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Sommario del 13/05/2013
◊ È lo Spirito Santo che permette al cristiano di avere “memoria” della storia e dei doni ricevuti da Dio. Senza questa grazia, si rischia di scivolare nell’idolatria. Papa Francesco lo ha affermato all’omelia della Messa presieduta questa mattina in Casa Santa Marta. Alla celebrazione hanno partecipato dipendenti della Direzione tecnica, amministrativa e generale di Radio Vaticana e del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti, guidati dai vertici del dicastero, il cardinale presidente Antonio Maria Vegliò, il segretario mons. Joseph Kalathiparambil e il sottosegretario padre Gabriele Bentoglio, che hanno concelebrato col Papa. Il servizio di Alessandro De Carolis:
La risposta che San Paolo riceve da un gruppo di discepoli di Efeso, riportata negli Atti degli Apostoli, è sorprendente: “Non abbiamo nemmeno sentito dire che esista uno Spirito Santo”. Papa Francesco inizia l’omelia da quelle parole, dallo stupore suscitato da esse in Paolo, osservando però con realismo che l’inconsapevolezza manifestata dai cristiani di duemila anni fa non è solo “una cosa dei primi tempi”, "lo Spirito Santo - dice - è sempre un po' lo sconosciuto della nostra fede":
“Adesso, tanti cristiani non sanno chi sia lo Spirito Santo, come sia lo Spirito Santo. E alcune volte si sente: ‘Ma io mi arrangio bene con il Padre e con il Figlio, perché prego il Padre Nostro al Padre, faccio la comunione con il Figlio, ma con lo Spirito Santo non so cosa fare…’. O ti dicono: ‘Lo Spirito Santo è la colomba, quello che ci dà sette regali’. Ma così il povero Spirito Santo è sempre alla fine e non trova un buon posto nella nostra vita”.
Invece, prosegue Papa Francesco, lo Spirito Santo è un “Dio attivo in noi”, un “Dio che fa ricordare”, che “fa svegliare la memoria”. Gesù stesso lo spiega agli Apostoli prima della Pentecoste: lo Spirito che Dio vi invierà in mio nome, assicura, “vi ricorderà tutto quello che ho detto”. Viceversa, per un cristiano si profilerebbe una china pericolosa:
“Un cristiano senza memoria non è un vero cristiano: è un uomo o una donna che prigioniero della congiuntura, del momento; non ha storia. Ne ha, ma non sa come prendere la storia. E’ proprio lo Spirito che gli insegna come prendere la storia. La memoria della storia… Quando nella Lettera agli Ebrei, l’autore dice: ‘Ricordate i vostri padri nella fede’ – memoria; ‘ricordate i primi giorni della vostra fede, come siete stati coraggiosi’ – memoria. Memoria della nostra vita, della nostra storia, memoria dal momento che abbiamo avuto la grazia di incontrare Gesù; memoria di tutto quello che Gesù ci ha detto”.
“Quella memoria che viene dal cuore, quella è una grazia dello Spirito Santo”, ripete con forza Papa Francesco. E avere memoria – precisa – significa anche ricordare le proprie miserie, che rendono schiavi, e insieme la grazia di Dio che da quelle miserie redime:
“E quando viene un po’ la vanità, e uno crede di essere un po’ il Premio Nobel della Santità, anche la memoria ci fa bene: ‘Ma … ricordati da dove ti ho preso: dalla fine del gregge. Tu eri dietro, nel gregge’. La memoria è una grazia grande, e quando un cristiano non ha memoria – è duro, questo, ma è la verità – non è cristiano: è idolatra. Perché è davanti ad un Dio che non ha strada, non sa fare strada, e il nostro Dio fa strada con noi, si mischia con noi, cammina con noi. Ci salva. Fa storia con noi. Memoria di tutto quello, e la vita diventa più fruttuosa, con questa grazia della memoria”.
Papa Francesco conclude quindi con un invito ai cristiani a chiedere la grazia della memoria per essere, afferma, persone che non dimenticano la strada compiuta, "non dimenticano le grazie della loro vita, non dimenticano il perdono dei peccati, non dimenticano che sono stati schiavi e il Signore li ha salvati”. Dopo la Messa, Papa Francesco ha fatto gli auguri di compleanno a mons. Peter Brian Wells, l’assessore per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, ringraziandolo per il “bene” compiuto a servizio della Chiesa.
Pace e lotta alle diseguaglianze al centro dell'incontro tra il Papa e il presidente colombiano
◊ Papa Francesco ha ricevuto stamani, nel Palazzo Apostolico, il presidente della Repubblica della Colombia, Juan Manuel Santos Calderón. Nel corso del cordiale incontro, ci si è soffermati sull’attualità della figura di Madre Laura Montoya Upegui, prima Santa colombiana e “feconda interprete delle radici cristiane del Paese”, canonizzata ieri in Piazza San Pietro. Quindi - prosegue una nota della Sala Stampa vaticana - si è messo l'accento "sull’apporto della Chiesa per la promozione della cultura dell’incontro e sulle sue opere a servizio del progresso umano e spirituale del Paese, in particolare, dei più bisognosi e dei giovani”. Inoltre, prosegue la nota, si sono prese in considerazione le sfide che il Paese deve affrontare, “soprattutto al riguardo delle disuguaglianze sociali”. Non è poi mancato un riferimento “al processo di pace in corso e alle vittime del conflitto, auspicando che le parti implicate proseguano i negoziati, animate da una sincera ricerca del bene comune e della riconciliazione”. Infine, è stato sottolineato “l’impegno della Chiesa a favore della vita e della famiglia”.
◊ Il Papa ha ricevuto stamani alcuni presuli della Conferenza episcopale della Puglia, in visita "ad Limina", guidati dal loro presidente, mons. Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto. Sergio Centofanti gli ha chiesto di parlarci dell’incontro con il Pontefice:
R. – Posso testimoniare a caldo che è stato uno dei più begli incontri di fraternità episcopale, perché il Papa parla con una paternità, fraternità, e con una libertà di spirito che ci ha conquistati.
D. – Quale è stato il contenuto del colloquio?
R. – Ha riguardato innanzitutto il bisogno di essere annunciatori semplici e poveri del Vangelo. E poi ci ha detto con molta semplicità che è importante che noi viviamo il rapporto con la liturgia e con la fede con semplicità e senza sovrastrutture, perché viviamo, forse eccessivamente, di burocratizzazione anche nella Chiesa.
D. – Voi avete portato al Papa i problemi e le speranze della vostra regione…
R. – Abbiamo soprattutto sottolineato la ricchezza vocazionale che caratterizza le nostre chiese di Puglia. In questo senso, accanto a questi aspetti positivi abbiamo manifestato difficoltà che riguardano qualche sacca, per esempio, di criminalità che tocca alcune zone per fortuna in fase di ridimensionamento.
D. - Rispetto alle difficoltà e alle questioni che avete portato, il Papa a cosa vi ha esortati?
R. - Soprattutto a essere pastori semplici e bisognosi di annunciare il Vangelo “sine glossa”. Questo è qualcosa che abbiamo colto tutti. Poi soprattutto abbiamo colto un aspetto della sua umanità, della sua tenerezza di padre.
D. – Proprio oggi ricorrono i due mesi dalla elezione di Papa Francesco: che primo bilancio potete fare?
R. – Ogni volta che il Signore dona alla Chiesa un Papa, un Successore di Pietro, lo fa per dirci qualcosa e dire qualcosa oggi. E’ uno dei segni dei tempi che tutti nella Chiesa e nel mondo dobbiamo raccogliere.
