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Sommario del 03/07/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa nella Festa di San Tommaso: Dio si incontra baciando le piaghe di Gesù nei fratelli più deboli
  • Nuovi sbarchi a Lampedusa, oltre 300 immigrati nell'isola. L'8 luglio la visita di Papa Francesco
  • Udienza e nomine episcopali di Papa Francesco
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto: attesa per la scadenza dell'ultimatum dei militari a Morsi
  • Portogallo, la crisi economica si fa crisi di governo. Becchetti: l'Ue fermi le politiche di austerità
  • Mons. Bregantini al Festival di Spoleto: "Dove c'è il perdono c'è un Paese che cresce"
  • Presentata a Roma la 34.ma edizione del Meeting di Rimini sul tema "Emergenza uomo"
  • Italia, primo grande Paese europeo a ratificare la Convenzione sul femminicidio
  • Conferenza Rio+20: il ruolo dell'Italia nello sviluppo sostenibile
  • Colombe d'Oro per la Pace a quattro donne
  • Anziani soli: piaga sociale anche in Italia, alleviata da decine di migliaia di volontari
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Papa a Lampedusa. Il card. Bagnasco e la Caritas: "Segnale di speranza"
  • Indonesia. Terremoto ad Aceh di magnitudo 6,1: almeno 22 morti e oltre 200 feriti
  • Gmg 2013: il 6 luglio la Croce della Gmg e l'icona di Maria arrivano a Rio
  • Kek: da oggi a Budapest l'Assemblea generale su "La missione in un'Europa che cambia"
  • Ciad: incriminato ex presidente Habré. E' in carcere a Dakar
  • Sud Sudan: è entrata nel vivo la Settimana per la pace
  • Sud Sudan: la radio cattolica di Rumbek autorizzata a riprendere le trasmissioni
  • Centrafrica: Caritas partner in un progetto di microcrediti per le famiglie colpite dalla crisi
  • Indonesia: a Bekasi centinaia di estremisti islamici contro la costruzione di una chiesa cattolica
  • Pakistan: il caso di violenza su tre donne cristiane scuote il Paese
  • Bangladesh: nuovo caso di avvelenamento in fabbrica tessile, colpiti in 200
  • India: i dalit cristiani minacciano di non votare per i partiti che non li difendono
  • Polonia: iniziativa per cancellare la legge sull'aborto eugenico
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa nella Festa di San Tommaso: Dio si incontra baciando le piaghe di Gesù nei fratelli più deboli

    ◊   Per incontrare il Dio vivo è necessario baciare con tenerezza le piaghe di Gesù nei nostri fratelli affamati, poveri, malati, carcerati: è quanto ha detto stamani il Papa nella Messa a “Santa Marta” commentando il Vangelo proposto dalla liturgia nella Festa di San Tommaso Apostolo. Erano presenti sacerdoti e collaboratori del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso guidati dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del dicastero. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Gesù, dopo la Resurrezione, appare agli apostoli, ma Tommaso non c’è: “Ha voluto che aspettasse una settimana – ha spiegato Papa Francesco - Il Signore sa perché fa le cose. E a ciascuno di noi dà il tempo che lui crede che sia meglio per noi. A Tommaso ha concesso una settimana”. Gesù si rivela con le sue piaghe: “Tutto il suo corpo era pulito, bellissimo, pieno di luce – sottolinea il Pontefice - ma le piaghe c’erano e ci sono ancora” e quando il Signore verrà, alla fine del mondo, “ci farà vedere le sue piaghe”. Tommaso per credere voleva mettere le sue dita in quelle piaghe:

    “Era un testardo. Ma, il Signore ha voluto proprio un testardo per farci capire una cosa più grande. Tommaso ha visto il Signore, è stato invitato a mettere il suo dito nella piaga dei chiodi; mettere la mano sul fianco e non ha detto: ‘E’ vero: il Signore è risorto!’. No! E’ andato più oltre. Ha detto: ‘Dio!’. Il primo dei discepoli che fa la confessione della divinità di Cristo, dopo la Resurrezione. E ha adorato”.

