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Sommario del 10/07/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco e il ruolo dei sacerdoti, pastori in cerca delle pecore sole e lontane
  • Nomine
  • Il cordoglio del Papa per il disastro ferroviario in Quebec, con 15 morti e 50 dispersi
  • Tweet del Papa: se vogliamo seguire Cristo da vicino, non possiamo cercare una vita comoda
  • Tenerezza di Dio, Croce e preghiera: il commento di don Willy Volonté alle parole del Papa a seminaristi e novizie
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto: consultazioni per il nuovo governo, il no dei Fratelli musulmani
  • Afghanistan: gli Stati Uniti pensano al ritiro totale delle truppe
  • Il Centrafrica sull'orlo di una catastrofe sanitaria: la denuncia di Msf
  • Dopo il taglio di S&P reggono i mercati. Zamagni: subito agenzia di rating europea
  • Rapporto Inail: in calo incidenti e morti sul lavoro, attenzione all'amianto
  • Gioco d’azzardo: associazioni e parlamentari insieme per definire una legge quadro
  • Anno giubilare camilliano. Padre Chendi: “L’eredità di San Camillo è quella del Buon Samaritano”
  • Lampedusa: Terre des Hommes offre aiuto psicosociale a minori e famiglie profughi
  • AppStore compie 5 anni: migliaia di applicazioni aiutano o complicano la vita?
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Togo: accordo governo-opposizione con la mediazione della Chiesa. Elezioni il 25 luglio
  • Vescovi africani: riunione a Kinshasa su riconciliazione, giustizia e pace
  • Australia: i giovani accolgono l’appello del Papa alla compassione verso i migranti
  • Coree: ripartono i colloqui "distensivi" fra Seoul e Pyongyang
  • Colombia: i vescovi invitano le Farc a rispettare gli accordi con il governo
  • Colombia: la Chiesa chiede attenzione per i campesinos
  • Costa Rica: i vescovi contro il progetto di legge che mira a legalizzare le unioni gay
  • Ecuador: allarme della Chiesa sulla nuova normativa sul consumo di droga. Il Paese è diviso
  • Slovacchia: Messaggio dei vescovi su gender e unioni alternative
  • Vietnam: visita del rappresentante pontificio alle suore della diocesi di Bui Chu
  • India: è ancora emergenza alluvioni. Timori per i dispersi
  • Israele: per gli scioperi al Ministero degli esteri, pellegrini di Terra Santa senza visto
  • Kazakhstan: concluso il primo Congresso eucaristico ad Astana
  • Bulgaria: è morto annegato il metropolita ortodosso di Varna
  • I cappuccini negli avamposti del Nord Europa
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco e il ruolo dei sacerdoti, pastori in cerca delle pecore sole e lontane

    ◊   In circa quattro mesi di Pontificato, Papa Francesco ha assiduamente parlato di come intenda il ruolo dei sacerdoti, che per lui non possono essere altro che pastori umilmente a servizio del loro gregge. Le parole del Papa sono entrate ormai ben dentro la vita quotidiana della Chiesa e il Vangelo della liturgia di oggi – che mostra la chiamata e l’invio degli Apostoli da parte di Gesù – le richiama con particolare intensità. Alessandro De Carolis ne ripropone alcune in questo servizio:

    Il concetto è semplice, anche se la tecnologia dilagante – con la sua aria “pulitina” e un po’ snob – ci ha reso come lei tutti un po’ asettici: chi esercita un mestiere, di quelli pratici, dove le mani si sporcano, porta addosso l’odore di quello che fa. L’odore della terra smossa di fresco, quello salmastro del pesce, del bestiame nella stalla. Quello dolce del legno o più acre del cuoio. Odori che sono la seconda pelle, o forse la prima, di un contadino e un falegname, di un conciatore, un pescatore, di un qualsiasi artigiano. E questa è la “pelle” che Papa Francesco vuole come vestito per chi esercita il “mestiere” di prete, come chiarisce con quella straordinaria uscita dello scorso Giovedì Santo, pronunciata di getto dall’altare della cattedra in San Pietro e che fa il giro del mondo nel tempo di un tweet:

    “Questo io vi chiedo: siate pastori con l’odore delle pecore”. (Messa Crismale, 28 marzo 2013)

    Dunque, il sacerdote deve avere addosso l’odore delle anime che pascola. Con in più, indica Papa Francesco in quella stessa circostanza, l’aggiunta di un’altra fragranza: l’olio di Cristo, l’Unto di Dio venuto a cospargere l’umanità di questa sua sostanza divina. “Il buon sacerdote – afferma il Papa – si riconosce da come viene unto il suo popolo; questa – dice – è una prova chiara”:

    “Quando la nostra gente viene unta con olio di gioia lo si nota: per esempio, quando esce dalla Messa con il volto di chi ha ricevuto una buona notizia (…) E quando sente che il profumo dell’Unto, di Cristo, giunge attraverso di noi, è incoraggiata ad affidarci tutto quello che desidera arrivi al Signore: ‘preghi per me, padre, perché ho questo problema’, ‘mi benedica, padre’, “preghi per me’, sono il segno che l’unzione è arrivata all’orlo del mantello, perché viene trasformata in supplica, supplica del Popolo di Dio (...) Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco (…) invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore”. (Messa Crismale, 28 marzo 2013)

    Il prete-gestore è una delle derive del ministero sacerdotale che forse più inquieta Papa Francesco. L’odore che promana dalle vesti di questo tipo di presbitero, fa capire, può essere socialmente raffinato quanto cristianamente fasullo, perché l'odore di un pastore può essere di un tipo e non altri:

    “Siete pastori, non funzionari. Siete mediatori, non intermediari (…) Abbiate sempre davanti agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che non è venuto per essere servito, ma per servire, e per cercare di salvare ciò che era perduto”. (Ordinazione di nuovi sacerdoti, 21 aprile 2013)

    Nel Vangelo – osserva Papa Francesco icnontrando la diocesi di Roma tre settimane fa – c’è un bel brano del Vangelo che “parla del pastore che, quando torna all’ovile, si accorge che manca una pecora, lascia le 99 e va a cercarla”. “Va a cercarne una”, sottolinea, ma esclamando subito dopo e chiamando in causa tutti i cristiani: “Noi ne abbiamo una; ci mancano le 99! Dobbiamo uscire, dobbiamo andare da loro”:

    Questa è una responsabilità grande, e dobbiamo chiedere al Signore la grazia della generosità e il coraggio e la pazienza per uscire, per uscire ad annunziare il Vangelo. Ah, questo è difficile. E’ più facile restare a casa, con quell’unica pecorella! E’ più facile con quella pecorella, pettinarla, accarezzarla… ma noi preti, anche voi cristiani, tutti: il Signore ci vuole pastori, non pettinatori di pecorelle; pastori!
    (Convegno Diocesi di Roma, 17 giugno 2013)

    E così come un gregge non può fare a meno della guida del pastore, un pastore non esiste senza un gregge da pascolare:

    “Alla fine un vescovo non è vescovo per se stesso, è per il popolo; e un prete non è prete per se stesso, è per il popolo: al servizio di, per far crescere, per pascolare il popolo, il gregge proprio, no? Per difenderlo dai lupi. E’ bello pensare questo! Quando in questa strada il vescovo fa quello è un bel rapporto col popolo, come il vescovo Paolo lo ha fatto col suo popolo, no? E quando il prete fa quel bel rapporto col popolo, ci dà un amore: viene un amore fra di loro, un vero amore, e la Chiesa diventa unita”. (Messa a S. Marta, 15 maggio 2013)

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    Nomine

    ◊   Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Prelatura territoriale di Sicuani (Perú), presentata da S.E. Mons. Miguel La Fay Bardi, O. Carm., in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Vescovo Prelato della Prelatura territoriale di Sicuani (Perú) il Rev.do Pedro Alberto Bustamante López, del clero di Arequipa, finora Vicario Generale di quella Arcidiocesi e Parroco della Parrocchia di "San Agustín - El Sagrario". Il Rev.do Pedro Alberto Bustamante López è nato il 9 gennaio 1965 a Cotaparaco, Recuay, nella Diocesi di Huaraz (Provincia ecclesiastica di Trujillo, nel nord del Perù). Ha frequentato il Seminario Arcidiocesano "San Jerónimo" di Arequipa (1986-1992); è stato ordinato sacerdote per la medesima Arcidiocesi il 7 dicembre 1992. Dopo aver lavorato per 3 anni come Parroco nella parrocchia "Nuestra Señora del Carmen", ha frequentato la Pontificia Università Gregoriana di Roma, conseguendo la Licenza in Teologia Dogmatica. Ritornato in Diocesi, è stato Parroco in altre 2 parrocchie: "Nuestra Señora de la Asunción" (1998-1999) e "Santa Gertrudis" (1999-2005). Dal 2005 ad oggi è Parroco della parrocchia di "San Agustín - El Sagrario". Mentre svolgeva il suo ministero parrocchiale, è stato anche Pro-Vicario Generale dal 1999 al 2006, Vicario Episcopale dal 2007 al 2010 e, dal 2011 ad oggi, Vicario Generale dell'Arcidiocesi. Negli ultimi 20 anni ha anche lavorato come Cappellano di Collegio, Direttore Spirituale, Confessore e Professore presso il Seminario Arcidiocesano. Attualmente insegna Dottrina Sociale della Chiesa presso l'Università Cattolica di Arequipa. È, inoltre, Membro del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori.

