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Sommario del 07/05/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco a Rio per la Gmg dal 22 al 29 luglio. Il programma ufficiale del viaggio
  • Papa Francesco: un buon cristiano non si lamenta, ma affronta il dolore con gioia
  • Nomine episcopali di Papa Francesco
  • Tweet del Papa: non siate cristiani mediocri, camminate decisi verso la santità
  • Il card. Bertone su Andreotti: "Servitore delle istituzioni e uomo di fede"
  • Mons. Becciu: le Guardie Svizzere eredi di una grande tradizione di amore alla Chiesa
  • Religiose Usa: piena collaborazione tra dicasteri della Dottrina della Fede e Vita consacrata
  • Mons. Eterovic: i giovani sono protagonisti della nuova evangelizzazione
  • 20.mo del Catechismo: Dio si è fatto uomo
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • L’Iran chiede un'indagine Onu sul recente attacco israeliano in Siria
  • In Israele, polemiche per il blocco di nuovi insediamenti in Cisgiordania
  • Conferenza a Londra sulla Somalia. Mons. Bertin: servono più aiuti umanitari
  • Migliorare le condizioni di vita nei Cie. Le Associazioni chiedono nuove norme
  • Rapporto svela l'immagine dei rom trasmessa dai media: stereoptipi spesso negativi
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: sforzo internazionale per il rilascio dei vescovi rapiti. Le insidie dei falsi mediatori
  • Bangladesh: oltre 700 le vittime del crollo del Rana Palace. La voce dei missionari
  • Tanzania: la testimonianza del nunzio dopo l'attentato di Arusha
  • Card. Ruini: il cristianesimo è religione di libertà, ragione e amore
  • Russia: oltre 4 milioni di fedeli a Mosca hanno celebrato la Pasqua
  • Malaysia: analista cattolico conferma i casi di irregolarità alle elezioni
  • India. I cristiani vittime dei massacri in Orissa: le cifre dell’impunità
  • India: in Gujarat le minoranze sono cittadini di seconda classe
  • Nigeria: dopo gli scontri a Baga, gli sfollati sono ancora senza casa
  • Colombia: il triste primato dei 5 milioni di sfollati interni
  • Honduras: “Basta armi” dice la Chiesa nel Paese con il più alto tasso di omicidi al mondo
  • Vietnam: l'annuncio di Cristo fra i non credenti
  • Canada: messaggio per la prima Settimana nazionale per la vita e la famiglia
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco a Rio per la Gmg dal 22 al 29 luglio. Il programma ufficiale del viaggio

    ◊   Papa Francesco sarà in Brasile dal 22 al 29 luglio per presiedere agli eventi della 28.ma Giornata mondiale della gioventù, in programma a Rio de Janeiro sul tema “Andate e fate discepoli tutti i popoli”. Nella metropoli carioca, il Pontefice avrà numerosi incontri istituzionali e altri a dimensione ecclesiale e all’insegna della solidarietà, ma anche un momento di incontro con la Chiesa locale ad Aparecida. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Saranno i giovani di cinque continenti ad “accompagnare” Papa Francesco nel suo primo viaggio apostolico internazionale. Ma prima di abbracciarli in quella festa di entusiasmi e slanci di fede che ogni Gmg da tre decenni regala, il Pontefice affiderà alla Madonna di Aparecida la riuscita dell’incontro. Sarà questo uno dei primi atti del Papa in terra carioca, sulla quale poggerà piede verso le 16, ora di Rio, di lunedì 22 luglio, all’aeroporto internazionale della città. Un’ora dopo, la visita di cortesia al presidente Dilma Roussef nel palazzo Guanabara e poi il riposo nella residenza di Sumaré, che si protrarrà anche per il giorno successivo. Mercoledì 24, Papa Francesco prenderà l’elicottero per spostarsi al Santuario di Nostra Signora della Concezione di Aparecida per venerare l’immagine della Vergine, concelebrare alle 10.30 la Messa in Basilica e quindi condividere il pranzo con i vescovi della regione e i futuri sacerdoti nel seminario Bon Jésus di Aparecida. La giornata si concluderà alle 18.30 con la visita ai malati dell’Ospedale intitolato a S. Francesco d’Assisi, una struttura con 500 posti letto che si occupa del recupero da tossicodipendenze e alcolismo.

    Il primo impegno del Papa per giovedì 25 sarà la benedizione delle bandiere olimpiche, prevista per le 9.45 nel Palazzo della Città di Rio, dove al Pontefice verranno consegnate le chiavi della metropoli. Alle 11, Papa Francesco si immergerà in un’altra realtà di disagio sociale, rappresentata dalla Comunità di Varginha, una vasta baraccopoli “bonificata” da un programma di recupero governativo. Poi, alle 18, sullo sfondo del celeberrimo colpo d’occhio del litorale di Copacabana si accenderà la festa di accoglienza riservata dai giovani della Gmg al Papa. Il giorno dopo, venerdì 26 luglio, la mattinata in pubblico del Pontefice si aprirà alle 10 con le Confessioni ad alcuni ragazzi della Gmg, quindi proseguirà alle 11.30 con l’incontro con alcuni giovani detenuti nel palazzo arcivescovile di St. Joaquim per poi concludersi con la recita dell’Angelus dal balcone del palazzo e le parole di saluto rivolte alla ventina di membri del Comitato organizzatore e alla decina di benefattori che hanno contribuito alla realizzazione del raduno giovanile. Papa Francesco consumerà il pranzo con i giovani nel palazzo arcivescovile, quindi alle 18 il lungomare di Copacabana sarà per una volta teatro della Via Crucis dei giovani col Papa.

    Alle 9 di sabato 27 luglio, Papa Francesco presiederà la Messa con i vescovi e il clero diocesano e religioso presente alla 28.ma Gmg nella Cattedrale di Rio intitolata a San Sebastiano, quindi per le 11.30 è in programma l’incontro con la classe dirigente brasiliana al Teatro Municipale della città. A pranzo, il Pontefice sarà in compagnia con i cardinali brasiliani, la Presidenza della Conferenza nazionale dei Vescovi del Brasile, i Vescovi della Regione e il Seguito Papale nel Grande Refettorio del Centro Studi di Sumaré. Da lì, Papa Francesco raggiungerà alle 19.30 il “Campus Fidei” di Guaratiba, spianata allestita per l’occasione e in grado di contenere fino a due milioni di persone, per uno dei due eventi clou della Gmg: la Veglia di preghiera con i giovani. Il secondo sarà domenica 28 luglio, quando come da tradizione il Papa tornerà sulla spianata dove i giovani avranno trascorso la notte per la celebrazione della Messa della Gmg, seguita dalla recita dell’Angelus. Nel pomeriggio, alle 16, Papa Francesco incontrerà nel Centro Studi di Sumaré il Comitato di coordinamento del Celam, quindi si congederà dalla residenza per raggiungere il Padiglione 5 di Rio Centro per l’ultimo incontro, con i volontari della Giornata mondiale della gioventù. Alle 18.30, la cerimonia dall’aeroporto internazionale e mezz’ora dopo la partenza in aereo per Roma, con arrivo previsto allo scalo romano di Ciampino per le 11.30 di lunedì 29 luglio.

    Il collega della redazione portoghese della nostra emittente, Silvonei Protz, ha subito contattato a Rio de Janeiro l’arcivescovo della città, Orani João Tempesta, per un commento:

    R. - Com muita alegria recebemos…
    Con molta gioia abbiamo ricevuto oggi il comunicato ufficiale della visita del Santo Padre, con tutto il programma già definito. Prima di tutto, spicca la devozione alla Vergine, che già aveva manifestato quando ha visitato la Basilica di Santa Maria Maggiore nel secondo giorno di Pontificato per pregare davanti all’immagine della Madonna. Questo lo farà anche in Brasile: quando sarà presente per la Giornata, andrà a pregare ad Aparecida affidando alla Madonna il suo lavoro e i lavori della Giornata. Dopo, oltre gli avvenimenti centrali della Giornata ai quali parteciperà - come l’accoglienza del giovedì, la Via Crucis del venerdì, la Veglia di sabato e la Messa conclusiva domenica - il Papa ha scelto altre attività come la visita a una favela, la Favela de la Varginha, una visita a un'opera che si occupa del recupero di giovani tossicodipendenti. Ma il Papa avrà anche uno sguardo speciale ai giovani che sono privi della libertà, i giovani detenuti. Sono segni momenti molto belli e importanti. Adesso, lavoreremo ancora di più nella preparazione di questi eventi, ora che sono stati confermati.

