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Sommario del 01/05/2013
◊ Dignità e importanza del lavoro sono al centro delle parole di Papa Francesco all’udienza del primo maggio, in cui la Chiesa celebra san Giuseppe lavoratore. Il Papa chiede “nuovo slancio per l’occupazione” e denuncia “una concezione economicista della società, che cerca il profitto egoista, al di fuori dei parametri della giustizia sociale”. In particolare forte appello contro il lavoro che schiavizza. Poi, tra i saluti, il pensiero al secondo anniversario di Beatificazione di Giovanni Paolo II. Il servizio di Fausta Speranza:
Gesù impara da San Giuseppe il mestiere del falegname e impara “l’impegno, la fatica, la soddisfazione e anche le difficoltà di ogni giorno”. “Questo – dice Papa Francesco – richiama alla dignità e all’importanza del lavoro”. Il lavoro – sottolinea - fa parte del piano di amore di Dio:
“Il lavoro, per usare un’immagine, ci 'unge' di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre; dà la capacità di mantenere se stessi, la propria famiglia, di contribuire alla crescita della propria Nazione”.
Il pensiero alle difficoltà che, in vari Paesi, incontra oggi il mondo del lavoro e dell’impresa, con la denuncia di egoismi e ingiustizie:
“Penso a quanti, e non solo giovani, sono disoccupati, molte volte a causa di una concezione economicista della società, che cerca il profitto egoista, al di fuori dei parametri della giustizia sociale”.
Dunque l’appello:
“Desidero rivolgere a tutti l’invito alla solidarietà, e ai Responsabili della cosa pubblica l’incoraggiamento a fare ogni sforzo per dare nuovo slancio all’occupazione; questo significa preoccuparsi per la dignità della persona”.
L’incoraggiamento a tutti a “non perdere la speranza”, “nella certezza – sottolinea - che Dio non ci abbandona”. In particolare parole forti per i giovani:
“Impegnatevi nel vostro dovere quotidiano, nello studio, nel lavoro, nei rapporti di amicizia, nell’aiuto verso gli altri; il vostro avvenire dipende anche da come sapete vivere questi preziosi anni della vita. Non abbiate paura dell’impegno, del sacrificio e non guardate con paura al futuro; mantenete viva la speranza: c’è sempre una luce all’orizzonte.”
E poi l’accorato appello contro “il lavoro che schiavizza”:
“Chiedo ai fratelli e sorelle nella fede e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà una decisa scelta contro la tratta delle persone, all’interno della quale figura il ‘lavoro schiavo’”.
Nelle parole di Papa Francesco torna poi l’invito ad ascoltare il Signore: “Bisogna imparare a contemplarlo, - dice - a percepire la sua presenza costante nella nostra vita; bisogna fermarsi a dialogare con Lui, dargli spazio con la preghiera.” E ancora una volta chiede ai giovani di chiedersi: "quale spazio do al Signore? Mi fermo a dialogare con Lui?”.
Poi il richiamo forte al Rosario, ricordando che inizia il mese dedicato alla Madonna. E il Papa incoraggia alla preghiera come un “momento prezioso per rendere ancora più salda la vita familiare, l’amicizia!”:
“Impariamo a pregare di più in famiglia e come famiglia!”
Tra i saluti nelle varie lingue, in particolare in francese l’invito a imparare da Giuseppe e Maria “ad essere fedeli agli impegni, a vivere la fede attraverso le azioni quotidiane, a dare spazio al Signore nella nostra vita”. In inglese l’invito a “coltivare con responsabilità i beni della creazione e a crescere in dignità come uomini e come donne fatti a immagine di Dio”. In tedesco, l’incoraggiamento a pregare in famiglia il Rosario. In spagnolo l’esempio di Maria e Giuseppe che hanno conservato e meditato nel loro cuore tutte le cose. In arabo l’incoraggiamento: "Non abbiate paura dell’impegno, del sacrificio e del futuro; mantenete viva la speranza, perché c’è sempre una luce all’orizzonte”. In polacco il pensiero al secondo anniversario della Beatificazione di Giovanni Paolo II e l’augurio di essere pervasi dalla fede, dalla carità e dal coraggio apostolico di Giovanni Paolo II.
In italiano il saluto particolare ai sacerdoti del Pontificio Collegio Missionario San Paolo, i sacerdoti e seminaristi di Vicenza, e i seminaristi dell’Opera Don Guanella; i religiosi della Società delle Missioni Africane e le Figlie della Presentazione di Maria Santissima al Tempio, che celebrano i rispettivi Capitoli generali; i fedeli delle numerose parrocchie, come pure le Associazioni, i Gruppi Scout e le varie realtà ecclesiali. E come di consueto il pensiero ai giovani, ai malati e agli sposi novelli: “Cari giovani, siate innamorati di Cristo, per seguirlo con slancio e fedeltà. Voi, cari ammalati, immergete le vostre sofferenze nel mistero d’amore del Sangue del Redentore. E voi, cari sposi novelli, col vostro reciproco e fedele amore siate segno eloquente dell’amore di Cristo per la Chiesa.”
Messa del primo maggio. Il Papa: società ingiusta quella che non dà lavoro o sfrutta i lavoratori
◊ La società non è giusta se non offre a tutti un lavoro o sfrutta i lavoratori: lo ha affermato il Papa nella Messa presieduta nella Cappellina di Casa Santa Marta in occasione della Memoria di San Giuseppe lavoratore. Erano presenti alcuni minori e ragazze madri, ospiti del Centro di solidarietà “Il Ponte”, nato a Civitavecchia nel 1979, accompagnati dal presidente dell’associazione, don Egidio Smacchia. Il servizio di Sergio Centofanti:
Nel Vangelo proposto dalla liturgia del giorno Gesù viene chiamato il “figlio del falegname”. Giuseppe era un lavoratore e Gesù ha imparato a lavorare con lui. Nella prima lettura si legge che Dio lavora per creare il mondo. Questa “icona di Dio lavoratore – afferma il Papa - ci dice che il lavoro è qualcosa di più che guadagnarsi il pane”:
“Il lavoro ci dà la dignità! Chi lavora è degno, ha una dignità speciale, una dignità di persona: l’uomo e la donna che lavorano sono degni. Invece quelli che non lavorano non hanno questa dignità. Ma tanti sono quelli che vogliono lavorare e non possono. Questo è un peso per la nostra coscienza, perché quando la società è organizzata in tal modo, che non tutti hanno la possibilità di lavorare, di essere unti della dignità del lavoro, quella società non va bene: non è giusta! Va contro lo stesso Dio, che ha voluto che la nostra dignità incominci di qua”.