D. - C’è un segno particolare che viene da Papa Francesco?
R. – Il segno particolare è quello della nobile semplicità. Ciò che si dice della liturgia si può dire di lui.
◊ La Chiesa cattolica cresce nel mondo, soprattutto in Africa e Asia, mentre l’Europa continua a registrare segnali negativi: è il dato che si evince dall’Annuario Pontificio 2013 presentato al Papa questa mattina dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e da mons. Angelo Becciu, sostituto per gli Affari Generali. La redazione del nuovo Annuario è stata curata da mons. Vittorio Formenti, incaricato dell’Ufficio Centrale di Statistica della Chiesa, dal prof. Enrico Nenna e dagli altri collaboratori. Contestualmente è stato presentato anche l’Annuarium Statisticum Ecclesiae 2011, curato dallo stesso Ufficio. Papa Francesco ha ringraziato per l’omaggio, mostrando interesse per i dati illustrati e esprimendo gratitudine a tutti coloro che hanno collaborato alla nuova edizione dei due annuari. Da notare che nell’Annuario Pontificio 2013 ricorre due volte il nome di Benedetto XVI: la prima nella serie dei Sommi Pontefici, la seconda nella pagina dedicata alla Diocesi di Roma, sede del Vicario di Cristo, dove viene definito Sommo Pontefice emerito. Il servizio di Sergio Centofanti:
I cattolici nel mondo sono 1 miliardo e 214 milioni (i dati si riferiscono al 2011): nel 2010 erano 1 miliardo e 196 milioni. C’è stato dunque un aumento relativo dell’ 1,5% e poiché questa crescita risulta di poco superiore a quella della popolazione della Terra (1,23%), la presenza dei cattolici del mondo è risultata sostanzialmente invariata (17,5%). L’analisi territoriale delle variazioni nel biennio, mostra un aumento del 4,3% di cattolici nell’Africa, che ha invece accresciuto la sua popolazione del 2,3%. Anche nel continente asiatico si è registrato un aumento di cattolici superiore a quello della popolazione (2,0% contro l’ 1,2%). In America e in Europa si assiste ad una uguale crescita dei cattolici e della popolazione (0,3%). Nel 2011 il totale dei cattolici battezzati è così distribuito per continente: 16,0% in Africa, 48,8% in America, 10,9% in Asia, 23,5% in Europa e 0,8% in Oceania.
Il numero dei Vescovi nel mondo è passato, dal 2010 al 2011, da 5.104 a 5.132, con un aumento relativo dello 0,55%. L’incremento ha interessato, in particolare, l’Oceania (+4,6%) e l’Africa (+1,0%), mentre l’Asia e l’Europa si collocano di poco al di sopra della media mondiale. L’America non ha fatto registrare variazioni. A fronte di tali dinamiche differenziate, tuttavia, la distribuzione dei Vescovi per continente è rimasta sostanzialmente stabile nell’ultimo biennio considerato, con America ed Europa che, da sole, continuano a rappresentare quasi il 70 per cento del totale.
La presenza dei sacerdoti, diocesani e religiosi, nel mondo è aumentata nel tempo, passando nell’ultimo decennio dalle 405.067 unità del 31 dicembre 2001 alle 413.418 del 31 dicembre 2011 (+2,1%). Tale evoluzione non è stata, tuttavia, omogenea nelle diverse aree geografiche. La dinamica del numero dei presbiteri in Africa e in Asia risulta alquanto confortante, con un +39,5% e un +32,0% rispettivamente (e con un incremento di oltre 3.000 unità, per i due continenti, soltanto nel 2011), mentre l’America si mantiene stazionaria attorno ad una media di 122 mila unità. L’Europa, in controtendenza rispetto alla media mondiale, ha conosciuto nel decennio una diminuzione di oltre il 9%.
I diaconi permanenti sono in forte espansione sia a livello mondiale sia nei singoli continenti, passando complessivamente da oltre 29.000 nel 2001 a circa 41.000 unità dieci anni dopo, con una variazione superiore al 40%. Europa e America registrano sia le consistenze numericamente più significative, sia il trend evolutivo più vivace. I diaconi europei, infatti, poco più di 9.000 unità nel 2001, erano quasi 14.000 nel 2011, con un incremento di oltre il 43%. In America da 19.100 unità nel 2001 sono passati a più di 26.000 nel 2011. Questi due continenti, da soli, rappresentano il 97,4% della consistenza globale, con il rimanente 2,6% suddiviso tra Africa, Asia ed Oceania.
Il gruppo dei religiosi professi non sacerdoti è andato consolidandosi nel corso dell’ultimo decennio, posizionandosi a poco più di 55 mila unità nel 2011. In Africa e in Asia si osservano variazioni del +18,5% e del +44,9%, rispettivamente. Nel 2011 questi due continenti rappresentavano complessivamente una quota di oltre il 36% del totale (erano meno del 28% nel 2001). All’opposto, il gruppo costituito da Europa (con variazione del -18%), America (-3,6%) e Oceania (-21,9%) si è ridotto di quasi 8 punti percentuali nel corso dell’ultimo decennio.
Per le religiose professe, si osserva una dinamica fortemente decrescente con una contrazione del 10%, dal 2001 al 2011. Il numero complessivo delle religiose professe, infatti, è passato da oltre 792 mila unità nel 2001 a poco più di 713 mila dieci anni dopo. Il calo ha riguardato tre continenti (Europa, America e Oceania), con variazioni anche di rilievo (-22% in Europa, -21% in Oceania e -17% in America). In Africa e Asia, invece, l’incremento è stato decisamente sostenuto, superiore al 28% nel primo continente e al 18% nel secondo. Conseguentemente, la frazione delle religiose professe in Africa e Asia sul totale mondiale passa dal 24,4% al 33% circa, a discapito dell’Europa e dell’America, la cui incidenza si riduce complessivamente dal 74% al 66%.
I candidati al sacerdozio nel mondo, diocesani e religiosi, sono passati da 112.244 nel 2001 a 120.616 nel 2011, con un incremento del 7,5%. L’evoluzione è stata molto differente nei vari continenti. Mentre, infatti, Africa (+30,9%) e Asia (+29,4%) hanno mostrato dinamiche evolutive vivaci, l’Europa e l’America registrano una contrazione del 21,7% e dell’ 1,9%, rispettivamente. Di conseguenza, si osserva un ridimensionamento del contributo del continente europeo alla crescita potenziale del rinnovo delle compagini sacerdotali, con una quota che passa dal 23,1% al 16,8%, a fronte di un’espansione dei continenti africano e asiatico.
Nel corso del 2012 e fino all’elezione di Papa Francesco, sono state erette 11 nuove Sedi Vescovili, 2 Ordinariati Personali, 1 Vicariato Apostolico e 1 Prefettura Apostolica; sono state elevate 1 Prelatura Territoriale a Diocesi e 2 Esarcati Apostolici a Eparchie.
Il complesso lavoro di stampa dei due volumi è stato curato da don Sergio Pellini, direttore generale, dal comm. Antonio Maggiotto, dal comm. Giuseppe Canesso, dal rev. Marek Kaczmarczyk e da Domenico Nguyên Duc Nam, della Tipografia Vaticana. I volumi saranno prossimamente in vendita nelle librerie.
◊ Papa Francesco qualche giorno fa aveva parlato dell’importanza dell’esame di coscienza. E oggi, nel giorno in cui la Chiesa celebra la mamoria della Madonna di Fatima, pone due domande sul suo account Twitter @Pontifex: “Sono fedele a Cristo nella vita quotidiana? Sono capace di ‘fare vedere’ la mia fede, con rispetto ma anche con coraggio?”.
Il card. Comastri: il Beato Luigi Novarese aveva capito che la prima guarigione è quella interiore
◊ Un filo mariano ha attraversato l’opera di mons. Luigi Novarese, l’apostolo dei malati. Lo ha sottolineato il cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica Vaticana, dove è stata celebrata stamani la Messa, in occasione della Beatificazione di mons. Novarese, avvenuta sabato scorso. Mons. Novarese volle che l’esperienza degli esercizi spirituali fosse estesa a tutti i malati, ha rilevato il porporato nell’omelia. Proprio per questo nel 1952 si impegnò per la costruzione della Casa Cuore Immacolato di Maria a Re, cittadina piemontese. Il servizio di Debora Donnini:
“Un figlio devotissimo di Maria, che con l’entusiasmo di un bambino ha accolto gli appelli che la Madonna ha consegnato alla Chiesa a Lourdes e a Fatima, dove ha detto con insistenza: ‘Pregate, pregate e fate penitenza per la conversione dei peccatori’. Un filo mariano ha attraversato tutta l’opera e tutto l’apostolato del Beato Luigi Novarese”.
All’inizio della Messa il cardinale Comastri ha voluto subito sottolineare il profondo legame fra l’opera di mons. Novarese e la Vergine. Sono tre i ricordi che si intrecciano e portano oggi a ringraziare il Signore. Proprio il 13 maggio del 1917 ci fu la prima apparizione di Maria a Fatima. Il secondo “grazie” è rivolto alla Madonna per aver protetto Giovanni Paolo II nell’attentato del 13 maggio del 1981. Il terzo per il dono del Beato Luigi Novarese, nato nel 1914 e deceduto all’età di 70 anni, fondatore dei Silenziosi Operai della Croce e del Centro Volontari della Sofferenza, che proprio a Lourdes, ha ricordato il porporato, cominciò a portare i sacerdoti ammalati, trasformando il pellegrinaggio in un corso di esercizi spirituali:
“Mons. Novarese è stato veramente un prete per i preti: essi sono stati il primo campo della sua missione, e di questo non lo ringrazieremo mai abbastanza e non lo imiteremo mai abbastanza!”.