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    Papa Francesco: un buon cristiano non si lamenta, ma affronta il dolore con gioia

    ◊   Anche in mezzo alle tribolazioni, il cristiano non è mai triste ma testimonia sempre la gioia di Cristo. E’ quanto affermato stamani da Papa Francesco, durante la Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che il “sopportare gioioso” ci fa diventare giovani. Alla Messa, concelebrata con il cardinale Angelo Comastri e il cardinale Jorge María Mejía, ha preso parte un gruppo di dipendenti della Fabbrica di San Pietro. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Anche nelle tribolazioni, i cristiani sono gioiosi e mai tristi. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che ha messo l’accento sulla gioia di Paolo e Sila, chiamati ad affrontare prigionia e persecuzioni per testimoniare il Vangelo. Erano gioiosi, ha detto, perché seguivano Gesù nella strada della sua Passione. Una strada che il Signore percorre con pazienza:

    “Entrare in pazienza: quella è la strada che Gesù anche ci insegna a noi cristiani. Entrare in pazienza… Questo non vuol dire essere tristi. No, no, è un’altra cosa! Questo vuol dire sopportare, portare sulle spalle il peso delle difficoltà, il peso delle contraddizioni, il peso delle tribolazioni. Questo atteggiamento cristiano di sopportare: entrare in pazienza. Quello che nella Bibbia si dice con una parola greca, ma tanto piena, la Hypomoné, sopportare nella vita il lavoro di tutti i giorni: le contraddizioni, le tribolazioni, tutto questo. Questi - Paolo e Sila - sopportano le tribolazioni, sopportano le umiliazioni: Gesù le ha sopportate, è entrato in pazienza. Questo è un processo - mi permetto la parola 'un processo' - un processo di maturità cristiana, attraverso la strada della pazienza. Un processo da tempo, che non si fa da un giorno all’altro: si fa durante tutta la vita per venire alla maturità cristiana. E’ come il buon vino”.

    Il Papa ha così ricordato che tanti martiri erano gioiosi, come per esempio i martiri di Nagasaki che si aiutavano l’uno con l’altro, “aspettando il momento della morte”. Di alcuni martiri, ha poi rammentato, si diceva che “andavano al martirio” come a una “festa di nozze”. Questo atteggiamento del sopportare, ha aggiunto, è l’atteggiamento normale del cristiano, ma non è un atteggiamento masochista. E’ invece un atteggiamento che li porta “sulla strada di Gesù”:

    “Quando vengono le difficoltà, anche arrivano tante tentazioni. Per esempio il lamento: ‘Ma guardi quel che mi viene'... un lamento. E un cristiano che continuamente si lamenta, tralascia di essere un buon cristiano: è il signore o la signora lamentela, no? Perché sempre si lamenta di tutto, no? Il silenzio nel sopportare, il silenzio nella pazienza. Quel silenzio di Gesù: Gesù nella sua Passione non ha parlato di più, soltanto due o tre parole necessarie… Ma anche non è un silenzio triste: il silenzio del sopportare la Croce non è un silenzio triste. E’ doloroso, tante volte molto doloroso, ma non è triste. Il cuore è in pace. Paolo e Sila pregavano in pace. Avevano dolori, perché si dice che poi il Signore del carcere ha lavato le piaghe - avevano piaghe - ma sopportavano in pace. Questo cammino di sopportare ci fa approfondire la pace cristiana, ci fa forti in Gesù”.

    Ecco che allora il cristiano è chiamato a sopportare come Gesù ha fatto, “senza lamentele, sopportare in pace”. E, ha detto ancora Papa Francesco, questo “andare in pazienza, rinnova la nostra giovinezza e ci fa più giovani”:

    “Il paziente è quello che, alla lunga, è più giovane! Pensiamo a quegli anziani e anziane nella casa del riposo, a quelli che hanno sopportato tanto nella vita: guardiamo gli occhi, occhi giovani, hanno uno spirito giovane e una rinnovata giovinezza. E a questo ci invita il Signore: a questa rinnovata giovinezza pasquale per il cammino dell’amore, della pazienza, del sopportare le tribolazioni e anche - mi permetto di dire - di sopportarci l’uno l’altro. Perché questo dobbiamo farlo anche con carità e con amore, perché se io devo sopportare te, sono sicuro che tu mi sopporti a me e così andiamo avanti nel cammino della strada di Gesù. Chiediamo al Signore la grazia di questo sopportare cristiano che ci dà la pace, di questo sopportare col cuore, di questo sopportare gioioso per diventare sempre più giovani, come il buon vino: più giovani con questa rinnovata gioventù pasquale dello spirito. Così sia”.

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    Nomine episcopali di Papa Francesco

    ◊   In Rwanda, il Santo Padre Francesco ha nominato Vescovo della diocesi di Kibungo il Rev.do Antoine Kambanda, del clero di Kigali, Rettore del Seminario Maggiore Saint Charles di Nyakibanda (Butare).

    In Iralnda, il Papa ha nominato Vescovo di Kildare and Leighlin il Rev.do Sacerdote Denis Nulty, del clero della diocesi di Meath, finora Parroco di St. Mary’s a Drogheda.

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    Tweet del Papa: non siate cristiani mediocri, camminate decisi verso la santità

    ◊   Papa Francesco ha lanciato questa mattina un nuovo tweet dal suo account @Pontifex: "Non accontentatevi di una vita cristiana mediocre; camminate con decisione verso la santità".

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    Il card. Bertone su Andreotti: "Servitore delle istituzioni e uomo di fede"

    ◊   In un telegramma alla moglie di Andreotti, Livia Danese, il segretario di Stato vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone, esprime “sentita partecipazione al grave lutto per la perdita di così autorevole protagonista della vita politica italiana, valido servitore delle istituzioni, uomo di fede e figlio devoto della Chiesa”. Il cardinale Bertone assicura “un fervido ricordo nella preghiera ed invoco per quanti ne piangono la dipartita il conforto della speranza cristiana”.

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    Mons. Becciu: le Guardie Svizzere eredi di una grande tradizione di amore alla Chiesa

    ◊   Eredi di un particolarissimo spirito di servizio ed emulatori di un’antica audacia. Queste sono le Guardie Svizzere Pontificie e mons. Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, lo ha sottolineato a chiare lettere ieri mattina nel presiedere la commemorazione del sacrificio delle 147 Guardie Svizzere che nel 1527 caddero in difesa del Papa durante il Sacco di Roma. Siete “eredi di una grande tradizione di amore alla Chiesa e alla Santa Sede. È vostro compito continuare su questa strada”, ha affermato mons. Becciu, invitando le nuove reclute – secondo quanto riferito da L’Osservatore Romano – a inserirsi “in questa ininterrotta scia, che – ha indicato – vi richiama al vostro particolare e responsabile servizio nei confronti del Sommo Pontefice”. Con il giuramento, ha soggiunto ancora il presule, “vi impegnate ad assumere un compito profondamente cristiano, in quanto siete chiamati a dare testimonianza della vostra fede di fronte alle tante persone, pellegrini e turisti, che ogni giorno vengono in Vaticano”.

    Nel pomeriggio, poi, si è svolto il giuramento delle 35 Guardie Svizzere, spostato a causa del maltempo dalla tradizionale collocazione del Cortile di S. Damaso nell’Aula Paolo VI. I soldati pontifici hanno giurato alzando la mano destra nel segno della Trinità e poggiando la sinistra sull’asta della bandiera, nelle tre lingue ufficiali: tedesco, francese e italiano. Alla cerimonia, oltre alle autorità vaticane e del Corpo militare pontificio, hanno preso parte tra gli altri il presidente della Confederazione elvetica, Ueli Maurer, e l’ambasciatore svizzero presso la Santa Sede, Paul Widmer.

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    Religiose Usa: piena collaborazione tra dicasteri della Dottrina della Fede e Vita consacrata

    ◊   La Congregazione per la Dottrina della Fede e la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica concordano pienamente sulla questione del rinnovamento delle religiose degli Stati Uniti. E’ quanto ribadisce un comunicato della Sala Stampa Vaticana, riaffermando che la Santa Sede ha a cuore il sostegno della bella e nobile vocazione delle religiose americane, a beneficio delle future generazioni. Alcuni media, si legge nella nota, hanno suggerito una divergenza tra il dicastero per la Dottrina della Fede e quello per gli Istituti di Vita Cconsacrata, dopo le dichiarazioni del cardinale Braz de Aviz, il 5 maggio scorso all’Assemblea generale dell'Unione Internazionale delle Superiori generali.

    Tale interpretazione delle parole del porporato, avverte la nota, è ingiustificata. I prefetti delle due Congregazioni, prosegue, il comunicato, lavorano congiuntamente e hanno collaborato alla redazione della “Valutazione dottrinale” della Conferenza delle Superiori religiose degli Stati Uniti d’America (Lcwr). Il cardinale Braz de Aviz e l’arcivescovo Müller, conclude la nota, si sono incontrati ieri e hanno riaffermato il comune impegno per il rinnovo della vita religiosa, e particolarmente per la “Valutazione dottrinale” e il programma di riforma che essa richiede, in accordo con le intenzioni del Santo Padre. (A.G.)

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    Mons. Eterovic: i giovani sono protagonisti della nuova evangelizzazione

    ◊   I giovani, seminaristi e laici destinatari e promotori della nuova evangelizzazione, alla luce delle linee del Sinodo che su questo tema si è svolto nell’ottobre scorso. Questo il tema al centro della Giornata di Studio organizzata oggi all’Università Lateranense dall’Istituto Pastorale "Redemptoris Hominis". Ad aprire i lavori, mons. Nicola Eterovic, segretario generale del Sinodo dei Vescovi. Gabriella Ceraso gli ha chiesto quali effetti sta avendo il messaggio che dall’assise sinodale è giunto nelle Chiese particolari:

    R. – Si può parlare di un rinnovamento della pastorale ordinaria, secondo un nuovo entusiasmo, nuovi metodi, nuove espressioni, e di una maggiore attenzione verso le persone, che si sono allontanate, battezzate ma insufficientemente catechizzate. Anche il Santo Padre Francesco parla di andare verso le periferie per incontrare queste persone. Si parla, dunque, di missione continentale, di missione cittadina - soprattutto nei momenti forti dell’anno liturgico – di missione popolare, che bisogna riprendere.

