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Sommario del 06/07/2013
◊ Il cardinale François Xavier Nguyên Van Thuân: un uomo “profondamente unito a Colui che lo aveva chiamato ad essere ministro della sua misericordia e del suo amore”. Così Papa Francesco ricorda la figura del porporato vietnamita nell’udienza, stamani, ai circa 400 partecipanti alla sessione di chiusura della fase diocesana del processo di beatificazione del Servo di Dio. L'inchiesta diocesana sulle sue virtù eroiche si è infatti chiusa ieri. A rivolgere l'indirizzo di saluto, il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace. Il servizio di Debora Donnini:
“Sono molte le persone che possono testimoniare di essere state edificate dall’incontro con il Servo di Dio Francesco Saverio Nguyên Van Thuân, nei diversi momenti della sua vita”. Lo afferma Papa Francesco nel discorso pronunciato il giorno dopo la conclusione della fase diocesana del processo di beatificazione del cardinale vietnamita. Van Thuan era già arcivescovo di Saigon quando nel 1975, sotto il regime comunista del Vietnam, venne imprigionato per la sua fede e restò 13 anni in carcere, di cui 9 in totale isolamento. E’ morto il 16 settembre del 2002. Papa Francesco sottolinea, dunque, come sia stato un "testimone della speranza" e abbia colpito chi lo incontrava:
“L’esperienza dimostra che la sua fama di santità si è diffusa proprio attraverso la testimonianza di tante persone che lo hanno incontrato e conservano nel cuore il suo sorriso mite e la grandezza del suo animo”.
Nel 2000 predicò gli esercizi spirituali per la Quaresima al Papa e alla Curia e nel 1998 Giovanni Paolo II lo nominò presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Papa Francesco rileva, infatti, come presso lo stesso Pontificio Consiglio il ricordo del cardinale Van Thuan sia “sempre vivo” e che, più che un ricordo, “è una presenza spirituale – afferma – che continua a portare la sua benedizione”. Ma il cardinale Van Thuan, “figlio dell’Oriente” è stato conosciuto anche tramite i suoi scritti:
“Molti lo hanno conosciuto anche attraverso i suoi scritti, semplici e profondi, che mostrano il suo animo sacerdotale, profondamente unito a Colui che lo aveva chiamato ad essere ministro della sua misericordia e del suo amore”.
Infine il Papa affida a Maria il proseguimento di questa causa e di tutte le altre attualmente in corso.
◊ Papa Francesco ha ricevuto stamani, in Vaticano, il presidente della Repubblica di Trinidad e Tobago, Anthony Thomas Aquinas Carmona. Durante il colloquio, informa una nota della Sala Stampa vaticana, ci si è soffermati sul “contributo che la Chiesa cattolica offre alla popolazione, specie nei settori dell’educazione, della salute e dell’assistenza ai più bisognosi e vulnerabili”. E’ stato inoltre formulato “l’auspicio di una proficua collaborazione, sia nella vicinanza ai giovani che nella lotta contro la criminalità e la violenza”. Infine, conclude la nota, “sono stati toccati alcuni temi di grande rilevanza, quali la formazione integrale della persona e la tutela della famiglia".
Un momento di particolare allegria ha caratterizzato l'incontro: tra i regali portati dal presidente al Pontefice c'era anche una batteria di percussioni in metallo, tipiche delle isole caraibiche. "Voglio che lei diventi bravo a suonarle", ha scherzato Carmona, e Papa Francesco ha preso le bacchette e ha cominciato a suonare i tamburi.
Il Papa: non dobbiamo aver paura di rinnovare le strutture della Chiesa
◊ Essere cristiano “non significa fare cose, ma lasciarsi rinnovare dallo Spirito Santo”: è quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta, l’ultima alla presenza di gruppi prima della pausa estiva. Il Papa ha sottolineato che, anche nella vita della Chiesa, ci sono “strutture antiche” da rinnovare senza avere paura. Alla Messa ha preso parte, tra gli altri, un gruppo di reclute della Guardia Svizzera Pontificia. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Vino nuovo in otri nuovi”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi sul rinnovamento che porta Gesù. “La dottrina della legge – ha osservato – viene con Gesù arricchita, rinnovata” e “Gesù fa nuove tutte le cose”. Il suo, ha detto ancora, è “un vero rinnovamento della legge, la stessa legge ma più matura, rinnovata”. E ha sottolineato che “le esigenze di Gesù erano più forti”, più “grandi di quelle della legge”. La legge permette di odiare il nemico, Gesù invece dice di pregare per lui. Questo, dunque, è “il Regno di Dio che Gesù predica”. Un rinnovamento che “è prima di tutto nel nostro cuore”. Noi, ha avvertito, “pensiamo che essere cristiani significa" fare questo o quest’altro. Ma non è così:
“Essere cristiano significa lasciarsi rinnovare da Gesù in questa nuova vita. Io sono un buon cristiano, tutte le domeniche, dalle 11 a mezzogiorno vado a Messa e faccio questo, faccio questo… Come se fosse una collezione. Ma la vita cristiana non è un collage di cose. E’ una totalità armonica, armoniosa, e la fa lo Spirito Santo! Rinnova tutto: rinnova il nostro cuore, la nostra vita e ci fa vivere in uno stile diverso, ma in uno stile che prende la totalità della vita. Non si può essere cristiano a pezzi, part-time. Il cristiano part-time non va! Tutto, la totalità, a tempo pieno. Questo rinnovamento lo fa lo Spirito. Essere cristiano alla fine non significa fare cose, ma lasciarsi rinnovare dallo Spirito Santo o, per usare le parole di Gesù, diventare vino nuovo”.
