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Sommario del 04/07/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Enrico Letta dal Papa: al centro del colloquio occupazione giovanile e ruolo delle famiglie e della Chiesa
  • Papa Francesco: siamo figli di Dio, nessuno ci può rubare questa carta d'identità
  • Tweet del Papa: l'amore di Cristo non è un'illusione
  • Bilancio Santa Sede in attivo: Consiglio dei cardinali incoraggia riforma e ringrazia per il sostegno dei fedeli
  • Il card. Scherer: situazione migliorata, ma necessaria riforma amministrazione Santa Sede
  • Assemblea Coldiretti. Papa Francesco: "Lo sviluppo del mondo rurale sia ispirato ai valori del Vangelo"
  • Altre udienze e nomine
  • Lampedusa, nuovi sbarchi. Padre La Manna: il Papa invita a vedere nei profughi il volto di Cristo
  • Al via a Roma il pellegrinaggio dei giovani seminaristi, novizi e novizie di tutto il mondo
  • Mons. Tomasi all'Ecosoc: usare la tecnologia in modo eticamente responsabile
  • Vaticano: l’Autorità di Informazione Finanziaria ammessa nel Gruppo Egmont
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto, il giudice Mansour nuovo presidente ad interim: caute le reazioni internazionali
  • Turchia, Tribunale annulla il progetto di ammodernamento urbano di Gezi Park
  • Usa: celebrazioni del 4 luglio fra misure di sicurezza straordinarie e proteste per il Datagate
  • Senza fine il dramma dei profughi del Sinai: la testimonianza di Alganesh Fessaha
  • Riccardo Muti a Mirandola per il Concerto dell'Amicizia: vicinanza ai terremotati dell'Emilia
  • "Nave Italia" in viaggio verso La Spezia con a bordo 15 ragazzi del Bambino Gesù affetti da epilessia
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: un sacerdote cattolico belga e un monastero nel mirino dei jihadisti
  • Budapest: all'Assemblea Kek il saluto del card. Erdö, del rev.Tveit e di Bartolomeo
  • Usa: appello dei leader cristiani a rispettare obiezione di coscienza e libertà religiosa
  • Indonesia: Chiesa ed opposizione contro una nuova legge su Ong e gruppi
  • Centrafrica: l’emergenza umanitaria rischia di incendiare tutta la regione
  • Sudan: l'arrivo delle piogge aggrava le condizioni sanitarie dei profughi
  • Argentina: i tassi di povertà sono superiori a quelli rivelati dalle statistiche ufficiali
  • Bolivia: la preoccupazione della Chiesa per la situazione delle carceri
  • Australia: appello dei vescovi in vista delle prossime elezioni
  • Il Papa e la Santa Sede



    Enrico Letta dal Papa: al centro del colloquio occupazione giovanile e ruolo delle famiglie e della Chiesa

    ◊   Nella mattinata di oggi, il Papa ha ricevuto in visita privata il presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana Enrico Letta, che dopo ha incontrato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. “Durante i cordiali colloqui – riferisce la Sala Stampa vaticana - ci si è soffermati sulla situazione sociale e sulle principali prove che i cittadini e le istituzioni dell’Italia e dell’Unione Europea stanno sostenendo, in particolare, a proposito dell’adozione di misure che creino e tutelino l’occupazione, soprattutto giovanile. Si è, poi, riconosciuto il fattivo apporto che le famiglie italiane e le istituzioni della Chiesa continuano a fornire alla stabilità del Paese. Non si è mancato, inoltre, di considerare alcuni temi di politica internazionale, con una preoccupata attenzione all’evoluzione del contesto civile e istituzionale dei Paesi appartenenti all’area mediterranea e mediorientale. È stato, infine, ribadito il positivo convincimento delle Parti di proseguire nella reciproca collaborazione per il progresso della Nazione italiana e per il bene della comunità internazionale”.

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    Papa Francesco: siamo figli di Dio, nessuno ci può rubare questa carta d'identità

    ◊   Noi siamo figli di Dio grazie a Gesù, nessuno ci può rubare questa carta d’identità: è quanto ha affermato stamani Papa Francesco durante la Messa a “Casa Santa Marta”. Ha concelebrato con il Papa, il cardinale indiano Telesphore Placidus Toppo, arcivescovo di Ranchi. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Al centro dell’omelia del Papa il Vangelo della guarigione di un paralitico. Gesù all’inizio gli dice: “Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati”. Forse – afferma Papa Francesco - questa persona è rimasta un po’ “sconcertata“ perché desiderava guarire fisicamente. Poi, dinanzi alle critiche degli scribi che fra sè lo accusavano di bestemmiare - “perché soltanto Dio può perdonare i peccati“ - Gesù lo guarisce anche nel corpo. In realtà – spiega il Pontefice – le guarigioni, l’insegnamento, le parole forti contro l’ipocrisia, erano “soltanto un segno, un segno di qualcosa di più che Gesù stava facendo“, cioè il perdono dei peccati: in Gesù il mondo viene riconciliato con Dio, questo è il “miracolo più profondo”:

    “Questa riconciliazione è la ricreazione del mondo: questa è la missione più profonda di Gesù. La redenzione di tutti noi peccatori e Gesù questo lo fa non con parole, non con gesti, non camminando sulla strada, no! Lo fa con la sua carne! E’ proprio Lui, Dio, che diventa uno di noi, uomo, per guarirci da dentro, a noi peccatori“.

    Gesù ci libera dal peccato facendosi Lui stesso “peccato“, prendendo su di sé “tutto il peccato“ e “questa – ha detto il Papa - è la nuova creazione“. Gesù “scende dalla gloria e si abbassa, fino alla morte, alla morte di Croce“ fino a gridare: “Padre, perché mi hai abbandonato!”. Questa “è la sua gloria e questa è la nostra salvezza“:

    “Questo è il miracolo più grande e con questo cosa fa Gesù? Ci fa figli, con la libertà dei figli. Per questo che ha fatto Gesù noi possiamo dire: ’Padre’. Al contrario, mai avremmo potuto dire questo: ’Padre!’. E dire ’Padre’ con un atteggiamento tanto buono e tanto bello, con libertà! Questo è il grande miracolo di Gesù. Noi, schiavi del peccato, ci ha fatto tutti liberi, ci ha guarito proprio nel fondo della nostra esistenza. Ci farà bene pensare a questo e pensare che è tanto bello essere figlio, è tanto bella questa libertà dei figli, perché il figlio è a casa e Gesù ci ha aperto le porte di casa… Noi adesso siamo a casa!“.

    Adesso – ha concluso il Papa - si capisce quando Gesù dice: “Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati!”.

    “Quella è la radice del nostro coraggio. Sono libero, sono figlio… Mi ama il Padre e io amo il Padre! Chiediamo al Signore la grazia di capire bene questa opera sua, questo che Dio ha fatto in Lui: Dio ha riconciliato con sé il mondo in Cristo, affidando a noi la parola della riconciliazione e la grazia di portare avanti con forza, con la libertà dei figli, questa parola di riconciliazione. Noi siamo salvati in Gesù Cristo! E nessuno ci può rubare questa carta di identità. Mi chiamo così: figlio di Dio! Che bella carta di identità! Stato civile: libero! Così sia“.

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    Tweet del Papa: l'amore di Cristo non è un'illusione

    ◊   Papa Francesco ha lanciato un nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “L’amore di Cristo e la sua amicizia non sono un’illusione – scrive il Papa - Gesù sulla Croce mostra quanto sono reali”.

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    Bilancio Santa Sede in attivo: Consiglio dei cardinali incoraggia riforma e ringrazia per il sostegno dei fedeli

    ◊   Si è conclusa ieri in Vaticano la riunione di due giorni del Consiglio di Cardinali per lo Studio dei Problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, presieduta dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Degna di particolare nota è stata la visita, ieri, di Papa Francesco, il quale ha rivolto la parola agli intervenuti e si è intrattenuto per un breve dialogo, ribadendo le finalità e l’utilità del Consiglio ed invitando a proseguire i periodici incontri.

    Dopo l’introduzione svolta dal cardinale Bertone e dal cardinale Giuseppe Versaldi, presidente della Prefettura per gli Affari Economici, il ragioniere generale, Stefano Fralleoni, ha dapprima letto la relazione al Bilancio consuntivo Consolidato 2012 della Santa Sede e, successivamente, a quello del Governatorato. Mons. Vallejo Balda, segretario della Prefettura per gli Affari Economici, si è invece soffermato ad illustrare le quattro aree – Santa Sede-Curia Romana, Santa Sede-Pastorale, Santa Sede-Carità e Stato della Città del Vaticano – che, in prospettiva, verrebbero a formare il Bilancio integrato dei due Enti in parola.

    Il Bilancio consuntivo consolidato della Santa Sede per l’anno 2012 chiude con un utile di € 2.185.622, grazie soprattutto al buon rendimento della gestione finanziaria. Tra i capitoli di spesa più impegnativi si annoverano quelli relativi al costo del personale che, al 31 dicembre scorso, contava 2.823 unità, ai mezzi di comunicazione sociali, considerati nel loro complesso ed al pagamento delle nuove tasse che gravano sugli immobili (IMU), risultate in aumento per € 5.000.000 rispetto al passato.

    Il Governatorato ha un’Amministrazione autonoma ed indipendente da contributi della Santa Sede, e, attraverso le sue diverse Direzioni, provvede alle necessità relative alla gestione dello Stato. Il consuntivo 2012, che comunque ha risentito del clima economico mondiale, si è chiuso con un attivo di € 23.079.800, in aumento di più di un milione di € rispetto a quello dell’anno precedente. Al 31 dicembre scorso risultavano impiegate 1.936 persone.