“La dignità – ha proseguito il Papa - non ce la dà il potere, il denaro, la cultura, no! …. La dignità ce la dà il lavoro!” e un lavoro degno, perché oggi tanti “sistemi sociali, politici ed economici hanno fatto una scelta che significa sfruttare la persona”:
“Non pagare il giusto, non dare lavoro, perché soltanto si guarda ai bilanci, ai bilanci dell’impresa; soltanto si guarda a quanto io posso approfittare. Quello va contro Dio! Quante volte – tante volte – abbiamo letto su ‘L’Osservatore Romano’…. Un titolo che mi ha colpito tanto il giorno della tragedia del Bangladesh, ‘Vivere con 38 euro al mese’: questo era il pagamento di queste persone che sono morte… E questo si chiama ‘lavoro schiavo!’. E oggi nel mondo c’è questa schiavitù che si fa col più bello che Dio ha dato all’uomo: la capacità di creare, di lavorare, di farne la propria dignità. Quanti fratelli e sorelle nel mondo sono in questa situazione per colpa di questi atteggiamenti economici, sociali, politici e così via…”.
Il Papa cita un rabbino del Medio Evo che raccontava alla sua comunità ebraica la vicenda della Torre di Babele: allora i mattoni erano molto preziosi:
“Quando un mattone, per sbaglio, cadeva, c’era un problema tremendo, uno scandalo: ‘Ma guarda cosa hai fatto!’. Ma se uno di quelli che facevano la torre cadeva: ‘Requiescat in pace!’ e lo lasciavano tranquillo… Era più importante il mattone che la persona. Questo raccontava quel rabbino medievale e questo succede adesso! Le persone sono meno importanti delle cose che danno profitto a quelli che hanno il potere politico, sociale, economico. A che punto siamo arrivati? Al punto che non siamo consci di questa dignità della persona; questa dignità del lavoro. Ma oggi la figura di San Giuseppe, di Gesù, di Dio che lavorano - questo è il nostro modello - ci insegnano la strada per andare verso la dignità”.
Oggi – ha osservato il Papa – non possiamo dire più quello che diceva San Paolo: “Chi non vuol lavorare, non mangi”, ma dobbiamo dire: “Chi non lavora, ha perso la dignità!”, perché “non trova la possibilità di lavorare”. Anzi: “La società ha spogliato questa persona di dignità!”. Oggi – ha aggiunto il Pontefice – ci fa bene riascoltare “la voce di Dio, quando si rivolgeva a Caino” dicendogli: “Caino, dov’è tuo fratello?”. Oggi, invece, sentiamo questa voce: “Dov’è tuo fratello che non ha lavoro? Dov’è tuo fratello che è sotto il lavoro schiavo?”. Il Papa conclude: “Preghiamo, preghiamo per tutti questi fratelli e sorelle che sono in questa situazione. Così sia”.
Mons. Angelo Becciu parla ai nostri microfoni della prospettiva di riforma della Curia
◊ E’ prematuro avanzare qualsiasi ipotesi circa il futuro assetto della Curia. Con queste parole, mons. Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, parla della costituzione del gruppo di otto cardinali, scelti da Papa Francesco per studiare un progetto di revisione della costituzione apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana. Alessandro Guarasci lo ha intervistato:
R. – Che riforma ci sarà è certo. Il Papa la vuole e ha chiesto il contributo di varie persone perché portassero i loro suggerimenti. Quando sarà non sappiamo. Certamente sarà oggetto della discussione e dei consigli che gli otto cardinali faranno al Santo Padre in occasione della loro prima riunione. Il desiderio del Santo Padre, però, è che chi è nella Curia continui a lavorare con dedizione e nel silenzio, come pure chi porta i contributi o che vuole dare i contributi, suggerimenti, alla riforma della Curia lo faccia nella massima discrezione o nel silenzio e, lui sottolinea, nella preghiera.
D. – Si è anche parlato di una possibile riforma dello Ior, quanto c’è di vero?
R. – Su questo il Santo Padre mi ha detto espressamente: io ho apprezzato lo Ior per i servizi che ha fatto e poi so che stanno lavorando per una maggiore trasparenza per rendere lo Ior più "presentabile", se qualcuno lo ha considerato "non presentabile". E quindi dà fiducia alle persone che sono addette per l’adeguamento agli standard che ci chiedono le varie istanze internazionali.
◊ I 400 morti finora accertati per la caduta del palazzo a Dacca, in Bangladesh, sono una drammatica lezione per chi pretende di sfruttare in modo disumano il lavoro. Ad affermarlo con decisione è l’arcivescovo della città. Otto persone sono finite in manette, tra cui proprietari e dirigenti delle aziende tessili e i due funzionari municipali che il giorno prima del disastro avevano rassicurato i lavoratori sulla mancanza di rischi. Casi così emblematici di sfruttamento devono essere ricordati nella Festa dei lavoratori. La collega della redazione inglese, Susy Hodges ha intervistato Mons. Patrick D’Rozario, arcivescovo di Dacca:
R. – I called up Caritas...
Ho chiamato sia la Caritas, sia la parrocchia ed è stata creata una squadra di soccorso che ha raggiunto anche altri gruppi di soccorso, e che negli ultimi giorni ha lavorato molto duramente. Poi, sono state chiamate anche alcune suore, le Suore di Madre Teresa, che sono andate lì e si sono prese cura delle vittime. Ho detto di non stare lì troppo ufficialmente, ma di essere presenti come buoni samaritani e di fare tutto quello che era possibile. La Chiesa ha agito attraverso la Caritas, attraverso i religiosi e i laici, che sono stati coinvolti in quest’operazione di soccorso.