    Il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Eparchia di Our Lady of Lebanon of Los Angeles dei Maroniti (U.S.A.), presentata da S.E. Mons. Robert Joseph Shaheen, in conformità al can. 210 § 1 del CCEO. Il Papa ha nominato Vescovo dell’Eparchia di Our Lady of Lebanon of Los Angeles dei Maroniti (U.S.A.) il Rev.do P. Abdallah Elias Zaidan, M.L., finora Protopresbitero e Rettore della Cattedrale Our Lady of Mount Lebanon - St. Peter di Los Angeles. Il Rev.do P. Abdallah Elias Zaidan, M.L., è nato a Kosaybé (Metn) il 10 marzo 1963. Dopo le scuole primarie al Collège des Apôtres a Jounieh, è entrato nel luglio 1981 nella Congregazione dei Missionari Libanesi Maroniti, dove ha emesso la professione perpetua il 26 settembre 1984. Ha compiuto gli studi istituzionali di filosofia e teologia all’Università Saint-Esprit di Kaslik ed è stato ordinato sacerdote il 20 luglio 1986. Trasferitosi negli Stati Uniti, ha ottenuto una licenza in gestione scolastica alla St. John Queiter University di New York (1990), ha poi seguito i corsi di dottorato alla Pepperdine University in California (1995-1997). Ha pubblicato diversi articoli nella rivista della sua Congregazione Al-Manarat e sul giornale dell’Eparchia Maronita di Los Angeles The Maronite Voice, quale membro del Consiglio di redazione. Ha, altresì, curato la traduzione in inglese dei testi arabi del Sinodo Maronita. Ha ricoperto diversi incarichi pastorali: catechista della scuola Saint Joseph di Byblos e cappellano di diversi movimenti apostolici e laicali (1986-1988); Rettore aggiunto della cattedrale Our Lady of Lebanon di Brooklyn (1988-1990); Parroco della chiesa St. George di San Antonio in Texas (1990-1994); Rettore della Cattedrale Our Lady of Mount Lebanon - St. Peter di Los Angeles (dal 1994); Protopresbitero; Membro del Consiglio Episcopale ed Economo della zona sud-ovest e nord-ovest della Eparchia Maronita di Los Angeles (dal 1995); Membro del Consiglio di Télé-Lumière America (dal 2001); Coordinatore del Tribunale ecclesiastico (dal 2001); Membro del Sexual Abuse Board (dal 2003); Membro dei Consigli Americani di aiuto alle scuole cattoliche e alla Caritas Liban (dal 2004). Parla oltre all’arabo, il francese e l’inglese; conosce l’italiano, il siriaco e lo spagnolo.

    Il Santo Padre ha nominato Vescovo Coadiutore della diocesi di Mamfe (Camerun) il Rev.do Andrew Nkea Fuanya, del clero di Buéa, Segretario Generale dell’Università Cattolica del Camerun. Il Rev.do Andrew Nkea Fuanya è nato il 29 agosto 1965 a Widikum, allora Diocesi di Buéa ed ora Arcidiocesi di Bamenda. Dopo aver completato gli studi primari nella scuola Christ the King a Tiko, il candidato ha proseguito gli studi secondari presso il Seminario Minore di Buéa, Bishop Rogan Minor Seminary. Ha studiato la Filosofia e la Teologia nel Seminario Maggiore Saint Thomas d’Aquin di Bamenda. È stato ordinato sacerdote il 22 aprile 1992 ed incardinato nella Diocesi di Buéa. Dopo l’Ordinazione ha svolto i seguenti incarichi: 1992-1993: Vicario parrocchiale di St. John Bosco, Bonge; 1993-1995: Parroco di St. Luke, Nyandong; 1995-1999: Segretario-Cancelliere della Diocesi; 1999-2003: Studi per il Dottorato in Diritto Canonico alla Pontificia Università Urbaniana, Roma; 2003-2007: Segretario-Cancelliere della Diocesi; 2007-2010: Professore e formatore nel Seminario Maggiore Interdiocesano Saint Thomas d’Aquin di Bamenda; dal 2010: Membro della Commissione per la Dottrina della Conferenza Episcopale Nazionale, Vicario Giudiziale del Tribunale Ecclesiastico della Provincia Ecclesiastica di Bamenda, Segretario Generale della Conferenza Episcopale della Provincia Ecclesiastica di Bamenda, Presidente dell’Associazione Nazionale Camerunense di Diritto Canonico, Segretario Generale della Catholic University of Cameroon.

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    Il cordoglio del Papa per il disastro ferroviario in Quebec, con 15 morti e 50 dispersi

    ◊   Una preghiera a Dio perché accolga “nella sua luce” coloro che sono morti e porti “aiuto e conforto” al “calvario” delle loro famiglie. Sono i sentimenti che Papa Francesco esprime, nel telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, nei riguardi delle vittime della tragedia avvenuta nello stato canadese del Quebec, nella notte tra venerdì 5 e sabato 6 luglio scorsi. Il deragliamento e la successiva esplosione di un treno-cisterna che trasportava 120 mila litri di petrolio verso gli Stati Uniti, avvenuti nella cittadina di Lac-Megantic, 250 km a est di Montreal, hanno causato un violento incendio che ha distrutto oltre 40 edifici, facendo almeno 15 morti e 50 dispersi. Il bilancio dei morti, secondo i soccorritori ancora al lavoro, sembra però destinato ad aggravarsi, come pure grave si profila il rischio di un disastro ambientale, con 100 mila litri di greggio che rischiano di finire nel fiume Saint-Laurent. (A cura di Alessandro De Carolis)

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    Tweet del Papa: se vogliamo seguire Cristo da vicino, non possiamo cercare una vita comoda

    ◊   Nel giorno in cui la Chiesa ricorda quattro donne martiri, il Papa ha lanciato questo tweet: “Se vogliamo seguire Cristo da vicino, non possiamo cercare una vita comoda e tranquilla. Sarà una vita impegnativa, ma piena di gioia”. Le Sante di cui oggi ricorre la memoria liturgica sono Rufina, Seconda, Anatolia e Vittoria: si tratta di quattro giovani romane del terzo secolo che non cedettero alle pressioni dei loro fidanzati pagani che volevano costringerle a rinnegare la fede cristiana. Denunciate all’autorità imperiale, dopo aver scelto di seguire una vita di consacrazione, furono barbaramente uccise. L'account @Pontifex in nove lingue ha superato i 7 milioni e 300 mila follower.

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    Tenerezza di Dio, Croce e preghiera: il commento di don Willy Volonté alle parole del Papa a seminaristi e novizie

    ◊   Nel cuore di tanti seminaristi e novizie riecheggiano ancora le parole che Papa Francesco ha rivolto loro durante il pellegrinaggio dei giorni scorsi a Roma. "La Chiesa - aveva detto il Papa - è la sposa di Cristo e voi siete i fidanzati di questa; rappresentate la primavera e la giovinezza della Chiesa in questo periodo della scoperta, della verifica e della formazione". Il Pontefice ha indicato, in particolare, tre elementi che caratterizzano la missione di chi è chiamato alla sequela Cristo: consolazione o tenerezza di Dio, Croce e preghiera. Ascoltiamo in proposito la riflessione di don Willy Volonté, rettore da circa 10 anni del Seminario diocesano San Carlo di Lugano in Svizzera, intervistato da Daniel Ienciui:

    R. – Il Papa ha intenzione di lanciare i seminaristi e i futuri consacrati nella missione. Bisogna, allora, dare una configurazione di questo missionario. E indica appunto queste tre sottolineature. La gioia della consolazione anzitutto. Lui dice che la missione non è un’impresa umana, fare delle cose: il compito di un consacrato è quello di andare a consolare il popolo del Signore, fargli sperimentare la tenerezza di Dio. E oggi l’uomo ha bisogno di sentirsi amato da Dio, di sentirsi compreso e incoraggiato. Chi lo può fare, se non chi ha già sperimentato in se stesso, con la sua umanità ferita che ha goduto già la consolazione di un Dio vicino? In fondo si comunica solo ciò che già si è sperimentato nella propria esistenza. Il futuro prete consacrato è una persona che ha già fatto l’esperienza di un Dio, che si è preso a cuore la propria vita. Lo constato tutte le volte, ogni giorno direi, come rettore in una casa di formazione, che è il seminario. I giovani che chiedono di entrare in seminario non sono diversi dai loro coetanei: sono anche loro portatori di questa mentalità corrente e anch’essi sono feriti da questa cultura del provvisorio. Hanno bisogno di fare anzitutto in loro stessi l’esperienza di un Dio che consola. Una volta fatto questo, possono portarlo agli altri.

    D. – Per quanto riguarda il secondo elemento elencato dal Papa, che è la Croce, cosa ci può dire?

    R. - “La Croce di Cristo, nella fecondità pastorale dell’annuncio evangelico, se non passa dal segno di donazione totale di sé, come quello di Cristo in Croce, non porta frutti”, dice il Papa. E il futuro presbitero consacrato deve imparare il senso di questo dono totale di sé e la sua misura ultima nel Cristo crocifisso risorto. Solo la Croce è l’imitazione di quel gesto salvifico e, quindi, rende sacra ogni azione pastorale. La paternità feconda di un pastore alla dimensione della Croce: “Io sono stato crocifisso con Cristo - ripete San Paolo – e porto con me e in me, nel mio corpo, le sue stigmate”. Quindi, il tempo del seminario, della casa di formazione, è il tempo che deve consentire al futuro consacrato di prendere la forma del Cristo crocifisso e glorioso. Questo tempo di formazione, dunque, è veramente un tempo di conversione, cioè di cambiamento radicale di mentalità.

    D. – Il terzo elemento è la preghiera...

    R. - La preghiera, che ha certamente forme di espressione esteriore, ma è prima ancora, e anzitutto, un rimanere permanentemente dentro lo sguardo di Dio. San Paolo diceva: “Io, in me, ho lo stesso sentire di Cristo”. La preghiera, quindi, è uno stato di vita, prima che essere un insieme espressivo, che pure è necessario. E la preghiera è anzitutto l’espressione di un’appartenenza, di un’appartenenza a Cristo. Allora, “senza preghiera, senza questo esistenziale modo d’essere non si può essere degli evangelizzatori, perché ci trasformeremmo in protagonisti, anziché essere solo discepoli”, dice il Papa.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Quella croce dai colori stinti delle barche: in prima pagina, Eugenio Mazzarella sul viaggio di Papa Francesco a Lampedusa. Sullo stesso tema, un'intervista di Mario Ponzi a Claudio Baglioni, che racconta la sua esperienza della visita.

    L’Egitto prova a voltare pagina: nel servizio internazionale, in primo piano la crisi nel Paese africano dopo giorni di sanguinose violenze.

    La storia vista sulle ali di una colomba: in cultura, Lucetta Scaraffia prende spunto dal libro dello scrittore inglese Charles Williams, “La discesa della colomba”, appena tradotto in italiano, per parlare della storia vista nella prospettiva dello Spirito Santo.

    Quando al poeta mancò il cuore: Inos Biffi sull'inno di san Benedetto di Paul Claudel.

