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Sommario del 15/07/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Alle periferie dell’universo: la Specola Vaticana accoglie Papa Francesco
  • Il Papa e la Croce: è la "regola" di Gesù, senza di essa un cristiano è a metà
  • Rinuncia e nomina episcopale in Venezuela
  • Gmg di Rio: iniziativa delle Chiese del Triveneto per i giovani che non potranno andare in Brasile
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto prende forma il nuovo governo, vicesegretario Usa Burns al Cairo
  • Siria, ancora decine di morti. L'analista: il Paese a rischio di nuova jihad
  • Usa: in migliaia chiedono giustizia per Trayvon Martin. Obama invita alla calma
  • Kenya: missionari tra i ragazzi di strada a Nyahururu
  • Italia: crisi più dura per gli immigrati, ma cresce il lavoro straniero non qualificato
  • Nato a Modena l'Emporio Portobello, supermarket della solidarietà
  • Inaugurato al Bambino Gesù il Giffoni Film Festival, rassegna cinematografica per ragazzi
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Il patriarca Raï: le milizie confessionali porteranno il Libano alla rovina
  • In Kazakhstan un pastore protestante detenuto ingiustamente
  • India. Violenze anticristiane: la morte di un pastore fatta passare per incidente
  • Pakistan. Ergastolo a un cristiano per Sms considerato blasfemo. La sua comunità: è innocente
  • Conversioni e istruzione, le nuove sfide della comunità cristiana in Malaysia
  • Congo. Appello dei vescovi per la fine della guerra che insanguina il Paese
  • Ghana. I cattolici chiedono il “diritto alla salute” nella nuova Costituzione
  • Siria. Nonostante la guerra, esercizi spirituali ad Aleppo
  • Cuba. I vescovi promuovono un incontro nazionale sul tema della famiglia
  • Venezuela. “Dialogo nazionale”: appello dei vescovi a conclusione della 100.ma Assemblea
  • Il Papa e la Santa Sede



    Alle periferie dell’universo: la Specola Vaticana accoglie Papa Francesco

    ◊   “Annunciamo con gioia che Papa Francesco ha pranzato con la comunità gesuita della Specola Vaticana. Siamo profondamente emozionati!”. Si apre così una serie di messaggi diffusi ieri su Twitter dai gesuiti astronomi di Castel Gandolfo in lingua italiana e poi in inglese, spagnolo e francese. La Specola Vaticana ha il suo quartier generale nelle Ville Pontificie di Castel Gandolfo, mentre la sede storica, nel Palazzo Pontificio proprio sopra l'appartamento del Papa, continua ad ospitare le cupole con i telescopi. Ma le osservazioni da qualche tempo si fanno presso il nuovo centro di ricerca, The Vatican Observatory Research Group (VORG), che si trova negli Stati Uniti, a Tucson, presso lo Steward Observatory dell'Università dell'Arizona. Della particolarissima visita di Papa Francesco ieri a quella che si distingue come una delle più antiche istituzioni di ricerca astronomiche del mondo, Fausta Speranza ha parlato con padre José Gabriel Funes, direttore della Specola Vaticana:

    R. - Una bellissima giornata per noi gesuiti, dipendenti della Specola Vaticana. Abbiamo accolto il Papa, gli abbiamo fatto vedere un po’ i locali che abbiamo qui a Castel Gandolfo. Il Papa ha visto alcuni libri antichi, i più preziosi che abbiamo, come - ad esempio - una copia del libro di Copernico De revolutionibus, poi Principia di Isaac Newton e ancora La riforma del calendario gregoriano e le Tabelle di padre Clavio, che ha partecipato a questa riforma. Ha visitato anche il laboratorio dei meteoriti, dove ha guardato nel microscopio un meteorite caduto a Buenos Aires. Fratel Consolmagno, che ne è il curatore, gli ha preparato questa piccola sorpresa. Alla fine del pranzo, il Papa ha firmato la pergamena che abbiamo con la firma di tutti i Papi: da Pio XI fino ad oggi, a Papa Francesco. E’ stato veramente molto bello e siamo molto contenti.

    D. - Padre Funes, nessuno come voi della Specola Vaticana può essere felice di guardare il cielo con Papa Francesco…

    R. - Certo, certo! E’ stato un momento molto bello, anche perché durante il pranzo abbiamo potuto parlare delle attività e dei progetti della Specola, quindi quello che noi facciamo, la nostra missione.

    D. - Che significa guardare il cielo con lo sguardo di fede ma anche dal punto di vista scientifico?

    R. - Questa prospettiva logica o scientifica aiuta anche una migliore comprensione religiosa dell’universo; ma d’altra parte, la conoscenza puramente scientifica è limitata, se non è aperta ad altri modi di conoscenza, come quello filosofico o religioso.

    D. - Padre Funes, Papa Francesco, alla Specola Vaticana, è stato anche un gesuita tra gesuiti?

    R. - Esatto. E’ stato un nostro confratello. Quindi una doppia gioia: avere il Papa con noi, il Papa gesuita. Poi è la prima volta che un Papa pranza con la comunità dei gesuiti della Specola: anche questa è una cosa straordinaria. Mi hanno raccontato che durante il primo anno del Pontificato di Giovanni Paolo II, dopo la Messa con la comunità, il giorno di Sant’Ignazio, il Papa si è recato presso la comunità dei padri, si è fermato per la prima colazione con i gesuiti e i dipendenti… Anche quella visita è stata molto familiare. Ma questa è stata la prima volta che un Papa pranza con la comunità dei padri gesuiti.

    D. - Delle parole pronunciate finora da Papa Francesco, quale insegnamento per il vostro lavoro sentite più forte?

    R. - Io credo che sia quello sul quale il Papa ha insistito sin dall’inizio: andare nelle periferie e non solo geografiche, ma anche esistenziali. La nostra missione fa parte di questo andare alla periferia più lontana - se così possiamo dire - perché riguarda l’universo: andiamo indietro, nel senso che esploriamo anche l’inizio dell’universo dal punto di vista della scienza, ma andiamo anche lontano, perché studiamo anche le galassie più lontane, lontanissime… E questo presenta delle domande che tutti ci dobbiamo fare nel rapporto tra scienza e fede. Penso che questa sia la missione della Specola: andare verso questa periferia veramente lontanissima, che è quella dell’universo, che è sempre dono di Dio.

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    Il Papa e la Croce: è la "regola" di Gesù, senza di essa un cristiano è a metà

    ◊   “Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me”. La perentoria frase con cui Gesù istruisce i discepoli, riferita da Matteo nel Vangelo della liturgia di oggi, richiama alla mente le molte circostanze in cui, con osservazioni incisive, Papa Francesco ha posto in risalto l’importanza della Croce per ogni cristiano, sacerdote e laico. Del resto, ha osservato una volta senza mezzi termini, “un cristianesimo senza croce” è un cristianesimo fermo “a metà cammino”. Alessandro De Carolis ricorda alcune pensieri del Papa in questo servizio:

    La Chiesa come quelle miniature che stanno nelle palle di vetro, esteticamente carina ma falsa e chiusa, come un bozzolo caldo e tranquillo nel quale prosperare senza troppi problemi. Se c’è un’immagine di Chiesa che Papa Francesco ha preso a smantellare sin dalla prima ora del suo Pontificato è questa: il salotto buono dove fare “cultura” cristiana, pulita e impegnata, senza che sulle mani di chi dice di appartenervi vi siano i calli della carità e sotto le unghie la terra del Calvario. Perché se diciamo Chiesa – ha ripetuto già molte volte e in sostanza il Papa – diciamo Croce, ovvero vediamo la nuda realtà del momento in cui tutto è nato, senza l’ipocrisia di certi allori:

    “Il trionfalismo nella Chiesa, ferma la Chiesa. Il trionfalismo nei cristiani, ferma i cristiani. E’ una Chiesa trionfalista, è una Chiesa a metà cammino (…) Ma una Chiesa che rinnega i martiri, perché non sa che i martiri sono necessari alla Chiesa per il cammino di Croce. Una Chiesa che soltanto pensa ai trionfi, ai successi, che non sa quella regola di Gesù: la regola del trionfo tramite il fallimento, il fallimento umano, il fallimento della Croce. E questa è una tentazione che tutti noi abbiamo”. (Messa a S. Marta, 29 maggio 2013)

