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Sommario del 08/07/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa a Lampedusa: chi ha pianto per quanti sono morti in mare? No a globalizzazione dell’indifferenza
  • Il Papa lancia in mare una corona di fiori per ricordare le migliaia di morti in mare; l'abbraccio con i migranti
  • La preghiera del Papa a Maria: protezione dei migranti e conversione degli sfruttatori
  • Tweet del Papa da Lampedusa: Dio ci giudicherà da come abbiamo trattato i più bisognosi
  • Mons. Mogavero: da Lampedusa, un grido di civiltà e una domanda di umanesimo
  • Padre Lombardi: un evento storico, Papa Francesco toccato dall'accoglienza
  • Padre La Manna sul Papa a Lampedusa: l'indifferenza è il vero nemico da sconfiggere
  • La gratitudine di un immigrato tunisino per Papa Francesco: "Un angelo mandato dal cielo"
  • L'Oim: il Papa sposta l'attenzione dai numeri all'emergenza umanitaria
  • Lampedusa: la gioia dei militari per la visita del Papa. Mons. Pelvi: "da loro i primi aiuti agli immigrati"
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Scontri al Cairo, uccisi numerosi sostenitori di Morsi. I Fratelli musulmani invitano alla rivolta
  • Giornata per la pace in Sud Sudan. Padre Colombo: “Riconciliazione ancora lontana”
  • Il vescovo di Nola: la Chiesa non è mai "contro", ma sempre con le persone e per il lavoro
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Congo: i ribelli minacciano la città di Beni. Il vescovo: "Situazione esplosiva"
  • Nigeria: chiuse le scuole dopo la strage nello Stato di Yobe
  • Regno Unito: appello dei vescovi a pregare per la pace in Siria
  • Iraq. Il patriarca Sako ai preti: il sacerdozio è missione, non business
  • I vescovi dell'Asia condannano l'attacco al tempio buddista di Bodh Gaya
  • Filippine. Mindanao: colloqui con i ribelli ma nuove violenze nel sud
  • Vietnam: si difenderà da sé il dissidente cattolico a processo per evasione fiscale
  • El Salvador: appello di mons. Rosa Chavez contro la violenza nel Paese
  • Kek: il Segretariato si sposta da Ginevra a Bruxelles
  • Unitalsi: arrivati a Barcellona i bambini in missione di pace
  • Iraq: patriarcato caldeo restaura manoscritti antichi, per ricostruire il futuro dei cristiani
  • Alla Gmg di Rio un video su una cattolica peruviana morta in un campo di concentramento nazista
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa a Lampedusa: chi ha pianto per quanti sono morti in mare? No a globalizzazione dell’indifferenza

    ◊   In mezzo a chi soffre per scuotere le coscienze e vincere l’indifferenza che ci rende insensibili. E’ quanto Papa Francesco ha testimoniato, stamani, con la sua storica visita a Lampedusa. Il Papa venuto dalla “fine del mondo” ha voluto compiere il suo primo viaggio apostolico nell’estrema periferia dell’Europa, dove la sofferenza dei migranti in cerca di speranza si incrocia con la generosità della comunità dell’isola. Momento culminante della visita, tanto breve quanto intensa, è stata la Messa all’“Arena”, il piccolo stadio di Lampedusa gremito di fedeli e migranti, oltre 10 mila persone. Poco dopo le 15.00, il rientro in Vaticano. Sulla celebrazione di Papa Francesco, il servizio di Alessandro Gisotti:

    La periferia che diventa centro, gli ultimi che diventano i primi. E’ il “miracolo” compiuto da Francesco a Lampedusa. Il Papa doveva venire qui, lui stesso confida questa necessità del cuore. Doveva guardare, sentire, abbracciare chi soffre e chi si fa ogni giorno “buon samaritano” per gli ultimi. Alla Messa, dal palco, può scorgere le carcasse delle imbarcazioni dei migranti. E il suo pastorale – come il calice, l’ambone, l’altare – è realizzato con il legno delle barche che ogni giorno solcano il mare di Lampedusa. Simboli, come la scelta delle letture e i paramenti, che vogliono sottolineare la dimensione penitenziale della celebrazione. Il Pontefice inizia l’omelia indicando proprio il motivo per il quale si è recato a Lampedusa: l’ennesima tragedia della migrazione. Una notizia, ha detto, che è stata “come una spina nel cuore che porta sofferenza”, pensare a quelle barche che “invece di essere una via di speranza sono state una via di morte”:

    “E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta, per favore!”.

    Il Papa non manca però di ricordare subito, con gratitudine, quanti, a Lampedusa come a Linosa, mostrano attenzione per le persone che viaggiano “verso qualcosa di migliore”:

    “Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà! Grazie!”.

    E ringrazia espressamente il sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini, e l’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, per quello che fa, per l’aiuto, la sua vicinanza pastorale. Poi aggiunge:

    “Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi: O’ Scià!”

    Il Papa ha così rivolto il pensiero alle domande che le letture del giorno suscitano alla coscienza di ogni uomo, di ogni tempo. “Adamo, dove sei?”, “Caino dov’è il tuo fratello”. Con il peccato, ha osservato, si rompe l’armonia e l’altro “non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere”. L’uomo diventa allora “disorientato” perché ha perso “il suo posto nella creazione” e crede “di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio”:

    “Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito”.

    “Dov’è tuo fratello?”, domanda ancora il Papa. Questa, ha ribadito, “non è una domanda rivolta ad altri”, ma a ciascuno di noi:

    “Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio!”

    Quindi, ha denunciato con forza l’azione dei trafficanti, “quelli che sfruttano la povertà degli altri” e ne fanno “una fonte di guadagno”. Richiamando poi l’opera letteraria spagnola Fuente Ovejuna, ha evidenziato che anche oggi, come nella commedia di Lope de Vega, siamo portati a rispondere “tutti e nessuno” quando vengono chieste le nostre responsabilità:

    “Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: ‘Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?’. Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna”.

    Papa Francesco ha soggiunto che “siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano”. Anche noi, ha avvertito, “guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo ‘poverino’, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto”:

    La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza! Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”.

    Ritorna, ha detto il Papa, “la figura dell’Innominato di Manzoni”. La “globalizzazione dell’indifferenza – ha constatato con amarezza – ci rende tutti ‘innominati’, responsabili senza nome e senza volto”. Papa Francesco ha dunque levato una terza, drammatica domanda: “Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?”:

    “Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del ‘patire con’: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!”.

    Nel Vangelo, ha detto ancora, abbiamo ascoltato il grido di Rachele che piange la morte dei suoi figli. Erode, ha detto, “ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi”:

    “Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo. ‘Chi ha pianto?’. Chi ha pianto oggi nel mondo?”.

    Il Papa ha concluso l’omelia chiedendo perdono al Signore per “l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle”, per “l’anestesia del cuore” causata dal chiuderci nel nostro benessere. “Chiediamo perdono – ha detto – per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi”. Al termine della celebrazione, l’arcivescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro, ha sintetizzato la gioia, la gratitudine e la commozione della gente di Lampedusa, migranti e comunità locale:

    “Santo Padre, nel Suo abbraccio ci sentiamo tutti accolti, coloro che soffrono, e gli artigiani della pace che hanno fame e sete di giustizia. La Sua presenza e le parole da Lei pronunciate sono di sostegno sia per i nostri fratelli immigrati sia per le comunità di Lampedusa e Linosa che tante volte hanno portato un peso troppo grande facendosi carico di situazioni difficili affrontate sempre con grande generosità e amore. Grazie ancora Santo Padre!”.

    Parole a cui ha risposto il Papa con un nuovo grazie ai lampedusani e, in particolare al parroco don Stefano Nastasi e alla sua comunità, per essere faro di solidarietà nell’accogliere con coraggio ma anche con “tenerezza” quanti cercano una vita migliore:

    “Voglio ringraziarvi una volta in più, a voi lampedusani, per l’esempio di amore, per l’esempio di carità, per l’esempio di accoglienza che ci state dando, che avete dato e che ancora ci date. (…) Grazie a voi e grazie a lei, don Stefano” (applausi).