    Ma chi informò il giornale vaticano?: Roberto Pertici sulla morte del bibliotecario ebreo Salomone Morpurgo, su cui il fascismo impose il silenzio stampa.

    Dalla Russia al popolo siriano: oltre sette milioni di rubli raccolti nella colletta della Chiesa ortodossa.

    I vescovi statunitensi e i diritti degli immigrati: senza sosta la campagna per l’approvazione definitiva della nuova legge federale.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto: consultazioni per il nuovo governo, il no dei Fratelli musulmani

    ◊   In Egitto oggi le consultazioni del premier ad interim, el Beblawi, per la formazione del nuovo governo che i Fratelli musulmani hanno già detto di non voler appoggiare. Intanto la giustizia egiziana ha ordinato l'arresto del leader della Fratellanza musulmana egiziana e di altri otto dirigenti del movimento islamico. Nella notte nuovo attacco degli integralisti a checkpoint del Sinai: due morti e 6 feriti. Della delicata fase che si vive in questi giorni in Egitto, Fausta Speranza ha parlato con Francesca Maria Corrao, ordinario di Lingua e Cultura Araba all'Università Luiss di Roma:

    R. - Credo che ci sia una forte determinazione da parte del popolo egiziano che sta sostenendo con continue manifestazioni pacifiche quello che i responsabili della politica e delle istituzioni stanno cercando di traghettare, ovvero un buon governo; poi c’è la garanzia che i militari siano in qualche modo controllati dalla piazza, perché la piazza continua a richiedere conferma della decisione presa già nel 2011 di avere una Costituzione e di rispettarla. Soprattutto, questa grande protesta contro Morsi e la sua politica è perché i Fratelli musulmani sono stati pesantemente coinvolti nell’utilizzo illecito di fondi pubblici e purtroppo in alcune stragi che sono state fatte. C’è un’importante dichiarazione da parte di 66 organizzazioni di diritti umani che denuncia processi ingiusti perpetrati in quest’ultimo anno dal governo Morsi.

    D. - C’è da pensare ad un governo senza la Fratellanza musulmana e con un accordo tra le varie opposizioni…

    R. - Credo che sia evidente che le opposizioni stiano lavorando molto bene insieme. Si evince dall’incarico dato a Beblawi che stanno andando incontro alle varie richieste: si era pensato ad un altro ex ministro delle Finanze, ma c’era stato il no da parte del partito Nour - quello dei salafiti - quindi si è lasciata cadere questa candidatura. Si sono invece incontrati favorevolmente sulla nomina di Beblawi. Sicuramente ci sono delle difficoltà ma c’è certamente una volontà di portare fuori il Paese dalla crisi economica e quindi di raggiungere una stabilità: avverto un senso di responsabilità e presa di coscienza molto importante da parte dell’opposizione. Questo è da tenere presente. L’Egitto ha fatto un passo decisivo nel 2011 e ha dimostrato di non volere tornare indietro: le manifestazioni da parte dell’opposizione al governo Morsi sono pacifiche, sono di massa e non è un colpo di Stato militare.

    D. - Quanto è delicata questa fase? Ce ne stiamo rendendo già conto ma forse non abbastanza…

    R. - E’ molto delicata: sappiamo che sul Sinai ci sono scontri - come già c’erano stati - perché da lì arrivano armi da Hamas, Hezbollah, ed ovviamente quello è un punto debole. Il Paese è però sicuramente deciso su una linea. Si può pensare di vedere soluzioni pacifiche se le potenze occidentali ed anche alcuni Stati arabi influenti si muovono in direzione di una soluzione pacifica, e se non danno spazio alle intemperanze di certi Fratelli musulmani: certi, perché poi non sono tutti così. Ricordo che Al-Qaradawi - che era il portavoce di Al Jazeera e dei Fratelli musulmani - che ha espresso le sue convinzioni molto conservatrici - è stato contestato dal figlio: Al-Qaradawi ha fatto una Fatwa in cui chiede che Morsi sia reintegrato, nel rispetto della Sharia. Vogliamo fare diventare la Sharia sacra? Fondamento della Costituzione in Egitto? C’è un’ambiguità che lo stesso figlio di Al-Qaradawi, in una lettera rispettosissima nei confronti del genitore, diceva di voler chiarire: chiedeva di distinguere tra quella che è l’opera dei giurisperiti di legge islamica e quella che è l’opera del legislatore costituzionale, che deve implementare leggi moderne seguendo le esigenze dell’economia e della società contemporanea.

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    Afghanistan: gli Stati Uniti pensano al ritiro totale delle truppe

    ◊   “Gli Stati Uniti stanno valutando ogni possibilità sul futuro delle loro truppe in Afghanistan”. Ad affermarlo è il portavoce della Casa Bianca Jay Carney, che non esclude per il 2014 anche l’”opzione zero”, cioè il ritiro totale dei contingenti militari. Intanto i talebani hanno chiuso l’ufficio che avevano aperto in Qatar per i colloqui di pace con Stati Uniti e il governo Karzai. Ma quali sarebbero le ripercussioni nel Paese del ritiro dei soldati americani? Michele Raviart lo ha chiesto a Marco Lombardi, professore all’Università Cattolica di Milano, appena rientrato da Kabul:

    R. - Parlando con gli afghani si dà per scontato che - opzione zero o non opzione zero - dall’anno prossimo, il grosso impatto sarà soprattutto sulla dimensione economica. La compagine internazionale ha creato un’economia fasulla, sovraccarica, evidentemente, di soldi e di beni che andranno via. Non si aspettano al contrario un impatto significativo sulla sicurezza, una sicurezza che già adesso si va deteriorando in maniera significativa.

    D. – In che cosa consiste questo deterioramento per le persone?

    R. - Siamo al ritmo, negli ultimi 40 giorni, a Kabul, di un attentato a settimana. Sicuramente anche all’interno dell’esercito ci sono dinamiche che non garantiscono l’affidabilità degli uomini che stiamo formando. Ci sono attentati da parte dei “blue”, esercito afghano, nei confronti dei “green”, i tutor internazionali, e sono in aumento. Ci sono episodi di diserzione e di abbandono dei posti da parte di uomini dell’esercito, portandosi via le armi, e quelle armi stanno tornando ai talebani.

    D. – Le istituzioni che sono state create con l’aiuto degli occidentali possono reggere un ritiro delle truppe?

    R. – Io credo che lo possano reggere, ma non lo possano però reggere da sole. Inevitabilmente, l’attesa di tutti è che ci sia una qualche forma di accordo tra il governo Karzai e quelli che chiamiamo talebani. Direi che questo è dato per scontato ancora una volta parlandone quotidianamente con la gente. L’aspetto problematico nei confronti del governo Karzai da parte del popolo è che è sentito come uno dei governi più corrotti.

    D. – Si attende un passo di conciliazione con i talebani, che però oggi hanno chiuso il loro ufficio in Qatar che si occupava dei contatti con gli Stati Uniti. E’ verosimile un ritorno militare dei talebani a Kabul?

    R. - Un ritorno dei talebani ci sarà sicuramente. Ci sarà negli accordi che comunque stanno prendendo con il governo Karzai. Quindi quello che probabilmente Karzai vuole, nei confronti dei talebani, è avere più controllo sui livelli di negoziazione e non concederlo tutto agli Stati Uniti. Karzai soffre un po’ la presenza statunitense e la vuole in maniera strettamente funzionale rispetto a una tutela che vuole nei confronti del Pakistan. Quindi, una tutela ai confini orientali, la vorrebbe funzionalmente affidata ancora agli americani.

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    Il Centrafrica sull'orlo di una catastrofe sanitaria: la denuncia di Msf

    ◊   Tre mesi dopo la presa del potere da parte delle forze Seleka, la Repubblica Centrafricana è nella morsa di una grave emergenza umanitaria, mentre la comunità internazionale assiste indifferente. La denuncia arriva da Medici senza Frontiere, che ha presentato un rapporto dal titolo: "La Repubblica Centrafricana abbandonata al proprio destino?". Salvatore Sabatino ha raggiunto nella capitale Bangui il capo-missione di Msf, Cristina Falconi:

    R. - La situazione in questo momento a Bangui, come nel resto del Paese, è di estrema precarietà sia politica che sanitaria. A livello umanitario c’è una carenza di strutture, ma oggi c’è soprattutto una carenza di presenza sul territorio anche a livello di Ministero della Salute, che possa dare anche quel minimo che prima esisteva e che oggi non esiste più.

    D. - Durante l’offensiva delle forze Seleka, ospedali e i centri sanitari sono stati saccheggiati ed il personale medico è fuggito. La situazione è rimasta tale?

    R. - In questo momento noi, come Medici senza Frontiere, siamo ritornati nei nostri ospedali da già più di due mesi, quindi subito qualche settimana dopo i saccheggi nelle varie zone del Paese. Fortunatamente siamo riusciti a garantire un’assistenza minima anche durante il periodo di crisi acuta. Nel resto del Paese purtroppo manca il personale, i centri sanitari sono vuoti, non ci sono più farmaci e la popolazione non ha più accesso alla salute e quindi di conseguenza la realtà sanitaria e nutrizionale è estremamente grave.

    D. - Infatti, i problemi maggiori riguardano la malnutrizione ed anche le malattie che in una situazione normale sarebbero abbastanza prevenibili. Parliamo soprattutto della malaria: c’è un aumento di questa patologia sul territorio…

    R. - Sì. Non abbiamo le cifre di tutto il territorio perché purtroppo non esiste un sistema di sorveglianza epidemiologica, però possiamo sicuramente confermare che c’è stato e c’è un aumento progressivo dei casi di malaria. Nelle nostre strutture sanitarie abbiamo trattato un 33% in più di casi di malaria rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Anche la nutrizione che è indubbiamente legata alla mancanza di soldi: la popolazione non ha il modo ed i mezzi per comprare i beni di prima necessità. Sono stati attaccati durante la crisi e tuttora purtroppo ci sono casi di furti e di attacchi alla popolazione da parte di persone armate. Questo non permette loro di comprare cibo necessario per sostenere la famiglia e quindi la malnutrizione aumenta.