    Tentazione generale che si “declina” in forme differenti a seconda dello stato di vita di un cristiano, ma che alla fine si traduce in un’unica spinta: cercare di fuggirla. Così, in quattro mesi, Papa Francesco ha passato in rassegna la Chiesa in ogni ordine e grado per reinnestare giù in profondità, nel tessuto connettivo della fede di ogni categoria di credenti, la verità che scaturisce dal sacrificio di Cristo. Ai vescovi, citando il Papa emerito, ha detto:

    “Voi siete principi, ma di un Re crocifisso. Quello è il trono di Gesù. Gesù prende su di sé... Perché la Croce? Perché Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, di tutti noi, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con l’amore di Dio (...) Questo è il bene che Gesù fa a tutti noi sul trono della Croce. La croce di Cristo abbracciata con amore mai porta alla tristezza, ma alla gioia, alla gioia di essere salvati e di fare un pochettino quello che ha fatto Lui quel giorno della sua morte”. (Messa Domenica delle Palme, 24 marzo 2013)

    È l’eterno paradosso della Croce: in chi la abbraccia, con generosità, il massimo dolore produce il frutto opposto, la gioia. E frutti:

    “La fecondità pastorale, la fecondità dell’annuncio del Vangelo non è data né dal successo, né dall’insuccesso secondo criteri di valutazione umana, ma dal conformarsi alla logica della Croce di Gesù, che è la logica dell’uscire da se stessi e donarsi, la logica dell’amore. È la Croce - sempre la Croce con Cristo, perché a volte ci offrono la croce senza Cristo: questa non va! – E’ la Croce, sempre la Croce con Cristo che garantisce la fecondità della nostra missione”. (Messa con seminaristi, novizie e novizie, 7 luglio 2013)

    E come un catechista, ogni giorno, con la medesima intensità – da una finestra su 100 mila persone o da un altare davanti a 50 – Papa Francesco spiega a tutti, donne e uomini, ciò che la Chiesa e i Santi annunciano e testimoniano da due millenni, che la Croce di Cristo è un legno che parla di “amore, misericordia, perdono”:

    “Dio ci giudica amandoci. Se accolgo il suo amore sono salvato, se lo rifiuto sono condannato, non da Lui, ma da me stesso, perché Dio non condanna, Lui solo ama e salva (…) La parola della Croce è anche la risposta dei cristiani al male che continua ad agire in noi e intorno a noi”. (Via Crucis al Colosseo, 30 marzo 2013)

    La scorsa Domenica delle Palme, una platea di giovani guardava da Piazza S. Pietro il nuovo Papa, da lui riosservata con affetto. E anche a chi sarà la spina dorsale della Chiesa di domani, Papa Francesco ha voluto affidare un pensiero sulla Croce – la stessa tra pochi giorni girerà per le strade della Gmg di Rio – e soprattutto sul Dio che vi si è lasciato inchiodare sopra:

    “È un Re che ama fino alla croce e che ci insegna a servire, ad amare. E voi non avete vergogna della sua Croce! Anzi, la abbracciate, perché avete capito che è nel dono di sé, nel dono di sé, nell’uscire da se stessi, che si ha la vera gioia e che con l’amore di Dio Lui ha vinto il male. Voi portate la Croce pellegrina attraverso tutti i continenti, per le strade del mondo! La portate rispondendo all’invito di Gesù ‘Andate e fate discepoli tutti i popoli’, che è il tema della Giornata della Gioventù di quest’anno”. (Messa Domenica delle Palme, 24 marzo 2013)

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    Rinuncia e nomina episcopale in Venezuela

    ◊   In Venezuela, ha accettato la rinuncia all’ufficio di vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Mérida, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Luis Alfonso Marquez Molina. Al suo posto, ha nominato mons. Alfredo Enrique Torre Rondón, del clero della stessa arcidiocesi di Mérida, finora vicario generale, assegnandoli la sede titolare di Sassura. Il neo presule è nato a Maracaibo il 4 marzo 1950. Compì gli studi di Filosofia e Teologia presso il Seminario Maggiore interdiocesano “Santa Rosa de Lima” a Caracas. Ha ottenuto la Licenza in Teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana di Roma. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 25 luglio 1976 per l’arcidiocesi di Mérida. Ha svolto i seguenti incarichi: Rettore del Seminario Minore San Buenaventura di Mérida, Parroco di Macuchachí, Parroco di San Rafael di Mucuchies, Parroco di Nuestra Señora del Carmen di Santa Cruz de Mora, Parroco di Nuestra Señora del Carmen di Montalbán de Ejidio, Parroco di San Juan Bautista di Milla, Parroco di San Miguel Arcángel de El Llano a Mérida, Responsabile arcidiocesano per la pastorale familiare, Vicario arcidiocesano per la pastorale e, dal 1997, Vicario Generale dell’arcidiocesi. Mons. Torres Rondón è stato inoltre membro del Concilio Plenario di Venezuela e Assessore del Congresso Eucaristico venezuelano.

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    Gmg di Rio: iniziativa delle Chiese del Triveneto per i giovani che non potranno andare in Brasile

    ◊   Fervono i preparativi in Veneto dove, per tutti i giovani che non riusciranno ad andare alla Gmg di Rio de Janeiro, la Pastorale giovanile regionale ha organizzato un grande evento a Chioggia. Qui, nella notte tra il 27 ed il 28 luglio, oltre tremila ragazzi delle 7 diocesi del Triveneto vivranno, in collegamento diretto, le celebrazioni presiedute dal Papa in Brasile. Isabella Piro ne ha parlato con don Damiano Vianello, organizzatore dell’evento per la Pastorale giovanile di Chioggia:

    R. – Saranno ventisei ore, tutte d’un fiato! A Chioggia, si terranno delle catechesi nelle sette Chiese storiche del centro della città e dopo si terrà la celebrazione eucaristica. Quindi, ci si sposterà a piedi a Sottomarina di Chioggia e lì ci sarà la testimonianza di due giovani, e poi avremo la diretta con la Veglia dei giovani a Rio de Janeiro, intorno a mezzanotte e mezzo, secondo il fuso orario. Poi, per tutta la notte ci sarà l’Adorazione eucaristica, con la possibilità di confessarsi, mentre al mattino presto della domenica arriverà il patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia, e celebreremo insieme l’Eucaristia. E con la Messa, concludiamo la nostra Gmg del Triveneto.

    D. Il titolo di questa Gmg del Triveneto è “Io, te e Rio”: un tema che richiama la condivisione...

    R. Sì, l’iniziativa è nata proprio con il desiderio di condividere le ricchezze che ci sono nelle nostre comunità, quindi abbiamo detto: mettiamoci insieme e realizziamo un evento bello, che ci possa anche essere d’aiuto per poter incontrare il Signore, ma che allo stesso tempo permetta anche a noi di crescere un po’ di più nell’unità, come Chiese, come persone, come cristiani.

    D. Don Damiano, immagino che Lei abbia partecipato a diverse Gmg. Qual è il frutto più importante, che le è rimasto nel cuore?

    R. Il frutto di questi eventi è stato il desiderio di unità: si era in tanti, provenienti da mondi diversi, con lingue diverse, con tradizioni profondamente diverse. Eppure, ci si sentiva tutti uniti al Signore Gesù e tutti uniti al suo rappresentante, al Papa. Questo desiderio di unità, che è anche il desiderio di far sintesi poi della propria esperienza di fede, delle proprie scelte che si sono fatte, del proprio cammino vocazionale, credo che sia il frutto più ricco che mi sono portato a casa, dalle Gmg che ho vissuto.