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    Il Papa lancia in mare una corona di fiori per ricordare le migliaia di morti in mare; l'abbraccio con i migranti

    ◊   “Grazie per la vostra testimonianza ... il Signore ci faccia andare avanti in questo atteggiamento tanto umano e tanto cristiano!”. Con queste parole, a conclusione della sua visita, Papa Francesco ha salutato la folla davanti alla chiesa di San Gerlando a Lampedusa, per poi recarsi all’aeroporto e fare ritorno in Vaticano. La mattinata straordinaria vissuta sull'isola siciliana si è aperta con l'arrivo del Papa, poco dopo le 9, accolto da mons. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento. A Cala Pisana il Papa si è imbarcato su una motovedetta per raggiungere via mare il porto di Lampedusa, accompagnato dalle barche dei pescatori. Quindi il primo momento toccante della visita: Papa Francesco ha lanciato in mare una corona di fiori bianchi e gialli, in ricordo di quanti hanno perso la vita in mare. Poi è sceso sul Molo a Punta Favarolo ed è stato accolto da alcuni migranti che ha salutato uno per uno, scambiando qualche parola. Un immigrato ha letto una lettera al Papa in cui lo ha ringraziato per questa visita, ha chiesto il suo aiuto e ha raccontato le grandi sofferenze del viaggio: è stato rapito e ora è costretto a rimanere in Italia. Ha chiesto l'aiuto anche degli altri Paesi europei. Il Papa a sua volta ha ringraziato gli immigrati per l’accoglienza e ha detto: “Tutti insieme, oggi, pregheremo l’uno per l’altro e anche per quelli che oggi non sono qui. Grazie!”. Anche il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, ha ringraziato il Pontefice per la visita. Il Papa ha risposto: "Sono io che ringrazio voi. Questo è il luogo di sofferenza perché ci sono ventimila morti sotto il mare". Il Pontefice è poi salito sulla campagnola per raggiungere il campo sportivo "Arena", in località Salina, per la celebrazione della Messa: qui è stato accolto da migliaia di persone in festa che hanno praticamente circondato l'auto del Papa per stringergli le mani e fargli benedire i bambini. Ripercorriamo dunque questa intensa giornata del Papa a Lampedusa con il servizio del nostro inviato Massimiliano Menichetti:

    Il silenzio del mare, l’abbraccio dei lampedusani, gli occhi dei migranti - 165 quelli arrivati solo oggi dall’Africa subsahariana - la testimonianza nella carità. Istantanee indimenticabili con il Papa, pellegrino in questo mare, primo Pontefice a Lampedusa. Attimi storici, come qui dicono tutti. Oggi nella terra di Sicilia la Croce di Cristo, portata dal Successore di Pietro, risplende ancora più vigorosa, donando speranza a chi è dalla parte dei migranti e lavora senza sosta, luce per i profughi che fuggono da persecuzioni e guerre, compassione e vicinanza per i tanti - 20 mila secondo i dati - che riposano in questo mare blu come il cielo, nella contraddizione di un’isola amata da tanti turisti. Toccante il viaggio in nave, dopo l’atterraggio, che da Cala Pisana ha portato il Pontefice davanti alla Porta d’Europa, scultura che guarda l’Africa nella parte più a sud dell’Isola. Porta d’ingresso ma anche monumento per donne, bambini, giovani, anziani che non ce l’hanno fatta. Papa Francesco è stato accompagnato dalle trombe di decine di barche di pescatori, gommoni, moto d’acqua. Poi il mare si è fermato davanti alla porta, la preghiera silenziosa del Papa dopo aver deposto in acqua una ghirlanda di fiori bianchi e gialli, in memoria di tutte le vittime. Quindi il rientro al molo Favarolo, dove i canti africani hanno accolto il Papa e lui ha salutato, uno per uno, i 50 migranti che gli hanno confidato paure e speranze aiutati nelle traduzioni da Said:

    “Hanno raccontato la loro sofferenza e come hanno affrontato tutto il tragitto: alcuni sono stati rapiti, vittime. Essendo minorenni, hanno sofferto tantissimo per arrivare qua”.

    Il raccoglimento, il dolore per gli scomparsi è poi diventato testimonianza, preghiera e certezza in Cristo che cambia il mondo. Questa verità ha guidato l’incontro al Centro sportivo “Arena”. Migliaia i cappellini sventolati prima della Santa Messa presieduta dal Papa:

    “Si vede, si sente: Francesco è qui presente! Si vede!”

    (musica)

    Tutti hanno pregato con Papa Francesco per i tanti che vengono dall’Africa, per la conversione personale, per avere più coraggio.

    R. - Per me è come se fosse uno di noi. Ho avuto un’emozione, una sensazione bellissima!

    R. - E’ una persona umile, che ha privilegiato gli ultimi. Mi sento anch’io privilegiata, perché sento di avere ricevuto un grande dono spirituale.

    D. - Che cosa porterà con lei di questa visita del Papa?

    R. - Porterò un’emozione ancora più forte; porterò un’esperienza di vita che trasmetterò a tutti quelli che mi stanno vicino.

    D. - Cosa porterà con lei di questa visita di Papa Francesco?

    R. - Sostegno morale. Non so, non so come spiegarle: è troppo bello!

    R. - Ha deciso di cominciare dagli ultimi, dai confini dell’Europa.

    R. - E’ una nuova esperienza che noi giovani affrontiamo. E’ un’occasione bellissima. Mi lascerà un bel segno veramente.

    D. - Lui dice: “Aprire il cuore”. Si aprirà ancora di più questo cuore alla carità?

    R. - Sì, a me arriva all’anima.

    R. - E’ proprio una gioia immensa.

    R. - Un cuore pieno di gioia, di coraggio per affrontare i prossimi sbarchi, per aiutare altra gente che arriverà.

    Poi tra gli applausi, le bandiere bianche e gialle sistemate ovunque, seppur con sobrietà, i cartelloni e i manifesti di benvenuto, Papa Francesco è andato nella Chiesa di San Gerlando. il parroco, don Stefano Nastasi:

    “E’ un segno per la nostra diocesi di Agrigento, per questa terra, per questo cuore del Mediterraneo e, direi, anche per il mondo intero. Noi siamo realmente, infatti, una periferia geografica e sperimentiamo la periferia esistenziale. Che il primo viaggio del Papa parta da qui, dice tutto, con la sua stessa presenza”.

    In Parrocchia il Santo Padre ha incontrato i tanti volontari, altri migranti, gli isolani, testimoni di una carità che non ha mai fine. Ha esortato tutti, i lampedusani, l’Europa il mondo intero, ad aprire ancora di più il cuore, a pregare, a non dimenticare l’umanità tutta che soffre e che ha bisogno d’aiuto. E certamente qui nessuno deluderà il vescovo di Roma, primo Papa venuto nel suo primo viaggio a Lampedusa, nell’isola porta d’Europa.

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    La preghiera del Papa a Maria: protezione dei migranti e conversione degli sfruttatori

    ◊   Prima della Benedizione finale, Papa Francesco ha voluto rivolgere una toccante preghiera alla Vergine davanti ad una statua di Maria, Stella del mare. Alla Madonna il Papa chiede la protezione dei migranti e la conversione degli sfruttatori. Il servizio di Debora Donnini:

    “O Maria, stella del mare, ancora una volta ricorriamo a te, per trovare rifugio e serenità”.

    La preghiera del Papa è come un incedere che non dimentica nessuno, in un abbraccio di misericordia. Il Pontefice chiede prima di tutto alla “Madre di Dio e Madre nostra” di volgere il suo “sguardo dolcissimo su tutti coloro che ogni giorno affrontano i pericoli del mare”:

    “Protettrice dei migranti e degli itineranti, assisti con cura materna gli uomini, le donne e i bambini costretti a fuggire dalle loro terre in cerca di avvenire e di speranza. L’incontro con noi e con i nostri popoli non si trasformi in sorgente di nuove e più pesanti schiavitù e umiliazioni”.

    Alla “Madre di misericordia” il Papa implora “perdono per noi che – dice - resi ciechi dall’egoismo, ripiegati sui nostri interessi e prigionieri delle nostre paure”, siamo distratti verso le sofferenze dei fratelli. Quindi Papa Francesco chiede alla Vergine la conversione per chi sfrutta i fratelli:

    “Rifugio dei peccatori, ottieni la conversione del cuore di quanti generano guerra, odio e povertà, sfruttano i fratelli e le loro fragilità, fanno indegno commercio della vita umana”.

    Infine a Maria, “Modello di carità”, Papa Francesco chiede di benedire “gli uomini e le donne di buona volontà, che accolgono e servono coloro che approdano su questa terra”:

    “L’amore ricevuto e donato sia seme di nuovi legami fraterni e aurora di un mondo di pace”.

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    Tweet del Papa da Lampedusa: Dio ci giudicherà da come abbiamo trattato i più bisognosi

    ◊   In occasione del suo viaggio a Lampedusa, il Papa ha lanciato un nuovo tweet: "Preghiamo per avere un cuore che abbracci gli immigrati - scrive il Pontefice - Dio ci giudicherà in base a come abbiamo trattato i più bisognosi".

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    Mons. Mogavero: da Lampedusa, un grido di civiltà e una domanda di umanesimo

    ◊   Un “approdo” altamente simbolico, quello di Papa Francesco a Lampedusa, che è riuscito a portare in primo piano il dramma dell’immigrazione, troppo spesso legato alla sola dinamica dei numeri e delle difficoltà. Per un bilancio su questo breve ma intenso viaggio di Papa Francesco a Lampedusa, Luca Collodi ha intervistato mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazzara del Vallo:

    R. – Sicuramente la presenza del Papa a Lampedusa ha tolto a questo mare e a quest’isola quel carattere quasi di maledizione che le era stato cucito addosso dagli eventi di questi ultimi anni. Il gesto del Papa è altamente profetico, sia per il gesto in sé che il magistero che da Lampedusa il Papa ha rivolto alla Chiesa e al mondo. Non trascurerei l’aspetto intraecclesiale del significato della visita del Papa. Anche all’interno della Chiesa, infatti, abbiamo bisogno di tanta purificazione riguardo a questo. Il messaggio che ha rivolto al mondo, appunto, è che da Lampedusa si leva un grido di civiltà e si leva anche una domanda di un umanesimo nuovo. Il Papa poi si è anche messo sulla linea dei grandi gesti di Giovanni Paolo II, chiedendo perdono per tutto quello che a Lampedusa è successo e accollandosi la responsabilità - che non è sua diretta, ovviamente – di un’umanità che ha chiuso gli occhi, ha voltato le spalle alla sofferenza di tanti fratelli, che domandavano speranza e domandavano accettazione, per una vita che fosse degna di loro.