    D. – Il Papa ha usato il termine “evangelizzazione” sin dall’inizio e ha anche sottolineato il fatto che la Chiesa debba scendere a conquistare le persone, scendere tra la gente. Questo nuovo slancio vi ha aiutato?

    R. – Senz’altro, perché Gesù Cristo è vivo in mezzo a noi, ci dà il suo Spirito Santo, e noi dobbiamo vivere questa realtà e trasmetterla agli altri in modo accessibile e comprensibile. Gesù Cristo è sempre attuale, soprattutto per il nostro uomo contemporaneo, che cerca la verità, la giustizia e la pace e la può trovare solo in Gesù Cristo.

    D. – Nel documento finale del Sinodo si parlava di famiglia e parrocchia come luoghi cardine per l’evangelizzazione, ma anche dell’importanza dei giovani, che non vanno scoraggiati, non vanno mortificati nel loro entusiasmo. Questo è anche un tema delle parole di Papa Francesco, no? “Non perdete la speranza, puntate in alto”: questo ha portato nuova linfa?

    R. – Senz’altro, perché i giovani sono la speranza della Chiesa e del mondo, che purtroppo oggi è un po’ in crisi, perché tanti genitori, non conoscono sufficientemente la fede e non possono trasmettere ai figli il contenuto. In questo caso, è la comunità tutta insieme che deve aiutare questi genitori: le parrocchie, i movimenti e le tante iniziative delle Chiese particolari. Anche il grande catecheta, il Santo Padre Francesco, si mette su questa strada. I giovani, però, sono non solo oggetto, ma anche soggetto della nuova evangelizzazione. Spesso, noi abbiamo esperienze molto belle: i giovani, preparandosi ad esempio al Sacramento della Prima Comunione, a volte avvicinano a Gesù anche i loro genitori che per vari motivi si erano allontanati.

    D. – Con questa giornata, quale nuovo tassello si vuole inserire nel contesto?

    R. – Questa giornata s’inserisce nel processo di riflessione sul tema del Sinodo “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede” aperta ai giovani, che stanno studiando e preparandosi per essere nuovi evangelizzatori. E’ importante, dunque, specificare che cosa intendiamo per nuova evangelizzazione. Questi giovani, poi, devono anche annunciare ciò che vivono negli ambienti dove diventeranno evangelizzatori, visto che non ci sono solo seminaristi, sacerdoti, ma anche laici. E’ importante anche la testimonianza dei laici, negli ambienti dove vivono, a cominciare dalla famiglia, dalla parrocchia, dalle Associazioni, dai Movimenti e così via.

    D. – Rispetto a quelle che erano le intenzioni del Sinodo, quali sono – se emerse in questo lasso di tempo – le problematicità?

    R. – Abbiamo recepito che il tema è molto attuale e riguarda tutta la Chiesa, anche se in modo particolare i Paesi più secolarizzati. Nel nostro mondo globalizzato, però, il tema riguarda anche Paesi di prima evangelizzazione: in tanti anche lì si sono allontanati dalla Chiesa. Ci sono alcune barriere, anche culturali, che dobbiamo superare, ma c’è molta apertura, molto desiderio di essere testimoni di Gesù Cristo, non tanto con le parole, quanto con l’esempio della vita.

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    20.mo del Catechismo: Dio si è fatto uomo

    ◊   “Il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio”: è uno dei pensieri di sant’Atanasio che il Catechismo della Chiesa Cattolica richiama nelle pagine dedicate all'Incarnazione. Mistero sul quale si concentra la 25.ma puntata del ciclo di riflessioni del gesuita, padre Dariusz Kowalczyk, ideato a 20 anni dalla pubblicazione del Catechismo:

    La frase “Dio si è fatto uomo” contiene l’essenza della fede cristiana. E necessario precisare però che fu il Verbo, la seconda persona della Trinità, che “si fece carne” (Gv 1,14). L’incarnazione consiste – come leggiamo nel Catechismo – nel fatto che “il Figlio di Dio abbia assunto una natura umana per realizzare in essa la nostra salvezza” (n. 461). In questo modo Dio si mise accanto a noi nella storia umana, e allo stesso tempo – nella persona del Padre – trascende tutto il creato; Dio invece è presente e agisce dall’interno della creazione, nell’intimità dell’uomo nella persona dello Spirito.

    L’incarnazione non è un qualche teatrino. Dio non mette una maschera con il volto umano per compiere dei gesti teatrali. La Chiesa professa che Gesù Cristo si fece veramente uomo pur rimanendo veramente Dio. “L’incarnazione del Figlio di Dio non significa – afferma il Catechismo – che Gesù Cristo sia in parte Dio e in parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza di divino e di umano” (n. 464). I Concili Ecumenici ci insegnano che il Figlio incarnato è una persona divina con due nature: divina ed umana.

    Ma perché l’incarnazione? Abbiamo già detto che Dio si fece uomo per la nostra salvezza. Bisogna notare però che la salvezza non può essere ridotta ad un qualche decreto esterno, ma si compie nella relazione reale ed eterna di Dio con l’uomo vivo. Questa relazione ci fu rivelata e ci fu donata proprio nell’incarnazione. In Gesù l’umanità viene unita con la divinità senza però costituire un miscuglio di entrambi. Dio si fece uomo, affinché l’uomo possa partecipare alla vita della Trinità per sempre. Il Catechismo cita sant’Atanasio: “Il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio” (n. 460). Se Dio poteva diventare veramente uomo, noi potremo essere divinizzati.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il Papa a Rio: dal 22 al 29 luglio Francesco sarà in Brasile per la Gmg.

    In prima pagina, un articolo di Patrice de Plunkett dal titolo “A favore di un'ecologia umana: cattolici e non cattolici per la famiglia naturale”.

    Damasco si riserva di reagire: nell'informazione internazionale, in rilievo la crisi in Siria dopo i raid israeliani.

    Su un tappeto volante in cerca della Vera Croce: Antonio Paolucci sul ciclo pittorico di Agnolo Gaddi a Firenze.

    “Communio” ricorda von Balthasar: Jean-Robert Armogathe presenta l'iniziativa della rivista.

    Il pittore frustrato che divenne Führer: Giovanni Cerro sui rapporti tra Hitler e l'arte.

    Quando l’uomo si rassegna a vivere nella menzogna: Václav Havel su sistema post-totalitario e crisi d’identità.

    A scuola di ecumenismo: nell'informazione religiosa, un corso organizzato a Jakarta dalla Christian Conference of Asia.

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    Oggi in Primo Piano



    L’Iran chiede un'indagine Onu sul recente attacco israeliano in Siria

    ◊   I raid aerei israeliani sulla Siria sono "inaccettabili". Così si è espresso il premier turco, Recep Tayyp Erdogan, sull’azione militare di domenica sorsa, che ha ucciso 120 persone nei pressi di Damasco. L’Iran ha chiesto un'indagine dell'Onu, mentre Israele denuncia che un nuovo colpo di mortaio, proveniente dal territorio siriano, si è abbattuto sulle alture contese del Golan. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    L’Iran ha chiesto formalmente un'indagine dell'Onu sull’attacco israeliano di domenica scorsa in Siria, sottolineando che si è trattato di una violazione delle leggi internazionali. Gli fa eco la Turchia che parla di azione “inaccettabile”. Il bilancio aggiornato delle vittime è di 120 morti, tutti nella struttura militare presa di mira nei pressi di Damasco. E mentre sul terreno i rivoltosi continuano a combattere il regime, un nuovo colpo di mortaio proveniente dal territorio siriano si è abbattuto sulle alture contese del Golan, senza provocare né feriti né danni. E' il terzo episodio del genere in 24 ore. Intanto, fa discutere la nota della Commissione Onu d'inchiesta sui crimini di guerra in Siria, da cui emerge che non ci sono prove "definitive" sull'uso di "armi chimiche” durante il conflitto. Una presa di posizione che giunge all'indomani delle dichiarazioni di Carla Del Ponte, membro della commissione, la quale ha parlato dell'uso del gas sarin da parte dei ribelli.

    Sulla posizione dell’Onu in relazione all’uso di gas letali, Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Claudio Lo Jacono, direttore della rivista "Oriente moderno":

    R. – Ho sentito le dichiarazioni di Carla Del Ponte e parlava di possibilità, con indizi molto forti, ma lei stessa non ha mai dato la certezza che fossero state usate armi chimiche dai ribelli. Ha parlato di situazione verosimile. Secondo me, quindi, l’Onu ha semplicemente sottolineato questo aspetto. Non mi sembra ci sia un vero e proprio contrasto.

    D. – Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha detto che entro 24-48 ore, nel momento in cui ci fosse il via libera di Damasco, sarebbe pronto a mandare inviati per accertare l’utilizzo di queste armi chimiche. Succederà mai?

