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Sommario del 06/05/2013
◊ Lo Spirito Santo è nostro amico e compagno di strada e ci dice dove è Gesù: così, in sintesi, Papa Francesco nell’omelia della Messa presieduta stamani nella Domus Sanctae Marthae, in Vaticano. Ribadita l’importanza dell’esame di coscienza per la vita di ogni cristiano. Erano presenti alcuni dipendenti della Fabbrica di San Pietro, accompagnati dal cardinale presidente Angelo Comastri e da mons. Pablo Colino, prefetto della Cappella musicale, che hanno concelebrato con il Santo Padre. Il servizio di Massimiliano Menichetti:
Un’omelia tutta centrata sullo Spirito Santo che è “proprio Dio, la Persona Dio, che dà testimonianza di Gesù Cristo in noi”. Il Papa ha indicato la protezione dello Spirito Santo che “Gesù chiama Paraclito”, “cioè quello che ci difende”, che “sempre è affianco a noi per sostenerci”:
“La vita cristiana non si può capire senza la presenza dello Spirito Santo: non sarebbe cristiana. Sarebbe una vita religiosa, pagana, pietosa, che crede in Dio, ma senza la vitalità che Gesù vuole per i suoi discepoli. E quello che dà la vitalità è lo Spirito Santo, presente”.
Lo Spirito “dà testimonianza” di Gesù - sottolinea il Papa - “affinché noi possiamo darla agli altri”:
“Nella prima lettura c’è una cosa bella: quella donna che ascoltava Paolo, che si chiamava Lidia. Si dice di lei che il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. Questo fa lo Spirito Santo: ci apre il cuore per conoscere Gesù. Senza di Lui non possiamo conoscere Gesù. Ci prepara all’incontro con Gesù. Ci fa andare per la strada di Gesù. Lo Spirito Santo agisce in noi durante tutta la giornata, durante tutta la nostra vita, come testimone che ci dice dove è Gesù”.
Il Papa ha esortato più volte alla preghiera, quale via per avere, in “ogni momento”, la grazia della “fecondità della Pasqua”. Una ricchezza possibile – ha detto – grazie allo Spirito Santo. Quindi ha guardato “all’esame di coscienza”, “che i cristiani fanno sulla giornata che hanno vissuto”, un “esercizio” che “ci fa bene - ha affermato - perché è prendere proprio coscienza di quello che nel nostro cuore ha fatto il Signore”:
“Chiediamo la grazia di abituarci alla presenza di questo compagno di strada, lo Spirito Santo, di questo testimone di Gesù che ci dice dove è Gesù, come trovare Gesù, cosa ci dice Gesù. Avere una certa familiarità: è un amico. Gesù l’ha detto: ‘No, non ti lascio solo, ti lascio Questo’. Gesù ce lo lascia come amico. Abbiamo l’abitudine di domandarci, prima che finisca la giornata: ‘Cosa ha fatto oggi lo Spirito Santo in me? Quale testimonianza mi ha dato? Come mi ha parlato? Cosa mi ha suggerito?’. Perché è una presenza divina che ci aiuta ad andare avanti nella nostra vita di cristiani. Chiediamo questa grazia, oggi. E questo farà che, come lo abbiamo chiesto nella preghiera, che in ogni momento abbiamo presente la fecondità della Pasqua. Così sia”.
Papa Francesco alle Guardie Svizzere: siate forti, animati dall’amore e sostenuti dalla fede
◊ Il grazie di Papa Francesco alle Guardie Svizzere, ricevute stamane con i loro familiari, in occasione della Festa odierna del Corpo pontificio, sorto nel 1506, sotto il pontificato di Giulio II. Presente all’incontro nella Sala Clementina, Ueli Maurer, presidente della Confederazione elvetica. La Giornata, iniziata con una Messa nella Basilica di San Pietro, presieduta dal cardinale Bertone segretario di Stato, è proseguita con la commemorazione dei Caduti nel Piazzale dei Protomartiri Romani. Nel pomeriggio alle 17 il giuramento di 35 nuove reclute, nel Cortile San Damaso, alla presenza di mons. Giovanni Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato. Il servizio di Roberta Gisotti:
In questo giorno la Guardia Svizzera Pontificia ricorda il sacrificio di 147 soldati caduti nel ‘Sacco di Roma’ il 6 maggio del 1547 nell’atto di difendere Clemente VII dall’assalto dei Lanzichenecchi. Giorno di una memoria, a servizio dei successori di Pietro, che si rinnova da 507 anni. “Oggi non siete chiamati a questo gesto eroico, – ha detto il Papa - ma ad un'altra forma di sacrificio anch’essa impegnativa”:
“A mettere le vostre energie giovanili al servizio della Chiesa e del Papa. E per fare questo bisogna essere forti, animati dall’amore e sostenuti dalla fede in Cristo".
Da qui il “grazie più sincero” di Papa Francesco:
“Ogni giorno posso sperimentare personalmente la dedizione, la professionalità e l’amore con cui svolgete la vostra attività. E di questo vi ringrazio!”.
Una festa che quest’anno si inserisce nell’Anno della Fede:
“Ricordatelo bene: la fede che Dio vi ha dato nel giorno del Battesimo è il tesoro più prezioso che avete! E anche la vostra missione al servizio del Papa e della Chiesa trova lì la sua sorgente".
Poi l’invito a testimoniare nel servizio “gentilezza”, cosi importante per tante persone che passano dalla Città del Vaticano, per chi ci lavora ed anche per me, ha sottolineato il Papa. Quindi una raccomandazione:
“Sappiate essere attenti gli uni agli altri, ad accorgervi quando qualcuno di voi può avere un momento di difficoltà. Siate pronti ad ascoltarlo, a stargli vicino”.
Infine, un pensiero affettuoso:
“Care Guardie Svizzere, non dimenticate che il Signore cammina con voi: questo è un pensiero buono che fa bene all’anima”.
Guardie Svizzere che oggi, con rinnovato entusiasmo, servono Papa Francesco, come spiega il comandante del Corpo, il colonnello Daniel Anrig:
"Il fatto è che lui si muove andando verso la gente e questo all’inizio è stato qualcosa di nuovo. Il nostro compito – che ha oltre 500 anni – è quello di prestare servizio nelle residenze. È stato sempre così. Adesso dobbiamo stare anche alla Domus Sanctae Marthae. All’inizio, certo, abbiamo incontrato nuove circostanze, però è chiaro che resta un bel servizio".
Sono 110 oggi le Guardie Svizzere, nel delicato compito di difendere la persona del Papa. Ma dietro il loro impegno e sacrificio c'è quello delle donne, le loro mamme, nonne, fidanzate, mogli, a cui il cardinale Bertone ha voluto rendere omaggio nella Messa, celebrata stamane in San Pietro, citando la figura di Lidia, citata dall’apostolo Paolo a Filippi, donna dal “cuore aperto e generoso”:
“Sì, possiamo dire, senza esagerare, che nella storia della Guardia Svizzera Pontificia, come nella storia dell’evangelizzazione del continente europeo, c’è anche il ruolo indispensabile di tante 'Lidia!'. Sono le numerose donne che, con una discrezione pari alla loro efficienza, hanno segnato il servizio reso dalle Guardie, dagli inizi e fino a oggi!”.
Diritti umani, pace e giustizia al centro dell'incontro del Papa con il presidente svizzero Maurer
◊ Stamani il Papa ha ricevuto nel Palazzo Apostolico Vaticano, il presidente della Confederazione Elvetica, Ueli Maurer, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. “Durante i cordiali colloqui – riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana - evocando l’encomiabile servizio plurisecolare della Guardia Svizzera Pontificia nell’annuale ricorrenza del giuramento delle reclute, è stato sottolineato il comune desiderio di rafforzare ulteriormente i buoni rapporti che intercorrono tra la Santa Sede e la Confederazione Elvetica, e di intensificare la collaborazione fra la Chiesa cattolica e lo Stato. Ci si è poi soffermati su temi di comune interesse, quali la tutela dei diritti umani, la formazione della gioventù e la collaborazione internazionale per la promozione della giustizia e della pace”.