    “E così – prosegue il Papa - si capisce qual era l’intenzione del Signore nel farlo aspettare: prendere anche la sua incredulità per portarla non all’affermazione della Resurrezione, ma all’affermazione della sua divinità”. Il “cammino per l’incontro con Gesù-Dio – ha sottolineato - sono le sue piaghe. Non ce n’è un altro”:

    “Nella storia della Chiesa ci sono stati alcuni sbagli nel cammino verso Dio. Alcuni hanno creduto che il Dio vivente, il Dio dei cristiani noi possiamo trovarlo per il cammino della meditazione, e andare più alto nella meditazione. Quello è pericoloso, eh? Quanti si perdono in quel cammino e non arrivano. Arrivano sì, forse, alla conoscenza di Dio, ma non di Gesù Cristo, Figlio di Dio, seconda Persona della Trinità. A quello non ci arrivano. E’ il cammino degli gnostici, no? Sono buoni, lavorano, quello, ma non è il cammino giusto. E’ molto complicato e non ti porta a buon porto”.

    “Altri – ha spiegato il Papa - hanno pensato che per arrivare a Dio dobbiamo essere noi mortificati, austeri, e hanno scelto la strada della penitenza: soltanto la penitenza, il digiuno. E neppure questi sono arrivati al Dio vivo, a Gesù Cristo Dio vivo. Sono i pelagiani, che credono che con il loro sforzo possono arrivare”. Ma Gesù ci dice che il cammino per incontrarlo è quello di trovare le sue piaghe:

    “E le piaghe di Gesù tu le trovi facendo le opere di misericordia, dando al corpo - al corpo - e anche all’anima, ma al corpo – sottolineo – del tuo fratello piagato, perché ha fame, perché ha sete, perché è nudo, perché è umiliato, perché è schiavo, perché è in carcere, perché è in ospedale. Quelle sono le piaghe di Gesù oggi. E Gesù ci chiede di fare un atto di fede, a Lui, ma tramite queste piaghe. ‘Ah, benissimo! Facciamo una fondazione per aiutare tutti quelli e facciamo tante cose buone per aiutarli’. Quello è importante, ma se noi rimaniamo su questo piano, saremo soltanto filantropici. Dobbiamo toccare le piaghe di Gesù, dobbiamo carezzare le piaghe di Gesù, dobbiamo curare le piaghe di Gesù con tenerezza, dobbiamo baciare le piaghe di Gesù, e questo letteralmente. Pensiamo, cosa è successo a San Francesco, quando ha abbracciato il lebbroso? Lo stesso che a Tommaso: la sua vita è cambiata!”.

    Per toccare il Dio vivo – ha affermato il Papa – non serve “fare un corso di aggiornamento” ma entrare nelle piaghe di Gesù e per questo “è sufficiente uscire per la strada”. Chiediamo a San Tommaso – ha concluso - la grazia di avere il coraggio di entrare nelle piaghe di Gesù con la nostra tenerezza e sicuramente avremo la grazia di adorare il Dio vivo”.

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    Nuovi sbarchi a Lampedusa, oltre 300 immigrati nell'isola. L'8 luglio la visita di Papa Francesco

    ◊   Cresce l'attesa per la visita del Papa a Lampedusa il prossimo 8 luglio. Un viaggio nato dal desiderio del Pontefice di incoraggiare alla solidarietà verso i migranti che cercano una nuova speranza lasciando i propri Paesi. Proprio nelle ultime ore vi sono stati due sbarchi sull'isola, uno ieri sera l'altro stamani, con oltre 300 migranti tra cui alcune donne incinte e alcuni bambini. Già nel marzo scorso, subito dopo la sua elezione alla Cattedra di Pietro, il parroco della Chiesa di San Gerlando a Lampedusa, don Stefano Nastasi, aveva inviato una lettera a Papa Francesco invitandolo a visitare l'isola. Fabio Colagrande ha intevistato il sacerdote:

    R.Pensavo che la cosa potesse essere presa in considerazione, ma non così presto. Mai avrei immaginato che il primo viaggio del Papa fuori dalla diocesi di Roma fosse proprio a Lampedusa.