    R. – Che Damasco dia questo permesso, mi permetto di dubitarne. Naturalmente me lo auguro. Un’autorizzazione a intervenire da parte dell’Onu su un teatro caldissimo come quello della Siria non potrebbe che portare l’accertamento della situazione a successivi sviluppi positivi, perché siamo veramente nel marasma delle informazioni e, in questa baraonda delle organizzazioni anti Assad. Si sa quello che pensa Assad e quello che vuole. Non abbiamo invece una chiarissima idea dello schieramento a lui avverso. E’ uno schieramento multiforme e totalmente disomogeneo, perché vi sono presenti patrioti e liberali. Ci sono fondamentalisti islamici, gruppi – come si è anche visto anche nel sequestro del giornalista de La Stampa – che fanno quasi una guerra a sé, in funzione puramente religiosa, contraria al regime alawita di Assad. Altri lottano per la libertà, per principi e nuovi orientamenti politici...

    D. – Vertice oggi tra Stati Uniti e Russia, le due potenze sembrano avvicinarsi nella risoluzione della crisi siriana. Rimane un po’ distante la Cina...

    R. – C’è da augurarsi che questa comunione d’intenti possa trovare un riscontro nella realtà. Non c’è dubbio che la Cina e che la Russia abbiano in qualche modo tenuto in piedi il regime. Non so se con rifornimento anche di armi, ma in ogni caso, politicamente, hanno evitato un intervento più efficiente dell’Onu. Da questo punto di vista, sono stati un ostacolo per la pacificazione. Sicuramente, un intervento pacificatore poteva avvenire molto tempo prima e sarebbe potuto avvenire se la Russia non avesse opposto il suo veto a misure contrarie ad Assad.

    D. – Le tensioni stanno aumentando nell’area anche per il raid israeliano di domenica in Siria…

    R. - L’attacco fa correre il rischio a Israele di un riavvicinamento, in qualche modo, non solo tra Siria e Arabia Saudita, ma anche tra Iran e Arabia Saudita, nel nome di un astratto dovere di solidarietà islamica.

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    In Israele, polemiche per il blocco di nuovi insediamenti in Cisgiordania

    ◊   Polemiche in Israele per la decisione del premier Netanyahu, riferita dalla radio militare di Stato, di bloccare sino a giugno i progetti per la costruzione degli insediamenti dei coloni ebrei in Cisgiordania. E proprio dai coloni, che chiedono un incontro urgente con il capo del governo, giunge la protesta nei confronti di questa presa di posizione. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università di Firenze:

    R. - E’ una promessa, limitata nel tempo, fatta all’indomani della visita del presidente statunitense Obama, direttamente al segretario di Stato Kerry, anche per dare agli americani un minimo di terreno su cui lavorare diplomaticamente. Netanyahu non poteva, all’indomani di una visita così importante, sconfessare lo sforzo americano di voler far ripartire i negoziati.

    D. - Che pensare delle perplessità dei coloni?

    R. - I coloni sono molto preoccupati, perché qualunque mossa, anche temporanea, che fermi la crescita degli insediamenti, per loro è assolutamente negativa. D’altra parte i coloni sanno di avere nel governo amici molto forti e molto fedeli: inoltre sono consapevoli che bisogna, in qualche modo, far trascorrere i due anni che il segretario di Stato Kerry ha indicato come finestra di opportunità per riavviare il dialogo. Chiusa la finestra, saranno più tranquilli.

    D. - Israele, in questo momento si trova - per così dire - pressato da una parte dagli Stati Uniti, ma anche dalla Cina che non ha nascosto, per esempio, di non gradire l’intervento israeliano in Siria e non ha altrettanto nascosto di essere favorevole ad una soluzione della crisi con i palestinesi?

    R. - La Cina è una grande potenza e anche un’incognita in Medio Oriente: sicuramente la Cina vuole che il suo punto di vista sia udito anche in Medio Oriente. Però non dimentichiamo che in sede di Consiglio di Sicurezza dell’Onu, dove c’è anche la Cina, alla fine Israele è sempre comunque aggrappato al veto americano e non ha bisogno dell’appoggio della Cina.

    D. - Come dai palestinesi può essere accolta questa notizia del blocco degli insediamenti?

    R. - I palestinesi sono molto scettici da sempre e sono sempre stati in grado di decodificare le mosse del governo israeliano. In questo momento a loro manca una cosa molto importante e cioè una voce politica singola, sia per la spaccatura che c’è tra Hamas e Fatah, sia perché il presidente Abu Mazen è un presidente prorogato da anni e non riescono a fare elezioni, sia perché il primo ministro Fayyad si è dimesso e lui era considerato dall’Occidente la persona più autorevole tra i palestinesi. Quindi hanno un’intrinseca posizione di debolezza.

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    Conferenza a Londra sulla Somalia. Mons. Bertin: servono più aiuti umanitari

    ◊   Il futuro della Somalia al centro della seconda Conferenza internazionale, aperta oggi a Londra - la prima si è svolta lo scorso anno - per dare sostegno ad un Paese martoriato da oltre 20 anni di conflitto civile, anarchia, povertà e fame. Oltre 50 le delegazioni presenti. Roberta Gisotti ha intervistato mons. Giorgio Bertin, nunzio apostolico della Somalia e vescovo di Mogadiscio, residente per motivi di sicurezza a Gibuti:

    Tante le speranze per la Somalia dopo le elezioni nel settembre scorso del presidente Hassan Sheikh Mohamud e la formazione di un governo federale, riconosciuto dalla comunità internazionale. Proseguono, tuttavia, gli attentati terroristici dei ribelli islamici Shabaab, legati ad al Qaeda. Gli osservatori evidenziano aspetti positivi su cui costruire il futuro democratico della Somalia e aspetti ancora oscuri da valutare a Londra. Mons. Bertin:

    R. – L’ombra più importante è costituita da questa opposizione armata e dal concetto di federalismo che probabilmente o non è chiaro oppure trova difficoltà ad essere messo in pratica. Rimangono dei punti da studiare meglio, in questa occasione, per potere dare una risposta più appropriata alla situazione attuale della Somalia.

    D. – Anche negli ultimi giorni ci sono stati attacchi terroristici: come potrà il governo in carica, il presidente attuale, fronteggiare questa situazione?

    R. – Quello che ho notato durante i miei due recenti viaggi del mese di aprile a Mogadiscio è, appunto, questa situazione delle istituzioni nuove, riconosciute ed accettate dalla comunità internazionale ma che sul posto ancora stentano ad essere riconosciute, ad essere accettate, probabilmente anche perché i somali si sono abituati da 22 anni a vivere senza istituzioni statali. Allora direi che questa difficoltà è ben presente. La questione degli attacchi di questi ultimi due mesi è una riprova della difficoltà oggettiva che le nuove istituzioni, che il nuovo Stato deve affrontare. Io spesso dico che è un inizio tutto in salita per le nuove istituzioni, e allora io non dispererei. Mi dispiace per quelli che hanno perso la vita e che perderanno ancora la vita per questa opposizione che c’è, però è questo il cammino da proseguire.

    D. – Può essere importante in questo momento sostenere con aiuti umanitari la Somalia, dove la popolazione – oltre ad aver vissuto, appunto, oltre 20 anni di anarchia – ha sofferto molte crisi di carestia?

    R. – Sì! Certamente l’azione umanitaria è assolutamente necessaria, anche perché le nuove istituzioni, il nuovo governo incominciano con le "tasche vuote". Il consiglio che io darei è quello di cercare di favorire le istituzioni governative a prendere esse stesse in mano qualche azione a carattere sociale, perché per il momento ci sono diverse agenzie dell’Onu, organizzazioni umanitarie internazionali, Ong locali che operano per dare tutta la risposta al dramma umanitario. Ecco, quello che io mi aspetterei è che la comunità internazionale sostenga e incoraggi il governo a prendere in mano anche lui qualche azione umanitaria, pur sapendo che la priorità è quella della sicurezza.

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    Migliorare le condizioni di vita nei Cie. Le Associazioni chiedono nuove norme

    ◊   Per il presidente del Senato, Piero Grasso, in Italia lo “ius soli deve essere temperato. Si può dare la cittadinanza a coloro che abbiano determinati requisiti”. Intanto, le Associazioni della campagna “LasciateCientrare” chiedono che cambi la norma per i Cie, i Centri di identificazione per gli immigrati, entrati in modo irregolare. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Condizioni di vita più umane, accorciare il tempo massimo - ora 18 mesi - per l’identificazione degli immigrati irregolari. Sono le principali richieste delle Associazioni che periodicamente visitano i Cie. Si tratta di giornalisti, medici, avvocati. In un rapporto, il sottosegretario all’Interno del precedente governo, Saverio Ruperto, aveva chiesto che il limite per la permanenza fosse portato a 12 mesi. Gabriella Guido della Campagna “LasciateCientrare”:

    "Anche 12 mesi sono impossibili da vivere in centri come questi. Più che pena anticipata, è una vera e propria detenzione senza aver commesso nessun reato, in luoghi che sono veramente - a vederli - insostenibili. Sicuramente, il carcere è meglio".