Il Papa ai vescovi del Piemonte: mostrate la misericordia di Dio alle famiglie in difficoltà
◊ Stamani il Papa ha ricevuto i vescovi della Conferenza episcopale del Piemonte, in visita “ad Limina”. I presuli erano guidati da mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino. Sergio Centofanti lo ha intervistato:
R. – E’ stato un incontro sereno, costruttivo, direi di un padre con i suoi figli, per conoscere un po’ la situazione della nostra Regione, a partire dai problemi ma anche dalle prospettive positive che ci sono. Un incontro ricco di umanità, di fraternità in cui il Papa ci ha ascoltati, ha dialogato con ciascuno di noi, insieme, affrontando diverse problematiche. In particolare, ci ha dato speranza, ci ha incoraggiati a seguire con affetto e amore i sacerdoti - il problema delle vocazioni è un problema sempre molto acuto, anche da noi - soprattutto i sacerdoti anziani e malati, mostrando la nostra paternità, la nostra vicinanza, e quelli più giovani che si trovano ad affrontare una situazione a volte un po’ complessa e difficile, nel passaggio dal Seminario alla loro vita. Poi, il problema delle famiglie, che gli stanno molto a cuore: tutte le famiglie, quelle che stanno abbastanza bene dal punto di vista spirituale o sociale, ma soprattutto quelle in difficoltà, sia sul piano morale sia anche sul piano sociale. Abbiamo notato quanta eco ed attenzione ha verso la famiglia e come sia vicino a queste situazioni, e ci invita ad essere, anche lì, padri e amici di ogni famiglia, accogliendo, cercando di dare risposte anche appropriate ai bisogni che la famiglia ha. E poi, certamente il problema dei giovani, che è anche la sfida più grande della Chiesa, su cui però dobbiamo poter contare con speranza, con fiducia, spronandoli a uscire da se stessi, ad essere protagonisti anche negli ambienti di vita – università, scuola … a dare molta fiducia ai giovani …
D. – Il Papa vi ha parlato anche della crisi attuale, della povertà …
R. – Sì. Abbiamo parlato di questo, anche perché è una questione che ci sta molto a cuore: il Piemonte soffre moltissimo, in questo momento. Abbiamo tanti disoccupati, abbiamo situazioni anche molto dure dal punto di vista dei nuovi poveri. Lui si è mostrato molto sensibile: ci ha invitato a fare della nostra Chiesa un esempio anche sotto questo profilo perché ha ricordato anche i nostri Santi, giustamente, i cosiddetti santi sociali – don Bosco, il Murialdo, il Cottolengo – che hanno dato grande impulso anche all’impegno dei cristiani nell’ambito della società, soprattutto per aiutare chi soffre, chi è più povero, chi è ultimo ad avere la dignità, ad avere la giustizia e la solidarietà di cui ha bisogno. Insomma, è stato un incontro veramente molto ricco di tanti spunti che adesso noi, come Conferenza episcopale, riprenderemo perché vogliamo veramente dare un’adeguata risposta a queste indicazioni e a questi suggerimenti che ci ha dato il Papa. Quindi, lo ringraziamo sentitamente e speriamo che venga anche a trovarci: l’abbiamo anche invitato! Credo che tutte le Conferenze avranno fatto così, però il Piemonte, forse, può darsi che sia una Regione che gli sia cara in quanto richiama un po’ anche la sua famiglia: ci sono diversi parenti del Papa anche a Torino … Ma al di là di questo, è stato un momento ricchissimo che ci ha dato tanta gioia e tanta speranza nel cuore.
D. – Cosa l’ha colpita in particolare di questo incontro?
R. – Mi ha colpito molto la semplicità e il tratto familiare, però, nello stesso tempo, l’acutezza e la profondità delle cose che il Papa ci ha detto. Soprattutto, ci ha affidato questo grande impegno di essere verso i sacerdoti, verso le nostre comunità, padri, vescovi e amici nello stesso tempo, sull’esempio di Gesù Cristo e sull’esempio dei nostri santi, per mostrare ogni giorno quanto la misericordia, l’amore di Gesù, il cuore del Signore, veramente, sia vicino alla nostra gente.
Tweet del Papa: la nostra vita cristiana sia una testimonianza luminosa dell'amore di Dio
◊ Questa mattina il Papa ha lanciato un nuovo tweet sul suo account @pontifex in nove lingue: “Chiediamo al Signore – scrive - che tutta la nostra vita cristiana sia una testimonianza luminosa della sua misericordia e del suo amore”.
◊ Papa Francesco ha nominato il Rev.do P. Zolile Peter Mpambani, S.C.J., Vescovo della diocesi di Kokstad (Sud Africa). Il Rev.do P. Zolile Peter Mpambani, S.C.J., è nato il 20 febbraio 1957, a Umlamli nella diocesi di Aliwal. Ha emesso la professione religiosa nella Congregazione del Sacro Cuore di Gesù (Dehoniani) il 28 gennaio 1982. Ha studiato Filosofia e Teologia presso il Seminario Maggiore di St. Joseph, a Cedara. È stato ordinato sacerdote il 25 aprile 1987. Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti incarichi: 1987-1990: Vicario parrocchiale nella parrocchia di Sterkspruit; 1990-1993: Parroco a Burgerdorp; 1994-1997: Maestro del pre-noviziato della Provincia S.C.J.; 1998-2003: Consigliere Generale per Africa e Madagascar del Governo Centrale del suo Istituto, a Roma; 2004-2005: Anno Sabbatico; 2005-2010: Maestro del pre-noviziato, Superiore locale della Comunità a Bethulie e Direttore del Dehonian House, a Scottsville (Pitermartizburg); 2011-2013: Ministero (insieme al Vicario Generale) nella parrocchia di Sterkspruit, in diocesi di Aliwal. Dal febbraio 2013 è Superiore Provinciale nella Congregazione del Sacro Cuore di Gesù (Dehoniani) del Sud Africa.
Il Papa ha nominato Vescovo di El Paso (U.S.A.) S.E. Mons. Mark Joseph Seitz, finora Vescovo titolare di Cozila ed Ausiliare di Dallas (U.S.A.). S.E. Mons. Mark Joseph Seitz è nato a Milwaukee, Wisconsin, il 10 gennaio 1954, nell’omonima arcidiocesi. Ha compiuto gli studi ecclesiastici all’Università di Dallas e, poi, ha ottenuto il Master of Liturgical Studies presso la St. John’s University a Collegeville, Minnesota (1985). Successivamente ha compiuto studi specialistici di Bioetica presso il National Catholic Bioethics Center a Philadelphia, Pennsylvania (2002). È stato ordinato sacerdote il 17 maggio 1980 per la diocesi di Dallas. Dopo l’ordinazione ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale della Good Shepherd Parish a Garland (1980-1984); Cappellano delle Catholic Daughters of America (1981-1984); Professore aggiunto presso l’Università di Dallas (1985-1993); Membro della Diocesan Liturgical Commission (1985-1987); Direttore del Comitato per la formazione permanente del clero (1985-1996); Padre Spirituale e Direttore Liturgico (1986-1987) e in seguito Vice-Rettore e Direttore Liturgico (1987-1993) del Holy Trinity Seminary ad Irving; Membro del Consiglio Presbiterale (1988-1993, 1999-2006, dal 2007); Parroco della Saint Joseph Parish a Waxahachie (1993-2002); Vicario Foraneo della Deanery One (1996-2001); Direttore Spirituale per Dallas/Fort Worth Courage (1998-2010); Parroco della Saint Rita Parish a Dallas (2003-2010); Vicario Foraneo della Deanery Five (2004-2007); Consultore diocesano (dal 2007); Membro della Board of Directors del Birth Choice Catholic Crisis Pregnancy Center (2009-2010); Vicario Generale e Parroco dell’All Saints Parish a Dallas (dal 2010). Nominato Vescovo titolare di Cozila ed Ausiliare della diocesi di Dallas l’11 marzo 2010, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 27 aprile successivo. In seno alla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti è Membro del Subcommittee on Hispanic Affairs. Parla l’inglese e lo spagnolo.
Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Merlo-Moreno (Argentina) S.E. Mons. Fernando Carlos Maletti, finora Vescovo di San Carlos de Bariloche. S.E. Mons. Fernando Carlos Maletti è nato a Buenos Aires il 17 marzo 1949. Ha compiuto gli studi nel Seminario di Buenos Aires ed è stato ordinato sacerdote il 24 novembre 1973. Dopo l’ordinazione è stato: Vicario cooperatore (1973-1977), Formatore nel Seminario maggiore (1977), Assessore del Consiglio arcidiocesano delle giovani dell’Azione Cattolica (1981-1983), Direttore dell’Istituto Vocazionale San José (1983-1988), Vice Assessore del Consiglio Arcidiocesano delle donne dell’Azione Cattolica (1990), Giudice del Tribunale Interdiocesano (1988), Parroco di San Cayetano, a Buenos Aires (1988), Decano del decanato 11 di Buenos Aires (1989), Membro del Collegio dei Consultori e del Consiglio Presbiterale (1989). Nominato Vescovo di San Carlos di Bariloche il 20 luglio 2001, è stato consacrato il 18 settembre dello stesso anno. In seno alla Conferenza Episcopale Argentina è Presidente della Commissione Episcopale per l’aiuto alle Regioni bisognose e Membro di quella per gli aborigeni.
Tanzania: due morti nell'attentato contro una chiesa cattolica. Il nunzio: "Siamo sotto choc"
◊ Sei persone, tra cui quattro di nazionalità saudita, sono state arrestate nell'ambito delle indagini sull'esplosione avvenuta ieri in una chiesa di Arusha, nel nord della Tanzania. Intanto, il bilancio delle vittime dell'attentato è salito a due, secondo il governatore della provincia, Magesa Mulongo, con una decina di persone ferite. Da parte sua, il presidente della Tanzania, Jakaya Kikwete, ha definito l'attacco ''un atto terroristico''. La deflagrazione, causata da un ordigno, è avvenuta durante l’inaugurazione di una parrocchia alla presenza del nunzio apostolico nel Paese mons. Francisco Padilla, rimasto illeso. Paolo Ondarza lo ha raggiunto telefonicamente:
R. - Nessuno se lo aspettava. In città al mio arrivo per la visita pastorale ero stato accolto molto bene. Siamo arrivati alle 10 per l’inaugurazione della parrocchia. Quando abbiamo iniziato la benedizione fuori dalla chiesa, prima di entrare dentro, ho sentito un’esplosione, poi ho visto corpi di gente ferita per terra. Ero sotto choc e la polizia mi hanno subito portato in un posto sicuro.
D. – Che spiegazione viene data a quanto accaduto?
R. – Tutti sono sotto choc. Nessuno si aspettava tutto ciò. I miei sentimenti e le mie preghiere vanno in questo momento alle vittime. Sono molto addolorato per loro, vittime innocenti presenti alla celebrazione.
D. - Verso quale ipotesi si stanno orientando gli inquirenti, le indagini?
R. – Non si sa. Ora sono alloggiato presso la casa del vescovo, Il governo locale mi ha già espresso il suo rammarico assicurandomi il massimo impegno nelle indagini. Stanno facendo tutto perché non si ripetano fatti del genere nel futuro.
D. – Sorprende un atto del genere in una chiesa cattolica in Tanzania. Non ci si aspettava niente del genere?
R. – No, questa è la prima volta. In Kenya sono già accadute cose simili, ma non in Tanzania. E’ la prima volta di una bomba esplosa durante una celebrazione liturgica.
D. – Cosa si sente di dire? Quale il suo messaggio in questo momento così difficile?
R. – Da parte mia, come rappresentante del Papa io esprimo piena solidarietà alla Chiesa di Arusha e anche alle altre chiese cattoliche nel Paese che nel passato hanno vissuto momenti drammatici: ad esempio a Zanzibar un sacerdote è stato ucciso e alcune chiese cristiane sono state incendiate. Io prego per le vittime e le loro famiglie. Speriamo bene.
◊ Un evento che risponde all’invito lanciato da Papa Francesco a costruire ponti di dialogo. E’ il colloquio fra cristiani e buddisti organizzato oggi a Roma presso l’Università Urbaniana dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso in collaborazione con la Cei, Movimento dei Focolari e Unione buddisti italiana. Si tratta della quarta tappa di un percorso avviato dal dicastero vaticano nel 1964 e che nell’odierna giornata ha avuto per tema “Pace interiore, pace con i popoli”. Al microfono di Paolo Ondarza, il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso:
R. - La cosa importante è che malgrado le difficoltà, tutti siamo convinti che non vi sia altra soluzione ai problemi che il dialogo, che è incontro, comprensione, amore. Tema di questo convegno è “Pace interiore, pace nel mondo”: questo vuol dire che quando uno è in pace con se stesso, trasmette un messaggio di serenità, speranza, bontà, misericordia - il Papa insiste molto sulla misericordia… - e quindi è portatore di pace. Tutto il dialogo col buddismo insiste molto sulla vita interiore e forse nel mondo di oggi è l’aspetto che manca di più.
D. - Lei ha detto: “La pace non è solo un patto per una vita tranquilla, né assenza di guerra. Pace - ha detto - è essere completi e intatti. Recuperare quell’armonia con Dio, con gli altri e con il Creato…”
R. - Già Pascal diceva che “il grande problema dell’uomo è che non sa stare in pace nella sua stanza”. Io penso che dobbiamo imparare a ricostruire quest’uomo interiore.
D. - Questa pace interiore è un punto comune tra cristianesimo e buddismo?
R. - Sì, penso di sì. E’ la meditazione che ci permette di sapere chi siamo, dove andiamo, anche se ovviamente il buddismo è una tradizione religiosa molto diversa dalla nostra.
D. - Sfida comune per le religioni, in particolare per cristianesimo e buddismo, sono le tante minacce contro la vita nelle società contemporanee…
R. - Sì, la vita in senso largo. Leggevo l’altro giorno la testimonianza di uno studente della Cina continentale venuto a studiare in Europa. Dopo tre anni è tornato a Pechino e ha detto ai suoi compagni: “Lì sono talmente liberi che nessuno bada a nessuno”. Questo è molto triste, ma è anche una diagnosi - penso - molto vera.
Contemplazione e silenzio, amore e compassione, rispetto della vita: punti di contatto tra cristiani e buddisti. “La pace interiore è premessa per la pace tra i popoli”. Ne è convinto il venerabile Raffaello Longo, presidente dell’Unione Buddista Italiana. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. - Senza pace interiore non c’è possibilità di avere una pace con l’esterno. E’ inutile, ovviamente, fare dimostrazioni pacifiste se poi dentro di noi c’è una rivoluzione, una guerra interiore. Le religioni devono unirsi per far passare questo messaggio che la spiritualità non è solo un qualcosa di religioso, ma soprattutto umano.
D. - Lei ha detto che “per dialogare è fondamentale avere una buona preparazione per quanto riguarda la propria tradizione”: questo è un presupposto fondamentale?
R. - Sì, il dialogo non è un qualcosa di romantico dove si parla solo delle cose in comune e si lasciano fuori le differenze. Per poter dialogare, bisogna avere la padronanza della propria disciplina, della propria tradizione: altrimenti non ci si confronta su nulla! Il dialogo interreligioso è un qualcosa di entusiasmante e per poterlo comprendere bisogna farlo.
D. - Lei ha detto: “io ho punti di riferimento in amici cristiani”…
R. - Assolutamente, la considero una ricchezza e anche una forma di libertà, perché se riesco a espandere il mio orizzonte molto più in là di quello che dice la mia tradizione, non può essere che un arricchimento!
D. - Dialogare non ha come obiettivo quello di far accrescere numericamente gli appartenenti alle singole religioni, ma trasmettere un messaggio: che la spiritualità è importante, è fondamentale per costruire percorsi di pace…
R. - Questo assolutamente. Di più: io penso che il dialogo interreligioso debba portare un esponente di una religione a difendere la religione degli altri. Mi è capitato più volte di difendere le altre religioni di fronte a un auditorium: quando l’esponente di un’altra religione difende la religione che ha di fianco, le persone rimangono positivamente disorientate.