Tanti furono i frutti di conversione e dunque mons. Novarese desiderò che l’esperienza degli esercizi spirituali fosse estesa a tutti gli ammalati:
“Egli aveva lucidamente capito che la prima guarigione di una persona è la guarigione interiore. Infatti, quando il cuore di una persona si apre a Gesù e si affida a Maria, un’inondazione salutare e pacificante attraversa tutta la persona”.
Il cardinale Comastri ha anche rievocato alcuni episodi della vita di mons. Novarese, che dimostrano come si affidasse con fede alla Provvidenza per compiere l’opera che il Signore gli aveva ispirato: basti pensare che per costruire la Casa Cuore Immacolato partì con 9.200 lire offerte dai malati stessi e la costruzione alla fine costò 1 miliardo e 400 milioni di lire. Ma c’è un frutto più prezioso che mons. Novarese portò alla Chiesa. Il cardinale Comastri ricorda quanto Giovanni Paolo II afferma nell’Esortazione apostolica post-sinodale, Christifideles Laici:
“‘Uno dei fondamentali obiettivi di questa rinnovata e intensificata azione pastorale che non può non coinvolgere, e in modo coordinato, tutte le componenti della comunità ecclesiale, è di considerare il malato, il portatore di handicap, il sofferente non semplicemente come termine dell’amore e del servizio della Chiesa, bensì come 'soggetto attivo e responsabile dell’opera di evangelizzazione e di salvezza’. Queste parole sono il frutto dell’opera di mons. Luigi Novarese”.
Cortile dei Gentili in Messico. Card. Ravasi: gettato nuovo seme di dialogo con i non credenti
◊ Il Messico ha ospitato nei giorni scorsi il primo “Cortile dei Gentili” extraeuropeo. In un Paese, cattolico all’87% ma segnato da una forte impronta anticlericale, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ha intavolato un confronto con il mondo culturale messicano sul rapporto tra "Laicità e trascendenza". La risonanza registrata dall’iniziativa vaticana di dialogo con il mondo dei non credenti è stata molto ampia. Le parole del porporato nel servizio di Fabio Colagrande:
“E’ forse stata la sorpresa principale del mio viaggio: la modalità dell’accoglienza, segnata da un interesse e da un calore inattesi. Infatti, anche per me alle spalle c’era questa conoscenza di un Paese che, pur avendo questa forte matrice cattolica – tradizionale, anche – aveva però una laicità strutturale, affidata soprattutto alla politica ma ormai affidata anche alla gestione stessa della società. Ebbene, ho dovuto cambiare quasi completamente questa mia concezione, entrando nella realtà concreta”.
Tra gli interventi più attesi di questa tappa latinoamericana del Cortile dei Gentili, quello del cardinale Gianfranco Ravasi all’Università Unam di Città del Messico, luogo fortemente caratterizzato dal punto di vista laico. Sentiamo com’è andata:
"Il Cortile dei Gentili aveva due momenti: il primo era all’interno di un museo inaugurato due anni fa, il Museo Soumaya. All’interno di questo spazio, si è svolto un Cortile dei Gentili nel senso classico del termine, con interventi di personalità della cultura messicana, credenti e non credenti. Poi, c’è stato il secondo momento, e questo è stato forse – per me, l’ho detto anche a loro – l’esperienza più interessante. Un filosofo molto apprezzato in tutta l’America Latina, che è stato anche preside della facoltà di investigazioni filosofiche, il prof. Guillermo Hurtado, aveva già organizzato in passato questi incontri all’interno dell’Università, tra credenti e non credenti. Approfittando della mia presenza, ha voluto che io entrassi all’interno di questa Facoltà e ha aperto l’invito a professori e a docenti di discipline diverse. Si sono ritrovati in una trentina e abbiamo liberamente e a lungo discusso un pomeriggio intero con una vivacità e soprattutto con la caratteristica propria del Cortile dei Gentili, che è quella secondo la quale le tesi devono essere argomentate, devono essere approfondite e dall’altra parte subito hanno una interlocuzione. E devo dire che credenti e non credenti di discipline diverse hanno condotto un confronto estremamente serrato, in alcuni punti anche teso, perfino, appassionato. Ma soprattutto – e questo per me è il valore principale – hanno dato l’avvio con il desiderio di estendere ad altri colleghi ad un Cortile dei Gentili permanente, che durerà continuamente e che avrà ogni periodo, forse ogni mese, un incontro tematico i cui risultati poi verranno comunicati anche a livello scientifico o a livello popolare".
Hanno avuto una eco particolare le affermazioni fatte dal cardinale Ravasi in Messico, a proposito della collusione tra mafia e pseudo-religiosità, che riprendono temi già toccati in altri Cortili dei Gentili in Italia:
"Come avviene in Italia, che molto spesso il capo mafioso abbia la sua cappella privata con la presenza di un crocifisso, di una Bibbia, di una Madonna, di Padre Pio e così via – oppure la criminalità organizzata che partecipa a certe processioni mettendo su di esse un sigillo – anche là esiste questo problema. Solo che là, data la potenza assoluta che ha il narcotraffico – giunto ormai in alcuni casi a essere una sorta di governo alternativo, di potere alternativo che ramifica i suoi percorsi anche nell’ambito della politica con la corruzione – si è costituita questa forma di culto propria, che è quella della santa muerte, laddove con un rituale molto complesso al centro c’è proprio uno scheletro: c’è la mortalità, la morte vista come l’elemento di culto e di incubo al tempo stesso, sul quale si gioca un po’ la spiritualità di un popolo. Ed è per questo che il mio intervento è stato molto duro, distinguendo tra l’autentica fede – che è invece una fede nella vita, in tutte le religioni il Dio è il vivente per eccellenza, il principio della creazione – e questo che è esattamente l’antipodo, nonostante sia rivestito di manto religioso. Ed è per questo che io ho usato questo termine che ha creato molta impressione nella stampa messicana e non solo: è un’esperienza in realtà blasfema. Non è un elemento religioso: è un elemento, invece, di negazione dell’autentica religiosità".
Il card. Turkson: la finanza persegua il bene comune, nell'Ue miopi comportamenti nazionalisti
◊ Per un sistema finanziario orientato al bene comune la società civile, gli Stati e le multinazionali devono agire assieme. Lo ha detto il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, intervenendo al seminario “Banking on the Common Goood, Finance for the Comnon Good”, organizzato a Palazzo San Calisto a Roma. Banchieri, imprenditori ed economisti concordano sul fatto che bisogna lavorare per una maggiore distribuzione delle ricchezze, ma sui modi le opinioni sono differenti. Alessandro Guarasci:
Il valore della sussidarietà non è negoziabile. E per questo serve maggiore apertura da parte degli operatori finanziari. Il cardinale Turkson ammette che il concetto di “solidarietà europea sta declinando. Si affermano miopi comportamenti nazionalistici che mettono a rischio il progetto dell’Unione Europea”. Ora bisogna perseguire una politica dei piccoli passi. Ce lo insegna il progetto di supervisione delle banche europee, che ha perso forza. Il cardinale Peter Turkson:
"Dobbiamo cercare proprio di arrivare alla radice della crisi. Quindi, secondo noi sarebbe ideale iniziare con la supervisione di un Paese, del sistema-banche di un Paese; dopo, mano a mano, si unisce tutto. Ma tutto insieme, è un po' difficile".
E le grandi compagnie devono evitare di dare “incentivi ai lori dirigenti che incoraggiano comportamenti superficiali”. Per Burkhard Leffers, presidente di Uniapac Europa (Organizzazione internazionale di imprenditori cristiani) bisogna comunque perseguire il rigore:
"I’m not very happy with...
Non sono molto felice di quello che sta facendo in questo momento la Commissione Europea nel dare margine di manovra per due anni a Spagna, Francia e ad altri Paesi. Penso che dobbiamo attenerci ad una politica più rigida e mettere a posto le finanze pubbliche prima di tutto, anche se con il sacrificio di avere tensioni sociali. Ma vedo il pericolo di concedere due anni e poi fra due anni altri due, in un processo senza fine. Se guardiamo indietro nella storia, infatti, il debito dei governi è sempre aumentato".