La novità del Vangelo, ha poi aggiunto, è “una novità, ma nella stessa legge che viene nella storia della Salvezza”. E questa novità, ha detto, “va oltre noi” ci rinnova “e rinnova le strutture”. Per questo Gesù dice che per il vino nuovo sono necessari otri nuovi:
“Nella vita cristiana, anche nella vita della Chiesa, ci sono strutture antiche, strutture caduche: è necessario rinnovarle! E la Chiesa sempre è stata attenta a quello, col dialogo con le culture… Sempre si lascia rinnovare secondo i luoghi, i tempi e le persone. Questo lavoro sempre lo ha fatto la Chiesa! Dal primo momento, ricordiamo la prima lotta teologica: per diventare cristiano è necessario fare tutta la pratica giudaica o no? No! Hanno detto di no! I gentili possono entrare come sono: gentili… Entrare in Chiesa e ricevere il Battesimo. Un primo rinnovamento della struttura… E così la Chiesa sempre è andata avanti, lasciando allo Spirito Santo che rinnovi queste strutture, strutture di chiese. Non avere paura di quello! Non avere paura della novità del Vangelo! Non avere paura della novità che lo Spirito Santo fa in noi! Non avere paura del rinnovamento delle strutture!”.
“La Chiesa – ha detto ancora – è libera: la porta avanti lo Spirito Santo”. Il Vangelo ci insegna questo: “la libertà per trovare sempre la novità del Vangelo in noi, nella nostra vita e anche nelle strutture”. Il Papa ha quindi ribadito l’importanza della “libertà per scegliere otri nuovi per questa novità”. Ed ha soggiunto che il cristiano è un uomo libero “con quella libertà” che ci dà Gesù, “non è schiavo di abitudini, di strutture…lo porta avanti lo Spirito Santo”. Il Papa ha così rammentato che il giorno di Pentecoste assieme ai discepoli c’era la Madonna:
“E dov’è la madre, i bambini sono sicuri! Tutti! Chiediamo la grazia di non aver paura della novità del Vangelo, di non aver paura del rinnovamento che fa lo Spirito Santo, di non aver paura di lasciar cadere le strutture caduche, che ci imprigionano. Se abbiamo paura, sappiamo che è con noi la Madre e come i bambini con un po’ di paura, andiamo da Lei e Lei – come dice la più antica antifona – ‘ci custodisce col suo manto, con la sua protezione di madre’. Così sia”.
Tweet del Papa: impariamo a rimanere in silenzio dinanzi al Signore che ci parla
◊ Nuovo tweet del Papa: “Il Signore – scrive il Pontefice - ci parla attraverso la Sacra Scrittura, nella preghiera. Impariamo - è la sua esortazione - a rimanere in silenzio davanti a Lui, a meditare il Vangelo”. Sull'account @Pontifex in nove lingue, i follower sono quasi 7 milioni e 300 mila.
"Lumen fidei", prima Enciclica di Papa Francesco: il commento di mons. Canobbio
◊ Grande attenzione hanno dato i media di tutto il mondo alla Lumen Fidei, prima Enciclica firmata da Papa Francesco, pubblicata ieri. Ma da dove nasce l’urgenza di recuperare il carattere di ‘luce’ della fede dichiarata dal Pontefice nell’introduzione del documento? Fabio Colagrande lo ha chiesto a mons. Giacomo Canobbio, docente di teologia fondamentale alla Facoltà teologica dell'Italia settentrionale:
R. – La fede è intesa ancora da molte persone - o più in generale dalla cultura - come un’accettare qualcosa che sia oscuro, in contrapposizione alla ragione che sarebbe invece lucida, aperta alla luce, quindi aperta alla conoscenza. La fede continua a essere considerata da molte persone come l’accettazione di qualcosa che non si comprende. In questo senso mi pare che ci sia ancora l’ombra lunga dell’Illuminismo, quel periodo storico del pensiero secondo cui finalmente si usciva dall’oscurità per entrare nella luce e la luce era rappresentata semplicemente dalla ragione. Il Papa, invece, vuole sottolineare che la fede apre gli occhi e quindi porta luce dentro l’esistenza umana.
D. – Nel primo capitolo, “Abbiamo creduto all’amore”, si afferma che la fede cristiana è fede nell’amore pieno, nella sua capacità di trasformare il mondo. E’ un concetto, però, sotteso a tutto il testo, con forti implicazioni pastorali. E’ d’accordo su questa analisi?
R. – Direi proprio di sì perché a me pare che la descrizione che viene fatta della fede è quella di una relazione personale: si è oltre la comprensione della fede come accoglienza di verità espresse in proposizioni. La relazione con Dio, la relazione soprattutto con Gesù Cristo - la parte dedicata a Gesù Cristo è notevole nell’Enciclica – è la descrizione più adeguata della fede. Quindi la fede non come chiusura rispetto alla realtà, ma come un’apertura più grande. E’ una relazione, un’apertura che include l’amore perché non c’è relazione personale autentica che non comporti l’amore. Mi pare che la dimensione pastorale di questo sia notevolissima, proprio perché la fede che porta la persona ad appoggiarsi su Qualcuno che è più grande di lei rende possibile un futuro.
D. – Nel quarto capitolo, “Dio prepara per loro una città”, troviamo un’affermazione lapidaria, molto efficace: la fede è un bene per tutti, un bene comune che illumina il vivere sociale…
R. – Proprio perché la Verità che la fede accoglie, è una persona, la persona di Gesù che è l’auto-rivelazione di Dio, questo vuol dire introdurre nell’esistenza umana una specie di collante. Se si accoglie comunemente una verità allora si sente di avere vincoli tra di noi; cosa che non succede se ciascuno si costruisce la sua verità: il Papa fa riferimento al relativismo, un altro dei temi caratteristici di Benedetto XVI. Se, invece, si accoglie tutti la medesima verità, allora si riesce tutti insieme a percorrere una strada per costruire l’unità tra le persone umane. La fede, in questo senso, valorizza la ricchezza delle relazioni umane. La fede non allontana dal mondo e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei perché se la fede è congiunta con l’amore, accogliendo la medesima verità, si diventa capaci di relazioni accoglienti nei confronti degli altri perché nella presenza di Gesù nella storia si è avvertita la presenza di Dio che si prende cura dell’umanità. La fede è un bene per tutti, la sua luce non illumina solo l’interno della Chiesa, essa ci aiuta a edificare le nostre società in modo che camminino verso un futuro di speranza. In questi ultimi passaggi relativi alla società, a me pare di trovare tracce di quanto Papa Francesco sta dicendo in quest’ultimo periodo che vede il Papa proporre, in forma molto semplice ma molto convincente, il senso autentico della fede cristiana per la vita delle persone umane e per la società.