    D. - Tra l’altro anche gli operatori di Medici senza Frontiere sono stati vittime di rapine e saccheggi negli ultimi mesi…

    R. - Sì, in particolar modo nella prima fase della crisi purtroppo la nostra organizzazione, il nostro staff - come anche le altre organizzazioni presenti sul territorio - sono state vittime di attacchi e di furti. Nonostante questo siamo riusciti a far ritornare il nostro staff medico e non medico nei vari progetti, nelle varie zone e siamo riusciti a riprendere l’attività per essere vicini alla popolazione.

    D. - Come diceva lei, ci sono anche problemi di risorse finanziarie: sono stati erogati solamente il 31% dei fondi che erano stati richiesti dalle Nazioni Unite per affrontare l’emergenza. Vuole lanciare un appello alla comunità internazionale?

    R. - Grazie dell’opportunità. È un Paese che è stato dimenticato fino a tre mesi fa ed oggi è ancora dimenticato, nonostante la crisi recente. Questo può comportare solo un peggioramento della situazione nel Paese. Chiediamo alle istituzioni internazionali, alla comunità internazionale di tornare o di venire in Centrafrica; di mandare il proprio personale non solo a Bangui - la capitale - ma di farlo arrivare nelle zone più decentrate dove i problemi sono evidenti. Ci servono delle risposte concrete.

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    Dopo il taglio di S&P reggono i mercati. Zamagni: subito agenzia di rating europea

    ◊   "Sono decisioni che possono destabilizzare": il ministro italiano dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, se la prende con le agenzie di rating dopo il declassamento subito ieri dall’Italia da parte di Standard and Poor’s. Bruxelles non commenta il giudizio di S&P, ma conferma la fiducia nei confronti dell’impegno italiano per la crescita. Intanto i mercati, nonostante il declassamento, a dispetto dei timori, non sono crollati. Francesca Sabatinelli ha intervistato l’economista Stefano Zamagni:

    R. – Il rating di Standard & Poor's, così come quello delle altre agenzie di valutazione, è basato sulle tendenze di medio e lungo termine: guardano i dati strutturali dell’economia di un Paese e arrivano a concludere in un modo o nell’altro. I mercati, invece, seguono un’ottica di breve termine: agli speculatori interessa l’andamento di breve termine dei valori di Borsa o dei titoli del debito pubblico e così via. Ecco perché non si è verificato lo scossone. In conclusione, il giudizio di Standard & Poor's dice: tu, Italia, guardando al medio e lungo termine, non riesci a superare la soglia critica, perché nonostante tutto non sei ancora riuscita a fare quelle tre, quattro riforme radicali di cui l’economia ha bisogno. I mercati, invece, guardano al breve termine e siccome ora la febbre speculativa, non solo sull’Italia, ma anche sugli altri Paesi, ha subìto una battuta d’arresto – perché la Bce, capitanata dal nostro Mario Draghi, sta facendo bene – ciò ha ulteriormente raffreddato il costo del denaro. Ecco allora perché la speculazione reagisce in questa maniera.

    D. – E allora professore, prendendo in prestito le parole del ministro Saccomanni, questa decisione di Standard & Poor's, non adeguatamente sostenuta da analisi condivise, cosa potrebbe destabilizzare?

    R. – Quello che Saccomanni vuol significare è quello che ormai sanno tutti: queste agenzie sono agenzie private: nessuno può interferire né obbligarle ad adottare un modello econometrico piuttosto che un altro. Questi giudizi di rating vengono basati su certi modelli, che si chiamano con nomi vari, ma che sono modelli di econometria. Ora, noi sappiamo che di modelli di econometria non ce n’è uno, ma ce ne sono tanti e, a seconda del modello che si usa, si hanno risultati diversi. Il punto è che occorrerebbe che in Europa si arrivasse ad avere una agenzia di valutazione. Se però i vari Saccomanni, così come gli altri prima di lui e coloro che verranno dopo di lui, continuano a lamentarsi e a non fare nulla in sede europea, è ovvio che non potremo risolvere queste difficoltà, perché queste agenzie non sono europee, sono americane... Ma è possibile che un continente come l’Europa non sia in grado di dare vita a una agenzia europea che, in quanto tale, avrebbe una conoscenza dei cosiddetti dati strutturali, dei fondamentali, migliore di chi opera su altri territori e che – diciamolo pure – ha altri interessi? E’ ovvio che queste agenzie private americane se devono dare un parere, dicono che la situazione americana è un bicchiere mezzo pieno e quella europea è un bicchiere mezzo vuoto. Ci vuole il pluralismo. Non possiamo fidarci di quel che dice una centrale di potere economico o un centro studi, anche qualora questo centro studi fosse qualificato, con persone in gamba. Ci vuole il pluralismo. Quindi, ecco perché occorrerebbe dare vita, in tempi rapidissimi, a una agenzia europea.

    D. – La “BBB” di Standard & Poor's indica quindi che sarebbe meglio non investire sul Paese Italia. Io le chiedo, professore: al di là del giudizio di Standard & Poor's, sull’Italia si può ancora investire?

    R. – Ma è ovvio. La gente non sa che in molti settori l’Italia occupa – per quanto riguarda le aziende del manifatturiero – posizioni di eccellenza, che superano quelle della Germania. Allora come si fa a dire “non conviene investire”, quando noi abbiamo non una, non due, ma decine e decine di imprese che sono leader o europee o addirittura mondiali? Dire di non investire vuol dire che c’è, da parte di questi analisti, l’interesse a far sì che gli investimenti vengano dirottati in altra direzione.

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    Rapporto Inail: in calo incidenti e morti sul lavoro, attenzione all'amianto

    ◊   Sono in calo gli incidenti sul lavoro. Secondo l’Inail, nel 2012 sono state 745 mila le denunce di infortuni, in calo del 9% sul 2011 e del 23% sul 2008. Diminuiscono anche i casi mortali: 790 contro gli 886 dello scorso anno. Per il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non bisogna abbassare la guardia sul fronte dei controlli. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Prosegue la tendenza in atto oramai da una decina di anni. Sono in calo in calo incidenti e morti sul lavoro. Brusca diminuzione anche del numero degli infortuni, sceso nel 2012 sotto quota 500mila. Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini:

    “In parte, questo è legato al ciclo economico, ma in realtà c’è una maggiore attenzione alla prevenzione e una maggiore attenzione alla sicurezza. Dobbiamo rafforzare tutto questo e le azioni messe in campo dall’Inail per utilizzare meglio i dati, per sviluppare l’intelligence in maniera tale da trovare più facilmente le imprese che non si adeguano. E per aiutare le imprese stesse si deve investire in sicurezza: sono tutte azioni che vanno nella direzione giusta”.

    Insomma, i controlli hanno effetto, nonostante l’Inail chieda un rafforzamento dell’organico e un maggior raccordo con le regioni. Infatti, è ancora forte la tentazione di non rispettare le regole. Per il presidente dell'Istituto, Massimo De Felice, quasi il 90% delle 23 mila aziende controllate dagli ispettori dell'Inail è risultata irregolare. E a questo va aggiunto che le denunce di malattie professionali sono crescite del 51% lo scorso anno. A preoccupare molto sono le patologie legate all’amianto. Più di 1.500 le denunce, e soprattutto quasi 350 morti. A marzo, è stato presentato un piano nazionale contro l’amianto, che prevede maggiori controlli delle Asl e più fondi per la ricerca.

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    Gioco d’azzardo: associazioni e parlamentari insieme per definire una legge quadro

    ◊   Definire con i parlamentari e i rappresentanti degli enti locali una proposta di legge quadro sulla regolamentazione del gioco d’azzardo in tutti i suoi aspetti e ripercussioni sociali. È l’obiettivo del cartello di associazioni del terzo settore - fra cui Acli, Adusbef, Auser, Cnca, Fict, Fondazione Pime, Gruppo Abele, Libera e Uisp – che si sono riunite ieri a Roma con esponenti politici di diversi schieramenti nella cornice della campagna nazionale contro i rischi del gioco d’azzardo, “Mettiamoci in Gioco”. Il servizio di Marco Guerra:

    Sostituzione del termine ‘ludopatia’ dagli atti pubblici con il termine di ‘gioco d‘azzardo patologico’; divieto di introdurre nuovi giochi con vincite in denaro; completare, entro due mesi, il percorso di inserimento del gioco d‘azzardo patologico nei Livelli essenziali d‘assistenza garantiti dallo Stato; istituzione di un fondo per la prevenzione, cura e riabilitazione finanziato per un terzo dalla riduzione delle somme destinate alle vincite, per un terzo dagli introiti dei concessionari e per un altro terzo dallo Stato; impedire l'accesso ai giochi da parte dei minorenni prevedendo l'obbligo di presentazione della tessera sanitaria. Queste le principali proposte elaborate dalle associazioni del terzo settore che animano la campagna contro i rischi del gioco d’azzardo “Mettiamoci in Gioco”. L’iniziativa ora è pronta a cooperare con un intergruppo parlamentare appena costituito per arrivare ad avere una legge quadro che regolamenti il settore. Sui motivi di questo impegno sentiamo Antonio Russo, responsabile del dipartimento legalità delle Acli:

    R. – L’Italia, a quanto pare, rischia di ammalarsi di gioco d’azzardo. Oggi, purtroppo, ci sono circa un milione di persone che hanno un problema, rispetto al gioco, di tipo patologico e il 2,2% della popolazione adulta italiana purtroppo soffre di questa malattia. Noi abbiamo contato un milione di persone circa, che oggi hanno bisogno di cure specifiche per questo. Alla luce di questa situazione, che muove degli interessi straordinari nel nostro Paese, questo cartello di organizzazioni ha deciso di mettersi insieme.

    D. – Non è bastato, quindi, il decreto Balduzzi...

    R. – Del decreto Balduzzi abbiamo apprezzato la capacità di introdurre il gioco d’azzardo patologico nei Livelli Essenziali di Assistenza, nei Lea. Crediamo, però, fondamentalmente, che ci sia bisogno di una legge quadro, che ordini questo settore. Bisogna modificare la legislazione vigente, soprattutto in alcuni aspetti. Oggi, nel nostro Paese, i sindaci non hanno poteri di controllo sulla diffusione e sull’utilizzo dei numerosi strumenti del gioco d’azzardo sui territori. Quindi, bisogna dare ai sindaci e alle amministrazioni comunali dei poteri effettivi. Oggi loro non possono neanche stabilire quale sia la distanza dalla sala nella quale sono contenuti questi giochi, queste slot machine, rispetto per esempio ad una parrocchia, rispetto ad una scuola. Ecco, noi riteniamo fondamentale che si riparta appunto da una legge quadro che possa ordinare questa materia.

