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Sommario del 16/05/2013
Il Papa: l’etica dà fastidio a chi adora il denaro, non condividere i beni con i poveri è derubarli
◊ I pochi ricchi diventano sempre più ricchi mentre la maggioranza si indebolisce: è la denuncia di Papa Francesco nel discorso agli ambasciatori non residenti presso la Santa Sede, di Kyrgyzstan, Antigua e Barbuda, il Gran Ducato di Lussemburgo e il Botswana, incontrati stamane. Papa Francesco denuncia quelle che definisce “le deformità dell’economia e della finanza”. Parla di crisi antropologica all’origine della crisi, di solidarietà e etica dimenticate. Il servizio di Fausta Speranza:
L’uomo ridotto a una sola esigenza: il consumo. E’ una delle “deformità” della società attuale denunciate da Papa Francesco:
“L’essere umano è considerato egli stesso come un bene di consumo che si può usare e poi gettare. Abbiamo incominciato una cultura dello scarto”.
Ricorda che il reddito di una minoranza cresce in maniera esponenziale, quello della maggioranza si indebolisce. E denuncia chiaramente: le “ideologie che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria”. Denuncia “la corruzione tentacolare”, “l’evasione fiscale egoista”. Denuncia “l’indebitamento e il credito che – afferma – allontanano i Paesi dalla loro economia reale e i cittadini dal loro potere d’acquisto reale”. Papa Francesco parla di “volontà di potenza e di possesso diventata senza limiti".
“E’ l’adorazione dell’antico vitello d’oro che ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto, né scopo realmente umano”.
E’ “la negazione del primato dell’uomo”, avverte. “Il denaro deve servire e non governare”, ammonisce. Chiede “un coraggioso cambiamento dei dirigenti politici”, ricordando che mancano la solidarietà e la prospettiva del bene comune:
“Dietro questo atteggiamento si nasconde il rifiuto dell’etica, il rifiuto di Dio. Proprio come la solidarietà, l’etica dà fastidio! È considerata controproducente; come troppo umana, perché relativizza il denaro e il potere; come una minaccia, perché rifiuta la manipolazione e la sottomissione della persona”.
E questo perché – spiega Papa Francesco – manca l’etica:
“Perché l’etica conduce a Dio, il quale si pone al di fuori delle categorie del mercato. Dio è considerato da questi finanzieri, economisti e politici, come non gestibile - Dio non gestibile! - addirittura pericoloso perché chiama l’uomo alla sua piena realizzazione e all’indipendenza da ogni genere di schiavitù”.
E Papa Francesco vuole sottolineare: “Il Papa ama tutti, ricchi e poveri; ma il Papa ha il dovere, in nome di Cristo, di ricordare al ricco che deve aiutare il povero, rispettarlo, promuoverlo”. La Chiesa – ribadisce – “lavora sempre per lo sviluppo integrale di ogni persona". E aggiunge:
“L’etica – un’etica non ideologica naturalmente – permette, a mio parere, di creare un equilibrio e un ordine sociale più umani. In questo senso, incoraggio gli esperti di finanza e i governanti dei vostri Paesi a considerare le parole di san Giovanni Crisostomo: Non condividere con i poveri i propri beni è derubarli e togliere loro la vita. Non sono i nostri beni che noi possediamo, ma i loro”.
Dunque ancora un incoraggiamento concreto:
“La Chiesa incoraggia i governanti ad essere veramente al servizio del bene comune delle loro popolazioni. Esorta i dirigenti delle realtà finanziarie a prendere in considerazione l’etica e la solidarietà. E perché non potrebbero rivolgersi a Dio per ispirare i propri disegni?”
L’obiettivo - chiarisce - è “una nuova mentalità politica ed economica che contribuirà a trasformare la dicotomia assoluta tra la sfera economica e quella sociale in una sana convivenza”.
Il Papa alla Caritas Internationalis: aiutare i poveri, è in pericolo la persona umana
◊ “Una Chiesa senza la carità non esiste”. Con queste parole Papa Francesco ha accolto questa mattina in udienza il Comitato esecutivo di Caritas Internationalis, riunito in questi giorni a Roma per la riunione annuale sotto la presidenza del cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga. Il Pontefice ha messo in ampio risalto il lavoro svolto dall’organismo caritativo della Chiesa, in particolare in un momento in cui – ha affermato – la crisi mette in pericolo l’uomo, “carne di Cristo”. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Quando lo studio della verità cristiana si rimbocca le maniche, quello è il momento in cui la verità diventa carità, una carezza data a chi è nella sventura. E questo è esattamente ciò che Papa Francesco si aspetta dal lavoro svolto da Caritas Internationalis. Voi siete – ha detto riconfermando la Caritas nel suo impegno – “parte essenziale della Chiesa”. Meglio, “l’istituzione dell’amore della Chiesa” giacché, ha soggiunto, “una Chiesa senza la carità non esiste”. Per questo, il Papa ha espresso profonda gratitudine, sottolineando come il lavoro della Caritas rivesta “una doppia dimensione”: di “azione sociale nel significato più ampio del termine” e una “dimensione mistica, cioè a dire posta nel cuore della Chiesa”:
“La Caritas è la carezza della Chiesa al suo popolo; la carezza della Madre Chiesa ai suoi figli; la tenerezza, la vicinanza. La ricerca della verità e lo studio della verità cattolica sono altre dimensioni importanti della Chiesa, se la facciano i teologi… Poi si trasforma in catechesi e in esegesi. La Caritas è l’amore nella Madre Chiesa, che si avvicina, accarezza, ama”.
Dopo questo primo intervento iniziale, Papa Francesco ha dato spazio ad alcune domande dei presenti, ma prima ha spiegato in che modo vada inteso l’amore cristiano, gratuito, simboleggiato dai pochi pani e pesci del Vangelo che sfamarono una folla:
“Non si moltiplicarono. No, non è la verità: semplicemente non finirono, come non finì la farina e l’olio della vedova. Non finirono. Quando uno dice ‘moltiplicare’ può confondersi e credere che faccia una magia… No, semplicemente è la grandezza di Dio e dell’amore che ha messo nel nostro cuore, che – se vogliamo – quello che possediamo non termina”.
La prima delle quattro risposte ha riguardato la crisi “molto grave” che da anni morde il pianeta, spesso in modo davvero duro:
“Non è solo una crisi economica – è un aspetto – non è solamente una crisi culturale – altro aspetto – non è solamente una crisi di fede. È una crisi in cui l’uomo è colui che soffre le conseguenze di questa instabilità. Oggi è in pericolo l’uomo, la persona umana. È in pericolo la carne di Cristo. Attenzione, eh! Che per noi tutta la persona, e maggiormente se è emarginata, malata, è la carne di Cristo. Il lavoro della Caritas è soprattutto rendersi conto di questo”.
Citando un midrash ebraico medievale che descrive la costruzione della Torre di Babele, Papa Francesco ha notato come nel racconto il valore dei mattoni – faticosamente prodotti uno ad uno – finisse per contare più degli operai che li fabbricavano, che rischiavano serie conseguenze in caso di spreco. Questo midrash – è stata la sua considerazione – “esprime quello che sta succedendo adesso”, l’esistenza cioè di “uno squilibrio negli investimenti finanziari”, per cui a fronte di “grandi riunioni internazionali”, “si muore di fame”:
“La nostra civiltà si è confusa e invece di far crescere la creazione perché l’uomo sia più felice e sia la migliore immagine di Dio – è questo il mandato che abbiamo, far crescere la creazione - e instaura, la parola è dura, ma credo sia esatta, la cultura dell’usa e getta: quello che non serve si getta nella spazzatura, i bambini, gli anziani, con questa eutanasia nascosta che si sta praticando … i più emarginati. Questa è la crisi che stiamo vivendo”.
La seconda risposta di Papa Francesco ha riguardato la sollecitudine con cui è tenuta a muoversi la Chiesa in un qualsiasi caso di necessità, simboleggiata dal gesto della “carezza”. Prendendo ad esempio situazioni di povertà o di guerra, il Papa ha ribadito che ci sono momenti in cui “semplicemente bisogna neutralizzare il male” “C’è fame – ha detto – bisogna dare da mangiare”, “ci sono dei feriti, vanno curati”. E curare, ha indicato, “è la carezza della Madre Chiesa”. Ma per fare ciò è necessario molto denaro e cita San Giovanni Crisostomo, laddove dice che la Chiesa potrebbe dover vendere i suoi beni per dar da mangiare ai poveri:
“San Giovanni Crisostomo lo diceva chiaramente: ‘Ti preoccupi di adornare la Chiesa e non il corpo di Cristo che ha fame’. La carezza, questa carezza. Per me l’espressione più bella della carezza di fronte a una necessità è quella del Buon Samaritano, che non dice: ‘lo alzò, lo portò alla locanda, pagò e se ne andò’. No, gli lavò le ferite, gli curò le ferite, poi lo alzò, lo prese e affermò: ‘Pagherò per quello che manca’”.