    Non di rado le condizioni di vita sono carenti: pochi bagni, condizioni igieniche scarse, sovraffollamento. E in alcuni Cie sono finiti anche bambini. Ma non si può fare altrimenti? Michele Passione, dell’Unione Camere Penali:

    "E' evidente che si potrebbe e si dovrebbe fare in altro modo, ma se non lo si fa non lo si fa per un verso perché ci sono difficoltà all'identificazione dei soggetti che spesso provengono da Paesi molto lontani con i quali non vi sono rapporto stabili attraverso strutture consolare, e dunque è obiettivamente difficile. Per altro verso, perché risponde ad esigenze di altra natura ...".

    Il rischio, infatti, è che questi Centri assumano anche la funzione di deterrente per tutti coloro che vogliono arrivare in Italia senza documenti.

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    Rapporto svela l'immagine dei rom trasmessa dai media: stereoptipi spesso negativi

    ◊   Un’indagine condotta sulla stampa per verificare come vengono affrontate le notizie che riguardano i rom e i sinti. A presentarla oggi a Milano l’Associazione Naga i cui volontari hanno monitorato per 10 mesi, tra giugno 2012 e marzo 2013, nove testate nazionali e locali. I risultati confermano l’ipotesi di partenza e cioè che la stampa contribuisce a costruire un’immagine negativa di queste minoranze, ma svelano anche i meccanismi utilizzati. Sentiamo al microfono di Adriana Masotti, Natascia Curto, una dei volontari che ha curato il rapporto.

    R. – Spesso, purtroppo, i rom e i sinti sono associati ad eventi negativi, anche quando non sono in realtà coinvolti: semplicemente il fatto di passare in un quartiere, di camminare per la strada – che sono atti che tutti compiamo – se compiuti da un rom sono oggetto di allarme sociale. Questo crea, come si capisce bene, una distanza, una diffidenza delle persone che poi identificano i rom come persone pericolose, cattive che e quindi vengono ancora di più discriminate nelle azioni quotidiane. Ad esempio, quando entrano nei negozi spesso è chiesto loro di allontanarsi e questo rende molto difficile i percorsi di inclusione nella nostra società.

    D. – Illustrando, parlando di eventi negativi, spesso capita di leggere qualcosa sui rom anche quando i rom non sono protagonisti di questi fatti…

    R. – Esatto. Vengono chiamati in causa semplicemente per il fatto di esistere. Si dice ad esempio che, siccome c’è un campo rom vicino al luogo in cui è avvenuto un fatto negativo, allora sicuramente saranno stati loro. Praticamente, il semplice fatto di "essere" rom diventa una colpa. E noi sappiamo che spesso persone rom devono tenere nascosto il fatto di essere rom, sul posto di lavoro, perché se il datore di lavoro viene a sapere che sono rom li manda subito via. Questo è un effetto evidente di un pregiudizio: una persona, se rom, ruba.

    D. – Un’altra modalità riscontrata sulla stampa nei riguardi dei rom è quella di creare una separazione, un "noi" e un "loro" …

    R. – Sì, e questa separazione tra le persone che noi percepiamo come simili, gli altri cittadini, e i rom, è una separazione che viene costruita, ma che non viene costruita però solo per i rom. Se noi ci facciamo caso, in questo momento storico spesso le categorie di persone più fragili, le categorie di persone più emarginate, vengono additate come quelle a causa delle quali siamo tutti in difficoltà.

    D. – Voi, poi, rivolgete un appello ai giornalisti, dicendo che loro hanno una grande responsabilità ma anche una opportunità…

    R. – Certo. Questa indagine non è fatta per dire: "voi giornalisti vi comportate male”. E’ semplicemente per mettere in evidenza che i giornalisti hanno una grande opportunità, che è quella di incidere anche positivamente: ad esempio, anche banalmente, andando ad ascoltare la voce di queste persone, andando ad ascoltare le storie, andando a cercare di capire dall’interno. Questa proposta noi ci sentiamo di farla in maniera abbastanza forte non solo ai giornalisti, ma anche ai cittadini. Noi invitiamo tutte le persone nelle loro conversazioni quotidiane, nei loro luoghi di lavoro, gli insegnanti, a cercare di contrastare un po’ gli stereotipi sui rom, a cercare di non perpetuare l’immagine negativa dei rom che è così radicata nella nostra cultura.

    D. – Voi chiedete anche di non proporre, senza alcun commento, dichiarazioni sui rom raccolte tra la gente …

    R. – Sì, purtroppo, questa è una cosa che si verifica molto spesso. Siccome dichiarazioni tipo “I rom rubano”, “sono ladri”, non si possono fare perché un giornalista verrebbe immediatamente tacciato di essere discriminatorio, allora queste dichiarazioni vengono riportate come raccolte tra la gente. Noi inviteremmo semplicemente a verificare le fonti di queste dichiarazioni e poi a distinguere: a distinguere i fatti da una dichiarazione riportata. Allora, se un mio vicino di casa pensa che io sia una ladra, è libero di pensarlo, ma questo non vuol dire che sul giornale debba andare scritto che io sono una ladra.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: sforzo internazionale per il rilascio dei vescovi rapiti. Le insidie dei falsi mediatori

    ◊   E’ in corso un grande sforzo internazionale ed ecumenico per cercare di salvare la vita e liberare i due vescovi di Aleppo rapiti in Siria due settimane fa, il siro-ortodosso Gregorios Yohannna Ibrahim e il greco-ortodosso Boulos al-Yazigi. Lo conferma all’agenzia Fides il vescovo metropolita Timoteo Matta Fadil Alkhouri, assistente patriarcale nel patriarcato siro-ortodosso di Antiochia, confratello del vescovo Gregorio Yohanna Ibrahim. “Siamo in trepida attesa – racconta il vescovo a Fides – non sappiamo dove siano i vescovi e con chi. Aspettiamo e preghiamo. Speriamo siano ancora vivi. Abbiamo appena celebrato la Pasqua, la Resurrezione di Cristo. Abbiamo affidato la vita dei vescovi al Cristo Risorto”. Intanto si percorrono tutti i sentieri possibili per cercare un canale con i rapitori: “Continuiamo a connetterci con altre persone, leader religiosi e politici, a tutti i livelli. I nostri vescovi in Turchia, in Siria, in Libano hanno attivato i loro canali. Alcuni hanno contatti con l’Esercito Libero Siriano. Chiediamo a ogni uomo e a ogni gruppo, bussiamo alla porta di ogni governo. Abbiamo interpellato vescovi di altre Chiese, nazioni e confessioni. Il patriarcato greco-ortodosso in Libano, ad esempio, ha buoni contatti in Russia. Abbiamo inviato messaggi al Papa ma anche alla Chiesa anglicana. I nostri vescovi negli Stati Uniti sono in contatto con le autorità civili americane. C’è uno sforzo internazionale. Chiunque può cerca di dare il suo contributo”. In questi tentativi a tutto tondo, “vi sono alcuni leader musulmani che sono sinceri e stanno cercando di aiutarci, che amano la pace e amano i cristiani”. Vi sono però “anche loschi personaggi che cercano di sfruttare il momento per ottenere denaro, presentandosi come mediatori”, nota il vescovo. La galassia dei falsi intermediari, di chi cerca di speculare sulla tragica sorte dei vescovi, è, dunque, un'altra delle insidie che si presentano in queste ore. In particolare il vescovo dice: “Siamo molto felici di aver ricevuto il sostegno e la preghiera del Santo Padre, Francesco. Sappiamo che il Papa prega per i nostri vescovi e per la Siria, ha la Siria nel suo cuore. Gli chiediamo di continuare a pregare per noi”. Restano ancora sotto sequestro anche i due sacerdoti Michel Kayyal (armeno cattolico) e Maher Mahfouz (greco ortodosso) rapiti da un gruppo di ribelli armati il 9 febbraio: “Non ne abbiamo notizie e siamo preoccupati anche per loro”, conclude il vescovo. Durante la Santa Messa di Pasqua ortodossa, celebrata due giorni fa, anche il patriarca greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente, Yuhanna X Yazigi, ha nuovamente espresso il desiderio che i due arcivescovi rapiti in Siria siano liberati, rilanciando un accorato appello alla comunità internazionale: “Mi auguro che i due tornino fra noi sani e salvi: aiutateci”. (R.P.)