    D. – E come ha reagito, quando l’ha saputo?

    R. - All'inizio sono rimasto incredulo, ma poi ho sentito, più che capito, molto vicino il cuore del Papa, fin dal primo momento. In quel momento, ho percepito la forte vicinanza del cuore del Papa a questa comunità.

    D. – Cosa aveva scritto in quella lettera del marzo scorso?

    R. – In quella lettera ho presentato per sommi capi quello che la comunità ha vissuto in questi anni e, nello stesso tempo, ho immaginato che le lacrime di commozione del Papa, al momento della sua elezione, si potessero mescolare con le lacrime di sofferenza, di dolore di ogni uomo e donna, comprese anche le nostre, di chi vive sull’isola il quotidiano, e di chi transita su quest’isola a causa dell’immigrazione.

    D. – Quando la notizia è stata ufficializzata, qual è stata la reazione dei suoi parrocchiani?

    R. – C’è stata un po’ d’incredulità sul volto di molti. Qualcuno mi ha chiamato e mi ha detto: “Mi tremano le gambe!”. Ed io: “Stai tranquillo!Non bisogna fare così!”. E’ chiaro che c’è molta emozione, commozione ed anche molto senso di responsabilità per certi versi, perché comprendiamo bene come noi tante volte, come comunità, raccontando la sofferenza condivisa, i pesi condivisi, abbiamo cercato di alzare la voce nei confronti dell’Europa. Se da un lato, infatti, Lampedusa è la parte finale, periferica dell’Europa, è pur vero che è la sua porta d’ingresso, che ci guarda dall’Africa. A partire da questo, penso che abbiamo una grossa responsabilità. Abbiamo raccontato, infatti, finora, tanta sofferenza, ma ora è il momento, per noi e per il resto della nazione, di ascoltare quello che il Successore di Pietro ha da dirci, da suggerirci, a partire dalla Parola di Dio.

    D. – Come commenta il fatto che la visita, come ha spiegato la Sala Stampa vaticana, si realizzerà nella forma più discreta possibile?

    R. – Penso che si incastoni in quello che è sempre stato il clima di questa realtà, che noi abbiamo vissuto. E’ un’intimità del cuore che vuole essere manifestata, senza un’esposizione esterna esagerata o senza dare spazio a ciò che poi magari ci può fare allontanare dalla riflessione di quello che è stato vissuto, e che è vissuto ancora oggi, su questo territorio. Penso che la visita a Lampedusa vada letta a partire dalle parole pronunciate da Papa Francesco durante la Settimana Santa, quando ha invitato la Chiesa ad andare verso le periferie, geografiche ma anche esistenziali. In quelle parole ho riletto la nostra storia quotidiana, perché noi siamo, è vero, una periferia geografica, ma, allo stesso tempo, abbiamo sperimentato, e sperimentiamo, l'incontro con le periferie esistenziali. E il Papa ci ha detto più volte che è proprio dalle periferie che possiamo guardare meglio al centro e proprio dalle periferie esistenziali possiamo leggere meglio il cuore dell'uomo. Noi ci troviamo perfettamente d’accordo, perché comprendiamo il significato pieno di quelle parole. E’ partendo dalla periferia che comprendiamo meglio il centro e il resto.

    D. – La Sala Stampa ha spiegato cosa vuole fare il Papa: pregare per coloro che hanno perso la vita in mare; visitare i superstiti e i profughi presenti, ma anche incoraggiare gli abitanti dell’isola...

    R. – Sicuramente hanno bisogno di esser confermati, per certi versi, nella logica della carità e dell'accoglienza spicciola, semplice, senza pianificazione, rimandata tante volte alla giornata, all’immediato, al bisogno che durante la giornata si presenta. Può sembrare qualcosa di poco pianificato e per certi versi lo è, ma sicuramente è qualcosa che è dettato dal cuore. Penso che il Papa verrà a confermare alla comunità di Lampedusa tutto questo, ma partendo da questa comunità, rivolgerà anche una parola al resto del mondo, della Chiesa. Credere, infatti, all’amore, credere alla carità è ancora possibile. In molti forse hanno smarrito questa fiducia. Bisogna però recuperare questa fiducia nella possibilità che la carità, la condivisione, ancora possono moltiplicare quel poco che si ha e quel poco che si è, e divenire comunione per tutti.