    D. – Il Papa ha sottolineato come la globalizzazione economica apra la strada al dramma delle migrazioni. Anche qui è un messaggio molto concreto, che richiama alla Dottrina sociale della Chiesa ed è anche forse un richiamo a quelle che sono le dottrine economiche di oggi…

    R. – Sicuramente. Le povertà potrebbero favorire la comunione tra gli ultimi, mentre la ricchezza sicuramente rende insensibili al grido di aiuto del povero. Mi è piaciuto molto quel riferimento alla “globalizzazione dell’indifferenza”. Una sferzata poderosa che il Papa ha dato a tutti, perché forse è la posizione più comoda, quella di chi non prende un atteggiamento, di chi dice: “Beh, tutto sommato io non sono a Lampedusa, io da qui posso fare poco o niente, e quel poco che posso fare mi mette la coscienza a posto, al resto pensino gli altri”. Questa globalizzazione dell’indifferenza che il Papa ha voluto superare proprio con le modalità del suo gesto: quello di volerci essere, di essere presente, di dire – ha citato in maniera molto provocatoria la parabola del Buon Samaritano – “Io voglio venirti accanto, voglio rendermi conto, voglio, soprattutto, essere vicino a coloro che hanno perso la vita, cercando la speranza”. E’ stato molto bello questo gesto di voler pregare per i defunti, per dire il cordoglio, per dire la compassione, per dire l’apertura del cuore. Il voler pensare a coloro ai quali il pensiero, materialisticamente parlando, oggi non serve più, perché sono morti. La loro però è una morte che continua a gridare. E la domanda ultima che ha posto il Papa credo che, sotto questo profilo, sia un appello diretto al nostro cuore. Prima ha ricordato la domanda posta da Dio ad Adamo; poi la domanda posta a Caino, e alla fine lui ha chiesto: “Chi ha pianto per questi morti?”

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    Padre Lombardi: un evento storico, Papa Francesco toccato dall'accoglienza

    ◊   Un “incredibile evento, densissimo, storico e significativo nel giro di poche ore”: così il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha definito il viaggio di Papa Francesco in un briefing con i giornalisti a conclusione della visita. “Il Papa – ha detto - era molto toccato dall’accoglienza dei lampedusani” cui ha rivolto un caloroso ringraziamento e “l’invito a continuare ad essere un esempio anche di accoglienza e di responsabilità per queste persone in difficoltà che giungono sulle loro coste, presso le loro case. Questo certamente è il messaggio fondamentale di questo viaggio”. Per il Papa – ha spiegato – era importante che si capisse il significato di questa sua visita: un “gesto importante e significativo – come ha detto nell’omelia – di ‘piangere per coloro che sono morti nella strada verso una condizione migliore di vita’; di solidarietà con tutti coloro che soffrono su questa stessa strada e di solidarietà e incoraggiamento per tutti coloro che si impegnano effettivamente ad accoglierli e a permettere loro di ripartire verso una vita migliore; di incoraggiamento anche molto forte per chi, a livello anche di responsabilità, può cercare di creare le condizioni migliori perché questa vita nuova, per queste persone che hanno sofferto tanto e che soffrono, possa realizzarsi veramente”.

    “Certamente – ha proseguito padre Lombardi – è stato anche un giorno di grande festa cristiana, di rinnovamento nella coscienza. Ma non dimentichiamo la forza della Liturgia, che voleva essere anche una Liturgia di penitenza e di conversione, con messaggi estremamente forti alla responsabilità”. “Io – ha aggiunto - ho potuto dirgli, già dagli echi e dai monitoraggi, che il messaggio sembra colto, anche a livello internazionale, con grande disponibilità e con grande attenzione. Questo certamente gli ha fatto piacere: il senso di una missione compiuta con intensità questa mattina e che raggiunge il suo fine di toccare le coscienza, di risvegliare la coscienza del mondo di oggi”. Padre Lombardi ha poi parlato della Chiesa di Agrigento, “una Chiesa che si fa veramente parte attiva di questo impegno di accoglienza e di solidarietà con gli immigrati”.

    Si tratta quindi – ha rilevato - di “un bilancio estremamente positivo”, un viaggio “che - nel giro di quattro ore – ha dato al mondo una vera testimonianza, che speriamo che resti! Questa certamente è la speranza del Papa. Ma credo – ha aggiunto - che non gli mancheranno occasioni di ricordarci queste cose e di richiamarcelo anche con altri segni estremamente forti”. Padre Lombardi ha ricordato anche il “senso di disponibilità e di impegno nell’organizzazione di questa giornata, che è stata organizzata nel giro di una settimana… nel giro di cinque giorni. Quindi tutti si sono dati tantissimo da fare: i marinai, le forze di sicurezza, il sindaco, i volontari, la Chiesa… Tutti veramente si sono mobilitati affinché questa giornata raggiungesse il suo significato e la sua finalità. E il Papa di questo è estremamente grato”.

    Rispondendo ad una domanda sul richiamo del Papa alle responsabilità istituzionali riguardo al dramma dell’immigrazione, padre Lombardi ha risposto che il Pontefice “parla sempre a tutti, alla coscienza di tutti, a seconda della loro responsabilità. Quindi non esime nessuno da questa responsabilità. Anche lui si mette sempre, in prima persona, in questione in questi casi. Evidentemente a seconda delle proprie responsabilità anche ai livelli più alti”. “Quindi certamente – ha aggiunto - c’è anche un richiamo a chi ha un potere effettivo per influire nelle decisioni che hanno delle conseguenze di carattere economico, sociale, politico di ampio raggio” ma “non c’è in alcun modo un’accusa per qualcuno specificatamente” perché “c’è un richiamo di responsabilità assolutamente a tutti, a partire dalle popolazioni che possono accogliere e aiutare”.

    Infine, interpellato sugli auguri del Papa ai musulmani per l’inizio del Ramadan, padre Lombardi ha ricordato che “il Papa è già noto per il suo atteggiamento di dialogo con tutti. Abbiamo avuto, in questi primi mesi, occasioni estremamente significative di dialogo ecumenico – sia con gli ortodossi, sia con gli anglicani e così via – e dialogo con il mondo ebraico, che conosce molto bene già dall’Argentina, ma anche diversi accenni e riferimenti espliciti di dialogo nei confronti del mondo musulmano. Questa è stata di nuovo – ha precisato - una bella occasione per richiamarlo, anche pensando che poi tanti degli immigrati che vengono qui dai Paesi africani sono effettivamente musulmani”. Il Ramadan – ha osservato – “è un momento estremamente importante di impegno anche spirituale che permette poi di sviluppare questa base del dialogo, che è di carattere anche religioso: il dialogo che cerchiamo noi e che noi vogliamo in favore della pace e dei valori che permettono di promuovere la persona umana. Quindi – ha concluso padre Lombardi - mi è sembrato un riferimento molto significativo, tenendo anche conto dell’uditorio e dei Paesi da cui questi immigrati provengono”.


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    Padre La Manna sul Papa a Lampedusa: l'indifferenza è il vero nemico da sconfiggere

    ◊   Papa Francesco durante l’omelia della Messa celebrata questa mattina a Lampedusa ha sottolineato con forza di essere venuto a compiere un gesto di vicinanza nei confronti degli immigrati, ma anche a risvegliare le coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Salvatore Sabatino ha chiesto un commento sulla riflessione di Papa Francesco a padre Giovanni La Manna, presidente della Fondazione “Centro Astalli”, sede italiana del “Jesuit Refugee service”:

    R. – Il messaggio deve essere forte se veramente vogliamo risvegliare le coscienze e aprire gli occhi soprattutto di quanti hanno la responsabilità di governare questo fenomeno che tocca molte persone. Il Papa ha ripetuto: non si ripeta, non si ripeta per favore la tragedia che è diventata frequente, morire in mare.

    D. – Papa Francesco ha parlato anche della globalizzazione dell’indifferenza che è un concetto anche in questo caso che porta a riflettere noi tutti…

    R. – Sì, l’indifferenza è il vero nemico da sconfiggere. Lui ha fatto riferimento al Vangelo e l’indifferenza è passare, vedere le persone in difficoltà o in realtà critiche, dire alla propria coscienza “io non c’entro” e andare oltre. Questo non è possibile, bisogna che ciascuno senta il peso sulla propria coscienza di questa realtà che è una vergogna, che ci farà passare alla storia come una civiltà barbara.