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    Bangladesh: oltre 700 le vittime del crollo del Rana Palace. La voce dei missionari

    ◊   “Dopo i soccorsi manuali dei primi giorni, dal 30 aprile sono all’opera i militari con i mezzi pesanti e ogni giorno, purtroppo, estraggono dalle macerie nuovi cadaveri”: lo dicono fonti missionarie contattate dall'agenzia Misna a Dhaka dove il bilancio delle vittime del Rana Palace, l’edificio di otto piani situato nell’area periferica di Savar crollato il 24 aprile, è salito a oltre 700 morti ed è in continuo aggiornamento. Sei corpi sono stati recuperati solo nelle prime ore di oggi, mentre continuano le operazioni di ricerca di altre vittime o eventuali superstiti da aggiungere alle 2.437 persone estratte vive finora. “I militari scavano in condizioni difficili e continuano a trovare morti: molte donne e giovani. Non è ancora chiaro quante persone fossero all’interno dell’edificio al momento del crollo. Si sa che il Rana Palace ospitava ai piani alti sei o sette laboratori tessili e si ipotizza che al momento dell’incidente fossero al lavoro 3.000-3.500 operai” spiegano le fonti di Misna. Martedì, il giorno prima del crollo, erano state notate delle crepe in una parte laterale dell’edificio: “La polizia ha fatto i controlli – ricordano le fonti – stabilendo che il giorno dopo non dovesse entrare nessuno prima dell’arrivo dell’ingegnere incaricato della perizia. I proprietari dei negozi e i dipendenti di una banca situati ai piani bassi non sono entrati. Anche gli operai dei laboratori tessili non volevano entrare ma i padroncini li hanno costretti, minacciando di non pagare loro il misero stipendio, equivalente in media a 40 dollari, e spingendoli anche con l’uso di bastoni. Dopo appena mezz’ora da quando erano al lavoro, è avvenuto il crollo”. L’inchiesta ha finora portato all’arresto di una dozzina di persone fra cui il proprietario del Rana Palace, Sohel Rana. “Anche lui era rimasto sotto le macerie, ma si è salvato e stava per riparare in India quando è stato arrestato. Circolano sulla stampa voci che fosse in buoni rapporti con un membro del parlamento esponente del partito di governo, l’Awami League, anche se finora non ne è stato fatto il nome, e che questi l’abbia aiutato a costruire il Rana Palace ben oltre i limiti consentiti. La costruzione era autorizzata solo fino al quinto piano e lui ne ha eretti altri tre; avrà ottenuto l’aiuto di qualcuno” dicono ancora le fonti della Misna. In attesa di accertare le responsabilità di quello che è considerato il più grave incidente della storia industriale del Bangladesh, i soccorritori continuano a scavare, i parenti dei dispersi ad attendere notizie. “È difficile stabilire le responsabilità di quanto è accaduto. Fuori dalla zona franca, dove le regole sono rispettate, le industrie dell’abbigliamento a basso costo subappaltano le commesse a piccole aziende che a loro volta subappaltano ad altre. I controlli sul rispetto del contratto e delle norme di sicurezza sono molto difficili, il governo dovrebbe rafforzarli così come preoccuparsi dello stato di infrastrutture spesso fatiscenti in molte zone della capitale e non solo. Prima degli affari vengono le persone” sottolineano le fonti della Misna. “Nella tragedia – concludono – colpisce il grande slancio di solidarietà, l’enorme sforzo collettivo testimoniato dalle molte realtà, dai singoli cittadini alle organizzazioni non governative, che si sono attivate per dare il loro contributo. Nei momenti di bisogno i bengalesi non hanno paura di sporcarsi le mani”. (R.P.)

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    Tanzania: la testimonianza del nunzio dopo l'attentato di Arusha

    ◊   “I fedeli sono in stato di choc e sono rimasto in città appositamente per stare vicino alla comunità cattolica per confortarla” dice all’agenzia Fides mons. Francisco M. Padilla, nunzio apostolico in Tanzania, che si appresta a tornare a Dar es Salaam da Arusha, dove domenica scorsa in un attentato di fronte alla chiesa di San Giuseppe sono morte tre persone e circa sessanta sono rimaste ferite. “Dei feriti almeno cinque sono in gravi condizioni al punto che si è reso necessario il loro ricovero a Dar es Salaam” riferisce mons. Padilla. “Ieri, io e l’arcivescovo di Arusha, mons. Josaphat Louis Lebulu, ci siamo recati all’ospedale della città a visitare i feriti portando loro conforto spirituale”. Il nunzio ricorda che si trovava ad Arusha da 5 giorni per una visita alla locale comunità cattolica e per presiedere alla cerimonia di inaugurazione della parrocchia dove è avvenuto l’attentato. Mons. Padilla ricostruisce così i drammatici momenti dell’esplosione. “Io e l’arcivescovo di Arusha, circondati da una folla di fedeli, ci trovavamo sul sagrato della chiesa. Avevamo appena benedetto l’acqua che doveva essere aspersa sui fedeli e nel luogo di culto, quando la bomba è esplosa a pochi metri da noi. Non ho visto chi ha gettato l’ordigno, perché i fedeli, vista l’occasione, erano veramente numerosi”. Venendo alle indagini sugli autori dell’atto criminale, mons. Padilla afferma che il Primo Ministro della Tanzania ha assicurato all’arcivescovo di Arusha che verranno fatti tutti gli sforzi per portare i colpevoli davanti alla giustizia. Sulle motivazioni e sulle responsabilità per l’attentato, il nunzio invita alla prudenza. “La polizia sta ancora indagando. Attendiamo i risultati delle indagini” conclude. (R.P.)

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    Card. Ruini: il cristianesimo è religione di libertà, ragione e amore

    ◊   “Dio può essere conosciuto, per alcuni aspetti, anche dalla nostra ragione e in questa misura è accessibile ai non credenti in Cristo. La piena conoscenza di Lui si ha però solo accogliendo nella fede il suo manifestarsi a noi nella storia di Israele e soprattutto in Gesù di Nazareth”. Così ieri pomeriggio a Roma, nel tempio di Adriano, il card. Camillo Ruini - riferisce l'agenzia Sir - ha aperto la sua lectio magistralis sul tema “Quale ruolo della fede in Dio nello spazio pubblico?” tenuta in occasione della lettura annuale della Fondazione Magna Carta. Il rapporto con Dio, ha proseguito, “non è più legato ad aspetti etnici e giuridici”, bensì “è aperto a ogni persona, sulla base della libera scelta personale della fede e della conversione”. La libertà, così, diventa “fattore centrale nel rapporto tra Dio e noi”, e il cristianesimo può dirsi “religione della libertà, oltre che religione della ragione e, soprattutto, dell’amore”. In tale contesto, la “rilevanza pubblica” della fede in Dio “non viene affatto negata” ma “passa attraverso la libertà delle persone”: per i primi tre secoli della sua storia, in modo particolare, il cristianesimo ha “effettivamente mantenuto e testimoniato”, soprattutto “attraverso il martirio”, l’affermazione “sia della libertà della fede sia del suo carattere pubblico”. Se il Concilio Vaticano II ha fatto propria la “centralità del soggetto umano”, mostrandone la “radice cristiana” e la “infondatezza della contrapposizione tra centralità dell’uomo e centralità di Dio”, appare ancora attuale la polemica sulle “grandi problematiche etiche ed antropologiche”. Oggi, ha detto il cardinale, “prima che di assicurare dei limiti e degli argini”, si tratta di “trovare delle ragioni di vita”, e questa è la “missione più propria del cristianesimo: esso ci dice innanzitutto non 'come’ vivere ma 'perché’ vivere, perché scegliere la vita, perché gioirne e perché trasmetterla”. In una simile prospettiva, l’ “eccezione italiana” può “rappresentare una indicazione positiva” perché la società europea superi la “strana tendenza” per la quale “sembra compiacersi di prosciugare le energie vitali e morali di cui si nutrono le persone, le famiglie, i popoli”. Il cristianesimo è religione del “logos”, della “libertà”, dell’ “amore e della persona come essere in relazione”: sono questi i “contenuti essenziali da salvaguardare”, che “aprono al futuro”. Se nel Medioevo si ebbe “una prevalenza unilaterale della verità sulla libertà”, nel nostro tempo la libertà prevale “sulla verità del nostro essere: tenere distinti questi due piani, della libertà e della verità, ma anche cercare sempre di nuovo una loro possibile sintesi”, ha concluso il card. Ruini, è la “difficile impresa” del tempo in cui viviamo. (R.P.)

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    Russia: oltre 4 milioni di fedeli a Mosca hanno celebrato la Pasqua

    ◊   Più di 4 milioni di fedeli ortodossi hanno preso parte alla liturgia pasquale della notte del 4 maggio a Mosca, celebrata in oltre 10mila tra chiese e monasteri sparsi per tutto il territorio della capitale russa. Tra il 4 e il 5 maggio, quando quest'anno cadeva la Pasqua ortodossa, oltre 70mila agenti di polizia e militari sono stati dispiegati nella capitale per garantire ordine e sicurezza, come ha fatto sapere il ministero degli Interni. "La Pasqua dà a milioni di persone gioia e speranza e ispira azioni e intenzioni buone", si legge nel messaggio ai fedeli diffuso dal Cremlino. "Indirizza le persone ai valori spirituali di lunga data che hanno svolto un ruolo speciale nella storia russa e nutre la cultura nazionale", aggiunge il messaggio. Il presidente, Vladimir Putin, insieme al premier, Dmitri Medvedev, e al sindaco di Mosca, Serghei Sobyanin, hanno partecipato alla Veglia pasquale nella cattedrale di Cristo Salvatore, celebrata dal patriarca della Chiesa russo-ortodossa, Kirill. "Voglio ringraziarla per il suo lavoro e il grande contributo personale che ha dato al preservare la pace sociale e l'armonia tra etnie e religioni", ha detto Putin rivolgendosi al Patriarca, come riporta l'agenzia Interfax. Poco prima della Pasqua - riferisce l'agenzia AsiaNews - Kirill stesso aveva mandato il suo messaggio a tutte le diocesi, invitando i fedeli ad "abbracciare questa Festa, che rappresenta la celebrazione della vittoria e della libertà". "La vita senza Cristo è schiavitù. E' Lui che ci ha liberati dalle tenebre", ha ricordato il leader ortodosso nel suo discorso in tv per la Pasuqa. Durante la funzione del sabato, il Patriarca ha anche pregato per la pace in Terra Santa e invitato tutti a intensificare la preghiera per la pace in Medio Oriente, ha riferito il portavoce del patriarcato, il protodiacono Aleksandr Volkov. (R.P.)