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    Udienza e nomine episcopali di Papa Francesco

    ◊   Il Papa ha ricevuto in udienza mons. Jean-Louis Bruguès, Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa

    Il Santo Padre Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Lilongwe (Malawi), presentata da S.E. Mons. Rémi Joseph Gustave Sainte-Marie, M. Afr., in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Arcivescovo di Lilongwe (Malawi) S.E. Mons. Tarcisius Gervazio Ziyaye, finora Arcivescovo di Blantyre (Malawi).

    Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Raipur (India), presentata da S.E. Mons. Joseph Augustine Charanakunnel, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Arcivescovo di Raipur (India) S.E. Mons. Victor Henry Thakur, finora Vescovo di Bettiah.

    Il Santo Padre ha nominato Vescovo della diocesi di Abaetetuba (Brasile) il Rev.do José Maria Chaves dos Reis, del clero della diocesi di Cametá, finora Vicario Generale e Rettore del Seminario Maggiore "Bom Pastor".

    Il Santo Padre ha nominato Vescovo della diocesi di Jardim (Brasile) il Rev.do Mons. João Gilberto de Moura, del clero della diocesi di Ituiutaba, finora Vicario Generale e Parroco della Cattedrale "Cristo Rei".

    Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Faisalabad (Pakistan) il Rev.do Mons. Joseph Arshad, Consigliere di Nunziatura in Bosnia-Erzegovina.

    Il Papa ha nominato Amministratore Apostolico ad nutum Sanctae Sedis della diocesi di Ahiara (Nigeria) l’Em.mo Card. John Onaiyekan, Arcivescovo di Abuja.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Toccare le piaghe per professare Gesù: Messa del Papa a Santa Marta.

    Per una solidarietà senza confini: il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, in attesa della visita del Santo Padre a Lampedusa.

    Una fabbrica di bambini: l'arcivescovo di La Plata, Hector Ruben Aguer, critica la legge sulla fecondazione assistita approvata in Argentina.

    Sradicamento della povertà: nell'informazione internazionale, intervento della Santa Sede a New York.

    A proposito di un convegno storico a Opole, in Alta Slesia, un articolo di Gianpaolo Romanato dal titolo "La leggenda delle origini di Pio X".

    Un articolo di Michael Naughton dal titolo "Attenti alla trappola dell'indifferenza": un invito per chi lavora nel mondo degli affari.

    Apologetica in riva al mare: Marco Beck sul dialogo tra cristianesimo e Roma pagana nell'"Octavius" di Minucio Felice.

    Un articolo di Isabella Farinelli dal titolo "In cerca di un po' di cielo e di una bicicletta": al Palazzo reale di Milano, Modigliani e gli artisti scoperti da Jonas Netter nel primo Novecento.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto: attesa per la scadenza dell'ultimatum dei militari a Morsi

    ◊   L’Egitto di fronte ad una svolta. Le forze armate diffonderanno oggi un comunicato, allo scadere dell'ultimatum lanciato al presidente Morsi. Solo ieri il capo dello Stato in tv aveva ribadito la sua volontà di non cedere ma alcune voci dicono che oggi sarebbe pronto a lasciare. I militari avrebbero anche pensato ad una sorta di “road map” con una transizione di alcuni mesi per riscrivere la Costituzione sotto la guida di un governo di tecnici, presieduto da un generale. Intanto, i carri armati hanno circondato al sede della Tv di Stato. Ma quali sono le mosse che effettivamente potrebbe fare Morsi? Benedetta Capelli lo ha chiesto al prof. Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi islamici dell’università della Calabria:

