola con i nostri figli e che hanno messo su un’orchestra. In quest’orchestra ci sono filippini ed altro e suoneranno per la nostra città. La Festa dei Popoli, dunque, sta davvero cambiando: non solo è rivolta agli immigrati, ma è rivolta anche agli autoctoni, tra i quali ci sono gli immigrati.
D. – Ci sono anche delle novità relative ai nuovi media, come YouTube...
R. – Abbiamo un canale Youtube, che tutto il giorno trasmetterà l’evento: un live streaming, così lo chiamano i tecnici. Il canale è Giovanni Battista Scalabrini. Lì si trova la rassegna della Festa che, com’è noto, si vede in tutto il pianeta, perché è in rete, in Internet. Dove c’è un accesso si può stare a Piazza San Giovanni. La Festa si evolve anche con gli strumenti di comunicazione.
Dalla “Pacem in terris” di 50 anni fa, un appello più che attuale
◊ La Pacem in terris, di cui quest’anno ricorre il 50mo anniversario della pubblicazione, ha rappresentato una risposta al bisogno di pace presente nell’animo umano. È una delle riflessioni emerse al convegno che si è svolto ieri nella sede della rivista “La civiltà cattolica”. Al microfono di Davide Maggiore, il prof. Roberto Morozzo della Rocca, docente di Storia contemporanea all’università di Roma Tre, si è soffermato sugli elementi di attualità di questa enciclica:
R. – Ci sono anche oggi i segni dei tempi. Papa Giovanni intendeva i segni dei tempi come elementi di speranza nella Storia, e anche oggi ci sono elementi di speranza. La speranza è il fondamento della nostra vita cristiana. Oggi i segni dei tempi potrebbero essere l’unificazione del mondo, potrebbero essere le tante persone di buona volontà che anche oggi operano …
D. – Il riferimento alle persone di buona volontà è un altro dei punti storici della Pacem in terris: è la prima volta che un Pontefice si rivolge anche agli uomini di buona volontà …
R. – Si, esattamente. E’ l’enciclica più famosa del Novecento e più diffusa in tutto il mondo, proprio perché ha questa apertura universale: non si rivolge solo ai cattolici ma si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà, quindi a tutta l’umanità.
D. – Qual è il significato e la portata storica di questo appello?
R. – E’ l’appello alla collaborazione per dei buoni fini. Di fronte ai problemi della guerra, che erano quelli che affrontava Giovanni XXIII nell’enciclica, c’era il problema di collaborare tra persone di cultura, di origine, di ideologie differenti. Quindi, l’appello agli uomini di buona volontà è l’appello ad una collaborazione per fini comuni per il bene comune.
D. – La lettera enciclica Pacem in terris è anche un invito a scoprire la comune umanità. Attraverso quali strumenti credenti e non credenti possono fare questo?
R. – Io credo che Papa Giovanni intendesse la comune umanità impegnata per il bene comune, cioè ciò che univa e non ciò che divideva. Gli strumenti sono il dialogo, il colloquio, l’incontro … Non sono i momenti della politica formale, ma sono soprattutto l’incontro umano intorno a ciò che unisce, secondo la famosa espressione: bisogna cercare ciò che unisce e non ciò che divide.
D. – Elemento importantissimo della Pacem in terris è quello che potremmo definire dell’ineluttabilità della pace, del vedere la pace come il destino comune dell’umanità …
R. – Papa Giovanni aveva una visione ottimista della Storia, e quindi vedeva che la storia muoveva verso un ordine positivo – per grazia del Signore, evidentemente. Quindi lui immaginava un’umanità che andasse verso la pace, che è il primo bene che noi possediamo.
Siria: le forze di Assad in campo per la ripresa di Qusseir, almeno 13 morti
◊ In Siria raid aereo sulla città di Qusseir, nel centro del Paese. Almeno 13 le vittime secondo fonti umanitarie, che parlano anche di incursioni via terra con l’appoggio di miliziani di Hezbollah libanesi. E secondo il Sunday Times, Damasco ha spostato le proprie batterie di missili Tishreen puntandole contro Tel Aviv e avverte Israele: colpiremo in caso di un nuovo raid in territorio siriano. A livello diplomatico anche l’Iran ha minacciato Israele di aprire il fronte di guerra delle Alture del Golan, mentre il presidente Assad – che ha detto di non avere notizie sulla sorte del giornalista italiano, Domenico Quirico - è tornato ad escludere la sua uscita di scena. La Russia, invece, è impegnata in una serie di incontri diplomatici in vista della Conferenza Internazionale sulla Siria in programma a giugno a Ginevra. Mosca, però, conferma anche la fornitura di armamenti a Damasco in chiave anti-israeliana.