Terzo punto, la promozione del Vangelo. Il pensiero di Papa Francesco è andato in questo caso al genio formativo di uno dei grandi Santi della carità:
“Penso però a don Bosco che aveva incontrato nella sua parrocchia, nella sua terra, in un momento di crisi, di grande povertà, molti ragazzi che vivevano sulla strada, affamati, imparando i vizi e finivano nella delinquenza... Egli vide tutto questo e disse: ‘No, i ragazzi!’ E cominciò con l’idea della scuola di arti e mestieri e così via. La visione della promozione dà uno strumento per potersi guadagnare da vivere”.
La quarta risposta ha riguardato la spiritualità della Caritas. Il suo “fondamento”, ha asserito il Papa, “è donarsi, uscire da se stessi e stare al servizio continuo delle persone che vivono in situazioni estreme”. Da qui discende, ha osservato il Pontefice, una duplice funzione: “Da un lato, andare alle periferie esistenziali, aiutare, curare” e dall’altro portare nella Chiesa questo sentimento di tenerezza, che è più che un sentimento, è un valore” che “la Chiesa Madre non può perdere”:
“La spiritualità della Caritas è la spiritualità della tenerezza e noi abbiamo escluso dalla Chiesa la categoria della tenerezza. A volte la nostra ‘serietà’, tra virgolette, di fronte alla pastorale, ci porta a perdere questa categoria, che è la maternità della Chiesa! La Chiesa è madre, fondamentalmente madre. E questa caratteristica della tenerezza è per me il nucleo al quale deve riferirsi la spiritualità della Caritas: recuperare per la Chiesa la tenerezza".
La Chiesa - ha proseguito - è entrata nelle deviazioni "quando si è dimenticata della carezza e della tenerezza”. Infine, i rifugiati, che Papa Francesco ha definito con preoccupazione “un dramma”. “Bisogna accompagnarli”, ha esortato, ricordando il milione e oltre di sfollati dalla Siria verso il Libano, come un tempo avvenne per coloro che dall’Iran approdarono sempre il Libano transitando dalla Siria. E assieme a loro, Papa Francesco ha ricordato anche le condizioni della gente sfruttata alla quale, ha detto “tolgono loro il passaporto e li fanno lavorare come schiavi”. Su tutto questo, ha concluso, vi sia “una grande presenza di tenerezza nella Chiesa”.
Il Papa: alla Chiesa serve il fervore apostolico, non i cristiani da salotto
◊ La Chiesa ha tanto bisogno del fervore apostolico che ci spinge avanti nell’annuncio di Gesù. E’ quanto sottolineato, stamani, da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha inoltre messo in guardia dall’essere “cristiani da salotto” senza il coraggio anche di “dare fastidio alle cose troppo tranquille”. Alla Messa, concelebrata con il cardinale Peter Turkson e mons. Mario Toso, presidente e segretario di “Giustizia e Pace”, ha preso parte un gruppo di dipendenti del dicastero e della Radio Vaticana. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Tutta la vita di Paolo è stata “una battaglia campale”, una “vita con tante prove”. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia sull’Apostolo delle Genti, che, ha detto, passa la sua vita di “persecuzione in persecuzione”, ma non si scoraggia. Il destino di Paolo, ha sottolineato, “è un destino con tante croci, ma lui va avanti; lui guarda il Signore e va avanti”:
“Paolo dà fastidio: è un uomo che con la sua predica, con il suo lavoro, con il suo atteggiamento dà fastidio, perché proprio annunzia Gesù Cristo e l’annunzio di Gesù Cristo alle nostre comodità, tante volte alle nostre strutture comode - anche cristiane, no? - dà fastidio. Il Signore sempre vuole che noi andiamo più avanti, più avanti, più avanti… Che noi non ci rifugiamo in una vita tranquilla o nelle strutture caduche, queste cose, no? Il Signore… E Paolo, predicando il Signore, dava fastidio. Ma lui andava avanti, perché lui aveva in sé quell’atteggiamento tanto cristiano che è lo zelo apostolico. Aveva proprio il fervore apostolico. Non era un uomo di compromesso. No! La verità: avanti! L’annunzio di Gesù Cristo: avanti!”
Certo, ha osservato Papa Francesco, San Paolo era un “uomo focoso”. Ma qui non si tratta solo del suo temperamento. E’ il Signore che “si immischia in questo”, in questa battaglia campale. Anzi, ha continuato, è proprio il Signore che lo spinge “ad andare avanti”, a dare testimonianza anche a Roma:
“Fra parentesi, a me piace che il Signore si preoccupi di questa diocesi, fin da quel tempo… Siamo privilegiati! E Lo zelo apostolico non è un entusiasmo per avere il potere, per avere qualcosa. E’ qualcosa che viene da dentro, che lo stesso Signore lo vuole da noi: cristiano con zelo apostolico. E da dove viene questo zelo apostolico? Viene dalla conoscenza di Gesù Cristo. Paolo ha trovato Gesù Cristo, ha incontrato Gesù Cristo, ma non con una conoscenza intellettuale, scientifica - quello è importante, perché ci aiuta - ma con quella conoscenza prima, quella del cuore, dell’incontro personale”.
Ecco cosa spinge Paolo ad andare avanti, “ad annunziare Gesù sempre”. E ha aggiunto: “E’ sempre nei guai, ma nei guai non per i guai, ma per Gesù”, annunciando Gesù “le conseguenze sono queste”. Il fervore apostolico, ha sottolineato, si capisce solo “in un’atmosfera d’amore”. Lo zelo apostolico, ha detto ancora, “ha qualcosa di pazzia, ma di pazzia spirituale, di sana pazzia”. E Paolo “aveva questa sana pazzia”. Il Papa ha dunque invitato tutti i fedeli a chiedere allo Spirito Santo che faccia crescere in noi lo zelo apostolico che non deve appartenere solo ai missionari. D'altro canto, ha avvertito, anche nella Chiesa ci sono “cristiani tiepidi”, che “non sentono di andare avanti”:
“Anche ci sono i cristiani da salotto, no? Quelli educati, tutto bene, ma non sanno fare figli alla Chiesa con l’annunzio e il fervore apostolico. Oggi possiamo chiedere allo Spirito Santo che ci dia questo fervore apostolico a tutti noi, anche ci dia la grazia di dare fastidio alle cose che sono troppo tranquille nella Chiesa; la grazia di andare avanti verso le periferie esistenziali. Tanto bisogno ha la Chiesa di questo! Non soltanto in terra lontana, nelle chiese giovani, nei popoli che ancora non conoscono Gesù Cristo, ma qui in città, in città proprio, hanno bisogno di questo annuncio di Gesù Cristo. Dunque chiediamo allo Spirito Santo questa grazia dello zelo apostolico, cristiani con zelo apostolico. E se diamo fastidio, benedetto sia il Signore. Avanti, come dice il Signore a Paolo: ‘Coraggio’”!
Il Papa benedice i vescovi pugliesi: siate vicini ai problemi della gente
◊ Il Papa ha ricevuto stamani un secondo gruppo di presuli della Conferenza episcopale della Puglia, in visita “ad Limina”. Tra di loro c’era anche mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto. Sergio Centofanti gli ha chiesto in quale clima si sia svolto l’incontro col Pontefice:
R. - Innanzitutto una cordialità straordinaria. Il Santo Padre ci ha accolti con una paternità e una attenzione individuale, a ciascuno di noi e alle nostre diocesi. Noi abbiamo messo in evidenza il fatto che resiste un’esperienza di popolo cristiano tra la nostra gente. Il Santo Padre manifestava grande interesse, grande incoraggiamento per il nostro cammino. Io ho anche fatto presente la situazione di Taranto che ho potuto verificare in quest’anno. Dopo essere stato personalmente 27 anni in Brasile, pensavo che i problemi da queste parti fossero finiti: invece ce ne sono e anche di gravi! Gli ho esposto questo falso e ingiusto conflitto tra il lavoro e l’ambiente. E’ stato interessatissimo e poi dopo ho anche detto: “Santità, la gente di Taranto, della nostra arcidiocesi, chiede la sua presenza”. E lui ha detto, con molta cordialità: “Sono qui da due mesi, vedo com’è la situazione e intanto vi porto tutti nel cuore”. Poi ha voluto sapere com’è il livello delle vocazioni: abbiamo detto che in Italia grazie al lavoro ben fatto dai superiori e formatori, nel Seminario regionale ce ne è un buon numero; abbiamo più di 200 seminaristi nel Regionale di Molfetta. E sono anche aperti i Seminari minori, che sono una ricchezza anche nel cammino vocazionale … nche se molti entrano dopo essere laureati o avendo già un lavoro. Inoltre ha voluto sapere riguardo alla pastorale familiare. Qui, ugualmente, c’è un lavoro organico ben articolato; i forum per le famiglie e i centri di aiuto alla vita, la pastorale familiare. Però la famiglia è, in molti casi, attaccata e ferita. Poi abbiamo parlato della presenza nella nostra terra della testimonianza di mons. Antonio Bello, del segno che ha lasciato questo vescovo, del grande valore sia nell’opera di evangelizzazione, sia nel suo lavoro per la pace e per i poveri. Il Papa ha seguito con interesse questa indicazione. Ci diceva che vedeva che c’è un’esperienza di popolo e quindi ha detto: “Continuate così. State in mezzo alla gente e siate vicini ai problemi della gente: il problema del lavoro, della salute e della vita in generale e della difesa della famiglia”. Un’ultima raccomandazione: ha indicato l’importanza del rapporto con i sacerdoti, la vicinanza con i sacerdoti. Un momento in cui lui ha proprio aperto il suo cuore: ci ha confortati e poi soprattutto è stato come sentire la presenza di Cristo attraverso il Successore degli Apostoli e abbiamo consegnato le nostre diocesi. Tutti quanti abbiamo detto: “Guardi, il nostro popolo prega per lei e lei ci benedica”. Ha dato di cuore la sua benedizione a tutti.