    R. – Solo Morsi può valutare esattamente quale sia l’appoggio politico del quale dispone. Le dimissioni di parecchi suoi ministri, il fatto che il premier abbia rimesso il mandato nelle sue mani, la forza dei militari che, nonostante Morsi li abbia contrastati da quando è diventato presidente, rimane fortissima in Egitto, fanno sì che la sua situazione al momento sembri particolarmente fragile. Tutto lascerebbe supporre che possa optare per le dimissioni però non potrei escludere anche qualche soluzione differente: cioè, che alla fine si arrivi a una sorta di compromesso, che la volontà di pacificare la situazione possa far ragionare un po’ più tutti e si arrivi a una soluzione intermedia, magari con qualche rimpasto, con qualche promessa. La “road map” della quale i militari si farebbero garanti per uscire dalla crisi e per soddisfare le esigenze popolari non mi sembra molto definita, a dire il vero sembra più un ultimatum basato su un pretesto che non su un progetto già pronto che potrebbe portare all’uscita della crisi.

    D. – Quindi lei non esclude nemmeno che ci possa essere una trattativa Fratellanza musulmana e militari?

    R. – Ci potrebbe essere. La Fratellanza musulmana è una galassia molto ampia. Non è un movimento estremamente compatto, quindi al suo interno ci sono varie correnti. Ci potrebbe essere questa possibile soluzione. D’altronde la crisi completa, le dimissioni di Morsi, di tutto il governo, sostanzialmente, secondo me porterebbero a qualcosa di ancora più problematico. In questo momento sono in piazza gli oppositori della Fratellanza musulmana però la Fratellanza musulmana gode anche di molti sostenitori. Una così brutale fine di un governo in seguito a un dictat militare potrebbe portare in piazza gli altri, cioè i sostenitori dei Fratelli musulmani, e creare le premesse per uno scontro civile piuttosto forte in Egitto. Questa è una valutazione che bisognerebbe fare.

    D. - Morsi ha ammesso degli errori, ma come mai non è riuscito a interpretare quello spirito di piazza, lo spirito della primavera araba?

    D. - Era chiaro che la protesta di piazza era nata completamente al di fuori da quelli che sono i paradigmi e i punti di riferimento della Fratellanza musulmana. Era stata una rivolta di tipo assolutamente civile che invocava dignità, libertà, democrazia, nel prosieguo della quale, dopo il successo che la rivoluzione aveva ottenuto e l’abbattimento del regime, si era avvantaggiata una compagine come quella dei Fratelli musulmani, che in realtà era stata spettatrice, non attrice. Secondo me era prevedibilissimo proprio perché un movimento così ampio dal punto di vista popolare, quale era stato quello della rivoluzione recente, non avrebbe ceduto così facilmente alla ripresentazione di vecchie logiche di potere. Prima o poi sarebbe potuto succedere. Secondo me quello che sta succedendo oggi era prevedibile. Ciò che non è prevedibile in questo momento è il seguito degli avvenimenti odierni e cioè quanto e come le forze che sono vicine alla Fratellanza musulmana possano poi reagire a una interruzione così brusca dell’esperienza di governo dei Fratelli musulmani.

    D. – Quanta influenza può avere secondo lei quanto sta succedendo in Egitto proprio in alcuni scenari, in alcuni Paesi come Tunisia e Marocco che sono guidati da partiti filo-islamici?

    R. – Certo, sappiamo che l’emulazione è un fatto possibile. C’è da dire che le cosiddette primavere arabe pur essendo scoppiate un po’ a catena, l’una dietro l’altra, in effetti, hanno avuto specificità ed esiti molto diversi a seconda del contesto regionale nel quale si trovavano. Direi che ancora prevale il contesto locale.

    D. – Però quello che sembra è che la Fratellanza musulmana sia arrivata impreparata politicamente al governo…

    R. – Dopo le rivoluzioni ha sostanzialmente approfittato del fatto di avere una rete, una presenza sul territorio, cosa che i rivoluzionari non avevano…Quando i nodi arrivano però al pettine e si vede che una politica comincia a dare fastidio, quella che era stata la spinta forte della rivoluzione viene disattesa da una politica che sul fronte delle richieste principali - libertà, democrazia - non ha dato risposte immediate che il popolo richiedeva, ecco che si può non più votare la Fratellanza musulmana! Il consenso che era stato ricevuto in sede elettorale viene quindi vagliato più criticamente e può cadere anche da un momento all’altro. Il mondo islamico ci ha abituato molto spesso a questi repentini cambi di consenso popolare.