    D. Un Papa latinoamericano, una Gmg in America Latina: secondo Lei, questa coincidenza quali frutti porterà alla Chiesa?

    R. Porterà, credo, una ventata di nuova evangelizzazione, per lo meno per quanto riguarda la nostra Europa, perché nei linguaggi, nei metodi e già nell’approccio disarmante del “Buonasera!” di quando Papa Bergoglio è stato eletto, c’è tutta una profonda spiritualità che sarà in grado di risvegliare i cuori di tanti. Credo che accadrà lo stesso anche per l’America Latina, con tutte le sue vicende travagliate. Penso che un Papa latinoamericano, in quella terra, sarà sicuramente di testimonianza e di aiuto per quel popolo, per potersi rialzare e recuperare in dignità e in unità.

    D. E questo è quello che cercano anche i giovani, oggi?

    R. Io credo proprio di sì: penso che oggi un giovane abbia nel cuore il grande desiderio di Dio e, nella ricerca di questo desiderio, ha il desiderio di chiedersi qual è il suo posto, qual è il senso della sua vita. E non può far altro che desiderare di condividerlo con qualcun altro. Quindi, questo non significa nient’altro che fare sintesi, cercare l’unità, raccogliersi intorno al Signore Gesù e camminare con Lui.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Tra otto giorni a Rio: all’Angelus a Castel Gandolfo il Papa parla dell’imminente celebrazione della gmg e ricorda l’anniversario delle stragi di Volinia.

    Per un uso della tecnologia responsabile ed etico: nell’informazione internazionale, intervento della Santa Sede a Ginevra.

    Giuseppe Vecchio illustra le origini della Chiesa nolana: sotto la cattedrale tardoantica gli archeologi hanno scoperto una “domus ecclesiae” risalente alla fine del primo secolo.

    Alberto Fabio Ambrosio in merito a qualche strategia per combattere la globalizzazione dell’indifferenza.

    Quel volto di chi vede oltre: Ferdinando Cancelli a proposito di un incontro alla certosa di Valsainte.

    Quella storia guardava al futuro: Felice Acrocca sulla “Legenda maior sancti Francisci”, scritta 750 anni fa da Bonaventura.

    Musica oltre le barriere: intervista (contenuta nell’ultimo numero di “Vita e Pensiero”) di Alessandro Gamba al maestro Hartmut Haenchen.

    Un articolo di Cristiana Dobner dal titolo “Il desiderio di un popolo ci interroga”: in un dvd la storia di Russia Cristiana e del suo fondatore padre Romano Scalfi.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto prende forma il nuovo governo, vicesegretario Usa Burns al Cairo

    ◊   Potrebbe essere annunciata già in giornata la composizione dell’esecutivo che governerà l’Egitto del dopo Morsi, con il compito di traghettarlo verso la democrazia. Intanto, i Fratelli musulmani condannano fermamente l’ennesimo attacco avvenuto questa mattina nel Sinai contro un autobus di operai - tre le vittime - e puntano il dito contro i servizi di sicurezza del Cairo, dove è arrivato il vicesegretario Usa, Burns. Il servizio di Roberta Barbi:

    Prende forma il nuovo governo egiziano che potrebbe essere presentato già oggi: il premier El Beblawi, dopo il "sì" di Fahmi che sarà ministro degli Esteri, ha incassato anche l’ok dell’economista Galal per le Finanze e dell’ex giudice el-Mahdy alla Giustizia. Intanto, la Procura del Cairo ha negato di aver iniziato gli interrogatori dell’ex presidente Morsi, ma è andata avanti sul congelamento dei beni di 14 dirigenti della Fratellanza musulmana, tra cui il capo Badie, su molti dei quali pendono da giorni mandati di arresto. Sul fronte opposto, ieri è stata presentata l'Alleanza nazionale popolare: una coalizione che unisce varie anime e che si pone l'obiettivo di scrivere una nuova Costituzione egiziana. In questo scenario, è arrivato al Cairo il vicesegretario di Stato americano, William Burns: è il primo esponente politico occidentale a visitare l’Egitto dopo la deposizione di Morsi. Intanto, tornano a parlare i militari che il 3 luglio scorso rovesciarono l'ex presidente, affermando di essere intervenuti perché Morsi aveva rifiutato ben due volte di indire un referendum che legittimasse la sua rappresentanza e dichiarando che da parte loro non ci sarà alcuna lista di proscrizione finalizzata a escludere qualcuno dalla vita politica. Nel Sinai, purtroppo non si fermano le violenze: stamani ad al-Arish uomini armati hanno attaccato un bus che trasportava operai di un cementificio uccidendone tre e ferendone 17: i Fratelli musulmani hanno condannato l’episodio accusando i servizi di sicurezza del Cairo di far salire la tensione nel Paese.


    Per un’analisi della situazione in Egitto Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento:

    R. – Si va incontro a un periodo di grande incertezza, in cui i militari avranno un ruolo decisivo per tenere sotto controllo la situazione ed evitare che questa precipiti in uno scontro frontale che potrebbe configurarsi addirittura come una guerra civile. Le due posizioni contrapposte – i Fratelli musulmani da una parte, e il fronte laico dall’altra – credo giovi agli interessi e al controllo dei militari che, attraverso i carri armati, possono riuscire a indirizzare la situazione secondo una trasformazione costituzionale a loro gradita. Questo naturalmente non vuol dire che ne guadagnerà il cammino democratico dell’Egitto.

    D. – Secondo alcuni, i militari che – lo ricordiamo – detengono i gangli vitali dell’economia, sono stati gli orchestratori di questa situazione in Egitto. Secondo lei, è vero oppure no?

    R. – È verissimo, nel senso che precedentemente si era parlato di una convergenza di interessi tra i Fratelli musulmani e i militari, poi in realtà c’era stato uno scontro di potere tra il presidente Morsi e i vertici dell’esercito nell’estate 2012, dal quale Morsi era uscito vincitore. Facendo cadere il presidente e schierandosi apparentemente a favore della volontà popolare, i militari hanno ripreso il controllo della situazione e hanno rioccupato quello spazio di movimento che garantisce loro la conservazione dei propri privilegi e la difesa del proprio ruolo centrale all’interno del sistema politico egiziano. Il fatto è che si tratta - secondo me - di un passo indietro. In questo modo, siamo tornati al controllo dei militari sulla vita politica dell’Egitto, che era simile a quello dell’epoca di Mubarak, per non parlare naturalmente dell’epoca di Nasser.

    D. – In Egitto, è nata anche l’Alleanza nazionale popolare, una coalizione che riunisce gruppi politici, sindacati e forze rivoluzionarie…

    R. – Indubbiamente, si tratta di un tentativo di cercare di coagulare le varie componenti di quello che era il fronte dell’opposizione, che ormai possiamo dire essere il fronte governativo. Potrebbe essere una scelta importante per garantire, in una situazione di grande incertezza, la transizione del Paese. Però, il problema della risoluzione delle problematiche e delle difficoltà economiche che l’Egitto si trova davanti è un punto nodale del programma governativo di chiunque sia ancora al potere in Egitto: senza dare una risposta alle necessità quotidiane della grande popolazione egiziana, difficilmente l’Egitto riuscirà a superare in maniera positiva questa situazione di difficoltà e d’incertezza.

    D. – La visita del vicesegretario di Stato americano, Burns, in Egitto viene presentata come un’occasione per sottolineare il sostegno al popolo egiziano. È così?

    R. – L’interesse degli Stati Uniti, così come della geopolitica e della diplomazia internazionale, non è stato la difesa degli obiettivi e delle aspirazioni rivoluzionarie del popolo egiziano, quanto la garanzia di un equilibrio del Paese, perché sappiamo tutti qual è l’importanza dell’Egitto all’interno del mondo arabo e dell’agitato scacchiere mediorientale. Mi sembra molto pragmatico l’atteggiamento di sostenere una potenziale transizione che stabilizzi il quadro politico e istituzionale del Paese, in modo da garantire non solo gli equilibri internazionali, ma anche l’intervento e la presenza degli intessi occidentali in Egitto e in Medio Oriente.