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    Malaysia: analista cattolico conferma i casi di irregolarità alle elezioni

    ◊   "Le elezioni sono state un gran pasticcio". Così il padre gesuita Andrew Lawrence, direttore del giornale cattolico Herald Malaysia, giudica il voto dello scorso fine settimana che ha confermato - seppur con un margine "risicato" - la coalizione governativa guidata dal premier Najib Razak. Tuttavia, aggiunge, "risultano sempre più casi evidenti di voti irregolari" che sono arrivati attraverso le urne, in particolare per quanto concerne i voti dall'estero, e che hanno determinato la vittoria del Barisan Nasional (Bn, Fronte nazionale). "Ciò equivale a un atto di tradimento (della volontà popolare) - accusa il sacerdote ed esperto di politica malaysiana - operato dai responsabili delle operazioni, per gli atti illegali e incivili compiuti il 5 maggio scorso". Intanto per domani l'opposizione ha indetto una manifestazione di piazza, per denunciare i brogli e contestare l'esito delle urne come ha già anticipato il leader Anwar Ibrahim. Secondo i risultati forniti dalla Commissione elettorale, il partito del premier ha ottenuto un totale di 133 seggi sui 222 in palio, il peggior risultato nella sua storia. Il movimento di opposizione ha conquistato 89 seggi, sette in più del precedente Parlamento. Si tratta della 13ma vittoria consecutiva per il Fronte nazionale dalla conquista dell'indipendenza dalla Gran Bretagna del 1957. Ha votato l'80% degli aventi diritto, pari a oltre 10 milioni di persone su un totale di 13 milioni registrati. Poco dopo l'annuncio ufficiale, migliaia di elettori vicini hanno cambiato la propria immagine sui social network, sostituendola con un francobollo nero in segno di protesta. Ieri il premier ha giurato per il nuovo mandato quinquennale, ma in pochi sono pronti a scommettere che il suo cammino sarà libero da ostacoli; persino all'interno del suo stesso partito, una frangia consistente delusa per il margine minimo di vittoria vorrebbe imprimere un cambio di leadership. Simpatizzanti vicini all'opposizione rilanciano le denunce di brogli, mediante cartelli e ritratti che parlano di "voti piovuti dal cielo", urne che "scompaiono per qualche ora" e polizia che "difende gli organi di governo e non la gente". Interpellato dall'agenzia AsiaNews sul voto, padre Lawrence conferma i dubbi sulla legittimità del risultato. In alcuni casi, spiega, il partito di governo è stato "aiutato dai cosiddetti voti per posta", che sono serviti a "mantenere a galla un leader in declino" solo per permettere al partito di mantenere il potere. Il direttore del giornale cattolico Herald Malaysia sottolinea che "la Primavera malaysiana è iniziata" e domani si avrà un primo assaggio "con la grande manifestazione di piazza" in cui verrà scandito lo slogan "la voce del popolo è sacra". (R.P.)

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    India. I cristiani vittime dei massacri in Orissa: le cifre dell’impunità

    ◊   A cinque anni dai massacri anticristiani che hanno sconvolto il distretto di Kandhamal, nello stato indiano di Orissa, la giustizia è ancora lontana e l’impunità trionfa. Nei “pogrom” del 2008 oltre 400 villaggi furono “ripuliti” di tutti i cristiani; più di 5.600 case e 296 chiese sono state bruciate, i morti sono stati 100 (ma il governo ne riconosce solo 56), migliaia i feriti, diverse donne violentate (fra cui una suora), 56.000 uomini, donne e bambini sono rimasti senza casa. Come ricorda all'agenzia Fides l’attivista cattolico John Dayal – che segue da vicino il percorso della giustizia di Kandhamal – le indagine sono state tardive e superficiali: solo due ispettori e una piccola squadra di investigatori hanno cercato di sondare il vasto numero di casi di violenza registrati. La polizia, inoltre, non ha aggiornato i casi in cui le vittime sono morte successivamente, a causa delle ferite riportate nell’ondata di violenza, in ospedale o nei campi profughi. Nelle indagini penali per i casi di incendio doloso, omicidio, rapimento e violenza, nota Dayal “è buio fitto”. L’attivista riferisce a Fides le cifre che danno il quadro chiaro dell’impunità: 3.232 denunce penali sono state depositate dai cristiani. La polizia ne ha accettate 1.541 ma, nonostante ciò, non ha depositato subito un “First Information Report” (un rapporto con le prime informazioni, che dà il via ufficialmente a un caso legale), previsto dal diritto penale indiano. Infatti, in un processo di continuo assottigliamento dei casi perseguibili, solo 828 denunce di privati cittadini sono state effettivamente convertite in “First Information Report”, che apre il processo in tribunale. In 327 casi il lavoro investigativo è stato dichiarato concluso e, nei processi giudiziari avviati, 169 casi hanno già visto l'assoluzione di tutti gli imputati: in tutto le persone assolte sono 1.597 e – va notato – questi imputati sono un numero esiguo, rispetto alla massa di persone che hanno partecipato attivamente ai massacri. Le assoluzioni, spiegano fonti di Fides, avvengono perché spesso i testimoni-chiave sono minacciati, intimiditi o impauriti. Altri 86 processi hanno visto condanne lievi degli imputati, non per i crimini efferati commessi, ma solo per reati minori, con pene detentive di due o tre anni. In altri 90 casi, le indagini sono ancora in corso, ma più passa il tempo, minori sono le possibilità di raccogliere prove inconfutabili. (R.P.)

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    India: in Gujarat le minoranze sono cittadini di seconda classe

    ◊   "Nel 2013 in Gujarat le minoranze sono ancora trattate come cittadini di seconda classe": la denuncia è di padre Cedric Prakash, direttore ad Ahmedabad del Centro gesuita per i diritti umani, la giustizia e la pace Prashant, che commenta l'ultimo rapporto della Commissione Usa siulla libertà religiosa internazionale (Uscirf). Pubblicato due giorni fa, il resoconto ha inserito l'India al livello 2 della sua classifica, tra i Paesi in cui le violazioni e le persecuzioni religiose sono in crescita, ponendo l'accento sulla situazione dello Stato del Gujarat. Il sacerdote nota che "il decreto anticonversione (Gujarat Freedom of Religion Law 2003) del nostro Stato è una delle leggi più draconiane di tutto il Paese, perché obbliga chiunque desideri convertirsi a chiedere prima il permesso dell'autorità civile. Oggi in diverse zone del Gujarat la polizia visita le chiese cristiane e chiede di esaminare i registri dei battesimi". Oltre alla situazione attuale, il gesuita ricorda "le vittime e i sopravvissuti ai massacri del 2002, che ancora lottano per avere giustizia". Il 27 febbraio 2002 si è consumata la carneficina del Sabarmati Express a Godhra, quando un gruppo di islamici ha aggredito e dato fuoco al treno, a bordo del quale viaggiavo indù di ritorno da Ayodhya, sede di un'antica moschea sequestrata anni addietro dagli indù. L'assalto - in cui morirono 58 persone - ha poi scatenato violenti disordini di matrice interreligiosa in tutto il Gujarat, nei quali la comunità islamica ha pagato il prezzo più alto, con quasi 2mila vittime. A questo proposito, sottolinea, "l'Ucirf ha rinnovato la richiesta al governo degli Stati Uniti di vietare il visto d'ingresso a Narendra Modi, primo ministro del Gujarat, spiegando che vi sono prove sufficienti che lo collegano alle stragi del 2002". Da sempre Modi è accusato di aver cospirato negli scontri, per non aver preso alcun provvedimento per fermarli e non aver istituito alcuna indagine. Gli Usa negano a Modi di entrare nel Paese in base all'International Religious Freedom Act (Irfa) del 1998, che nega il visto a quegli individui che hanno violato in modo grave la libertà religiosa. (R.P.)