    L’Obolo di San Pietro, cioè le offerte dei fedeli a sostegno della carità del Santo Padre, è passato da USD 69.711.722,76 del 2011, a USD 65.922.637,08. Il contributo in base al can. 1271 CIC, che corrisponde sostegno economico prestato dalle circoscrizioni ecclesiastiche di tutto mondo per il mantenimento del servizio che la Curia Romana presta alla Chiesa universale, è passato da UDS 32.128.675,91, del 2011, a USD 28.303.239,28, con un calo dell’11,91%. Gli ulteriori contributi alla Santa Sede da parte degli Istituti di Vita Consacrata, Società di Vita Apostolica e Fondazioni sono passati da USD 1.194.217,78, del 2011, a USD 1.133.466,91, con un calo del 5,09%. Complessivamente, pertanto, vi è stato un decremento del 7,45% rispetto al totale, espresso in Dollari USA, del 2011.

    L’Istituto per le Opere di Religione (IOR), come ogni anno, ha offerto al Santo Padre una somma significativa a sostegno del suo ministero apostolico e di carità. Per l’esercizio 2012 si è trattato di € 50.000.000 ai quali vanno aggiunti € 1.000.000 per il Fondo Amazzonia, € 1.500.000 per il Fondo Pro orantibus (sostegno ai Monasteri di clausura), € 1.500.000 per il Fondo San Sergio (sostegno alle Chiesa dell’ex Unione Sovietica), € 1.000.000 per la Commissione per l’America Latina, ed altre elargizioni di minore entità.

    I porporati hanno riflettuto sui dati di Bilancio loro offerti constatando i positivi risultati raggiunti, ed hanno incoraggiato la necessaria riforma finalizzata a ridurre i costi attraverso un’opera di semplificazione e razionalizzazione degli organismi esistenti, nonché una più attenta programmazione dell’attività di tutte le amministrazioni. I Membri del Consiglio hanno espresso profonda gratitudine per il sostegno dato, spesso in forma anonima, al ministero universale del Santo Padre, nonostante il momento di crisi economica, esortando a perseverare in tale opera di bene.

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    Il card. Scherer: situazione migliorata, ma necessaria riforma amministrazione Santa Sede

    ◊   Il cardinale Odilo Pedro Scherer, arcivescovo metropolita di San Paolo del Brasile, fa parte del Consiglio di Cardinali per lo Studio dei Problemi organizzativi ed economici della Santa Sede. Al microfono di Silvonei Protz, il porporato brasiliano ci riferisce sulla riunione di questi giorni in Vaticano:

    R. - Il resoconto ha dimostrato che è cambiata la situazione: negli anni scorsi abbiamo sempre registrato una situazione in rosso, in negativo, questa volta invece abbiamo registrato un cambiamento, una situazione leggermente migliorata. Resta comunque, sempre, il bisogno di una ristrutturazione dell’insieme dell’amministrazione della Santa Sede, perché le risorse non sono abbondantissime e soprattutto non sono risorse su cui si possa contare in anticipo. Si deve, infatti, dipendere dalla buona volontà, dalla generosità dei fedeli. Certo che ci sono anche entrate prevedibili, come quelle degli affitti. Ci sono i Musei Vaticani, poi, le cui entrate dipendono comunque dai visitatori. Grazie a Dio, però, ci sono molti visitatori. Gli ingressi dei Musei Vaticani sono generosi, grazie a Dio. D’altra parte, c’è senz’altro un grande bisogno di orientare nel migliore dei modi i beni a disposizione, perché servano al bene della Chiesa, della vita e della missione della Chiesa. La Santa Sede non possiede certo beni per accumularli: i beni a disposizione della Santa Sede sono orientati al compimento della missione della Santa Sede, della Chiesa, del Santo Padre e del servizio del Santo Padre nei confronti della Chiesa in tutto il mondo. Devo dire che anche se ci sono sempre cose da migliorare, l’insieme di quello che abbiamo ascoltato è stato molto positivo.

    D. – La Radio Vaticana s’inserisce in questo quadro? E’ una spesa, infatti, non indifferente per la Santa Sede, ma uno strumento per la voce del Papa...

    R. – Certo, la Radio Vaticana entra nell’insieme dell’amministrazione della Santa Sede ed è anche un carico di spese non indifferente. D’altra parte, la Radio Vaticana è a servizio proprio della missione della Chiesa, soprattutto per far sentire nel mondo la voce del Santo Padre, la voce della Chiesa, anche in quei punti dove altrimenti non arriverebbe: in Paesi distanti, in Paesi ancora chiusi, che non fanno risuonare facilmente la voce della Chiesa nei loro contesti culturali. La Radio Vaticana, quindi, ha sempre, ancora, un ruolo importante. Oggi magari dovrebbe chiamarsi Centro Multimediale, perché da quello che sappiamo utilizza diversi tipi di mezzi di comunicazione e media. Questo è positivo e va nel senso dello sviluppo delle nuove tecnologie di comunicazione e la rende sempre più efficace. Certo, tutto questo comporta anche un costo non indifferente, che deve essere supportato in qualche modo nell’insieme del fabbisogno della Santa Sede.

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    Assemblea Coldiretti. Papa Francesco: "Lo sviluppo del mondo rurale sia ispirato ai valori del Vangelo"

    ◊   Assemblea nazionale oggi a Roma della Coldiretti alla presenza di 15 mila agricoltori e di diversi ministri. Ai partecipanti è giunta la benedizione di Papa Francesco che, in un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, ha augurato che l’importante incontro “serva a mettere in luce come la promozione economica ed il vero sviluppo del mondo rurale debbano essere ispirati ai grandi valori spirituali e morali del Vangelo, trasmessi dal costante insegnamento sociale della Chiesa'' e ha ricordato che “quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio”. Apprezzamento per le capacità di ripresa testimoniate dal mondo dell'agricoltura , pur in mezzo all’attuale crisi, è stato espresso dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che nel suo indirizzo di saluto ha raccomandato che „il miglioramento dell'efficienza produttiva“ sia sempre coniugato con la promozione "di uno sviluppo equilibrato e sostenibile”. Sullo stato di salute dell’agricoltura italiana, Adriana Masotti ha sentito Lorenzo Bazzana, responsabile economico della Coldiretti:

    R. – Diciamo che l’agricoltura e l’agroalimentare stanno dando dei segnali positivi. Se guardiamo la bilancia dei pagamenti - continuando questo trend che si è concretizzato nei primi mesi - vediamo che dal punto di vista delle esportazioni nel 2013 dovremmo arrivare a superare 34 miliardi di euro di esportazioni. Vediamo che l’agricoltura è uno dei settori che ancora offre occupazione; che ci sono dei dati positivi rispetto al fatto che i giovani stanno riguardando, ancora una volta, alla campagna lasciando magari lavori che sono ritenuti più qualificanti. Quindi possiamo dire che l’agricoltura e l’agroalimentare sono in un momento positivo. E’ chiaro, però, che questo momento positivo si deve riuscire a concretizzare con una crescita della nostre imprese e una redditività che possa, appunto, opporsi a quella che è comunque la crisi economica galoppante che colpisce un po’ tutte le categorie.

    D. – Appunto, va bene l’export, ma c’è la crisi interna di consumo. Su questo che cosa pensano di poter fare gli agricoltori?

    R. – Noi pensiamo anzitutto di aver proposto e di continuare a proporre delle filiere virtuose, ovvero delle filiere in cui ci possa essere una giusta remunerazione per il produttore e dei prodotti al dettaglio che abbiano un prezzo compatibile con le tasche del consumatore. Quindi il fatto di mettere in pista delle filiere con la vendita diretta, con i mercati di Campagna Amica, con accordi fatti con i soggetti della distribuzione è sicuramente una strada che ci può consentire di vincere anche la crisi in Italia.

    D. – A fronte di questo ci sono alcune difficoltà su cui anche oggi voi discuterete: ad esempio il fatto che molti marchi storici dell’agroalimentare italiano siano stati acquistati da imprenditori stranieri…

    R. – Diciamo che questa è sicuramente una cosa da tenere sottocchio. Per certi versi non è neanche detto che debba per forza essere negativo, nel senso che abbiamo alcuni esempi di multinazionali straniere che hanno acquisito marchi italiani, ma che poi gli hanno declinati rimanendo legati al territorio, utilizzando appunto le materie prime e i prodotti della nostra agricoltura. In sostanza, quindi, li hanno anche valorizzati: vengono in Italia ad acquisire questi marchi, perché l’immagine e la qualità del “Made in Italy” sono riconosciute in tutto il mondo. In altri casi, invece, l’acquisizione di questi marchi ha portato poi alla delocalizzazione, a licenziamenti e al depauperamento di quello che è il nostro tessuto territoriale.

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Il Papa ha ricevuto questa mattina anche il sindaco di Roma, Ignazio Roberto Maria Marino, e Giovanni Alemanno, già sindaco della capitale. Poi ha incontrato mons. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Questo pomeriggio riceve il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

    Il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di San José di Costa Rica presentata da mons. Hugo Barrantes Ureña, per raggiunti limiti di età. Nuovo arcivescovo metropolita di San José di Costa Rica ha nominato mons. José Rafael Quirós Quirós, finora vescovo di Limón. Mons. José Rafael Quirós Quirós è nato a Llano Grande, nella diocesi di Cartago, il 1° maggio 1955. Ha compiuto gli studi di Filosofia e Teologia nel Seminario Maggiore Centrale a San José. Ha ottenuto la Licenza in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. E’ stato ordinato sacerdote il 5 marzo 1981, per il clero dell'arcidiocesi di San José de Costa Rica. Come sacerdote ha svolto successivamente i seguenti incarichi pastorali: vicario parrocchiale di Santa Teresita del Niño Jesús a San José, formatore del Seminario Centrale a San José, vice-officiale del Tribunale Ecclesiastico Provinciale, professore di Diritto Canonico presso il Seminario Centrale a San José e l’Università Cattolica di Costa Rica, cappellano della Fuerza Pública, direttore esecutivo del Segretariato della Conferenza Episcopale di Costa Rica e vicario generale dell’arcidiocesi di San José de Costa Rica. Il 2 dicembre 2005 è stato nominato vescovo di Limón e il 22 febbraio 2006 ha ricevuto la consacrazione episcopale.