    D. – Chiedete, fra l’altro, che si concluda il percorso di inserimento del gioco d’azzardo patologico nei Livelli Essenziali di Assistenza. Perché?

    R. – Il gioco d’azzardo è una patologia, come abbiamo detto. Sta succedendo, quindi, che le circa 800, 900 mila persone che sono malate di questa malattia non sempre oggi hanno dei punti di riferimento cui rivolgersi sui territori. Ma soprattutto non sono state previste all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza le sufficienti coperture, affinché il Servizio Sanitario Nazionale possa tutelare le persone che si ammalano di questa malattia. Bene, quindi, il decreto Balduzzi. Ora occorre, però, fare un passaggio successivo e prevedere appunto nei bilanci le coperture, in modo che si possa operare attraverso un meccanismo di prevenzione, perché è importante oggi spiegare ai cittadini italiani che di gioco d’azzardo ci si ammala - c’è già, infatti, chi si è ammalato di questo - e quindi c’è bisogno di cura e di ricerca. Riteniamo, dunque, che bisogna andare avanti certamente sulla strada che ha tracciato il ministro Balduzzi, ma che al momento non è assolutamente sufficiente.

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    Anno giubilare camilliano. Padre Chendi: “L’eredità di San Camillo è quella del Buon Samaritano”

    ◊   Al via i festeggiamenti per il 400.mo anniversario della morte di San Camillo de Lellis, patrono universale dei malati e di chi si occupa di loro, in vista del 14 luglio prossimo in cui si aprirà ufficialmente l’Anno giubilare camilliano. Oggi solenne triduo di preghiera al Santuario di Bucchianico, in provincia di Chieti, paese d’origine del Santo; nei giorni scorsi, nella chiesa di Santa Maddalena in Campo Marzio a Roma, è stata inaugurata l’urna monumentale che ne ospiterà le spoglie. Al microfono di Roberta Barbi, il padre camilliano Augusto Chendi, sottosegretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, racconta come ci si prepara all’evento:

    R. – Con uno spirito molto gioioso, perché la nascita al cielo del proprio fondatore è motivo di gioia per tutta la Chiesa, ma in modo particolare per coloro che ancora oggi ne seguono il carisma. Abbiamo da poco celebrato con un forte impegno il Capitolo generale e quindi è motivo anche di un rinnovato impegno nel vedere nella figura di San Camillo colui che ci guida e ci dà una testimonianza da reinterpretare ancora oggi a servizio degli infermi e al tempo stesso anche al servizio di coloro che si prendono cura dei malati, cioè di tutti coloro che vivono all’interno dell’ospedale sul territorio e anche coloro che con il volontariato seguono le persone ammalate a casa.

    D. - Gli ordini camilliani derivano, appunto, dalla spiritualità del Santo. Qual è la loro missione?

    R. - La missione dell’ordine dei Chierici Regolari ministri degli infermi - meglio conosciuti come Camilliani - è quello di rendere visibile oggi la tenerezza della misericordia di Cristo per coloro che sono afflitti da sofferenza, angustie e solitudine; al tempo stesso avere per gli operatori sanitari un “cuore di madre” in questa opera di carità.

    D. - Qual è l’attualità del carisma di San Camillo?

    R. - L’attualità l’abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni, nel senso che vediamo persone lacerate non soltanto nel fisico ma anche nel cuore, nei sentimenti, nella coscienza. Dobbiamo prenderci cura di queste persone in modo globale - una parola ormai consueta - una visione olistica della persona che comporta un’assistenza complessiva, umana, spirituale, morale, fisica, della persona ammalata. Al tempo stesso trovare anche dei modi perché il malato, in qualunque manifestazione esso si presenti, sia sempre al centro delle attenzioni del mondo sanitario e anche del mondo politico, senza emarginazioni e senza compromessi soprattutto dal punto di vista economico, finanziario.

    D. - San Camillo che eredità lascia agli uomini di oggi?

    R. - Lascia l’eredità del Vangelo, ovvero, del buon samaritano che ancora oggi - con coerenza, professionalità, con tanto amore e disponibilità - sa chinarsi sul prossimo sofferente, abbandonato e solo. Questa è la sua grande eredità.

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    Lampedusa: Terre des Hommes offre aiuto psicosociale a minori e famiglie profughi

    ◊   Dopo la "pausa" portata dalla visita e dalle parole di Papa Francesco, l'isola di Lampedusa torna a fare i conti con le consuete difficoltà legate all'affluso massiccio di immigrati sulle sue coste. Dopo gli ultimi arrivi, il Centro di accoglienza conta 590 persone, a fronte delle 250 in grado di ospitarne. Sul posto, diverse sono le iniziative attivate dalle organizzazioni che assistono i profughi, come quella avviata da "Terre des Hommes" che nel Centro di prima accoglienza di Contrada Imbriàcola offre un nuovo servizio di sostegno psicologico ai minori e alle loro famiglie. Di questo progetto, denominato "Faro", Federica Giannotta, responsabile dei diritti dei bambini, parla al microfono di Maria Cristina Montagnaro:

    R. – Gli obiettivi sono di garantire un supporto psicologico e un’assistenza psicosociale ai minori migranti, che arrivano soli a Lampedusa e che vengono accolti nel centro di Imbriacola. In aggiunta, il servizio è offerto anche alle donne con bambini e alle famiglie con bambini, che arrivano con minori sull’isola.

    D. – Quali sono le condizioni in cui vivono i minori nel Centro di prima accoglienza?

    R. – Quando il Centro si trova in una situazione di sovraffollamento, come ora, le condizioni non sono sicuramente quelle adeguate all’accoglienza di un minore, ma non lo sono nemmeno all’accoglienza di un adulto. In particolare, i minori sono naturalmente più vulnerabili, quindi non sono accolti in una situazione che dal punto di vista logistico, igienico-sanitario e di supporto risponde a quei servizi fondamentali che un’accoglienza dovrebbe garantire. Non è, comunque, una struttura dove il minore dovrebbe restare più di 48 ore, per il tempo strettamente necessario alla sua mera identificazione, al suo immediato soccorso e poi al suo trasferimento.

    D. – Di che cosa hanno bisogno i minori?

    R. – Di cercare una finestra di minima tranquillità, per recuperare quelle forze, quella serenità, che serve poi per quello che li aspetta in un successivo momento. Questo significa che, in primo luogo, devono essere aiutati per esempio a decodificare sintomi o manifestazioni, che possano svilupparsi a livello fisico od emotivo, dovute allo stress, alla paura del viaggio che hanno affrontato. Siamo molto attenti però – e questo va sottolineato – a non offrire un percorso terapeutico e siamo molto consapevoli del fatto che le persone stanno lì per un brevissimo tempo.

    D. – Un intervento di pronto soccorso, possiamo dire...

    R. – E’ un intervento di pronto soccorso di tipo psicologico-psicosociale. La persona, carica di tutta una serie di emozioni, di stress, di paure, che si possono manifestare anche dal punto di vista fisico, viene subito affiancata da una persona che la aiuta a gestire tutto questo.

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    AppStore compie 5 anni: migliaia di applicazioni aiutano o complicano la vita?

    ◊   Cinque anni fa, il 10 luglio 2008, nasceva AppStore, il negozio virtuale dove acquistare applicazioni da scaricare su smarthphone e altri dispositivi mobili come i tablet. Un anniversario non per fare pubblicità alla Apple – affiancata in questo tipo di commercio da altri distributori di applicazioni – ma per riflettere su un fenomeno che ha rivoluzionato la vita di miliardi di persone, che tutti i giorni scaricano applicazioni di ogni tipo. Roberta Gisotti ha intervistato Fabio Pasqualetti, esperto di nuove tecnologie, docente alla Pontificia Università Salesiana:

    Prof. Pasqualetti, tutte queste applicazioni - ben 50 miliardi quelle scaricate da Apple Store, che ne propone 900 mila - sono necessarie o utili per la nostra vita o sono piuttosto bisogni indotti?

    R. – Bisogna riconoscere che molte di queste siano necessarie e importanti: sono quelle applicazioni che hanno espanso la potenza dei nostri cellulari, ci permettono funzioni utili come ad esempio il ritrovamento di una via, l’orario ferroviario, la traduzione di lingue, operazioni matematiche e via dicendo. Sono infinite perché spaziano in tutto il campo del sapere. Ovviamente, poi ci sono anche quelle di intrattenimento. Io credo sia una realtà che è cambiata così velocemente che è difficile da diagnosticare con accuratezza. Certamente, la Apple ha capito che c’era bisogno di semplificare la vita per rendere questi supporti mobili utili alle persone. L’antico rapporto uomo-macchina, dove bisognava sapere codici, linguaggi informatici, sparisce in un’interfaccia che viene definita "amichevole", friendly, in cui le persone, anche quelle meno dotate, possono capire e con pochi gesti arrivare alla funzione che vogliono utilizzare. Per cui, la riflessione che potremmo fare è su questa iper-tecnologizzazione che sta avvenendo soprattutto nel mondo occidentale. Ricordiamoci, infatti, che anche se le cifre sono grandi, ci sono due terzi della popolazione mondiale che non sa nemmeno cosa siano queste cose, anzi hanno problemi di acqua e di elettricità molto più fondamentali che non questo. Però, noi interagiamo sempre di più con le macchine.

    D. - Un altro punto però è che dietro la vendita, la distribuzione di questa applicazione, c’è anche un giro d’affari: un giro d’affari che a tutt’oggi è in mano a pochi soggetti, che quindi possono decidere della vita delle persone proponendo consumi e stili di vita…

    D. – Sì, ci sono molte problematiche dietro questi oggetti di "culto". Ad esempio, vari componenti di questi oggetti, in particolare dei telefonini, devono essere fatti con quelle che vengono tecnicamente chiamate “terre rare”, che sono degli elementi chimici la cui produzione provoca anche a volte inquinamenti, radiazioni e via dicendo, e di solito vengono prodotti in Paesi dove la legislazione e il controllo sul lavoro sono molto più bassi. Abbiamo saputo delle polemiche che ci sono state con le fabbriche in Cina della Apple. Ma non è solo Apple, anche Microsoft e tanti altri usano questo lavoro a basso costo per soddisfare le nostre esigenze di popoli occidentali. Ciò che, secondo me, a volte è un po’ scandaloso è la vita di questi supporti: ogni anno ci si presenta un nuovo modello molto attraente, molto suggestivo, che stimola le fantasie e le aspettative per cui la gente è indotta a cambiare il proprio cellulare, il proprio smartphone, il proprio computer. Questo con tutto una serie di problemi di smaltimento di tutta la produzione e di impatto ambientale che stanno alle spalle.