Tweet del Papa: "Non possiamo essere cristiani part time!"
◊ Sul suo account @Pontifex, Papa Francesco ha lanciato un nuovo tweet: “Non possiamo essere cristiani 'part time' – scrive - Cerchiamo di vivere la nostra fede in ogni momento, ogni giorno”. I follower dell'account hanno superato alle 12.30 di oggi i 6 milioni e 405 mila (2.505.400 in inglese; 2.355.900 in spagnolo; 734.500 in italiano; 322.700 in portoghese; 137.600 in francese; 104.700 in tedesco; 98.300 in latino; 86.900 in polacco; 59.600 in arabo).
Papa Francesco a Bartolomeo I: i cristiani d'Oriente e Occidente diffondano insieme il Vangelo
◊ Una “storica decisione” che “aprì nuove strade al Vangelo e contribuì in maniera decisiva alla nascita della civiltà europea”. Con queste parole, in un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, Papa Francesco definisce l’Editto di Costantino che 1700 anni fa a Milano decretò la fine delle persecuzioni e la libertà religiosa per i cristiani. A celebrare l’anniversario è giunto nel capoluogo lombardo il Patriarca ecumenico ortodosso, Bartolomeo I, accolto dal cardinale arcivescovo della città, Angelo Scola. Nel porgere il suo saluto a entrambi, il Papa “auspica che, oggi come allora, la comune testimonianza dei cristiani di Oriente e di Occidente, sorretta dallo Spirito del Risorto, concorra alla diffusione del messaggio di salvezza in Europa e nel mondo intero e che – prosegue – grazie alla lungimiranza delle autorità civili, sia ovunque rispettato il diritto all’espressione pubblica della propria fede e sia accolto senza pregiudizi il contributo che il cristianesimo continua ad offrire alla cultura e alla società del nostro tempo”. Sulla celebrazione ecumenica a Milano con il Patriarca Bartolomeo I e il cardinale Scola, il servizio di Fabio Brenna:
Una preghiera per realizzare l’unità della Pentecoste: ortodossi e cattolici insieme nella Basilica milanese di Sant’Ambrogio a seguire la lectio del Patriarca Bartolomeo I e quella del cardinale Angelo Scola, a partire dal capitolo 26 degli Atti degli Apostoli e il 17 del Vangelo di Giovanni. La preghiera in italiano è stata animata dai canti del Coro bizantino del Conservatorio di Acharnes e dalla Cappella Musicale del Duomo di Milano. Al termine, i due leader religiosi sono scesi nella cripta a venerare le spoglie di quel Sant’Ambrogio che fu già ponte fra Oriente e Occidente e antesignano della libertà religiosa sancita dall’Editto costantiniano di cui si sta celebrando il 1700.mo anniversario.
Nel suo intervento Bartolomeo I, scampato recentemente ad un attacco diretto ad ucciderlo, ha sottolineato come, nonostante i progressi circa il rispetto dei diritti umani, il martirio resta una condizione connaturata al cristianesimo. Nel cammino verso l’unità, l’invito a non aver paura di resistere alla globalizzazione distruttiva e agli attuali stili di vita materialistici:
“Non cessiamo di pregare e di augurarci e di chiedere che tutti comprendano che la rappacificazione, la riconciliazione, la tolleranza, la mitezza, la clemenza – virtù che onoravano Sant’Ambrogio – possano avere riscontro positivo nella società, con le parole e con i fatti”.
Dal canto suo, il cardinale Scola ha insistito sul bisogno di unità, per dare forma visibile al dono della Trinità:
“Siamo partecipi della vita divina, già da ora. Si comprende allora come la preghiera per l’unità, che Gesù pronuncia nel frangente particolarmente solenne dell’Ultima Cena, sia assai di più che un’esortazione morale”.
Al Patriarca è stata donata copia del nuovo Evangeliario ambrosiano e una capsella contenente le reliquie di Sant’Ambrogio e dei Santi martiri milanesi, e la promessa di ricambiare la visita già nel mese di gennaio 2014. Ieri, a Palazzo Reale, Bartolomeo I e il cardinale Scola avevano dialogato a partire dalla frase giovannea, “Conoscerete la libertà e la libertà vi farà liberi”.
Nomine del Papa al Pontificio Comitato di Scienze Storiche
◊ Papa Francesco ha nominato Membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche il Rev.do Don Cosimo Semeraro, S.D.B., e Segretario del medesimo Pontificio Comitato il Rev.do Mons. Michele De Palma, del clero della diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi.
Il Papa ha nominato Membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche l’Ill.mo Prof. Philippe Chenaux (Svizzera), Docente Ordinario di Storia della Chiesa Moderna e Contemporanea presso la Pontificia Università Lateranense a Roma e Direttore del "Centro Studi e Ricerche sul Concilio Vaticano II" della medesima Università.
Attesa per l'incontro del Papa con movimenti e nuove comunità. Interviste a Miano e don Carron
◊ Sabato e Domenica prossime oltre 120 mila persone sono attese in piazza San Pietro per la Giornata dei movimenti, delle nuove comunità, delle associazioni e aggregazioni laicali. “Io credo, aumenta in noi la fede” è il titolo dell’iniziativa che nasce nell’ambito dell’Anno della Fede e su proposta del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione. Momenti culminanti la Veglia di Pentecoste, il Sabato, e il giorno successivo la Messa, presiedute da Papa Francesco. Tra i partecipanti anche l’Azione cattolica italiana. Debora Donnini ha chiesto al presidente, Franco Miano, come si stanno preparando a questo incontro:
R. – Ci stiamo preparando nello spirito dell’Anno della Fede, che è lo spirito di mettersi in cammino e, in questo caso, quello spirito che ci porta all’incontro con Papa Francesco, particolarmente atteso, data la novità di questa figura bella, che ci sta richiamando alle cose essenziali. Questo mi sembra il sentimento principale. C’è tanta gioia di riprendere in mano ciò che conta di più per la fede e per la vita insieme. La famiglia della grande comunità, che è la Chiesa, è tutta rappresentata intorno al Papa. In questo senso, quindi, è un momento veramente bello di comunione.
D. – E’ importante il legame con la Pentecoste, con lo Spirito Santo, che suscita carismi, suscita anche testimonianze di fede molto forti...
R. – Noi pensiamo che lo Spirito guidi la Chiesa e, quindi, la Pentecoste è una giornata decisiva. L’esperienza dell’Azione Cattolica è un’esperienza che si fonda su un dono fondamentale, che è quello di essere con la Chiesa nella vita quotidiana delle nostre parrocchie, dei nostri Paesi, delle nostre città. Ci sentiamo, dunque, anche noi, come tutti, impegnati a vivere questa testimonianza di impegno laicale, con forte attenzione alla dimensione educativa, a partire dalla realtà concreta, da quella semplice dei luoghi dove il Signore ci chiama a vivere e a testimoniare la nostra fede.
A partecipare all'evento anche Comunione e Liberazione. Con quali sentimenti i membri del movimento si stanno preparando all’incontro? Debora Donnini lo ha chiesto a don Julian Carron, presidente della "Fraternità di Comunione e Liberazione":
R. – Ci stiamo preparando attraverso il desiderio di andare dal Papa per essere sostenuti nella fede in questo anno in cui il tema è proprio la fede.
D. – Nel ’98, c’era stato un momento molto importante, sempre nella Pentecoste, di incontro dei movimenti e delle nuove realtà ecclesiali con Giovanni Paolo II. Ci può essere in qualche modo un legame, un filo conduttore fra questi due momenti?
R. – A me sembra di sì. Nella diversità della loro natura, in fondo, si tratta di un incontro dei movimenti e delle realtà ecclesiali con il Papa. Quest’anno ha la peculiarità di essere nell’Anno della Fede, che è come aggiungere una consapevolezza più acuta di cosa voglia dire per la fede cattolica il legame con Pietro.
D. – Nella Pentecoste il grande “protagonista” è lo Spirito Santo. C’è, quindi, un legame molto forte tra lo Spirito Santo, i movimenti e le nuove realtà ecclesiali?
R. – Assolutamente sì, perché i movimenti e le realtà ecclesiali sono frutto della potenza dello Spirito. Il carisma è un dono dello Spirito Santo, dato alla Chiesa per il suo rinnovamento costante. Andiamo anche a chiedere allo Spirito Santo che le nostre vite possano essere rigenerate dalla nostra costante caduta umana, normale. Per questo, come in una sorta di pellegrinaggio, andiamo a chiedere questa grazia allo Spirito Santo, insieme a tutte le altre realtà ecclesiali, con il Papa.
D. – Oggi il Papa nella Messa a Santa Marta ha detto che è importante che ci siano cristiani con zelo apostolico, non "cristiani da salotto", senza il coraggio di dare fastidio alle cose troppe tranquille. Questo per Comunione e Liberazione cosa significa, anche in vista di questo incontro, della Pentecoste, dello Spirito Santo?
