Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 14/05/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: non isoliamoci nell’egoismo, chi dona la vita per amore non è mai solo
  • Il Pontificato di Papa Francesco consacrato alla Vergine di Fatima
  • Nomina episcopale in Cile di Papa Francesco
  • Il vescovo ausiliare di Buenos Aires: lo stile di Papa Francesco, una Chiesa tra la gente
  • Presentato il padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia. Il card. Ravasi: ricostruire dialogo tra arte e fede
  • 20.mo del Catechismo: Nato dalla Vergine Maria
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Diplomazie in stallo sulla Siria in attesa della Conferenza di pace a Ginevra
  • Libia. Condanna per l'attentato di Bengasi. Gli Usa spostano 500 soldati a Sigonella
  • Bangladesh: sospese le ricerche dei sopravvissuti al crollo a Dacca
  • Censis: aumentano servizi di assistenza familiare alla persona, urge riforma del welfare
  • Bartolomeo I in visita a Bose. Il priore Enzo Bianchi: l’ecumenismo non è un’opzione
  • Storica visita del Patriarca Kirill a Pechino. Giovagnoli: colmato distacco di decenni
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Usa: nel 2012 in ulteriore calo le denunce di abusi secondo l’ultimo Rapporto annuale
  • Rapporto Icg: i rifugiati siriani mettono a rischio il fragile equilibrio libanese
  • Iraq: continua l’esodo dei cristiani
  • Myanmar: naufragio di un'imbarcazione con decine di sfollati Rohingya
  • Il cardinale Filoni all’Assemblea delle Pontificie Opere Missionarie
  • Il presidente delle Pom: incrementare l'azione missionaria delle Chiese di antica tradizione
  • Sud Corea. L'arcivescovo di Seul ai buddisti: “Diventiamo insieme segno di pace e condivisione”
  • India. Accuse di “conversioni forzate”: estremisti indù contro i cristiani in Kerala
  • Brasile: l’India al centro della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
  • L'arcivescovo di Rio consacra la Gmg alla Madonna di Fatima
  • Nepal. Associazione dei medici: no all'aborto e alla cultura della morte
  • Messico: “Non utilizzate la Chiesa per interessi politici” ammonisce il vescovo di Veracruz
  • Sudafrica: nuove tensioni nelle miniere di platino sudafricane
  • Angola: il governo esorta i leader cristiani a combattere la proliferazione delle sette illegali
  • I vescovi lituani: Convenzione Ue contro la violenza sulle donne promuove l’ideologia di genere
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: non isoliamoci nell’egoismo, chi dona la vita per amore non è mai solo

    ◊   Abbiamo bisogno di un "cuore largo" che sia capace di amare. E’ quanto affermato, stamani, da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha messo in guardia dall’atteggiamento dell’egoismo che, come accade con Giuda, porta all’isolamento della propria coscienza e infine al tradimento di Gesù. Alla Messa, concelebrata dall’arcivescovo di Medellín, Ricardo Antonio Tobón Restrepo, ha preso parte un gruppo di dipendenti dei Musei Vaticani e alcuni alunni del Pontificio Collegio portoghese. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Se vogliamo davvero seguire Gesù, dobbiamo “vivere la vita come un dono” da dare agli altri, “non come un tesoro da conservare”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che, nella sua omelia, si è soffermato sulla contrapposizione tra la strada dell'amore e quella dell'egoismo. Gesù, ha affermato, ci dice oggi una parola forte: “Nessuno ha un amore più forte di questo: dare la sua vita”. Ma la liturgia odierna, ha osservato, ci mostra anche un’altra persona: Giuda, “che aveva proprio l’atteggiamento contrario”. E questo, ha spiegato, perché Giuda "mai ha capito cosa sia un dono":

    “Pensiamo a quel momento della Maddalena, quando lava i piedi di Gesù con il nardo, tanto costoso: è un momento religioso, un momento di gratitudine, un momento di amore. E lui, si distacca e fa la critica amara: ‘Ma questo potrebbe essere usato per i poveri!’. Questo è il primo riferimento che ho trovato io, nel Vangelo, della povertà come ideologia. L’ideologo non sa cosa sia l’amore, perché non sa darsi”.

    Giuda, ha osservato Papa Francesco, era “staccato, nella sua solitudine” e questo atteggiamento dell’egoismo è cresciuto “fino al tradimento di Gesù”. Chi ama, ha aggiunto, “dà la vita come dono”; l’egoista invece “cura la sua vita, cresce in questo egoismo e diventa un traditore, ma sempre solo”. Chi, invece, “dà la vita per amore, mai è solo: sempre è in comunità, è in famiglia”. Del resto, ha avvertito il Papa, colui che “isola la sua coscienza nell’egoismo” alla fine “la perde”. E così è finito Giuda che, ha detto, “era un idolatra, attaccato ai soldi”:

    “E questa idolatria lo ha portato a isolarsi dalla comunità degli altri. Questo è il dramma della coscienza isolata: quando un cristiano incomincia ad isolarsi, anche isola la sua coscienza dal senso comunitario, dal senso della Chiesa, da quell’amore che Gesù ci dà. Invece, quel cristiano che dona la sua vita, che la 'perde', come dice Gesù, la trova, la ritrova, in pienezza. E quello, come Giuda, che vuole conservarla per se stesso, la perde alla fine. Giovanni ci dice che ‘in quel momento Satana entrò nel cuore di Giuda’. E, dobbiamo dirlo: Satana è un cattivo pagatore. Sempre ci truffa: sempre!”.

    Gesù invece ama sempre e sempre si dona. E questo suo dono dell’amore, ha detto Papa Francesco, ci spinge ad amare “per dare frutto. E il frutto rimane”. Quindi, ha concluso l’omelia con un’invocazione allo Spirito Santo:

    “In questi giorni di attesa della festa dello Spirito Santo, chiediamo: Vieni, Spirito Santo, vieni e dammi questo cuore largo, questo cuore che sia capace di amare con umiltà, con mitezza ma sempre questo cuore largo che sia capace di amare. E chiediamogli questa grazia, allo Spirito Santo. E che ci liberi sempre dall’altra strada, quella dell’egoismo, che alla fine finisce male. Chiediamo questa grazia”.

    inizio pagina

    Il Pontificato di Papa Francesco consacrato alla Vergine di Fatima

    ◊   Il cardinale patriarca di Lisbona, José Policarpo, ha consacrato ieri a Fatima il Pontificato di Papa Francesco alla Vergine Maria, secondo quanto richiesto dallo stesso Pontefice. Lo riferisce l’agenzia cattolica portoghese Ecclesia. All’avvenimento, nel 96.mo anniversario delle apparizioni della Madonna ai tre pastorelli, hanno preso parte quasi 300 mila fedeli. In un messaggio letto, nell’occasione, dal vescovo di Leiria-Fatima, mons. Antonio Marto, Papa Francesco ha espresso “la sua gratitudine per l’iniziativa e il suo profondo riconoscimento per l’esaudimento del suo desiderio”. Il Papa si è unito in preghiera ai pellegrini di Fatima, “impartendo di tutto cuore la sua benedizione apostolica”. (A.G.)

    inizio pagina

    Nomina episcopale in Cile di Papa Francesco

    ◊   In Cile, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Temuco, presentata da mons. Manuel Camilo Vial Risopatrón per sopraggiunti limiti di età. Il Santo Padre ha nominato vescovo di Temuco mons. Héctor Vargas Bastidas, S.D.B., finora vescovo di San Marcos de Arica.

    inizio pagina

    Il vescovo ausiliare di Buenos Aires: lo stile di Papa Francesco, una Chiesa tra la gente

    ◊   Due mesi fa, il 13 marzo, veniva eletto al Soglio di Pietro il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, con il nome di Francesco. Il suo sorriso, la sua spontaneità e il suo farsi vicino per testimoniare Gesù Cristo, hanno preso corpo, in mille modi, in questi due mesi, nei suoi gesti e nelle sue parole che tanto hanno colpito il mondo. A conoscere bene Papa Francesco, da 21 anni, è l’arcivescovo ausiliare di Buenos Aires, mons. Eduardo Garcia. Debora Donnini gli ha chiesto cosa l’abbia colpito di più del cardinale Bergoglio in questi anni:

    R. – Quizá lo que mas me llamò la atención...
    Quello che forse mi ha sempre colpito è il suo “basso profilo” di fronte a qualsiasi avvenimento: cercare non il luogo più noto, ma quello più semplice. Persino quando è diventato vicario generale dell’arcidiocesi, la carica più importante dopo l’arcivescovo, ha mantenuto questa condotta di non primeggiare. Quello che più mi colpisce è che si tratta di una persona con un così “basso profilo”, ma con una profondità spirituale così forte, così grande.

    D. – “Tenerezza” e “misericordia” sono due parole molto importanti per Papa Francesco. “Misericordia” l’ha usata nel primo Angelus e “tenerezza” nella Messa d’inizio Pontificato. Per lei, questi sono due tratti fondamentali di Papa Francesco?