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    Lampedusa, nuovi sbarchi. Padre La Manna: il Papa invita a vedere nei profughi il volto di Cristo

    ◊   C’è grande attesa a Lampedusa per la visita del Papa lunedì prossimo. Negli sbarchi degli ultimi giorni sono arrivati sull’isola circa 300 immigrati e al momento ospiti del Centro di accoglienza rimangono oltre 400 persone. Nella notte 100 sono state infatti trasferite a Catania e poi nella struttura d’accoglienza di Mineo. All’ospedale Civico di Palermo sono state invece portate 3 donne, due delle quali incinte, mentre due immigrati tunisini stanno per essere rimpatriati. Intanto all’alba sono arrivati al porto di La Valletta, a Malta, 265 migranti, tra cui donne e bambini, su due motovedette della Guardia costiera maltese che, con la collaborazione della Guardia costiera italiana, li aveva soccorsi ieri dopo la segnalazione fatta dal sacerdote eritreo don Mosè Zerai. Nella notte, poi, sono sbarcati a Siracusa 100 immigrati che hanno dischiarato di essere siriani, soccorsi dalla Guardia di Finanza. La visita del Papa a Lampedusa “anche per le modalità in cui avverrà impone a tutti una revisione a ogni livello per dare risposte autentiche alle domande di oggi", ha detto stamani l'arcivescovo di Palermo, il cardinale Paolo Romeo. La preghiera per chi ha perso la vita in mare, la visita ai profughi presenti a Lampedusa e un incoraggiamento agli abitanti sono fra le intenzioni di Papa Francesco, il cui viaggio è stato accolto con gioia particolare dalle tante associazioni che si occupano di immigrati. Lo conferma, al microfono di Fabio Colagrande, padre Giovanni La Manna, gesuita, presidente dell’Associazione Centro Astalli di Roma che da tempo lavora a fianco dei rifugiati:

    R. - Sono veramente contento che il Papa abbia preso questa decisione. Il Papa ha sempre invitato tutti noi a vedere nel volto dei rifugiati il volto di Cristo. Per dare l'esempio, non si sottrae nemmeno lui a questo incontro in un luogo triste, dove la nostra umanità è portata al limite. Nel Mediterraneo non possiamo dimenticare che ci sono troppi morti: si parla di 20 mila persone che in questi anni hanno perso la vita nel Mediterraneo. Ora sapere che Papa Francesco ha chiesto di andare lì - in forma discreta, perché i luoghi di sofferenza meritano profondo rispetto - è una testimonianza che ci incoraggia a rimanere nel servizio di queste persone che hanno pagato già un prezzo altissimo per rimanere in vita, scappando da guerre, da conflitti, da persecuzioni nelle quali anche noi dovremmo riconoscere una nostra parte di responsabilità.

    D. – La Chiesa non solo denuncia quanto sta accadendo nel Mediterraneo, ma è consapevole che esistono delle risposte concrete che si potrebbero dare a questa continua carneficina che avviene nelle acque del Mare nostrum…

    R. – La Chiesa fa già tanto: accoglie in maniera progettuale il fenomeno dei migranti, dei rifugiati, che è in crescita. Non riusciamo purtroppo a pacificare il nostro mondo. Non possiamo accontentarci di quello che già oggi noi riusciamo a fare. Per questo l’appello è ad aprire le nostre comunità per essere un segno, una testimonianza concreta; chiediamo alle famiglie, alle famiglie di credenti di aprire le porte - così come è già avvenuto e avviene in altri Paesi - a questi fratelli, a queste sorelle, che devono sperimentare nella prima accoglienza il calore di un’umanità che non è indifferente.

    D. – Esistono delle risposte politiche concrete che si potrebbero dare a quello che avviene nel Mediterraneo?

    R. – Se il Mediterraneo è diventato da “culla di civiltà” a “cimitero”, è responsabilità dell’intera comunità internazionale. A questa comunità innanzitutto chiediamo canali umanitari sicuri per impedire che le persone continuino a trovare la morte nella traversata. Consentiamo loro di liberarsi dai trafficanti. Io mi chiedo: tenere in piedi questo traffico, a chi conviene. Quindi la prima cosa che la politica, che ha la responsabilità di governare, deve fare è salvare vite umane; secondo, intervenire diplomaticamente per ridurre i conflitti e quindi ridurre il numero di persone che sono costrette a scappare.

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    Al via a Roma il pellegrinaggio dei giovani seminaristi, novizi e novizie di tutto il mondo

    ◊   Iniziato oggi a Roma il pellegrinaggio di seminaristi, novizi e novizie, promosso dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione in occasione dell’Anno della Fede. All’evento, intitolato “Mi fido di Te”, partecipano giovani uomini e donne provenienti da tutto il mondo, che sabato incontreranno Papa Francesco e domenica parteciperanno alla Santa Messa presieduta dal Santo Padre nella Basilica di San Pietro. Roberta Barbi ha raccolto alcune delle loro testimonianze:

    Sono in centinaia, vengono da tutto il mondo e in comune hanno l’aver risposto alla chiamata di Cristo e la voglia di testimoniare con gioia il grande valore del servizio nella Chiesa per la nuova evangelizzazione. Sono i seminaristi, i novizi e le novizie che partecipano al pellegrinaggio che prende il via oggi con la visita alla Tomba dell’Apostolo Pietro. Il titolo scelto per l’evento è “Mi fido di Te”, ma cosa significa per un giovane che ha intrapreso il cammino vocazionale, affidarsi al Signore? Ci risponde Francesco Abate, 23 anni, seminarista a Catania:

    “Il presupposto è la condizione di ogni cammino cristiano, in vista del Battesimo, ma per un seminarista è un’espressione ancora più forte che caratterizza appunto la propria esistenza”.

    Nel corso del pellegrinaggio che si concluderà con la Messa del Papa domenica 7 luglio, i partecipanti avranno modo di approfondire la loro relazione con Cristo, ma anche di scambiarsi testimonianze attraverso il racconto delle diverse esperienze. Queste le aspettative di Francesco:

    “A Roma c’è la tomba di Pietro e questa sera faremo appunto il pellegrinaggio alla tomba dell’apostolo, con la Professio fidei. È un grande segno di comunione di tutti noi seminaristi con il Papa, con il vescovo di Roma e pastore della Chiesa. È un grande segno di comunione e di incoraggiamento”.

    Il momento più importante e atteso dell’iniziativa è certamente rappresentato dall’incontro con il Papa e dalla partecipazione alla Messa nella Basilica di San Pietro. Antonio Sanfilippo, altro seminarista siciliano di 23 anni, racconta l’emozione dell’attesa e spiega cosa significa per chi viene da lontano trovarsi a Roma così vicini al Papa:

    “E’ la prima volta che partecipo alla Messa di Papa Francesco. In quanto vescovo di Roma, e quindi successore di Pietro, credo sia un’esperienza bellissima. Posso, infatti, toccare con mano quello che il Signore ha lasciato alla Chiesa: la successione degli apostoli e, per mezzo suo, la sua presenza tra di noi”.

    L’incontro con Papa Francesco offrirà ai partecipanti molti spunti di riflessione per il loro percorso vocazionale personale. Daniel Ienciu, 30 anni, seminarista romeno della diocesi svizzera di Lugano, ci spiega cosa significa essere sacerdote nel mondo di oggi:

    “Certamente essere la voce, il cuore, le mani di Cristo, in un mondo che come ben sappiamo si sta confrontando con varie sfide. Papa Francesco ci chiede di essere padri e quindi di esercitare quella paternità che è scritta nel cuore di ogni uomo. Questa paternità pastorale e spirituale è dare vita a coloro che soffrono e luce a coloro che non vedono”.

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    Mons. Tomasi all'Ecosoc: usare la tecnologia in modo eticamente responsabile

    ◊   Occorre un uso “eticamente responsabile della tecnologia”, affinché si sviluppino “forme di solidarietà davvero a favore dei Paesi più poveri”: è quanto affermato stamani da mons. Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra. Il presule è intervenuto alla riunione di alto livello dell’Ecosoc, il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, dedicato al tema “Scienza, tecnologia, innovazione ed il potenziale della cultura nella promozione dello sviluppo sostenibile”. “La promozione della conoscenza scientifica nelle nazioni in via di sviluppo – ha detto mons. Tomasi – e la diffusione della tecnologia sono diventate una componente morale del bene comune”. Tanto più, ha ribadito il presule, che oggi lo sviluppo dei popoli viene erroneamente considerato solo come “un argomento puramente tecnico”, legato al mercato o agli investimenti produttivi: tutti fattori di “grande importanza”, riconosce mons. Tomasi; tuttavia, bisogna ricordare che “un progresso meramente economico e tecnologico è insufficiente”, poiché “lo sviluppo deve essere vero ed integrale, abbracciare tutte le aspirazioni della persona umana che ne resta la migliore risorsa e l’indispensabile protagonista”. “Lo sviluppo è impossibile senza uomini e donne retti – ha aggiunto l’Osservatore permanente - senza finanzieri e politici la cui coscienza sia sintonizzata con le necessità del bene comune”. Di qui il richiamo alla comunità internazionale affinché si ridefinisca lo sviluppo sostenibile su tre pilastri: “economico, ambientale e sociale”, così che esso rappresenti davvero “un modo efficace per combattere la povertà e migliorare la vita della popolazione mondiale”. Infine, mons. Tomasi si è soffermato sull’importanza della cultura, ribadendo che “senza cultura, nessun essere umano ha accesso, in modo pieno, alla parola, alla ragione ed anche alla libertà”. Per questo, i rapporti tra cultura e sviluppo “devono essere considerati in modo dialettico e non deterministico”, perché “la cultura è una risorsa strategica per uno sviluppo umano efficace che deve includere il miglioramento della dignità umana, della libertà individuale, sociale e politica e dei diritti umani”. (A cura di Isabella Piro)

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    Vaticano: l’Autorità di Informazione Finanziaria ammessa nel Gruppo Egmont

    ◊   In occasione della sua 21.ma Plenaria, che ha luogo a Sun City, in Sud Africa, il Gruppo Egmont, che riunisce le Unità di Informazione Finanziaria (FIUs) a livello mondiale, ha ammesso l’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF) della Santa Sede e Stato della Città del Vaticano come suo membro a pieno titolo. Lo ha reso noto un comunciato della Sala Stampa della Santa Sede. La partecipazione al Gruppo Egmont rappresenta l’inserimento in una rete globale di Unità di Informazione Finanziaria e facilita lo scambio di informazioni per la lotta contro i crimini finanziari. Per la Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano ciò rappresenta un nuovo passo nella partecipazione a questo impegno internazionale. “L’ammissione dell’AIF al Gruppo Egmont rappresenta il riconoscimento degli sforzi sistematici della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano nell’identificare e combattere il riciclaggio del denaro e il finanziamento del terrorismo” , ha dichiarato René Bruelhart, direttore dell’AIF. “Il nostro inserimento in questa rete globale promuoverà ulteriormente la nostra capacità di contribuire alla lotta contro i crimini finanziari”. Il Gruppo Egmont è stato fondato nel 1995 e attualmente consiste delle Unità d’Informazione Finanziaria (FIUs) di oltre 130 Paesi. Esso costituisce il luogo appropriato per le FIUs di tutto il mondo per lo scambio di informazioni e per il coordinamento della lotta contro il riciclaggio del denaro e il finanziamento del terrorismo.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Papa Francesco riceve il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Enrico Letta.