D. – L’industria tessile è estremamente importante per il Bangladesh, ma viene criticata per le paghe basse, diritti negati, condizioni lavorative spesso pericolose. Quale lezione si può trarre, secondo lei, da questa tragedia, che fra l’altro non è la prima?
R. – Unfortunately it’s happening time and again...
Sfortunatamente, ogni tanto accade e l’intero Paese ne è scioccato. La lezione che impariamo è che non solo questi edifici dedicati al tessile, ma molti altri edifici, un’alta percentuale degli edifici costruiti, sono in condizioni di vulnerabilità e che il regolamento dell’edilizia non viene seguito. Quindi, il governo e la gente sono molto consapevoli del fatto che debba essere fatto qualcosa e che non si possa lasciar correre. Tutto questo succede anche a causa della corruzione. Il Paese, dunque, sta imparando una grande lezione, ma non si deve agire con ritardo. Ora, per esempio, si sta provando a controllare se tutti gli edifici siano in buone condizioni o meno. La risposta naturalmente è arrivata anche dalla comunità internazionale, da coloro che comprano questi prodotti. Vogliono lavoratori a basso costo e vengono qui, ma non guardano alle condizioni lavorative della gente, a quanto vengono pagati e se vengono trattati umanamente. Penso che questo evento sarà una grande lezione per tutti quelli che sono coinvolti: i proprietari dell’edificio, gli industriali e anche le compagnie che comprano i prodotti. Tutti devono unirsi e trovare un modo sicuro di operare per favorire le condizioni lavorative di queste persone. Deve essere fatta giustizia per i lavoratori.
D. - Pensa che ci sarà un cambiamento, una diminuzione della corruzione, vista la portata di questa tragedia e il numero di vite perse?
R. – Right. I Think there will be some shift...
Esatto, penso che ci sarà un cambiamento, ma la corruzione è sempre lì e c’è la tendenza a dimenticarsi dopo uno, due o sei mesi. Sento però che l’intero Paese ne è rimasto scioccato e quindi con una buona azione di governo le cose cambieranno e si farà un passo avanti. E’ assolutamente necessaria la cooperazione internazionale, che dovrebbe guardare alle condizioni lavorative e dovrebbe esercitare una pressione su questo: ci devono essere condizioni di lavoro umane per i poveri lavoratori. Non possono semplicemente chiedere lavoro a basso costo e cercare sempre di negoziare per avere maggiori profitti. Devono anche pagare per il lavoro e per condizioni lavorative sicure.
Primo maggio: la tragedia di Dacca e la disoccupazione crescente offuscano la festa
◊ Oggi Primo maggio, festa del lavoro. Tante le manifestazioni nel mondo per richiamare il diritto al lavoro, e così anche la tutela della dignità e della sicurezza dei lavoratori, cosi come auspicato da Papa Francesco. Roberta Gisotti ha intervistato Luca Visentini, segretario confederale del Ces, la Confederazione dei sindacati europei a Bruxelles, e Luigi Cal, direttore dell’Oil-Organizzazione internazionale del lavoro, in Italia.
Una ricorrenza internazionale che affonda le sue radici nella seconda metà dell’800, in difesa dei diritti dei lavoratori, sotto il motto “otto ore di lavoro, otto ore svago, otto ore per dormire”, coniato in Australia nel 1855 e condiviso poi da gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento. La data fu invece scelta a Parigi nel 1889 dal Congresso dell’Associazione internazionale dei lavoratori, a ricordo della manifestazione operaia repressa nel sangue il primo maggio di tre anni prima a Chicago, negli Usa. Tempi lontani ma il tema del lavoro resta prioritario in tutte le democrazie.
D. – Dott. Visentini, diritto al lavoro e incremento del Pil spesso oggi divergono in molti Paesi sviluppati e la crisi economica ha aggravato la situazione. Ecco, questo è accettabile?
R. – Non solo non è accettabile dal nostro punto di vista, ma - secondo noi - non è neanche vero, nel senso che noi verifichiamo che un aumento del Pil sano e duraturo si accompagna sempre anche un incremento dei posti di lavoro e con maggiori tutele sociali. Si è innescato un meccanismo - molto ideologico - di distorsione dei parametri dell’economia, in base al quale per incrementare la competitività e la produttività delle imprese, bisogna semplicemente incrementare la flessibilità. Ma la realtà è che questa ricetta viene proposta laddove non si riescono a mettere in campo delle politiche che facciano veramente crescere l’economia. Allora, invece che aumentare i posti di lavoro, si dividono i posti di lavoro già esistenti tra un numero di lavoratori superiore per cercare di combattere la disoccupazione e quindi deprimendo i salari e deprimendo le tutele. Secondo noi questa non è una versione – diciamo – virtuosa della crescita: la crescita si deve accompagnare alla coesione sociale, alla crescita dei diritti. Questo tema della crescita insieme ai diritti è proprio la parola d’ordine fondamentale che il Primo maggio ha quest’anno in tutti i Paesi d’Europa.
D. – Dott. Visentini, dobbiamo forse registrare passi indietro nel cammino dei lavoratori?
R. – Decisamente! Quello che è successo pochi giorni fa in Bangladesh lo testimonia. La cosa che mi ha colpito di più sono state le dichiarazioni delle grandi multinazionali europee e statunitensi, che hanno dichiarato che non è un loro problema garantire che i loro subappaltanti garantiscano, a loro volta, le condizioni di lavoro sicure e tutelate dei lavoratori di quel Paese. Non si capisce bene chi dovrebbe farsi carico della sicurezza degli edifici, della sicurezza delle condizioni di lavoro e così via… Di fronte al fatto che lo Stato del Bangladesh e anche alcune imprese subappaltanti avevano chiesto un piano straordinario degli investimenti, che passava anche attraverso un incremento dei prezzi che le multinazionali devono pagare per farsi confezionare i prodotti, che poi rivendono - certe volte - a cento volte il loro valore sui mercati occidentali: di fronte a questa richiesta, queste imprese multinazionali hanno risposto che sostanzialmente non gliene importa niente! Ecco, credo che questo vada esattamente nel senso inverso rispetto all’appello che Papa Francesco ha fatto e che noi condividiamo pienamente.