Nigeria: offensiva dell’esercito contro Boko Haram, coprifuoco e 60 morti
◊ In Nigeria coprifuoco di 24 ore nella città nord orientale di Maiduguri. La misura, imposta ieri dai militari, riguarda le aree considerate sotto il controllo dei miliziani della setta Boko Haram protagonista, da oltre un decennio, di stragi di civili e di sanguinosi attentati anche ai danni delle chiese cristiane. La decisione si inserisce nell’ambito di un’offensiva anti terrorismo, scattata oltre 48 ore fa, che fino ad ora ha provocato almeno una sessantina di morti. Forte preoccupazione è stata espressa dagli Stati Uniti che chiedono il rispetto dei diritti umani.
Tensione in Tunisia dopo il divieto del raduno nazionale dei salafiti
◊ Sale la tensione in Tunisia dopo che il ministero dell’Interno ha vietato il raduno nazionale dei salafiti di Ansar al Sharia, previsto per oggi a Kairouan. Nella cittadina sono stati schierati 11 mila uomini per garantire l’ordine. Le forze di sicurezza – in stato di allerta in tutto il paese - sono intervenute in modo massiccio per disperdere decine di manifestanti al confine nord della Grande Tunisi. Il primo ministro Ali Laarayedh, ha accusato apertamente il movimento salafita di essere legato con i terroristi islamici. Arrestato il portavoce del gruppo che in questi giorni aveva avanzato pesanti critiche contro le istituzioni.
Pakistan: uccisa a Karachi la vicepresidente del secondo partito del Paese
◊ Uccisa a Karachi, in Pakistan, Zahra Shahid Hussain, vicepresidente del Movimento per la giustizia (Pti), il partito guidato dall’ex campione di cricket, Imran Khan, che alle recenti elezioni è stata la seconda forza per numero di voti. Secondo una prima ricostruzione fornita dalla stampa locale, la sessantenne è stata uccisa da alcuni colpi di pistola durante un tentativo di rapina da parte di un gruppo di uomini armati. L’episodio è avvenuto ieri sera davanti alla residenza della leader.
Ban Ki-Moon: “una provocazione” i nuovi lanci di missili della Corea del Nord
◊ “Una provocazione”. Così il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon ha definito il lancio da parte della Corea del Nord di tre missili a corto raggio avvenuto ieri. Il numero uno del Palazzo di Vetro, in un’intervista all’agenzia russa Ria Novosti, ha espresso preoccupazione sull’accaduto lanciando un appello a Pyongyang a non effettuare altri lanci e a riprendere i colloqui sul nucleare. Dopo l’incontro di ieri a Soci con il presidente russo Putin, Ban ha esortato il Cremlino ad utilizzare “i suoi contatti per abbassare la tensione e rafforzare il dialogo con la Corea del Nord”.
Croazia al voto per le amministrative, governo nazionale socialdemocratico alla prova
◊ Urne aperte in Croazia per le elezioni amministrative. Si vota per il rinnovo dei 555 consigli comunali e 21 provinciali e per l’elezione diretta di altrettanti sindaci e presidenti di provincia. La tornata, che si tiene a 40 giorni dall'ingresso del Paese nell’Ue, viene considerata anche un importante test nazionale sulla tenuta del governo socialdemocratico (Sdp) del primo ministro Zoran Milanovic, alle prese con una recessione che dura da quattro anni. I seggi chiuderanno alle 19. Subito dopo saranno note le prime proiezioni per le maggiori città. Nella capitale Zagabria, favorito il sindaco uscente Milan Bandic, in carica dal 2000, prima come socialdemocratico e ora indipendente. A Spalato, capoluogo della Dalmazia, si prevede un testa a testa tra il candidato dell’Sdp e quello dell'Unione democratica croata (Hdz, conservatori). A Fiume, invece, secondo i sondaggi, saranno riconfermati i socialdemocratici al governo della città adriatica dal 1990.