    D. – Papa Francesco è riuscito a portare l’estrema periferia al centro del mondo anche dei media. Questo è un risultato assolutamente straordinario…

    R. - Il Papa, come pastore, preoccupato delle periferie e delle persone in difficoltà, si è recato a Lampedusa. Questo ha significato anche che la stampa, le televisioni, l’abbiano seguito. Credo che Papa Francesco abbia reso un servizio anche alla stampa, ai mezzi di comunicazione perché possano dare una lettura della realtà in maniera diversa, forse più vicina a quella vissuta dai profughi che arrivano a Lampedusa.

    D. – Cosa rimarrà nelle immagini, nei racconti, nella sua mente, di questo viaggio di Papa Francesco a Lampedusa?

    R. - Rimane sicuramente una testimonianza. Il Papa ci ha invitato a non essere maestri ma testimoni. Lui lo sta facendo e rimane questa testimonianza che è autorevole, credibile. Spero proprio che svegli le coscienze soprattutto, ripeto, della comunità internazionale che ha la responsabilità di mettere fine a questa vergognosa pagina che si protrae da troppo tempo.

    D. – Questo è quello che lei dice da anni lavorando con gli immigrati: ci voleva un atto forte, di consapevolezza…

    R. – Ci vuole un atto forte ed è stato realizzato. Ora abbiamo bisogno di seguire questa testimonianza. Questa iniziativa del Papa responsabilizza ciascuno di noi. Ciascuno che dice di credere, ora sente, deve sentire il peso sulla propria coscienza dei morti in mare, di tutti quelli che sono morti e non può più far finta di nulla. Non possiamo più dire, non dipende da noi o chiederci: io da solo cosa posso fare? Non siamo soli. Il Papa con tutta la sua testimonianza impegna tutta la Chiesa. La Chiesa è una comunità grande per cui nessuno può sentirsi più solo ed è chiamato a impegnarsi, cambiando la nostra cultura. La nostra povertà non è economica ma è culturale, è animata da un’indifferenza che ci chiude. Quindi, il primo passo è aprirci all’incontro, così come ha fatto il Papa. Il Papa l’ha potuto fare a Lampedusa sul molo: stringere la mano allo straniero da ascoltare. Noi possiamo realizzare questo stesso incontro nelle nostre città che sono luoghi di secondo approdo. Lampedusa è più visibile ma nelle nostre città, nel silenzio del quotidiano, si giocano tante opportunità per aiutare questi nostri fratelli.

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    La gratitudine di un immigrato tunisino per Papa Francesco: "Un angelo mandato dal cielo"

    ◊   Lampedusa, isola di speranza per migliaia di immigrati africani che attraversano il Mediterraneo alla ricerca di un futuro migliore. Qui giungono dopo viaggi terribili; nei loro occhi il ricordo della morte di tanti parenti ed amici che non ce l'hanno fatta ad attraversare il mare. Nel loro cuore il dolore per ciò che hanno lasciato e la speranza per ciò che sarà. E' a questi uomini, donne e bambini venuti dall'altra sponda del "Mare nostrum" che Papa Francesco ha voluto rendere omaggio. Per pregare con loro e per loro. Tra gli immigrati di Lampedusa è la parola "gioia" la più ricorrente, così come "gratitudine", nei confronti del Papa che ha deciso di trasformare la periferia più estrema nel centro del mondo. Gioia ed emozione sono espresse anche da Omar, un ragazzo tunisino, di religione musulmana, giunto sull'isola durante l'ondata di sbarchi del 2011. Oggi lavora come mediatore culturale a "Lampedusa Accoglienza", dove risiedono gli immigrati. L'intervista è del nostro inviato a Lampedusa, Massimiliano Menichetti:

    R. – Nel viso di Papa Francesco, nei suoi occhi, nella luce che c’è nei suoi occhi è come se ci conoscesse da molto tempo; come fosse una persona che dice: io non sono cristiano, non sono musulmano, non sono copto, non sono ebraico, sono una persona che ama tutti. Vede in Siria c’è un “macello”; in Tunisia ci sono tanti fratelli e tante sorelle che soffrono; vede in Libia quanti problemi ci sono… C’è un disastro!

    D. – E questo Papa ti dà un segno di speranza?

    R. – A me, sì. Molta! Vince sempre soltanto quello che ama! Vince solo la persona che ha dignità: la sincerità vince! Vince il cuore bianco e l’anima pulita! Io sono anche sicuro che lui farà tantissime cose per noi e noi abbiamo veramente bisogno di voi e anche di lui, specialmente di lui.

    D. – Quindi tu dici che è una figura importante per i cristiani, ma anche per voi musulmani?

    R. – Si, certo. E’ come un angelo mandato dal cielo; come fosse un qualcosa che aspettiamo da tanto, tanto tempo. E sono fiducioso che lui, dopo Lampedusa, andrà in Africa… Deve trovare un limite a questi “macelli” che ci sono nel mondo! Voglio dirgli grazie, grazie mille: come tu preghi per noi, noi preghiamo per te, per tanta vita, con tantissima salute. Spero che lui riesca ad aiutare l’Africa, spero che farà tante cose per noi, perché anche noi abbiamo tantissimo bisogno di lui.

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    L'Oim: il Papa sposta l'attenzione dai numeri all'emergenza umanitaria

    ◊   Ad accogliere con attenzione la visita del Papa a Lampedusa anche le tante associazioni che si occupano dei migranti. Fabio Colagrande ha chiesto un commento a Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim in Italia, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni:

    R. – Il messaggio che dà il Papa in questa occasione è molto importante perché finalmente sposta l’attenzione mediatica, che è sempre stata sui numeri e sulla cosiddetta “invasione”, su un’altra emergenza: l’emergenza umanitaria, l’emergenza delle persone che purtroppo non hanno altra scelta che mettere la propria vita nelle mani dei trafficanti e spesso trovano la morte nel Mediterraneo. L’emergenza sono le modalità dell’arrivo in Italia e non i numeri. Ricordiamo che in realtà le persone che sbarcano in Italia rappresentano solo il 15-20 per cento del totale degli immigrati irregolari che arrivano nel nostro Paese, che sono per lo più persone che arrivano con un permesso di soggiorno, che poi scade. Le persone che arrivano via mare, invece, sono richiedenti asilo, vittime di tratta, minori non accompagnati o anche migranti “economici”, che fuggono dalla povertà. Sono persone che, nella ricerca di una vita migliore, non hanno altra scelta che rischiare la vita per venire da noi. Spero che la visita del Papa riesca finalmente a spostare l’attenzione mediatica, ma anche politica, sul lato umanitario, perché va bene il controllo delle frontiere, ma non bisogna scordare i diritti umani.

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    Lampedusa: la gioia dei militari per la visita del Papa. Mons. Pelvi: "da loro i primi aiuti agli immigrati"

    ◊   La visita del Papa a Lampedusa è vissuta con gioia anche dai militari presenti sull'isola. Sono loro ad avere un primo contatto con gli immigrati che arrivano dopo viaggi drammatici ed estenuanti; sono loro che li soccorrono ed ascoltano le parole di dolore e speranza di chi è riuscito a raggiungere questo avamposto d'Europa. Luca Collodi ha intervistato mons. Vincenzo Pelvi, Ordinario Militare per l'Italia:

    R. – I militari italiani sono uomini ricchi di accoglienza. Anche in un periodo in cui la sensibilità andava nella direzione del respingere i barconi, di allontanare le persone, anche allora i nostri militari sono stati coraggiosi protagonisti dell’amore alla vita, perché mai hanno pensato – e queste sono le confidenze che ho ricevuto da loro – di allontanare coloro che sono fratelli, coloro che sono persone, coloro che sono per i nostri militari segno dell’amore di Dio, immagine di Dio. Ora, anche i barconi che sono lì in riva, in tanti posti di Lampedusa, stanno diventando come un messaggio di speranza. Guardando, infatti, questi barconi nasce veramente nel cuore l’attenzione ai fratelli bisognosi.

    D. – Il parroco di Lampedusa è stato nominato da lei come sacerdote e collaboratore dell’Ordinariato militare, proprio per sottolineare importanza del ruolo dei militari nel campo dell’accoglienza dei profughi...

    R. – Sì, ma anche perché il parroco, vivendo giorno e notte lì sull’isola, ha creato una sinergia tra i suoi parrocchiani, il figliame della parrocchia e i militari, che pur vivendo in uno spazio militare frequentano, però, la parrocchia; sono nel circuito delle attività pastorali del posto. Nessuno, infatti, a Lampedusa può lavorare da solo: si lavora insieme e l’isola è veramente una grande famiglia. Rassomiglia – direi – ad un grembo, che può generare semi di resurrezione, può dare tanto coraggio e fiducia per un domani dell’unione, dell’unità dei popoli.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Un viaggio che interroga le coscienze: in prima pagina, un editoriale del direttore sul primo viaggio del pontificato di Papa Francesco, a Lampedusa.

    Trasparenti, autentici e coerenti: il Pontefice incontra giovani in cammino vocazionale e parla della bellezza della consacrazione.

    L'evangelizzazione si fa in ginocchio: Messa del Papa con i seminaristi e le novizie nell'Anno della fede.