R. – Questo significa prima di tutto lasciarci rinnovare dalla potenza dello Spirito, perché noi possiamo portare questa diversità, possiamo veramente disturbare o perturbare l’ambiente in cui siamo, nella misura in cui ci siamo lasciati perturbare dalla potenza di Dio. Per poter rispondere a questo appello di Papa Francesco, dobbiamo noi essere diversi, perché questa creatura nuova, che Cristo è venuto a generare, possa mettere nella realtà questa diversità.
Il 16 maggio 1954 moriva Vladimir Ghika, presto Beato a Bucarest
◊ Ricorre oggi l’anniversario della scomparsa di Vladimir Ghika, il sacerdote romeno vissuto da santo e morto da martire, spentosi nel 1954 nel carcere politico di Jilava, vicino Bucarest, dove sarà Beatificato il prossimo 31 agosto. La sua storia nel servizio di Roberta Gisotti:
Aveva 80 anni Vladimir Ghika quando è morto in carcere, accusato di spionaggio nell’interesse del Vaticano, condannato dal regime comunista a tre anni di prigionia per alto tradimento. “Da principe a mendicante di amore per Cristo”, così Anca Martinas, collega della Radio Vaticana che ne ha curato la biografia, riassume la vita di quest’uomo ecclettico, nato nel 1873 a Costantinopoli, l’odierna Istanbul, dove il padre era ambasciatore della Romania. Il giovane Vladimir, di religione ortodossa, nipote dell’ultimo principe della Moldavia, destinato alla carriera diplomatica, compie i suoi studi in Francia, a Tolosa, poi a Parigi dove segue corsi di medicina, botanica, arte, lettere, filosofia, storia e diritto. Approda quindi a Roma, dove consegue il dottorato in teologia nel Collegio San Tommaso, futura Università Pontificia Angelicum, maturando nel 1902 la decisione di entrare nella Chiesa cattolica, sempre impegnandosi nel suo apostolato laico e sacerdotale per l’unità dei cristiani.
Rinuncia ad ogni agio e privilegio per vivere nella carità da povero con i poveri. Inizia il suo peregrinare per il mondo, arriva a parlare 22 lingue, mite nella parola tenace nella preghiera, accanto soprattutto ai giovani e ancor più ai lontani da Dio, la più grande povertà, malattia e calamità che possa capitare nella vita di una persona. A 50 anni Vladimir è sacerdote, una decisione rimandata per non arrecare dolore alla mamma che mai aveva accettato la sua scelta di diventare cattolico. Rientrato nel 1939 nel suo Paese natale, vi resterà fino alla morte, coinvolto prima negli eventi bellici e poi nelle tristi vicende del regime comunista, torturato e vessato in carcere, rende l’anima a Dio il 16 maggio 1954. La sorte volle che intorno a lui, nell’infermeria del carcere, vi fossero un prete ortodosso, un pastore protestante, un giovane ebreo e un imam tartaro, a coronare il suo desiderio di un solo gregge ed un solo pastore.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ La carezza della Chiesa: Papa Francesco parla della crisi economica mondiale incontrando il comitato esecutivo della Caritas internationalis.
Il denaro non deve servire e non governare il mondo: nell'udienza a quattro nuovi ambasciatori il Pontefice denuncia la dittatura dell'economia e invoca una riforma etica della finanza.
I guai di san Paolo: messa del Papa a Santa Marta.
Ma dove vai prete in bicicletta? Paolo Vian su le due ruote, la società e la Chiesa ai tempi di Pio X.
Bartali eroe silenzioso: Silvia Guidi su una biografia del campione con nuovi particolari sul contrabbando di documenti falsi tra Firenze e Assisi che salvò centinaia di ebrei.
Il primo compleanno: dal numero in uscita della "Civiltà Cattolica" anticipazione dell'intervista del direttore Antonio Spadaro a Lucetta Scaraffia, che racconta storia, struttura e finalità di "donne chiesa mondo", mensile dell'"Osservatore Romano"
Un articolo di Catherine Aubin dal titolo "Corvi, volpi o pubblicani": alla scoperta della nostra vera identità rileggendo La Fontaine.
Prevalga la pace dove la libertà è minacciata: nell'informazione religiosa, la visita, appena conclusa, a Milano del Patriarca ortodosso Bartolomeo.
Un gesto del buon Dio che non avevamo programmato: il vescovo Josef Clemens sui movimenti ecclesiali e le nuove comunità nel pensiero del cardinale Joseph Ratzinger.
Libano, oltre un milione i rifugiati siriani. Il vescovo di Baalbek: servono aiuti non armi
◊ I profughi siriani che hanno trovato rifugio in Libano sono ormai più di un milione. Lo rivela l'International Crisis Group (Icg), l'Organizzazione indipendente non governativa impegnata nella soluzione dei conflitti. Il Libano, la cui popolazione supera di poco i quattro milioni di abitanti, quanto sta soffrendo questa presenza così massiccia dei rifugiati siriani? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a mons. Simon Atallah, vescovo di Baalbek - Deir El-Ahmar dei Maroniti:
R. – C’è una comunione con loro, una partecipazione alle loro ferite, a questa situazione oscura che soffre il popolo siriano. Noi accogliamo questi siriani con molto cuore. Il guaio, però, è che lo Stato non arriva ad organizzare nulla, soprattutto in questo periodo in cui il governo stesso è in crisi, è dimissionario.
D. – Quindi, cosa succede ai profughi che arrivano in Libano?
R. – C’è una confusione enorme. Si sparpagliano in tutto il Paese, entrano ed escono quando vogliono, senza nessun controllo.
D. – C’è quindi anche un problema di sicurezza...
R. – Un problema di sicurezza, un problema di lavoro. Questa gente cerca lavoro. Purtroppo, i libanesi li prendono pagandoli meno di un operaio libanese, per esempio. Anche nelle libere professioni, come quella del medico, si creano cliniche e si comincia a lavorare senza licenza, senza nulla. Questo è davvero un problema e crea una crisi economica al cittadino libanese.
D. – Sappiamo anche che sono aumentati di molto i prezzi degli affitti e c’è una escalation di delinquenza. Ci sono pregiudizi nei confronti dei siriani?
R. – Molti, perché lei sa che i siriani hanno occupato il Libano per più di 30 anni e si sono comportati male purtroppo. Persino il presidente siriano lo aveva confessato. I libanesi, quindi, hanno maturato un sentimento ostile verso questo popolo e, ora che si trova nei guai, il libanese si trova in imbarazzo. La sua morale dice che bisogna accoglierli e l’esperienza che ha fatto è dura.
D. – In quanto Chiesa libanese, voi cosa state organizzando per questi rifugiati?
R. – Noi, attraverso soprattutto Caritas Libano, stiamo organizzandoci il più possibile per poterli soddisfare e venirgli incontro nei bisogni. I bisogni però sono molto grandi e superano le possibilità della Chiesa e dello Stato. Ci sono Stati che hanno promesso aiuti, ma fino adesso non c’è nulla di chiaro e spesso sono promesse più che realtà.
D. – Vuole lanciare un appello dai microfoni della Radio Vaticana?
R. – Noi siamo veramente grati al Vaticano e all’Italia, perché tanti organismi italiani lavorano sul posto e rendono molti servigi.
D. – Un appello invece per quegli Stati che ancora non stanno inviando aiuti...
R. – Purtroppo, devo dire che mandano armi facilmente e per quanto riguarda le cose vitali sono sempre in ritardo.
Crolla fabbrica in Cambogia. Allarme dell'Ilo per la sicurezza nei luoghi di lavoro
◊ Dopo quanto accaduto in Bangladesh, con il crollo di un complesso industriale nel quale hanno perso la vita oltre mille persone, ieri in Cambogia una fabbrica di scarpe ha ceduto non lontano dalla capitale Phnom Penh. Incerto il numero delle vittime, in un primo momento si era parlato di sei. L’incidente riaccende i riflettori sulla condizione dei lavoratori cambogiani, l’85% dei quali sono irregolari, e più volte si è denunciata la mancanza di sicurezza dei luoghi di lavoro. Qual è la condizione degli operai in Cambogia? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Luigi Cal, direttore per l'Italia e San Marino dell'Ufficio Ilo, l'Organizzazione internazionale per il lavoro:
R. – E' una condizione tipica dei Paesi asiatici che basano il loro sviluppo sullo sfruttamento totale delle persone, soprattutto delle donne, nel settore tessile che comporta, in Cambogia, l’85% dell’export nazionale, in un Paese dove l’85% della popolazione lavora in nero. E’ un Paese che – dal punto di vista dell’Ilo – ha ratificato tutte le Convenzioni fondamentali, quindi quelle che riguardano i rapporti sindacali, il lavoro minorile, il lavoro in schiavitù. Però, di fatto poi non vengono osservate, soprattutto dalle multinazionali dei Paesi sviluppati. Si ripete in più piccolo, disgraziatamente, quello che è successo un mese fa a Dacca, in Bangladesh.
D. – Sulle multinazionali occidentali: concretamente, quali sono le responsabilità? E poi, ci sono delle norme per le quali è possibile perseguire questi comportamenti irrispettosi del lavoro?