L’economista Luigi Becchetti è invece convinto che sia necessario puntare di più sullo sviluppo:
"Anche l'Europa deve rendersi conto che oggi il pericolo inflazione nella globalizzazione non c'è e quindi deve fare molta offerta di moneta per far arrivare i soldi direttamente alle famiglie e alle imprese e non solo alle banche".
L’obiettivo è aiutare i poveri, garantire la pace, il rispetto del Creato. Tre concetti che hanno portato il Papa a scegliere il nome Francesco.
Da Benedetto a Francesco. In un libro di padre Spadaro, la straordinaria successione tra i due Papi
◊ Sono passati due mesi dall’elezione di Papa Francesco, due mesi fecondi e per molti aspetti straordinari, per la vita della Chiesa e non solo. Proprio in occasione di questa ricorrenza, esce oggi nelle librerie il volume “Da Benedetto a Francesco”, scritto dal direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, e pubblicato dalla Lindau. Il libro è una lettura in prima persona della successione tra i due Pontefici. Alessandro Gisotti ha chiesto a padre Spadaro di soffermarsi sulla motivazione che lo ha mosso a scrivere questo libro-diario:
R. - Ho scritto questo libro perché avevo bisogno di capire, capire quello che stava accadendo perché ho vissuto questi eventi in presa diretta come direttore di Civiltà Cattolica. Ho seguito per la mia rivista tutta la vicenda: dalla rinuncia di Benedetto XVI al Conclave, fino all’elezione di Papa Francesco. Così alla fine ho preso nota di tutto, però volevo anche raccontare in “soggettiva” quello che stava accadendo, cioè cercando di scrivere come stavo vivendo quegli eventi in maniera molto personale. Dunque, certamente è un diario, una scrittura “calda” di quegli eventi.
D. - Il periodo dalla rinuncia di Benedetto XVI alla elezione di Francesco è - come sottolinea nel libro - "incredibile". È possibile trovare una chiave di lettura per decifrare, per abbracciare il significato di questa straordinaria successione?
R. - Credo di sì. Credo che sia contenuto nelle parole con le quali Benedetto XVI annunciava la sua rinuncia. La chiave di lettura credo siano i "rapidi mutamenti del mondo contemporaneo" e quelle che Benedetto XVI chiamava “le sfide di maggior peso per la fede” che richiedono vigore. Il periodo dall’11 febbraio al 13 marzo - di cui scrivo nel mio libro - parla di una Chiesa viva che si riconosce “semper reformanda”, cioè sempre da riformare. Papa Francesco ha raccolto il testimone di Papa Benedetto con vigore, come stiamo vedendo, e proprio nella prospettiva della riforma.
D. - Il libro è pervaso di "ottimismo realista", una formula che viene evocata più volte. È questa la cifra del passaggio di testimone tra Benedetto e Francesco, una successione per altro che avviene proprio nell’Anno della Fede?
R. - Sì assolutamente e qui si riconosce una delle cifre della “gesuiticità” di Papa Francesco, che cerco di mettere appunto in luce nella seconda parte del libro. La spiritualità dei gesuiti è di un "realismo ottimista", perché si fonda sul cercare e trovare Dio in tutte le cose, in tutte le situazioni - come diceva Sant’Ignazio - e come Papa Francesco ha detto più volte: “Dio vive già nel mondo e ci spinge ad uscire incontro a Lui per scoprirlo”; addirittura in un’intervista disse che dobbiamo "accompagnare Dio" nella sua crescita nel mondo. Quindi, nonostante tutto il dolore e i problemi del mondo, per Papa Bergoglio il nostro mondo, la nostra realtà è il luogo in cui Dio è all’opera, quindi non si può essere pessimisti!
D. - Lei scrive che il Dio di Bergoglio è il Deus semper maior di Sant’Ignazio di Loyola, dunque il “Dio delle sorprese”. Certo le sorprese non sono mancate in questi primi due mesi di Papa Francesco. Una sua riflessione a riguardo…
R. - Dio ci sorprende sempre, ha detto Papa Francesco. Una volta, in una sua meditazione sul Profeta Giona disse che Dio irrompe nella vita come un torrente. Quindi, Dio supera sempre, è sempre maggiore di noi, del nostro modo di pensare, del nostro modo di immaginarlo. Per quanto riguarda poi le sorprese di questi due mesi, credo che derivino dalla capacità comunicativa del Papa: il Papa ama i gesti che significano vicinanza a distanza personale, inclusi anche gli abbracci che indicano tanta empatia, tanta condivisione. Si percepisce anche che il suo sguardo non è rivolto alla massa, ma ai singoli che fissa con gli occhi, con attenzione e proprio questa è una forma per lui naturale, congeniale di annunciare il Vangelo cioè di far percepire che - come disse una volta durante un’omelia - Dio ci ama tanto, è tutto amore. Del resto, questa è la vera sorpresa che il Papa continua ad annunciare.
Il Papa eleva il rettore dell'Università cattolica argentina alla dignità arcivescovile
◊ Papa Francesco ha elevato alla dignità di arcivescovo il rev.do dott. Victor Manuel Fernández, rettore della Pontificia Università Cattolica Argentina, assegnandogli la sede titolare arcivescovile di Tiburnia. Mons. Fernández, 51 anni, è rettore della Pontificia Università Cattolica Argentina dal 2011. Nel 2007 è stato designato da Benedetto XVI a partecipare alla V Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano (Celam) ad Aparecida, in Brasile, svolgendo l’incarico di perito della Conferenza Episcopale Argentina e dello stesso Celam.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Con il coraggio della fedeltà: Papa Francesco canonizza i martiri di Otranto e due religiose latinoamericane.
Presenza e azione pastorale della Chiesa nel mondo: presentato l'Annuario Pontificio 2013.
Alta tensione tra Ankara e Damasco: nel servizio internazionale, in primo piano la crisi siriana.
De Gasperi e Toniolo: in cultura, Paolo Pecorari sul concetto cristiano di democrazia.
Fuga nella notte: Giovanni Preziosi su come le orsoline milanesi aiutarono ebrei e perseguitati a sfuggire ai nazisti.
Dante e l’imperatore: Saverio Bellomo sulla Donazione di Costantino nella concezione dell'autore della Divina Commedia.
Fratelli eccezionali: Fabrizio Bisconti sulla nuova edizione de "I martiri di Roma" di Agostino Amore.
Economia della vita ascetica: Giancarlo Rocca sulla storia della gestione dei beni degli istituti religiosi.
Elezioni Pakistan: Sharif vicino alla maggioranza assoluta
◊ Bassa partecipazione delle donne, violenza dei talebani, scarsa efficacia della Commissione elettorale: sono gli elementi di criticità in relazione al voto politico di sabato in Pakistan, messi in luce dagli osservatori dell'Unione Europea. Dopo i 40 morti del giorno del voto, ieri almeno sei persone sono state uccise in un attacco a Quetta, capoluogo della provincia del Baluchistan. Ma in ogni caso, i vescovi parlano di grande incoraggiamento visto che il 60 per cento dei votanti non si è lasciato intimidire dalle minacce. Il vincitore è il leader della Lega musulmana, Sharif. Fausta Speranza ha parlato dell’importanza del voto e delle sfide politiche con Raffaele Marchetti, docente di relazioni internazionali all’Università Luiss:
R. – Certamente sono state elezioni caratterizzate da una violenza diffusa. Allo stesso tempo, però, dobbiamo riconoscere che sembrano essere le prime elezioni che permettono un cambio di governo in modo pacifico e democratico nel Pakistan. E questo mi sembra un esito del tutto notevole. Dobbiamo, in effetti, attendere l’esito ufficiale del voto, perché sembra che Sharif sia quasi nella situazione di poter creare un governo da solo, raccogliendo piccoli sostegni da piccole forze. Sembra che, in effetti, il risultato finale per la Lega di Sharif sia superiore alle aspettative.