    Salute e dinamiche demografiche: nell'informazione internazionale, intervento della Santa Sede a New York.

    Tre mondi per un solo Samuel: in cultura, Anna Foa recensisce il libro degli storici Mercedes Garcia-Arenal e Gerard Wiegers "L'uomo dei tre mondi. Storia di Samuel Pallache, ebreo marocchino nell'Europa del Seicento".

    Con uno così ci vuole del rock: Silvia Guidi sull'opera teatrale "La radio e il filo spinato" che racconta padre Kolbe.

    Un articolo di Marcello Filotei dal titolo "E il Decameron diventa musica: la settantesima edizione della Settimana musicale senese si inaugura con una rara versione de "La Colombe" di Gounod.

    Digiuno e preghiera: dal 9 luglio il Ramadan per oltre un miliardo di musulmani.


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    Oggi in Primo Piano



    Scontri al Cairo, uccisi numerosi sostenitori di Morsi. I Fratelli musulmani invitano alla rivolta

    ◊   Secondo i Fratelli musulmani, è salito a 77 il numero di islamisti uccisi all'alba negli scontri con l'esercito al Cairo. Tra questi, otto donne e sette bambini. I feriti sono 300. E 200 sono stati gli arresti. Il partito islamico Libertà e Giustizia di Morsi fa appello a una ''sollevazione'' popolare mentre il partito islamico al-Nour, che ha sostenuto la deposizione del presidente Morsi, si ritira dalla trattativa per un governo di transizione. Il capo dello Stato ad interim, Adly Mansour, ha espresso ''profondo rammarico'' per le violenze di stamane, sostenendo che sono il frutto di un tentativo dii attaccare il quartier generale della Guardia repubblicana. Mansour ha annunciato l'istituzione di un comitato d'inchiesta sulla vicenda. Da parte sua, la guida spirituale della Fratellanza, Mohamed Badie, ha affermato che "il capo dell'esercito porterà l'Egitto nelle stesse condizioni della Siria". Per un'analisi della situazione Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di relazioni internazionali all'Università del Salento:

    R. – Con quello che è successo, con le piazze che si fronteggiano, con tutti i veti incrociati, non so quanto sarà semplice formare un governo di coalizione.

    D. – Proviamo a delineare i protagonisti intorno al tavolo: quali le formazioni principali che dovrebbero partecipare? Sappiamo che il partito al-Nour, che ha sostenuto la deposizione di Morsi, ha confermato di volersi ritirare da questa trattativa...

    R. – Io vedrei in questo momento almeno un paio di formazioni: l’esercito da una parte – non possiamo non tenere conto infatti del ruolo dell’esercito in qualsiasi azione politica verrà fatta adesso in Egitto – e poi le formazioni più laiche e quelle religiose. I religiosi non vorranno perdere il potere: i Fratelli Musulmani, da una parte, e le nuove formazioni che si stanno radicalizzando dall’altra, così come era avvenuto già in Nord Africa un po’ di tempo fa. La situazione diventa abbastanza complicata e, in questo momento, devo dire, di difficile lettura. Io, inoltre, terrei ancora da conto Morsi. Nonostante gli arresti domiciliari, ancora conta. Anche se non può avere contatti, infatti, con la piazza, la piazza tenta di farsi sentire da lui. E se i Fratelli Musulmani pongono il veto su una figura, per quanto legittima, come el Baradei, credo che significhi qualcosa. La lettura e l’interpretazione della situazione egiziana diventa sempre più complicata. La situazione può veramente cambiare di ora in ora, visto anche quello che è successo stamattina e quello che potrebbe succedere nel momento in cui le due piazze entrassero in conflitto e in contrasto al Cairo, ma non solo al Cairo.

    D. – Indubbiamente, c’è una piazza contro un’altra piazza: i sostenitori di Morsi e gli oppositori. Per noi stampa internazionale è persino troppo facile fare queste contrapposizioni ma sicuramente c’è qualcosa di meno semplicistico di questo….

    R. – Questo sicuramente. Per esempio io sono dell’opinione, sono convinto, che tutte le forze che hanno fatto capo al presidente Mubarak, fino alla sua caduta, non siano andate in pensione, ma che buona parte di quelle forze siano rimaste all’interno dell’esercito, in attesa di momenti migliori. E la piazza ha dato loro la possibilità di rialzare la testa. Molto dipenderà da come si muoverà l’esercito e se l’esercito, ad un certo punto, vedendo che la situazione non ha un’evoluzione chiara e decisa, non deciderà di assumere direttamente la responsabilità della guida del Paese.

    D. – La comunità internazionale finora è rimasta molto perplessa e in attesa. Ma c’è un ruolo che potrebbe svolgere in questa fase la comunità internazionale, per evitare che sia davvero piazza contro piazza e quindi addirittura guerra civile?

    R. – Sicuramente è un momento di attesa, perché qualsiasi azione possa intraprendere l’Unione Europea o gli Stati Uniti, o qualsiasi altra nazione, verrebbe vista dalle due piazze – da entrambe le piazze – come una chiara ingerenza e una limitazione della sovranità nazionale dell’Egitto.

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    Giornata per la pace in Sud Sudan. Padre Colombo: “Riconciliazione ancora lontana”

    ◊   Alla vigilia del secondo anniversario dell’indipendenza dal Nord, oggi in tutti e dieci i capoluoghi del Sud Sudan si celebra la Giornata nazionale di preghiera per la pace e la riconciliazione: un’occasione per riflettere sul passato e sul futuro del Paese, come spiega il padre comboniano Fernando Colombo, raggiunto telefonicamente da Roberta Barbi a Rumbek, diocesi di cui è amministratore diocesano:

    R. – Il passato è un passato di ferite, di divisioni, di odio, di guerra e di uccisioni. Su questo passato è difficile partire da zero per costruire una nuova nazione. L’idea di fare tutto un processo di riconciliazione era già là da tempo. Adesso il presidente ha incaricato alcuni vescovi di poter organizzare questo processo per tutta la nazione. Non è tanto una questione di conoscenza, è una questione di rinnovamento, di conversione per poter partire con uno spirito nuovo.

    D. - Il 5 luglio scorso ha pregato la comunità musulmana e il 6 quella cristiana, ma oggi è una giornata particolare dove si prega tutti insieme ognuno a modo suo in ogni città…

    R. - Questa consapevolezza non è molto presente. Il processo di riconciliazione diventerà vero man mano che si va avanti, se noi continuiamo queste iniziative per rendere la comunità consapevole, una comunità che partecipa con azioni di perdono e dialogo. Il processo durerà anni perché si tratterà davvero di muovere una nazione.

    D. - La preghiera di oggi mira alla riappacificazione, riconoscendo le vittime di tutte le parti, e a chiedere perdono per gli errori fatti. Ora, però, come si può lavorare per una riconciliazione che sembra ancora lontana?

    R. - La preghiera di oggi voleva incominciare dal Padre Eterno! Credo che sia indispensabile partire dalla consapevolezza di un Dio unico, padre di tutti. Andando avanti ci sarà un processo soprattutto di condivisione. Se non c’è la parola riconciliazione rimane soltanto superficiale.

    D. - A due anni dall’indipendenza del Sud e dopo una guerra civile molto lunga - con i conflitti per le risorse naturali che si sono trasformati in contrapposizioni etniche - quali sono i nodi ancora da sciogliere?

    R. – Il primo è una difficoltà, diciamo, generale. Prima la nazione era in qualche modo unita, combattevano un unico nemico, che era Khartoum. Adesso, con l’indipendenza, questo nemico comune è un po’ sfuocato e sono cominciate le lotte tra gruppi: finita la grande guerra, insomma, sono iniziate molte altre guerre. Gli altri aspetti sono: la difficoltà di trattare con il Nord, soprattutto sui confini; poi c’è il petrolio che appartiene al Sud, dove sono i depositi sotto terra, ma il Nord ha sviluppato la tecnologia e ha le raffinerie. È un gioco continuo: il Sud ha chiuso i rubinetti, quelli del Nord minacciano di chiudere le raffinerie. È una tensione continua. L’ultimo nodo da sciogliere sono i gruppi di ribellione armati, sia nel Nord che nel Sud: in Darfur è una guerra. Al Sud, al confine ci sono gruppi di diversa ispirazione che continuano la violenza.