    D. - L’importante è che si ragioni sempre su quello che si fa, ma non possiamo sempre aspettarci che in generale la gente abbia coscienza, e anche la capacità, di poter cambiare il corso delle cose. Quindi, forse, anche la politica va interpellata in questo senso…

    R. – Assolutamente sì. Ci dovrebbe essere un ripensamento globale dell’economia proprio perché stiamo vedendo che la globalizzazione così com’è non sta funzionando molto bene. Credo si debba ripensare la concezione stessa di lavoro ma anche di vita, di qualità della vita. Probabilmente, bisognerebbe entrare in quell’ottica di sobrietà, sposare concetti come decrescita, che non vuol dire andare indietro ma dare valore alle cose che hanno importanza. Magari accontentarsi di meno, ridistribuire di più la ricchezza, lavorare di più sul locale, essere capaci di gioire di altri fattori che non siano solo oggetti.

    D. – Quindi, anche di non farsi stordire dalla Rete?

    R. – La Rete è una grandissima opportunità. Mai come oggi abbiamo avuto uno strumento a portata di mano che ci permette di accedere ad informazioni, a conoscenze. Però, l’intelligenza della rete dipende anche dall’intelligenza con cui la si usa. L’intelligenza non è mai data per scontata, bisogna acquisirla con responsabilità, sviluppare l’attenzione ad esempio. Oggi, si può dire che c’è una tendenza a essere distratti dalla velocità dei cambiamenti delle cose, soprattutto anche dallo stesso modo con cui funziona la rete, che spinge sempre a passare da un link all’altro molto velocemente. Questo è molto comodo, è molto interessante, ma noi abbiamo bisogno, non solo di elaborare dati ma di ripensarli, quindi di rimuginarli. Il nostro cervello funziona non come un processore che fa passare una sequenza di numeri ma abbiamo bisogno di simbolizzare, di capire, di approfondire e questo ovviamente richiede più tempo.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Togo: accordo governo-opposizione con la mediazione della Chiesa. Elezioni il 25 luglio

    ◊   Si terranno il 25 luglio invece che il 21 le elezioni legislative in Togo, mentre la campagna elettorale si concluderà il 23. La nuova data del voto è stata annunciata al termine di un dialogo politico concluso ieri a Lomé con la firma di un accordo tra l’esecutivo, la Coalizione Arcobaleno e il Collettivo Salviamo il Togo (Cst). I negoziati, aperti lo scorso 14 giugno, sono stati mediati da mons. Nicodème Barrigah-Benissan, vescovo di Atakpamé e presidente della Commissione verità, giustizia e riconciliazione (Cvjr), e dall’ambasciatore degli Stati Uniti in Togo, Robert Whitehead. Secondo i mediatori, l’intesa “dà maggiori garanzie per un voto pacifico e sereno”. Scarcerazione provvisoria di tutte le persone detenute e revoca delle restrizioni imposte ad alcune personalità politiche incriminate nell’ambito dell’inchiesta sugli incendi ai mercati di Lomé e Kara dello scorso gennaio, proroga della scadenza di presentazione delle candidature e maggiore rappresentanza dell’opposizione nei seggi elettorali e nelle commissioni locali della Ceni: sono questi i punti salienti dell’accordo. Il 25 luglio quasi 3,1 milioni di togolesi potranno eleggere 91 deputati nelle 30 circoscrizioni in cui il Paese è suddiviso. In realtà le legislative erano previste nove mesi fa ma sono state rinviate a causa di tensioni politiche e proteste indette dalla Coalizione Arcobaleno e dal Collettivo Salviamo il Togo, che denunciavano un processo “poco trasparente” teso a favorire il presidente Faure Gnassingbé e il suo partito, l’Unione per la Repubblica (Unir). A questo punto anche le due forze di opposizione svolgeranno la propria campagna elettorale, aperta lo scorso 5 luglio. “25 Luglio, Unir unisce per vincere” è lo slogan scelto dal partito di Gnassingbé, l’unico in lizza nelle 30 circoscrizioni. Ai dibattiti sta già partecipando attivamente l’Unione delle forze di cambiamento (Ufc), il partito dello storico oppositore Gilchrist Olympio entrato a far parte del governo di “larghe intese” voluto dal presidente Gnassingbé dopo la sua riconferma alla guida del Paese nel 2010. Finora la campagna elettorale si sta svolgendo nella calma, ma nei giorni scorsi vescovi togolesi, società civile e difensori dei diritti umani hanno espresso “preoccupazione” per il malcontento diffuso, crescenti tensioni che “minacciano la pace sociale” e che potrebbero degenerare in occasione del voto. Dalla indipendenza raggiunta nel 1958, la piccola ex colonia francese è stata di frequente teatro di violenze politiche ed elettorali, che durante le presidenziali del 2005 hanno causato centinaia di vittime e migliaia di sfollati. (R.P.)

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    Vescovi africani: riunione a Kinshasa su riconciliazione, giustizia e pace

    ◊   “La Chiesa famiglia di Dio in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. È questo il tema dell’Assemblea plenaria del Simposio delle Conferenze Episcopali d’Africa e Madagascar (Secam), che si è aperta ieri a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo (Rdc). All’evento, che si concluderà il 16 luglio, partecipano un centinaio di vescovi provenienti da tutto il continente. Nello spiegare come la Chiesa cattolica promuove la pace alla luce dell’insegnamento evangelico, il card. Théodore Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar, vice presidente del Secam, ha affermato “cerchiamo di capire come rafforzare le azioni condotte, come migliorare i metodi, e ampliare i contatti perché i risultati siano visibili in tutti i Paesi. Ci sentiamo profondamente chiamati a continuare i nostri sforzi perché la pace è sempre compromessa”. Il Ministro dell’Interno della Rdc, Richard Muyej, che ha rappresentato il Capo dello Stato alla cerimonia di apertura dell’Assemblea, si è detto felice che l’evento avvenga a Kinshasa nel momento in cui “la Rdc è aggredita nella sua parte est, provocando migliaia di sfollati”. (R.P.)

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    Australia: i giovani accolgono l’appello del Papa alla compassione verso i migranti

    ◊   Un grido di “compassione” verso i migranti e i richiedenti asilo, soprattutto verso i bambini: lo lancia, accogliendo l’appello di papa Francesco a Lampedusa, l’associazione “Australian Young Christian Students” (Aycs), chiedendo alla politica di dare particolare attenzione ai bambini attualmente “confinati” in campi di accoglienza e detenzione, in accordo al sistema di immigrazione vigente in Australia. Come riferisce un comunicato inviato all'agenzia Fides, la Aycs ha alzato la voce dopo la visita di Papa Francesco a Lampedusa, che ha riportato l’attenzione internazionale sul fenomeno della migrazione e sulle sofferenze immani dei migranti. In Australia la questione è molto sentita ed è al centro di un vivace dibattito pubblico. “I bambini sono particolarmente vulnerabili e sono giunti in Australia in cerca di aiuto”, afferma la nota di Aycs inviata a Fides. “Resta di vitale importanza per la loro salute e benessere che i bambini e le loro famiglie non siano sottoposti a lunghi periodi di detenzione”. Un recente rapporto di “Human Rights Watch rivela che, nei flussi migratori che interessano il sud-est asiatico e l’area del Pacifico, di frequente i minori e i loro genitori vengono arbitrariamente arrestati, in Paesi come Indonesia e Malaysia, e sono vittime di gravi abusi. I bambini che approdano in Australia, dunque, “cercano la stabilità e la sicurezza che tutti i bambini meritano”, rileva l’Associazione dei giovani cristiani, invitando al “pieno rispetto del diritto internazionale”. Di recente oltre 8.000 studenti delle scuole superiori in tutta l'Australia hanno fatto esperienza di volontario in campi di detenzione per immigrati, riattivati in Australia a partire dal 1992 per tutti gli immigrati che arrivano nel Paese senza un visto. (R.P.)

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    Coree: ripartono i colloqui "distensivi" fra Seoul e Pyongyang

    ◊   Dopo tre mesi e mezzo di stallo, il governo della Corea del Nord ha ripreso i colloqui con il Sud per "normalizzare" la situazione di Kaesong, il complesso industriale intercoreano chiuso di imperio dal regime lo scorso aprile dopo un mese di altissima tensione militare. Il regime dei Kim - riporta l'agenzia AsiaNews - spera di far ripartire il prima possibile i lavori, che danno occupazione e salario a 53mila persone. Sun Ho, capo delegazione di Seoul, ha portato con sé circa 100 persone nell'area. I colloqui sono partiti in mattinata e dureranno "il tempo necessario" per trovare un accordo condiviso. Un funzionario del ministero dell'Unificazione spiega: "Abbiamo fatto il primo passo, ma è chiaro che la parte difficile inizia ora". La Casa Blu - sede del governo di Seoul - ha sottolineato che Pyongyang "deve assumersi le proprie responsabilità". Il punto principale da chiarire è l'operatività dell'area, dove sono impegnate circa 120 industrie del Sud. Sun Ho, dopo aver annunciato la ripresa dei colloqui, ha aggiunto: "Vogliamo assicurazioni sul fatto che non ci saranno più azioni unilaterali che mettano a rischio il lavoro di Kaesong. Abbiamo già subito danni considerevoli e non ne vogliamo altri". Da parte sua il capo-delegazione del Nord, Park Chol-su, ha concluso: "Spero che i lavori ripartano presto. Sta piovendo moltissimo e sono preoccupato per le forniture e i materiali presenti nelle fabbriche". (R.P.)