Gmg Rio 2013. Prima dell’evento un’occasione d’incontro per ebrei, cattolici e musulmani
◊ Due giorni prima dell’inizio ufficiale della Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro (23-28 luglio prossimi) circa 200 giovani ebrei, cattolici e musulmani s’incontreranno nella città brasiliana per presentarsi reciprocamente e proporre azioni concrete di dialogo interreligioso. L’evento – riporta il Sir – si svolgerà, dunque, il 21 luglio grazie al Comitato organizzatore della Gmg che lo definisce “inedito nella storia” e rientra nel vasto calendario di iniziative della Giornata, come quello ecumenico che dovrebbe riunire i giovani delle Chiese cristiane nella cattedrale anglicana di Rio sempre nei giorni della Gmg. Ogni delegazione illustrerà, con l’ausilio di video, la propria religione e gli sforzi che intende mettere in campo per la tolleranza e la riconciliazione. L’iniziativa è nata sull’onda di un appuntamento che mensilmente si rinnova a Rio, “dove musulmani, ebrei e cattolici cercano di promuovere il rispetto e la comprensione reciproca”. “per noi è un onre partecipare alla Gmg – hanno detto alcuni leader musulmani – sarebbe la nostra prima volta; è un evento religioso che passerà alla storia”. (R.B.)
A Roma il 15 e 16 giugno la Giornata Evangelium Vitae
◊ “Credendo abbiamo la vita”: è questo il tema scelto per la prossima Giornata della Evangelium Vitae, (l’Enciclica scritta da Giovanni Paolo II nel 1995 sul valore e l’inviolabilità della vita umana ndr.) che porterà il 15 e 16 giugno prossimi i disabili, i malati e gli agenti della Pastorale della salute di tutto il mondo a Roma, per uno speciale pellegrinaggio indetto nell’Anno della Fede. L’evento è organizzato dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione in collaborazione con il Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari e con altre realtà associative che lavorano nell’ambito della Pastorale della Salute. Si tratta di “una preziosa opportunità per rinnovare la fede in Nostro Signore Gesù e nell’Evangelium Vitae, così ben esplicitato nell’omonima Lettera enciclica – ha spiegato l’arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Dicastero Pro Valetudinis – sulla tomba dell’Apostolo Pietro e in adesione al suo successore alla guida della Chiesa, Papa Francesco, che la mattina del 16 giugno presiederà una solenne liturgia eucaristica in piazza San Pietro”. (R.B.)
India. A ottobre il congresso dei catechisti laici dell’Orissa
◊ Un grande congresso per riunire tutti i catechisti dell’Orissa è stato indetto dai vescovi locali in occasione dell’Anno della Fede e si svolgerà in ottobre a Cuttack, secondo quanto riporta la Fides. “Sarà un evento significativo per apprezzare il ruolo prezioso che i nostri catechisti svolgono nella trasmissione della fede e nell’opera di formazione delle coscienze”, spiega l’arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, mons. John Barwa. Al congresso, incentrato sull’approfondimento del ruolo dei catechisti laici come agenti dell’evangelizzazione, si prevede ne parteciperanno circa 400, provenienti da tutte e cinque le diocesi in cui è diviso lo Stato. L’evento mira, innanzitutto, a far conoscere tra loro i catechisti e a ringraziarli per il lavoro svolto finora, ma anche a promuoverne l’unità d’azione: previste, infatti, sessioni dedicate alle tecniche e agli strumenti adatti ad affrontare le sfide che la società di oggi pone alla Chiesa. Infine, come rivela il segretario della Commissione catechistica regionale, padre Francis Kannampuzha, nel corso del congresso saranno premiati anche alcuni catechisti laici. (R.B.)
A giugno visita del card. Tauran in Inghilterra per promuovere il dialogo interreligioso
◊ Dal 12 al 16 giugno prossimi il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, sarà in Inghilterra per una visita che intende “affermare e rafforzare le buone relazioni interreligiose in questo Paese”. A darne notizia attraverso l’agenzia Sir è la Conferenza episcopale locale che attraverso mons. Kevin Mc Donald, vescovo cattolico con la responsabilità per il dialogo interreligioso in Inghilterra e Galles, esprime soddisfazione per “un’occasione unica per il dialogo interreligioso, sia per rafforzare i buoni rapporti già esistenti, sia per allargare queste amicizie ancora più ampiamente”. Un altro obiettivo indicato dai presuli è quello di “dimostrare che l’amicizia tra le religioni è di per sé un presupposto per la costruzione della pace” come disse Benedetto XVI nel suo discorso alla Curia del Natale 2012: “Nella situazione attuale dell’umanità il dialogo tra le religioni è una condizione necessaria per la pace nel mondo e dunque un dovere per i cristiani e per le altre comunità religiose”. Come da programma, il cardinale Tauran farà visita alla comunità Sikh Guri Nanak Nishkam Sevak Jatha a Birmingham, al tempio giainista Derasar Jain presso il Centro Oshwal a Potters Bar, e al primo tempio tradizionale Hindu d’Europa, il Baps Shri Swaminarayan Mandir che sorge a Neasden, a nord di Londra. Infine, il porporato prenderà parte anche a un incontro intitolato “Insieme in preghiera per la pace” che avrà luogo il 13 giugno nella Westminster Cathedral Hall. (R.B.)