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    Il vescovo di Nola: la Chiesa non è mai "contro", ma sempre con le persone e per il lavoro

    ◊   Si era detto amareggiato e scosso, il vescovo di Nola, mons. Beniamino Depalma, accusato nei giorni scorsi dalla Fiat, attraverso una lettera pubblicata su un giornale locale, di stare “dalla parte dei violenti e dei prevaricatori” sebbene involontariamente. Così è stata infatti interpretata la sua presenza davanti allo stabilimento di Pomigliano il 15 giugno scorso, in occasione della protesta degli operai contro i due sabato di recupero produttivo. Oggi la risposta di mons. Depalma attraverso lo stesso organo di stampa per fare chiarezza sulla propria posizione. Ascoltiamo il presule al microfono di Adriana Masotti:

    R. – Innanzitutto la mia scelta non è involontaria, è una scelta voluta nello stile della mia Chiesa che da anni è impegnata a servizio degli ultimi, soprattutto dei tanti che perdono il lavoro per la chiusura di fabbriche. Quando io sono andato davanti alla Fiat il 15 giugno non ho trovato nessuno fuori i cancelli di Pomigliano. Ho trovato semplicemente i carabinieri e la polizia di Acerra. Quindi non ho trovato violenti e non ho trovato violenza. Come Chiesa e come vescovo io non conosco la parola “contro”: noi in nome del Vangelo siamo per tutti. Siamo per gli operai di dentro e gli operai di fuori. Siamo anche per gli imprenditori e per i politici. Siamo chiamati a sederci attorno allo stesso tavolo per tentare di dare risposte al grido arrabbiato della nostra gente e del nostro popolo. Io non ho la logica della finanza o del profitto, io ho soltanto la logica del Vangelo, che significa attenzione, presenza, solidarietà. Nessuno può accusare la Chiesa o un vescovo perché cerca di ascoltare il grido della gente e di sostenere il suo coraggio e la sua speranza. L’interpretazione ideologica non è fatta per capire la logica di una Chiesa, la logica di un ministero episcopale che ha altre logiche, altri stili e altre motivazioni. Io non mi sento un vescovo “contro”, ma mi sento un vescovo di una Chiesa “accanto” e “per”. Proprio venerdì sera, prima di ricevere la lettera, ai sindaci e alle sigle sindacali che avevo convocato in episcopio, ho ripetuto questa frase: la Chiesa non è contro nessuno, la Chiesa è per coinvolgere tutti ad assumersi le proprie responsabilità per dare un segnale di speranza a quanti soffrono in questi momenti.

    D. - Lei pensa che questa sua lettera metterà il punto sulla vicenda o ci sono incontri futuri in programma con la Fiat?

    R. – Io nella mia lettera di risposta mi sono dichiarato disponibile ad andare in Fiat per incontrare tutti gli operai. A me non interessa se sono quelli di dentro, quelli di fuori: a me come vescovo interessano gli operai, il mondo del lavoro e la gente che grida. Sono tutti miei fratelli, miei amici, ai quali devo dare e devo gridare la speranza del Vangelo.

    D. – Il suo, a fianco di tutti i lavoratori, non è un atteggiamento isolato ma, come accennava, di tutta la sua Chiesa…

    R. – Io voglio insistere, voglio insistere: io non sono per una parte. La mia Chiesa, con il vescovo è per tutto il mondo del lavoro, per tutti gli operai, per la loro dignità, per la dignità delle loro famiglie e per la dignità dei loro giovani. E non condanno l’impresa, non condanno l’imprenditoria, ma dobbiamo tener presente un’altra logica e dobbiamo tener presente, prima di tutto, altri valori.


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    Nella Chiesa e nel mondo



    Congo: i ribelli minacciano la città di Beni. Il vescovo: "Situazione esplosiva"

    ◊   Non è stato confermata la profanazione di una chiesa cattolica a Rwahwa (nel territorio di Beni, nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo), dove nella notte del 28 giugno alcuni banditi armati sarebbero entrati nell’edificio di culto, asportando il Santissimo. “Sono fuori diocesi e non ho ancora informazioni precise sul fatto” dice all’agenzia Fides mons. Melchisedech Sikuli Paluku, vescovo di Butembo-Beni. “Sto cercando di rientrare a Butembo il più rapidamente possibile per seguire la situazione che sembra diventare più esplosiva di prima” continua il vescovo. Proprio in questi giorni il governatore della Provincia del Nord-Kivu, Julien Paluku, ha denunciato che la città di Beni, capoluogo dell’omonimo territorio, è minacciata da una coalizione formata da ribelli ugandesi Adf-Nalu, da un gruppo autoctono di Mai-Mai e persino da una compagine di Shabaab somali. Mons. Sikuli Paluku parla di “una complessità di presenze di diversi gruppi armati vecchi e nuovi” La diocesi di Butembo-Beni vive inoltre il dramma dei sacerdoti Assunzionisti rapiti lo scorso ottobre e dei “quali - ricorda il vescovo - non si hanno più notizie da oltre 9 mesi”. Ma sono centinaia le persone scomparse nella zona” denuncia mons. Sikuli Paluku. “La Monusco (Missione Onu nella Rdc) afferma che sono 150 le persone scomparse, i gruppi della società civile parlano invece di 300 persone, mentre i rapimenti e gli omicidi continuano senza sosta. L’insicurezza è grave soprattutto nel nord del territorio della mia diocesi”. Sulla presenza degli Shabaab il vescovo afferma “quello che sappiamo è che da anni nella zona vi sono delle roccaforti somale che agiscono in convivenza con gruppi locali”. Sikuli Paluku descrive una situazione dove vi sarebbero interessi esterni che favoriscono la diffusione del radicalismo islamico, in un’area che ne era priva. “Subito dopo il rapimento dei tre sacerdoti - racconta - sono stato contattato da alcune persone che dicevano di detenerli (non so se fosse vero o meno), e che affermavano di essere dei convertiti all’islam. Sappiamo inoltre che nella regione vi sono persone, addirittura famiglie intere, che sono passate all’islam, non si sa bene come. Di sicuro vi sono interessi stranieri dietro questo fenomeno. Già qualche anno fa alcuni capi tradizionali, che erano stati invitati nella Libia di Gheddafi, si sono poi convertiti all’islam” conclude il vescovo. (R.P.)

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    Nigeria: chiuse le scuole dopo la strage nello Stato di Yobe

    ◊   La chiusura di tutte le scuole fino a settembre e, comunque, fino a che non siano state ripristinate condizioni di sicurezza accettabili: è la misura adottata dal governo dello Stato di Yobe, nella Nigeria nord-orientale, dopo una strage di studenti attribuita a militanti del gruppo armato Boko Haram. Secondo il quotidiano The Vanguard, la chiusura degli istituti è stata annunciata mentre militari e poliziotti avviavano “una caccia all’uomo” per catturare i responsabili dell’assalto di sabato al dormitorio di un istituto secondario nel distretto di Mamudo. Secondo le testimonianze di medici e addetti alle operazioni di soccorso rilanciate dalla stampa nigeriana, sabato sera un commando di uomini armati ha chiuso gli studenti in alcune stanze del dormitorio prima di appiccare un incendio e far detonare ordigni esplosivi. Alcuni ragazzi che avevano cercato di fuggire sarebbero stati uccisi a colpi di arma da fuoco. Nella strage, riferisce oggi The Vanguard, hanno perso la vita almeno 29 ragazzi e un insegnante. Boko Haram vuol dire letteralmente “L’istruzione occidentale è peccato”. Il gruppo sostiene di ritenere l’insegnamento nelle scuole pubbliche un fattore di corruzione, contrario ai dettami dell’islam. Yobe è uno dei tre Stati del nord-est della Nigeria dove a maggio, nel tentativo di contrastare le violenze Boko Haram, l’esercito ha avviato un’offensiva militare. (R.P.)

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    Regno Unito: appello dei vescovi a pregare per la pace in Siria

    ◊   Un accorato appello a pregare per la pace in Siria e a sostenere le organizzazioni cattoliche impegnate negli aiuti alla martoriata popolazione siriana è stato rivolto oggi dai vescovi inglesi e gallesi. In una dichiarazione firmata dal presidente della Conferenza episcopale, mons. Vincent Nichols, e dal presidente della Commissione episcopale per gli affari internazionali, mons. Declan Lang, si esortano in particolare tutti cattolici del Regno Unito a pregare per coloro che sono impegnati negli aiuti umanitari e per i leader politici del mondo affinché l’avvio dei negoziati di pace, più volte rinviati, possa cominciare al più presto. “La sofferenza dei siriani - ricorda la nota - cresce non solo a causa della violenza, ma anche delle difficoltà economiche che deve affrontare un numero crescente di persone e il caldo estivo non farà che aggravare le condizioni di vita nei campi profughi”. Di qui l’accorato appello ad aiutare gli espatriati e i profughi siriani sostenendo l’opera di organizzazioni come Missio, Cafod, la Caritas inglese, e l’Aiuto alla Chiesa che Soffre. Una Messa speciale per la comunità siriana e le vittime della guerra civile in Siria sarà celebrata venerdì 12 luglio, alle 17.30, nella Cattedrale di Westminster a Londra. Di fronte al dramma che sta vivendo il Medio Oriente ed in particolare la Siria, i vescovi inglesi e gallesi avevano indetto per il 4 dicembre scorso, solennità di San Giovanni Damasceno, una speciale Giornata nazionale di preghiera. (L.Z.)