D. – Quali le sfide che aspettano il Pakistan dal punto di vista politico?
R. – Le sfide sono innumerevoli. Naturalmente una sfida è certamente la gestione del terrorismo dei talebani, del rapporto con l’Afghanistan. Il partito di Sharif è un partito comunque sensibile alle rivendicazioni islamiste. E’ il partito che probabilmente potrà nel migliore dei modi cercare una gestione della questione terroristica. L’altra sfida è quella economica. Il Pakistan soffre una crisi e Sharif si è presentato come il candidato in grado di risolvere e di affrontare le sfide economiche, perché viene da un background economico e si è sempre presentato come l’uomo nuovo, in qualche modo fuori dalla politica, anche se naturalmente la sua esperienza politica ormai è di lungo corso, in grado di capire i meccanismi economici, in grado di attivare le risorse economiche per sviluppare il Pakistan.
D. – Se pensiamo al quadro geopolitico dell’area?
R. – Il quadro geopolitico naturalmente rimane complesso. Dall’India ci sono state aperture, certamente “diplomatiche”, però interessanti. Gli Stati Uniti devono continuare ad avere una presenza sul territorio e il Pakistan, malgrado tutto, rimane un alleato strategico per gli Stati Uniti. E’ chiaro che Sharif ha già annunciato che vuole interrompere il sostegno americano per quanto riguarda l’appoggio all’attività con i droni degli Stati Uniti. Per il resto, però sembra in qualche modo inevitabile che il Pakistan continui a collaborare. Naturalmente l’altro grande partner è la Cina, con cui il Pakistan ha rapporti significativi, che sicuramente continuerà a sviluppare. La triangolazione contro l’India è evidente.
Elezioni in Bulgaria. Boyko Borisov vince di misura sul partito socialista
◊ Il "Partito dei cittadini per una Bulgaria Europea" dell'ex primo ministro conservatore, Boyko Borisov, ha vinto di misura le elezioni parlamentari. Secondo il 96% delle schede scrutinate, il Partito conservatore Gerb ha ottenuto il 30,71% delle preferenze, seguito dal Partito socialista (Bsp), al quale va il 27,02%. Il Paese sarebbe a rischio governabilità. Calo di consensi per il primo partito che aveva vinto anche le elezioni del 2009, ma allora aveva ottenuto il 40% dei consensi. Borisov è stato primo ministro dal 2009 allo scorso febbraio, quando si è dimesso in seguito alle forti proteste per le sue poitiche di austerità, anticipando così di due mesi la convocazione delle elezioni. Intanto, la Commissione europea si aspetta ''in brevissimo tempo'' i risultati della indagini sui sospetti di brogli e frodi che sarebbero stati commessi durante le elezioni, in particolare la stampa di migliaia di schede elettorali false. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Francesco Martino, corrispondente da Sofia dell’Osservatorio Balcani e Caucaso:
R. - Per la prima volta, dall’inizio della transizione democratica, un partito - dopo quattro anni di governo - riesce a ribadire la propria posizione come prima forza nel Paese. Al tempo stesso, però questa vittoria non sembra portare oggi il partito Gerb dell’ex premier Bojko Borisov nelle condizioni di poter formare un nuovo governo.
D. - Si profila una situazione di stallo politico?
R. - Non è escluso che qualcuno degli attori che siederanno nel prossimo parlamento di Sofia riuscirà a formare una maggioranza di governo, ma soprattutto nessuna delle formule che in questo momento è possibile intravedere sembra godere di grande stabilità. Tra l’altro, il secondo partito - gli sconfitti, cioè il Partito socialista - pensa di avere in parlamento numeri sufficienti per proporre un governo di coalizione. È tutto da vedere nei prossimi giorni, nelle prossime settimane. Quindi, il problema non è soltanto se si riuscirà a formare un nuovo governo, ma soprattutto quale forza politica avrà il governo stesso. Non è nemmeno escluso un nuovo ricorso alle urne.
D. - Durante queste consultazioni, abbiamo assistito anche a molte proteste, anche lo spettro dei brogli con le schede che sono state trovate contraffatte…
R. - E’ una situazione che sicuramente ha pesato. C’è da tener presente che buona parte dell’elettorato bulgaro - pur avendo poca fiducia e poca voglia di votare per i partiti dello status quo, dell’establishment, come appunto Gerb, o il Partito socialista - in qualche modo non ha trovato un’alternativa politica percorribile. Questo è emerso con una scarsa affluenza alle urne, ma anche con un clima di tensione e di protesta che continua ad essere vivo.
D. - Che cosa la popolazione si aspetta che il governo faccia?
R. - Le principali emergenze sono quelle di garantire alla popolazione uno standard di retribuzione minimo.
D. - Quant’è il salario medio in Bulgaria e si trova lavoro?
R. - Salario medio mi pare che in questo momento sia fissato intorno ai 380 euro mensili. È difficile arrivare a fine mese. Sulla questione della disoccupazione, i dati ufficiali parlano di disoccupazione al 12%, al 30% per quanto riguarda la disoccupazione giovanile. Quindi, trovare lavoro, soprattutto un lavoro qualificato, non è semplice. C’è però da dire che se inseriamo la Bulgaria in un contesto europeo più ampio - basta guardare al Paese confinante la Grecia, o alla Spagna, al Portogallo o alla stessa Italia - diciamo che la Bulgaria non se la cava peggio di molti altri Paesi del continente europeo.
D. - Il Paese ha a che fare con problemi come la corruzione, la crisi economica e il bisogno di elevare lo standard di vita. Cosa serve in sostanza al Paese?
R. - Sono queste le emergenze. Diciamo che oggi la Bulgaria si trova in una situazione per cui il problema non è soltanto quello di progredire, ma di non tornare indietro. Questo soprattutto per la situazione generale che vede l’Unione Europea - che è un po’ il faro, l’ancora a cui la Bulgaria si è appigliata negli ultimi anni - vivere in questi anni una grandissima crisi interna e quindi non essere più all'apparenza quel "motore" cui i bulgari avevano delegato buona parte delle speranze di modernizzazione del Paese, quando la Bulgaria è entrata nell’Unione nel 2007.
La guerra in Siria al centro del vertice Obama-Cameron. Caccia turco cade sul confine siriano
◊ Resta alta la tensione tra la Siria e la Turchia, dopo gli attentati dei giorni scorsi al confine che hanno provocato quasi 50 vittime. E oggi un caccia turco è precipitato al confine con la Siria. Una situazione che preoccupa la comunità internazionale: oggi alla Casa Bianca è previsto un incontro sulla Siria tra il presidente americano, Barack Obama, e il premier britannico, David Cameron, reduce da un vertice in Russia con il presidente Putin. Dopo gli ultimi eventi, c’è la possibilità di uno sconfinamento del conflitto siriano? Benedetta Capelli lo ha chiesto ad Alberto Rosselli, esperto di questioni turche:
R. – Indubbiamente, soprattutto l’ultimo attentato di sabato scorso, con l’esplosione di due autobomba, ha reso le relazioni fra i due Paesi molto più dure. Secondo le indagini effettuate dai servizi segreti di Ankara, dietro gli attacchi ci sarebbero effettivamente gruppi terroristici facenti capo ad una organizzazione marxista legata al regime di Bashar al Assad. Questo sicuramente rende molto più difficile il dialogo diplomatico tra Ankara e Damasco.
D. – L’opposizione turca ha accusato Erdogan di aver optato per una politica troppo dura nei confronti di Damasco: è effettivamente così?
R. – L’opinione pubblica turca si divide in due parti. Da una parte, c’è un’accusa che viene dai partiti di opposizione per i quali Erdogan non è riuscito a gestire bene l’emergenza. Però, le contestazioni sono di due tipi: c’è una contestazione che riguarda l’atteggiamento o il presunto atteggiamento troppo duro da parte di Ankara e c’è, invece, un altro tipo di accusa che è quella di essere stati troppo morbidi nei confronti della questione siriana.
D. – Giovedì prossimo, Erdogan vedrà Obama: sarà l’occasione per spingere per un intervento internazionale come più volte chiesto dallo stesso Erdogan?
R. – Questo sicuramente. Si chiede un intervento paritetico, simultaneo, da parte di Stati Uniti e Russia che osservano con molta attenzione e con molta preoccupazione gli eventi siriani. Ed è verosimile che lo stesso Erdogan non si opponga a un intervento di tipo internazionale, anche se con modalità tali che possano tenere la Turchia fuori dal calderone siriano. Quindi, è probabile che Obama offrirà per l’ennesima volta la disponibilità degli Stati Uniti, assieme alla Russia, ad intervenire diplomaticamente su Damasco. Certo, è che Erdogan chiederà garanzie.