R. – L’Organizzazione internazionale del lavoro ha certi strumenti che, naturalmente, non sono la polizia. Qui, il problema passa nelle mani dei rispettivi governi e quindi, per esempio, bisognerebbe cominciare in Asia con la questione dell’ispezione nel lavoro. A Dacca, su 50 milioni di abitanti, sa quanti ispettori del lavoro ci sono? 50 ispettori. Quello che si può fare è ciò che è stato fatto proprio in questi giorni, con la regia dell’Organizzazione internazionale del lavoro, che ha cercato di mettere attorno al tavolo le multinazionali che erano interessate al disastro che è avvenuto a Dacca. E’ stato firmato un accordo con parecchie di queste imprese, che erano lì presenti: questo accordo garantisce, per esempio, che le condizioni in tutti i luoghi di lavoro, ma anche rispetto ai sub-fornitori, siano umane e che ci siano migliori trattamenti economici. Anche in questo caso, stiamo parlando di lavoratori che prendono 70 dollari al mese, neanche 50 euro. In questo accordo, si chiede alle multinazionali di coprire i costi che servono per migliorare le condizioni di lavoro e le infrastrutture. Le imprese europee hanno firmato questo accordo, mentre le imprese americane purtroppo no. L’Ilo credo farà la sua pressione, proprio perché anche i governi intervengano per spingere queste imprese a cambiare atteggiamento e ad impegnarsi in nuovi accordi internazionali.
D. – Papa Francesco, nei giorni scorsi, ha fatto diversi appelli perché il lavoro sia dignitoso e non sinonimo di schiavitù. Oggi, l’Ilo quale appello si sente di fare, soprattutto, per quali Paesi porre attenzione? Abbiamo parlato molto dell’Asia, ma ci sono altri scenari che preoccupano l’Ilo?
R. – Sì, oltre all’Asia ci sono moltissimi Paesi dell’Africa nera dove c’è il lavoro minorile, dove non c’è nessuna sicurezza sociale. Lo stesso problema c’è in qualche Paese dell’America Latina, che però sta migliorando moltissimo. Nei Paesi del Medio Oriente e dei Paesi del Golfo, si registra invece quello che Papa Francesco chiama la "schiavitù" e che avviene all’interno del lavoro domestico. L’Ilo ha un occhio su tutte queste realtà, sia attraverso i sindacati ma anche attraverso le imprese e i governi: può così controllare questi fenomeni e richiamare, spingere, esortare. E credo che l’Ilo avrà ed ha – sicuramente – in Papa Francesco un grandissimo alleato su questo terreno.
◊ Siamo al paradosso in cui si genera un essere umano e lo si distrugge per prelevargli le cellule. Così, il direttore del Centro di bioetica della Cattolica di Milano, Adriano Pessina, sulla ricerca statunitense, pubblicata ieri, che descrive un processo di clonazione, analogo a quello attuato per far nascere la pecora Dolly, per ottenere staminali embrionali da cellule della pelle. Pessina parla anche di "tragica gravità di questo esperimento, che manifesta un'inaccettabile indifferenza rispetto al valore dell'esistenza umana nella sua fase iniziale". Massimiliano Menichetti ha intervistato lo stesso prof. Adriano Pessina:
R. – Leggendo l’articolo, per essere molto semplici, è lo stesso metodo, molto simile, usato per la pecora Dolly. Come sappiamo, si fa questo procedimento che è quello di prelevare una cellula uovo, si toglie il nucleo, poi si prende una cellula che viene in qualche modo elaborata in modo tale che risulti essere capace di essere così potente, la si mette nel nucleo, la si stimola e si forma un embrione che ai tempi era un embrione di pecora; allora, l’embrione di pecora venne trasferito nell’utero della pecora e nacque Dolly. La metodica è la stessa.
D. – In questo caso, dunque, si parla di persone?
R. - Questo esperimento genera un essere umano allo stadio embrionale, anzi a uno stadio di blastocisti. Per essere chiari: se noi prendessimo questa blastocisti così formata e la mettessimo nel grembo materno si svilupperebbe e nascerebbe un bambino. La metodica qui presentata ottiene, invece, che una volta formata la blastocisti, questa, di fatto, viene distrutta per ricavare quelle cellule staminali che, un domani, in teoria, serviranno per la ricerca terapeutica.
D. – C’è anche un intervento particolare che viene fatto sugli ovociti, quindi sulla donna?
R. – La cosa anche tanto importante da notare è che da quello che si evince dall’articolo, per ottenere questo risultato - perché finora non si è mai riuscito a clonare un essere umano - si è fatta un’operazione molto attenta sugli ovociti e quindi si è intervenuto sulle donne che dovevano donare gli ovociti in modo da poter avere ovociti che siano immaturi.
D. – Perché questo?
R. – Da quello che io posso capire, questo serve perché finora gli esperimenti che sono stati fatti mettevano in luce che l’embrione umano dopo poco tempo moriva, mentre qui ci troviamo di fronte a una situazione per cui c’è una stabilizzazione dello sviluppo embrionale che arriva fino al punto della blastocisti. Se si legge l’articolo e si vedono le fotografie, credo che sia chiaro che qui non si creano semplicemente cellule, ma si crea un organismo della specie umana, cioè un essere umano e poi si ricavano le cellule staminali.
D. - Quindi da condannare assolutamente dal punto di vista morale, umano?
R. – Assolutamente sì. Tra l’altro questo sarebbe assolutamente impossibile in Europa perché la convenzione di Oviedo vieta totalmente la creazione di embrioni a scopo di ricerca scientifica. L’equivoco è che si chiama “clonazione terapeutica”. Per ora è semplicemente la clonazione di un essere umano e poi la sua distruzione per ottenere le cellule staminali perché per ora di terapeutico non c’è assolutamente nulla. C’è una assoluta violazione del significato e del valore del generare gli esseri umani. Il paradosso è che si genera un essere umano per poi distruggerlo e ricavare le cellule.
D. – Di nuovo sulla stampa rimbalzano le notizie sulle "staminali dalla pelle per curare malattie degenerative”, quando l’evidenza scientifica in realtà è da un’altra parte?
R. – Non solo l’evidenza scientifica è da un’altra parte, ma l’informazione così è assolutamente scorretta perché le cellule della pelle sono servite in realtà per poi determinare l’origine di un essere umano allo stato embrionale. Io credo che una delle cose fondamentali sia quella della correttezza dell’informazione, perché la valutazione morale richiede innanzitutto una descrizione, la più esatta possibile, anche il più facilmente percepibile dall’opinione pubblica.
D. – Qual è il limite per la ricerca?
R. – Il limite intrinseco per la ricerca è che perché la ricerca venga fatta per il bene dell’uomo la prima questione fondamentale è che bisogna rispettare quell’uomo per cui si fa ricerca e quest’uomo lo si rispetta fin dall’origine, lo si rispetta in tutte le sue condizioni. In fondo, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è nata nel momento in cui ci si è accorti che si poteva fare scempio della condizione umana, scempio degli uomini, che si potevano utilizzare anche come cavie. Questo vale anche quando l’uomo in qualche modo sembra scomparire all’occhio visibile perché è visibile solo attraverso il microscopio. Credo sia importante che anche la comunità scientifica prenda posizione intorno a questo tipo di sperimentazioni.
"Le città dei non luoghi": il corso del Centro Astalli contro la marginalizzazione dei rifugiati
◊ La difficile vita dei rifugiati nelle grandi aree urbane europee, le difformità legislative rispetto al tema della protezione e i possibili modelli di accoglienza da mettere in atto come sta accadendo in Francia col “Progetto Welcome”. Di tutto questo si parla, oggi, nell’incontro “Le città dei non luoghi”, organizzato dal Centro Astalli a Roma con la partecipazione di esperti dell’Ue. La tappa odierna fa parte di un percorso di approfondimento sul tema che proseguirà fino alla fine mese. Ce ne parla Gabriella Ceraso:
Sono circa 200 mila, ogni anno, i rifugiati che chiedono protezione raggiungendo l’Unione Europea. Un quarto la ottiene; ignoto invece il numero di quanti muoiono in mare o su un camion o nelle prigioni di chi li sfrutta, li froda, li inganna. Sono reduci da guerre, persecuzioni e torture, sanno le difficoltà cui vanno incontro e comunque fuggono, e ciò che trovano nelle aree urbane – ed è un paradosso, almeno in Italia – non è un’opportunità, ma spesso è esclusione e solitudine, come spiega padre Giuseppe La Manna, presidente Centro Astalli:
“Perché la persona, se io non ho lavorato in maniera progettuale offrendo opportunità serie per l’autonomia, quando riceve il documento molto probabilmente deve lasciare il Centro, si ritrova un permesso di soggiorno che gli consente di rimanere sul territorio, ma a quella protezione riconosciuta su un pezzo di carta non corrisponde nessun aiuto: un lavoro, un alloggio, opportunità formative... Purtroppo no, tant’è vero che queste persone vanno in edifici occupati dove mancano i minimi requisiti per un’accoglienza dignitosa”.