    R. – Sì, creo que definen tambien...
    Sì, credo che definiscano anche il suo rapporto con Dio. Lui sperimenta la misericordia di Dio, sperimenta la tenerezza di un Dio che si avvicina a noi con il calore di un padre e di una madre, perché hanno questo sguardo di tenerezza, il loro cuore è così semplice e sono capaci di esercitare questa misericordia, che è perdono, compagnia, aiuto. Credo che queste parole hanno definito una grande quantità di suoi messaggi ed anche delle sue azioni. Durante il periodo passato a Buenos Aires, come arcivescovo, cercava sempre di conciliare le situazioni, senza mai portarle all’estremo, perché la sua esperienza è che Dio ci accompagna, ci segue, ci sostiene, conosce i nostri tempi e aspetta sempre una risposta, un cambiamento, un atteggiamento nuovo.

    D. – La concezione che ha del suo ministero, si può concepire come un servizio al popolo di Dio?

    R. – Creo que antes del servicio...
    Credo che prima che come servizio, lui veda il suo ministero come una paternità, perché sperimenta sul popolo di Dio la paternità di Dio come padre. Quindi quando uno ama con questo cuore di padre, può servire in maniera semplice. Se sperimenta, infatti, questa paternità di Dio, sperimenta anche questa paternità sul suo popolo. Il servizio, dunque, nasce giustamente dalla paternità.

    D. – Nella prima udienza generale, Papa Francesco ha invitato ad andare nelle periferie dell’esistenza e ad aprire le porte delle parrocchie. Cosa significa questo e cosa ha fatto lui in questo senso a Buenos Aires, per esempio?

    R. – Claro, bueno eso es un camino...
    Chiaramente, è una strada che abbiamo percorso a Buenos Aires negli ultimi dieci anni. Una Chiesa che esce è una Chiesa che sta dove si trova la gente. Una delle proposte della pastorale della nostra Chiesa è durante la Settimana Santa quando le persone fanno della città un santuario, dove si sperimenta la presenza di Dio. Usciamo per le strade, per mostrare la fede con i nostri gesti, con un atteggiamento missionario. Per Papa Francesco la nuova evangelizzazione ha un nome: missione. Come all’origine della Chiesa, bisogna stare dove si trova la gente, condividendo la vita e manifestando lì il nostro sentire e il nostro credere: una Chiesa con le porte aperte non solo per ricevere chi viene, ma per andare incontro alla gente; non per catturare la gente, ma per contagiarla con l’esperienza della fede.

    D. – Quindi, Papa Francesco desidera che la Chiesa in sé e che i cristiani come tali vivano sempre una dimensione missionaria in due sensi: quello di camminare insieme e di annunciare Gesù Cristo, con un’attitudine costante...

    R. – Como una cosa que vale...
    Come una cosa che vale sempre. Bisogna pensare a tutta la nostra attività di Chiesa ed anche alla nostra vita cristiana in questa dimensione missionaria e non solamente in una dimensione intima della fede. Pensare, quindi, la vita abituale della nostra parrocchia, la catechesi, la liturgia, l’azione sociale, in questa dimensione missionaria, che è fondamentalmente incontro con gli altri. E l’annuncio si dà in questo incontro, perché quando s’incontra qualcuno, ognuno porta quello che ha e quello che è. Quindi, quando usciamo per incontrare gli altri, se crediamo veramente, la fede si manifesta. Quello che vediamo di Papa Francesco è quello che è, lui mostra quello che ha sempre vissuto come sacerdote, come vescovo tra di noi e questo è quello che rende tanto genuini i suoi gesti. Come Papa sta facendo quello che ha fatto sempre come sacerdote, come vescovo, con questo regalo che gli ha dato in questo momento il Signore: la grazia di un’allegria che si nota, un’allegria molto evidente.

    inizio pagina

    Presentato il padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia. Il card. Ravasi: ricostruire dialogo tra arte e fede

    ◊   Il dialogo tra fede e arte contemporanea può far leva su un nuovo, prezioso strumento: il padiglione della Santa Sede alla 55.ma edizione della Biennale d’arte di Venezia, in programma dal primo giugno prossimo al 24 novembre. Lo spazio espositivo è stato presentato questa mattina nella Sala Stampa della Santa Sede. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Per la prima volta un padiglione della Santa Sede approda alla Biennale di Venezia. Rilevante l’obiettivo di questa presenza, come sottolinea il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura:

    “Quello di ricostruire effettivamente un dialogo interrotto, una sorta di divorzio, non sempre consensuale, che si è consumato tra arte e fede, soprattutto nel secolo scorso. Non fu, questo divorzio, totale e assoluto ma si continuarono a tenere i rapporti. Gli ‘alimenti’ furono ancora passati da una parte e dall’altra, e noi – nella Biennale di Venezia – vogliamo tentare un dialogo autentico, tra la componente religiosa e dall’altra parte, con un’arte che ha una nuova grammatica espressiva. Ecco, per questo motivo riteniamo che sia particolarmente significativa questa esperienza, che si riconnette all’antichissima, grande tradizione dell’arte e della fede, sorelle tra loro nel cammino della cultura”.

    La presenza della Santa Sede alla Biennale può anche aprire nuove opportunità al mondo dell’arte contemporanea. Il prof. Paolo Baratta, presidente della Biennale di Venezia:

    “L’arrivo della Santa Sede, in questa fase, può essere molto importante, proprio perché può contribuire in modo del tutto particolare a quell’attenzione speciale, a quell’attenzione selettiva che è più che mai necessaria di fronte a questo positivo dilagare dell’arte contemporanea. Può essere anche uno stimolo per una qualificata – molto qualificata – committenza”.

    Il padiglione della Santa Sede, vicino a quello dell’Argentina, propone un ventaglio di opere. La prima, nel percorso espositivo, è un trittico di un artista del Novecento. Il prof. Antonio Paolucci, direttore dei Muesi Vaticani:

    “A darci il benvenuto, c’è questo capolavoro di un artista italiano del Novecento, Tano Festa. Un trittico è l’incipit della mostra che Tano Festa presenta nella Biennale veneziana del 1964, quarto centenario della morte di Michelangelo Buonarroti. Ecco l’aggancio alla volta della Sistina. Quindi da lì si parte”.

    Come tema è stato scelto il racconto presente nel primo libro della Bibbia, la Genesi. La dottoressa Micol Forti, direttrice della Collezione arte contemporanea dei Musei Vaticani:

    “Tre sono i momenti che abbiamo voluto offrire alla riflessione, ma anche alla lettura proprio degli artisti a partire dal testo biblico: il momento della Creazione, il momento del disordine o del caos e il momento di una nuova nascita, di una nuova speranza, di una nuova umanità”.

    I costi sostenuti sono a carico degli sponsor. Mons. Pasquale Iacobone del Pontificio Consiglio della cultura:

    “Abbiamo suddiviso i costi in due voci fondamentali: i costi per la realizzazione istituzionale, quindi quello che come Santa Sede noi diamo come contributo alla Biennale di Venezia per l’acquisizione del padiglione di quest’anno, e un costo che complessivamente copre tutte le altre spese: dalla realizzazione delle opere all’allestimento, al settore comunicazioni e quant’altro. Il tutto è contenuto in una cifra globale di 750 mila euro”.

    inizio pagina

    20.mo del Catechismo: Nato dalla Vergine Maria

    ◊   "Maria è veramente Madre di Dio": è quanto ribadisce il Catechismo della Chiesa Cattolica, nelle pagine dedicate alla Vergine Maria. Proprio sul Mistero della maternità e verginità di Maria si concentra la 26.ma puntata del ciclo di riflessioni del gesuita, padre Dariusz Kowalczyk, ideato a 20 anni dalla pubblicazione del Catechismo:

    Professiamo che la seconda persona della Trinità si è fatta uomo. Il Figlio eterno del Padre si è incarnato essendo concepito nel seno della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo. In questo contesto il Catechismo fa notare che “ciò che la fede crede riguardo a Maria si fonda su ciò che essa crede riguardo a Cristo” (n. 487). Se dunque la Chiesa professa che Gesù Cristo è una persona divina con due nature: divina e umana, allora – di conseguenza – professa anche che “Maria è veramente Madre di Dio (Theotokos)” (CCC, 495). Ovviamente parliamo della Madre di Dio in quanto Dio si fece uomo in un momento concreto della storia.

    La Chiesa celebra Maria anche come la “sempre Vergine”, cioè professa la verginità reale e perpetua di Maria. Il Catechismo spiega che il concepimento verginale sia “il segno che si tratta veramente del Figlio di Dio” (n. 496). Poi, la maternità verginale di Maria “manifesta l’iniziativa assoluta di Dio nell’Incarnazione” (n. 503). La verginità indica anche la nostra nuova nascita per la vita eterna che non proviene “da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio” (Gv 1,13) (cfr. CCC, 505).

    L’Angelo saluta Maria come “piena di grazia”. Nel corso dei secoli la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo verso la verità tutta intera, ha preso coscienza che questo essere colmata pienamente di grazia significhi anche l’immacolata concezione di Maria. La Madre di Dio – in vista dei meriti del suo Figlio – “è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale” (CCC,491).