    La libertà dei figli di Dio: la Messa del Pontefice a Santa Marta.

    Svolta militare in Egitto: in prima pagina, gli sviluppi della situazione dopo il golpe che ha portato alla deposizione di Morsi.

    A tutela della sicurezza alimentare e contro il degrado della terra: intervento della Santa Sede a New York.

    L’angelo di Castello scende nei giardini: in cultura, Antonio Paolucci presenta la nuova statua che sorgerà in Vaticano, vicino al Governatorato.

    Dietro le quinte del Vaticano II: ampi stralci da un articolo di Andreas R. Batlogg e Nikolaus Klein, apparso sull'ultimo numero della “Civiltà cattolica”, sul bilancio del Concilio tracciato da Karl Rahner.

    Hulk è davvero cattolico?: Gaetano Vallini sulla religiosità dei supereroi. Sullo stesso tema, anche un articolo di Emilio Ranzato.

    Per andare controcorrente: Christian Martini Grimaldi sull'insegnamento di Jean-Jacques Rousseau.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto, il giudice Mansour nuovo presidente ad interim: caute le reazioni internazionali

    ◊   Una nuova pagina della storia egiziana è stata scritta ieri dopo la scadenza dell’ultimatum lanciato dalle forze armate al presidente Morsi, che sarebbe in stato di arresto. Da stamani il Paese ha un nuovo capo dello Stato ad interim: si tratta del giudice Adly Mansour, presidente della Corte costituzionale egiziana. Benedetta Capelli:

    Un Paese “moderno, costituzionale, nazionale e civile”: in queste poche parole il neo presidente Mansour ha disegnato il nuovo Egitto. Dopo il giuramento, salutato dal volo di 14 jet che hanno colorato il cielo del Cairo con il rosso, il bianco ed il nero della bandiera egiziana, Mansour ha lanciato un messaggio ai Fratelli Musulmani, “parte della nazione”, invitandoli a costruire insieme il nuovo Paese. Un messaggio seguito però dall’arresto della guida spirituale della Fratellanza e del suo vice, secondo la stampa locale sarebbero 300 gli ordini di arresto spiccati nei confronti di altrettanti membri del partito. Su Morsi intanto è giallo. Sarebbe tenuto in isolamento all'interno del ministero della Difesa mentre ieri i suoi più stretti collaboratori erano stati trasferiti nel carcere di Torah Mahkoum, dove è rinchiuso l'ex presidente Mubarak ed i suoi figli. Ieri sera nonostante le violenze – 14 le vittime accertate – la piazza ha gioito con fuochi d’artificio, canti e balli l’annuncio della destituzione di Morsi. Molte le reazioni internazionali in maggioranza all’insegna della prudenza. L’Unione Europea ha invitato a perseguire un percorso democratico con un ritorno alle urne. L’Onu si è detta preoccupata per l’interferenza dei militari, gli Stati Uniti hanno espresso timori per il futuro, la Russia ha invitato alla moderazione. Per la Turchia la deposizione di Morsi è inaccettabile, la Siria parla di “grande risultato” riferendosi alla caduta del presidente. La Gran Bretagna invece è pronta a riconoscere la nuova amministrazione in Egitto e a collaborare.

    “E’ meraviglioso vedere il popolo egiziano che si riprende in maniera pacifica la rivoluzione che gli è stata rubata”: lo ha scritto ieri su Twitter il Papa copto ortodosso Tawadros II. Al microfono di Benedetta Capelli, padre Hani Bakhoum del Patriarcato copto cattolico del Cairo:

    R. – La nostra posizione possiamo dire che è basata su due punti. Noi siamo una parte del popolo e vediamo che tutto il popolo egiziano - in 33 milioni sono scesi in piazza – ha espresso con tanta forza il suo desiderio. Non possiamo definire quello che è stato compiuto ieri come un colpo militare. Assolutamente, assolutamente… I militari hanno soltanto dato ascolto a un desiderio di tutto il popolo. Noi non abbiamo una posizione con o contro: assolutamente no! Perché non è il nostro ruolo, il nostro ruolo non è politico. Però noi vediamo che c’è una voglia e un desiderio generale in tutto il Paese. La seconda posizione: possiamo dire che con questa manifestazione contro il presidente, oggi il governo è passato ad un gruppo di civili. Non sono i militari che stanno portando avanti la situazione. Noi sosteniamo questa collaborazione, visto che l’ex regime ha fatto veramente tantissimi danni a livello economico, a livello anche morale, a livello anche di costruzione del Paese. E’ vero che Morsi è stato eletto democraticamente – con il 51 per cento – però la democrazia ha bisogno di essere mantenuta.

    D. – Ci sono comunque dei timori da parte della Chiesa cattolica copta?

    R. – Il cambiamento porta anche delle sofferenze, delle difficoltà e dell’incertezza. Già ieri, hanno bruciato una nostra residenza vicino ad una chiesa e anche oggi abbiamo sentito di tanti atti compiuti contro di noi. Tutto lo scorso anno ci sono stati atti di violenza e vari attentati anche davanti alla cattedrale copta ortodossa. Fino ad oggi, non sappiamo ancora chi siano i colpevoli. Allora certo che abbiamo le nostre preoccupazioni, però abbiamo fiducia veramente nel Signore, abbiamo speranza. Noi portiamo l’insegnamento della Chiesa, l’importanza dei valori cristiani, l’importanza dei valori umani ed abbiamo purtroppo notato che l’anno scorso questi valori sono stati quasi del tutto annullati. Hanno anche cambiato i nostri programmi di studio nelle scuole; hanno cancellato la storia dell’Egitto: volevano soltanto mettere la storia del loro gruppo. Noi non abbiamo detto niente al nostro popolo e sempre abbiamo difeso i valori. Il ministro della Difesa ha reso partecipe – come avete visto anche ieri – il Papa Tawadros: noi siamo sempre in comunione con lui. Questo vuol dire che il ministero della Difesa non ha voluto fare una cosa unilaterale: ha reso partecipe tutti, tutte le correnti politiche, anche quelle che erano con il presidente; anche la Chiesa e anche Al Azhar, che rappresenta tra l’altro l’Islam in Egitto.

    D. – Quali sono i segni di speranza che ha visto in questa nuova manifestazione rispetto, invece, alla “primavera araba” di alcuni anni fa?

    R. – Non possiamo dire che quello che abbiamo vissuto fino ad oggi sia stata la “primavera araba”. Possiamo dire che è l’“autunno”: è l’autunno di un sistema che è ormai un sistema vecchio, che è il sistema dell’ex regime che sta crollando, che sta tramontando… Ma l’autunno è il tempo anche per seminare: oggi è il tempo per seminare! Prima di tutto la nostra speranza è basata nel Signore. E’ il Signore che ci porta avanti, anche nelle difficoltà, anche nelle persecuzioni, anche nelle tribolazioni. Ci sono poi anche altri segni di speranza umana: vediamo il nostro popolo così grandioso, pieno di onore, che non ha accettato che venisse cancellato tutto il suo passato, tutta la sua civiltà. E ha manifestato in maniera molto democratica. Anche i nostri giovani, che sono pieni di speranza, vogliono lavorare, vogliono collaborare insieme, cristiani e musulmani. Questa manifestazione, alla quale abbiamo assistito in questi due giorni, ha fatto tornare l’Egitto veramente all’Egitto di un tempo, un tempo di comunione, di pace fra cristiani e musulmani. Abbiamo visto la donna con il burqa, con il velo insieme alla suora; abbiamo visto i giovani musulmani con i giovani cristiani uniti. Ecco, questi sono i nostri segni di speranza!

    Di segno diverso la posizione di Massimo Campanini, docente dell’Islam contemporaneo presso l’Università di Trento. L’intervista è di Benedetta Capelli:

    R. - Si tratta di una brutta pagina che è stata scritta in Egitto. Nonostante l’opposizione a Morsi abbia sostenuto che l’intervento militare interpreta la volontà del popolo, io penso che la defenestrazione del presidente da parte dell’esercito sia un golpe perché Morsi era stato democraticamente eletto. Può non piacerci, ma queste sono le regole della democrazia. Quindi un intervento militare che ha abbattuto un sistema politico democraticamente eletto non può mai secondo me essere considerato positivamente. Io penso che i militari difficilmente possano vantare delle credenziali di democrazia: il loro intervento – sia pure ispirato dalla volontà popolare - rimane un intervento di imperio e di autorità che suscita preoccupazioni.