◊ C’è attesa a Lampedusa per la prima visita di un Papa, lunedì prossimo. Francesco abbraccerà il dramma sostenuto dai migranti e incoraggerà tutto il mondo alla carità. Sull’isola si stanno mettendo a punto gli ultimi dettagli ed ultimando il palco presso lo stadio dove si terrà la Santa Messa. Sarà un rito sobrio, informa la Sala Stampa vaticana, il Papa userà un calice in legno e un pastorale, messo a disposizione della Parrocchia di San Gerlando, realizzati con i pezzi di legno ricavati dalle barche dei migranti approdati sull’isola. Tanta l’emozione dei migranti, nei loro occhi il dramma del loro viaggio. Ascoltiamo - al microfono di Massimiliano Menichetti - la testimonianza di Awas, partito dalla Somalia e approdato proprio a Lampedusa nel 2008:
R. – Sono partito dalla Somalia e sono arrivato a Lampedusa. E’ stato un viaggio lungo, in cui ho rischiato la vita, ma alla fine ce l’ho fatta.
D. – Mi puoi descrivere, come si è svolto il viaggio?
R. – Non conoscevo la strada, quindi ho pagato i trafficanti, quelli che dovrebbero aiutarti e dirti come arrivare, ma che spesso, però, non ti danno le giuste informazioni. Mi hanno portato in Libia dal Sudan. Tra il Sudan e la Libia, però, c’è un deserto e lì ho rischiato la vita.
D. – Quanto sei rimasto in quella fascia di deserto?
R. – 24 giorni. Ci hanno dato da bere ed anche da mangiare per quattro giorni, dicendoci che saremmo arrivati in Libia in quattro giorni. Ma non è stato così: è finito tutto dopo 24 giorni.
D. – Tutti sono sopravvissuti?
R. – No, no... Eravamo undici ragazzi somali e nove sono morti. Siamo rimasti in due! Eravamo 150 persone di Paesi diversi. La maggior parte di loro è morta.
D. – Poi siete partiti dalle coste della Libia verso Lampedusa?
R. – La barca era a Tripoli. Si trattava di una barca di circa 4 metri per 45 persone: bambini, donne, anziani...
D. – Il viaggio è stato difficile anche nella barca o è stato più semplice?
R. – Grazie a Dio è stato facile, ma non sapevamo che lo fosse. I trafficanti che abbiamo pagato ci hanno detto di guidare noi la barca.
D. – Senza sapere come si faceva?
R. – Senza sapere come arrivare a Lampedusa e dove fosse Lampedusa. Essendo sera, ci hanno detto: “Dovete guardare quella stella”. Abbiamo chiesto quanto sarebbe durato il nostro viaggio e ci hanno risposto: “Venti, ventidue ore”. “Ma in ventidue ore non è sempre sera, c’è il giorno, e la stella non rimane lì per noi!” E loro: “Dovete andare sempre dritti per Lampedusa”. E noi ci siamo chiesti: “Siamo pronti a morire o a sopravvivere?”
D. – Perché l’Italia?
R. – Perché credevamo che l’Italia rispettasse i diritti umani, i diritti di asilo, anche di asilo politico.
D. – E’ stato così?
R. – Sì, ci ha dato i documenti, ma non abbiamo mai avuto tutto il resto.
D. – Come ti trovavi a Lampedusa?
R. – Nei dieci giorni passati a Lampedusa ero molto, molto contento. I carabinieri, i militari, la polizia, le persone che sono lì ti trattano bene: ti tanno medicine, ti controllano, ti danno da mangiare, un letto, tutto. Era tutto bellissimo. Io ero contento e ringraziavo Dio, perché quello era ciò che mi aspettavo, per quello avevo rischiato la vita e volevo vivere così. Mi dicevo: “La vita è migliore così: con una persona che pensa a te, che ti vuole aiutare, che ti dà la mano, ti stringe”. Ma una volta che sono uscito da Lampedusa è finito tutto: le persone che mi volevano bene sono rimaste nell’isola.
D. – E poi che cosa è successo?
R. – Arrivato a Lampedusa ci sono rimasto per dieci giorni, ho chiesto asilo e mi hanno portato a Roma. Ricordo che era l’agosto del 2008. Sono andato in un centro di accoglienza e, appena ho ottenuto i documenti, mi hanno detto: “Roma è grande! L’Italia è grande!”. E quella è stata davvero - non so come dire - una delusione.
D. – Il Papa va a Lampedusa e deporrà una corona di fiori in mare. Cosa pensi di questo gesto?
R. – Penso che sia importante ricordare le persone che sono morte in mare. Ha pensato bene di ricordare agli italiani che ci sono persone che vogliono venire in Italia e muoiono durante il viaggio. E’ una cosa importante e sono contento che l’abbia pensato.
D. – Se tu potessi, cosa gli chiederesti?
R. – Al Papa… chiedo di aiutare i poveri. Io sono un povero, ma non sono solo. Non lo chiedo per me, non dimentichi i poveri. Ho sentito che lui aiuta sempre i poveri. Non ho una richiesta specifica, speciale.
D. – Cosa pensi di fare nella tua vita?
R. – Sto pensando di migliorare la mia vita, grazie alle mie amiche suore, che mi aiutano sempre. Anche se lo Stato italiano mi ha dimenticato – tutti noi rifugiati siamo per strada – cerco di cambiare: studio e per fortuna ho trovato anche un lavoro part-time. Sto pensando, insomma, di riavere quello che ho perso.
D. – Perché sei venuto via dalla Somalia?
R. – Perché il gruppo al Shabab, che fa parte di Al Qaeda, voleva uccidermi.
D. – Perché?
R. – Perché avevo un negozio dove vendevo dvd e cd e per loro era vietato. Mi hanno detto, quindi, di chiudere il negozio. Io però ho detto: “Non posso chiuderlo, perché questo è il mio lavoro”. E allora loro hanno risposto: “Ti uccidiamo, perché vai contro le nostre regole e non puoi stare qui con noi”. Sono scappato.