Buddismo e cristianesimo hanno un ruolo essenziale per la costruzione del nuovo umanesimo del Terzo Millennio. Ne è convinto mons. Mansueto Bianchi, vescovo di Pistoia e presidente della Commissione Cei per l’Ecumenismo e il Dialogo che, al microfono di Paolo Ondarza, ricorda il grande valore dell’incontro tra le religioni organizzato ad Assisi nel 1996 da Giovanni Paolo II:
R. – Direi che è stato un evento epocale. E’ uno di quegli eventi che fanno più da soli, come immagine, che non intere generazioni di testi o di libri pubblicati. Perché trasmettono un’immagine dell’esperienza religiosa positiva: una grandissima risorsa per l’umanità. Giovanni Paolo II, veramente, ha avuto un’intuizione profetica grande. Occorre che passi fortemente il messaggio che l’esperienza religiosa è amica dell’uomo, è amica della convivenza tra le persone, ha molto da dire sul nuovo progetto umano che si sta varando.
D. – Oggi in una società globalizzata sempre di più siamo chiamati a confrontarci con le differenze: ecco perché incontri come quello odierno sono importanti per costruire ponti, per confrontarsi e per conoscersi …
R. – Esattamente. Sono importanti per la composizione delle differenze, perché le differenze possono diventare collisioni o possono diventare sinfonie. Sinfonie, non perché tutte le esperienze religiose siano uguali o intercambiabili: non per questo, assolutamente! Ma perché dentro lo stare insieme delle persone, la composizione – per così dire – del percorso spirituale diventa un grande potenziale di umanizzazione e diventa anche una grande risorsa per conoscere, per vivere, per amare più intensamente la propria esperienza religiosa nella stima, nel rispetto e nell’accoglienza di quella dell’altro.
D. – Colpisce come tra tanti italiani, ci sia un certo fascino esercitato dalla filosofia buddista, dal buddismo in generale. Come porsi di fronte a tutto questo?
R. – Il primo atteggiamento, ovviamente, è l’atteggiamento del rispetto perché ogni vicenda di coscienza, ogni percorso di coscienza ha bisogno, prima di tutto, di essere riconosciuto e rispettato. Ma certamente queste vicende hanno una provocazione nei confronti delle nostre comunità cristiane. E’ un richiamo forte alla nostra responsabilità educativa: penso prima di tutto alle famiglie, penso alle comunità parrocchiali. Occorre investire molto sull’aspetto formativo perché l’identità cattolica sia veramente un’identità e non semplicemente un movimento o un momento di passaggio nel lungo percorso della vita.
D. – A volte è proprio l’aspetto emotivo a muovere: lo sottolineava anche il presidente dell’Unione buddista italiana quando diceva: “Tante persone che a volte si avvicinano al buddismo si scoraggiano di fronte ad un cammino che presenta difficoltà o ad un percorso di impegno, di lavoro” …
R. – Sì, perché oggi molta gente sembra come essere in visita al “supermercato del sacro”, e si atteggia mentalmente come un passeggiatore in mezzo a molti stand religiosi, cercando di cogliere o di prendere quello che più immediatamente, epidermicamente la stupisce, la affascina, la conquista … Quando poi ci si accorge che l’esperienza religiosa è tutt’altro che una vicenda di brivido emotivo, di curiosità intellettuale o di sensazione epidermica, ma tocca le scelte di fondo della vita e implica un costruire la vita intorno a queste scelte, allora molta gente riposa sul banco – per così dire – la merce che aveva presa.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Aria fresca nella Chiesa: all’indomani della visita e del Rosario a Santa Maria Maggiore il Pontefice celebra a Piazza San Pietro la Messa per le Confraternite ed esalta il valore della pietà popolare.
Come le nostre madri e le nostre nonne: in prima pagina, Lucetta Scaraffia su Papa Francesco e Maria modello di madre amorosa e saggia, che insegna anche ad andare controcorrente.
In rilievo, nell’informazione internazionale, i raid israeliani in Siria che stanno accrescendo la tensione in tutta l’area.
La morte di Giulio Andreotti in un articolo di Marco Bellizi.
Dov’è il vero io? In cultura, anticipazione dell’intervento del cardinale Paul Poupard, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura, alla conferenza - a Bologna - sulla visione di Dio in Rousseau.
Attenzione regionale sulla libertà religiosa: Michele Madonna a proposito di uno studio su norma e prassi di un aspetto della Costituzione italiana.
Una croce tra due oceani (sul promontorio roccioso di Capo Froward che divide il Pacifico dall’Atlantico): Francesco Motto sulla presenza salesiana nella Terra del Fuoco.
E' morto Giulio Andreotti: aveva 94 anni. Intervista con padre Simone
◊ E’ morto Giulio Andreotti, protagonista della vita politica italiana nella seconda metà del XX secolo. Si è spento alle 12.25 nella sua abitazione romana: aveva 94 anni. Andreotti è stato presente dal 1945 in poi nelle assemblee legislative: dalla Consulta nazionale all'Assemblea costituente, e poi nel Parlamento italiano dal 1948, come deputato fino al 1991, e successivamente come senatore a vita. Nato a Roma il 14 gennaio 1919, è stato uno dei principali esponenti della Democrazia Cristiana. È stato sette volte presidente del Consiglio; e, tra gli altri incarichi da ministro, per otto volte è stato a capo del Ministero della Difesa. Amedeo Lomonaco ha chiesto un ricordo a padre Michele Simone, notista politico di Civiltà Cattolica:
R. - Indubbiamente fa parte della storia della Repubblica. Ritengo che, nonostante tutte le cose negative che gli sono state attribuite, non tutte poi provenissero da lui. Penso che la storia darà un giudizio tutto sommato positivo.
D. - Una storia indissolubilmente legata all’esperienza della Democrazia Cristiana...
R. – Andreotti, come dicevo, fa parte della storia della Repubblica e della storia della Democrazia Cristiana. Era un personaggio capace di conoscere veramente che cosa avveniva nel Paese, e quindi di addirizzare il timone della Democrazia Cristiana per darne un’interpretazione positiva. Non ha partecipato a particolari trame negative all’interno della Dc. Ha saputo valorizzare i valori di cui la Dc era portatrice fino al punto di puntellare alla fine la Democrazia Cristiana. Non si può dimenticare poi il suo apporto al compromesso storico e ciò che è accaduto in quell’epoca.
Raid israeliani a nord di Damasco: rischia di allargarsi il conflitto siriano
◊ Rischio di regionalizzazione per il conflitto siriano dopo i raid aerei israeliani a nord di Damasco. “In caso di nuovo attacco – ha detto il presidente Bashar Al Assad – risponderemo immediatamente”. Nelle azioni sarebbero morti 15 soldati siriani mentre altri due sarebbero dispersi. Alcune fonti locali parlano di oltre 40 vittime. Intanto Teheran ha ribadito che i depositi colpiti non contenevano armi di provenienza iraniana, mentre preoccupazione è stata espressa dall’Onu e dalla Russia. Sulla possibilità di un allargamento della guerra nell’intera regione, Salvatore Sabatino ha intervistato Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi islamici presso l'Università della Calabria:
R. - In un certo senso il conflitto era già regionale, magari non in maniera così concreta come appare adesso, ma era chiaro che la situazione in Siria stava scatenando tutta una serie di controreazioni a livello regionale - ma direi anche addirittura a livello internazionale - che la ponevano sempre ai limiti di un allargamento del conflitto. Quindi, credo che questa sia semplicemente la logica conseguenza di una situazione gestita malissimo a livello internazionale e che sta portando naturalmente ad un allargamento di questo conflitto.
D. – I Paesi arabi insorgono contro Israele, mentre i ribelli siriani sottolineano che non vogliono essere associati al regime. Questo vuol dire che appoggiano sostanzialmente le incursioni aeree dello Stato ebraico?
R. – Direi che la consequenzialità di queste affermazioni non è assolutamente certa: non appoggiare il regime non vuol dire per questo approvare naturalmente l’operato di Israele dal punto di vista militare. Quanto ai regimi arabi, dimostrano per l’ennesima volta il loro fallimento: ormai credo che tutte le dimostrazioni di impotenza della Lega Araba - nei mesi e nell’anno trascorso – stiano semplicemente a sottolineare come ormai i sogni di un arabismo, di un mondo arabo più o meno compatto, sia definitivamente tramontato e siano altri gli attori che ora cercano un ruolo primario nella regione.