In Europa il tipo di accoglienza varia da Paese a Paese, per lo più avviene in centri specializzati dove tempi e modalità cambiano. Isabella Moulet, della sezione francese del Servizio rifugiati dei Gesuiti:
“La Francia è un Paese che ha una lunga tradizione di accoglienza. Per esempio, era già relativamente pronta, malgrado il contesto di crisi, a questo tipo di accoglienza che per Paesi come la Spagna, come la Grecia è stato molto più difficile. I Paesi del Nord sono pragmatici, quindi hanno questo sistema molto legalista, molto strutturato. In Danimarca, per esempio, ci sono centri tenuti benissimo, con trattamenti umani; non si può dire la stessa cosa della Germania, per esempio, o di Malta”.
Possono passare da 6 mesi a tre anni per l’ottenimento dello statuto di rifugiato e questo lasso di tempo si può trasformare in esclusione, incomprensioni e violenze:
“Poco a poco sviluppano un sentimento giustificatissimo di rigetto, di marginalizzazione che fa sì che anche se ottengono i documenti, spesso non fanno più lo sforzo di integrarsi”.
Per rimediare a questo, la Francia ha avviato il “Progetto Welcome”, modello positivo di accoglienza che avviene nelle case o nei centri religiosi:
“Non accogliamoli soltanto in centri in cui comunque sono tra di loro e continuano a restare nel loro stato mentale di angoscia, di paura, di incertezza; accogliamoli in famiglie e in comunità religiose francesi, con le quali possono incominciare a condividere il quotidiano, la vita e avere un posto tranquillo in cui riposare la sera, poter andare tranquillamente ai loro corsi di francese, poter far domande su quello che succede proprio durante la giornata per capire, perché la culture sono completamente diverse. E abbiamo constatato che i rifugiati accolti nelle nostre famiglie ottengono lo statuto all’80 per cento. Il che significa che se una persona è nella condizione di dover difendere la propria posizione, di raccontare la propria storia e soprattutto di capire con quali parole raccontarla, perché il modo di esprimersi è totalmente diverso, ha molte più chance. Poi, chiaramente, per un rifugiato che è accolto in una famiglia, la controparte è che ci sono decine e decine di francesi che vengono in contatto con il rifugiato, con la sua vita, con il suo modo di pensare. La famiglia, poi, inviterà dei vicini, degli amici, i ragazzini ne parleranno a scuola con i compagni, se è una comunità religiosa le persone che frequentano la comunità cominceranno a conoscerlo … Quindi, diventa proprio un membro della società e una persona di cui si vede l’umanità e di cui si capisce meglio il percorso e meglio anche la difficoltà di integrazione. L’idea di base è proprio l’incontro di due universi che non si conoscono, che altrimenti non avrebbero nessun motivo e nessuna occasione di entrare in contatto e che hanno paure e diffidenze reciproche. Quindi, sormontare queste paure e queste diffidenze”.
In definitiva, cosa chiedere all’Europa in materia di accoglienza e di integrazione? Ancora padre Giuseppe La Manna, presidente del Centro Astalli:
“Chiederei, in sede di Unione Europea, di mettere fine alle politiche di contrasto dei flussi migratori, con l’impiego di quelle risorse a favore di un’accoglienza dignitosa, favorendo l’arrivo delle persone con canali umanitari sicuri, senza costringerle a rischiare la vita nella fuga e sottraendole ai trafficanti”.
In Italia, l’appello è ad uniformare e creare un’omogeneità:
“Sì, un sistema unico, unitario, con criteri che possano essere verificati per un’accoglienza dignitosa e rispettosa dei diritti di queste persone”.
In Germania da oggi anche i bimbi nati morti sono considerati persone
◊ In Germania è ora possibile dare legalmente un nome, e dunque un’identità giuridica e una sepoltura ufficiale, ai bambini nati morti con un peso inferiore ai 500 grammi. E’ quanto stabilisce una legge entrata in vigore ieri. Secondo alcune stime nel Paese ogni anno sono almeno 1500 i bambini nati morti con un peso inferiore al mezzo chilo. Il servizio di Paolo Ondarza:
Finora in Germania li chiamavano Sternenkinder, bambini delle stelle, il loro nome infatti era scritto solo in cielo, nessuna traccia sulla terra. Oggi questi piccoli nati morti con un peso corporeo inferiore ai 500 grammi potranno essere iscritti dai genitori che lo vorranno nel registro civile ed avere una degna sepoltura al pari di tutti gli altri esseri umani. A spingere il Bundestag a modificare la precedente normativa sono state le 40mila firme raccolte dai coniugi Martin che in due anni hanno perso tre figli, due dei quali legalmente mai esistiti, perché al momento della nascita pesavano meno di mezzo chilo e che ora, grazie al valore retroattivo della legge, potranno essere riconosciuti come persone. Il presidente del Movimento per la Vita italiano, Carlo Casini:
R. – La notizia è positiva, perché vengono introdotti bambini, anche quelli morti durante la gravidanza, nel “mondo” degli esseri umani, si riconosce che anche loro sono esseri umani. Devo dire che la notizia è positiva, ma non in modo totale, lo è solo in modo parziale: perché soltanto i bambini di 500 grammi sono parificati a tutti gli altri uomini?
D. – Una vita umana non si può definire in base ai grammi ...
R. – E’ chiaro! In Italia abbiamo una legge fortunatamente un po’ migliore: prevede che tutti i nati dopo le 20 settimane debbano essere seppelliti e che anche prima i genitori possono chiederne il seppellimento. L’essere umano è sempre un essere umano: dal momento iniziale, in cui incomincia ad apparire nel mondo dell’esistenza, quando lo chiamiamo embrione o feto, è già uno di noi, e come tale dev’essere riconosciuto anche nel momento in cui la sua vita si perde. "Uno di noi" tra l’altro è il titolo della nostra iniziativa che sta raccogliendo consenso in tutta Europa.
D. – Dunque, quello del Parlamento tedesco è sicuramente un passo avanti nella difesa dei diritti dei bambini. I giornali dicono: “Finalmente, i bambini nati morti con un peso inferiore ai 500 grammi non saranno considerati alla stregua di un aborto”. Tuttavia va ricordato che anche l’embrione abortito è una persona a tutti gli effetti...
R. – Sì, è proprio così. Questa legge tedesca indica una strada, ma è una strada ancora da percorrere a lungo, per arrivare a questa affermazione, che l’uomo è sempre portatore di una eguaglianza e di una dignità che è il valore supremo e che è da rispettare sempre. E’ questo il principio che ha liberato i neri, che ha liberato gli schiavi, che chiede l’uguaglianza tra uomini e donne … E oggi, incrocia la questione del bambino non ancora nato e dell’anziano sofferente o del morente. Sono tutte persone portatrici di una dignità incommensurabile.
D. – Questo è comunque un provvedimento positivo che può aprire una strada anche ad un dibattito europeo …
R. – Come, no? Certamente è una freccia che indica qualcosa da fare o da percorrere. E’ un fatto positivo. Ce n’è tanto bisogno, in Europa, perché la cultura europea è del tutto sorda alle cose che stavo dicendo. E il fatto che proprio in Germania si incominci a riflettere sul valore dell’uomo è positivo. Tra l’altro, è in coerenza con quanto ribadito più volte dalla Corte costituzionale tedesca e cioè che l’uomo è un valore assoluto per cui non si possono distinguere fasi della sua esistenza in cui vale di più e vale di meno.
D. – In Europa, quali sono i Paesi più virtuosi da un punto di vista di riconoscimento dei diritti dell’embrione?
R. – L’Irlanda, nella cui Costituzione – con referendum popolare – nel 1983, è stato scritto che tutti gli esseri umani hanno diritto alla vita fin dal concepimento. Devo dire che anche noi, in Italia, nella legge 40 – quella sulla fecondazione artificiale – abbiamo scritto che l’embrione dev’essere sempre considerato un soggetto che ha diritti al pari degli altri soggetti coinvolti nella procreazione artificiale.
◊ Oltre 2500 cittadini italiani, comunitari ed extracomunitari sono stati assistiti, nel 2012, dall’Associazione “Avvocato di strada”. E’ quanto emerge dal rapporto annuale di questa associazione Onlus. Rilevante l’aumento delle pratiche dei migranti a seguito dell’emergenza Nord Africa, con l’arrivo di persone dalla Tunisia e dalla Libia, come conferma il presidente dell’Associazione, Antonio Mumolo, al microfono di Elisa Sartarelli:
R. – Noi abbiamo sempre avuto molte pratiche relative ai migranti. In questo caso, però, ci sono state tantissime domande di rifugio politico e protezione internazionale. Ovviamente, queste domande devono essere seguite dal punto di vista giuridico.
D. – Oltre alle pratiche legate all’immigrazione, vi occupate anche del diritto alla residenza e al lavoro dei senza dimora...