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    Iraq. Il patriarca Sako ai preti: il sacerdozio è missione, non business

    ◊   Nel corso degli ultimi anni la debolezza nell'esercizio dell'autorità centrale, la vacatio di numerose sedi episcopali, la mancanza di sicurezza e lo stato di perenne emergenza socio-politica vissuto dall'Iraq “ha avuto effetti anche sulla identità dei sacerdoti e sulla loro spiritualità”, creando una “situazione che non può continuare” e che va affrontata con risolutezza riscoprendo la sorgente di grazia e il vero volto della vocazione e della missione sacerdotale. E' un richiamo forte e diretto quello contenuto in una lettera che il patriarca di Babilonia dei caldei Louis Raphael I Sako ha rivolto ai sacerdoti della sua Chiesa per sollecitare tutti a testimoniare nei fatti la natura propria del ministero sacerdotale come servizio a favore dei fratelli, per la salvezza di tutti. Nella lettera, che porta la data del 3 luglio - giorno in cui si celebra la festa di San Tommaso Apostolo - il patriarca caldeo manifesta la sua stima per “la maggior parte” dei sacerdoti della sua Chiesa, esprimendo gratitudine per il loro operato. Allo stesso tempo - riporta l'agenzia Fides - mons. Sako espone situazioni e dinamiche che vanno corrette senza indugi. “Alcuni sacerdoti” avverte il patriarca “hanno fatto delle loro parrocchie dei piccoli imperi”. Altri “sono partiti dall'Iraq senza permesso del vescovo, hanno fatto domanda di asilo politico o hanno lasciato la propria Chiesa e si sono uniti a un'altra Chiesa. Alcuni non celebrano la Messa se non il sabato e la domenica. Alcuni non predicano o, quando lo fanno, trasformano le loro omelie in insulti o in richieste di soldi”. Il sacerdozio – ripete il Patriarca, riecheggiando anche recenti richiami di Papa Francesco - “è una missione, non una professione o un business”. Il sacerdote “è il polmone umano che purifica i peccati con l'aria della Grazia divina” e “il suo successo nel lavoro è il frutto della potenza infinita di Dio e non il risultato delle sue prestazioni individuali”. Nella recente Assemblea sinodale - svoltasi a Baghdad dal 5 al 10 giugno - i vescovi caldei, per porre freno a fenomeni denunciati anche dal patriarca nella sua lettera, hanno ribadito che nessun sacerdote può abbandonare la propria diocesi senza il consenso del vescovo. (R.P.)

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    I vescovi dell'Asia condannano l'attacco al tempio buddista di Bodh Gaya

    ◊   “I vescovi dell’Asia condannano fermamente la violenza contro il tempio buddista di Bodh Gaya. Condannano anche la mentalità della divisione, della discriminazione e del comunitarismo che alimenta la violenza. Chiedono un serio impegno per l’armonia interreligiosa e per la giustizia soprattutto verso i poveri e verso le minoranze”: è quanto dice all’agenzia Fides padre Nithiya Sagayam, Segretario esecutivo dell’Ufficio per lo Sviluppo Umano nella “Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia” (Fabc), esprimendo la posizione della Federazione sull’attentato che la mattina di ieri, 7 luglio, ha colpito il complesso sacro del “Bodh Gaya”, nello Stato indiano del Bihar. Si tratta del santuario buddista più importante del mondo, patrimonio mondiale dell’Unesco, dove si trova l’albero sotto il quale Siddharta avrebbe raggiunto l’illuminazione, nel VI sec. a. C.. Secondo le prime indagini sull’attentato, che ha ferito due monaci, si segue la pista di una violenza di matrice islamica, che potrebbe essere collegata alle violenze che i musulmani stanno subendo in Myanmar da parte di estremisti buddisti. Dal canto suo all'agenzia AsiaNews il card. Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale indiana (Cbci) ed anche segretario generale della Fabc, come indiano si è detto "profondamente addolorato per l'orribile violenza perpetrata contro il tempio di Bodh Gaya. Desidero assicurare ai nostri pellegrini buddisti provenienti da tutto il mondo, in particolare da Sri Lanka, Cina, Giappone e Sudest asiatico, - ha detto il porporato - che l'India è una terra di pace, compassione e armonia. Daremo loro il nostro sostegno e la nostra solidarietà". (R.P.)

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    Filippine. Mindanao: colloqui con i ribelli ma nuove violenze nel sud

    ◊   Si aggrava il bilancio della nuova ondata di violenza che ha colpito l’isola di Mindanao, mentre oggi nella capitale malese Kuala Lumpur riprendono i colloqui tra emissari governativi e del Fronte islamico di liberazione Moro (Milf). I combattimenti hanno coinvolto forze governative e ribelli del Bangsamoro Islamic Freedom Fighters (Combattenti per la libertà della patria islamica Moro), un gruppo di fuoriusciti dal Milf, movimento da tempo impegnato nel dialogo intermittente con il governo per la nascita di una concreta autonomia per le regioni in maggioranza musulmane nel Sud del paese. Sono almeno 23 le vittime, di cui cinque, secondo le fonti ufficiali, tra i militari che hanno impegnato, insieme a paramilitari e polizia, i ribelli musulmani nelle provincie di North Cotabato e Maguindanao in un’offensiva a ridosso del mese del digiuno islamico. Per il colonnello Dickson Hermoso, responsabile delle operazioni - riferisce l'agenzia Misna - l’azione di rastrellamento dei militari avviata negli ultimi giorni cercava di anticipare le mosse e le attività belliche dei ribelli scissionisti, tra cui il posizionamento di mine. Inevitabile però la reazione della guerriglia. Le violenze del fine settimana hanno spinto parte della popolazione locale ad abbandonare le aree degli scontri ed evidenziato con la pace a Mindanao e nelle altre regioni meridionali delle Filippine resta un obiettivo difficile da raggiungere, per la frammentazione del movimento indipendentista musulmano, che a sua volta ha radici antiche e complesse e legami con l’islam, sia istituzionale, sia radicale nel mondo, ma anche per vasti interessi economici, politici e di potere che interessano la regione. Intanto, anche gli Stati Uniti si sono uniti a Canada e Australia nell’avvisare i propri cittadini a evitare le aree meridionali dell’arcipelago e in particolare le città di Davao, Cotabato e Zamboanga. (R.P.)

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    Vietnam: si difenderà da sé il dissidente cattolico a processo per evasione fiscale

    ◊   Non intende avvalersi della tutela di un legale e si difenderà da solo in tribunale il dissidente e avvocato cattolico Lê Quôc Quân, 42 anni, in carcere con la pretestuosa accusa di "evasione fiscale". Dovrà comparire in aula domani 9 luglio e nelle ultime settimane, si è preparato all'appuntamento mediante il digiuno e la preghiera. In una nota diffusa dalla sua prigione, egli dichiara di essere "totalmente innocente", mentre gruppi attivisti ricordano che il capo di imputazione viene spesso usato dalle autorità per colpire e imprigionare le voci "critiche". Intanto rilancia le accuse contro il governo comunista e il partito unico al potere ad Hanoi, che da tempo ha promosso una campagna volta a colpire le voci "critiche". Se riconosciuto colpevole, egli - in carcere dal dicembre scorso in attesa di processo - rischia fino a tre anni di carcere e una pesantissima multa. Rivolgendosi "ai compatrioti dentro e fuori il Vietnam" Quân ha aggiunto di voler affermare la propria "totale innocenza". "Amo il mio Paese - ha chiarito il dissidente cattolico - e lo faccio pagando tutte le tasse, sono vittima di decisioni e azioni di matrice politica". In base alle accuse, l'avvocato cattolico avrebbe evaso tasse per 21mila dollari. Il fratello è stato arrestato nel mese di ottobre, con lo stesso capo di accusa ed è rinchiuso nella prigione di Hoa Lo. Fonti della famiglia riferiscono che le autorità hanno opposto ostacoli e rifiuti alla consultazione delle presunte prove a carico dell'imputato; violazioni e abusi che sono aumentati quando il fascicolo è stato trasferito al tribunale popolare di Hanoi, nell'aprile scorso. La famiglia ha promosso numerose petizioni per il suo rilascio, senza mai ricevere risposte scritte o note ufficiali dalle autorità. L'avvocato cattolico Lê Quôc Quân, 42enne prigioniero politico, ha deciso di non nutrirsi nei giorni che hanno preceduto l'udienza, raccogliendosi nel digiuno e nella preghiera. Arrestato ad Hanoi mentre portava i figli a scuola, l'uomo si trova nella Hoa Lo Prison No.1 e per molto tempo né il suo legale, né i familiari hanno potuto hanno potuto incontrarlo. Da tempo non può più esercitare la professione di avvocato perché espulso dall'Ordine, e dedica ogni suo sforzo per difendere i diritti umani attraverso le sue azioni e un suo blog. Cattolico in Paese a maggioranza buddista, egli è stato più volte arrestato e malmenato da polizia e autorità per le sue campagne a difesa dei diritti umani e della libertà religiosa. Nel 2007 era stato incarcerato per aver partecipato ad "attività che mirano a sovvertire il governo del popolo" ("sovversione", art. 79 del Codice penale). In seguito alle proteste degli Stati Uniti, egli era stato liberato. (R.P.)