D. – Quali sono questi attori?
R. – Direi soprattutto Turchia ed Iran, a livello regionale: Iran associato in questo momento al governo siriano, e la Turchia che invece dimostra da qualche tempo una certa ostilità nei confronti di quel regime. Sono due Paesi che, per motivi diversi, sono stati esclusi da un ruolo di potenze regionali - del quale ora cercano di riappropriarsi in tutti i modi possibili - e, visto il vuoto di potere - in un certo senso - che c’è tra gli arabi, nella Lega Araba, e le indecisioni, le continue lentezze del diritto internazionale e della politica estera internazionale, ci stanno riuscendo.
D. – Non a caso sono due Paesi non arabi…
R. – Esattamente, sono due Paesi non arabi. Torna ad essere presente nella regione un’idea più transnazionale islamica che araba, dove elementi non arabi – che nella storia islamica del passato hanno a lungo dominato tutto il mondo islamico – pretendono in qualche modo di tornare ad essere al centro dell’attenzione e finirla con questo equivoco dell’arabismo che da solo non può certo rappresentare l’intero interesse del mondo islamico.
D. – Da sottolineare però che la presidenza egiziana ha condannato l’attacco israeliano parlando di “aggressione”. Come Paese chiave negli equilibri della regione - il Paese certamente più grande - non crede che questa presa di posizione possa modificare le alleanze e gli stessi equilibri dell’area?
R. – Certamente l’attacco israeliano pone dei problemi in questo momento. L’Egitto non può – visto il carattere di mediatore moderato che ha cercato di darsi in questi ultimi tempi – ignorare l’attacco israeliano e deve barcamenarsi fra due posizioni possibili: la condanna dell’attacco che è inevitabile per non perdere la faccia di fronte agli altri interlocutori della regione ed al tempo stesso appunto questo ruolo, questo tentativo di apparire come un mediatore credibile.
D. – Il Libano, che paga un prezzo altissimo nella crisi siriana, che ruolo può giocare in questo momento?
R. – Un ruolo importate perché, non dimentichiamoci che abbiamo parlato di interregionalità, di internazionalità del conflitto, ma si tratta anche di un conflitto in cui l’elemento interconfessionale ha un’importanza notevolissima: il Libano ha delle milizie sciite che ben conosciamo e la spaccatura del mondo tra sunniti e sciiti – che è stata gestita bene o male nei decenni passati in maniera più morbida dai vari governi – ora sta riesplodendo in questa crisi di identità. Quindi, gli schieramenti oggi si fanno su quella base. Non è un caso che l’Iran cerchi di fare un’asse di alleanza con gli sciiti di Siria, gli alawiti - che sono, ricordiamo, sempre di derivazione sciita - e che i sunniti rispondano con una sorta di identità etnico-nazionale. Il conflitto che non ha assolutamente ragioni religiose in senso stretto, rischia di trasformarsi in un conflitto interconfessionale. Quindi, il Libano per la sua collocazione sciita - per la collocazione sciita degli Hezbollah – naturalmente sta diventando un fattore determinante e gli attacchi israeliani lo dimostrano, perché almeno la giustificazione ufficiale era che volevano colpire armi destinate al Libano provenienti dall’Iran.
D. – Capitolo a parte poi quello delle armi chimiche utilizzate contro i civili in Siria, di cui si parla da tempo. Carla del Ponte, membro della Commissione d’inchiesta dell’Onu sulle violazioni dei diritti umani in Siria, ha sottolineato che sarebbero state utilizzate dai ribelli e non dal regime…
R. – Era da tempo che si parlava di questa possibilità: il ministro degli esteri iraniano Ali Akbar Salehi, per esempio, negli ultimissimi giorni aveva più volte denunciato che le armi chimiche venivano utilizzate – il “sarin” in particolare, un gas nervino piuttosto letale – dai ribelli e non dal governo. Naturalmente, essendo colui che aveva pronunciato questa diagnosi un iraniano non era stato molto considerato; però dei dubbi nella comunità internazionale persistevano e lo stesso atteggiamento delle potenze d’Occidente, dell’America, dell’Europa lo sta a testimoniare. C’è stata una certa prudenza, a proposito di questa famosa “linea rossa” - quella delle armi chimiche - che non andrebbe superata, pena un intervento internazionale. Perfino il governo americano, ma pensiamo in particolare qui in Europa al governo francese, hanno manifestato molta prudenza in questo senso perché le indagini sono naturalmente da farsi sul terreno, c’è tutta una serie di precauzioni da prendere prima di poter emettere dei giudizi definitivi.
Violente manifestazioni islamiche in Bangladesh: appello alla pace dell'arcivescovo di Dacca
◊ Sarebbe di quasi 30 morti il bilancio delle violenze scatenate ieri da gruppi fondamentalisti islamici, che hanno manifestato a Dacca, chiedendo una legge sulla blasfemia, che preveda pene severe e addirittura la pena di morte. Forte l’appello alla pacificazione dell’arcivescovo della capitale, mons. Patrick D’Rozario, che in un messaggio chiede “uno sforzo di buona volontà da parte di tutte le componenti della società, affinché si riconoscano i diritti di ogni credente di qualsiasi credo religioso, per costruire nel Paese solidarietà, armonia e pace”. Sulla grave situazione che, dopo il crollo del palazzo a Dacca, riporta il Bangladesh all’attenzione delle cronache internazionali, Giancarlo La Vella ha intervistato Emanuele Giordana, presidente del sito di attualità internazionale Lettera 22:
R. – E’ una situazione che in realtà si conosce da tempo; oggi ha assunto dimensioni che solo fino a ieri non si potevano immaginare: decine di migliaia di persone in piazza che continuano a combattere una sorta di battaglia, nel corso della quale si sono sentiti slogan del tipo: “Impicchiamo i miscredenti”. Fortunatamente, il governo laico di Dacca dice che le leggi del Bangladesh sono sufficienti a punire chi offende la religione, sottolineando che "non si vuole che una religione di pace sia utilizzata per violenze". La verità di questo Paese è che l’altro grosso gruppo di opposizione in realtà ha appoggiato gruppi islamici, negli anni passati, per fortificarsi, come è stato fatto in Pakistan, cioè coltivando piccole cellule radicali, che poi sono diventati movimenti popolari, che sfruttano il malcontento che non è solo di carattere religioso, ma soprattutto economico, come ha rivelato il crollo del Rana Palace, dove sono morte ormai circa 650 persone. E non è un caso che gli animi siano così infiammati dopo quella terribile vicenda, con la gente che guadagna solo un dollaro al giorno e il clima rovente. Così gli islamisti radicali sono riusciti a trovare il varco per portare avanti queste deliranti richieste di una legge sulla blasfemia, che prevede addirittura la pena capitale per chi offenda la religione islamica.
D. – Una situazione in Bangladesh, dunque, difficile per le altre minoranze religiose: quella cristiana, in particolare …
R. – Naturalmente in questi casi, poi, a pagare sono sempre le minoranze. Se io fossi un cattolico o un indù in questi giorni eviterei la piazza. Basta dire che il corrispondente dell’emittente del Qatar Al Jazeera, che sta dando le notizie da Dacca in questi giorni, non ha voluto dire il suo nome, proprio perché pensa che possa essere in pericolo per quello che racconta.
D. – Questa situazione è frutto di un Paese che è sempre in emergenza, che non ha mai raggiunto una stabilità …
R. – Questo sì: infatti, la lotta per l’indipendenza dal Pakistan è stata una lotta difficile; poi è stata altrettanto difficile la ricostruzione. Questo Paese, poi, ha avuto un boom economico importante negli ultimi 20 anni, con una grande accelerazione negli ultimi anni, ma con enormi disparità. Questa situazione ha portato quindi, all’inasprimento della situazione sociale e questo sicuramente non aiuta questo Paese, che va aiutato a dare maggiori garanzie ai suoi lavoratori. Questo sicuramente aiuterebbe a spegnere anche questi focolai, che in realtà utilizzano la religione per destabilizzare la situazione e il quadro politico generale.