    In questo modo Dio ha scelto Maria perché diventi la Madre di suo Figlio. Maria però non è stata programmata come se non avesse la scelta. Ella ha dato, infatti, una sua libera risposta “Io sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,37-38).

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Si complica la strada verso la conferenza sulla Siria: in prima pagina, gli sviluppi diplomatici della crisi in Vicino Oriente.

    Nel Nord Kivu le nuove truppe dell'Onu: nell'informazione internazionale, il dispiegamento a Goma delle prime truppe per fermare le violenze.

    L’arte e il Principio: in cultura, la prima partecipazione della Santa Sede alla Biennale di Venezia. Sul tema, un articolo del cardinale Gianfranco Ravasi dal titolo “Occasioni di dialogo”.

    Omelie per gli amici: l'anticipazione di tre brani tratti dal volume XII dell’Opera omnia di Joseph Ratzinger, appena uscito in libreria.

    Gli ebrei, i re e i Papi: pubblicata in italiano una conferenza di Yosef Hayim Yerushalmi.

    Senza più radici: nel servizio religioso, Giovanni Zavatta sulla Chiesa in Colombia e il dramma degli sfollati.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Diplomazie in stallo sulla Siria in attesa della Conferenza di pace a Ginevra

    ◊   La Siria è pronta a collaborare con Ankara ad una inchiesta comune e trasparente sul duplice attentato che sabato scorso ha provocato una cinquantina di morti nel sud della Turchia, a tre chilometri dal confine siriano, e per il quale sono state fermate 13 persone. Di una prossima vendetta “in modo proporzionato” ha parlato il premier turco Erdogan, confermando che le indagini portano a un gruppo turco legato al regime di Damasco. Il regime siriano, nel frattempo, aspetta di conoscere i dettagli della Conferenza di pace, forse a Ginevra i primi di giugno, prima di decidere se aderire o meno, mentre un nuovo vertice dei cosiddetti “Amici della Siria” si terrà la prossima settimana ad Amman, in Giordania, proprio per preparare l’appuntamento di Ginevra. Francesca Sabatinelli ha intervistato Stefano Tonelli, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale:

    R. - Evidentemente, non è ancora chiaro in cosa consisterà questa Conferenza internazionale: non è chiaro, per esempio, quali saranno le differenze con l’attuale consesso internazionale che è quello degli “Amici della Siria”, e non è ancora chiaro neanche quali saranno i veri protagonisti e i partecipanti a questa Conferenza. Il Comitato nazionale siriano, che un po’ raggruppa tutti i ribelli contro il regime di Assad, ha fatto chiaramente intendere che qualora non fosse reso esplicito nelle intenzioni di questa Conferenza di cacciare Assad, o comunque di immaginare un futuro senza Assad per la Siria, non è disposto a partecipare.

    D. - Che è poi la posizione della Turchia e di alcuni Paesi arabi, come l’Egitto, l’Arabia Saudita e il Qatar: nessuno intende accettare una transizione politica in Siria con la presenza di Bashar al-Assad...

    R. - Gli attori regionali sembrano essere molto più propensi a una risoluzione anche armata, come stanno dimostrando nel conflitto, e molto più intenzionati a far sì che il regime di Assad cada o, nel caso di altri attori internazionali come l’Iran, che il regime di Assad resti. E’ chiaro come le potenze e gli attori regionali sentano molto più vicino questo conflitto e partecipino poi, in un modo o nell’altro, al conflitto molto più di attori internazionali per i quali le ripercussioni del conflitto siriano, per il momento, sono comunque abbastanza indirette.

    D. - Prendiamo la posizione degli Stati Uniti: dopo l’incontro con il premier britannico Cameron, il presidente Obama ha ribadito come la linea rossa sia indicata dall’uso o meno di armi chimiche. Queste sono dichiarazioni che sono in ballo ormai da settimane…

    R. - Sì. La famosa "linea rossa" che Obama aveva tracciato, oltre la quale - si diceva - non si sarebbe potuto tollerare ancora l’azione repressiva del regime di Assad, non si capisce neanche bene se sia stata superata realmente o no. Pochissimi giorni fa, settimane fa, gli Stati Uniti hanno ufficialmente accusato il regime di Assad di aver effettivamente fatto ricorso alle armi chimiche e molti analisti e osservatori hanno fatto notare che forse non è stato un caso che soltanto un paio di giorni dopo sia stato compiuto il famoso raid da parte di Israele all’interno della Siria - quasi un "messaggio", per interposta persona, da parte degli Stati Uniti. Certo è che, nonostante tutto e nonostante le minacce anche e gli avvertimenti fatti da Washington, sembra abbastanza chiaro che in questo momento gli Stati Uniti non abbiano intenzione di intervenire direttamente nel conflitto. Una delle motivazioni principali è quella di carattere strategico-economico: negli ultimi dieci anni, gli Stati Uniti si sono già impegnati su due fronti - quello iracheno e quello afghano - e le perdite umane, ma anche le risorse in termini finanziari ed economici spese sono state tante, al punto tale che gli Stati Uniti oggi non potrebbero permettersi il coinvolgimento in un altro conflitto. La mediazione più efficace potrebbe essere soltanto quella - evidentemente - con la Russia, che a livello internazionale è quella che è più di tutti è restia ad abbandonare completamente il regime di Assad.

    D. - E’ evidente, in ogni caso, la terribile situazione di stallo in cui si è finiti, con un conteggio ormai neanche più quantificabile di morti…

    R. - Sì. Secondo cifre ufficiali dell’Onu, siamo ormai a più di 80 mila morti, secondo alcuni abbiamo addirittura superato i 100 mila. E’ chiaro che non è neanche più tanto il numero, la quantità in sé il vero nodo della questione, purtroppo. Il vero problema è questa situazione di stallo completo che si è venuta a creare e che fatica a trovare una soluzione di qualsiasi tipo. Se la situazione dovesse restare così, e quindi tutto dovesse essere deciso soltanto dalle forze in campo, purtroppo credo che dovremmo aspettarci ancora molte migliaia di vittime e chissà quanti mesi ancora di combattimenti, prima che l’una o l’altra parte prevalga sull’altra.

    inizio pagina

    Libia. Condanna per l'attentato di Bengasi. Gli Usa spostano 500 soldati a Sigonella

    ◊   In Libia. Il governo condanna l’attentato di ieri a Bengasi. Un’autobomba esplosa nei pressi dell'ospedale Al Jala ha ucciso 15 persone e ne ha ferite 30. In questo scenario, gli Stati Uniti hanno potenziato i militari nella base siciliana di Sigonella per essere pronti ad intervenire nel caso di nuove minacce contro personale diplomatico, dopo l’attentato al Consolato dell’11 settembre scorso. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    Cinquecento marines americani sono stati trasferiti dalla Spagna nella base siciliana di Sigonella. L’operazione è pensata – spiega il portavoce del Pentagono George Little – per intervenire più rapidamente nel caso ci fossero nuovi attacchi in Libia. Solo ieri, l'ennesimo attentato con autobomba ha scosso Bengasi: 15 morti, 30 i feriti davanti l’ospedale Al Jala. La decisione statunitense segue le dichiarazioni del presidente Obama, che ribadisce di non aver insabbiato i “fatti di Bengasi” dell’11 settembre dello scorso anno, quando morirono in un assalto terroristico l'ambasciatore Usa in Libia, Christopher Stevens, due marines e un funzionario. Negli Usa, sono riesplose le polemiche sul mancato intervento militare che avrebbe forse potuto salvare la vita degli uomini a Bengasi. "Siamo preparati a rispondere se necessario, se le condizioni dovessero deteriorare o se venissimo chiamati ", ha sottolineato Little, precisando che il Pentagono ha dispiegato più forze con il compito di interventi rapidi, per proteggere ed eventualmente evacuare personale diplomatico nella base Nato in Italia. Le forze spostate a Sigonella godono anche dell’appoggio di aerei per il trasporto delle truppe in grado di decollare, come un elicottero, senza bisogno quindi di una pista.

    Sulla situazione in Libia, Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Gabriele Iacovino, responsabile analisti del Centro studi internazionali:

    R. – In Libia, c’è una situazione di instabilità e di difficoltà estrema delle istituzioni nel gestire il post-Gheddafi, che ormai si protrae da quasi due anni. Soprattutto, c’è una situazione di instabilità alimentata sia dai gruppi – dalle milizie che non sono mai rientrate nell’unico esercito libico – ma anche dai gruppi legati al panorama terroristico di tipo "qaedista" e che in questo momento provengono un po’ da tutta la regione del Nordafrica.

    D. – Come si mettono insieme ricerca di democrazia, instabilità e la necessità di costruire un sistema istituzionale?

    R. – Diciamo che la Libia è stata un po’ abbandonata a se stessa, dopo l’intervento internazionale. Si è creato un vuoto di potere che in questo momento non trova una soluzione. La Libia è tornata a essere quell’insieme di tribù che di fatto è sempre stata, e comunque di regioni diverse: la Cirenaica, il Fez, la stessa Tripolitania. Ora, la difficoltà più grande delle istituzioni libiche è quella di ricostruire il senso dello Stato, delle istituzioni in grado di mantenere lo Stato unito.