D. – Hai lasciato quindi tutta la tua famiglia, tutti i tuoi amici, tutti...
R. – Ho perso tutto: amici, amore, famiglia, tutto.
D. – Potevi chiudere e fare un’altra cosa, eppure hai scelto un percorso molto pericoloso, cioè quello di partire per l’Italia...
R. – Se fossi rimasto in Somalia, non avrei potuto chiudere il negozio, perché era l’unico lavoro. Ma soprattutto non sapevo che il viaggio per arrivare in Italia sarebbe stato così difficile e rischioso. Se l’avessi saputo, sarei rimasto in Africa, in un altro Paese. Non sapevo che la vita in Italia sarebbe stata così difficile.
D. – Molti dicono: “Andiamo in Italia, andiamo in Europa, in Germania, in Francia”, pensando che sia facile. C’è un po’ questo pensiero?
R. – Nel nostro Paese, in Africa, pensiamo che in Europa ci siano tante cose. La parola “Europa” per noi è qualcosa di grande. “Se andiamo in Europa troviamo tutto: troviamo lavoro e così via” Invece no: è un sogno.
D. – Ma non c’è nessuno di voi che vi avverte?
R. – Sì, ma non ci crediamo. Per esempio, io se oggi chiamo mio fratello e gli dico: “Fratello, si rischia la vita, è meglio che tu vada in un altro Paese!”. Lui risponde: “Ma anche tu ci vivi!Che ci fai lì? Se lì non c’è niente, perché stai lì? Vieni tu qui!”
D. – Perché non torni allora?
R. – Se torno, rischio di nuovo la vita. Qui non c’è sistema, ma non rischio la vita.
D. – Che cosa diresti alle persone del tuo Paese, sapendo che vorrebbero venire in Italia?
R. – Direi che quello del venire in Italia è un sogno. “Levatevelo dalla testa, perché in Italia, e non solo in Italia, in Europa, non c’è niente”. Direi loro di cercare un’altra vita in un altro Paese, dove poter vivere, finché nel nostro Paese non ci sia la pace. Quando nel nostro Paese ci sarà la pace, tutti noi torneremo. La Somalia, infatti, è nel nostro cuore.
Udienze e nomine di Papa Francesco
◊ Papa Francesco ha ricevuto stamani il card. Achille Silvestrini, prefetto emerito della Congregazione per le Chiese Orientali. Oggi pomeriggio, alle ore 17.15 in Aula Paolo VI, il Papa avrà un incontro con i seminaristi, novizi e novizie, e giovani in cammino vocazionale.
Il Papa ha nominato nunzio apostolico in Bangladesh, mons. George Kocherry, arcivescovo titolare di Othona, finora nunzio apostolico in Zimbabwe.
Mons. Tomasi: Santa Sede parte attiva del Trattato di Marrakech per i diritti dei disabili visivi
◊ "La Santa Sede ha avuto un ruolo attivo nella mediazione e nella realizzazione del Trattato firmato il 28 giugno scorso alla Conferenza di Marrakech dell’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (Wipo) e che risponde ai diritti di quasi 300milioni di persone". E' quanto sottolinea mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l'Ufficio Onu di Ginevra, in merito al nuovo strumento giuridico internazionale creato per facilitare l’accesso ad ogni tipo di pubblicazione da parte degli ipovedenti. Al microfono di Gabriella Ceraso lo stesso mons. Tomasi spiega l'importanza del Trattato in due novità in esso contenute:
R. - Questo nuovo Trattato ha la sua importanza nella novità del fatto che per la prima volta nel campo della proprietà intellettuale, dei diritti d’autore, del copyright, si riesce a fare una eccezione che dà spazio ai diritti umani, al diritto delle persone con disabilità visive permanenti ad avere accesso a tutto quello che è stampato senza che ci sia la necessità di pagare i diritti di autore quando questi testi vengono trasformati in prodotti audio. Poi il fatto che si fa un’eccezione al diritto d’autore mostra che anche la conoscenza, la scienza, le nuove scoperte, hanno un’ipoteca sociale.
D. - Lei ha parlato proprio per queste persone addirittura di una carestia di libri…
R. - Solo il cinque per cento delle opere pubblicate sono disponibili in formati braille o in forma di audiolibri. Questa percentuale viene ridotta all’uno per cento nei Paesi meno avanzati. Non c’è la materia prima per favorire la formazione, la crescita umana spirituale di queste persone. Con questo trattato, questa carestia di libri viene chiusa e adesso si tratta di favorire la ratifica di questo trattato al più presto. Io spero che le Chiese locali diano una mano nel senso di far conoscere e di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’utilità di questa misura, di questo strumento nuovo e internazionale. Occorrono 20 ratifiche perché il trattato diventi effettivo.
D. - Quindi questo trattato è sinonimo di crescita di qualificazione di queste persone, di più partecipazione alla vita sociale…
R. - Si tratta esattamente di questo e allo stesso tempo di riconoscere che il trattato è molto equilibrato, che non nega la protezione del diritto d’autore quale strumento di promozione della cultura, della creatività. Infatti, anche gli editori, le associazioni degli editori, alla fine sono state soddisfatte. Quindi direi che è stato un passo che può servire come lezione per far vedere che quando c’è la buona volontà, da tutte le parti che stanno negoziando, di essere al servizio di categorie bisognose, si può arrivare, attraverso il sistema multilaterale, a conclusioni che hanno un impatto positivo e benefico per tutti.
D. - La Santa Sede ha avuto un ruolo specifico a livello di sensibilizzazione e proprio di input in questo trattato?
R. - Negli ultimi quattro anni la Santa Sede è stata impegnata in una maniera diretta nel “core group” dei Paesi che volevano arrivare a una conclusione positiva. Questa partecipazione e questo contributo attivo ed efficace sia nella mediazione, sia nel tener viva la dimensione umanitaria del trattato stesso, è stata riconosciuta anche pubblicamente.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ "Nessuna festa. Solo preghiera": in prima pagina, Mario Ponzi sulla visita, lunedì, di Papa Francesco a Lampedusa.