    R. – Anche perché forse i Fratelli Musulmani non resteranno a guardare…

    D. - Il rischio che i Fratelli Musulmani non restino a guardare indubbiamente c’è, però io credo che non arrischieranno una guerra civile. Se al loro posto ci fossero stati i salafiti è molto probabile che uno scontro diretto, uno scontro violento sarebbe stato nella forza delle cose, anche perché i Fratelli Musulmani non sono affatto un fronte compatto ed unito. Ci sono sempre state all’interno anche della loro dirigenza delle forze di lacerazione, delle forze di opposizione, delle tendenze centrifughe. Per cui non so se i Fratelli Musulmani effettivamente avranno la capacità e l’energia di poter veramente scendere in piazza per sfidare con la violenza quello che evidentemente è stato il pronunciamento militare. Questo farebbe cadere l’Egitto in una situazione di caos e confusione e avrebbe molta difficoltà a tirarsene fuori. Certo una possibilità di uno scontro diretto tra diverse anime del popolo egiziano esiste. Personalmente sono convinto che non succederà, spero di non essere smentito.

    D. – Cosa ne pensa invece di questa “road map” annunciata, è veramente possibile? Un percorso di riconciliazione: l’ha chiamata Mohamed el Baradei portavoce delle opposizioni egiziane…

    R. – Una “road map” in cui i militari decidono di abbandonare il potere è, in linea del tutto teorica, possibile. Io però ritengo che i militari vorranno sorvegliare e supervisionare il processo transitorio, il processo evolutivo. Quanto questo garantisca una necessità ed una possibilità di autentica trasformazione democratica credo che ce lo diranno gli avvenimenti nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Io per quanto riguarda l’intervento dell’esercito rimango sempre dubbioso. Spero anche in questo caso di poter essere smentito.

    Sulle reazioni internazionali ed in particolare sui timori espressi dagli Stati Uniti e l’Europa riguardo al nuovo corso in Egitto, Luca Collodi ha intervistato Renzo Guolo, docente di Sociologia dell'Islam all'Università di Padova:

    R. – Sicuramente gli Stati Uniti - è noto – hanno un rapporto storico, da decenni, con l’esercito. Gli aiuti che forniscono ogni anno sono fondamentali per la forza dei militari egiziani e, in qualche modo, sono loro i veri garanti dei trattati internazionali, soprattutto quello di Camp David, che garantisce la “pace fredda” con Israele. E’ evidente, quindi, che le forze armate hanno avuto un’interlocuzione continua con la Casa Bianca. A mio avviso, gli Stati Uniti avrebbero preferito uno sbocco diverso. Abbiamo avuto, infatti, questo paradosso, per cui gli islamisti difendevano la Costituzione ed i processi democratici mentre la piazza e i militari e hanno preso atto invece che la protesta valeva più del voto. Ovviamente la responsabilità dei Fratelli Musulmani è quella di non aver capito che il processo di transizione andava guidato con una mano diversa negli ultimi mesi. Quanto al discorso dell’Europa, come sempre guarda pochissimo a quanto accade a Sud del Mediterraneo. E’ un gravissimo errore, anche perché quello che avviene si trova alle porte di casa ed ha un evidente effetto domino. Non si pensi che quanto sia accaduto oggi non abbia ripercussioni poi in Tunisia, in Libia o in Siria. E’ evidente, quindi, che l’Europa dovrebbe darsi una politica mediterranea molto più incisiva, molto più capace di premere sui governi, quando si tratta appunto di indirizzare un processo politico, ovviamente nel rispetto delle sovranità nazionali.

    D. – I Fratelli Musulmani hanno cercato di portare al governo anche l’elemento religioso. Questo è il fallimento del potere coniugato al sistema religioso?

    R. – E’ il fallimento dell’idea che bastasse dire “l’islam è la soluzione”. Il governo di una società complessa come quella egiziana prevede una serie di competenze, di conoscenze, di saperi e anche una minore rigidità ideologica. Il grande errore dei Fratelli Musulmani è stato avvallare lo strappo sulla Costituzione, di fronte alle obiezioni delle forze laiche, dei cristiani copti, di tutti quelli che in qualche modo paventavano il pericolo di una Costituzione trascinata su un treno fortemente islamizzato. La Costituzione è il terreno su cui giocano tutti: sia quelli che sono in maggioranza che quelli che sono in minoranza. Lì è stato il grande errore, oltre alle competenze tecniche: dire che l’islam è la soluzione non basta. E’ evidente che questo fallimento paradossalmente diventa molto rischioso, anche perché dà la “stura” a tutte quelle forze di matrice salafita radicale, che appunto avevano contestato ai Fratelli Musulmani la loro capacità di governare all’interno di un sistema che manteneva elementi di pluralismo; e il fatto che non si fosse instaurato con la forza uno stato islamico, anzi che si paventasse l’idea di uno Stato ispirato religiosamente. E’ evidente che è un banco di prova enorme, che avrà conseguenze anche sulla divaricazione dell’area islamista, con forti contraccolpi nei prossimi mesi.

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    Turchia, Tribunale annulla il progetto di ammodernamento urbano di Gezi Park

    ◊   Un Tribunale di Istanbul ha annullato il progetto di ammodernamento urbano che coinvolgeva il Gezi Park di Piazza Taksim, all'origine delle proteste contro il governo che hanno sconvolto il Paese per giorni. La prima Corte amministrativa ha giustificato l'annullamento, suscettibile di appello, con il fatto che la “popolazione locale” non è stata consultata. Ma questa decisione può essere vista come una vittoria dei manifestanti? Salvatore Sabatino lo ha chiesto al collega Camille Eid, esperto di Paesi islamici del quotidiano “Avvenire”:

    R. – E’ una vittoria, però mi chiedo come mai questa decisione del tribunale non sia stata resa nota prima, perché alcune agenzie riferiscono che il tribunale la aveva adottata ai primi di giugno. Quindi hanno lasciato che i manifestanti scendessero in piazza per manifestare e provocare tutto questo subbuglio in Turchia, quando invece c’era già una decisione in merito.

    D. – Oggi il governo turco, dopo tutte queste manifestazioni, sembra più consapevole dei suoi limiti d’intervento. Questa decisione del tribunale potrà avere delle conseguenze su Erdogan e sul suo pungo duro?

    R. – Sì e ha già avuto conseguenze: il Paese si è dimostrato proprio spaccato in due. Questo vale anche per l’Egitto, vale anche per la Siria, vale anche per l’Iraq, per il Libano. Spero che questo non sia una specie di anticipazione di una grande guerra o un grande conflitto che coinvolgerebbe tutti questi Paesi, spaccati proprio a metà tra pro e contro il governo al potere.

    D. – Allargando la prospettiva, ciò che è successo in Turchia è molto diverso da quanto sta accadendo in Egitto: due Paesi importantissimi per lo scacchiere mediorientale eppure così differenti fra loro…

    R. – Questo è vero. In Turchia il partito Akp ha dato prova di una buona gestione in questi ultimi anni: solo ultimamente, forse, ha cercato di allargare un po’ i suoi orizzonti, intraprendendo quindi una politica più ambiziosa degli anni precedenti, e provocando molti malumori in seno agli altri partiti laici o liberali. Il caso egiziano è diverso, perché abbiamo avuto l’esperienza di un solo anno al potere della Fratellanza islamica, che si è dimostrata poi una politica disastrosa per il Paese. Quindi i turchi ci hanno messo, forse, 10-15 anni per capire i limiti di azione del partito Akp al potere, nonostante i suoi successi, ripeto; in Egitto, il popolo egiziano ci ha messo un solo anno per arrivare a questo stesso risultato.

    D. – Sia la Turchia che l’Egitto hanno dei rapporti molto stretti, seppure per motivi differenti, con Stati Uniti ed Europa: sono ancora oggi attori affidabili?

    R. – Affidabili – diciamo – per forza di cose. Per quanto riguarda la Turchia, lo è sempre stata dai tempi della Nato e dell’Unione Sovietica piuttosto, essendo un Paese confinante con l’Urss e quindi per la Nato era importantissimo per le basi militari e per tutta una serie di motivi strategici. Per quanto riguarda l’Egitto, gli Stati Uniti hanno sostenuto l’esercito semmai - e continuano a farlo - ma per motivi diversi, riguardanti sia la zona del Golfo che la situazione politica in Israele. Chiaramente l’Egitto è stato poi il primo Paese arabo a sottoscrivere un accordo di pace con Israele, che i Fratelli musulmani non hanno ritirato o denunciato come promettevano. Quindi per un movito o per l’altro sono e rimangono affidabili, ma per la loro posizione geografica e geopolitica, a prescindere dal partito che detiene il governo del Paese.

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    Usa: celebrazioni del 4 luglio fra misure di sicurezza straordinarie e proteste per il Datagate

    ◊   Gli Stati Uniti festeggiano oggi la Dichiarazione d’indipendenza siglata il 4 luglio del 1776. Le varie celebrazioni avvengono fra misure di sicurezza straordinarie, dopo l’attentato di Boston dell’aprile scorso. Nelle stesse ore, in cento città del Paese sono in programma manifestazioni contro i programmi di sorveglianza delle comunicazioni da parte della National Security Agency. E lo sdegno per il Datagate resta alto anche in Europa, dove sono messi in discussione i negoziati con Washington sugli scambi commerciali. Sulle ripercussioni nei rapporti tra le due sponde dell’Atlantico, Marco Guerra ha sentito Tiziano Bonazzi, docente di Storia americana all’Università di Bologna:

    R. - Può creare una serie di problemi e di fastidi nei rapporti Usa-Ue, comprometterli sicuramente no. D’altronde si è già visto con il caso dell’aereo del presidente boliviano, a cui è stato proibito da parte dell’Italia, della Francia, del Portogallo, di sorvolare i rispettivi spazi aerei nazionali, che queste nazioni tengono molto di più all’alleanza con gli Stati Uniti di quanto non tengano alla difesa dei diritti di una persona che certamente non ha compiuto reati formidabili ma che dal punto di vista americano può essere giuridicamente considerato una spia.

    D. - Gli Stati Uniti dal 2001 stanno dimostrando quanto è difficile coniugare sicurezza e diritti individuali come quello della privacy…

    R. - E’ sicuramente vero ma c’è molto di più. C’è la vera e propria ossessione americana per la sicurezza e la costruzione di un apparato di agency, di informazione, che è qualcosa di assolutamente straordinario e che ha anche una precisa data di origine: il National security act del 1947, quando proprio all’inizio della Guerra Fredda, gli Stati Uniti cominciarono a dotarsi di una serie di strutture per lo spionaggio all’estero e per lo spionaggio all’interno del Paese, a cominciare dalla famosa National security agency di cui stiamo parlando in questi giorni. Da allora non ha fatto altro che crescere ed è diventata una struttura talmente complessa e talmente enorme da rendere spesso difficile e qualche volta anche da marginalizzare l’opera del dipartimento di Stato in campo di politica estera.