    D. – Ma quindi serve un appoggio dall’esterno, oppure è necessario che dall’interno si trovi una via per riunire questa situazione così frammentata?

    R. – Sicuramente, la Libia deve trovare al proprio interno la forza di cercare una propria stabilizzazione. Certo è che le stesse istituzioni internazionali – penso alle Nazioni Unite o comunque all’Unione Europea – potrebbero giocare un ruolo importante nella stabilizzazione, nell’aiutare a costruire il post-Gheddafi, dando il proprio supporto alla ricostruzione delle istituzioni di uno Stato che si è sgretolato, che continua a sgretolarsi e che da solo mostra difficoltà nella ricostruzione.

    D. – In questo scenario, è stato spostato un contingente di circa 500 marines dalla Spagna alla base di Sigonella, in Sicilia: è possibile un intervento?

    R. – Gli Stati Uniti non vogliono trovarsi nuovamente impreparati a un possibile attentato contro l’Ambasciata americana a Tripoli. Il Consolato americano a Bengasi in questo momento non è funzionante dopo l’attentato dell’11 settembre scorso. Più che un intervento, direi che si tratta di una scelta della amministrazione Obama contro le critiche, sia dell’opposizione sia da alcuni democratici, per la mancata prevenzione dell’attentato a Bengasi l’11 settembre scorso.

    D. – La Libia aveva un ruolo strategico all’interno del Maghreb: c’è il rischio che la situazione sul terreno, così frammentata, in realtà sia veicolo per nuove forze terroristiche?

    R. – E’ indubbio che laddove vi sia un vuoto di potere, soprattutto in Nordafrica – e il caso del Mali è comunque un esempio significativo – quei movimenti legati al qaedismo internazionale possono trovare terreno fertile per porre le proprie basi e per andare a rafforzarsi. La debolezza intrinseca della Libia – dal punto di vista istituzionale, politico ed economico – certamente non fa altro che ampliare i rischi del rafforzamento di gruppi qaedisti nel Nordafrica.

    inizio pagina

    Bangladesh: sospese le ricerche dei sopravvissuti al crollo a Dacca

    ◊   1127 morti, 98 dispersi, oltre 2000 feriti, 2438 sopravvissuti. Si chiude con questo tragico bilancio la vicenda del crollo a Dacca, in Bangladesh, dello stabile "Rana Plaza", che ospitava diverse aziende tessili, locali e straniere, con centinaia di persone, costrette a condizioni di lavoro disumane. Intanto, 200 fabbriche tessili di Dacca hanno chiuso in seguito alle proteste dei dipendenti, mentre il governo ha varato misure per un aumento dei salari e la creazione di una maggiore rappresentatività sindacale dei lavoratori. Su questi aspetti, Giancarlo La Vella ha intervistato l’economista Riccardo Moro:

    R. – Purtroppo, è un fatto noto da molti anni che le condizioni di vita in una parte rilevante del Sud del mondo, che rappresenta la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, sono molto pesanti. E la cosa che va fatta notare è che queste dure condizioni di lavoro non sono indirizzate alla produzione di beni che vengono consumati in loco, ma che sono molto spesso consumati dal Nord del mondo, cioè da noi. In modo particolare, in questo caso del Bangladesh, quello che è capitato è stato un disastro in un’industria tessile, che lavorava per i marchi che noi conosciamo e che compriamo tutti i giorni, presenti in tutte le parti del mondo.

    D. – Lo sviluppo di una coscienza sociale, anche sindacale, può portare ad un progresso in questo senso, ad un avvicinamento tra i parametri occidentali e quelli dei Paesi asiatici?

    R. - Io credo che da un lato siano assolutamente necessarie attività che favoriscano l’irrobustimento del ruolo delle organizzazioni che operano per la tutela dei lavoratori. Dall’altro lato, occorre una nuova coscienza civile, sia da parte dei consumatori, sia da parte degli operatori economici, per garantire che i prodotti, che vengono venduti in giro per il mondo, abbiano una "storia" in cui le persone sono realmente rispettate. Da questo punto di vista, bisogna dire che proprio la vicenda del disastro sta effettivamente producendo qualche risultato positivo in Bangladesh. Insomma, dal disastro abbiamo di fronte a noi un esempio relativamente positivo di assunzione di responsabilità, anche se non basta.

    D. - Quali ricadute sull’economia globale potrebbe avere il riconoscimento pieno o parziale dei diritti dei lavoratori asiatici, sia per quanto riguarda la sicurezza, sia per quanto riguarda il riconoscimento economico?

    R. – Io credo ci sia stata una corsa a fornire ai consumatori del Nord del mondo prodotti a basso prezzo. Questa corsa è stata realizzata utilizzando impianti produttivi non sicuri nel Sud del mondo, cioè sfruttando le zone di povertà del pianeta, dove le persone sono disposte a lavorare anche a bassissimi compensi, sostanzialmente a essere sfruttate, addirittura mettendo a repentaglio la propria vita. Un irrobustimento delle tutele che determinano maggiori sicurezze, maggiori salari e maggiori costi, evidentemente determina una minore competitività di questi prodotti. Quanto durerà questo processo è assolutamente impossibile dirlo. L’augurio è che duri il meno possibile, perché questo significherebbe che nel più breve tempo possibile abbiamo garantito maggiori tutele a milioni di lavoratori.

    inizio pagina

    Censis: aumentano servizi di assistenza familiare alla persona, urge riforma del welfare

    ◊   Dall’artigianato all’industria dei servizi alla persona, è il salto di qualità che deve compiere il welfare italiano soprattutto a sostegno delle famiglie. L’appello emerge dalla ricerca presentata oggi a Roma dal Censis e dalla Fondazione Ismu su incarico del Ministero del lavoro. Oltre ai dati quantitativi relativi alla domanda di assistenza e cura domestica e all’offerta, ancora prevalentemente basata sui lavoratori stranieri, vi si traccia anche un utile modello previsionale del fabbisogno nei prossimi 20 anni. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    E’ boom di collaboratori domestici nelle case degli italiani: sono un milione e 665 mila, con un incremento del 53% in dieci anni. E nel 2030, secondo la ricerca, ne serviranno almeno 500 mila in più. Sempre più decisivi per la tenuta stessa delle famiglie e più integrati in esse, i collaboratori alla cura della persona sono e saranno per lo più stranieri, oggi il 77,3%, rumeni, ucraini e filippini in testa. Ma causa crisi, specie nel sud Italia, si sta riversando nel settore un buon 36% di disoccupati, tuttavia meno professionali e meno stabili. Le cause sono note spiega Giancarlo Blangiardo della Fondazione Ismu:

    “E’ chiaro che il cambiamento demografico, l’invecchiamento della popolazione, il cambiamento delle stesse strutture familiari, e naturalmente una maggiore abitudine a utilizzare questo tipo di servizio, creeranno una forte domanda aggiuntiva”.

    Sul fronte economico, le note più dolenti. La spesa mensile per un collaboratore è di media di 700 euro e non c’è contributo pubblico, se non l’accompagno, per il 31,4%. Il risultato è che con la crisi oltre la metà dei bilanci familiari non regge. Nel 15% è prevedibile che un componente lasci il lavoro per assistere un congiunto, nel 41,7% dei casi in famiglia si pensa anche a rinunciare al servizio. Una spirale perversa cui corrisponde anche una forte destrutturazione del settore, per cui vale il fattore fiducia, la competenza è scarsa e l’intermediazione è assente. E’ indispensabile, dice il Censis, incrociare il "welfare familiare", con un intervento pubblico di organizzazione e razionalizzazione dei servizi alla persona, basato sui vantaggi fiscali. Giuseppe Roma, direttore del Censis:

    “Noi ci troviamo un sistema complesso, che nasce dalla spontaneità del ruolo che le famiglie hanno in Italia e che invece riteniamo debba rientrare in qualcosa di più organizzato. Serve più formazione per i collaboratori domestici e anche più attenzione alla intermediazione. E’ la strada del ‘voucher fiscale’: cioè, il fatto di accompagnare questa spesa degli italiani che raggiunge complessivamente i 20 miliardi l’anno. Si tratta di un enorme mercato che nei fatti non ha nessun tipo di agevolazione fiscale: negli altri Paesi, a partire dalla Francia, le famiglie mettono a disposizione le loro risorse, però lo Stato le sgrava quantomeno della componente fiscale”.