L'abbraccio per quanti cercano: le reazioni alla "Lumen fidei" sulla stampa internazionale.
Rinnovamento senza timori: Messa del Pontefice a Santa Marta.
Al posto giusto: Papa Francesco - in un'intervista di Alver Metalli pubblicata sul sito "Terre d'America" - raccontato dal sacerdote argentino José Maria Di Paola.
Lo spiraglio del parere n.121: Ferdinando Cancelli a proposito del dibattito sulla legge Leonetti in Francia.
Un articolo di Giovanni Preziosi dal titolo "E le catacombe salvarono anche gli ebrei": durante l'occupazione nazista le benedettine di Priscilla nascosero centinaia di perseguitati anche con la complicità dell'ambasciatore del Reich presso la Santa Sede, Ernst von Weizsacker.
Costruttore di pace: Giulia Galeotti su Jean Vanier cui è stato conferito il premio "Pacem in Terris".
Timothy Verdon recensisce la mostra, prima a Firenze e poi a Parigi, "La primavera del Rinascimento".
Per tutti un lavoro dignitoso: nell'informazione internazionale, intervento della Santa Sede a New York.
Negli scontri in Egitto: ucciso nel Sinai un sacerdote copto
◊ Il presidente ad interim egiziano Adly Mansour ha ricevuto oggi il ministro della Difesa Abdela Fattah el Sissi e dell'Interno Mohamed Ibrahim per fare il punto della situazione dopo 24 ore di violenze nelle quali hanno perso la vita almeno 30 persone: oggi è stato ucciso anche un sacerdote cristiano copto. Il prete è stato raggiunto da colpi d’arma da fuoco sparati da uomini in moto mentre si trovava in macchina davanti alla sua chiesa a el Massaid, nella provincia egiziana del Sinai. Mansour continua i suoi contatti per incaricare un primo ministro, prima tappa della road map definita fra militari e opposizioni per portare ad elezioni presidenziali anticipate. I sostenitori del presidente deposto Morsi si sono scontrati con i manifestanti legati al movimento Tamarrod, che significa Ribellione, che rappresenta la parte popolare che si è opposta al processo di islamizzazione portato avanti dal precedente governo. Del movimento Tamarrod e delle contrapposizioni in atto in Egitto, Fausta Speranza ha parlato con Germano Dottori, docente di Studi strategici all’Università Luiss:
R. - Del movimento noto come Tamarrod in realtà noi purtroppo sappiamo ancora ben poco. L’unica cosa che siamo venuti a sapere è che c’è una certa area di sovrapposizione tra questo nuovo movimento e quelli che li hanno preceduti nel 2011 ed ancora prima. In particolare la matrice sembra essere rappresentata dal movimento Kefaia che svolse già un ruolo importante nei fatti del gennaio/febbraio 2001.
D. – Però, poi, c’è il ruolo degli islamisti: nella notte hanno fatto appello a mantenere la mobilitazione in Egitto…
R. - In queste ore in Egitto si sta svolgendo un confronto tra mobilitazioni contrapposte, perché evidentemente la Fratellanza Musulmana che ha perso apparentemente il controllo del Paese reagisce e mostra i muscoli. Tra le altre cose, stanno giungendo voci dall’Egitto secondo le quali l’esercito in realtà non sarebbe più compatto ed in particolare all’interno della Guardia Repubblicana ci sono, o ci sarebbero, elementi che starebbero tentando di reinsediare il presidente Morsi. La situazione, in un certo senso, è tutt’altro che stabilizzata ed è questa la grande preoccupazione che hanno tutte le cancellerie, specialmente quelle occidentali: tutti erano preoccupati che questo potesse essere il preludio di una guerra civile. Speriamo che le preoccupazioni non si materializzino.
D. - Nelle ultime ore, dai governi dell’Arabia Saudita, Kuwait e degli Emirati Arabi Uniti sono giunte promesse di aiuti finanziari, prestiti o addirittura donazioni. Sappiamo che l’Egitto è passato negli ultimi tempi dai 36 miliardi del 2010 di riserve di valuta straniera, ai circa 16 miliardi di oggi. Ma perché questo aiuto così immediato dopo queste ultime vicende?
R. - Perché l’Arabia Saudita ed i suoi satelliti del Golfo sono i veri vincitori - almeno finora - di quello che è accaduto in Egitto. I Sauditi hanno finanziato negli ultimi mesi tutte le opposizioni al presidente Morsi. Questo perché per gli Al Saud è di un’importanza straordinaria fermare l’avanzata della Fratellanza Musulmana che rappresenta una minaccia anche alla stabilità del loro regno. Dall’altro lato, si trova virtualmente soltanto il Qatar che invece è stato un grande sponsor dell’ascesa della Fratellanza Musulmana negli ultimi anni, anche se il nuovo emiro - il giovane Tamim che è succeduto pochi giorni fa a suo padre - è probabilmente meno ambizioso e più moderato sotto questo punto di vista. Noi in realtà stiamo assistendo in Egitto allo sviluppo di una partita straordinariamente complessa che si presta a più chiavi di lettura.
D. - Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon lancia un forte appello a tutte le parti in Egitto “affinché lavorino insieme per ripristinare” - dice - “l’ordine costituzionale e la governance democratica”. Ma a che punto eravamo a proposito di ordine costituzionale e governance democratica?
R. - Il problema è che per avere un sistema democratico, come lo conosciamo noi occidentali, non basta avere delle elezioni: occorre che chi vince non tenti di stabilire un regime e soprattutto non determini regole del gioco che cambiano la natura di un sistema sociale. Quello che sta accadendo in Egitto è il riflesso di una reazione al tentativo della Fratellanza Musulmana e del presidente Morsi di modificare in modo irreversibile alcune caratteristiche della società egiziana.