R. – Il fatto che affrontiamo tante di queste questioni ci dice anche che è cambiata la tipologia delle persone che sono in strada. Un tempo in strada avevamo persone che erano diventate povere ma insieme a questo avevano altre problematiche: ad esempio problemi di tossicodipendenza, di alcolismo e problemi di natura psichica. Oggi in strada ci sono persone che non hanno questi problemi. Il numero degli italiani negli ultimi tre anni è raddoppiato. Ci sono persone in strada che semplicemente sono diventate povere e che mai si sarebbero aspettate di finire in strada. Ci sono, quindi, padri separati, imprenditori falliti, piccoli artigiani che hanno dovuto chiudere, lavoratori a 50 anni licenziati, pensionati al minimo che non ce la fanno più a pagare affitti, bollette e che se non hanno persone intorno finiscono in strada. Tra l’altro, sono i soggetti più difficili da aiutare, perché si vergognano di questa situazione. L’aumento di quelle pratiche, relative alla residenza e al lavoro, è frutto di questa nuova situazione. La situazione attuale è un generale impoverimento degli italiani e un’enorme difficoltà delle persone che diventano deboli ad ottenere un qualsiasi tipo di aiuto dallo Stato.
D. – E’ corretto dire che molti "senzatetto" preferiscono restare senza residenza e senza diritti, perché a loro carico ci sono debiti crescenti, dovuti al mancato pagamento di tasse e imposte?
R. – Per quanto riguarda la nostra esperienza, questa cosa è vera relativamente, perché restare senza residenza significa non avere nessun diritto e nessuna possibilità di intraprendere un percorso lavorativo. Senza residenza, infatti, non si può lavorare, non si può percepire una pensione, anche se si ha il diritto a quella pensione, e non si può usufruire del Servizio sanitario nazionale. Noi abbiamo fatto tantissime pratiche sulla residenza, perché è un diritto individuale, soggettivo, che deve essere tutelato, tanto che con queste pratiche siamo riusciti a far uscire molte persone dalla strada. Certo, nel momento in cui una persona prende la residenza, se ha dei debiti, il creditore glieli può chiedere. E’ una cosa, però, molto, molto relativa. Intanto, perché se uno non ha soldi e vive in un dormitorio o in strada, gli si può chiedere qualsiasi cosa, ma non si ottiene nessun risultato, non avendoceli. In secondo luogo, molti di questi debiti possono essere cancellati, per tantissimi motivi.
D. – In che modo riuscite a farvi conoscere da persone ormai ai margini della società e dai suoi canali di comunicazione?
R. – Noi apriamo uno sportello di avvocato di strada solamente all’interno di associazioni di volontariato laiche o cattoliche, che però si occupino realmente delle persone senza dimora. L’associazione, quindi, fa da tramite tra lo sportello, che è un servizio a bassa soglia, senza filtri e aperto a tutti, e la strada. Inoltre, quando apriamo uno sportello, lo apriamo all’interno di un’associazione, ma è un servizio per tutta la città, per i servizi sociali e per tutte le altre associazioni e, quando lo apriamo, cerchiamo nel nostro piccolo di pubblicizzare questo evento, organizzando una presentazione pubblica dello sportello di avvocato di strada e invitando tutte le associazioni di volontariato del territorio che si occupano delle persone senza dimora. Poi, c’è l’altro mezzo di diffusione della notizia, che è il tam tam tra le persone che sono in strada, che effettivamente funziona, perché quando si rendono conto che è un servizio utile all’uscita dalla strada, e non solo alla tutela dei diritti, le persone arrivano.
Libertà religiosa: domani a Istanbul delegazioni della Chiesa cattolica e ortodossa
◊ “Il fondamento del diritto della libertà religiosa viene dal profondo della dignità della persona umana. È pertanto un diritto fondamentale della persona, del suo rapporto con Dio e questo significa che non è soltanto un diritto che qualcuno o uno Stato o le Nazioni Unite possono conferire ma appartiene alla natura umana”. È mons. Duarte da Cunha, segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali europee, a delineare all'agenzia Sir Europa il “messaggio” che le Chiese d’Oriente e di Occidente vogliono lanciare domani da Istanbul in occasione di un seminario di studio su “La libertà religiosa oggi. L’editto di Milano dell’imperatore Costantino: 1700 anni dopo”. Dopo la intensa tre giorni di Milano, è il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli a promuovere l’evento in collaborazione con il Ccee. Giungeranno ad Istanbul due delegazioni rappresentanti le Chiese ortodosse e la Chiesa cattolica del continente europeo. Faranno parte della delegazione cattolica oltre al presidente del Ccee Cardinale Péter Erdő, anche mons. Youssef Soueif, arcivescovo Maronita di Cipro, mons. Maroun Elias Lahham, vescovo ausiliare e vicario del Patriarcato latino di Gerusalemme per la Giordania che porterà la testimonianza della situazione dei cristiani in Medio Oriente e il vescovo francese di Dijon, mons. Roland Minnerath. “Credo - dice mons. Da Cunha - che i cristiani siano consapevoli di questo diritto fondamentale della dignità della persona umana e vogliono pertanto dare il loro contributo in quanto Chiese perché non si tratta di difendere un’esigenza ma di riconoscere e far riconoscere qualcosa che appartiene alla dignità della persona”. L’incontro di domani a Istanbul ha inoltre una importante valenza ecumenica. “Il fatto che sia promosso dal Patriarca ecumenico Costantinopoli e il fatto che abbia voluto celebrare i 1700 anni dell’editto di Milano a Istanbul invitando il Ccee non solo ad essere presente ma a collaborare e a portare una delegazione della Chiesa cattolica è segno che i rapporti tra ortodossi e cattolici, sono fecondi soprattutto quando si parla di questioni essenziali e comuni come la libertà religiosa e i diritti umani”. (R.P.)
Nigeria: assassinato il segretario generale della “Christian Association of Nigeria”
◊ Il Segretario generale della “Christian Association of Nigeria” (Can, associazione che riunisce le principali confessioni cristiane nigeriane tra le quali la Chiesa cattolica), il rev. Faye Pama Mussa, è stato assassinato la sera del 13 maggio nella sua abitazione a Maiduguri da uomini armati sospettati di essere membri della setta islamista Boko Haram, responsabile da anni di attentati terroristici e attacchi armati. Secondo il quotidiano nigeriano "This Day”, l’esponente religioso cristiano, che era anche presidente di una chiesa pentecostale, sarebbe stato ucciso a distanza ravvicinata da due uomini, mentre tentava di fuggire. Un collaboratore dell’Ufficio stampa del Can, il pastore Ayo Oritsajafor, ha confermato l’accaduto precisando che la notizia è stata accolta con profondo dolore dal presidente dell’associazione. L’uccisione è avvenuta appena mezz’ora dopo che il presidente nigeriano, Goodluck Jonathan, aveva dichiarato lo stato d’emergenza negli Stati settentrionali di Borno, Yobe, et Adamawa, dove si è registrata un’escalation della violenza da parte di Boko Haram. Nei tre Stati, i più devastati dal conflitto che oppone le forze dell’ordine nigeriane ai miliziani islamisti, in meno di quattro anni sono state uccise oltre 3mila persone. (L.Z.)
Siria. L’arcivescovo Hindo: le “milizie anti-Assad fanno pagare forti pedaggi"
◊ “Le milizie del Free Syrian Army e i gruppi jahidisti fanno pagare pesanti pedaggi a tutti i mezzi provenienti dalle aree di Damasco e di Aleppo che trasportano merci. Dicono che quei soldi servono per comprare le armi, sono come 'tangenti per la rivoluzione'. Per questo adesso i prezzi dei viveri nelle nostre città e nei nostri villaggi sono quasi decuplicati”. Così riferisce all'agenzia Fides l'arcivescovo Jacques Behnan Hindo, titolare della arcieparchia siro-cattolica di Hassaké-Nisibi, nella provincia mesopotamica di Jazira. Nella regione – che comprende i centri urbani di Hassakè e Kamishly – il confronto militare tra esercito governativo e milizie anti-Assad vive una fase di stallo. Ma le aree circostanti sono controllate dai gruppi dell'opposizione, e le vie di comunicazione verso Aleppo e Damasco sono interrotte. “Al momento, anche qui la piaga dei rapimenti è quella che causa più sofferenza per tante famiglie. Negli ultimi mesi tra Hassakè e Kamishly ci sono stati più di cento rapimenti. Ad un certo punto io stesso ho smesso di tenere il conto. Molti dei rapiti sono ancora nelle mani dei sequestratori” racconta preoccupato a Fides mons. Hindo. Nonostante tutto, l’arcivescovo mantiene viva qualche speranza nelle recenti iniziative internazionali, messe in campo per tentare una soluzione politica del conflitto siriano: “Adesso – dichiara a Fides – tutti mettono sul tavolo pretese esagerate. Mi auguro che col tempo si trovi la via del compromesso. Una soluzione può arrivare solo se gli agenti internazionali, a partire dagli Stati Uniti e dalla Russia, sapranno mettere tra parentesi i rispettivi interessi e terranno conto delle attese e delle sofferenze reali vissuti dal nostro popolo”. (R.P.)