Istat: ripresa dal 2014, ma aumenteranno i disoccupati. Vaciago: urgenti nuovi investimenti
◊ In Italia la recessione finirà nel 2013 e, a partire dal 2014, comincerà la ripresa. Ma anche se l’economia tornerà a crescere, il tasso di disoccupazione nel prossimo anno non accennerà a diminuire, anzi aumenterà fino al 12,3%. E’ quanto prevede l’Istituto Nazionale di Statistica aggiungendo che il quadro economico sarà condizionato, in particolare, dal calo della spesa delle famiglie. Su questi dati diffusi dall’Istat, Amedeo Lomonaco ha chiesto un commento all’economista Giacomo Vaciago:
R. - Confermano quello che tutti sappiamo: per recuperare competitività le imprese stanno ancora licenziando o chiudendo. Ed il primo anno di ripresa, cioè l’anno prossimo, sarà senza nuovi posti di lavoro, proprio perché aumenta la produttività ma questo avviene a spese dell’occupazione nel primo anno di ripresa. Quindi un 2013 brutto, un 2014 che inizia a migliorare, ma non ancora per i lavoratori.
D. - Le previsioni macroeconomiche dell’Istat mostrano addirittura un quadro più fosco di quello dipinto dal governo e anche dall’Unione Europea. Con questi numeri diventa più concreta l’ipotesi di nuove misure sempre più restrittive?
R. - Sarebbe un paradosso, perché mai come quando le cose vanno male, devi dare speranze. Abbiamo fatto errori in passato, adesso bisogna recuperare il tempo perso: è urgente tornare ad investire in innovazioni tecnologiche, in reti commerciali per vendere all’estero dove c’è la domanda. Questi investimenti vanno finanziati fuori dall’austerità.
D. - Poi bisogna anche sostenere le famiglie, perché proprio a condizionare l’economia sarà soprattutto il calo della spesa delle famiglie che, a causa della contrazione dei redditi disponibili, quest’anno diminuirà dell’1,6 per cento e poi ci sarà una riduzione anche l’anno prossimo. Cosa si può fare e cosa si deve fare?
R. - Fondamentale è la fiducia, cioè la speranza che il futuro sarà migliore. Nel frattempo, le famiglie stanno mangiando il capitale: chi ce l'ha usa i risparmi accumulati per mantenere i figli disoccupati etc. Quindi ammortizzatori sociali e privati già ci sono. Non a caso, la situazione è gravissima, ma non abbiamo avuto i guai pubblici che si sono visti in Spagna o in Grecia.
D. - Il mercato del lavoro continua a manifestare segnali di debolezza con un rilevante incremento del tasso di disoccupazione. Quali le misure più urgenti?
R. - Certamente sostenere il reddito dei lavoratori in cassa integrazione e gli esodati. Questa è l’emergenza. Dopo di ché, far ripartire i progetti di investimento, che fanno assumere nuova gente. Attenzione, quando c’è crisi non solo si licenzia, ma non sia assume nessuno: quindi molti lavoratori sono scoraggiati e neanche si presentano sul mercato del lavoro… Se ripartono le assunzioni, vuol dire che c’è di nuovo una speranza.
D. - Altro capitolo, su cui si dibatte molto, la sospensione dell’Imu annunciata dal governo. E’ una misura sostenibile?
R. - Ovviamente non è la priorità, salvo nei casi in cui - per oggettive difficoltà del contribuente - questa imposta sia una sorta di danno ulteriore a chi ha già perso reddito, lavoro e così via. Il presidente del Consiglio Letta ha promesso manutenzione straordinaria a questa imposta sugli immobili per evitare i casi di stridente iniquità. Un’abrogazione tout court, anche a chi può pagarla, chiaramente non avrebbe senso.
Otto per mille alla Chiesa cattolica. Calabresi: sostegno a sacerdoti, beni culturali e carità
◊ Ogni firma per destinare l’8 per mille alla Chiesa cattolica è un gesto di partecipazione concreta alla vita di tutta la Chiesa. E’ quanto si afferma nel comunicato del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa diffuso in occasione, ieri, della Giornata nazionale di sensibilizzazione dell’8 per mille alla Chiesa cattolica. Debora Donnini ha intervistato Matteo Calabresi, responsabile dello stesso Servizio di promozione:
R. - C’è una legge che specifica le finalità per l’utilizzo dei fondi che la Chiesa cattolica riceve. Le voci sono sostanzialmente tre: culto e pastorale, dentro cui c’è una serie di voci come il restauro dei beni culturali ecclesiastici, che sappiamo essere oltre il 50 percento del patrimonio nazionale artistico, quindi una cosa molto rilevante. Poi all’interno di culto e pastorale troviamo la voce “edilizia di culto”, dove culto vuol dire nuove parrocchie soprattutto in quelle periferie dimenticate delle nostre grandi città, dove spesso capita anche a me di viaggiare e dove l’unico servizio è quello della parrocchia. Poi c’è la voce “carità”, che include tutta le attività che svolgono le Caritas diocesane in Italia, ma anche, all’estero, con i fondi di carità che vanno nei Paesi in via di sviluppo. La terza ed ultima voce è “il sostentamento del clero”, quel sostentamento necessario di cui i sacerdoti hanno bisogno per svolgere la missione di annunciare il Vangelo a tempo pieno. Queste sono le tre voci principali.
D. - I fondi dell’otto per mille vengono destinati anche a progetti di aiuto ai poveri...
R. - All’interno della macrovoce carità, ci sono tantissime attività che vanno dall’aiuto alle ragazze madri al recupero dei tossicodipendenti, alle mense, all’aiuto dei bambini abbandonati... Questo, sia in Italia che all’estero. Le attività sono innumerevoli. Ad esempio, c’è anche il progetto Policoro, che nel Sud Italia aiuta i giovani a costruirsi un lavoro, sostenendo queste piccole cooperative sociali nella creazione di lavoro. C’è un supporto importante da parte dell’otto per mille e proviene spesso dai fondi "culto e pastorale" e altre volte da quello "carità". Le attività sono tantissime. Abbiamo un nostro sito, visibile sul sito ottopermille.it, dove c’è una mappa navigabile dell’Italia, interattiva, in modo da poter mostrare proprio a livello di territorio, di comune, di parrocchia, dove sono arrivati i fondi, per che cosa, e l’ammontare dei vari finanziamenti o elargizioni.
D. - Ci sono anche degli aiuti per i Paesi in via di sviluppo…
R. - All’interno della voce carità. Una parte di questi aiuti vanno all’estero, ovviamente verso quei Paesi in via di sviluppo e che sono più in difficoltà. Tanto per fare un esempio, quest’anno la parte estera della campagna si è svolta in Etiopia. Siamo andati vicino ad Addis Abeba, dove c’è un ospedale nella località di Wolisso. Si tratta di una struttura meravigliosa che è praticamente il riferimento di tutta la zona - compresa la capitale Addis Abeba - dove ci sono dei medici italiani che svolgono la loro attività all’interno del Cuamm, quindi medici per l’Africa, un’organizzazione italiana. Qui i fondi otto per mille hanno dato un grande aiuto per la costruzione di questo ospedale. È importante ricordare che l’otto per mille è una firma che non costa nulla. La firma di un imprenditore vale tanto quella di un pensionato; non dipende dal proprio reddito. Quindi è importante ogni anno confermare la propria scelta consapevole. È tutto pubblico, è tutto on line, assolutamente documentabile, sia nel rendiconto che viene pubblicato nei maggiori giornali italiani, sia attraverso quel sito interattivo di cui parlavo prima, ottopermille.it. Quindi è una firma che non costa nulla, è gratuita, si può fare del bene, però va fatto ogni anno. È una conferma che sottolinea la democraticità di questo meccanismo: ogni anno la popolazione italiana può decidere a chi destinare i fondi.