    D. - Per quanto riguarda lo scacchiere internazionale molti analisti dicono che ormai il vero asse degli Stati Uniti è con l’altra sponda del Pacifico, ovvero con la Cina…

    R. - In parte è vero ma proprio il tentativo americano di aprire trattative con la Comunità europea per un nuovo trattato di libero scambio mostra una cosa diversa: cioè, è vero che una forte parte del commercio internazionale americano di import-export è con la Cina, è vero che la Cina ha in mano una forte percentuale del debito pubblico americano, ma è ancor più vero che l’intreccio finanziario, l’intreccio economico, gli investimenti americani con l’Europa sono talmente profondi, talmente radicati, talmente importanti da non poter essere sacrificati a nulla, neppure al Pacifico. Per cui, sì, politicamente gli Stati Uniti si rivolgono sempre di più al Pacifico; economicamente hanno bisogno di un’Europa che cresca per poter essere finanziariamente ed economicamente stabili loro stessi.

    D. - Un altro punto dolente sono le primavere arabe. Gli Usa hanno scommesso sull’appoggio ai ribelli libici e siriani e sul processo di transizione egiziano. Allo stato attuale lo scacchiere arabo è nella completa instabilità…

    R. - Certamente è paradossale che gli Stati Uniti si trovino, come d’altronde tutti i Paesi europei, ad appoggiare un colpo di Stato in Egitto che sinceramente non ha niente di democratico ma che noi appoggiamo semplicemente perché i militari ci fanno politicamente comodo e sembrano opporsi a persone con valori che sono molto lontani dai nostri. La politica è anche sporca e i Paesi democratici come gli Stati Uniti di conseguenza devono usare spesso o si trovano a usare spesso mezzi che con la democrazia non hanno nulla a che vedere.

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    Senza fine il dramma dei profughi del Sinai: la testimonianza di Alganesh Fessaha

    ◊   Un dramma a pochi chilometri dalle spiagge del Mar Rosso, frequentate ogni anno da milioni di occidentali. E’ quello di migliaia di profughi in fuga sopratutto dall’Eritrea, che si affidano a trafficanti senza scrupoli per raggiungere Israele, attraversando il Sinai. Una terra di passaggio, che diventa la loro tragica prigione: in centinaia vengono sequestrati e torturati, nell’indifferenza pressoché totale. Ad aiutarli a fuggire c'è anche una donna: la dottoressa Alganesh Fessaha dell'Ong Ghandi, che insieme al giovane sceicco egiziano Mohammed Ali Hassan Awwad, ha salvato centinaia di persone. Salvatore Sabatino l’ha intervistata:

    R. - Da sei anni sono nel Sinai e aiuto i profughi a fuggire. L’altra settimana ho ricevuto una richiesta di aiuto da sei persone. Mi sono messa d’accordo con lo sceicco egiziano Mohammed Ali Hassan Awwad su come liberarli. Solo alle sei della mattina successiva siamo riusciti a liberarli. E' entrato sparando insieme a 15 persone, ha fermato i guardiani e i torturatori; è entrato nelle stanze ed ha liberato le sei persone che erano incatenate. Mi ha chiamato e le abbiamo portate in un posto segreto.

    D. - Noi abbiamo visto delle immagini terribili di come queste persone sono trattate, delle torture che devono subire quotidianamente. Rispetto alla mobilitazione della Comunità internazionale, le cose stanno migliorando o no?

    R. - Fino ad adesso non stanno migliorando. Ora se ne parla di più a livello informativo tramite giornali, televisioni … però lì non ho visto nessun tipo di intervento.

    D. - Questa situazione di stallo è lo specchio di quello che sta vivendo un po’ tutto l’Egitto in questo momento. Quanto la situazione politica del Paese influisce negativamente su quello che sta accadendo in Sinai?

    R. - Parecchio, soprattutto adesso. Io sono arrivata prima che iniziasse l’occupazione di domenica scorsa a Piazza Tahrir. Però, già dal 25 giugno qualcosa si stava muovendo; la polizia che era sul ponte di Salam Bridge si era spostata verso Il Cairo. Adesso il Sinai è il territorio dei beduini, tanto è vero che mi chiamano dal Sinai e mi dicono che lì la situazione è tranquilla; ogni clan è armatissimo fino ai denti con armi di ultimissima generazione.

    D. - È bene sottolineare che tutto questo avviene a davvero pochi chilometri da quelli che sono i luoghi turistici che frequentano tutti gli occidentali …

    R. - Fa male, perché non è lontano da Sharm el Sheik o altre zone turistiche, come Taba … E non è lontano neanche dalla frontiera con Israele. Ad esempio, le persone che ho liberato sono a un chilometro e mezzo dalla frontiera con Israele.

    D. - Vuole lanciare un appello attraverso i microfoni della Radio Vaticana?

    R. - Sì. Faccio appello a tutte le nazioni, soprattutto a quelle africane affinché prendano coscienza di questa realtà per fermare questo stillicidio. Poi faccio appello a tutti i governi europei perché si impegnino su questa realtà, perché è una realtà drammatica, disumana. Tutti quanti potrebbero fare leva - soprattutto l’America, che ha una grande influenza sull’Egitto - ma fino ad ora non l’hanno fatto. Personalmente, con la mia ong mi sono rivolta alla Comunità europea, ai Paesi africani, all’Unione Africana, al governo italiano, ai governi della Libia e del Sudan … Fino ad ora la risposta è stata oscura.

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    Riccardo Muti a Mirandola per il Concerto dell'Amicizia: vicinanza ai terremotati dell'Emilia

    ◊   Nel cuore dell’Emilia Romagna colpita dal terremoto del 2012 arriva la musica, con un messaggio di riconciliazione e di vicinanza. Questa sera infatti nella piazza centrale di Mirandola farà tappa il Ravenna Festival- Le vie dell’Amicizia- con il Concerto dell’Amicizia. Sul podio, Riccardo Muti guiderà l’Orchestra giovanile italiana e l’Orchestra Cherubini, insieme alle scuole e ai musicisti di tutta la regione. In programma arie, cori e sinfonie di Giuseppe Verdi: “è un invito a non rassegnarsi mai alla disperazione” spiega Cristina Muti, direttrice del Ravenna Festival, al microfono di Gabriella Ceraso:

    R. - In questa situazione di terremoto e di gravi danni, il popolo emiliano romagnolo, abituato a rimboccarsi le maniche, ha fatto vedere di che pasta è fatto.

    D. - Voi andate per dare voce a questo territorio e anche per rispecchiare lo spirito che bisogna incarnare in determinate situazioni, cioè quello della fratellanza, della vicinanza…

    R. - Lo spirito è proprio quello perché non è che andiamo a ritirare su le case, andiamo per un abbraccio, come dire: siete stati coraggiosi, continuate ad essere un filo conduttore di una società con l’esempio che date. Siamo qui con voi perché non dimentichiamo che insieme all’Orchestra Cherubini ci sarà anche un’Orchestra Giovanile italiana, ci saranno soprattutto circa 300 persone tra cantanti e strumentisti che vengono da quelle terre, Mirandola, Modena, San Prospero, si uniscono sul palcoscenico, come del resto abbiamo fatto anche in altri luoghi, Gerusalemme, Nairobi, Yerevan, Damasco, perché il canto e la musica uniscono senza bisogno di troppe parole.

    D. - Il programma non è casuale, Riccardo Muti ha scelto pagine verdiane, potremmo dire un po’ mirate per l’occasione, emergono coraggio, attaccamento alla terra, orgoglio: sono questi i valori che vorrete far emergere?

    R. - Sì, la coincidenza ha voluto che questa volta sia stato proprio il popolo verdiano - lo chiamo così, “popolo verdiano”, nel senso delle terre verdiane - ad essere stato colpito ma è un canto per tutti, perché è un canto che si rivolge ai valori base della coscienza dell’uomo.

    D. - C’è stata una frase che vi ha colpito scritta su un container, proprio a Mirandola: “barcolliamo ma non molliamo” : si potrebbe estendere anche a tutto il popolo italiano in questo momento non facile?

    R. - Lì si barcolla anche per le scosse di un terremoto, ma anche il terremoto che ti fa dubitare del futuro di una nazione è preoccupante e pericoloso. Quindi, sì, è proprio nel momento in cui ci si sente più fragili che bisogna dar vita a tutte le energie possibili.

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    "Nave Italia" in viaggio verso La Spezia con a bordo 15 ragazzi del Bambino Gesù affetti da epilessia

    ◊   E’ partita martedì scorso da Livorno, con destinazione La Spezia, la “Nave Italia” con a bordo 15 ragazzi dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù affetti da epilessia. Un viaggio in barca a vela contro i pregiudizi che troppo spesso circondano questa patologia. Lontano dai genitori, i ragazzi si confrontano con le proprie capacità. Di quale malattia si tratta e di cosa si occupano i ragazzi epilettici durante il viaggio? Risponde il prof. Federico Vigevano, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. L’intervista è di Eliana Astorri:

    R. - E’ una malattia caratterizzata dal presentarsi di crisi epilettiche improvvise. Il termine “epilessia” deriva dal greco “epilambano” che vuol dire cogliere di sorpresa. La crisi epilettica non è altro che una scarica elettrica che avviene a livello del nostro cervello e noi ne vediamo le manifestazioni cliniche. Però nella definizione della malattia epilessia si dice che non solo ci sono le crisi ma ci sono anche le ripercussioni sul piano psicologico che queste crisi comportano.