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    Siria, ancora decine di morti. L'analista: il Paese a rischio di nuova jihad

    ◊   Sono oltre 42 i morti in Siria in queste ultime ore, tra sei bambini, uccisi in un bombardamento governativo sul villaggio di al-Maghara, nella provincia nordoccidentale di Idlib. Sulla situazione, Marina Tomarro ha intervistato Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi islamici, all'Università della Calabria:

    R. – La tragedia era assolutamente annunciata. Anzi, più che annunciata, era giù in corso da tempo, un po’ nell’indifferenza generale. Sostanzialmente, non mi sembra che finora i tentativi fatti per intervenire in questa guerra civile abbiano dato buoni frutti. Già Kofi Annan, quando era stato delegato dalle Nazioni Unite per tentare una soluzione pacifica del conflitto, alla fine si era dovuto ritirare dando comunque delle regole di massima che erano quelle naturalmente di raccomandare ad entrambe le parti di fare un passo indietro. Questo passo indietro non è stato fatto e le pressioni internazionali non sono riuscite finora a combinare nulla. L’ultimo tentativo, nel quale io riponevo qualche speranza, era l’appello fatto dai due ministri degli Esteri, turco ed iraniano, di approfittare del mese sacro del digiuno, il Ramadan, per cessare, anche temporaneamente, le ostilità e da lì ripartire per tentare una mediazione. Anche questo tentativo non mi sembra abbia dato alcun frutto. Naturalmente, la soluzione non è possibile se non si fa un passo indietro da tutte le parti. Secondo me, ogni giorno che passa è un rischio in più, perché nel conflitto poi si inseriscono elementi estranei, come il jihadismo militante più violento e combattente, che possono alterare la situazione.

    D. – Dall’inizio del conflitto, si calcolano circa centomila morti e quattro milioni di profughi. Cosa ci si prospetta?

    R. – Al momento, è difficile fare delle previsioni. È certo che nei luoghi dove i profughi si sono rifugiati si comincia a sentire questo problema. In Turchia, il problema è molto sentito. Ci sono moltissimi profughi che vengono dalla Siria che si sono stabiliti sul territorio turco. Naturalmente, il governo turco sta cercando di gestire una situazione piuttosto calda in certe zone. Soprattutto nelle zone meridionali della Turchia, queste comunità di profughi si fanno sempre più ampie, e sappiamo poi quanto queste tendano poi ad incistarsi nel territorio che le ha ospitate, creando delle sorti di ghetti con tutti i problemi che poi questi comportano. Solo in tempi molto brevi si potrebbe porre fine a questo problema, cioè con un rientro – anche se graduale, ma sicuro – di queste popolazioni nei loro confini. Ma finora non sembra proprio vi siano le minime garanzie di sicurezza per far sì che ciò avvenga. Quindi, non sono molto ottimista sul destino dei profughi siriani in questo momento.

    D. – Intanto, dall’Iran continua anche l’esportazione delle armi in Siria. Il capo della diplomazia irachena ha chiesto anche l’intervento della comunità internazionale. Secondo lei, anche questa situazione in che modo potrebbe evolversi?

    R. – Sembra ormai accertato che dal Pakistan e dallo stesso Afghanistan possano pervenire in Siria milizie che in questo momento è difficile quantificare. Naturalmente, si parla di alcune centinaia di persone. Non hanno una grande importanza dal punto di vista strategico ovviamente, perché i numeri sono relativamente piccoli, però potrebbero avere una grossa importanza dal punto di vista simbolico: fare cioè del territorio siriano una sorta di nuovo jihad internazionale, ed è quello che mi pare le forze del terrorismo cerchino di fare in questo momento: continuare a dare sfogo a questo tipo di militanza islamica violenta e radicale. La situazione è molto confusa anche tra le forze dell’opposizione, con il tentativo di prendere in mano il conflitto siriano come scusa per un ennesimo jihad. Abbiamo assistito ad episodi del genere in Jugoslavia alcuni anni fa, poi l’Afghanistan è stato uno dei teatri più tragici di questo tipo di interazioni internazionali. E adesso la Siria potrebbe diventarlo nuovamente.

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    Usa: in migliaia chiedono giustizia per Trayvon Martin. Obama invita alla calma

    ◊   Negli Stati Uniti, a migliaia sono scesi in piazza a New York, Los Angeles e Oakland per protestare contro la sentenza di assoluzione per l’ispanico George Zimmerman. La guardia volontaria aveva ucciso nel 2012 il giovane di colore Trayvon Martin, secondo i giudici della Florida per legittima difesa. Il presidente Obama ha invitato alla calma, ricordando che gli Stati Uniti sono uno Stato di diritto e che “una giuria si è espressa”. Il tema ha riaperto il dibattito sulla questione razziale nel Paese. Michele Raviart ha chiesto perchè a Dennis Redmont, ex direttore dell’Associated Press Italia:

    R. - Questa questione è estremamente complessa, perché si tratta di uno studente nero, afroamericano, di 17 anni ucciso da un ispanico, Zimmerman. Questo tema è diventato nazionale perché Barack Obama, il presidente, ha detto: “avrebbe potuto essere mio figlio”. In più c’è un altro fattore di genere e di etnia. I sei giurati, che per tre settimane sono stati impegnati nel dibattito, sono donne; la decisione, inoltre, è stata presa in Florida, Stato chiave per i risultati elettorali. Perciò per quanto riguarda la relazioni razziali, questo tema è divenuto un’ossessione!

    D. - Poi questa faccenda è sentita in maniera trasversale, perché a scendere in piazza non sono solo gli afroamericani, ma anche gli ispanici, gli indiani …

    R. - La reazione naturalmente suggerisce che, a cinque anni dall’elezione del primo presidente nero negli Stati Uniti, le relazioni razziali rimangano molto polarizzate. Come sappiamo, gli Stati uniti non sono più - come noi pensiamo - un'amalgama di afroamericani e di bianchi, ma piuttosto una specie di macedonia. L’America non è certamente una società post-razziale, ma è sicuramente una società che ha ancora molti passi da fare.

    D. - A livello mediatico, in che modo i mezzi di informazione americani hanno commentato questa sentenza?

    R. - A livello mediatico naturalmente l’attenzione si spostata su questo caso, mettendo in secondo piano ciò che accade nel mondo. In ogni discussione ci si chiede: ma se fosse stato bianco? Ma se il poliziotto fosse stato nero? C’è una sorta di autoanalisi dei media americani, dove si tenta di parlare del problema che rode la coscienza americana, dal 1861, quando la schiavitù è stata abolita in America.

    D. - Zimmerman era una guardia volontaria, che per statuto non è incentivata a portare armi. Questo caso rientra anche nel dibattito riguardo la facilità con la quale è possibile girare armati negli Stati Uniti?

    R. - È possibile che questo metta sul piatto un dibattito rinnovato. Quello che ha sorpreso tutti è che dopo tanti mesi, il Congresso non sia riuscito a portare un significativo cambiamento sul porto d’armi, e perciò è possibile che questo riapra la questione.

    D. - A livello di diritto, ci sono possibilità che questa sentenza venga rivista a livello federale?

    R. - Sì, le possibilità ci sono. Ora dipende se questo viene trattato come un delitto a sfondo razziale. Al momento è giudicato come un delitto federale, che quindi non riguarda la Florida come Stato. In quel caso sì, potrebbe essere sottoposto a revisione.

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    Kenya: missionari tra i ragazzi di strada a Nyahururu

    ◊   Credere nelle potenzialità della comunità: è la filosofia con cui il missionario padovano don Gabriele Pipinato ha dato vita, nel 1997, al Centro Saint Martin di Nyahururu, in Kenya. Al programma iniziale, rivolto ai disabili, si aggiungono oggi iniziative di microcredito, di prevenzione dell’Aids, di recupero dei ragazzi di strada. L’obiettivo è coinvolgere le comunità locali nel cambiamento della loro condizione, come ha spiegato a Davide Maggiore il direttore del Centro, don Mariano Dal Ponte:

    R. – L’esperienza del Saint Martin è nata ed è cresciuta senza una pianificazione previa: è nata dalla storia e dalle sfide che la storia ha presentato a don Gabriele all’inizio e ai volontari dell’inizio. Per esempio, il programma dei ragazzi di strada è nato in seguito ad un’esperienza molto triste che è successa qui, a Nyahururu: la morte violenta di una ragazzina in strada. Da lì è arrivata la domanda: “Come cristiani non ci sentiamo chiamati a fare nulla per questi ragazzi che vivono in strada?”.