D. - Dott. Luigi Cal, l’impressione è che la crisi economica globale abbia regredito perfino i diritti acquisiti in molti Paesi sviluppati….. Si parla forse troppo di Pil, di Borse, di spread e poco della vita dei lavoratori?
R. – E’ proprio così! La speculazione finanziaria, seguita dalle politiche restrittive e recessive, non ha che danneggiato i lavoratori e i meno abbienti innanzitutto e ha tolto loro – quello che anche l’Ilo considera un diritto fondamentale dell’uomo – il lavoro. Qui siamo di fronte ad una non crisi ma degenerazione strutturale del sistema economico e in questa degenerazione ci sono tre elementi: uno sfaldamento della coesione sociale e uno sfaldamento della cultura di solidarietà; il rischio di una rivolta sociale; e, terzo, c’è anche una regressione dei diritti acquisiti in molti Paesi sviluppati, come lei diceva. L’Ilo lo chiama il lavoro dignitoso, cioè il lavoro con diritti, con salute e sicurezza. Beh, questa dignità del lavoro è in declino anche e sempre più nei Paesi sviluppati. Infine, sicurezza nei luoghi di lavoro: i dati che l’Ilo ha fornito quest’anno sono di due milioni di morti sul lavoro all’anno; circa 5.500 morti al giorno. Cosa costa al mondo, al prodotto mondiale, tutta questa insicurezza nei luoghi di lavoro e queste morti? Costano circa 4 punti per cento del Pil mondiale. Pensi lei cosa si potrebbe fare con queste risorse… Qui non posso non ricordare un fatto sconvolgente: spesso le imprese del nord del mondo, ma non solo, che sono nei Paesi in via di sviluppo a caccia di super profitti, lasciano trasformare i luoghi di lavoro in luoghi di morte e di schiavitù. Allora, i 400 e più morti di Dacca, in Bangladesh, sotto le macerie, che lavoravano per imprese con marchi europei… Beh, fanno veramente riflettere! Siamo veramente lontani, e non vorrei essere troppo pessimista, dal diritto al lavoro, dalla dignità dei lavoratori e dalla sicurezza nei luoghi di lavoro.
D. – Dott. Cal, l’Europa in particolare lamenta un calo davvero preoccupante nell’occupazione, specie dei giovani. Quali indicazioni sono emerse nella recente Conferenza regionale dell’Oil, che si è svolta a Oslo, in Norvegia?
R. – L’Ilo ad Oslo ha fatto due appelli ai propri costituenti: i governi, le imprese e i sindacati. Il primo appello è quello di ristabilire la fiducia e la responsabilità tra tutti gli attori: le banche, le imprese, i sindacati, la società civile in cui noi pensiamo la Chiesa possa e stia giocando un ruolo importante, e la comunità politica. Come secondo appello Oslo ha chiesto di evitare di contrapporre i temi della competitività, delle riforme strutturali, del consolidamento fiscale agli altri temi come l’occupazione di qualità, gli investimenti nell’economia reale e le misure di stimolo. Ci si può sedere attorno al tavolo imprese, sindacati e governi e discutere in contemporanea di tutti questi temi. Finora si è guardato solo e piuttosto alla finanza, alla competitività, al consolidamento dei bilanci, lasciando per un secondo tempo l’occupazione e gli investimenti nell’economia. Bisognerebbe capovolgere questa situazione. Questo è l’invito principale che viene da Oslo.
◊ Tante le iniziative anche in Italia per la Festa del Primo Maggio. Come da tradizione questa mattina il presidente della Repubblica Napolitano, ha deposto una corona di fiori davanti al monumento romano che ricorda i caduti sul lavoro e ribadito che la ricorrenza odierna deve essere in primo luogo il giorno dell’impegno per l’occupazione. Un forte appello è arrivato dal ministro del Welfare Giovannini e dai presidenti di Senato e Camera: “l’emergenza lavoro – ha detto la Boldrini– trasforma le vittime in carnefici. Servono risposte concrete e tempestive”. A Perugia intanto si sta svolgendo la manifestazione nazionale con i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. Una questione scottante quella del lavoro, che preoccupa molto anche la Chiesa. Antonella Palermo ne ha parlato con mons. Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano.
R. - Credo che dalla base stanno nascendo una serie di iniziative, di proposte che la politica - sollecitata dai drammi sociali - diventerà più capace di cogliere. L’umiltà in questo momento mi pare che sia un tono che la politica sta avendo: non più pensare di saper tutto, ma chiedere alla gente una serie di consigli partecipativi. C’è questa voglia di ascolto e per il 1° maggio è una riflessione propositiva.
D. - Il premier Enrico Letta al suo discorso programmatico ha detto che il lavoro è la priorità del nuovo governo. Ci sono effettivamente i propositi per lavorare bene nel prossimo futuro?
R. - Io credo di sì. Sono molto fiduciosi, i volti sono nuovi, la svolta di consapevolezza è matura e siamo davanti ad una nuova fase che ci rende più responsabili e anche più operativi.
D. - Letta ha detto: “Ampliamo gli incentivi fiscali a chi investe in innovazione, garantiamo il pagamento alle imprese e diamo più opportunità ai giovani”…
R. - Sono proposte molto sagge. Bisogna fare per questi propositi una scaletta operativa, propositiva che credo vada appoggiata anche dalla base, cioè un po’ da tutti noi. Questo è il punto nodale: fare in modo che queste proposte non restino accademiche, ma siano operative.