    D. - E’ una malattia i cui sintomi si possono tenere sotto controllo?

    R. - Riusciamo a curare due terzi dei casi con i farmaci. C’è una quota che per fortuna guarisce spontaneamente con la crescita. Altri casi non rispondono ai farmaci e sono quelli che più ci impegnano, ovviamente, per i quali abbiamo nuove prospettive terapeutiche, prima fra tutte la chirurgia dell’epilessia e poi altri approcci più moderni che sono quelli di fare “neuro-stimolazioni”, cioè stimolazioni elettriche che arrivano direttamente al cervello, che fanno sì che il cervello sia meno ipereccitabile e quindi tenda meno a produrre crisi.

    D. - C’è una sorta di stigma intorno a una malattia come l’epilessia?

    R. - Nella definizione di epilessia c’è anche proprio la ripercussione sul piano psicologico che la malattia, che la crisi comporta. E’ sempre stata una malattia interpretata quasi come manifestazione di tipo sacro, o addirittura satanico, certe volte. C’è sempre stato un grosso pregiudizio nei confronti dei pazienti con epilessia e ancora oggi noi viviamo questo sia nella società, sia nella scuola, sia nelle attività sportive. Ci sono molte limitazioni nei confronti dei nostri ragazzi, proprio per pregiudizi che ci sono sulla malattia.

    D. - Veniamo alla “Nave Italia”. E’ partita da Livorno con a bordo una quindicina di ragazzi affetti da questa malattia. Qual è lo scopo di questo viaggio che li porterà poi sabato prossimo a La Spezia. Cosa stanno facendo sulla nave questi ragazzi?

    R. - I ragazzi sono di fatto i marinai della nave, nel senso che sono a fianco di marinai veri e fanno un lavoro di pulizia, di preparazione dei pranzi, imparano i rudimenti della vela, imparano a fare i nodi e quindi di fatto fanno una vita, non dico militare, ma quasi. Sono lontano dai genitori e questo fa sì che loro si rendano coscienti di come sono capaci di essere autonomi, capaci di tirar fuori risorse che normalmente non credono di avere. Tutto questo ha lo scopo di aumentare la loro autostima, la loro fiducia in se stessi, cose di cui hanno estremamente bisogno. Sono tutti adolescenti, quindi di fronte alla prospettiva della vita da adulti.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: un sacerdote cattolico belga e un monastero nel mirino dei jihadisti

    ◊   Il sacerdote cattolico belga padre Daniel Maes, 74 anni, dell’Ordine religioso dei “Canonici regolari premostratensi”, è nel mirino dei gruppi jihadisti che intendono eliminarlo e invadere il monastero di San Giacomo mutilato a Qara, 90 km a nord di Damasco. Il monastero, appartenente alla diocesi greco-cattolica di Homs, si trova in una zona di confine fra gruppi belligeranti sul terreno e potrebbe essere occupato per diventare base logistica militare dei ribelli. Dopo la morte di padre Francois Murad, la comunità cristiana in Siria è molto preoccupata. Ogni linea di comunicazione col monastero è interrotta. L’allarme è giunto all’agenzia Fides da alcuni leader cattolici siriani e dai familiari dei monaci residenti a San Giacomo, che sono di 9 nazionalità, anche europee. Padre Maes ha insegnato per 20 anni teologia morale in Belgio e dal 2010 risiede al monastero, dove è direttore del Seminario. Il convento di San Giacomo a Qara è una antica struttura che risale al V sec d. C. Vi risiede una comunità monastica femminile, guidata dalla suora palestinese suor Agnes Mariam de la Croix, arricchitasi negli anni di una comunità religiosa maschile e di famiglie di laici cristiani, sunniti e alawiti. Nei mesi scorsi il convento si è trovato al centro di scontri a fuoco ed è stato colpito e danneggiato da bombardamenti di elicotteri dell’esercito regolare siriano che, probabilmente, intendevano colpire depositi di armi sistemati nei cunicoli o nei fossati nei pressi del monastero, all’epoca bizantina usati per le provviste di acqua. Negli ultimi mesi il monastero ospita e assiste famiglie di profughi, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa. Padre Daniel mantiene stretti contatti con gruppi di siriani in Francia, Belgio e Olanda che, attraverso associazioni di volontariato, mandano aiuti umanitari per gli sfollati. Il sacerdote ha denunciato la “pulizia etnica” compiuta sui cristiani a Qusair, quando la cittadina era stata presa dai ribelli e da gruppi jihadisti. “I villaggi cristiani circostanti sono stati distrutti e tutti i fedeli che potevano essere catturati sono stati uccisi, secondo una logica di odio settario”, ha scritto nelle scorse settimane all’agenzia Fides. “Per decenni cristiani e musulmani hanno vissuto in pace in Siria. Se bande criminali possono scorazzare e terrorizzare i civili, questo non è contro le leggi internazionali? Chi proteggerà gli innocenti e potrà garantire il futuro di questo Paese?”, afferma il sacerdote. Così padre Maes descrive la situazione sociale odierna in Siria: “I giovani sono delusi, perché le potenze straniere dettano loro l’agenda. I musulmani moderati sono preoccupati, perché salafiti e fondamentalisti vogliono imporre una dittatura totalitaria di stampo religioso. I cittadini sono terrorizzati perché vittime innocenti di bande armate”. Padre Maes conclude: “Il regime siriano aveva da tempo perso ogni credibilità. Oggi l’urgenza è far sopravvivere la Siria. Il popolo siriano stesso deve riformare il Paese, secondo un processo di vera democrazia: un popolo che, autonomamente, garantisce la parità di trattamento per tutti”. (R.P.)

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    Budapest: all'Assemblea Kek il saluto del card. Erdö, del rev.Tveit e di Bartolomeo

    ◊   “Il Ccee guarda a questa assemblea con particolare interesse”. Lo ha detto ieri il cardinale Peter Erdö, arcivescovo di Budapest e presidente del Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa), nel suo saluto all’apertura dell’assemblea Kek (Conferenza delle Chiese europee) nella capitale ungherese. “Sappiamo tutti che non sono le strutture da sole, ma le persone e le comunità vive che possono testimoniare in modo efficace la presenza di Gesù nel nostro mondo. Sappiamo anche che organismi che sono veramente al servizio del Vangelo rappresentano un grande aiuto per il lavoro comune di tutti quelli che, seguendo la chiara volontà del Signore, cercano la piena e visibile unità della Chiesa”. Il saluto del cardinale - riporta l'agenzia Sir - è stato incentrato sul tema di Cristo come sorgente di speranza e di unità. Il card. Erdö ha ricordato come la lotta per sovvertire i regimi nei Paesi dell’Europa orientale sia stata mossa dal “desiderio di libertà” e dalla consapevolezza che “la società si fonda non solo su una stretta ideologia scritta, ma anche su tutta la Verità”. Nonostante l’impressione oggi sia che “le grandi promesse sulla verità e la libertà siano quasi irrealizzabili”, l’esortazione apostolica “Ecclesia in Europa” è “solenne incoraggiamento” alla speranza in Cristo “in noi e tra di noi”. Nel suo intervento, il segretario del Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc), Olav Tveit ha detto che l’incontro di Budapest è “una occasione per celebrare la solidarietà ecumenica, per testimoniare i passi compiuti nell’unità, per gioire dei frutti che già raccogliamo e per renderci conto che è molto di più quello che possiamo ancora raggiungere”. Nel suo messaggio ai delegati, il patriarca ecumenico Bartolomeo ha invece parlato della necessità di “rispondere nel servizio ai bisogni della nostra società, in un’Europa costantemente in cambiamento a motivo della crisi e delle sue conseguenze” e della necessità per i cristiani di “essere riflesso del volto di Cristo nella nostra società e in particolare tra i più vulnerabili”.“La Kek e la sua missione in un’Europa che cambia”, è il titolo dei lavori assembleari, che dureranno fino a lunedì 8 luglio, e che dovrebbero portare la Kek a definire una sua profonda ristrutturazione, necessaria, perché sono cambiate le circostanze, sia nell’ambito della società che nella vita delle Chiese, rispetto al 1959, quando è nata. (R.P.)

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    Usa: appello dei leader cristiani a rispettare obiezione di coscienza e libertà religiosa

    ◊   Si conclude oggi, Festa nazionale dell’Indipendenza, con una Messa presieduta dal cardinale arcivescovo di Washington Donald Wuerl nella basilica nazionale dell’Immacolata Concezione, la “Fortnight for Freedom”, la campagna per la libertà religiosa lanciata il 21 giugno dai vescovi degli Stati Uniti e giunta alla sua seconda edizione. 15 giorni di preghiere, riflessioni, catechesi e manifestazioni per mobilitare la comunità cattolica e richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla difesa di questo principio fondamentale, sempre più minacciato oggi nel Paese da politiche volte a limitare la libertà di educazione sui principi morali e religiosi e sulla loro pratica. In particolare – come è noto – a muovere l’iniziativa dei vescovi americani sono alcune disposizioni della riforma sanitaria dell’Amministrazione Obama in materia di aborto e contraccettivi che impongono limitazioni all’obiezione di coscienza di coloro che si oppongono all’aborto e la ridefinizione del matrimonio a livello federale e statale. E un nuovo appello ad “estendere le tutele della libertà di coscienza” nell’applicazione delle nuove regole del Ministero della salute (HHS) circa l’obbligo di copertura sanitaria dei mezzi anticoncezionali e abortivi è stato rivolto in una lettera aperta inviata ieri al Governo da un centinaio di leader cristiani. La lettera intitolata “Insieme per la libertà religiosa” (“Standing Together for Religious Freedom”) è stata presentata a una conferenza stampa a Washington alla quale è intervenuto, tra gli altri, l’arcivescovo di Baltimora William E. Lori, Presidente della Commissione ad hoc della Usccb per la libertà religiosa. In essa i leader religiosi chiedono al Ministero della Salute di garantire la libertà di coscienza “a tutte le organizzazioni e individui che per motivi religiosi e morali non possono garantire la copertura, fornitura o l’accesso a determinati medicinali o servizi” previsti dalla riforma sanitaria. Nella missiva si chiede altresì al Congresso di trovare un modo per evitare che alcune “inammissibili” offese alla libertà religiosa si verifichino in futuro. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Indonesia: Chiesa ed opposizione contro una nuova legge su Ong e gruppi