    D. – Lo stesso si può dire anche per gli altri programmi?

    R. – Certo, la domanda ancora una volta, era: “Ma, che cosa il Signore Gesù ci chiede di fare e di dire su questo?”. E da lì si è iniziato a lavorare non soltanto per assistere, ma anche per aprire la comunità all’accoglienza.

    D. – Lo spirito del Saint Martin è lo spirito per cui tutto si fa soltanto attraverso la comunità; quindi, il coinvolgimento della popolazione locale è fondamentale …

    R. – La comunità è sicuramente cresciuta nell’apertura e nell’accoglienza delle sfide che sono al suo interno e nell’accoglienza della disabilità come pure delle persone più vulnerabili al suo interno, in modo straordinario. Noi siamo testimoni di un miracolo di amore e di grande apertura della comunità. E’ chiaro che ci sono comunità che ancora hanno bisogno di grande formazione e di lavorare al loro interno per vedere, per esempio, le persone disabili oppure le persone ammalate al loro interno non come dei pesi, non come dei maledetti, non come persone da mettere da parte, ma come doni, delle risorse e delle benedizioni, nel vero senso della parola.

    D. – Cosa significa “il povero come risorsa”, “il povero come benedizione”?

    R. – Nell’avvicinarci alle persone vulnerabili ci siamo accorti che sempre, all’interno della vita di un povero o di un disabile c’è un messaggio che ci interroga a cambiare vita e ad aprire il cuore. Allora ci sentiamo noi i beneficiari di questa trasformazione e ci sentiamo noi “in debito” più che benefattori che fanno qualcosa di buono per loro.

    D. – Concluderei chiedendole se c’è una storia che lei considera particolarmente emblematica dello spirito del Saint Martin …

    R. – Il racconto di una mamma che qualche mese fa si è trovata in una situazione difficile e per disperazione aveva deciso di vendere uno dei propri bambini, perché non riusciva a dar loro da mangiare, non riusciva ad andare avanti. Uno dei nostri volontari ha immediatamente raccontato cosa stava avvenendo; chiaramente, sono riusciti a bloccare la vendita di questo bimbo: purtroppo, c’è stato anche il coinvolgimento della polizia che ha arrestato la mamma … Ma siamo riusciti ad intervenire, a far da mediatori perché a questa mamma venisse data un’opportunità. E proprio nel momento in cui ci stavamo chiedendo quale e ci stavamo organizzando, c’è stato un incontro in una delle aree in cui noi stiamo operando. Qualcuno ha condiviso l’esperienza di quei giorni riguardo a questa mamma. E senza che noi chiedessimo niente, uno dei presenti si è alzato e ha detto: “Io sarei molto felice di accogliere questa mamma con i suoi bambini e dare loro l’opportunità, pian piano, di crearsi un futuro”. Questi sono i miracoli che avvengono attraverso la comunità.

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    Italia: crisi più dura per gli immigrati, ma cresce il lavoro straniero non qualificato

    ◊   I lavoratori stranieri in Italia sono, nel 2012, circa 2 milioni e 334 mila. Lo rileva il Rapporto annuale sugli immigrati nel mercato del lavoro in Italia, curato dalla Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del ministero del Lavoro e presentato stamani, alla presenza del ministro del Lavoro Enrico Giovannini, a Roma nella sede del Cnel. Rispetto all’anno precedente, si riscontra una crescita dell’occupazione, tra gli stranieri, di circa 82 mila persone, accompagnata da una diminuzione di 151 mila occupati italiani. Nonostante questo dato si registra comunque, tra gli immigrati, insieme all'aumento della popolazione complessiva anche un incremento del tasso di disoccupazione. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Aumentano gli stranieri occupati mentre diminuiscono gli occupati italiani. Su questo dato si sofferma Olivero Forti, responsabile dell'ufficio immigrazione di Caritas italiana:

    “Si conferma un trend ormai storico nel mercato del lavoro italiano, ovvero una crescita – anche se chiaramente ridotta in periodi di crisi – di impieghi a bassa qualifica che vogliono, a quanto pare, svolgere ancora ed esclusivamente cittadini stranieri, e dico – appunto – nonostante la crisi. Il lavoratore italiano, nonostante la profonda disoccupazione e una situazione di crisi ormai conclamata, è ancora in una condizione di non voler accettare attività a bassa qualifica. Per questo, il dato registra ancora un aumento di lavoratori stranieri”.

    Nonostante la crescita, in valore assoluto, dell’occupazione straniera e, parallelamente, la diminuzione della componente italiana, la crisi ha colpito in misura relativamente più accentuata proprio gli immigrati. Tra gli stranieri, si riducono nettamente le posizioni qualificate che passano dall’8,2% del 2008 al 5,9% del 2012. Le condizioni lavorative più svantaggiate si riflettono anche sulla retribuzione netta mensile che per gli stranieri è, in media, più bassa e si attesta, nel 2012, a 968 euro contro i 1.304 dei lavoratori italiani. I disoccupati stranieri, nel 2012, sono quasi 385 mila. Il tasso di disoccupazione, tra gli stranieri, è di circa il 14%, di quattro punti superiore a quello della componente italiana. Ancora Oliviero Forti:

    “Che si stia registrando un aumento dei disoccupati tra gli stranieri, questa è una condizione che noi, come sistema-Caritas, verifichiamo ormai quotidianamente, seguita da un aumento delle richieste di cittadini stranieri che vogliono tornare nel loro Paese. Chi vede il proprio progetto migratorio messo definitivamente in discussione, quando può – questo, ovviamente, non riguarda tutte le nazionalità – decide di rientrare nei propri Paesi di origine”.

    Nei prossimi decenni, saranno accentuate le criticità delle dinamiche dei flussi migratori in Europa e, in particolare in Italia. Il presidente del Cnel, Antonio Marzano:

    “E’ soprattutto il futuro prospettico che preoccupa: in Europa, la popolazione diminuirà di 50 milioni entro il 2050 e in Africa, invece, crescerà la popolazione di un miliardo di persone nel 2050. Teniamo presente che in Nord Africa il 20% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno. Questa è una situazione secondo me terrificante. Bisogna che lo Stato italiano e il popolo italiano continuino a dimostrare sensibilità, per evitare quella che è stata definita, in modo così autorevole, “la globalizzazione dell’indifferenza”.

    Il fabbisogno di manodopera straniera in Italia tenderà dunque ad aumentare. Ma a questo trend si deve accompagnare un incremento del tasso di crescita. Ancora Antonio Marzano:

    “Il ruolo dell’immigrazione crescerà, ma per quanti sforzi si facciano sul piano sociale, bisogna che l’economia torni a crescere. Se il tasso di crescita continua a rimanere zero, o addirittura negativo, allora costoro che vengono in Italia saranno profondamente delusi. Oltretutto, c’è la probabilità che col tempo, se la crisi durasse, i giovani italiani finiscano per fare i lavori dequalificati che fino a oggi hanno fatto piuttosto gli immigrati: a quel punto, ci sarà concorrenza fra i lavoratori italiani e quelli stranieri. Bisogna tornare a crescere”.

    Nel 2012, in Italia, quasi la metà di lavoratori domestici, tra cui colf e badanti, è extracomunitaria. In prevalenza si tratta di immigrati provenienti da Ucraina, Filippine e Moldavia. In Italia, infine, è del 9.1% infine la percentuale di imprese individuali con titolari extracomunitari.