D. - Partendo proprio dai giovani…
R. - Certo. Innanzitutto, dare a loro la consapevolezza di essere molto guardati, ascoltati, capiti, quindi accompagnati. Cada quell’immagine di fatalismo che ha accompagnato questi mesi recenti, dove la precarietà ormai è vista come una normale condizione. Personalmente partirei dal mondo rurale, perché si dà a loro la possibilità di rendere le aziende capaci di intraprendere; le aziende che intervengono producono cose indispensabili. Seconda cosa: il mondo rurale conserva un territorio ed il territorio conserva l’ambiente che si fa fonte di turismo. I giovani stanno riscoprendo queste esperienze. Poi le cose che ha detto Letta riguardanti il pagamento delle imprese, il sostegno, le banche meno rigide e più solidali, più progettuali e soprattutto l’atteggiamento culturale: la banca deve sentire questo mondo nuovo che sta nascendo con fatica e che l’ambiente possa diventare il primo valore, le tante “Ilva” da risanare potrebbero essere veramente un’immagine di futuro. Anche sostenere la rete delle cooperative: in Italia in questo momento le zone che hanno più cooperative - anche se piccole - reggono, perché sono a rete. Gli immigrati sono una grande risorsa, non dobbiamo vederli come concorrenziali ma come imprenditori. Chiudo con l’idea di due proposte finali: favorire il lavoro nel pianeta carcere - sia interno che esterno - ed il lavoro dei docenti nelle scuole a tempo pieno e nelle scuole medie.
D. - Quando ha appreso la notizia della sparatoria davanti Palazzo Chigi, cosa ha pensato?
R. - Mi ha particolarmente colpito perché la persona che ha aperto il fuoco viene da Rosarno, terra segnata da grandi drammi sociali e dall’insidia potentissima della mafia…
D. - Che lei conosce bene…
R. - Certo. Bisogna che la politica - specialmente certe frange - usino con saggezza certi atteggiamenti, altrimenti la gente si esaspera. Per cui: accompagnare il disagio dei giovani, ma anche dei cinquantenni che stanno perdendo il lavoro e che non si devono sentire soli; tanto meno gli imprenditori che rischiano il suicidio. Ci aiuti San Giuseppe che ha dato dignità al lavoro di Gesù, che ha dato e reso santo il sudore dell’operaio. Sono queste immagini bellissime che ci hanno formato e che possono essere di grande valore anche ora.
Il cardinale Caffarra celebra la Messa nelle fabbriche distrutte dal terremoto
◊ A un anno dal sisma la festa di San Giuseppe lavoratore ha un sapore particolare in Emilia. L’economia è piegata non solo dalla crisi ma anche dalle distruzioni del terremoto. L’arcivescovo di Bologna, il cardinale Carlo Caffara, ha presieduto una Messa in provincia di Ferrara nella fabbrica della “Ceramica Sant’Agostino”, una dalle più danneggiate dalle scosse del maggio scorso. Luca Tentori.
“In questo luogo, duramente colpito dal sisma, avete dimostrato una volontà di ricostruzione più forte di ogni avversità perché il lavoro potesse riprendere. Avete dato una grande testimonianza di coraggio e di vera solidarietà”. Con queste parole il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, si è rivolto a quanti erano presenti alla Messa di questa mattina alla “Ceramica Sant’Agostino”, uno dei più grandi impianti di piastrelle dell’omonimo comune ferrarese. Un anno fa le scosse devastarono interi capannoni e le macerie intrappolarono a pochi metri di distanza dalla nuova struttura in cui è stata celebrata l’Eucaristia due lavoratori del turno di notte. A loro, e a tutte le vittime del sisma, la preghiera di suffragio in questa giornata. La riflessione dell’arcivescovo di Bologna nell’omelia ha focalizzato il senso cristiano del lavoro. “Nei sistemi economici il lavoro umano non è e non va considerato come gli altri fattori. Ha una sua inviolabile originalità – ha detto il cardinale Caffarra -. Se un sistema economico venisse pensato e realizzato prescindendo dal lavoro o comunque non mettendo il lavoro al primo posto, sarebbe un sistema semplicemente disumano”. L’industria in questa ampia e produttiva fetta di pianura padana è ripartita a macchia di leopardo. Alcuni non ce l’hanno fatta a rimettersi in piedi mentre altri hanno ripreso ma ancora zoppicano e vedono un futuro incerto. A raccogliere le preoccupazioni della sua gente don Gabriele Porcarelli, parroco di Sant’Agostino:
“Il mercato non aspetta, non ci sono gesti di amicizia, di attenzione. Il mercato va sempre avanti e le nostre aziende che sono in difficoltà fanno fatica a portare avanti il lavoro o a trovare nuovi lavori. Io spero che, da questo punto di vista, ci sia un segnale concreto anche da parte di chi ci governa perché davvero queste aziende hanno bisogno di far ripartire la loro attività per offrire alle famiglie lavoro, e perché le famiglie continuino la loro vita quotidiana”.
Obama: armi chimiche utilizzate contro la popolazione in Siria
◊ “Abbiamo le prove che in Siria sono state usate armi chimiche contro la popolazione”: così il presidente americano Obama, che invita alla prudenza ma annuncia anche un cambio di strategia per risolvere la crisi siriana. Ieri l’Onu ha denunciato l’utilizzo di gas nervino e altre sostanze chimiche contro civili a nord della città di Idlib. Sul terreno intanto nuovi attentati e raid a Damasco, con morti e feriti e le vittime dall’inizio del conflitto, superano le 70 mila. Il servizio di Cecilia Seppia:
L’utilizzo di armi chimiche in Siria ormai sembra essere una certezza. Ad ammetterlo, dopo Gran Bretagna, Francia, Israele, per la prima volta anche il presidente americano Barack Obama che si dice pronto a diverse opzioni per passare all’azione. Tra tutte, secondo quanto scrive il Washington Post, ci sarebbe l’intenzione di armare i ribelli e dunque sostenerli contro le forze governative, e poi una politica più aggressiva tra partner e alleati degli Stati Uniti per arrivare alla deposizione del leader siriano Bashar al Assad. Per ora però la via negoziale, dicono fonti della Casa Bianca, continua ad essere la preferita. La denuncia di Obama è forte, ma il presidente ha anche invocato prudenza e ha chiesto alle Nazioni Unite di aprire un’indagine sul caso. Una presa di posizione ufficiale arriva anche dalle milizie sciite libanesi: non permetteremo che il regime di Assad cada in mano degli Stati Uniti o di Israele, fa sapere Nasrallah, leader di Hezbollah e principale alleato con l’Iran di Damasco. Intanto ieri un altro attentato ha scosso la capitale: un’esplosione avvenuta a due passi dalla Città vecchia, ha provocato almeno 13 morti e 60 feriti. Altre 8 persone sarebbero morte in un raid dell’aviazione siriana su un campo profughi, vicino al confine con la Turchia.