    E lo Stato, nel giro di due o tre anni, continua Giuseppe Roma, andrebbe in pari rispetto a quello che le detrazioni fiscali potrebbero comportare come perdita di gettito:

    “Io penso che se noi riduciamo alcuni sprechi del sistema pubblico e quelle risorse le mettiamo a scomputo della tassazione di quanto le famiglie pagano, già da subito si potrebbero avere meno oneri per lo Stato di quanto non si creda. Quindi, io penso che sia una cosa da fare nell’immediato”.

    inizio pagina

    Bartolomeo I in visita a Bose. Il priore Enzo Bianchi: l’ecumenismo non è un’opzione

    ◊   E’ stata scandita dalla preghiera la visita, nel pomeriggio, del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, alla comunità monastica di Bose. Sui temi al centro di questo incontro Amedeo Lomonaco ha intervistato il priore della comunità monastica, Enzo Bianchi:

    R. – La situazione delle nostre Chiese, dei dialoghi bilaterali che avvengono tra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse, ma anche l’istituzione della facoltà teologica di Calchi, dove l’attuale Patriarca vorrebbe che ci fosse anche la nostra presenza nell’insegnamento, e il Sinodo panortodosso, che con molta fatica certamente il Patriarca persegue come un evento necessario, innanzitutto per gli ortodossi, in vista dell’unità di tutte le Chiese.

    D. – Il significato di questo incontro con il Patriarca ecumenico Bartolomeo I...

    R. – Il Patriarca Bartolomeo I giunge in comunità per la quarta volta. C’è un legame profondo tra la nostra Comunità e il Patriarcato di Costantinopoli. La nostra semplice e povera azione per l’ecumenismo ha sempre avuto la possibilità di essere in sintonia con l’azione ecumenica del Patriarcato. Ci sono sempre continui scambi che sono anche scambi, soprattutto, con i monasteri ortodossi di Grecia e delle altre Chiese.

    D. – E quali sono i frutti di questi scambi?

    R. – Per noi, certamente, la presenza di molti nostri monaci in monasteri ortodossi. I nostri fratelli possono andare sul Monte Athos e loro, dal Monte Athos, vengono da noi, passano nel nostro monastero. C’è quindi uno scambio di doni. Ci aiutiamo reciprocamente a respirare con i grandi polmoni della spiritualità d’Oriente e d’Occidente. Poi, facciamo in modo che Bose sia anche un luogo in cui gli ortodossi, tra loro, possano trovarsi come a casa loro. E questo avviene ogni anno, soprattutto in un Convegno sulla spiritualità ortodossa al quale partecipano tutte le Chiese ortodosse, con delegazioni di teologi, di vescovi e di monaci, per un dialogo fruttuoso, perché davvero si possa intravedere la comunione tra tutti i cristiani.

    D. – Bose è un luogo dove far respirare a pieni polmoni il dialogo ecumenico...

    R. – Noi cerchiamo. Siamo una semplice comunità, una comunità monastica di una novantina di monaci e monache, che vivono soprattutto pregando e lavorando. Siamo una realtà molto semplice, ma certamente molto convinta che l’ecumenismo non sia un’opzione, ma faccia parte dell’atteggiamento che il cristiano deve vivere, vivendo la sequela del Signore.

    inizio pagina

    Storica visita del Patriarca Kirill a Pechino. Giovagnoli: colmato distacco di decenni

    ◊   Poche migliaia di fedeli di discendenza russa. È questa la realtà attuale della Chiesa ortodossa cinese. In questo contesto si colloca la visita, di sapore storico, che da alcuni giorni il Patriarca ortodosso di Mosca e di tutte le Russie, Kirill, sta compiendo a Pechino e in alcune località della Cina. L’obiettivo è quello di rafforzare la struttura della comunità ortodossa, ottenendo lo status di “religione riconosciuta” da parte del governo. Alessandro De Carolis ne ha parlato con lo storico della Cattolica di Milano, Agostino Giovagnoli:

    R. – Al momento, la Chiesa ortodossa cinese è il frutto di una separazione politica, nel 1956, tra la Cina e l’Unione Sovietica, da cui appunto è nata questa Chiesa che in quel modo si è staccata da Mosca. Di qui, il tentativo del Patriarcato di Mosca di recuperare questo legame e, in effetti, dopo questa visita le premesse per fare questa operazione ci sono. In realtà, si tratta di una presenza religiosa piuttosto minoritaria: si parla di qualche migliaio di ortodossi senza nessun sacerdote – perché è morto l’unico sacerdote ortodosso cinese – discendenti per lo più da immigrati russi dei secoli scorsi.

    D. – Quindi, si tratta in sostanza di ricostruire un tessuto ecclesiale ortodosso in Cina?

    R. – Sì, e di affermare la giurisdizione di Mosca su questa realtà. E questa è un’operazione che supera la quantità, piuttosto ridotta, dei credenti ortodossi in questo momento. Si tratta di riprendere un legame antico e soprattutto di affermare l’autorità di un Patriarcato, che è radicato fuori dal territorio cinese, su credenti cinesi: questo sarebbe un evento di enorme portata, così come è stato un evento sicuramente di grande rilievo storico la visita stessa di Kirill, ricevuto dal presidente cinese Xi Jinping. Direi che questo, forse, è il risultato più sorprendente di questa visita: mai il presidente della Repubblica popolare cinese – dal 1949 in poi, da Mao in poi – ha ricevuto un’autorità religiosa di questo livello e in particolare il leader straniero di una Chiesa cristiana. Quindi, si tratta di un’apertura che, al di là delle sue conseguenze concrete, è già di per sé decisamente sorprendente.

    D. – Come si pone la situazione della Chiesa ortodossa in Cina rispetto alla questione della libertà religiosa?

    R. – Per certi versi, la questione è simile a quello della Chiesa cattolica. Oltre ai problemi più complessivi che riguardano tutte le fedi religiose in Cina – cioè il controllo da parte dello Stato nei confronti delle religioni – si pone il problema supplementare di questo legame con un’autorità spirituale, un’autorità religiosa che si colloca al di là dei confini nazionali. Questo è qualcosa che, come sappiamo, ha turbato notevolmente la vita dei cattolici cinesi che sono guardati con sospetto da parte delle autorità, perché rispondono ad un’autorità spirituale “straniera”, dal punto di vista cinese, cioè al Papa, e per questo sono quindi considerati una forma di interferenza con la loro attività nella realtà della società cinese. Analogamente, gli ortodossi che intendono mantenere questo legame con Mosca – per esempio, per ciò che riguarda la formazione dei sacerdoti ortodossi, che può avvenire solo a Mosca, perché ovviamente non ci sono strutture in Cina per la formazione di ortodossi cinesi – questo tipo di legami è visto con grande ostilità, perché fuoriesce dal quadro delle religioni così come è concepito dal regime comunista di Pechino.

    D. – Tra l’altro, rispetto alla Chiesa cattolica, quella ortodossa non ha una unica autorità di riferimento…

    R. – Questo è vero. In realtà, però, nessuno mette in discussione che un eventuale legame con un’autorità religiosa non cinese sia – nel caso degli ortodossi in Cina – il Patriarcato di Mosca, proprio perché gli ortodossi che sono attualmente presenti in Cina e che sono poche migliaia, sono in realtà discendenti di russi, e quindi sono storicamente legati alla Chiesa di Mosca, tanto che fino al 1956 questo legame ancora era ufficialmente riconosciuto.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Usa: nel 2012 in ulteriore calo le denunce di abusi secondo l’ultimo Rapporto annuale

    ◊   Il 2012 ha registrato un’ulteriore flessione di molestatori, denunce e vittime di abusi sessuali nelle diocesi negli Stati Uniti. La maggioranza riguardano casi avvenuti negli anni 70 e 80 e i cui responsabili sono stati nel frattempo rimossi o sono deceduti. È quanto emerge – come riporta l’agenzia Cns – dall’ultimo rapporto annuale del Centro di ricerca applicata sull’apostolato (Cara) della Georgetown University di Washington, incaricato dalla National Review Board della Conferenza episcopale (Usccb) di raccogliere i dati sui casi e l’applicazione della “Carta per la Protezione dei bambini e dei giovani” adottata dai vescovi nel 2002 dopo lo scandalo scoppiato nei mesi precedenti. L’indagine, a cui ha partecipato lo studio legale “StoneBridge Business Partners”, ha verificato che su 34 casi rinviati a giudizio l’anno scorso solo sei si sono rivelati fondati in tribunale, 12 completamente infondati, mentre altri 15 sono ancora in fase di accertamento. Quasi tutte le diocesi esaminate, ad eccezione di tre, hanno dimostrato di avere ottemperato alle prescrizioni della Carta. Il rapporto si suddivide in due sezioni: una affidata alla “StoneBridge Business Partners” riguarda l’accertamento della corretta applicazione delle disposizioni delle disposizioni della Usccb. Lo studio legale ha effettuato verifiche dirette in 71 diocesi ed eparchie ed esaminato la documentazione presentata da altre 118. Non tutte hanno accettato di sottoporsi alla verifica: sono la diocesi di Lincoln e cinque eparchie di rito orientale. L’obiettivo, precisa nell’introduzione al rapporto Al Notzon III, presidente del National Reviwe Board, è di coprire in futuro la totalità delle diocesi ed eparchie per potere garantire al meglio la salvaguardia dei minori. La seconda parte del rapporto riguarda invece i dati raccolti sulle denunce e le spese sostenute dalle diocesi per i risarcimenti e altro. Il 2012 ha registrato in tutto 397 denunce, la maggior parte riferite a fatti avvenuti prima del 2000, contro 313 sacerdoti o diaconi. Si tratta della cifra più bassa registrata dal 2004, anno in cui è iniziata la raccolta sistematica di questi dati. In tutto nel 2012 le diocesi e gli ordini religiosi hanno speso più di 148 milioni di dollari tra spese legali, spese per assistere le vittime e per curare i molestatori. Ad essi vanno aggiunti 26 milioni e mezzo per finanziare programmi di protezione. Questa seconda parte del rapporto rileva peraltro anche alcuni limiti dell’indagine legati all’impossibilità di verificare direttamente la correttezza delle procedure applicate nelle parrocchie. Un’altra lacuna rilevata è la scarsa sistematicità nella raccolta e registrazione dei dati nelle diocesi, anche questa fondamentale per contrastare in modo efficace il fenomeno degli abusi. Questi problemi sono stati riportati da Notzon in una recente lettera al Presidente della Usccb card. Timothy Nolan. (A cura di Lisa Zengarini)

    inizio pagina

    Rapporto Icg: i rifugiati siriani mettono a rischio il fragile equilibrio libanese