D. – Nell’ambito dei colloqui internazionali, domani c’è a questo incontro Putin-Netanyahu e si discuterà anche di Siria, secondo lei cosa c’è da attendersi da questo vertice?
R. – E’ un vertice importante. E’ indubbio che un asse di dialogo fra la Russia, che è interessata in qualche modo a una pacificazione della Siria, ed Israele, che rimane il convitato di pietra di questa grande assise internazionale intorno alla questione siriana, è rilevante. Israele confina con la Siria sul Golan e ha avuto rapporti difficili con Damasco inoltre vede non bene questo stato di fibrillazione del Paese che può scatenare anche particolarismi locali in funzione anti-israeliana. Quindi, io credo che Putin parlerà con Netanyhau chiedendogli una sorta di riflessione, nella speranza che anche di fronte ad eventuali provocazioni di gruppi siriani e anti-israeliani, Israele non reagisca in maniera eccesiva per difendere la propria sovranità nazionale e soprattutto gli insediamenti dei coloni che stanno ai confini con la Siria nel nord di Israele.
Rapporto Cei: emergenza occupazione fino al 2020, rilanciare la formazione al lavoro
◊ Disoccupazione record, lavoro nero, precariato, mancata conciliazione lavoro famiglia, fuga dei cervelli: sono solo alcuni sintomi dell’emergenza occupazionale in Italia destinata a durare almeno fino al 2020. Per questo il progetto culturale della Cei ha elaborato il volume “Per il lavoro. Rapporto-proposta sulla situazione italiana”. Questo pomeriggio a Roma la presentazione alla presenza del cardinale Camillo Ruini e del segretario generale della Cei mons. Mariano Crociata. Al microfono di Paolo Ondarza ascoltiamo il sociologo Sergio Belardinelli, tra i curatori dell’opera:
R. – I tassi di disoccupazione, che sappiamo essere molto alti, la disoccupazione giovanile, inefficienti meccanismi di formazione al lavoro, un mercato del lavoro troppo ingessato: sono tratti di cui si parla da tempo e che sono noti. Non abbiamo parlato abbastanza, in questi anni, della progressiva perdita di senso che il lavoro andava registrando …
D. - … anche perché i problemi che lei citava insieme alla rassegnazione di chi rinuncia addirittura a cercarsi un lavoro, o alla mancanza di conciliazione tra lavoro e famiglia, evidenziano l’assenza di una dimensione antropologica del lavoro nella società di oggi …
R. – Infatti! Sono circa due milioni i giovani che nel nostro Paese ormai neanche lo cercano più, un lavoro. La transizione tra scuola e lavoro non funziona. E’ necessario che quando parliamo di giovani e lavoro, ci poniamo il problema della formazione al lavoro: è qualcosa che richiede uno sforzo culturale che forse non abbiamo fatto e che però è arrivato il momento di fare, assolutamente.
D. – E persino questioni che apparentemente sembrerebbero meno collegate con la dimensione antropologica, risentono invece della mancanza di questa: mi riferisco ad esempio al rilancio del made in Italy …
R. – Noi sappiamo che l’Italia è il Paese della piccola e media impresa: è questo il grande patrimonio di ricchezza economica del Paese. Ci piacerebbe che forse un po’ di più si riflettesse sulle condizioni che hanno reso possibile, nel nostro Paese, lo sviluppo di questo patrimonio, vale a dire sulle energie creative, proprie, del popolo italiano. E’ qualcosa che più di quanto non si pensi ha a che fare con la cultura italiana, che è una cultura della quale si enfatizza magari il particolarismo, l’egoismo, la furbizia … forse sarebbe ora che incominciassimo anche ad apprezzarne i lati positivi come il gusto del lavoro fatto bene, una tradizione del lavoro incominciata nelle botteghe artigiane del Rinascimento e che nei secoli è arrivata fino a noi.
D. – La Chiesa ha a cuore il bene integrale dell’uomo: per questo si interessa delle problematiche legate al lavoro. Il vostro è un rapporto, ma anche una proposta per una nuova cultura del lavoro. Come costruirla, a partire da dove?
R. – Una nuova cultura del lavoro passa attraverso il fatto che il lavoro è un’attività economica ma non è solo un’attività economica: è un’attività nella quale davvero si gioca il destino delle persone e delle comunità. Per questo, persone e comunità debbono investire con realismo su questo, su una formazione al lavoro che sia all’altezza del tempo nel quale siamo. Noi non possiamo giustificare il fatto che in un momento di crisi come quello che viviamo ci siano centinaia di migliaia di giovani che non sono disposti a fare alcuni lavori che stanno diventando una prerogativa esclusiva degli immigrati. Noi abbiamo bisogno di educare i nostri giovani anche a farsi carico di qualche sacrificio. Ci sono momenti in cui bisogna sacrificare alcune legittime aspirazioni e prendere il lavoro che ci viene offerto.
D. – Quindi, è una questione educativa, una questione culturale?
R. – E’ soprattutto una questione culturale ed educativa. Se sapremo collocarci a questo livello, a mio modo di vedere avremo anche un riscontro significativo sul piano economico. Diversamente, non se ne esce.
Indagine sui Cie in Italia: strutture inefficaci e contro i diritti umani
◊ In Italia, i Centri di identificazione ed espulsione (Cie) si devono chiudere perché contrari ai diritti umani e non efficaci nel contrastare l'immigrazione irregolare. E' quanto si sottolinea nell’indagine “Arcipelago Cie”, a cura dell’Associazione “Medici per i diritti umani”, presentata oggi a Roma. Si tratta del primo studio realizzato da un’organizzazione indipendente attraverso visite sistematiche in tutte le strutture dopo il prolungamento, nel 2011, dei tempi di trattenimento fino a 18 mesi. Quali problematiche hanno denunciato, in particolare, gli stranieri trattenuti nei Centri? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Marie Aude Tavoso, vicepresidente dell’Associazione “Medici per i diritti umani”:
R. – Lamentano violazioni dei diritti, impossibilità di comunicazione con l’esterno, la negazione del diritto alla difesa perché non hanno la possibilità di avere un avvocato o comunque un avvocato di loro scelta, impossibilità di conoscere i motivi e i tempi del trattenimento. Ma, come Associazione di medici, abbiamo potuto sentire diverse testimonianze di negazione del diritto alla salute, di persone nei Cie che sono malate e che non hanno accesso all’assistenza sanitaria.
D. – Esistono altri strumenti che sarebbero più efficaci, anche meno afflittivi per affrontare questo fenomeno?
R. – L’Italia ha scelto in modo discrezionale di adottare una posizione contraria ai principi che sono contenuti nella normativa europea, in particolare nella direttiva sui rimpatri. In questa direttiva, il trattenimento è l’ultima "ratio", deve essere residuale. Ci sono altre forme alternative che consentono di arrivare all’espulsione o comunque al controllo dell’immigrazione irregolare. In particolare, si può pensare – nel caso di una persona che debba essere rimpatriata – all’obbligo di dimora, a controlli settimanali presso le questure, a un sistema che si basi sul rimpatrio volontario e anche sul rimpatrio assistito. Questo sistema, invece, non viene rispettato in Italia e il principio diventa il trattenimento, anche in casi in cui se ne potrebbe fare a meno, anche con evidenti risparmi per la spesa pubblica.
D. – Una parte del Rapporto è anche dedicata alla situazione dei Centri di detenzione per migranti negli altri principali Paesi europei. Cosa emerge proprio dal confronto tra la situazione in Italia e quella in altri Paesi dell’Unione?
R. – L’Italia si è affacciata tardivamente a questo sistema: erano centri che esistevano già in altre parti d’Europa. La maggior parte degli Stati europei si sono dotati di queste strutture: si parla, credo, di 417 centri in tutta l’Unione Europea per 37 mila posti. L’Italia, però, si distingue per la severità del regime applicato: è uno dei Paesi che prevede il periodo massimo di trattenimento consentito dalla Direttiva – 18 mesi – che comunque in alcuni casi si deve sommare, nel nostro Paese, a una reclusione in carcere per soggiorno irregolare, ad esempio, o per un altro tipo di reato. E poi, tra tutti i sistemi sicuramente il sistema italiano è uno di quelli che garantisce meno diritti e meno servizi alle persone detenute in queste strutture.