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    El Salvador: appello di mons. Rosa Chavez contro la violenza nel Paese

    ◊   La Chiesa cattolica di El Salvador ha denunciato l'escalation di violenze e omicidi della settimana scorsa, che ha generato polemiche e critiche nell'opinione pubblica sulla cosiddetta “tregua delle bande”. Una nota pervenuta all'agenzia Fides, riferisce che il vescovo ausiliare di San Salvador, Mons. Gregorio Rosa Chavez, ha letto una dichiarazione alla fine della Messa domenicale nella cattedrale metropolitana, dove ha deplorato la violenza omicida che ha ucciso, per lo più giovani e bambini. Secondo dati raccolti da Fides, sono 61 le persone uccise nei primi giorni di luglio. “È lo Stato, che deve garantire la nostra sicurezza come cittadini, ma purtroppo non c'è questa percezione nella comunità. La credibilità e la sostenibilità sono due condizioni importanti per far sì che la popolazione riesca a credere nella tregua delle bande. Come abbiamo detto fin dall'inizio, il processo di pace è fragile e siamo attualmente in un momento di crisi", ha detto il vescovo. "Il problema è grave e la soluzione comporta che ognuno faccia la propria parte. Si sono provate diverse formule, ma siamo ad un punto di incertezza e confusione per la situazione di violenza che si vive", ha aggiunto il vescovo ausiliare. Secondo un recente rapporto della polizia almeno una ventina degli ultimi omicidi sono riconducibili alle bande e si teme che la tregua sia saltata. Nel marzo 2012, le due bande principali che agiscono nel Paese, la Mara Salvatrucha (Ms-13) e la Barrio 18, hanno proclamato una tregua grazie alla quale gli omicidi giornalieri sono diminuiti da 14 a 5. (R.P.)

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    Kek: il Segretariato si sposta da Ginevra a Bruxelles

    ◊   “La Conferenza delle Chiese europee ha approvato una nuova Costituzione che prevede che la Kek trasferisca il proprio Segretariato da Ginevra a Bruxelles”. Lo annuncia il comunicato stampa diffuso da Budapest, a conclusione della 14ª Assemblea della Kek sul tema: “E ora, che cosa aspettate?”. Ieri sera, con 160 voti favorevoli, 7 contrari e 7 astenuti, l’Assemblea ha approvato la nuova Costituzione nel cui Preambolo, sottolinea il comunicato stampa, la Kek si impegna “in modo nuovo ad aiutare le Chiese europee a condividere la propria vita spirituale, rafforzare la loro testimonianza e il loro lavoro comune e promuovere l’unità della Chiesa e la pace nel mondo”. Il trasferimento degli uffici, che dal 1959 sono a Ginevra insieme al Consiglio Mondiale delle Chiese, avverrà nei prossimi 2 o 3 anni. Un altro cambiamento riguarda il Comitato centrale di 40 membri che diverrà un “governing board” di 20 persone mentre le commissioni saranno “un sistema più unificato”. Il comunicato - ripreso dall'agenzia Sir - esprime anche “lo sgomento di alcuni partecipanti, rappresentanti di organizzazioni giovanili, delle donne e di altre associazioni ecumeniche” per non avere più lo status di Chiese-membre, ma di essere “organizzazioni in partnership”. (R.P.)

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    Unitalsi: arrivati a Barcellona i bambini in missione di pace

    ◊   Sono sbarcati questa mattina a Barcellona i mille partecipanti al pellegrinaggio “Bambini in missione di pace” promosso dall’Unitalsi. Partiti da Civitavecchia la notte di sabato 6 luglio, dopo un giorno di navigazione a bordo della nave “Cruise” della compagnia “Grimaldi”, che ha collaborato all’iniziativa, i pellegrini, tra i quali oltre 160 disabili di diverse età, resteranno nella città catalana fino all’11 luglio, per fare rientro il giorno dopo in Italia. Prima della partenza - riporta l'agenzia Sir - l’assistente nazionale Unitalsi, nonché vescovo di Civitavecchia, mons. Luigi Marrucci, dopo aver indossato un cappello a forma di lupo, suscitando il sorriso dei presenti, ha esortato i pellegrini ed i loro accompagnatori a comportarsi “non come lupi ma come agnelli spargendo tenerezza e bontà”. “Nella vita - ha detto - riesce chi è capace di farsi dono per gli altri e chi è capace di perdonare”. Tra i mille pellegrini anche due famiglie palestinesi di Gerico, accompagnate dal parroco della parrocchia del Buon Pastore, il libanese padre Mario Hadchity. Quest’ultimo, al termine della Messa ha invitato i presenti a farsi pellegrini in Terra Santa, un modo, ha sottolineato, “per essere vicini anche materialmente ai cristiani locali, che sempre più numerosi sono costretti a lasciare i luoghi santi a causa dei conflitti e delle difficoltà sociali ed economiche”. (R.P.)

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    Iraq: patriarcato caldeo restaura manoscritti antichi, per ricostruire il futuro dei cristiani

    ◊   Sacra Scrittura e interpretazione dei testi, pagine di liturgia, di letteratura antica e di poesia. Sono solo alcuni, fra i molti temi che caratterizzano i manoscritti rivenuti dal Patriarcato caldeo in condizioni di abbandono e che saranno sottoposti a un'attenta opera di restauro e archiviazione. Si tratta - riferisce l'agenzia AsiaNews - di un'eredità "inestimabile", come sottolinea il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako, patriarca caldeo, che ha promosso e sostenuto con forza questa opera di "recupero del patrimonio culturale" della Chiesa irakena. In passato erano abbandonati in una cripta, all'interno di sacchetti di plastica, nella vecchia sede del patriarcato a Sinak (al centro di Baghdad) e poi trasferiti nella sede attuale, a Mansoor, a nord della capitale. Infiltrazioni di acqua, falene e termiti ne avevano compromesso in buona parte l'integrità; oltretutto non erano accessibili al pubblico, né agli esperti e studiosi. Da qui l'idea del Patriarca Sako di affidare a padre Najeeb, un domenicano, e al suo team specializzato, il compito di restaurarli - o di fotocopiare quelli ormai irrecuperabili - e restituirli alla comunità cristiana e agli esperti, per studiarne il contenuto. "Sono molti e diversi i temi di cui trattano i manoscritti" spiega all'agenzia AsiaNews mons. Jaques Isaac, ausiliare di mons. Sako, che ha iniziato lo studio dei testi con il compianto padre Butrus Hadad, notaio del patriarcato caldeo. E variano "dalla Sacra Scrittura alla liturgia". I manoscritti costituiscono una "parte importantissima" della storia della Chiesa caldea, perché "non c'è presente, né futuro senza un passato". Ecco perché il patriarca e l'intera comunità considerano il patrimonio letterario "un'eredità ecclesiale da cui dipende il nostro quotidiano". Scoprire e conoscere le liturgie del passato, spiegano, sarà "fondamentale" per introdurre "innovazioni e cambiamenti in futuro". Il passato è una fonte inestimabile di lezioni ed esempi che insegnano la "fede autentica" e la "convivenza pacifica fra comunità diverse". Un insegnamento importante per l'Iraq di oggi, martoriato da violenze e divisioni fra musulmani e cristiani, arabi, turcomanni e curdi, sunniti e sciiti. "Oggi, ancor più che in passato - commentano al patriarcato caldeo - è necessario guardare al passato per costruire un futuro migliore". Mons. Sako ha chiesto che venga approntato un team specializzato, guidato da un padre domenicano, che dovrà salvaguardare quanto più possibile del materiale rinvenuto. Una volta concluso il lavoro, i testi potranno essere consultati da sacerdoti, studiosi, esperti e ricercatori; anche se, questo è l'appello e l'auspicio del patriarcato, "tutti sono responsabili e chiamati a contribuire alla salvaguardia del patrimonio. Ed è anche per questo che si cercherà, nel futuro prossimo, di istituire Centri culturali "che insegnino la nostra lingua e la nostra storia". (R.P.)

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    Alla Gmg di Rio un video su una cattolica peruviana morta in un campo di concentramento nazista

    ◊   Un documentario realizzato in Perù sulla vita di Madeleine Truel, è stato selezionato come uno dei film che verrà mostrato ai partecipanti alla Giornata Mondiale della Gioventù 2013 di Rio, afferma una nota inviata all'agenzia Fides dai vescovi peruviani. "Madeleine Truel, l'eroina peruviana della seconda guerra mondiale" è il titolo del documentario, che descrive le gesta di Madeleine Truel, una donna peruviana nata da genitori francesi, che ha combattuto nella Resistenza francese, lavorando alla fabbricazione di documenti falsi, grazie ai quali molti ebrei sono riusciti a fuggire ai campi di sterminio e diversi soldati alleati sono riusciti a infiltrarsi nella zona francese occupata dai nazisti. Madeleine Truel è stata catturata nel 1944 e inviata al campo di concentramento di Sachsenhausen (Germania), dove è morta in una delle marce della morte, il 3 maggio 1945, quattro giorni prima della resa tedesca. Il suo nome compare nella lista di resistenti deportati dalla Francia, morti durante la seconda guerra mondiale, riconosciuta dal governo francese nel 2001. Il documentario include interviste e testimonianze di varie personalità, tra cui i parenti della protagonista, storici e religiosi. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 189

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.