Siria. Il vescovo Audo: la Pasqua nel pianto dei nostri fratelli ortodossi
◊ “Hanno cantato 'Cristo è risorto', e mentre ripetevano quelle parole di giubilo e vittoria, avevano tutti le lacrime agli occhi. Tutte le loro preghiere si confondevano con il loro pianto”. Con quest'immagine il vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo sintetizza all'agenzia Fides la Pasqua appena celebrata anche in Siria dalle comunità cristiane orientali che seguono il calendario giuliano. Alle sofferenze che la guerra civile infligge a tutto il popolo, per le comunità cristiane aleppine si aggiunge anche l'apprensione per i pastori finiti nelle mani di sequestratori non identificati. Due sacerdoti sono stati rapiti ormai da tre mesi, e sono trascorse due settimane del sequestro di Mar Gregorios Yohannna Ibrahim e di Boulos al-Yazigi, i vescovi siro-ortodosso e greco ortodosso di Aleppo. “Tutta la gente” riferisce a Fides mons. Audo “continua a parlare di loro. Tutti si domandano cosa ne sarà dei vescovi, dei sacerdoti e di se stessi. Il tempo che passa non è buon segno”. La lotta quotidiana per la sopravvivenza impedisce anche di avere una chiara percezione d'insieme riguardo all'andamento del conflitto, alle conseguenze dei raid aerei israeliani e ai pericoli di contagio su scala regionale. “Siamo spesso senza elettricità, manca l'acqua, è difficile vedere la televisione o trovare il tempo per informarsi. Come presidente della Caritas passo tutto il tempo a ricevere persone in cerca di aiuto. E ho dovuto cancellare anche ogni spostamento fuori da Aleppo, perché ogni movimento è diventato pericoloso”. (R.P.)
Unicef: in Siria rispettare l'inviolabilità della vita dei bambini
◊ “L’Unicef è atterrito e indignato dalle ultime notizie di morti a Al Bayada e a Baniyas. Il 2 e il 3 maggio, decine di persone, tra cui donne e bambini, sono stati uccisi nelle due città”. E’ quanto dichiara Maria Calivis, direttore regionale Unicef per il Medio Oriente e Nord Africa, davanti alle ultime notizie di stragi perpetrate in Siria. “Queste ultime morti - dice il direttore ripreso dall'agenzia Sir - sono un altro promemoria che civili innocenti, specialmente bambini, continuano a pagare il prezzo più alto della carneficina in Siria”. “La violenza brutale - denuncia l’Unicef - sta causando una sofferenza umana estrema e la perdita di vite. Oltre cinque milioni e mezzo di persone hanno già lasciato le proprie case, compresi 1.4 milioni di rifugiati che vivono nel Paesi vicini in condizioni difficili. Tutte le parti - conclude Calivis - devono rispettare i loro obblighi giuridici internazionali e rispettare l’inviolabilità della vita dei bambini”. (R.P.)
Myanmar. Appello dell’arcivescovo di Yangon ai leader religiosi: “Costruiamo pace e armonia”
◊ “Sollevare insieme un appello alla pace all’armonia interreligiosa”; “sollecitare il governo ad adottare misure urgenti per proteggere le comunità più vulnerabili e fermare quanti incitano all’odio e alla violenza”: è il messaggio accorato rivolto a tutti i leader religiosi del Myanmar da mons. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, mentre il Paese è attraversato da una spirale di violenza interreligiosa, promossa soprattutto da gruppi buddisti contro comunità musulmane. “Mi si spezza il cuore nel vedere sorgere odio e l'intolleranza religiosa in Myanmar, e ancora di più nel vedere ondate di orribile violenza e distruzione”, scrive il vescovo, in un messaggio inviato a all’agenzia Fides. Si tratta di un accorato “appello personale ai miei fratelli e sorelle buddisti e musulmani a unirsi per costruire una nazione in cui le persone di tutte le religioni e le etnie possano vivere nel rispetto per l'altro, in pace e dignità”, rimarca. L’arcivescovo si dice “seriamente preoccupato”. Infatti “se la violenza che abbiamo visto a Oakkan e altrove, e in precedenza a Meikhtila e nello Stato Rakhine, continua, la nostra fragile libertà potrebbe esserci strappata e il Myanmar potrebbe precipitare in un circolo vizioso di odio, violenza e tumulti”. Il messaggio, invitando “quanti desiderano la pace e l'armonia a unirsi e parlare apertamente”, chiede a tutti i leader religiosi di cercare “quanto di più bello esiste nei loro insegnamenti e filosofie” e di vivere secondo i principi del “Metta” (gentilezza amorevole), “Karuna” (compassione), “Salam” (pace). Il vescovo ricorda precetti come “ama il prossimo tuo come te stesso” e riprende le parole di Papa Francesco, che ha recentemente invitato i cristiani ad essere una “comunità d'amore”. “Rivolgo l'appello del Papa a tutte le persone del Myanmar”, afferma, notando “le nuove opportunità che si aprono in Myanmar, per costruire una nazione libera e aperta al mondo” .“Ma, per essere una comunità, con una visione positiva del futuro – conclude – abbiamo bisogno di essere un popolo che dice 'no' all'odio e alla violenza. Per questo, dal profondo del cuore, grido due parole ai miei fratelli e sorelle di tutte le comunità del mio amato paese: pace e amore”. (R.P.)
Elezioni in Malaysia: vittoria di misura del governo. Accusa di brogli dall’opposizione
◊ La coalizione di governo ha vinto le elezioni politiche in Malaysia con una maggioranza risicata, sufficiente però a confermare una permanenza al potere che dura da 56 anni. Il leader dell'opposizione Anwar Ibrahim - riporta l'agenzia AsiaNews - denuncia brogli diffusi e sembra intenzionato a contestare la legittimità del voto. Secondo i risultati forniti dalla Commissione elettorale, il partito del premier Najib Razak Barisan Nasional (Bn, Fronte nazionale) ha ottenuto un totale di 133 seggi sui 222 in palio, il peggior risultato nella sua storia. Di contro, il movimento di opposizione - formato da tre diversi partiti - ha conquistato 89 seggi, sette in più del precedente Parlamento. Si tratta della 13ma vittoria consecutiva per il Fronte nazionale alle elezioni generali, dalla conquista dell'indipendenza dalla Gran Bretagna raggiunta nel 1957. La Commissione elettorale riferisce che ha votato l'80% degli aventi diritto, pari a oltre 10 milioni di persone su un totale di 13 milioni registrati. Poco dopo l'annuncio ufficiale della conferma del partito di governo, migliaia di elettori vicini all'opposizione hanno cambiato la propria immagine sui social network, sostituendola con un francobollo nero in segno di protesta per (presunti) brogli e irregolarità. Di contro, i mercati hanno reagito in modo positivo alla conferma del governo uscente con una spinta verso l'alto pari a 6,8 punti percentuali. Anche la locale moneta, il tinggit, ha toccato il valore massimo degli ultimi 10 mesi. Alla notizia della vittoria, il premier Najib (59 anni) ha invitato tutti i malaysiani ad accettare l'esito delle urne, pur prevedendo che nei prossimi mesi lo aspetterà un "duro lavoro". Fra gli obiettivi primari un programma di "riconciliazione nazionale", che punterà soprattutto a riconquistare il consenso degli abitanti di etnia cinese, i quali hanno votato in massa per l'opposizione. Un segno di protesta verso le politiche governative, che hanno privilegiato i cittadini di malay. Lancia accuse di brogli e irregolarità il leader dell'opposizione Anwar, rientrato sulla scena politica nei mesi scorsi dopo un lungo periodo costellato da problemi giudiziari che lo hanno portato anche a processo con l'accusa di sodomia. Egli parla di voto "fraudolento" e di "fallimento" della Commissione elettorale che non ha saputo garantirne la regolarità. Vi sono inoltre denunce di attacchi e minacce ai media indipendenti del Paese, in una realtà in cui giornali e tv tradizionali sono saldamente nelle mani dei partiti di governo. Nelle scorse settimane personalità cattoliche interpellate da AsiaNews hanno confermato il quadro di incertezza politica, in un Paese in cui nazionalismo e identità islamica sono tuttora tematiche "più forti dell'economia". In previsione del voto, si era ipotizzato come scenario più probabile la vittoria dell'esecutivo uscente "pur con un margine minimo", grazie anche alle tematiche legate "alla conservazione della razza Malay" usata dal governo come mezzo per attirare il consenso delle masse. (R.P.)