Sentimenti a rappresentare la società: entra nel vivo la 66esima edizione del festival di Cannes
◊ Arrivato al suo quarto giorno, il 66.mo festival di Cannes incomincia a prendere una sua precisa fisionomia. Dopo un inizio in cui i film, attraverso la rappresentazione delle azioni umane, arrivavano a rivelare l’intima struttura della società, improvvisamente sugli schermi della Croisette sono esplosi i sentimenti, in primo luogo l’amore, inteso come chimica elementare dei corpi e dello spirito. L’esplorazione delle dinamiche interiori è parte integrante di due opere importanti come “Jimmy P. (Psychotherapy of a Plains Indian)” di Arnaud Desplechin e “Inside Llewyn Davis” di Ethan e Joel Coen. Il primo è la cronaca del trattamento psicoanalitico applicato a un indiano d’America da parte di un antropologo francese, il secondo la storia agrodolce di un cantante folk degli anni Sessanta. Facendo duettare in maniera convincente due grandi attori come Benicio Del Toro e Mathieu Amalric, Desplechin ci introduce con uno sguardo nuovo in un mondo sconosciuto, quello delle culture ancestrali dei pellerossa. I due cineasti americani tratteggiano con qualche sorriso e molta tristezza la parabola di un fallimento umano e professionale. L’amore sta invece al centro di due film straordinari, come “Le passé” di Asghar Farhadi e “Like Father, Like Son” di Kore-eda Hirokazu. Il primo ne fa una precisa anatomia, attraverso il racconto avvincente e complesso della fine di un matrimonio. Lui arriva da Teheran a Parigi per firmare il suo consenso al divorzio. Lei lo aspetta come una vecchia conoscente, insieme ai figli di un precedente marito, al bimbo del suo attuale compagno e quello che porta in grembo. La cosa sembra fatta di lì a breve. Ma il peso dei sentimenti e l’irresistibile forza del passato renderanno tutto molto più difficile. Utilizzando un dispositivo già adottato in due film come “About Elly” e “Una separazione” - un teatro da camera basato sul pedinamento dei corpi - il cineasta iraniano mette in scena una sorta di investigazione dove il colpevole non esiste e tutti sono vittime, vittime delle aspettative, dei desideri delusi, delle ferite dell’anima. In una «no man’s land» geografica - Parigi è là ma si scorge appena - i personaggi sono perduti nella colpa, nel rancore, nella paura, nel dolore. Alla fine, tutto sta ancora nei dettagli, nei minimi gesti di umanità e di speranza, ben più forti delle parole, del non detto, dei torti, delle ragioni. La vita vince sempre, anche se non ci rivela mai i suoi perché. Una domanda percorre invece “Like Father, Like Son” di Kore-eda Hirokazu. Dove nasce l'amore? Dal sangue o dalla consuetudine? Il film racconta in maniera romanzata un fatto di cronaca. Un architetto, arrivista e benestante, scopre che il figlio che sta preparando in maniera pressoché scientifica a una carriera luminosa, non è il suo. Sei anni prima nella clinica dove è nato c’è stato uno scambio di neonati. Individuata la coppia coinvolta nello scambio – una coppia di modesta estrazione sociale dove regna il piacere di stare insieme - una scelta s’impone: rimettere le cose a posto, privilegiando il legame di sangue, o lasciare tutto come sta, assecondando un sentimento che si è creato negli anni? Una tale storia è per il regista giapponese l’occasione di una prospezione in profondità nella cultura in mutazione del suo Paese e dei sentimenti che la agitano. Fra perdenti e vincenti del nuovo corso dell’ordine mondiale, il cineasta sceglie l’umanità degli umili e dei sognatori contro l’arroganza delle nuove classi dirigenti. Lo fa non con proclami urlati, ma passando attraverso lo sguardo muto dei bambini. In fondo, anche una semplice fotografia scattata da un figlio può curare le ferite dell’anima. (Da Cannes, Luciano Barisone)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 139