Un pellegrinaggio ricorda Maria Goretti, la Santa bambina
◊ La Chiesa ricorda oggi Santa Maria Goretti, vergine e martire, assassinata nel 1902 dopo un tentativo di violenza. Dal Santuario a lei dedicato, a Nettuno vicino Roma, parte nel pomeriggio un pellegrinaggio di preghiera verso la sua casa. Un percorso di 10 km, fra testimonianze, riflessioni, contributi audio e approfondimenti sulla figura della santa. Sul significato di questa giornata, Michele Raviart ha parlato con padre Giovanni Alberti, rettore del Santuario:
R. – I festeggiamenti di Santa Maria Goretti risentono della programmazione dell’Anno della Fede: quindi analizziamo la vita di Santa Maria Goretti nell’ottica della fede, che si manifesta in questa bambina – a 11 anni – anche nei gesti più importanti che ha compiuto. Santa Maria Goretti non è la santa, brava cinque minuti e poi tutto finito: è una santa che ha camminato, pur essendo molto piccola, davanti a Dio, con fede.
D. – A più di un secolo dalla sua morte, qual è l’attualità del percorso di Santa Maria Goretti?
R. – La fede nel Signore come guida, come strada buona da seguire: la buona strada del Vangelo. E in questa strada è possibile anche condividere valori importanti come quello del rispetto della donna e soprattutto il perdono, perché ricordiamoci che prima di morire ha fatto il suo gesto più nobile, quello appunto di perdonare il suo assassino. Questi santi ci riportano alla fiducia nel Signore: il Signore non ci inganna, non ci tradisce, non ci dice una cosa che va contro di noi, ma qualcosa che va a favore nostro.
D. – Faranno da guida, in questo pellegrinaggio, anche le parole di Papa Francesco, nella sua prima Messa alla Sistina…
R. – Edificare, confessare, camminare: svolgeremo questi tre verbi, anche attraverso testimonianze di persone che sono direttamente inserite in questo percorso di costruzione della fede. C’è una ragazza che viene da Haiti, che sta partecipando alla sofferenza del suo popolo, impegnata nel costruire ancora; la testimonianza che ha tenuto il fratello del ministro pachistano ucciso, Bhatti, una testimonianza che vuol dire perdonare le persone che hanno fatto del male, ma anche di non mollare di un millimetro quelli che sono i suoi valori cristiani. E poi ci saranno dei ragazzi che, attraverso un musical su Santa Maria Goretti, stanno portando nelle piazze italiane l’evangelizzazione. Camminare, edificare e costruire attraverso le parole del Papa e attraverso le testimonianze di attualità di queste creature che abbiamo contattato.
D. – Oggi sono attesa 5 mila persone: chi sono i devoti di Santa Maria Goretti?
R. – Santa Maria Goretti ha una vasta area di persone che sono legate a lei in tutto il mondo, più di quello che può sembrare. Non ha le grandi masse di San Giovanni Rotondo, ma ha un pellegrinaggio costante, goccia dopo goccia. Ogni anno viene al Santuario oltre un milione di persone. Io ho avuto la fortuna di portare in Ucraina, un mese fa, le reliquie di Santa Maria Goretti: sono rimasto sconvolto nel vedere come in quella terra, che ha sofferto 60 anni il comunismo, non solamente ha mantenuto la fede, ma anche l’amore per questa santa bambina.
Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
◊ In questa 14.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il passo del Vangelo in cui Gesù invia altri settantadue discepoli ad annunciare il regno di Dio:
“Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: ‘Pace a questa casa!’. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi”.
Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:
Gesù, che aveva già inviato i Dodici ad annunciare la venuta del Regno di Dio, ora elegge altri settantadue discepoli e li invia “davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi”: se i Dodici fanno presenti le dodici tribù che compongono il popolo d’Israele; questi settantadue – o settanta – ricordano la missione verso tutto il mondo pagano, le 70 nazioni appunto, l’insieme degli altri popoli. Senza borsa, senza sandali, e con la raccomandazione di non fermarsi a salutare nessuno per la strada, i discepoli non portano nulla con sé, solo la pace di Dio, la sua shalom, che è l’insieme di tutti i doni che provengono da Dio, la sua completa salvezza. Se vi è un “figlio della pace”, questi verrà riempito del dono che il discepolo porta, gusterà la vicinanza del Regno di Dio, ma se non vi sono figli della pace, il discepolo scuoterà anche la polvere dai suoi sandali, a testimonianza contro di loro, ma con l’annuncio che “il Regno di Dio è vicino”: Dio vi si è fatto vicino e non lo avete accolto, non avete avuto tempo, né attenzione per Lui. Nel giorno del giudizio riceverete una sorte peggiore di Sodoma. Quanto bisogno c’è anche oggi di questi discepoli con il cuore libero da affanni e con la fretta, la passione dell’annuncio della buona notizia! La parola del Signore risuona anche per noi oggi: la sua pace giunge alla nostra casa. Dove ci trova questo annuncio? Il giorno santo del Signore, la domenica, viene a visitarci e noi dove siamo? Forse preferiamo altro alla visita di Dio! E restiamo senza la pace di Dio! Eppure, quanto bisogno c’è di questa pace nelle nostre case! Quanto bisogno anche oggi di “vedere Satana cadere dal cielo”, di vedere l’uomo restituito al suo Dio.