A Loppiano oltre 3000 giovani per il Meeting del 1° maggio
◊ Appuntamento per il 1 maggio a Loppiano, cittadella del Movimento dei Focolari nei pressi di Firenze, con la 43.esima edizione del Meeting dei giovani. 3 mila i ragazzi e le ragazze da tutta Italia per un incontro con collegamenti con giovani di Gerusalemme (Israele), Mumbai (India) e Budapest (Ungheria). Come sempre protagonista la musica, con una decina di band e diversi cantautori ma, per la prima volta, anche una Expo delle azioni di fraternità avviate in diversi ambiti: politica, legalità, solidarietà, sport, intercultura. "Crossin' the bridge" cioè "attraversare il ponte", lo slogan scelto. Ma che cosa rappresenta per i giovani dei Focolari e per i loro amici questo evento? Al microfono di Adriana Masotti, lo spiega Paola Atzori.
R. - Sicuramente è un momento per incontrarsi, per condividere anche il nostro modo di vivere ed anche per dare visibilità al nostro ideale: cercare di costruire un mondo unito, rendere possibile questa fraternità universale che cerchiamo di costruire tutti i giorni nella quotidianità. Quindi, il 1° maggio ogni anno è un’occasione, un evento per incontrarci, per condividere tra noi come costruire questo mondo unito, come lo facciamo nelle zone, nei luoghi in cui viviamo.
D. - Comunicare e rendere visibile il modo in cui noi viviamo, hai detto. Ma come vivono i giovani del Movimento dei Focolari?
R. - Cerchiamo di percorrere quelle che sono le vie per un mondo unito, cioè quelle della fraternità universale: la fraternità tra le generazioni, la fraternità tra le classi sociali e - anche dove c’è una divisione - cercare di portare unità, di riportare la pace, cercare di vedere davvero in ogni situazione che cosa c’è bisogno di fare mettendoci nei panni dell’altro. Costruire un frammento di fraternità; poi tanti frammenti costruiscono un pezzetto di mondo un po’ più grande e così ci avviciniamo sempre di più a quello che può essere il mondo unito.
D. - Il Meeting dei giovani a Loppiano è soprattutto un evento musicale, o almeno così era nato. Qual è la novità dell’edizione di quest’anno?
R. – Sì. l’arte è un po’ una caratteristica, un mezzo con il quale anche noi ci esprimiamo. Quest’anno titolo dell’evento è: “Crossing' the bridge” che significa “attraversare il ponte”, attraversare con dei passi, che sono uscire fuori da me stesso, andare verso l’altro, andare in due verso gli altri, costruire la comunità e piano piano costruire questa rete che avvolge tutto il mondo. Allora, “Crossing the bridge” è proprio attraversare questi “ponti di fraternità” che sono gli stessi ponti di cui ultimamente ha parlato anche il Papa: sono questi rapporti personali tra noi che poi si allargano e contagiano tutti. Noi speriamo che vedendo il nostro modo di vivere anche gli altri siano contagiati, conquistati e vogliano contribuire.
D. - A Loppiano, in occasione del 1° maggio, ci sarà anche una Expo. Di che si tratta?
R. - Noi non vogliamo dire soltanto con le parole quello che facciamo e raccontare la nostra vita; vogliamo anche mostrare come viviamo tutti i giorni. L’Expo quindi è proprio l’esposizione di quello che noi facciamo nei nostri territori: ci saranno degli stand ed in ogni stand ci sarà una zona che dirà quali cono le nostre iniziative concrete. Metterà in mostra un po’ la vita.
D. - Ci saranno quindi delle fotografie, delle immagini, qualcosa che si può vedere e toccare…
R. - Sì, esatto: delle esperienze di vita vissuta ed anche oggetti, foto, video…
D. - Potresti farci qualche esempio delle tante iniziative che sono in corso e che vedono i giovani protagonisti?
R. - A Roma c’è il servizio alle mense Caritas; a Catania è stato fatto un laboratorio musicale per raccogliere soldi per l’Africa; a Milano c’è l’associazione Arcobaleno per l’integrazione degli immigrati; a Brescia c’è il progetto che si chiama “Spot si gira”, per proporre ai ragazzi delle scuole superiori dei percorsi interattivi sui linguaggi della comunicazione; o ancora la Clown terapia a Perugia…
D. - Quindi, tanti settori e diverse idee…
R. – Esattamente diversi progetti, diverse realtà…
Israele pronto a riprendere i negoziati sui futuri confini con la Palestina
◊ "Israele è pronto a riprendere senza precondizioni trattative di pace". Lo ha ribadito oggi il premier Benyamin Netanyahu commentando l’iniziativa del segretario di Stato Usa John Kerry, assieme con la Lega Araba, riguardo un possibile compromesso sui futuri confini fra Israele e Palestina. Netanyahu ha però ribadito che il conflitto “non è territoriale”, bensì centrato sul “necessario” riconoscimento da parte palestinese del “carattere ebraico di Israele”. Intanto il ministro israeliano dell’edilizia Uri Ariel ha ribadito che Israele non fermerà la costruzione di case a Gerusalemme. “Non c’è Paese al mondo che congeli le costruzioni a meno che questo non sia dovuto a considerazioni di pianificazione, e certamente non nella capitale”. (C.S.)