    ◊   La Camera dei deputati del parlamento indonesiano ha approvato martedì la nuova legge sulle organizzazioni di massa e non governative, un provvedimento che darà al governo un maggiore controllo su gruppi e movimenti, consentendo di agire per bloccarne le azioni considerate illegali o pericolose per la sicurezza, ma anche per scioglierli se necessario. Sono occorsi mesi di aspro confronto e di sospensioni frequenti per arrivare a un testo che raggiungesse gli obiettivi proposti dal governo di sicurezza e controllo, ma superasse i tanti dubbi emersi nell’aula parlamentare. Alla fine, però la convergenza delle forze politiche è stata significativa e la legge è stata approvata con 311 voti a favore dei 361 legislatori presenti in aula. Significativa anche l’astensione dal voto di 199 esponenti dell’opposizione. I movimenti a favore del provvedimento di iniziativa governativa - riferisce l'agenzia Misna - hanno sottolineato come la legge fosse necessaria, sia per rafforzare le organizzazioni locali, sia per contrastare iniziative straniere attraverso l’uso di gruppi o Ong locali. Per l’opposizione, al contrario, quella che si riconosce nei partiti Gerindra, del Mandato nazionale e della Coscienza popolare, il provvedimento sarà utilizzato dal potere per silenziare la dissidenza. Opposti al passaggio della legge anche rappresentanze di gruppi religiosi, come la Conferenza episcopale cattolica, la Comunione delle Chiese indonesiana e la Muhammadiya, organizzazione di base musulmana a forte impronta sociale. Due principalmente le loro obiezioni: la discriminazione sempre possibile nell’approvazione e nel controllo delle organizzazioni in base alle politiche prevalenti e su linee ideologiche e religiose; l’arbitrarietà consentita dalla vaghezza di certe espressioni, come ad esempio il criticato articolo 5. L’articolo, uno degli 87 complessivi, obbliga le organizzazioni di massa a mantenere e rafforzare l’unità della nazione, come pure a sostenere gli ideali dello Stato indonesiano. L’articolo bandisce però anche la bestemmia contro ogni religione riconosciuta, rende illegali attività che promuovono separatismo, disturbo dell’ordine pubblico e violazione dell’ideologia di Stato Pancasila. Una legge che per i critici lascia aperte le porte a dubbi e strumentalizzazioni. Per questo, anche i vescovi cattolici, come altri chiederanno alla Corte costituzionale di sospendere l’attuazione della legge. (R.P.)

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    Centrafrica: l’emergenza umanitaria rischia di incendiare tutta la regione

    ◊   “Più di 60.000 bambini e loro familiari soffrono una grave penuria alimentare e più di 200.000 bambini e loro familiari sono stati costretti a fuggire dalle loro case nel corso degli ultimi 6 mesi” denuncia un appello sottoscritto da 9 organizzazioni umanitarie che operano nella Repubblica Centrafricana, e da mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui. Il documento traccia un quadro drammatico della situazione del Centrafrica a pochi mesi dalla cacciata dell’ex Presidente François Bozizé e l’arrivo al potere di Michel Djotodia, leader della coalizione ribelle Seleka. “La maggior parte dei Centri sanitari del Paese sono chiusi da 6 mesi, circa un milione di bambini non andranno a scuola e la popolazione è priva dei servizi più elementari”. A questo si aggiunge la mancanza di sicurezza che colpisce soprattutto i più deboli ed indifesi: “i bambini, e in particolare bambine e ragazze, sono esposti a un gran numero di abusi, in particolare violenze sessuali e matrimoni precoci”. Migliaia di bambini sono reclutati a forza nelle file dei gruppi armati. La presenza umanitaria è ridotta al minimo: solo una quarantina di operatori dell’Onu sono ancora presenti nella capitale, Bangui. Le 9 Ong chiedono la raccolta di 60 milioni di euro per far fronte alle esigenze umanitarie più urgenti. Mons. Nzapalainga sottolinea che il dramma centrafricano rischia di incendiare gli Stati vicini. “Il nostro Paese confina con 6 delle nazioni più fragili dell’Africa (Ciad, Camerun, Congo Brazzaville, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan e Sudan, ndr.): esiste un rischio reale di destabilizzare tutta l’Africa centrale” conclude l’arcivescovo. (R.P.)

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    Sudan: l'arrivo delle piogge aggrava le condizioni sanitarie dei profughi

    ◊   L'arrivo della stagione delle piogge ha accelerato la diffusione di malattie come malaria, diarrea, ritenzione urinaria e congiuntivite nel campo profughi di Kalma, vicino a Nyala, capitale del Sud Darfur. In una nota diffusa da Radio Dabanga si legge che ad aggravare la situazione contribuisce la penuria di farmaci adeguati dovuta anche, secondo l’International Rescue Committee Organisation, ai continui nuovi arrivi. I bambini sono i più vulnerabili, con circa 200 visite al giorno in ospedale. Le autorità del Ministero della Sanità locale hanno dichiarato che il proliferare dell’epidemia è dovuto al grande numero di animali morti vicino alle sorgenti di acqua potabile, soprattutto nelle zone di Al Sareif Beni Hussein e Jebel 'Amer nel Darfur settentrionale. Lo scorso mese di ottobre i minatori di Jebel 'Amer sono stati colpiti da morbillo, diarrea, febbre, dolori addominali e tifo. Secondo una fonte medica locale, oltre al sovraffollamento, la mancanza di latrine e la scarsità di acqua potabile possono essere state la causa. (R.P.)

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    Argentina: i tassi di povertà sono superiori a quelli rivelati dalle statistiche ufficiali

    ◊   "I tassi di povertà reali sono superiori a quelli pubblicati dall'Indec (Istituto Nazionale di Statistica e Censimenti)” afferma mons. Jorge Eduardo Lozano, vescovo di Gualeguaychú e presidente della Commissione per la pastorale sociale, in una nota inviata all'agenzia Fides. “Le cifre ufficiali sono basate su costi molto più bassi di quanto realmente si spende per soddisfare il fabbisogno alimentare delle famiglie” ha precisato mons. Lozano durante la presentazione del documento di Mar del Plata. Il documento raccoglie i contributi rilevanti della "Settimana Sociale Mar del Plata 2013” dedicata alle priorità del Bicentenario della nazione: "Democrazia, equità e sviluppo integrale". Nell’incontro, che è la più importante occasione di riflessione sociale della Chiesa cattolica nel Paese, è stato sottolineato come l'istruzione, il lavoro in regola e la sicurezza, sono i problemi più sentiti dalla popolazione. Il documento Mar del Plata, ricorda inoltre l’importanza della divisione dei poteri, perché "una vera democrazia non è solo il risultato di un rispetto formale delle regole, ma è il risultato dell’accettazione convinta dei valori che ispirano le procedure democratiche: la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei diritti umani, l'assunzione del bene comune come fine e criterio che guida la vita politica ", ha concluso mons. Lozano. (R.P.)

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    Bolivia: la preoccupazione della Chiesa per la situazione delle carceri

    ◊   "Le prigioni del nostro Paese sono magazzini umani sovraffollati con un affollamento superiore al 200% di quanto possono ospitare", ha detto il responsabile della pastorale delle carceri in Bolivia, padre Leonardo Da Silva. La situazione delle carceri nel Paese è diventata una vera emergenza dopo la chiusura. in questi giorni, del carcere di San Pedro a La Paz e il trasferimento dei detenuti lì rinchiusi nelle prigioni della zona rurale. Padre Leonardo, riferisce una nota inviata a Fides, aveva da tempo denunciato le condizioni terribili delle prigioni, ed aveva proposto delle soluzioni per migliorare la situazione, ma non aveva ricevuto risposta dalle autorità. "Spostare le persone da un carcere all’altro non è una soluzione, tutti dovrebbero cercare dei profondi cambiamenti strutturali insieme con le autorità e con le istituzioni che operano in questo campo", ha detto padre Da Silva. "Ci sono tanti problemi urgenti come il sovraffollamento, le persone che aspettano da anni una sentenza definitiva di condanna, la presenza di minori nelle carceri, la salute dei detenuti e altro ancora", ha concluso Da Silva. (R.P.)

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    Australia: appello dei vescovi in vista delle prossime elezioni

    ◊   Votare avendo come metro di misura non l’interesse personale verso obiettivi immediati, ma il bene comune alla luce della Dottrina sociale della Chiesa. E’ l’invito rivolto ai cattolici dai vescovi australiani in una nota pastorale, in vista delle elezioni politiche fissate per il prossimo 14 settembre. “Il bene dell’individuo e il bene della società nel suo insieme – sottolineano i presuli nel documento - devono conciliarsi in armonia. Quando questo accade abbiamo il bene comune”. Nell’agitata congiuntura politica segnata in questi ultimi mesi dalla crisi economica e da un’alta conflittualità, soprattutto all’interno del Partito laburista al governo, i vescovi australiani sottolineano il dovere dei cattolici di partecipare attivamente al processo democratico del loro Paese. Per questo la nota richiama l’attenzione su alcuni temi ritenuti importanti dalla Chiesa: i poveri e i vulnerabili; il matrimonio e la famiglia; la difesa della vita; la protezione dell’infanzia; il trattamento riservato ai migranti ai rifugiati e alle popolazioni indigene; l’educazione; la salute, l’ambiente e l’economia sostenibile, la pace e lo sviluppo. Dopo una breve disamina di questi temi, la nota ricorda dieci principi fondamentali della Dottrina della Chiesa: la dignità di ogni essere umano fatto ad immagine di Dio, la difesa della vita dal concepimento fino alla morte naturale; la valorizzazione delle associazioni e delle organizzazioni intermedie; la partecipazione di tutti alla costruzione del bene comune; l’opzione preferenziale della Chiesa per i poveri e i vulnerabili; la solidarietà; la tutela del Creato; il principio di sussidiarietà; l’uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio e quindi il rifiuto di ogni discriminazione. Infine la nota ricorda il perseguimento del bene comune che – presuppone “condizioni sociali che permettano a tutte le persone di realizzare le proprie potenzialità e dignità umane”. (L.Z.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 185

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