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    Colombia: i vescovi invitano le Farc a rispettare gli accordi con il governo

    ◊   L’iniziazione cristiana nella fede, la realtà nazionale e il dialogo di pace sono i temi centrali dell’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale colombiana iniziata, ieri, a Bogotà, con la partecipazione del nunzio apostolico, l’arcivescovo Ettore Balestrero. Aprendo i lavori, l’arcivescovo di Bogotà e presidente dell’episcopato, card. Rubén Salazar Gómez, ha ribadito l’impegno della chiesa colombiana nel dialogo di pace che si svolge a L’Avana tra il governo e la guerriglia delle Farc. “Questo dialogo è stato preceduto da alcune leggi fondamentali per agevolare un cambio sociale profondo” ha detto il porporato colombiano, in riferimento a nuove normative come il risarcimento alle vittime o la restituzione delle terre affinchè facilitino la convivenza sociale e aprano le strade ad una vera pace nel Paese. Inoltre il card. Salazar ha manifestato la sua preoccupazione per i cambiamenti che la guerriglia delle Farc vorrebbero introdurre nei negoziati di pace e che non sono stati concordati nell’accordo iniziale con il governo, tra i quali il tipo di Stato, il tipo di economia e le relazioni internazionali che dovrebbe avere Colombia. “Questi argomenti non sono stati inclusi nell’accordo per l’inizio dei negoziati fra il governo e la guerriglia perchè, l’obiettivo è sempre stato la conclusione del conflitto armato” ha affermato il presidente dell’episcopato che comunque ha riconosciuto che una volta raggiunta la convivenza pacifica, bisognerà dare spazio al processo democratico e ai dibattiti sulla politica nazionale e internazionale del Paese. Nella sua prolusione, il card. Salazar ha fatto un’ampia riflessione sulla necessità di un’efficace iniziazione cristiana e un’educazione alla fede integrale perchè saranno queste le basi per introdurre una vera e propria azione pastorale che porti la comunità cristiana a una maturazione della propria fede nel contesto della nuova evangelizzazione. Proprio su questo tema si è centrato il discorso del nunzio apostolico, mons. Ettore Balestrero. “E’ indispensabile portare il Vangelo a tutti i settori della società, in particolare, a quelli più esposti alle mentalità contrarie alla dignità dell’uomo” ha detto l’arcivescovo che ha ricordato però che la nuova evangelizzazione è frutto dell’azione di Dio e non unicamente di un piano umano. Infine, ha sottolineato la positiva vitalità della chiesa colombiana e la rigogliosa abbondanza di vocazioni sacerdotali e religiose. L’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale colombiana si concluderà venerdì prossimo. (A cura di Alina Tufani)

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    Colombia: la Chiesa chiede attenzione per i campesinos

    ◊   “È chiaro che il governo deve guardare al Catatumbo, occorre far partire un programma a lungo raggio per questa regione” ha detto ai giornalisti il card. Rubén Salazar, presidente della Conferenza episcopale della Colombia, riferendosi all’agitazione dei ‘campesinos’ nell’area nord-orientale del Paese cominciata il 10 giugno e che ha contato finora quattro vittime fra i contadini. Il card. Salazar ha aperto la 95.ma Assemblea plenaria dell’episcopato colombiano ricordando di essere stato amministratore apostolico del Catatumbo e di conseguenza di aver conosciuto profondamente “il ritardo infinito in cui versa” la regione. I ‘campesinos’ - riferisce l'agenzia Misna - sopravvivono grazie alla coltivazione della coca contro la quale il governo conduce da tempo una battaglia frontale ma senza garantire loro un’alternativa di sussistenza, mentre proliferano le piantagioni di palma da olio africana a detrimento dell’agricoltura familiare e dell’ambiente. Lo sciopero indetto dai contadini, ha detto ancora il porporato, “sta provocando gravissimi danni alla gente” facendo sì che nel Catatumbo si viva una “emergenza a ogni livello”. Anche l’arcivescovo di Tunja, mons. Luis Augusto Castro, ha auspicato dal governo “una risposta sociale e non solo militare” per una regione che – ha sottolineato – richiede “soluzioni chiare e che aiutino a compiere un salto di qualità”. I ‘campesinos’ chiedono la sospensione delle operazioni di sradicamento delle coltivazioni di coca e l’instaurazione di Zone di riserva contadina (Zrc) che garantiscano loro il diritto a dedicarsi alle attività agricole e mettano fine ai programmi di sfruttamento minerario, energetico e agroindustriale; un impegno che il governo si era assunto già tre anni fa. La protesta coinvolge migliaia di contadini mobilitati nel comune di Ocaña, seconda città della regione, e nell’area petrolifera di Tibú. Il governo ha annunciato l’invio di due commissioni di alto livello sul terreno per tentare di trovare una soluzione negoziata alla crisi. Il 3 luglio l’intero settore agro-zootecnico colombiano ha approvato la convocazione di uno sciopero nazionale per il prossimo 19 agosto per reclamare attenzione dal governo. (R.P)

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    Costa Rica: i vescovi contro il progetto di legge che mira a legalizzare le unioni gay

    ◊   I vescovi del Costa Rica - tramite una nota firmata dal presidente Oscar Fernandez Guillén, vescovo di Puntarenas - criticano il progetto di legge per riformare la “Legge sulla persona giovane”, per la “confusione” generata dalle “diverse interpretazioni” sul matrimonio e la complementarità tra i sessi. Rivolgendosi alla presidente della Repubblica, ai deputati e ai giudici, i vescovi ricordano la posizione della Chiesa cattolica sul matrimonio, “che esiste unicamente tra due persone di sesso opposto”. Nel progetto di legge - riporta l'agenzia Sir - si parla del “diritto al riconoscimento, senza discriminazioni contrarie alla dignità umana, degli effetti sociali e patrimoniali delle unioni di fatto”. Citando diversi articoli e leggi ancora vigenti, i vescovi sottolineano che il progetto legislativo non è conciliabile con l’articolo 14 del Codice di famiglia, il quale “stabilisce legalmente impossibile il matrimonio tra persone dello stesso sesso e di un minore di 15 anni”. Perciò invitano le più alte autorità dello Stato “a difendere i principi costituzionali”, perché “il matrimonio tra un uomo e una donna è la base essenziale della famiglia, elemento naturale e fondamentale della società”. Concludono esprimendo “profondo rispetto alle persone omosessuali, nonostante questo rispetto non possa in alcun modo portare all’approvazione del comportamento né alla legalizzazione delle unioni omosessuali”. (R.P.)

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    Ecuador: allarme della Chiesa sulla nuova normativa sul consumo di droga. Il Paese è diviso

    ◊   "Non si doveva presentare la nuova legislazione dell'uso della droga, senza lanciare una campagna aggressiva di prevenzione attraverso i media", ha detto l’amministratore apostolico di Esmeraldas mons. Eugenio Arellano Fernández, commentando la nuova regolamentazione presentata dal Consiglio nazionale di sostanze psicotropiche (Consep). Secondo mons. Arellano - riferisce l'agenzia Fides - questo tipo di azione porterà alla depenalizzazione delle droghe, rappresentando un grande pericolo per i giovani, perché gli adolescenti, purtroppo non cercano rifugio nella famiglia, ma in altri luoghi, come nelle strade e nelle bande. "La normativa lanciata in questo modo, non è di grande aiuto, ora bisogna allertare tutti, in modo speciale attraverso le scuole, sulle conseguenze negative delle sostanze psicotrope", ha detto mons. Arellano. Nella nota inviata all'agenzia Fides da una fonte locale, si apprende che la comunità nazionale è divisa al riguardo. Secondo coloro che sostengono la nuova normativa del governo, questa disposizione eviterà di riempire le carceri di giovani tossicodipendenti che dovranno cercare una cura nell’ambito clinico-sanitario. Coloro che sono contrari all’uso delle droghe affermano che la normativa porterà all’aumento indiscriminato dello spaccio al dettaglio delle droghe. La nuova regolamentazione stabilisce le quantità massime ammesse per il possesso e consumo personale di droga, per non criminalizzare il consumo di stupefacenti. (R.P.)

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    Slovacchia: Messaggio dei vescovi su gender e unioni alternative

    ◊   La Conferenza episcopale slovacca ha recentemente approvato un comunicato sulle questioni di genere. Nel messaggio si legge che le statistiche attuali mostrano che la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna è vista dalla maggior parte dei giovani come una delle più grandi priorità. Tuttavia, nonostante la sua importanza, essa continua a essere “minacciata e ridicolizzata da una cultura alternativa” che la vede solo come una sorta di “reliquia del passato”. Secondo il comunicato ripreso dall'agenzia Sir, abbracciando l’ideologia edonista e materialista e la cosiddetta ideologia di genere, la gente entra in uno “stato di confusione per quanto riguarda la propria identità e perde la capacità di capire chi è veramente”. I bambini, sin dalla loro infanzia, sono condizionati dalle informazioni che ricevono sull’esistenza di forme alternative di unione. Per questo “invitiamo tutti i cattolici e le persone di buona volontà a impegnarsi per il rinnovamento del valore e della cultura della famiglia, affinché possa continuare a essere insostituibile per la nostra vita e società”, concludono i prelati, sottolineando che il matrimonio, inteso come legame tra un uomo e una donna, non è “un retaggio del passato” ma “un’istituzione fondamentale della società civile contemporanea”. (R.P.)

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    Vietnam: visita del rappresentante pontificio alle suore della diocesi di Bui Chu

    ◊   "Quella delle suore di Bui Chu è una vita preziosa, per la Chiesa e per la società intera, perché basata sulla preghiera e sul servizio ai poveri e ai malati": è il riconoscimento di mons. Leopoldo Girelli, rappresentante pontificio non residente in Vietnam, alla Congregazione delle Figlie di Nostra Signora del Rosario di Bui Chu, che il prelato ha visitato domenica scorsa. Bui Chu è il territorio dove il cristianesimo fu introdotto in Vietnam, nel 1533, dai missionari stranieri. Come riferito all'agenzia Fides dalla Chiesa locale, il nunzio si è recato nella diocesi più antica del Vietnam, Bui Chu, a sudest di Hanoi, dove vivono circa 400mila fedeli cattolici, come segno di un “ritorno alle radici della fede”, nell’ambito delle celebrazioni per l’Anno della Fede. Mons. Girelli, accompagnato dal vescovo di Bui Chu, mons. Joseph Van Tiem Hoang, ha fatto visita alle suore, particolarmente impegnate, a servizio della Chiesa locale, nell’istruzione e nella carità. La Superiora, suor Imelda Vu Thi Tuoi, ha espresso felicità e gratitudine per la presenza dell’inviato del Papa, ricordando la storia della Congregazione, nata nel 1946. Il nunzio ha espresso gioia e compiacimento “per le tante vocazioni nella congregazione, segno che esistono molte giovani, piene di vita, che desiderano impegnarsi generosamente a servire Dio e il prossimo”. Mons. Girelli ha invitato le religiose a “vivere sull'esempio di Maria, pronte a testimoniare che la via per essere vicini a Di è servire i poveri”, ricordando le parole di Papa Francesco. Il nunzio ha anche visitato l’orfanotrofio e la clinica gestita dalle suore, incoraggiando i malati dicendo loro “Dio vi ama e Dio non vi abbandonerà”, benedicendo i bambini e i sofferenti, portando a tutti la benedizione e la vicinanza di Papa Francesco. (R.P.)