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    Nigeria: dopo gli scontri a Baga, gli sfollati sono ancora senza casa

    ◊   Migliaia di abitanti di Baga, nello Stato nord orientale di Borno, in Nigeria, sono sfollati per paura di ulteriori scontri tra il gruppo radicale islamista Boko Haram (Bh) e le truppe congiunte Nigeria-Niger-Ciad della Multi-National Task Force (Mnutf). Secondo le stime della Croce Rossa nigeriana, negli scontri del 16 e 17 aprile sono morte 187 persone, anche se le forze militari sostengono che i morti siano solo 37, di cui 30 islamici, 6 civili e un soldato. Inoltre, stando alle recenti immagini satellitari diffuse da Human Rights Watch (Hrw) 2275 case sono state completamente distrutte dagli incendi e altre 125 gravemente danneggiate. Molti abitanti hanno incolpato i soldati di aver dato fuoco alle case, ma i militari hanno contestato le accuse incolpando Bh. La zona infatti è una roccaforte Bh e i funzionari militari hanno accusato i residenti dello Stato di Borno di ospitare i membri Bh. Secondo Hrw, gli esponenti Bh hanno ucciso molti abitanti dello Stato di Borno, creando un clima di terrore nell’area. Il National Emergency Management Agency (Nema) e la Croce Rossa sono arrivate a Baga 8 giorni dopo l’incendio perchè hanno dovuto attendere il nullaosta dalle forze militari che ritenevano la zona ancora troppo a rischio per gli operatori umanitari. Molti degli abitanti sono ancora nei boschi dopo aver abbandonato le loro case in fiamme. Temono che ci possano essere altri scontri a fuoco. Nema ha istituito un rifugio provvisorio per 600 sfollati. Attualmente la maggior parte degli abitanti di Baga vivono di pesca e agricoltura, visto che le sementi salvate sono state divorate dalle fiamme. Nella regione semiarida nordorientale della Nigeria la stagione delle piogge inizia a maggio e dura fino a settembre. (R.P.)

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    Colombia: il triste primato dei 5 milioni di sfollati interni

    ◊   In Colombia ci sono da 4,9 a 5,5 milioni di sfollati secondo il rapporto elaborato dalla Chiesa attraverso il Segretariato nazionale di pastorale sociale, sulla base dei dati raccolti dal Centro di assistenza per gli sfollati interni. La Chiesa cattolica in Colombia ha avviato nuove azioni volte ad aiutare le persone in fuga dalla guerra civile, attraverso programmi e progetti attuati in 76 diocesi e 5.500 Centri e parrocchie del Paese. In una nota inviata all’agenzia Fides dalla Conferenza episcopale colombiana (Cec) si ricorda che da 30 anni la Cec si occupa di questa piaga. Infatti, 30 anni fa, la Cec pubblicò un importante rapporto intitolato "Diritti Umani: Sfollati per la violenza in Colombia", che metteva in luce le dimensioni del fenomeno. Secondo l’ultimo rapporto dell’Idmc (Internal Displacement Monitoring Centre) la Colombia è il primo Paese al mondo con il maggior numero di sfollati interni, seguito dalla Siria e dalla Repubblica Democratica del Congo. (R.P.)

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    Honduras: “Basta armi” dice la Chiesa nel Paese con il più alto tasso di omicidi al mondo

    ◊   "Ci sono pazzi che vogliono imporre il caos nel Paese e non rispettano le leggi", denuncia mons. Rómulo Emiliani, vescovo ausiliare di San Pedro Sula (Honduras) commentando il fatto che per le strade honduregne ci sono persone che girano impunemente armate. Il vescovo si rammarica che il sicario continua ad essere il lavoro più diffuso mentre ogni giorno vi sono persone che muoiono di morte violenta. "A mio parere, si dovrebbe fare un test psicologico a tutte le persone che comprano le armi" ha aggiunto mons. Emiliani. Secondo una nota pervenuta all'agenzia Fides, in Honduras circolano mezzo milione di fucili. Ci sono persone che girano per strada con un AK-47 sotto il braccio. Per protestare contro questa situazione domenica 5 maggio è stata effettuata una “Marcia per la Pace” nella capitale alla quale hanno partecipato centinaia di persone, appartenenti a diversi gruppi ed istituzioni. Il gruppo più rappresentativo nella marcia è stato quello degli studenti dell'Università Nazionale Autonoma di Honduras e della Chiesa cattolica che hanno manifestato a favore di una convivenza pacifica nel Paese più violento al mondo. Infatti l'ultimo rapporto pubblico sulla violenza registra 85 omicidi ogni 100 mila abitanti. (R.P.)

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    Vietnam: l'annuncio di Cristo fra i non credenti

    ◊   La Nuova Evangelizzazione non è un "prodotto nuovo" che la Chiesa vuole proporre in un ipotetico "mercato nuovo delle religioni". Al contrario essa trae origine dal cuore di ogni persona che cerca di "incontrare Gesù nell'amicizia", impegnandosi "per Lui e per dar vita ai suoi insegnamenti". Così mons. Joseph Ngueyn Nang, vescovo della diocesi di Phat Diem, nel nord del Vietnam, racconta all'agenzia AsiaNews il senso della missione e dell'essere cristiani in una nazione "socialista"; il Paese asiatico negli ultimi anni è stato più volte oggetto di critiche da parte di organismi e governi internazionali, per le violazioni ala libertà religiosa. Ed è proprio dal rapporto con i sacerdoti e religiosi, che la comunità cattolica locale trova la forza di crescere pur fra difficoltà e limiti. Umanità, spiritualità, sociale, servizio pastorale e temi legati alla "Nuova Evangelizzazione" hanno contraddistinto l'annuale incontro dei sacerdoti vietnamiti, che si è svolto a fine aprile nella diocesi di Than Hoa, nel nord del Paese. All'evento hanno preso parte 477 preti provenienti dalle diocesi dell'area, per rinvigorire la vocazione al sacerdozio e l'impegno di guida delle comunità parrocchiali, che assume un significato particolare in questo Anno della Fede indetto da Benedetto XVI. Ai sacerdoti è chiesto di lavorare a stretto contatto con i laici, condividendo fra loro le esperienze di missione e aiutando consacrati e non, al dovere di annuncio della Parola di Dio affidato a ciascun fedele. Mons. Nang ha inoltre ripercorso l'esperienza vissuta a Roma, quando ha partecipato fra i delegati asiatici al Sinodo dei vescovi dell'ottobre 2012. Padre Pius Ngo Phuc Hau, originario del sud del Vietnam e attivo in una parrocchia del delta del Mekong, ha illustrato il significato della missione fra uomini e donne non cattolici, che egli chiama comunque "fratelli". La testimonianza, avverte, è fondamentale per "una migliore comprensione reciproca" e la preparazione ad accogliere Gesù. Da ultimo, vescovi e sacerdoti presenti al seminario annuale hanno confermato l'importanza dei laici nella vita della Chiesa e delle parrocchie quali modelli di vita familiare. Alla messa di saluto e ringraziamento celebrata il 25 aprile era presente anche mons. Leopoldo Girelli, rappresentante non permanente del Vaticano in Vietnam, il quale ha parlato della condivisione della parola di Dio ed enfatizzato la missione di ciascun individuo nella dimensione universale della Chiesa. E rivolto ai preti ha aggiunto: "Siete ministri della Parola di Dio per tutti". (R.P.)

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    Canada: messaggio per la prima Settimana nazionale per la vita e la famiglia

    ◊   “Se vogliamo creare una cultura della vita, una cultura in cui ogni persona sia amata e accolta, occorre lavorare insieme per sostenere e promuovere il sacramento del matrimonio e la famiglia”, poiché “è nella famiglia che i nostri figli avranno l’opportunità di fare un incontro autentico con l’Amore in persona: Gesù Cristo”. E’ quanto scrive l’Ocvf, l’organismo dei vescovi canadesi per la vita e la famiglia, nel suo messaggio per la prima Settimana nazionale della vita e della famiglia promossa dalla Conferenza episcopale dal 12 e il 19 maggio. L’iniziativa si inserisce nell’ambito dello speciale programma pastorale “Costruire una cultura della vita e della famiglia in Canada” lanciato dall’episcopato canadese nel 2011 in vista dell’Anno delle Fede. “La famiglia: rispondere con Cristo alle sfide della vita” è il tema scelto per questa prima edizione che vuole sottolineare il ruolo centrale della famiglia nell’annuncio del Vangelo e la sua vocazione naturale a promuovere la vita. Per questo – sottolinea il messaggio dell’Ocvf - essa ha bisogno di essere sostenuta: è infatti “nella famiglia che incontriamo per la prima volta l’amore, quello di un padre e di una madre, che è chiamato ad essere icona o immagine del tenero amore di Dio”. In questo senso, continua il testo, “l’amore che doniamo ai nostri familiari, amici e ad altre persone è in gran parte il riflesso dell’amore umano e divino che abbiamo ricevuto nella nostra famiglia e nella Chiesa grazie alla Parola di Dio, ai Sacramenti, alla preghiera e alle relazioni interpersonali costruite nelle nostre parrocchie”. Ecco perché essa è la chiave della Nuova Evangelizzazione: per quanto imperfette e nonostante le loro sofferenze, rileva l’Ocvf, “le nostre famiglie sono il lievito nella pasta di un mondo che ha disperatamente bisogno della Buona Novella”. I doni ricevuti dallo Spirito Santo con il battesimo e la cresima – afferma in conclusione il messaggio - ci permettono di “trasmettere questa luce e speranza a tutte le persone che incontriamo”. In vista della Settimana la Conferenza episcopale canadese, attraverso il suo sito, propone alle diocesi diverso materiale informativo e promozionale e sussidi liturgici preparati dall’Ocvf. In questo materiale è compreso anche il manifesto - un dipinto della Sacra Famiglia del pittore elvetico Bradi Barth -, testi di preghiere e una scheda che illustra l’obiettivo dell’iniziativa. (A cura di Lisa Zengarini)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 127

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