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    Nato a Modena l'Emporio Portobello, supermarket della solidarietà

    ◊   Complice la recessione e l’aumento di persone sempre più vicine alla soglia di povertà, è nato il supermarket della solidarietà: si chiama “Emporio Portobello” e ha aperto le porte il 28 giugno a Modena, grazie al Centro servizi per il volontariato. Niente prezzi: si acquista in punti. Ci spiega meglio di che cosa si tratta Luigi Zironi, il responsabile del progetto, al microfono di Maria Cristina Montagnaro:

    R. – Si costruisce grazie al sostegno di tante associazioni di volontariato della provincia. Sono state 25 quelle che si sono unite e con il sostegno del centro servizi per il volontariato hanno costruito il market e le sue regole. Ci sono state aziende nel territorio che ci hanno dato prodotti per partire e anche tanti cittadini che si sono messi insieme e in occasione della raccolta alimentare hanno donato. E’ un supermercato che non ha costi di affitto perché la struttura è in comodato d’uso con il comune ed è gestito da persone volontarie e quindi non ci sono costi di personale. Le persone che invece hanno necessità economica perché hanno perso il lavoro, perché sono in cassa integrazione, una volta che hanno chiesto ai servizi sociali di poterlo fare e ne hanno i requisiti, possono venire a fare la spesa a Portobello. Fanno la spesa e non pagano. Noi diamo loro potere d’acquisto attraverso un bonus di punti che è la moneta che spendono al supermercato.

    D. – Questa tessera è ricaricabile?

    R. – Invece che usare una tessera nuova usiamo il codice fiscale. La tessera sanitaria e il codice fiscale hanno un codice a barre personale, sono il “bancomat” che dà loro la possibilità di pagare.

    D. - A chi vi rivolgete?

    R. – Le persone che possono essere in difficoltà economica perché sono disoccupate o in mobilità, o in cassa integrazione, o all’interno di contratti di solidarietà, o che sono stati licenziati perché l’azienda ha chiuso, o autonomi che hanno avuto un calo di attività di almeno il 30 per cento. Queste persone vanno ai servizi sociali, chiedono di poter entrare a Portobello e insieme agli operatori dei servizi compilano la domanda di partecipazione.

    D. - Qual è la novità rispetto ad altre esperienze che ci sono già a Milano e a Parma?

    R. – Le organizzazioni di volontariato gestiscono il servizio ma l’assegnazione del servizio alle persone viene demandata ai servizi sociali. Un’altra distinzione è il fatto che noi invitiamo le persone, se lo possono fare e nella misura in cui riescono, a fare a loro volta volontariato.

    D. - In che modo?

    R. – Presso Portobello organizziamo anche un servizio di orientamento al volontariato. La persona che fa la spesa poi è invitata a fare un colloquio di orientamento che serve per individuare qual è l’associazione del territorio, tra quelle aderenti a Portobello e anche le altre, presso la quale quella persona potrebbe, se lo volesse, svolgere attività di volontariato nel campo che preferisce, nel tempo che preferisce, tra le attività che si possono fare, anche dare una mano nel market. Invito chi è interessato a consultare il sito che è www.portobellomodena.it

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    Inaugurato al Bambino Gesù il Giffoni Film Festival, rassegna cinematografica per ragazzi

    ◊   Si sono accesi oggi dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma i riflettori sulla 43.ma edizione del
    Giffoni Experience, che si svolgerà dal prossimo 19 al 28 luglio, nella cittadina campana. Alla manifestazione sono oltre 150 le opere in concorso, che saranno giudicate da otto speciali giurie formate tutte da bambini e ragazzi dai 3 ai 18 anni. Marina Tomarro ha intervistato il direttore artistico del festival, Claudio Gubitosi:

    R. - Un atto dovuto da parte del Giffoni, che quattro giorni prima, mentre sta riscaldando i motori, mentre già migliaia di ragazzi viaggiano da ogni parte del mondo per incontrarsi in questo piccolo Paese in provincia di Salerno, che da 43 anni è il loro punto di riferimento, noi abbiamo iniziato da Roma, dal Bambino Gesù, senza enfasi… Quello che è lo stile sia dell’ospedale che nostro. Quindi è stato bellissimo tagliare il nastro in mezzo a tanti bambini! Noi abbiamo 3.300 ragazzi a Giffoni, di quelli che fanno parte delle cosiddette giurie, che sono di 51 nazioni. Abbiamo voluto portare un po’ di film, un po’ della nostra presenza, un po’ di calore. Giffoni è un luogo dove i ragazzi incontrano, tra l’altro, se stessi: conoscendosi, comprendendo anche meglio le diversità, quell’esperienza non la lasceranno mai, la porteranno nel cuore, perché li segnerà veramente per tutta la vita.

    D. - Quale sarà il filo conduttore di questa 43.ma edizione?

    R. - Abbiamo scelto un tema, quest’anno, un po’ particolare “Forever Young”: lo stiamo applicando un po’ dappertutto. Abbiamo raccontato il programma in un luogo di 2.600 anni, i tempi di Paestum. Allora che cos’è la gioventù? Perché non è soltanto un concetto fisico, che sicuramente il tempo segna, ma è un processo mentale. Sentirsi giovani sempre, dentro; avere la capacità di lottare, ma soprattutto di esprimere quelle energie; vivere. La gioventù è vita a qualunque età!

    D. - Cosa vuol dire promuovere il cinema per ragazzi?

    R. - Giffoni presenta film. Sono storie di vita, storie di famiglie, storie di disagi, ma anche storie di attesa, di speranza. Sono storie bellissime che cercano di coinvolgere questa società, che spesso ignora i ragazzi, che li tratta - appunto - come futuro, ma cancellandoli dal presente e che mette in discussione la loro qualità, ma anche la loro capacità. Abbiamo l’obbligo, il dovere di dare ai ragazzi serenità, di far loro capire che il futuro dipende anche da loro stessi, da quello che fanno, da come imparano, da come si formano, dal rispetto appunto che hanno per gli altri. Nei film di Giffoni questo c’è! Quindi Giffoni propone un pacchetto di discussione, che serve appunto a rendere meglio il valore di questa generazione, che - a mio parere - è eccezionale!

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Il patriarca Raï: le milizie confessionali porteranno il Libano alla rovina

    ◊   Qualsiasi esercito non statale deve essere considerato “illegittimo” e provocherà il ritorno del Paese alla “legge della giungla e a un aumento dei crimini, fenomeno che purtroppo stiamo già registrando”. Così il patriarca di Antiochia dei maroniti Béchara Boutros Raï ha lanciato l'ennesimo allarme sul destino del Paese dei Cedri nel corso di un'omelia tenuta questa domenica ad Harissa. Il capo della Chiesa maronita ha invitato le fazioni politiche a riconciliarsi in un nuovo contratto sociale, sulla base del Patto nazionale del 1943 con cui cristiani e musulmani concordarono la gestione paritaria del potere politico e delle cariche istituzionali nel Libano divenuto indipendente dalla Francia. Secondo il patriarca, il conflitto tra le fazioni politiche sta contribuendo alla “distruzione del Paese”. Una deriva che può essere fermata solo ritornando al Patto fondativo “con il quale i libanesi costruirono il loro Paese sulla base della convivenza, preservando il Libano nei confronti di qualsiasi lealismo verso altre nazioni dell'Oriente o dell'Occidente”. Secondo il procuratore patriarcale maronita presso la Santa Sede, Francois Eid, i riferimenti storici contenuti nell'omelia del Patriarca Raï hanno un nesso evidente con la situazione drammatica vissuta oggi dal Paese: “Già nel 1943” spiega all'Agenzia Fides mons. Eid “i libanesi decisero di rimanere indipendenti rispetto ai blocchi geopolitici e alle potenze regionali che esercitavano la loro influenza nel Medio Oriente. Cristiani e musulmani sottoscrissero l'accordo sulla gestione del potere su base paritaria. Tale criterio è stato confermato dal Trattato di Taif, dopo la guerra civile. Ma adesso in molti, sulla base di considerazioni di ordine demografico, dicono che quella linea va accantonata per passare a una gestione tripartita del potere, che divida le cariche e i posti di responsabilità tra cristiani, sciiti e sunniti”. Anche l'accenno agli eserciti confessionali contenuto nell'omelia del Patriarca tocca, secondo mons. Eid, un nervo scoperto dell'attuale crisi libanese: “Le milizie sciite di Hezbollah sono scese al fianco del regime siriano. Mentre i miliziani salafiti sono andati in Siria per combattere al fianco dei ribelli. Il nostro Paese è già immerso in quel conflitto terribile. E questo, per il Libano, può essere devastante”.