Arabia Saudita. Due cristiani condannati a carcere e frustate per conversione forzata
◊ Due uomini di religione cristiana, rispettivamente un libanese e un saudita, sono stati condannati dal tribunale di Al-Khobar, in Arabia Saudita, con l’accusa di aver convertito al cristianesimo con la forza una collega che lavorava con loro presso una compagnia di assicurazioni. La giovane, della quale per ora non è stata resa nota l’identità e che ora si trova in Svezia sotto la protezione di alcune ong, è apparsa in tv sostenendo l’autonomia della propria conversione e si rifiuta di tornare in patria nonostante gli appelli della famiglia e le trattative in corso tra l’Ambasciata saudita a Stoccolma e le autorità svedesi. L’Arabia Saudita è un regno ultraconservatore – ricorda AsiaNews – in cui i musulmani che si convertono ad altra religione rischiano fino alla pena di morte. Intanto, i due “colpevoli” hanno ricevuto una condanna, rispettivamente a sei anni di reclusione e 300 frustate e a due anni di reclusione e 200 frustate, ma hanno annunciato che ricorreranno in appello. (R.B.)
Siria. Ad Aleppo 90 disabili musulmani ospiti di una struttura cattolica
◊ “Nella tragedia della guerra i gesti della carità appaiono come un dono ancora più luminoso e commovente”: così padre David Fernandez, missionario dell’Istituto del Verbo Incarnato racconta a Fides l’emergenza di una novantina di disabili che, costretti a fuggire dal quartiere di Cheikh Maksoud di Aleppo dove abitavano, ora sono ospitati in una residenza per studenti messa a disposizione dal Vicariato apostolico della città. Ora però, manca l’acqua e aumenta il caldo e con esso le difficoltà per queste persone – tutte musulmane, molte delle quali malate – di cui si occupano i volontari impegnati in un’affannosa ricerca di autobotti. Oltre a loro, altri anziani e infermi hanno invece trovato rifugio presso le suore di Madre Teresa. Il missionario ha confermato poi il lancio di alcuni missili e colpi di mortaio, la settimana scorsa, da parte delle milizie antiregime sul quartiere di Sulaymaniyah, abitato anche da molti cristiani e dove si ergeva un presidio del governo, ma che hanno colpito, invece, diverse abitazioni civili. Danneggiata anche la sede della metropolia siro-ortodossa dove risiede Mar Gregorios Yohanna Ibrahim, uno dei due vescovi di Aleppo, da tre settimane nelle mani di ignoti sequestratori. (R.B.)
Messico. Il dolore delle mamme dei desaparecidos in sciopero della fame
◊ Yahaira Guadalupe Bahena López, Marisol Vargas, Luz Angélica Mena Flores: non sono solo nomi, ma persone concrete, scomparse nel nulla nel Messico in cui non si è ancora fermato l’odioso fenomeno dei desaparecidos. Per loro e per gli altri e le altre come loro, da qualche giorno un gruppo di genitori che da anni non sanno più nulla dei loro figli, sono in sciopero della fame a Città del Messico, dove ieri, in occasione della Festa della mamma, hanno sfilato in centro con il volto coperto da un fazzoletto bianco con la scritta “Dove sono?”. Un dolore incolmabile, che hanno chiesto di colmare anche con una veglia notturna sotto al palazzo in cui ha sede la Procura generale dello Stato, alla quale chiedono la restituzione dei loro figli, vivi o morti. Erano circa 200 le madri coraggio che hanno partecipato alla manifestazione, e tra loro anche la madre di Yahaira Guadalupe Bahena López, scomparsa a 19 anni nell’aprile 2011 nello Stato meridionale di Oaxaca dopo essere stata prelevata da un commando armato. Vi era poi la madre di Marisol Vargas, le cui tracce si sono perse il 26 maggio 2011, quando andò a trovare il fratello detenuto nel carcere di Ciudad Juárez e anche la madre di Luz Angélica Mena Flores, di cui non si sa più nulla dal 4 agosto 2008. Lo scorso dicembre il governo messicano è cambiato ed è tornato al potere il "Partido revolucionario institucional" di Enrique Pena Nieto, che ha promesso aiuto anche se finora non si è mosso concretamente in alcun modo, salvo dichiarare che sotto l’esecutivo precedente ci sono state circa 26 mila sparizioni, la maggior parte delle quali legata al mondo del narcotraffico e alla durissima strategia di repressione militare ingaggiata dallo Stato, che ha causato anche 70 mila morti. Un’ondata di violenza senza precedenti che ieri Papa Francesco, al termine della Messa in Vaticano per le canonizzazioni, tra le quali anche quella di una religiosa messicana, Santa Guadalupe Garlacia Zavala, ha auspicato venga bandita una volta per tutte, augurando che il Paese centramericano si avvii finalmente sul cammino della solidarietà della convivenza fraterna. (A cura di Roberta Barbi)
Visita dei vescovi nigeriani nel nord del Paese: "La Chiesa è con voi"
◊ Si fa sentire in questi giorni “l’onda d’urto” della terribile carneficina avvenuta il 19 aprile scorso a Baga, nel nordest della Nigeria, dove, nel corso di un’operazione dell’esercito contro gli estremisti di Boko Haram, sono rimasti uccisi 200 civili e circa duemila case sono andate distrutte. Da quel momento, è iniziato un lungo esodo della popolazione sopravvissuta verso le aree di Diffa e di Bosso, nel vicino Niger, che però sono le più povere del Paese, provate lo scorso anno da gravi inondazioni che hanno devastato i raccolti. Sono già 200 i profughi arrivati qui, in condizioni di estrema povertà, affamati e assetati, e si prevede che nei prossimi giorni ne arriveranno tremila: è l’allarme lanciato dal Comitato internazionale della Croce Rossa che ha chiesto “aiuto immediato”. Intanto, nella città nigeriana di Maiduguri, capitale dello Stato di Borno, si è svolta la visita di solidarietà dei vescovi della provincia ecclesiastica di Jos, che al termine hanno redatto un messaggio inviato all’agenzia Fides: “Tutta la Chiesa nigeriana s’identifica e prega per voi – hanno scritto alle popolazioni di Maiduguri ma anche di Borno, Yobe e dello Stato di Adamawa – chiediamo al governo una più attenta opera di creazione di rapporti con le popolazioni locali per fornire protezione, entro i limiti della legge, in questa parte della Nigeria e in tutto il Paese”. Il documento rende omaggio anche al vescovo della città, mons. Oliver Dashe Doeme, e ai suoi sacerdoti che sono rimasti saldi nella fede e impegnati nella promozione dell’armonia e della pace anche di fronte alle provocazioni, e contiene un riferimento all’episodio di Baga: “Preghiamo per le anime di coloro che sono morti in questa violenza inutile, per la pronta guarigione dei feriti – concludono i presuli – e speriamo che il governo dia assistenza a quanti hanno perso le proprietà e i mezzi di sostentamento”. (R.B.)
Colombia ed Ecuador in festa per la canonizzazione di suor Laura Montoya
◊ La canonizzazione – avvenuta ieri in Vaticano – di suor Laura di Santa Caterina da Siena Montoya y Upegui è stata motivo di grande festa tra gli indios della Colombia che hanno festeggiato la “loro” Santa – la prima colombiana – con una celebrazione nella cattedrale di Tibù, officiata dal vescovo, Omar Alberto Sánchez Cubillos, che ha ricordato come nel Paese ci siano anche “persone piene di virtù, generosità e servizio” e non solo i “troppi personaggi malvagi che sono entrati nella memoria negativa dei colombiani”. Il gruppo etnico presso il quale la religiosa prima e ora le sue suore, chiamate “Lauritas”, lavorano da 50 anni – precisa Fides – sono i Motilón Bari: una comunità di circa quattromila persone che vivono tra la Colombia e il Venezuela, in un’area afflitta dalla guerriglia delle Farc e di altri gruppi paramilitari, e pressoché ignorati dalle autorità. Grande festa per la nuova Santa è stata fatta anche in Ecuador, nelle città di Otavalo, Agato e Quichinche, dove la Congregazione delle Suore missionarie della Beata Vergine Maria Immacolata e di Santa Caterina da Siena sono impegnate in programmi di catechesi ed evangelizzazione. Anche nella diocesi di Ibarra in concomitanza con la celebrazione del Santo Padre, si è svolta una Messa presso il duomo, celebrata dal vescovo, Valter Dario Maggi. (R.B.)