Scontri interetnici in Myanmar: un morto e demolita una moschea
◊ Torna la violenza in Myanmar. Un morto, decine di feriti, case bruciate e una moschea rasa al suolo: questo il bilancio degli scontri odierni tra buddisti e musulmani a Yangon, nel centro del Paese. All’origine di tutto, secondo testimoni, ci sarebbe un piccolo incidente: una donna che ha urtato un monaco facendogli cadere la ciotola per le elemosina. Gli abitanti di Oakkan, terrorizzati, hanno raccontato che 200-300 persone sono arrivate in moto e hanno distrutto e dato alle fiamme la moschea, mentre la polizia era completamente assente. (C.S.)
Myanmar: nazionalismo religioso e l’ombra dell’esercito nelle violenze interconfessionali
◊ Un movimento di monaci birmani sta alimentando le tensioni fra buddisti e musulmani in Myanmar, teatro negli ultimi mesi di violenze che hanno causato decine di morti e migliaia di sfollati in diverse zone del Paese. Fra i principali artefici di questa fronda anti-islamica (che invita a boicottare negozi e attività dei seguaci di Maometto) vi sarebbe il celebre monaco Wirathu, che a dispetto del suo definirsi "uomo di pace" è conosciuto col soprannome di "Bin Laden birmano". Tanto che nelle ultime settimane pare proprio lui, il monaco dalla veste "zafferano", un colore che in passato ha richiamato la lotta contro la dittatura militare repressa nel sangue dalla giunta al potere, il cosiddetto "leader spirituale" della campagna di odio etnico-confessionale. Egli è divenuto il volto noto della violenta campagna contro i musulmani, giustificata da un feroce nazionalismo religioso e il cui messaggio è "buddisti uniti contro la minaccia islamica". La presenza di monaci - riferisce l'agenzia AsiaNews - fornirebbe anche una copertura "ideologica" al conflitto, che ha raggiunto livelli allarmanti nello Stato di Rakhine contro la minoranza Rohingya. E rischia inoltre di mettere a repentaglio la "fragile democrazia" che sta prendendo corpo in Myanmar, alimentando i sospetti che dietro questo gruppo di religiosi vi possa essere la lunga mano della (ex) dittatura militare. Dietro l'immagine pubblica di Wirathu, vi è un movimento in continua crescita a sostegno della campagna "969", in cui le tre cifre rappresentano le virtù del Buddha, i suoi insegnamenti e la comunità dei monaci. Adesivi e volantini con impresso il numero compaiono con sempre maggior frequenza su negozi, taxi, autobus e mercati. Un commerciante musulmano di Yangon riferisce che, in seguito all'ondata di violenze anti-islamica, il suo giro di affari è "crollato del 75%" perché i buddisti non frequentano più il suo negozio. E a poco sono valsi, sinora, gli appelli alla calma della comunità internazionale e l'invito a mettere fine alle violenze, lanciato anche dall'arcivescovo di Yangon mons. Charles Bo, che in un recente messaggio ha richiamato i "valori centrali" di "amore e compassione" presenti "nel buddismo, nell'islam e nel cristianesimo". Esperti di politica birmana interpellati da AsiaNews spiegano che queste tensioni confessionali derivano da "un mix di fattori". Alla "dimensione economica" secondo la quale "i musulmani hanno successo negli affari" si unisce e sovrappone "un sentimento nazionalista" insito nei birmani. Non è difficile scovare - anche nel recente passato - conferme di una "forte militanza" in chiave patriottica fra i monaci, sulla falsariga di quanto avviene in Sri Lanka. A ciò si unisce una forte "campagna anti-islamica", alimentata soprattutto "ai tempi della dittatura del generale Ne Win". Non è affatto escluso, conclude una fonte, che "vi siano anche elementi della ex giunta militare che stanno orchestrando le attuali violenze e tensioni, per portare instabilità e mettere in pericolo le riforme politiche". (R.P.)
◊ La prossima visita del patriarca copto ortodosso Tawadros II a Papa Francesco, prevista sabato 11 maggio, “potrebbe avere risultati importanti e positivi. Io mi auguro che si possa riprendere anche il filo del dialogo teologico per ricominciare davvero a camminare verso la piena comunione”. E' questo l'auspicio espresso all'agenzia Fides dal vescovo copto cattolico Botros Fahim Awad Hanna, nominato di recente allla guida della importante eparchia copto-cattolica di Minya, 250 km a sud del Cairo (la stessa di cui sono stati vescovi l'attuale patriarca copto cattolico Ibrahim Isaac Sidrak e il suo predecessore Antonios Naguib). La visita di Tawadros a Papa Francesco (primo viaggio fuori dall'Egitto del patriarca copto dal giorno della sua elezione, lo scorso 4 novembre) avviene a 40 anni di distanza dall'incontro avvenuto a Roma tra Paolo VI e Shenuda III, predecessore di Tawadros. In quell'occasione tra le due Chiese iniziò un dialogo teologico che nel 1988 ha portato a un accordo e a una dichiarazione comune sulla cristologia che doveva mettere fine a secoli di incomprensioni e diffidenze. Nella Dichiarazione cristologica comune, la Chiesa cattolica e la Chiesa copto ortodossa confessano di condividere la stessa fede in “Nostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo, il Verbo Incarnato” che “è perfetto nella sua Divinità e perfetto nella sua Umanità”. Da allora, però – nota il vescovo Fahim Hanna - “quella dichiarazione cristologica comune non ha avuto effetti pratici. Io auspico che con la visita del nuovo Patriarca copro ortodosso al nuovo vescovo di Roma si possano approfondire certi avvicinamenti recenti sul piano spirituale e pastorale, fino a poter arrivare al livello teologico e dottrinale”. Papa Tawadros - riferisce a Fides il vescovo Fahim Hanna “ci ha ripetuto spesso che i pastori e i fedeli delle Chiese in Egitto devono iniziare compiendo passi di avvicinamento a livello affettivo, pastorale e nella cooperazione nella carità, lasciando ai teologi il compito di affrontare le questioni dottrinali. Io spero che proprio la visita del nuovo Patriarca copto ortodosso al nuovo Papa sia preparata offrendo una possibilità alla ripresa di un dialogo teologico approfondito e rispettoso, per intraprendere un cammino che un giorno possa ricondurci fino alla piena unione sacramentale”. (R.P.)