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    In Kazakhstan un pastore protestante detenuto ingiustamente

    ◊   Un pastore protestante sarebbe detenuto ingiustamente in Kazakhstan: a lanciare l’allarme è l’Associazione "Forum 18", che monitora la situazione della libertà religiosa nei Paesi dell’Europa orientale e dell’Asia centrale, attraverso l’ong International Christian Concern (Icc) che ha lanciato una petizione a livello internazionale. Si tratterebbe, riferisce la Fides, del pastore Bakhytzhan Kashkumbayev, a capo della comunità Grace Church ubicata ad Astana, la capitale del Paese, arrestato il 17 maggio con l’accusa di aver attentato alla salute dei membri della sua comunità con l’aggiunta di droghe e allucinogeni al vino utilizzato per l’Eucaristia. Attualmente, il pastore si troverebbe in cella d’isolamento temporaneo in attesa di processo. In Kazakhstan, secondo Forum 18, le minoranze religiose tra cui quella cristiana, subiscono diverse restrizioni alle loro attività, multe e anche il carcere, dove spesso si registrano abusi sui prigionieri, in particolare sui detenuti per motivi religiosi, molto comuni nel Paese. Perciò, l’Icc, che ha sede a Washington e lotta per la protezione dei cristiani e per la difesa della libertà religiosa nel mondo, ha promosso una petizione che sarà inviata al governo kazako e anche al segretario di Stato americano, John Kerry, con l’esplicita richiesta di un intervento diplomatico da parte degli Stati Uniti. (R.B.)

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    India. Violenze anticristiane: la morte di un pastore fatta passare per incidente

    ◊   Ennesima vittima delle violenza anticristiana nello Stato indiano dell’Orissa: il reverendo Jaisankar, medico e pastore della Blessing Youth Mission, scomparso l’11 luglio scorso, è stato ritrovato cadavere vicino agli argini del fiume nei dintorni di Lamtaput, nel distretto di Kandhamal. Nel pomeriggio di oggi, sono in programma i funerali. Le autorità locali hanno archiviato l’episodio come un incidente dovuto alle forti piogge che avrebbero fatto sbandare il pastore alla guida della sua moto. Stando però alla testimonianza rilasciata ad AsiaNews da Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians, il corpo presenterebbe ferite inequivocabili. Non sarebbe la prima volta che l’uccisione di un cristiano venga fatta pas,sare per un incidente, specialmente quando si avvicina l’anniversario dei pogrom anticristiani che nell’agosto 2008 insanguinarono la zona. (R.B.)

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    Pakistan. Ergastolo a un cristiano per Sms considerato blasfemo. La sua comunità: è innocente

    ◊   La controversa legge sulla blasfemia continua a mietere vittime in Pakistan: Sajjad Masih Gill, 28enne cristiano, residente nel distretto di Pakpatan, nella provincia del in Punjab, è stato condannato all’ergastolo e a una multa di 200mila rupie (circa 2.000 dollari) da un tribunale di primo grado a Gojra (Punjab). La sentenza è stata emessa il 13 luglio. Gill, membro della comunità cristiana “Avventista del Settimo giorno”, era stato incriminato per blasfemia (in particolare per vilipendio a Maometto e all’islam) da alcuni leader religiosi islamici e altri personaggi influenti per aver inviato un Sms di contenuto blasfemo dal suo telefono cellulare. Come appreso da Fides, si tratta del primo caso di “blasfemia via Sms” registrato dalla polizia in Pakistan. “E’ stato del tutto inaspettato che il giudice abbia pronunciato un simile verdetto, condannando Masih, perché non vi sono prove a suo carico”, commenta all’Agenzia Fides l’avvocato cattolico Nadeem Anthony, che ha seguito il caso. Secondo una ricostruzione del caso inviata a Fides da Aftab Alexander Mughal, Direttore del periodico “Minorities Concern of Pakistan”, il 18 dicembre 2011, Malik Muhammad Tariq Saleem, musulmano residente di Gojra, commerciante di tessuti, avrebbe ricevuto alcuni messaggi Sms blasfemi da un telefono sconosciuto. Il giorno dopo Tariq si è presentato alla polizia di Gojra che ha registrato una denuncia (“First Information Report”) per blasfemia, incriminando e arrestando Sajjad Gill. Secondo i membri della comunità cristiana di Goira, le accuse sono infondate e Gill è una vittima innocente. L’accusa, infatti non è riuscita a produrre alcuna prova che ne dimostri la colpevolezza: dal cellulare di Gill, infatti consegnato alla polizia, non risulta essere partito alcun Sms blasfemo, né vi sono testimoni oculari. Sajjad Masih si è dichiarato innocente. Come riferisce a Fides l’avvocato Mustaq Gill, dell’organizzazione LEAD (“Legal Evangelical Association Development”), il messaggio sarebbe partito dal telefono di una ragazza pakistana cristiana, Roma Ilyas, innamorata di Gill. La ragazza era stata però costretta dai genitori a sposare Donald Bhatti, un altro cristiano residente nel Regno Unito. Quest’ultimo, per gelosia, avrebbe registrato una Sim card col nome di Roma e avrebbe poi inviato gli Sms blasfemi con quella Sim card, per dare una lezione ai due. Anche Roma è stata incriminata ma, risiedendo nel Regno Unito, è stato impossibile procedere contro di lei. L’accusa è ricaduta su Sajjad. Una volta arrestato, la polizia ha cercato di estorcere con la violenza a Sajjad una falsa confessione, mai firmata da Gill. Fra l’altro, come eccepito dall’avocato difensore di Gill, Javed Chaudhry Sahotra, gli agenti di polizia che hanno registrato la denuncia e trattato il caso non erano competenti per indagare su un caso di blasfemia, dunque l’intero procedimento risulterebbe nullo. Nonostante tali lacune, il giudice ha condannato Gill all’ergastolo. Gli avvocati della difesa hanno annunciato il ricorso all’Alta Corte, in secondo grado di giudizio. La comunità cristiana Avventista del Settimo giorno è riunita in preghiera per Gill, per la sua famiglia (sua madre, quattro fratelli e una sorella) e per tutte le vittime innocenti della legge di blasfemia.

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    Conversioni e istruzione, le nuove sfide della comunità cristiana in Malaysia

    ◊   Nuove sfide da affrontare per la comunità cristiana della Malaysia, Paese a maggioranza islamica, in cui vivono 2,8 milioni di cristiani su una popolazione di 27 milioni di persone. Un primo nodo cruciale riguarda le conversioni al cristianesimo, specie nei bambini: la legge locale prevede che questa possa essere approvata previa autorizzazione da parte di entrambi i genitori, anche se in seguito, al caso concreto di un minore diventato cristiano, nel giugno scorso fu proposto un emendamento per limitare la concessione del permesso a un solo genitore. È prassi, invece, che all’interno di matrimoni misti i bambini si convertano all’islam senza alcuna autorizzazione. Il teologo e docente universitario Tan Hong Beng, segretario della Christian Federation of Malaysia, indica alla Fides altre due questioni ancora aperte: l’istruzione religiosa e l’utilizzo del termine “Allah”. Quanto all’istruzione, per ordine del Ministero, dal primo settembre 2013 gli studi islamici saranno introdotti come materia obbligatoria anche negli istituti privati d’istruzione superiore, nonostante l’opposizione della Malaysian Chinese Association. La seconda questione riguarda la controversia sull’uso del termine “Allah” per indicare Dio, che parte della comunità islamica vorrebbe impedire ai cristiani: in merito, nel 2009 un tribunale diede ragione alla Chiesa cattolica, ma i musulmani presentarono un ricorso all’Alta Corte che è ancora in attesa di mediazione. (R.B.)