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    India: è ancora emergenza alluvioni. Timori per i dispersi

    ◊   Ancora piogge forti, insistenti sulle regioni dell’India settentrionale già devastate il 16 giugno da precipitazioni eccezionali che hanno provocato ufficialmente la morte di 1.200 persone (con stime locali che arrivano a 10.000 nel solo Stato di Uttarakhand), 120.000 senzatetto e gravi distruzioni. Resta tuttavia una grave incertezza sul numero dei dispersi. La stima governativa di 4.000 è stata superata dai dati sulle denunce di scomparsa che la polizia sta raccogliendo in diversi Stati colpiti (Uttarakhand, Himachal Pradesh, Utar Pradesh), ma dati più certi si avranno nelle prossime settimane. Alcune organizzazioni non governative riferiscono di 11.600 dispersi, considerando anche categorie, come i pellegrini o i migranti per lavoro, finora escluse dal conto ufficiale. Secondo le autorità - riferisce l'agenzia Misna - sono circa 110.000 coloro che sono stati salvati grazie a una massiccia operazione di soccorso, condotta in buona parte con elicotteri militari; molte operazioni, d’altra parte, sono in corso in regioni dove ancora restano gruppi isolati. La ricostruzione delle vie d’accesso alle aree montane è stata avviata, ma l’uso di velivoli senza pilota resta indispensabile per accertare che nessuno sia escluso dai soccorsi. Il Paese si interroga ora sulla sua preparazione davanti a eventi di questo genere. Anche a livello ufficiale è stata ammessa la necessità di ristrutturare l’intera organizzazione dei soccorsi d’emergenza, oltre che di migliorare la capacità di previsione di eventi naturali disastrosi. Le piogge monsoniche che hanno devastato in particolare l’Uttarakhand, meta di un gran numero di pellegrini per i suoi tanti luoghi considerati tra i più importanti per la tradizione induista, sono state le più consistenti degli ultimi 60 anni. (R.P.)

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    Israele: per gli scioperi al Ministero degli esteri, pellegrini di Terra Santa senza visto

    ◊   Lo sciopero che da tre mesi domina al Ministero degli esteri israeliano e a tutte le rappresentanze diplomatiche di Israele nel mondo, colpisce anche molti pellegrini di Terra Santa che non riescono ad ottenere alcun visto di ingresso. Alcune suore indonesiane e diversi cattolici cinesi - riferisce l'agenzia AsiaNews - non riescono a ricevere il visto da nessuna ambasciata o consolato israeliano. Ma i pellegrini sono solo l'ultimo gruppo di una lunga lista di "vittime". I giochi del Maccabiah, un raduno sportivo internazionale di due settimane, che quest'anno comincia al 18 luglio, mancheranno di decine di atleti, impossibilitati a ricevere il visto per entrare nel Paese. Gli atleti colpiti provengono da almeno 14 nazioni: Armenia, Aruba, Azerbaijian, Bielorussia, Bosnia, Georgia, Guinea-Bissau, India, Kazakistan, Kirghizistan, Nicaragua, Ucraina, Uzbekistan. Anche ebrei della diaspora che avevano pianificato di compiere l'aliyah (il pellegrinaggio e il ritorno nella terra di Israele) sono in attesa della riapertura delle ambasciate israeliane nel mondo. Tutto è cominciato tre mesi fa con una richiesta di incremento di salario per i diplomatici (il cui stipendio medio è di 2300 dollari Usa, dopo 15 anni di servizio) e di un compenso per le loro mogli, costrette spesso a lasciare il proprio lavoro per seguire i mariti nelle sedi più impensate. Al no del ministero del Tesoro si è aggiunta anche una polemica politica: subito dopo le elezioni del gennaio scorso, il Ministero degli esteri è stato sconvolto dalle ristrutturazioni. Per accontentare nuovi alleati politici, il premier Benjamin Nenatyahu ha inserito l'antica diplomazia in un nuovo "Ministero per le relazioni internazionali" scorporando alcuni funzioni per affidarle al Ministero della giustizia (Tzipi Livni, che diviene responsabile dei negoziati con la Palestina) e al nuovo ministero di Neftali Bennett per i rapporti con la Diaspora ebraica. A conclusione di questa spartizione, il Ministero degliAffari esteri - che ha più di 1200 impiegati - ha definito quello delle Relazioni internazionali una creazione "inutile e superflua". A causa di ciò gli impiegati hanno deciso uno sciopero ad oltranza: non rilasciano visti, né resoconti e rapporti sulla situazione politica internazionale; non collaborano per facilitare i viaggi di personalità israeliane all'estero, né le visite di capi internazionali in Israele. Secondo i capi dell'esercito, lo sciopero è divenuto un problema per la sicurezza di Israele e degli israeliani all'estero. Verso la fine di giugno il ministero del Tesoro ha deciso sanzioni contro lo sciopero, minacciando un ulteriore riduzione dei salari. (R.P.)

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    Kazakhstan: concluso il primo Congresso eucaristico ad Astana

    ◊   Un viaggio di oltre 850 chilometri in treno per partecipare all’adorazione perpetua del Santissimo nella capitale Astana. Questa è l’esperienza dei cattolici in Kazakistan dove si è appena concluso il 1° Congresso eucaristico - come afferma l’arcivescovo metropolita e presidente della Conferenza episcopale, Tomasz Peta - “per ora solo su scala diocesana, ma molto importante per la nostra Chiesa”. Il Congresso, aperto con l’inaugurazione della “Stella del Kazakistan”, l’altare donato dalla comunità polacca della Regina della Pace, ha visto la partecipazione di mons. Miguel Maury Buendía - nunzio apostolico in Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, Paesi che facevano parte dell’Urss, indipendenti solo dagli anni ’90 -, e del primate di Polonia mons. Jozef Kowalczyk, che ha anche presieduto la solenne liturgia eucaristica. Il primate - riporta l'agenzia Sir - durante la visita in Kazakistan si è recato, inoltre, al santuario della Madonna della Pace di Oziornoje dove ha consacrato l’effigie della Madonna nera di Czestochowa, dono della Chiesa polacca. I cattolici del Kazakistan sono l’1% su una popolazione di 17 milioni di persone e, nella maggioranza, provengono da famiglie di deportati dalle autorità sovietiche dopo il 1939. (R.P.)

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    Bulgaria: è morto annegato il metropolita ortodosso di Varna

    ◊   Ieri mattina, sulla spiaggia nei pressi della città di Varna, è stato trovato il corpo del metropolita ortodosso locale Kiril, 59 anni. Dopo l’autopsia - riporta l'agenzia Sir - la Procura regionale ha confermato che la causa del decesso è annegamento e non ci sono tracce di violenza. Il metropolita risiedeva nella villa ecclesiastica vicina alla spiaggia e, secondo alcuni pescatori della zona, era sua abitudine recarsi ogni mattina al mare per pescare cozze. Il corpo indossava maschera e snorkel. “Probabilmente si era tuffato in profondità ed ha incontrato una corrente fredda” spiega il vescovo Tihon, rettore del duomo di Sofia. Il vescovo si meraviglia dell’accaduto perché Kiril era un ottimo nuotatore. Per oggi è stata convocata una riunione straordinaria del Santo Sinodo che stabilirà la data delle esequie che probabilmente si terranno domani nella cattedrale di Varna. “Abbiamo perso un prezioso confratello e collaboratore - afferma il patriarca bulgaro Neofit - che lascia una grande cura spirituale e pastorale per la sua diocesi.” “Dispiace che è morto così giovane - commenta a Sir Europa il parroco cattolico di Varna, padre Jacek Wojcik -, poteva fare ancora del bene.” Il metropolita di Varna, Kiril, ha guidato la diocesi per 23 anni e nel periodo di sede vacante dopo la morte del patriarca Maxim è stato presidente ad interim del Santo Sinodo. Aveva buoni rapporti con le Chiesa cattolica in Austria e Germania. (R.P.)

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    I cappuccini negli avamposti del Nord Europa

    ◊   Nella sua recente visita alle Fraternità cappuccine del Nord Europa, il Ministro generale dei Frati Minori Cappuccini, padre Mauro Jhöri, ha incontrato i religiosi che vivono in Svezia e in Islanda, restando sorpreso “per il prezioso servizio che rendono alla chiesa locale, con particolare attenzione agli immigrati cattolici, non solo per il servizio sacerdotale, ma anche per la testimonianza della vita fraterna, grazie anche alla presenza di due Fratelli non sacerdoti”, una vera novità per il mondo svedese e islandese. In Svezia, dove i Cappuccini sono presenti dal 1987, vivono dieci religiosi provenienti dalla Provincia di Varsavia, distribuiti in quattro fraternità. Il lavoro apostolico che li impegna quotidianamente è molto apprezzato, come ha fatto notare il nunzio apostolico mons. Henryk Nowacki, incontrato da padre Mauro a Stoccolma. In Islanda i cappuccini sono arrivati nel 2007; provengono dalla Provincia slovena, sono tre e dirigono una parrocchia molto estesa, situata ad est dell’isola, dove le condizioni di vita sono difficili sia per l’isolamento che per la distanza dalla capitale. Chiamati per l’assistenza agli operai che lavorano in una grossa fabbrica di alluminio, hanno costruito un piccolo centro parrocchiale e una cappella per la liturgia. “Il vescovo, però - ha detto il Ministro - è pronto a dar loro una casa e un servizio nella capitale, pur di averli nella sua diocesi” (A cura di padre Egidio Picucci)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 191

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.