Il card. Dziwisz: Giovanni Paolo II, un gigante della fede
◊ Alle pagine dell’Osservatore Romano, l’arcivescovo di Cracovia, cardinale Stanisław Dziwisz, ha affidato il suo ricordo personale del Beato Giovanni Paolo II, all’indomani della firma del decreto per la sua canonizzazione da parte di Papa Francesco. “Ho passato quasi 40 anni accanto a un Santo”: inizia così, il porporato, il suo racconto, partendo dalla giovinezza del futuro Pontefice, perché “è dalla giovinezza che è diventato Santo”. “Fin dall’inizio in lui c’era un qualcosa in più – prosegue il presule – il centro della sua esistenza era Dio; Gesù è stato il suo primo e unico amore, al quale è rimasto fedele fino alla fine”. La fedeltà al Cristo, per Giovanni Paolo II, si manifestava nella preghiera e nel servizio: “S’incontrava con il Signore nel santuario del suo cuore – ricorda ancora il cardinale – ma lo cercava anche nel creato, nella bellezza della natura, ma specialmente negli uomini”. Più tardi, il suo mettersi a disposizione di Gesù si manifestò anche nel servizio alla Chiesa: “E Gesù, conoscendo le sue qualità di mente e di cuore gli ha affidato responsabilità sempre maggiori, fino al memorabile 16 ottobre 1978”. Da allora “ha dovuto ampliare le dimensioni del suo cuore, perché vi trovassero posto tutte le nazioni, le culture e le lingue”. Così, inoltre, il cardinale Dziwisz spiega perché la gente fosse così affezionata a Giovani Paolo II, affascinata dalla sua umanità, dalla sua personalità: “Ci vedeva la presenza di Dio”. E poi il suo amore per i giovani: “Insegnava loro l’autenticità della vita; era un insegnante esigente perché esigeva prima di tutto da sé, nella vita mirava sempre in alto”. Una vita vissuta di Dio e per condurre gli altri a Lui: “Contribuì alla caduta dei sistemi totalitari e all’apertura a Cristo di molte porte. Lo ha fatto con una forza da gigante. È stato un gigante della fede. Un potente dello spirito”. Una santità vissuta anche attraverso la croce: “Le sue parole sul senso della sofferenza, sulla sua dimensione salvifica erano parole autentiche, da lui stesso sperimentate – ha concluso il porporato – il 13 maggio 1981 in piazza San Pietro ha sfiorato il martirio, ma Dio gli ha salvato la vita perché introducesse la Chiesa nel terzo millennio del cristianesimo, perché aiutasse tutto noi a prendere il largo”. (A cura di Roberta Barbi)
Nigeria. Estremisti islamici attaccano una scuola, 30 morti
◊ Tornano a colpire gli estremisti islamici nel nord della Nigeria: oggi all’alba, in un assalto a una scuola superiore di Mamudo, nello Stato nordorientale di Yobe, sono rimasti uccisi 29 studenti e un insegnante. Secondo quanto riferito da testimoni oculari, gli estremisti hanno dato alle fiamme la struttura e nel rogo molti sono stati arsi vivi, mentre tantissimi feriti hanno riportato gravi ustioni. Molti genitori hanno protestato, affermando che alle scuole non è stata fornita alcuna protezione nonostante lo stato di emergenza dichiarato dalle autorità a metà maggio per tre Stati del nord-est e nonostante gli estremisti di Boko Haram non siano nuovi ad azioni del genere: negli ultimi tre anni, infatti, hanno preso di mira diversi istituti, incendiandone ben 209 nel solo Stato di Yobe. Un altro episodio di violenza è avvenuto, invece, nello Stato centrale di Benue, dove un gruppo di pastori Fulani, in maggioranza musulmani, hanno attaccato un villaggio di agricoltori, per lo più appartenenti all’etnia Tiv. Numerose le case bruciate e circa 20 le vittime, secondo i media locali. L'attacco si è verificato nel villaggio di Iyordye, nel distretto di Guma, dove sono frequenti i conflitti tra allevatori nomadi e agricoltori stanziali per rivalità legate al controllo delle terre e del bestiame. Il 27 giugno scorso, in un analogo episodio, erano rimaste uccise 48 persone nello Stato del Plateau. (R.B.)
Sudan: dopo giorni di scontri, torna la calma in Darfur
◊ Sembra essere tornata la calma a Nyala, nella regione sudanese del Darfur, dove nei giorni scorsi si sono verificati scontri tra l’esercito, i ribelli e alcune tribù rivali che hanno causato, tra l’altro, l’uccisione di almeno cinque persone, tra cui un operatore umanitario, e il ferimento di altri tre nel corso di una sparatoria avvenuta in città. I fatti hanno scatenato il panico a Nyala, dove tutti i negozi sono rimasti chiusi e dove le autorità hanno imposto il coprifuoco notturno, esteso poi all’intera area meridionale della regione. Secondo fonti dell’agenzia Misna che vogliono restare anonime, la miccia che ha innescato le violenze è stata l’uccisione di Mohammed Abdullah Sharara, soprannominato Dekron, un esponente della tribù araba dei Rizeigat, ritenuto organizzatore di diversi sequestri e a capo di un giro di ricettazione di auto. Per motivi di sicurezza, un volo da Khartoum a Nyala è stato cancellato e anche il personale dell’Onu si è spostato in un bunker. La città, inoltre, è circondata da campi profughi stracolmi come quello di Saraf, dal quale negli ultimi giorni sono arrivate oltre mille famiglie in fuga da altre località dove si stanno verificando scontri. Secondo le stime delle Nazioni Unite, nei primi mesi di quest’anno sono state 300 mila le persone costrette dalle violenze a lasciare i propri villaggi d’origine. Il Darfur, abitato in maggioranza da popolazioni non arabe, è stato dilaniato da un conflitto civile che ha provocato migliaia di vittime e di sfollati tra il 2003 e il 2007, ma ancora oggi stenta a trovare tranquillità. (R.B.)
Venezuela: aperture dal governo dopo proteste studenti contro i tagli all’istruzione
◊ A un mese dall’inizio delle proteste degli studenti universitari – appoggiate dai docenti – che chiedono al governo una revisione dei tagli previsti al settore dell’istruzione pubblica, le autorità venezuelane hanno riconosciuto che c’è una crisi in atto nel sistema dell’istruzione pubblica universitaria. Lo riferisce all'agenzia Fides una radio cattolica locale che cita Liliana Guerrero, presidente della principale associazione universitaria del Paese. Sugli atti di vandalismo e violenza che si sono verificati durante le manifestazioni, che - fanno sapere gli studenti - non si fermeranno finché non si otterranno dall’esecutivo risposte concrete, erano intervenuti anche i vescovi del Venezuela, che il 25 giugno scorso avevano lanciato un appello affinché si creasse “uno spazio di dialogo sincero e reale” per trovare una soluzione immediata al conflitto. I vescovi, inoltre, avevano sottolineato l’importanza che rivestono “il riconoscimento della pluralità e l’autonomia di pensiero” anche in considerazione del momento storico che il Venezuela sta vivendo, e avevano spiegato le molte facce di questo conflitto: “Dall’esigenza del riconoscimento dell’associazione universitaria da parte delle autorità nazionali”, alla “necessità di ascoltare il mondo studentesco nella loro richiesta di una formazione di qualità”. Da giorni, un gruppo di studenti sta portando avanti uno sciopero della fame davanti al cancello della nunziatura apostolica a Caracas. (R.B.)