Afghanistan. Esplode una mina a Kandahar, 10 morti
◊ Dieci civili, tra cui quattro donne e tre bambini, sono rimasti uccisi questa mattina nella provincia afghana di Arghistan, nel sud del Paese, a causa dell’esplosione di una mina. Secondo quanto confermato dalla polizia provinciale, la deflagrazione è avvenuta quando un furgoncino ha urtato l’ordigno posto lungo una strada che conduce a Kandahar, tra l’altro poche settimane dopo l’annuncio, da parte dei talebani, di una nuova “offensiva di primavera”. E intanto oggi, nel corso di un’operazione congiunta tra i militari italiani e le forze di sicurezza locali, è stato scoperto un vero e proprio arsenale di armi – almeno 22 bombe da mortaio e 5 granate – appena fuori Shindand, nell’ovest dell’Afghanistan. (R.B.)
Bangladesh. A Dacca domani stop alle ricerche dei dispersi
◊ Saranno interrotte domani le ricerche dei dispersi nel crollo del Rena Plaza di Dacca, in Bangladesh, avvenuto il 24 aprile scorso, in cui hanno perso la vita 1127 persone. Lo comunica l’esercito, precisando di non ritenere che vi sia più nessuno tra le macerie, dalle quali, tuttavia, sono state estratte circa duemila persone, l’ultima sabato scorso dopo 17 giorni: una giovane donna in condizioni di salute abbastanza buone. Intanto, l’Alta Corte di Dacca ha ordinato al governo di presentare una lista ufficiale dei dispersi sulla base dei documenti rinvenuti, delle lettere d’assunzione e delle foto fornite dai familiari e sempre l’esecutivo ha deciso di alzare il salario agli oltre tre milioni di lavoratori dell’industria tessile. Lo ha annunciato il ministro del Tessile, Abdul Latif Siddique, dopo l’ondata di proteste seguita al tragico episodio, che ha riportato alla luce la questione delle gravi condizioni in cui sono costretti a lavorare gli addetti del settore. Edifici non a norma, uscite di sicurezza inesistenti e finestre sbarrate sono la norma: il Rana Plaza crollato, ad esempio, più volte dichiarato pericolante, era un palazzo di otto piani mentre avrebbe dovuto averne solo cinque, sorgeva su un ex stagno e ospitava ben cinque fabbriche tessili, un centro commerciale e una banca. Già nel novembre 2012, l’incendio nel Tazreen Fashion aveva risollevato il problema. Ora un gruppo di sindacalisti e industriali – precisa AsiaNews – si metteranno a tavolino per esaminare le attuali norme che regolano i contratti di lavoro e la sicurezza vigente. (R.B.)
Filippine al voto tra violenze e appelli alla trasparenza
◊ Sta procedendo regolarmente finora la giornata elettorale in corso nelle Filippine, dove oltre 52 milioni di elettori dislocati in circa 70 mila seggi sono chiamati a rinnovare il Parlamento, parte del Senato e numerosi tra Consigli provinciali e comunali. Ingenti le misure di sicurezza dispiegate in tutto l’arcipelago a causa del clima di violenza registrato durante la campagna elettorale aperta nel febbraio scorso, che ha causato la morte di circa 60 persone. Secondo le stime – spiega Misna – la tornata elettorale sarebbe un test per il presidente Benigno Aquino, giunto a metà mandato, che porta a casa successi come il rilancio dell’economia locale in un Paese in cui un terzo della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno, e la possibilità di firmare finalmente un accordio di pace con il Fronte di liberazione islamico Moro (Milf) in lotta con Manila dagli anni ’70 e responsabile di circa 15 mila vittime. Secondo alcune fonti non confermate, la violenza non avrebbe risparmiato, però, neppure la giornata di oggi, in cui si sarebbero registrati disordini in alcuni villaggi della provincia di Zamboanga sud. Un appello alla sacralità del voto e alla sua trasparenza arriva dai vescovi e dai movimenti cattolici dell’arcipelago, diffuso attraverso l’agenzia Fides. In una lettera pastorale, l’arcivescovo di Tuguegarao, mons. Sergio Utleg, ha ricordato come “le elezioni sono essenziali per il bene comune perché selezionano i leader che creano le condizioni che permettono a ciascuno di adempiere alla propria vocazione”. Il presule esorta, quindi, a scegliere “persone competenti con spirito di servizio” e a rifiutare, invece, “i candidati che hanno espresso posizioni contrarie ai fondamentali insegnamenti della Chiesa”. Sulla stessa linea, anche il movimento Dilaab che riassume tutto in 5 punti fondamentali: pregare per il Paese e per le elezioni; partecipare attivamente al voto; rifiutare il commercio di voti, discernere i candidati in base al loro stile di vita e alla loro reputazione; condividere e confrontarsi con gli altri elettori. Entra ancora di più nel dettaglio il movimento "Hope", invitando a votare per coloro che sono impegnati nella tutela dell’ambiente, della sacralità della vita e del buon governo e appoggiano programmi contro la povertà e per la famiglia, la dignità e il rispetto dei diritti fondamentali. (R.B.)
Gmg 2013. Prevista grande partecipazione delle Chiese orientali
◊ Sono 485, finora, i giovani libanesi che parteciperanno alla 28.ma Giornata mondiale della gioventù in programma a fine luglio a Rio de Janeiro, in Brasile. Lo ha detto il Comitato organizzatore della Gmg al patriarca maronita, il cardinale Bechara Raï, in visita nei giorni scorsi nel Paese sudamericano, il quale ha ricordato come la più grande comunità della diaspora libanese si trovi proprio in Brasile e ha affermato di pregare “con gioia perché la Gmg sia un evento straordinario che possa dare tanti frutti”. Secondo il patriarca, la grande partecipazione attesa dei giovani libanesi è da attribuire alla visita nel Paese di Benedetto XVI, recatosi in Libano l’anno scorso, auspicando chiaramente una cospicua presenza all’evento brasiliano: “Il Papa emerito ha detto che il nostro piccolo Paese ha un messaggio speciale – ha aggiunto – un messaggio di comunicazione, incontro e benedizione, il messaggio dell’Oriente, dove si trovano le origini del cristianesimo”. E da un’altra Chiesa orientale, quella di Terra Santa, arriveranno in Brasile 115 giovani da Israele, Betlemme e Ramallah, accompagnati dal vescovo di Gerusalemme e vicario patriarcale per la Palestina, mons. Shomali, e dall’assistente ecclesiale per la gioventù in Palestina e parroco di Taybeh, don Aziz Halaweh. Prima dell’incontro con Papa Francesco, che in Brasile sarà al suo primo viaggio apostolico, i giovani israeliani e palestinesi saranno ospitati nella diocesi di Niteroi per una settimana di spiritualità organizzata con il supporto della Luogotenenza dell’Ordine del Santo Sepolcro, che si prevede ricca di momenti forti propedeutici all’evento. (R.B.)
Centrafrica. Un missionario denuncia: qui rischio d’insediamento di al Qaeda
◊ La Repubblica Centrafricana potrebbe diventare “una sede di al Qaeda”: a lanciare l’allarme è il missionario carmelitano, Anastasio Roggero, che lavora dal 1975 nel Paese e dal quale è appena tornato. Sentito dalla Fides, a suo parere in Centrafrica – che è grande quanto la Francia ma ha appena 5 milioni di abitanti – c’è il rischio reale, trovandosi nel centro del continente, che s’insedi una centrale del terrorismo. I “sintomi” raccontati del missionario sono “l’atteggiamento ostile degli uomini di Seleka nei confronti dei cristiani, un fatto senza precedenti nella storia del Paese, neppure durante gli ammutinamenti dell’esercito alla fine degli anni Novanta o durante le ribellioni del 2001 e del 2002-2003”. Padre Roggero cita a esempio il trattamento ricevuto dai Cappuccini della missione di Gofo, al confine con il Ciad, la cui struttura è stata completamente distrutta, mentre i frati sono stati costretti a riparare a Bangui, a 800 km di distanza. “Bangui – ha aggiunto – è l’unico luogo in cui si sta facendo qualcosa per la sicurezza. Ad esempio, è stato riaperto il liceo De Gaulle”. Nelle altre aree del Paese, però, la situazione resta precaria, alla mercé dei ribelli – in maggioranza sudanesi e ciaidiani – che fanno del Centrafrica il loro bottino di guerra: “Costringono la popolazione a dare del denaro – conclude il sacerdote – oppure rubano alla povera gente, perfino i vestiti che indossano. Per lo più, si tratta di mercenari pagati con questi saccheggi”. (R.B.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 133