    ◊   I profughi siriani che hanno trovato rifugio in Libano sono ormai più di un milione. Lo rivela l'International Crisis Group (Icg), l'Organizzazione indipendente non governativa impegnata nella soluzione dei conflitti che nel suo ultimo rapporto appena pubblicato mette a fuoco i possibili effetti destabilizzanti del massiccio afflusso di rifugiati sui fragili equilibri di un Paese la cui popolazione nazionale supera di poco i 4 milioni di persone. “Un afflusso di rifugiati di tale magnitudine” sottolineano gli analisti dell'Icg “rappresenterebbe dovunque un problema enorme. In Libano – con la fragilità delle istituizioni e delle infrastrutture, con un equilibrio politico e confessionale delicato, con le tensioni sociali esasperate dal declino economico - esso diventa un incubo”. L'impatto della massa di profughi si riflette anche in fenomeni come l'aumentata congestione dei centri abitati, l'impennata dei prezzi degli affitti, l'escalation della delinquenza. Ma secondo il rapporto Icg, l'afflusso dei rifugiati rischia soprattutto di far precipitare i conflitti latenti che attraversano la società libanese. I profughi siriani, in gran parte sunniti ostili al regime di Assad, si sono concentrati nelle aree del Libano a maggioranza sunnita, seguendo il criterio della omogeneità confessionale. Ma anche lì – riferisce il rapporto Icg - “la pazienza comincia a esaurirsi”. Riaffiorano stereotipi e pregiudizi sui siriani considerati ignoranti, delinquenti o soldati irregolari. Un'ostilità che assume tinte ancor più forti tra sciiti e cristiani. I militanti sciiti di Hezbollah temono che i sunniti anti-Assad possano col tempo aumentare l'attivismo contro il loro movimento. Mentre ai cristiani, in costante allarme per un equilibrio demografico che li penalizza sempre di più, l'afflusso incontrollato di rifugiati siriani ricorda il periodo tragico della guerra civile libanese e il ruolo giocato in essa dalla presenza militarizzata dei campi profughi palestinesi. Il rapporto Icg fa seguire all'analisi della situazione alcuni consigli pratici: Secondo gli estensori del documento, “occorre mettere la questione dei rifugiati al centro del prossimo programma di governo”. Vanno aumentate le pressioni sui Paesi occidentali e su quelli arabi affinchè intensifichino il loro impegno nei programmi di sostegno, facilitando anche la concessione di visti per i siriani in fuga dalla guerra civile. In particolare, il gruppo dei Paesi donatori deve assolutamente “mettere a disposizione il miliardo di dollari stimato come necessario per l'accoglienza dei rifugiati in Libano da qui fino al dicembre 2013”. Inoltre, i piani di soccorso devono essere realizzati estendendo il supporto anche alle fasce più povere della popolazione libanese. (R.P.)

    inizio pagina

    Iraq: continua l’esodo dei cristiani

    ◊   Dalla caduta di Saddam Hussein nel 2003, circa l’80% dei cristiani iracheni hanno lasciato Paese. Ad affermarlo all’agenzia Apic è padre Paul Sati, religioso redentorista caldeo originario di Mossul e da poco responsabile della comunità caldea di Anversa, in Belgio. Ospite in questi giorni dell’annuale pellegrinaggio della sezione svizzera dell’Aiuto alla Chiesa che Soffre all’Abbazia benedettina di Einsiedeln, il religioso non ha esitato a parlare di un vero e proprio “inverno arabo” in Iraq. Dalla fine del regime circa un migliaio di cristiani sono stati assassinati e una sessantina di chiese sono state bersaglio degli attacchi degli estremisti: “Quelle che una volta era la culla della civiltà e del cristianesimo - ha osservato - è oggi un luogo dove i cristiani sono minacciati, perseguitati o cacciati, e devono nascondersi”. Padre Sati ha ricordato, tra l’altro, il sanguinoso attentato del 31 ottobre 2010 contro la cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Baghdad, costato la vita a una cinquantina di fedeli, la lunga lista di assassinii di leader religiosi, tra cui quelli dell’arcivescovo di Mossul Paulos Faraj Rahho, di padre Rajhid Ganni, rettore della chiesa caldea del santo Spirito ucciso insieme a tre diaconi all’uscita della messa e quello del prete ortodosso Paulos Amer Iskandar, sgozzato dagli islamisti. Il sacerdote ha puntualizzato che i cristiani non sono l’unico bersaglio degli islamisti che colpiscono anche tanti musulmani o esponenti di altre minoranze religise. Resta tuttavia il fatto - ha sottolineato - che la vita dei cristiani in Iraq è molto meno sicura adesso che durante il regime di Saddam Hussein e questo spiega perché si sia registrato il più grande esodo di cristiani dall’Iraq in questi ultimi decenni. Nel corso di quest’ultimo secolo si calcola che circa tre milioni di cristiani abbiano lasciato il Paese, ma nell’ultimo decennio questo movimento ha subito una brusca accelerata. Da rilevare che prima della prima guerra mondiale, quando la regione era sotto il dominio ottomano, i cristiani rappresentavano circa un quarto della popolazione irachena. (L.Z.)

    inizio pagina

    Myanmar: naufragio di un'imbarcazione con decine di sfollati Rohingya

    ◊   Un’imbarcazione che trasportava tra 100 e 200 sfollati musulmani della minoranza Rohingya è naufragata al largo delle coste del Myanmar, ma il bilancio delle vittime e di eventuali dispersi non è stato ancora reso noto. A darne notizia - riporta l'agenzia Misna - è stato l’Ufficio di coordinamento degli Affari umanitari dell’Onu, precisando che la nave avrebbe dovuto portare gli sfollati verso un altro Campo prima dell’arrivo di un ciclone atteso per le prossime ore. “La nave è affondata dopo essere salpata dalla località di Pauktaw. A bordo c’erano numerosi sfollati delle violenze religiose del 2012, ma non possiamo ancora comunicare il numero delle vittime né quello dei dispersi” ha dichiarato Kirsten Mildren dell’Ocha. Mentre sono in corso operazioni di ricerca e salvataggio in mare, il governo di Yangon non ha ancora dato conferma ufficiale della sciagura. Nei giorni scorsi le autorità locali hanno deciso di far spostare centinaia di sfollati che finora vivevano in strutture precarie e sovraffollate, temendo per la prossima stagione delle piogge che si manifesta con violenti cicloni. Nelle prossime ore un ciclone dovrebbe raggiungere le coste dello Stato di Rakhine e del vicino Bangladesh, già in stato di allerta. Pauktaw è una località dell’instabile Stato occidentale di Rakhine, dove circa 140.000 persone vivono in campi sfollati dopo le violenze interreligiose cominciate nel 2012 tra la minoranza musulmana Rohingya e buddisti di etnia Rakhine. Le forti tensioni, che si sono nuovamente manifestate il mese scorso, hanno già causato più di 200 morti. In realtà le rivalità tra le due comunità hanno radici più profonde e durano da oltre un decennio: nel 1997 violenti attacchi contro le moschee si erano verificati in seguito alla notizia, rivelatasi falsa, dello stupro di una ragazza buddista da parte di musulmani. Lo scorso ottobre 130 Rohingya in fuga dalla regione occidentale, a bordo di una scialuppa salpata dal porto di Sabrang, in Bangladesh, e diretta verso la Malesia, sono morti annegati al largo del Golfo del Bengale. (R.P.)