Centrafrica: appello dei vescovi contro le violenze dei ribelli Seleka
◊ “Mai più questo, no all’impunità”. È il titolo della lettera inviata al nuovo Presidente centrafricano, Michel Am-Nondroko Djotodia, dai tre vescovi della diocesi metropolita di Bangui: mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui; mons. Nestor Désiré Nongo Aziagbia, vescovo di Bossangoa; mons. Cyr Nestor Yapaupa, vescovo di Alindao. “In vicinanza con il popolo che soffre e spinto dalla sollecitudine pastorale” i vescovi “con umiltà” propongo al Presidente alcune proposte per far uscire la Repubblica Centrafricana, dalla crisi iniziata lo scorso dicembre e che continua anche dopo la conquista di Bangui dai ribelli della coalizione Seleka, la cacciata dell’ex Presidente François Bozizé e l’instaurazione del nuovo regime. I vescovi - riferisce l'agenzia Fides - criticano la logica di guerra, che ha condotto all’attuale situazione (pur riconoscendo come vere alcune rivendicazioni avanzata dai ribelli: povertà, mancanza di acqua e di elettricità), e denunciano le violenze commesse contro la popolazione da parte dei membri di Seleka: torture; violenze sessuali contro donne e ragazze (alcune delle quali si sono suicidate); arruolamento di bambini soldato; sfollamento della popolazione; saccheggi di edifici pubblici, ospedali, scuole. “I centrafricani sono ormai considerati come bestie da soma che bisogna inseguire e uccidere impunemente” affermano i tre presuli. “Quali sono le vere intenzioni di Seleka nei nostri confronti?” chiedono infine i vescovi sottolineando che nelle zone occupate dal movimento ribelle (costituito in gran parte da musulmani stranieri) la popolazione cristiana e le comunità ecclesiali sono state sistematicamente saccheggiate mentre le famiglie musulmane sono state risparmiate. I vescovi domandano al nuovo Presidente di denunciare le violenze di Seleka, di avviare un processo di disarmo, di rimpatriare i beni rubati trasferiti in Ciad e Sudan, e di indennizzare la Chiesa per tutte le proprietà “rubate, saccheggiate o vandalizzate”. (R.P.)
Guatemala: dopo gli scontri sulle miniere la Chiesa chiede di fermare la violenza
◊ Un appello a mantenere la calma e l'unità dinanzi agli ultimi episodi di violenza è stato rivolto alla popolazione da mons. Julio Cabrera Ovalle, vescovo di Jalapa. Mons. Cabrera ricorda inoltre alle autorità che hanno il compito e la responsabilità di sradicare la violenza dei gruppi criminali presenti nella zona. Il testo sottolinea, però che l'azione del governo in questo compito, deve essere svolta "senza calpestare i diritti delle comunità e senza intimidire i leader sociali e religiosi che promuovono manifestazioni pacifiche seguendo le prescrizioni della legge". La diocesi guatemalteca di Jalapa aveva già espresso la propria preoccupazione per i provvedimenti adottati nei confronti della comunità indigena di Xinca di Santa Maria Xalapan, a Jalapa, quando il 2 maggio le forze militari hanno occupato quattro villaggi nel sud-est del Guatemala, imponendo lo "stato di emergenza" Questa misura è stata imposta dal governo dopo gli scontri tra la polizia e gli oppositori del progetto minerario assegnato a una società canadese, l'ultimo di una serie di conflitti sull'estrazione delle risorse naturali, scoppiati di recente. Negli scontri sono morte due persone e molte altre sono rimaste ferite. Il presidente Otto Pérez ha annunciato che il provvedimento durerà 30 giorni ed è necessario per ripristinare l'ordine e la calma, mentre i leader delle comunità e la Chiesa cattolica, come si afferma nel comunicato della diocesi di Jalapa, ribattono che "all'origine del conflitto sociale della zona, vi sono i progetti minerari e la scarsa o nulla informazione su di essi data alla popolazione. Siamo sicuri che se il governo avesse dato ascolto alle richieste della gente non si sarebbe sviluppata la pressione sociale che ha portato all'attuale situazione. Sembra che si proteggono gli interessi delle società minerarie contro gli interessi della popolazione". (R.P.)
Messico. Mons. Arizmendi: intensificate le persecuzioni contro i migranti
◊ "In questi ultimi giorni si è intensificata la persecuzione dei migranti da parte della criminalità organizzata nella zona di Palenque" (Messico centrale)” denuncia mons. Felipe Arizmendi Esquivel, vescovo di San Cristóbal de Las Casas. Mons. Arizmendi Esquivel riporta quanto riferito dal parroco di Palenque, padre Alberto Rafael Gomez, secondo il quale “i rapimenti sono commessi alla luce del sole, sulla strada pubblica da parte di bande criminali, che rapiscono giovani migranti, come è accaduto alla stazione di Pakalná a Palenque domenica 28 aprile. Le bande criminali hanno rapito diverse ragazze e ragazzi, e nessuno sa esattamente quante persone hanno catturato”. Il vescovo, in una nota inviata a Fides, riferisce che il 28 aprile, membri dell'esercito messicano, della Marina e della polizia statale e federale hanno subito condotto un'operazione congiunta e sono riusciti a salvare alcune ragazze. Mons. Arizmendi Esquivel ha aggiunto anche che la maggior parte dei migranti sono costretti a pagare ai criminali 100 dollari solo per potere salire sul treno senza documenti. I migranti però pagano pur sapendo che non sono garantiti dalle rapine e dai rapimenti commessi da altri gruppi criminali che possono colpire lungo il percorso. Il vescovo ha infine sottolineato che il governo del Messico dovrebbe cercare “di prevenire tali abusi contro i migranti, non solo nei confronti di coloro che riescono a salire sul treno, ma anche in difesa di coloro che ogni giorno vivono tra noi e che sono anche loro vittime di gruppi criminali". (R.P.)
I vescovi della Sicilia: la beatificazione di don Puglisi è una luce di speranza
◊ “Quella di don Pino Puglisi è la vicenda di un sacerdote totalmente conformato a Cristo che visse il suo ministero presbiterale come servizio a Dio e all’uomo”. Lo scrivono i vescovi di Sicilia in un messaggio per la beatificazione del servo di Dio don Giuseppe Puglisi, che avverrà il prossimo 25 maggio a Palermo. “Svolse instancabilmente il suo ministero sacerdotale per l’edificazione del Regno di Dio richiamando tutti alla conversione, al pentimento e all’incontro con la tenerezza di Dio Padre”, ma “la sua mitezza e la sua incessante azione missionaria, evangelicamente ispirata, si scontrò con una logica di vita opposta alla fede, quella dei mafiosi i quali ostacolarono la sua azione pastorale, con intimidazioni, minacce e percosse fino a giungere alla sua eliminazione fisica, in odio alla fede”. “Come pastori delle Chiese di Sicilia, ispirandoci alla vita di don Pino, intendiamo rinnovare il nostro impegno - sottolineano i vescovi - per l’annuncio del Vangelo e la sua incarnazione nella nostra amata terra che da due millenni ha dato, e continua a dare, luminosi esempi di fedeltà a Cristo nei suoi figli migliori, tra cui i tanti martiri, il cui sangue ha fecondato e fatto crescere molteplici opere di carità e di promozione umana”. Lo “schietto modo di essere di don Pino Puglisi incoraggia tutti noi, vescovi, presbiteri, diaconi, consacrati e laici, ad attingere alla Parola di Dio e all’Eucarestia il sostegno necessario per la nostra missionarietà nella diffusione del Regno di Dio e per la promozione dell’uomo”. Nel fare ciò i presuli vogliono “valorizzare soprattutto il dialogo con cui coinvolgere anche quelli che sembrano più refrattari ad aprirsi alla conversione”. Questa fu “una delle vie perseguite” da don Pino, che era “consapevole che la cultura mafiosa impera là dove ci sono bisogni primari ancora da soddisfare e che non ci può essere liberazione senza promozione umana”. I vescovi siciliani auspicano che “le sue parole e soprattutto l’esemplarità della sua vita siano per tutti noi, uomini e donne di Sicilia, credenti o persone di buona volontà, uno stimolo per un rinnovato impegno sociale, civile e spirituale”. “In questo momento, così critico ma carico di aspettative, possano le nostre Chiese locali e la Sicilia tutta - concludono i presuli - guardare al presbitero Pino Puglisi, uomo di fede e di preghiera elevato agli onori degli altari come testimone autentico di Cristo Signore che diffonde su questa nostra terra tribolata una luce di speranza”. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 126