Cina: dopo oltre 50 anni celebrata la Messa nella cattedrale ortodossa di Shanghai
◊ Centinaia di fedeli hanno partecipato ieri a Shanghai, alla divina liturgia officiata dal patriarca di Mosca, Kirill, nella cattedrale ortodossa della Madre di Dio "Garante dei peccatori". Si è trattato - riferisce l'agenzia AsiaNews - della prima funzione religiosa svoltasi nella chiesa in oltre 50 anni. "E' significativo che questo avvenga nel periodo pasquale", ha detto il Patriarca, che conclude così la sua "storica" visita in Cina. La prima di un leader religioso russo nel Paese. La rinascita di questa chiesa - ha aggiunto, citato da Interfax - "è parte della rinascita della Cina e della grande nazione cinese". Il capo della Chiesa russo-ortodossa - che sta cercando di riaffermare la sua influenza sulla comunità ortodossa nella Repubblica popolare - ha poi ringraziato tutti i fedeli, che hanno contribuito alla vita di questa chiesa e "specialmente i due sacerdoti che hanno prestato servizio nella cattedrale 50 anni fa". La costruzione della cattedrale di Shanghai è iniziata nel maggio del 1933. A lanciare una raccolta fondi era stato l'allora arcivescovo Simon (Vinogradov). La chiesa è stata terminata nel 1937 e può ospitare circa 2.500 persone. Era motivo di orgoglio per gli immigrati russi, che la chiamavano "il Cremlino dell'ortodossia cinese". Le funzioni religiose sono state interrotte negli anni della Rivoluzione culturale e da allora non sono mai più riprese. L'edificio è stato nazionalizzato e riconvertito in un magazzino. Al suo interno ospita ora un museo. Al momento, la cattedrale è controllata dal comune di Shanghai. L'ortodossia non rientra nelle cinque religioni riconosciute ufficialmente dalla Cina. Il governo permette ai fedeli ortodossi, in gran parte discendenti di emigrati russi, di riunirsi per la messa nel consolato della Federazione russa a Shanghai o saltuariamente nella più piccola chiesa di San Nicola, che negli anni '90 era usata come ristorante. Molti dei partecipanti alla funzione religiosa hanno espresso il desiderio che la cattedrale venga presto restituita alla comunità. "Nutriamo questa speranza - ha detto alla Afp la studentessa Ira Pererva - la questione è stata trattata ai massimi livelli, ma ancora senza risultato". Secondo una fonte diplomatica, citata dall'agenzia francese, l'amministrazione comunale di Shanghai teme di fare concessioni che possano portare alla rivendicazione di altre proprietà religiose. Anche la comunità ebraica cittadina mira a ottenere almeno un maggiore accesso alle rimanenti sinagoghe. (R.P.)
Sudan: 25 morti nell’ennesimo bombardamento sui Monti Nuba
◊ Un nuovo massiccio bombardamento su un villaggio sui Monti Nuba, da parte dell’aviazione sudanese ha provocato 25 morti e 8 feriti. Lo riporta il Sudan Catholic Radio Network, secondo il quale nella mattina del 15 maggio aerei sudanesi hanno sganciato 13 bombe sul villaggio di Kawalib. Oltre ai morti e ai feriti, il bombardamento ha provocato la distruzione di una ventina di abitazioni e la perdita di diversi capi di bestiame. Lo stesso giorno un altro bombardamento è stato effettuato sui villaggi di Kauda e Kumo, provocando la morte di una persona. Gli abitanti dell’area affermano che i bombardamenti degli Antonov sudanesi (che in realtà sono aerei da trasporto convertiti in bombardieri rudimentali) avvengono su base regolare e lanciano un appello alla comunità internazionale perché intervenga per proteggere i civili. I Monti Nuba fanno parte del Sud Kordofan, dove da tempo è in corso una guerra tra il governo di Khartoum e l’Spla-Nord (Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese-Nord). L’agenzia Fides ha più volte rilanciato gli appelli mons. Macram Max Gassis, vescovo di El Obeid, per fermare questa guerra dimenticata. (R.P.)
Messico: povertà e disoccupazione per circa 13 milioni di donne
◊ Oltre 1 milione e 200 mila madri messicane di origini contadine sono diventate capi famiglia in seguito all’emigrazione dei rispettivi mariti e figli maggiori partiti alla ricerca di opportunità di lavoro nelle città. Rimanendo da sole, vengono sfruttate nelle fabbriche e private dei loro diritti fondamentali. Secondo la Confederazione Nazionale Contadina (Cnc), le più colpite da disoccupazione, povertà e aumento dei prezzi, sono circa 13 milioni di donne che vivono nelle comunità rurali. Di queste solo a 610 mila vengono riconosciuti i diritti sulla terra. In realtà, la popolazione femminile rappresenta appena il 14.2% dei quasi 3.5 milioni di titolari di diritti agrari in Messico. La Cnc ha dichiarato inoltre che nelle zone rurali il 37.7% delle donne fino a 24 anni di età soffre di povertà alimentare; quelle di fascia tra 25 e 44 anni, sono il 34.8%; da 45 a 64 anni, il 31.1%, e dai 65 in poi, sono il 32.2%. Stando alle stime della Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (Cepal), una madre messicana che vive in zone rurali lavora il 53% in più rispetto agli uomini e quattro ore in più rispetto a quelle che vivono nelle aree urbane. Nonostante ciò, i loro stipendi sono minimi e insufficienti a causa dei recenti aumenti dei prezzi fino al 400% rispetto al 2012, dei generi di prima necessità come uova, pomodori, peperoni. (R.P.)
Cile: il vescovo di Rancagua sui candidati alle prossime elezioni
◊ "Oggi il Paese possiede una formazione che anni fa non aveva, i social network hanno provocato un’enorme trasformazione culturale, e quelli che desiderano governare il Paese devono tener conto di questo” così si è espresso mons. Alejandro Goic Karmelic, vescovo di Rancagua e vicepresidente della Conferenza episcopale del Cile, a proposito delle prossime elezioni presidenziali. “I candidati - ha aggiunto mons. Goic Karmelic - devono anche presentare un progetto nazionale che riesca ad entusiasmare la stragrande maggioranza dei cileni". Mons. Goic Karmelic, ha parlato a lungo con i giornalisti nel contesto delle celebrazioni dei 50 anni della parrocchia della Madonna di Fatima a Punta Arenas (Sud del Cile) e dove è stato parroco 44 anni fa. Nella nota inviata all'agenzia Fides, egli ha osservato inoltre che nella prossima campagna politica, il cosiddetto "stipendio etico" deve essere un altro problema da discutere, “perché ciò che manca in Cile è una più equa distribuzione del reddito. Gli specialisti e gli studi lo dicono: questo è uno dei Paesi più diseguali della terra perché ci sono pochi che guadagnano tanto e molti che guadagnano poco, così come possiamo rendere una società più equa?, ha sottolineato il vescovo di Rancagua. "Dobbiamo metterci al posto dei poveri e pensare che un lavoratore con una famiglia di 4 o 5 figli, come farà a vivere con quello che oggi si chiama salario minimo?", ha concluso mons. Goic Karmelic. Le elezioni presidenziali in Cile si terranno il 17 novembre di questo anno, ma già è iniziata la scelta dei candidati da parte dei partiti. (R.P.)
Milano: incontro sui diritti e doveri dei cittadini europei
◊ In Europa è riconosciuto il mio titolo di studio? Se sì, come? Cosa posso mettere con sicurezza nel piatto nei vari Paesi? Come funziona l’assistenza sanitaria in Ue? Chi mette in campo le politiche sociali per migliorare la qualità dell'aria a livello europeo? La risposta a ognuna di queste domande esiste e conoscerla dovrebbe essere un diritto e un dovere di ogni cittadino dell’Unione europea. Su questo e molto altro si discuterà nella tappa milanese di “Europa in Città”, domani mattina 17 maggio, nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano, in via Conservatorio 7. L’incontro tra europarlamentari e cittadini, dedicato al tema “Anno europeo dei cittadini: diritti e doveri”, è molto in linea con le finalità dell’Anno europeo dei cittadini (quale è stato ufficialmente proclamato il 2013), ovvero rafforzare la consapevolezza e la conoscenza dei diritti e delle responsabilità connessi alla cittadinanza dell’Unione, con l’obiettivo di permettere ai cittadini europei di esercitare pienamente i propri diritti, e incrementare la comprensione reciproca tra loro, le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri. Sono oltre trenta i settori tematici su cui l’Unione europea legifera e ognuno di loro influenza in modo concreto la nostra vita, solo che nessuno, o quasi, ne è davvero consapevole. Prendere finalmente coscienza di essere parte di una Comunità reale che da vent'anni implica l’appartenenza a una cittadinanza allargata, imparare a interagire con lei e a conoscerne l'effettiva influenza sulla nostra quotidianità e i diritti comporta è l'obiettivo principale dell'iniziativa “Europa in Città” 2013 che, inaugurati i lavori a Pescara il 19 aprile scorso, tocca le cinque circoscrizioni del Paese, con l’intento di fornire uno strumento in più di conoscenza delle istituzioni europee in vista delle elezioni del 2014. L’iniziativa è aperta a tutti e si rivolge con particolare attenzione ai giovani. L'abbattimento delle barriere fisiche tra uno Stato europeo e l'altro e la conseguente possibilità di spostarsi in piena libertà che, specie ai ragazzi, può apparire quasi un dato scontato è in realtà il frutto di un lungo e faticoso cammino. Un percorso che ora più che mai deve proseguire nella costruzione di una identità europea forte e consapevole, capace di contrastare gli spettri dell’euroscetticismo. Proprio in quest’ottica trova il suo significato più alto “Europa in città” che, portando le istituzioni europee tra i cittadini, si impegna a promuovere il dialogo e la partecipazione. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 136