    inizio pagina

    Il cardinale Filoni all’Assemblea delle Pontificie Opere Missionarie

    ◊   "Molti qui presenti lavorano in situazioni drammatiche di persecuzione, di povertà, di violenza, di conflitti ed emarginazione dei loro Paesi", lo ha sottolineato il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli, all’apertura ieri dell’Assemblea delle Pontificie Opere Missionarie (Pom). “Proprio questa situazione ha delle conseguenze nell’efficacia dell’azione delle Pom”, ha detto il cardinale e quindi ha proposto alcuni principi generali da concretizzare in orientamenti pratici. Il Prefetto ha proseguito richiamando l’identità e lo spirito delle Pom, come struttura di servizio per le missioni in ogni Paese. Nella conclusione del suo intervento, il cardinale Filoni ha detto molto chiaramente: “è necessario rivedere i metodi dell’azione evangelizzatrice, studiare come portare all’uomo moderno il messaggio cristiano, nel quale, egli può trovare la risposta ai suoi interrogativi e la forza per il suo impegno di solidarietà umana. Ciò che ci deve spingere nella nostra attività missionaria è la fede. E’ necessaria una riappropriazione della radicalità evangelica perché la nostra attività apostolica sia feconda e riconosciuta come Missio Dei”. I lavori dell’Assemblea continueranno fino a sabato 18 maggio. Ai lavori sono presenti i direttori nazionali di circa 150 Paesi. (R.P.)

    inizio pagina

    Il presidente delle Pom: incrementare l'azione missionaria delle Chiese di antica tradizione

    ◊   “Mi è stato affidato un compito delicato, ma affascinante perché sollecita me e voi a tenere gli occhi e il cuore aperti sui vasti orizzonti della Missio ad Gentes”. Con queste parole ha esordito il Presidente delle Pontificie Opere Missionarie (Pom), mons. Protase Rugambwa, nel saluto di benvenuto al suo primo incontro ufficiale con i direttori nazionali delle Pom in occasione dell’Assemblea annuale in corso in Vaticano. “Le Pom - sottolinea mons. Rugambwa - sono un servizio da vivere insieme, in comunione, una ‘joint venture’, opera di Dio e nostra, di cooperazione missionaria,” e aggiunge che “l’animazione missionaria è l’anima di ogni forma di cooperazione. Sento l’urgenza che si dia un colpo d’ala all’animazione missionaria delle Chiese di antica tradizione. A noi, Pontificie Opere Missionarie, è affidato il compito di inserire l’animazione missionaria come elemento-cardine della pastorale ordinaria: nelle parrocchie, nelle associazioni e nei gruppi, specie giovanili.” Il presidente ha insistito sul fatto che “le Pom hanno motivo di esistere solo se conservano gelosamente la propria specificità: animazione, formazione, cooperazione con le Chiese locali per la Missio ad Gentes, e puntualizzato che “noi non siamo una delle tante agenzie caritative che raccolgono fondi per i Paesi emergenti. Ciò che caratterizza il nostro servizio è la prima evangelizzazione, la sua caratteristica di universalità”. (R.P.)

    inizio pagina

    Sud Corea. L'arcivescovo di Seul ai buddisti: “Diventiamo insieme segno di pace e condivisione”

    ◊   Mentre la penisola coreana è tuttora agitata da tensioni e minacce di guerra, le religioni sono chiamate “a dare insieme un segno di pace e di riconciliazione” e ad essere “segno di condivisione e misericordia nella società”: lo afferma l’arcivescovo di Seul, mons. Andrew Yeom Soo-jung, in un messaggio inviato ai fedeli buddisti in occasione del 2557° anniversario della nascita di Buddha. Rivolgendosi gli “stimati amici buddisti, l’arcivescovo nota nel messaggio, inviato all’agenzia Fides: “La nostra società attuale è piena di vari conflitti e di divisioni. Siamo di fronte a problemi come l'aumento del materialismo e dell'ateismo, e la mancanza di valori morali. In tali momenti, credo che il ruolo di noi uomini di fede è molto importante. La cosa più importante per noi è la spiritualità della condivisione, di misericordia e di amore. Dobbiamo intraprendere azioni d'amore visibili agli altri e diventare il più grande segno di pace per il mondo”. Il testo del messaggio prosegue: “La coesistenza armoniosa tra buddismo e cristianesimo è un grande modello di pace per quanti sono in situazioni di conflitto. Dobbiamo continuare a lavorare duramente. Questa importante festa buddista è anche una buona occasione per riflettere sulla vita e la predicazione di Buddha. Prego che la spiritualità buddista di amore e di condivisione possa essere profondamente radicata nella nostra società”. (R.P.)

    inizio pagina

    India. Accuse di “conversioni forzate”: estremisti indù contro i cristiani in Kerala

    ◊   Gli indù radicali compiono violenze sui cristiani anche nello stato del Kerala, nell’India del Sud. In Kerala i cristiani sono il 20% della popolazione e sono una parte della società molto apprezzata per il grande impegno nel campo dell’istruzione. Le incursioni di gruppi estremisti indù sono rare, ma alcuni episodi iniziano a destare sconcerto. Come riferito all’agenzia Fides da fonti locali, circa un mese fa un grande raduno delle comunità cristiane al “New Hope Bible College” a Palunda, in Kerala, è stato bruscamente interrotto dall’irruzione di oltre 150 indù del gruppo “Aikyavedi” organizzazione di stampo fondamentalista. I militanti hanno iniziato a percuotere i credenti e gli organizzatori, accusandoli di “convertire con la forza al cristianesimo persone povere ed emarginate”, che erano presenti al raduno. I cristiani hanno subito chiamato la polizia che, giunta sul posto, ha avuto colloqui con i militanti inbà e con i leader cristiani. Per placare gli animi, gli organizzatori hanno deciso di congedare tutti i non-cristiani che erano stati invitati al raduno e stavano partecipando da osservatori. I radicali indù hanno deciso di sfogare la loro rabbia su un fotografo del giornale locale “Swantham”, che è ricoverato in ospedale. Alla fine della Convention, mentre i fedeli cristiani stavano lasciando il college, le loro auto ed i pullman sono stati colpiti da sassi. Fonti di Fides ricordano che il Kerala ha sempre dato all’intero Paese un “esempio di armonia tra fedi”, ribadendo l’impegno dei cristiani a costruire una convivenza pacifica, nel rispetto della libertà di religione, garantita dalla Costituzione indiana.

    inizio pagina

    Brasile: l’India al centro della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

    ◊   E' in pieno svolgimento in tutto il Brasile la Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani 2013. Questo anno il tema è ispirato dal profeta Michea 6,6-8: "Cosa ci chiede Dio? ". Il programma include celebrazioni in diverse città brasiliane, con la partecipazione di diverse confessioni cristiane, e con il supporto della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb). Il Consiglio nazionale delle Chiese Cristiane (Conic) ha organizzato l'evento dal 12 al 19 maggio 2013. Per favorire la riflessione su questo tema, è stato preparato un sussidio da parte del Movimento di Studenti Cristiani dell’India, con la consulenza della Federazione delle Università Cattoliche d’India e il Consiglio Nazionale delle Chiese in quel Paese. Secondo il Conic, si è scelto la situazione dell’India per il contesto di ingiustizia contro i Dalit e la Chiesa. Da qui il desiderio degli organizzatori della Settimana: promuovere una riflessione sull'importanza di unità nella diversità e, al tempo stesso, meditare su ciò che Dio, richiede alla comunità cristiana, sia dal punto di vista puramente religioso, ma anche in ciò che riguarda i diritti umani. Ecco il perché all'allusione ai Dalit in India, persone che vivono ai margini della società e spesso lontani da ogni qualsiasi assistenza. (R.P.)

    inizio pagina

    L'arcivescovo di Rio consacra la Gmg alla Madonna di Fatima

    ◊   L'arcivescovo di Rio de Janeiro, mons. Orani João Tempesta, ha consacrato la prossima Giornata Mondiale della Gioventù, dal 23 al 28 luglio a Rio de Janeiro, alla Madonna di Fatima. La consacrazione è avvenuta ieri a Fatima, in Portogallo, nel giorno in cui viene ricordata la Vergine di Fatima. Nell'atto di consacrazione, il presule ha raccomandato all'intercessione di Maria tutti i giovani, particolarmente quelli che soffrono, quanti sono vittime di violenza e abbandono e ancora per i disoccupati e gli emarginati. Nel luogo dove la Madonna è apparsa ai tre pastorelli, la "Cova da Iria", l'arcivescovo ha anche chiesto l'intercessione per il Comitato organizzatore e per i volontari che già lavorano per la Gmg di Rio. "Supplichiamo che la Giornata Mondiale della Gioventù possa essere una straordinaria esperienza d'incontro dei giovani con Gesù - ha detto mons. Tempesta -. Che questo incontro possa anche far crescere l'amore dei giovani per Cristo per plasmare veri discepoli e missionari in una società che sta cambiando". (R.B.)