Sri Lanka: cattolici, buddisti e musulmani insieme per fermare l’intolleranza religiosa
◊ Fermare l'intolleranza etnico-religiosa e affermare la gioia della diversità: con questi obiettivi migliaia di giovani srilankesi cattolici, buddisti e musulmani si sono riversati nelle strade di Colombo, per protestare contro i recenti episodi di violenza e persecuzione perpetrati da gruppi radicali buddisti. Avvenuta il 28 aprile scorso, la manifestazione è stata organizzata da un movimento spontaneo e pacifico. "Ci stiamo ancora riprendendo da una lunga guerra civile - afferma all'agenzia AsiaNews Marisa De Silva, cattolica, tra gli organizzatori della manifestazione - eppure vediamo segnali d'odio crescere nella nostra società. Come giovani di questo Paese, sentiamo che è nostra responsabilità aiutare a costruire uno Sri Lanka libero dall'odio. Questo è il nostro primo passo, ma abbiamo un lungo cammino innanzi a noi". Tra i partecipanti ha sfilato anche un monaco buddista, il ven. Baddegama Samitha, che si è detto "molto felice dell'iniziativa delle nostre nuove generazioni, per sradicare il razzismo dal Paese. Hanno le mie benedizioni". Negli ultimi mesi i gruppi Bodu Bala Sena (Bbs) e Sinhala Ravaya ("eco singalese") hanno preso di mira le comunità islamica e cristiana. La missione dei due movimenti estremisti è di proteggere la popolazione buddista e singalese e la sua religione. (R.P.)
Timor Est: apostolato dei gesuiti nelle carceri di Dili incoraggiati da Papa Francesco
◊ L’apostolato nella carceri, soprattutto con i giovani detenuti, è uno dei ministeri speciali per la comunità dei gesuiti a Dili, capitale di Timor Est. Come riferito all'agenzia Fides, la seconda domenica di ogni mese, i gesuiti celebrano l’Eucaristia nel carcere di Becora, a Dili e molte sono le attività di cooperazione e di aiuto dei detenuti. Il servizio sociale nelle carceri – riferiscono all'agenzia Fides – ha acquistato nuovo slancio e nuovo incoraggiamento dopo il gesto di Papa Francesco, che ha scelto di celebrare la Messa del Giovedì Santo in un carcere giovanile. Anche perché la popolazione di Timor Est è formata per il 75% da giovani sotto i 30 anni, e anche la popolazione carceraria abbonda di giovani. Come racconta fratel Noel Oliver, uno dei religiosi che svolge il ministro pastorale nel carcere, “nella prigione ci accolgono col sorriso” e “i detenuti partecipano attivamente alla Messa”, animata anche grazie all’aiuto di quattro suore, “leggendo le letture e cantando in un coro, con grande intensità e professionalità”. Altra nota importante è “la coda di prigionieri in attesa di confessarsi”. Un altro gesuita, padre Quyen, riferisce che i prigionieri sono ansiosi di accostarsi al Sacramento e di ricevere la misericordia di Dio, aprendo il cuore alla grazia divina. “Nel carcere c’è una atmosfera di pace”, prosegue fratel Noel, cha racconta un episodio: “Un prigioniero, che ha scontato quattro anni della sua condanna a sette anni, desidera tornare dalla sua famiglia. Il giovane, dichiarandosi innocente, non mostra alcun segno di rancore o di odio, confidando nell’amore di Dio”. Timor Est è, con le Filippine, una delle due nazioni asiatiche a larga maggioranza cattolica. La Chiesa locale ha sempre affermato di voler contribuire alla crescita e allo sviluppo del Paese. I gesuiti lavorano a Timor Est nell’assistenza ai rifugiati, hanno una parrocchia dove svolgono lavoro pastorale e nel campo dell’istruzione. (R.P.)
Oms: nuovi ceppi di malaria resistenti ai farmaci
◊ L'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) lancia l'allarme dopo la comparsa di nuovi ceppi di malaria resistenti alle comuni medicine usate per combattere il parassita trasmesso dalle zanzare. Scoperti in Cambogia, potrebbero presto diventare una "minaccia globale" per la salute pubblica nel caso in cui si dovessero estendere ad altre aree del sud-est asiatico e, soprattutto, al continente africano. Già lo scorso anno gli scienziati avevano manifestato preoccupazione per la comparsa sporadica di ceppi resistenti ai farmaci nel regno e lungo i confini fra Thailandia e Myanmar. Oggi l'attenzione si concentra su alcuni parassiti portatori di malaria, capaci di resistere ai trattamenti a base di artemisinina, il più efficace farmaco ad oggi disponibile. Gli artefici della scoperta spiegano che " tutti i farmaci disponibili" dell'ultimo decennio "sono via via diventati sempre più inutili, a causa dell'abilità dei parassiti a mutare sviluppando una sempre maggiore resistenza". In Cambogia sono comparsi tre diversi gruppi, che hanno mostrato una particolare resistenza ai farmaci. Al momento non si sa ancora come sia avvenuta l'evoluzione che è in grado di vanificare l'effetto dell'artemisinina. Intanto per far fronte alla possibile emergenza, l'Oms ha elaborato una strategia di difesa che, nell'arco di un quadriennio, verrà a costare circa 400 milioni di dollari. L'obiettivo è quello di eliminare dal mercato farmaci vecchi o inefficaci, dalle nazioni in cui sono presenti i focolai di malaria. Gli sforzi si concentreranno in particolare fra Cambogia, Myanmar, Thailandia, Laos, Vietnam e la parte meridionale della Cina. Secondo gli ultimi dati disponibili, relativi al 2010, in un anno si sono registrati 219 milioni di casi di malaria, con un totale di 660mila morti. L'Africa è il continente più colpito, con il 90% delle vittime accertate. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 121