India. Sacerdote cattolico premiato con il Minority Award
◊ È andato a un sacerdote cattolico che ha lavorato a lungo con i sopravvissuti ai pogrom anticristiani avvenuti nel 2008 nel distretto di Kandhamal nello Stato indiano dell’Orissa, il premio Minority Award di quest’anno, assegnato dalla Commissione nazionale per le Minoranze. Padre Ajaya Kumar Singh, prete dell’arcidiocesi di Cuttack-Bhubaneshwar, dopo aver servito come assistente parroco in alcune chiese della zona, dal 2011 è direttore dell’Orissa Forum for social acrtion. Ha commentato così con AsiaNews il riconoscimento ricevuto: “Un premio agli sforzi di tutti quanti hanno cercato di portare giustizia e pace a Kandhamal. Non lo merito davvero, altri hanno fatto molto più di me”. Le congratulazioni sono arrivate anche dall’arcivescovo di Cuttack-Bhubaneshwar, mons. John Barwa: “Padre Singh ha reso tutti noi orgogliosi per il duro lavoro, l’impegno assoluto alla causa del nostro popolo sofferente e perseguitato. Certe fatiche non sono mai vane”, ha detto. (R.B.)
Messico: domani elezioni amministrative in 14 Stati
◊ Sale la tensione in Messico dove, domani, si svolgeranno le elezioni in 14 Stati per scegliere 931 sindaci, 441 deputati e il governatore dello Stato settentrionale di Baja California, strategico perché di confine. Sono decine gli esponenti politici uccisi, sequestrati o minacciati nell’ondata di violenza che si è scatenata; una dozzina le vittime tra i candidati alla poltrona di sindaco e ai parlamenti locali. Questa tornata elettorale, la prima sotto la presidenza di Enrique Peňa Nieto, pur avendo una connotazione locale, è molto importante per il narcotraffico, perché “c’è maggiore interesse da parte della criminalità organizzata a controllare i governi municipali perché chi li guida è anche coinvolto nella gestione della pubblica sicurezza”, spiega alla Misna Raúl Benítez, esperto della Universidad nazional autónoma de México. Le elezioni locali costituiscono, dunque, un’opportunità per le organizzazioni criminali di garantirsi amicizie, favori e protezione dalla polizia locale, spesso collusa con la malavita. (R.B.)
Spagna: i vescovi esortano alla responsabilità al volante
◊ Domani, in Spagna si celebrerà la Giornata della responsabilità nel traffico, proprio nella domenica in cui la Chiesa ricorda San Cristoforo, patrono dei trasportatori. Per l’edizione di quest’anno, riferisce l'agenzia Sir, la Conferenza episcopale spagnola ha deciso di riflettere sul tema “Quale luce ti guida? La fede ti responsabilizza al volante”. Nel messaggio scritto dai vescovi per la ricorrenza, e firmato dal presidente della Commissione episcopale delle Migrazioni, mons. Ciriaco Benavente Mateos, i presuli evidenziano come per molte persone le auto siano una sorta di piccolo santuario ambulante, piene come sono di simboli religiosi, da immaginette protettrici a corone del Rosario appese. A questo proposito, dunque, i vescovi invitano i guidatori a seguire “la luce della fede, perché la nuova evangelizzazione richiede che tutti trasmettano o comunichino la fede offrendo il proprio aiuto, la propria esperienza come credenti e come membri della Chiesa”. Senza voler essere “moralistici guastafeste”, quindi, i presuli iberici sottolineano l’importanza della responsabilità al volante, perché “ognuno è responsabile della propria vita davanti a Dio che gliela ha donata” e ogni vita “è sacra”. Soddisfazione, infine, è espressa per il calo del numero degli incidenti stradali che si registra anno dopo anno e dovuto anche al miglioramento della rete viaria del Paese. (R.B.)
Eccezionale trapianto di midollo al Bambino Gesù di Roma salva due gemellini di un anno
◊ Un eccezionale trapianto di cellule midollari provenienti da un unico donatore ha salvato due gemellini omozigoti di un anno, affetti da una rara malattia ereditaria del sangue che se non curata li avrebbe portati alla morte. La malattia in questione era la linfoistiocitosi emofagocitica familiare (i due genitori sono portatori sani) che colpisce circa un bambino su 50mila e frequentemente è scatenata da un’infezione di natura virale. In genere si manifesta con febbre elevata senza una causa apparente, irritabilità, malessere, ingrossamento di fegato e milza, anomalie neurologiche, rigidità del collo, ipo o ipertonia, convulsioni, paralisi dei nervi cranici, citopenia e addirittura il coma. L’unica via d’uscita è rappresentata dal trapianto, preceduto da chemioterapia e immunoterapia per stabilizzare la situazione: spesso, però, entro due mesi dall’operazione ci si trova davanti a una proliferazione incontrollata di cellule macrofagiche, un tipo particolare di globuli bianchi deputati alla difesa contro patogeni esterni. L’intervento chirurgico è stato effettuato dall’equipe del prof. Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di Oncoematologia e poche settimane dopo i bambini sono stati dimessi, considerati guariti in quanto è stato verificato il completo attecchimento delle cellule del donatore. L’assoluta eccezionalità dell’evento è costituita anche dal fatto che uno stesso donatore sia stato impiegato per due pazienti e per di più simultaneamente. Nel mondo, oggi, esistono circa 20 milioni di donatori volontari; il registro italiano è il quarto più numeroso del mondo, con ben 400mila volontari. (R.B.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 187