    inizio pagina

    Nepal. Associazione dei medici: no all'aborto e alla cultura della morte

    ◊   I medici nepalesi si scagliano contro la crescita esponenziale degli aborti e minacciano di scioperare se il governo non prenderà provvedimenti. Secondo dati del ministero del Salute, sono oltre 95mila i casi di interruzione di gravidanza registrati dall'aprile 2010 all'aprile 2011. Il 25% delle pazienti è di età inferiore ai 18 anni. La media è di circa 65 aborti al giorno. Il dato è in continuo aumento. Fra il 2007 e il 2008 circa 51mila donne hanno fatto ricorso a tale pratica; quasi 89mila fra il 2009 e il 2010. Intervistato dall'agenzia AsiaNews Bhola Rijal, ginecologo e responsabile dell'Associazione nazionale dei medici nepalesi, afferma che "la crescita degli aborti sta causando un disastro sanitario nel Paese. Per questa ragione, abbiamo deciso di opporci a qualsiasi forma di interruzione volontaria della gravidanza". Per il medico, molti colleghi da poco usciti dalle università considerano tale pratica come una fonte di guadagno, senza alcuna implicazione morale o etica. I casi più frequenti di interruzione volontaria della gravidanza riguardano la comunità indù e le aree rurali del Paese, dove spesso le donne subiscono violenze o vengono abbandonate dai loro compagni o mariti una volta rimaste incinta. Chanda Karki, ginecologa in un importante ospedale di Kathmandu, sottolinea che "sempre più adolescenti ricorrono all'aborto. Nei nostri ambulatori ospitiamo giovani di età inferiore ai 13 anni. Pur così piccole, alcune ragazze sono già al loro secondo aborto. Così abbiamo deciso di non concedere più questa pratica se non per i casi veramente a rischio". Praveen Mishara, segretario del ministero della Salute, confessa che "vi è un abuso dell'aborto in Nepal. I nostri responsabili stanno facendo di tutto per arginare questo fenomeno che sta raggiungendo numeri preoccupanti". In Nepal l'interruzione della gravidanza è legale dal 2002 per i casi in cui vi è un rischio per la salute della donna o del bambino, in caso di stupro, o se la donna non è capace di intendere e volere. L'aborto selettivo o forzato è illegale. Nelle aree rurali molte Organizzazioni non governative straniere hanno diffuso la cultura della contraccezione e della sterilizzazione volontaria per combattere la povertà. Dal 2006 a oggi almeno una donna su 10 fa ricorso a interruzioni di gravidanza o utilizzo di pillole abortive e contraccettive. Dal 2001 al 2006 il tasso di fertilità è passato dal 4,1 al 3,3. (R.P.)

    inizio pagina

    Messico: “Non utilizzate la Chiesa per interessi politici” ammonisce il vescovo di Veracruz

    ◊   "Non utilizzate la chiesa per interessi politici”. Così mons. Luis Felipe Gallardo Martín del Campo, vescovo di Veracruz, ha ammonito i candidati per le prossime elezioni amministrative. "Una cosa è presentarsi come persona che appartiene a una fede religiosa, e un'altra cosa è pensare e dire: se più dell'80% dei cittadini di questo Paese sono cattolici, posso dire che anche io sono cattolico", ha detto mons. Gallardo Martin. La nota inviata all'agenzia Fides riferisce che la Chiesa inviterà i fedeli a recarsi alle urne sottolineando che il voto è un loro diritto, ma che non verranno date indicazioni di voto a favore di un qualsiasi partito politico. Mons. Gallardo Martin ha rimarcato che i cittadini devono essere responsabili ed andare a votare , perché votare è un diritto ma anche un obbligo. Il vescovo è stato molto chiaro nel suo messaggio alla comunità: "Verificate bene per chi votate, non fatelo per un estraneo, così non vi pentirete dopo". Le elezioni amministrative del 2013 si terranno il 7 luglio negli Stati di Aguascalientes, Baja California, Coahuila, Durango, Chihuahua, Hidalgo, Oaxaca, Puebla, Quintana Roo, Sinaloa, Tamaulipas, Tlaxcala Veracruz e Zacatecas. (R.P.)

    inizio pagina

    Sudafrica: nuove tensioni nelle miniere di platino sudafricane

    ◊   “La tensione è ancora molto alta. Siamo preoccupati” dice all’agenzia Fides mons. Kevin Dowling, vescovo di Rustenburg, vicino a Marikana dove i minatori delle miniere di platino sono in agitazione dopo l’uccisione domenica 12 maggio di un sindacalista,. L’uomo, Mawethu Steven, lavorava per la Amcu, la sigla sindacale più intransigente nella negoziazione con le società minerarie. Altre due persone sono in seguito state uccise da sconosciuti che affermano di ricercare un altro sindacalista della Num, lo storico sindacato dei minatori, criticato da parte dei lavoratori perché visto come meno intransigente. “Su questi ultimi omicidi dobbiamo aspettare le conclusioni dell’inchiesta della polizia. È molto difficile districarsi in questa vicenda per trovare la verità” dice mons. Dowling. Mawethu Steven doveva testimoniare al processo sull’uccisione nell’agosto 2012 di 34 minatori da parte della polizia durante una precedente protesta. “Questo processo è un ulteriore elemento di agitazione al quale si aggiunge l’annuncio da parte della Anglo American Platinum (Amplats) del licenziamento di 6.000 minatori. Sono fattori che accrescono la tensione in tutta l’area” conclude il vescovo. (R.P.)

    inizio pagina

    Angola: il governo esorta i leader cristiani a combattere la proliferazione delle sette illegali

    ◊   La Ministra della Cultura angolana Rosa da Cruz e Silva ha esortato le Chiese cristiane tradizionali e legalmente riconosciute in Angola a mobilitarsi per fermare la diffusione delle nuove sette illegali che minacciano l’ordine pubblico e l’identità culturale del Paese. Aprendo nei giorni scorsi un incontro tra il Governo e i leader religiosi cristiani dedicato al fenomeno religioso, da Cruz e Silva – riporta l’agenzia angolana Angop, ripresa dall’Apic - ha lamentato la proliferazione disordinata dei nuovi culti, richiamando l’importanza del ruolo dei leader religiosi cristiani quali mediatori tra la società e lo Stato “per l’armonia , la difesa dei valori e dei principi nazionali” e nell’educazione alla cittadinanza. Alle parole della ministra hanno fatto eco quelle del Segretario del Presidente della Repubblica per gli affari sociali e religiosi, Simão Helena, che ha esortato i leader cristiani a collaborare su questo fronte. “La Chiesa - ha detto – dovrebbe aiutare lo Stato a trovare soluzioni che mettano tutti d’accordo”. Egli ha quindi esortato le Chiese legali ad essere unite perché, ha affermato, “l’unità della società dipende dalle Chiese”. A marzo Helena aveva già espresso viva preoccupazione per il proliferare di sette impegnate in attività illegali. Nell’ambito di una conferenza intitolata “Riflessioni sulla situazione attuale della Chiesa in Angola”, il segretario aveva precisato che delle 900 chiese attive nel Paese solo 83 sono riconosciute legali dal Ministero della Cultura e in molti casi si tratta di gruppi settari che fanno leva sulla credulità e sul bisogno delle persone, per fini meramente economici e che non contribuiscono in alcun modo al miglioramento della società. A riaccendere i riflettori sul fenomeno è stata la tragedia avvenuta il 31 dicembre scorso allo Stadio Citadella di Luanda durante una veglia organizzata dalla Chiesa Universale del Regno di Dio (Iurd - appartenente alla confessione evangelica neo-pentecostale di origine brasiliana) in cui, a causa della ressa, avevano perso la vita sedici persone. Dopo l’incidente il Governo aveva deciso di sospendere per due mesi ogni attività della Iurd e aperto un’inchiesta. (A cura di Lisa Zengarini)

    inizio pagina

    I vescovi lituani: Convenzione Ue contro la violenza sulle donne promuove l’ideologia di genere

    ◊   I vescovi della Lituania chiedono al Governo di non firmare la nuova Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, approvata nel 2011. Anche se l’obiettivo è in sé condivisibile, afferma l’episcopato in una nota ripresa dall’agenzia Cwn - così come formulato il testo presenta diversi punti non accettabili per la Chiesa cattolica. Composto di 81 articoli, il Trattato individua una serie di nuove tipologie di reato, quali le mutilazioni genitali femminili, il matrimonio forzato, gli atti persecutori (stalking), l’aborto forzato e la sterilizzazione forzata, descrivendo la violenza contro le donne come una “manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi”. A destare le obiezioni dei vescovi lituani sono, tra l’altro, l’articolo 4 che introduce concetti ideologici come quelli dell’”orientamento sessuale” e dell’”identità di genere”. Per lo stesso motivo, secondo i vescovi, è discutibile anche l’articolo 14 che impegna gli Stati contraenti a intraprendere le azioni necessarie per includere nei programmi scolastici materiali didattici su temi quali “la parità tra i sessi e i ruoli di genere non stereotipati”. A preoccupare l’Episcopato è poi l’articolo 12 che impegna le Parti a “promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull'idea dell'inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini” e a vigilare “affinché la cultura, gli usi e i costumi, la religione, la tradizione o il cosiddetto "onore" non possano essere in alcun modo utilizzati per giustificare nessuno degli atti di violenza”. L’articolo, obiettano i vescovi lituani, potrebbe lasciare intendere che le tradizioni culturali e religiose della Lituania siano una minaccia per le donne. Analoghe riserve sulla Convenzione sono state espresse dai vescovi della Polonia che lo scorso mese di dicembre avevano criticato il Governo di Varsavia per avere firmato il Trattato. (L.Z.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 134

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.