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    Congo. Appello dei vescovi per la fine della guerra che insanguina il Paese

    ◊   I vescovi del Congo lanciano un forte appello ai leader politici africani perché “si metta fine alla guerra che insanguina la Repubblica Democratica del Congo” e perché “lavorino non per i propri interessi, ma per il bene di tutti”. Sono le raccomandazioni espresse a chiusura della Assemblea Generale delle Conferenze Episcopali d’Africa e Madagascar (Secam) tenutasi a Kinshasa. Nel messaggio finale, inviato all’Agenzia Fides, i vescovi invitano inoltre tutti i cittadini africani “ad impegnarsi urgentemente nella lotta per un giusto ordine sociale dove tutti possono godere dei diritti connessi con la loro dignità umana”. Una forte denuncia dei vescovi africani tocca i conflitti che imperversano nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), causando milioni di morti, atrocità , violenze e stupri. Ricordando una guerra che ha fatto sei milioni di morti in vent’anni e che destabilizza la Rdc causando gravi violazioni dei diritti umani, i vescovi “invitano tutte le parti coinvolte nella ricerca della soluzione a questa guerra e a lavorare alacremente per la pace”, rivolgendo un appello in tal senso alle Nazioni Unite, all'Unione Europea, e all'Unione Africana. Per questo un forte invito è rivolto ai leader politici: i presuli hanno convenuto di dover “sensibilizzare e educare i leader politici nei rispettivi paesi perché di impegnino “al ritorno di una pace duratura nella Rdc”. Per adempiere al loro impegno la giustizia e la riconciliazione, i vescovi del Secam hanno adottato un “piano strategico quinquennale” per il periodo 2013-2018, che prevede progetti in materia di governance e formazione a pratiche democratiche e al bene comune. “Siamo decisi a dare segnali forti: ora spetta a ogni Conferenza episcopale individuare interventi specifici, responsabilizzando tutti i soggetti coinvolti”, ha spiegato il vicepresidente del Secam, mons. Gabriele Mbilingi, arcivescovo di Lubango, in Angola. “L'Africa ha bisogno oggi di un Buon Samaritano in politica, in grado di pensare l'organizzazione della società, in modo che il bene comune sia la priorità”, ha detto il vescovo di Kinkala (Congo), mons. Louis Portella Mbuyu, nella sua omelia durante la Messa di chiusura dell'Assemblea. L’attenzione al bene comune, ha rimarcato, significa che i leader della politica e dell’economia “sappiano gestire la ricchezza e il potere non per se stessi, ma per i loro fratelli e sorelle, con l'orgoglio di portare il benessere a tutti”.

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    Ghana. I cattolici chiedono il “diritto alla salute” nella nuova Costituzione

    ◊   In Ghana, entra nel vivo il dibattito per la stesura della nuova Costituzione nazionale: il Segretariato cattolico nazionale, organo esecutivo della Conferenza episcopale locale, si sta battendo per far includere nel testo il diritto alla salute. La campagna portata avanti – riferisce la Fides – s’intitola “Agenda per il diritto alla buona salute” e vuole sostituire un superato “diritto del malato” con una dicitura più ampia, che sancisca come tutti i cittadini ghanesi abbiano diritto di accesso completo all’assistenza sanitaria. Tale diritto comprende nutrizione, igiene ambientale e servizi igienico-sanitari per tutti, dalle zone rurali alle città. La campagna, presentata dal segretario esecutivo del Dipartimento per lo sviluppo umano, Samuel Zan Akologo, sarà diffusa in tutte le parrocchie, le diocesi e le associazioni ecclesiali presenti nel Paese. (R.B.)

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    Siria. Nonostante la guerra, esercizi spirituali ad Aleppo

    ◊   In una Siria sempre più devastata dalla guerra civile, per molti la Chiesa diventa l’unico rifugio in cui cercare conforto. Accade, ad esempio, ad Aleppo, città che continua a essere in stato d’assedio, in cui le milizie dell’Esercito libero siriano e i gruppi islamisti d’opposizione continuano a fronteggiarsi, bloccando ogni via di fuga per la popolazione. Qu,i mancano gli alimenti di base e il gas e la benzina hanno raggiunto prezzi proibitivi per gli abitanti. Le testimonianze drammatiche che arrivano, però, non sono prive di speranza, come quella di David Fernandez, missionario cattolico dell’Istituto del Verbo incarnato: “Occorre non spegnere la speranza e non cadere nell’angoscia – ha detto alla Fides – in parrocchia e in cattedrale stiamo organizzando attività come i corsi di chitarra e di lingua per ragazzi, mentre molti di loro ci hanno chiesto di fare esercizi spirituali che probabilmente attueremo tra le fine di luglio e l’inizio di agosto”. (R.B.)

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    Cuba. I vescovi promuovono un incontro nazionale sul tema della famiglia

    ◊   Si è aperto nei giorni scorsi, presso la casa sacerdotale “San Giovanni Maria Vienney” dell’Avana a Cuba, il primo incontro nazionale di Pastorale della famiglia, promosso dalla Conferenza episcopale locale sul tema “La famiglia: cammino e speranza per Cuba”. L’incontro è stato guidato da mons. Arturo Gonzàlez, vescovo di Santa Clara e presidente della Commissione per la famiglia dell’episcopato cubano, e da mons. Luis del Castillo, vescovo emerito di Melo, in Uruguay, che da anni collabora con la Chiesa cubana. Nel suo intervento inaugurale, mons. Gonzàlez ha ringraziato le famiglie partecipanti per la disponibilità a condividere le proprie esperienze e per l’impegno portato avanti in favore della famiglia come istituzione. Il presule ha ricordato le parole pronunciate dal Beato Giovanni Paolo II a Santa Clara durante la Messa dedicata alle famiglie: “Cuba, abbi cura delle tue famiglie e conserva il tuo cuore robusto”, aggiungendo che nonostante le tante minacce e le tante difficoltà presenti, c’è ancora molta speranza per il futuro. Tra le riflessioni proposte nel corso dell’incontro, il tema del matrimonio e della famiglia come progetto di Dio per l’uomo e per la donna, all’interno del quale l’essere umano trova il vero cammino verso la felicità, e la realtà della famiglia cubana con i suoi valori e i suoi bisogni, da individuare alla luce della fede ma anche in base al dialogo con le diverse istituzioni che se ne occupano. Si è parlato, poi, dell’educazione dei figli, dell’economia familiare, dell’invecchiamento della popolazione, della disintegrazione familiare e della violenza all’interno della famiglia. Tutti questi argomenti erano già stati affrontati dai vescovi cubani che - attraverso la Commissione e con il contributo del padre gesuita, Jorge Cela, attuale presidente della Conferenza dei Provinciali dell’America Latina - hanno condotto presso la popolazione dell’isola il sondaggio “Cubafamilia” per indagare la situazione della famiglia cubana di oggi. (A.T.)

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    Venezuela. “Dialogo nazionale”: appello dei vescovi a conclusione della 100.ma Assemblea

    ◊   In un contesto nazionale segnato da profonde divisioni, “la Chiesa promuove il dialogo nazionale con profondo spirito democratico. Siamo tutti coinvolti nel costruire il bene del Paese. E tutti dobbiamo risolvere i principali problemi del Paese, come l'insicurezza, e lavorare per tutto ciò che riguarda la qualità della vita”: è quanto afferma la dichiarazione diramata a conclusione dell’Assemblea ordinaria della Conferenza episcopale del Venezuela. Come riferito all’agenzia Fides, questa assemblea, la numero 100, si è svolta a Caracas dal 8 al 12 luglio, ed è stata molto seguita da tutta la popolazione per la situazione difficile che vive il Paese. Presentando la realtà del Paese, i vescovi, parlando delle elezioni presidenziali del 14 aprile scorso, hanno scritto: “Il processo è stato caratterizzato da una campagna opportunistica a favore di una delle parti e ha mostrato che vi sono gravi carenze nel nostro sistema elettorale. Questo fatto ha generato atti di violenza. Questo mette in evidenza, ancora una volta, la profonda divisione del popolo venezuelano”. Il testo, inviato all’agenzia Fides, continua: “Il bene del Paese esige una soluzione. Ma la soluzione non può essere quella di annientare coloro che non la pensano allo stesso modo. Il nostro punto di riferimento è la Costituzione, che segnala i limiti entro cui muoversi e che deve sempre essere il punto di unità della nazione”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 196

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.