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    Portogallo, la crisi economica si fa crisi di governo. Becchetti: l'Ue fermi le politiche di austerità

    ◊   Governo sempre più in bilico in Portogallo, dopo le dimissioni del ministro delle Finanze, Vitor Gaspar, e quelle - respinte - del ministro degli Esteri, Paulo Portas. Secondo la stampa, altri ministri sarebbero pronti a lasciare l’esecutivo. Intanto il presidente della Commissione Ue, Barroso, esprime preoccupazione e auspica che si eviti il rischio che la credibilità finanziaria del Paese, “appena ricostituita”, sia “messa in pericolo”. Della situazione dei conti in Portogallo e delle politiche europee Fausta Speranza ha parlato con Leonardo Becchetti, docente di economia politica all’Università Tor Vergata di Roma:

    R. – E’ un Paese che è in recessione ormai da tre anni e che per avere il prestito da parte delle istituzioni internazionali di 78 miliardi, che serviva per far ripartire l’economia, ha sottoscritto un piano di aggiustamento molto severo, che prevedeva il taglio dei salari dei dipendenti pubblici e dei pensionati. Il piano era talmente severo che il governo ha sottoposto la validità di questo piano alla Corte Costituzionale: la Corte Costituzionale lo ha bocciato!

    D. – Qual è il peso del Portogallo nell’Unione Europea? Abbiamo parlato tanto di Spagna, di Grecia…

    R. – Il problema non è a dimensione del Paese. Il problema è che l’applicazione di politiche sbagliate da parte dell’Unione Europea rischia di far diventare piccoli problemi dei problemi giganteschi, in Portogallo o altrove. Peccano di austerità: si pensa che il riequilibrio dei bilanci possa avvenire attraverso tagli alla spesa pubblica e riduzione dei salari per diventare più competitivi. Ma questo deprime la domanda interna sia dal lato pubblico che dal lato privato, riduce il Pil e quindi il rapporto debito-Pil finisce per peggiorare, invece che migliorare.

    D. – La Grecia era arrivata a quel momento così difficile anche per conti falsati. Il Portogallo com’è arrivato a questo momento di recessione? Soltanto per la congiuntura negativa?

    R. – La situazione del Portogallo è diversa da quella della Grecia. Non c’erano questi problemi così grossi. Secondo me l’errore è non fare politiche come quelle americane. Per rispondere alla situazione di oggi, la strada non è quella di abbassare sempre di più i salari e tagliare la spesa: la strada è quella di lavorare per far crescere i salari nei Paesi poveri ed emergenti, evitando il ricatto di questa riduzione del costo del lavoro a livelli bassissimi - penso alla situazione del Rana Plaza in Bangladesh – e, allo stesso tempo, puntare su politiche monetarie che siano più espansive. Se noi andiamo a guardare gli Stati Uniti, gli Stati Uniti hanno ridotto di tre punti il loro tasso di disoccupazione in questi anni con una politica monetaria espansiva, che ha fatto ripartire la domanda interna del Paese.

    D. – Però resta il problema di un debito pubblico per gli Stati Uniti e per l’Europa che cresce indiscriminatamente, anche nei confronti della Cina…

    R. – Il problema è che se riparte l’economia reale, anche gli indicatori di bilancio migliorano. Gli Stati Uniti avevano un rapporto deficit-Pil molto alto: si sono preoccupati di far ripartire l’economia e oggi quel rapporto deficit-Pil si sta riducendo significativamente. Quindi il problema è trovare un equilibrio tra gli eccessi delle politiche giapponesi, che addirittura hanno raddoppiato l’offerta di moneta e quindi fondamentalmente non si curano del fatto che il loro debito sia il 230 per cento del Pil, all’eccesso dell’Europa che, invece, sta esagerando dal lato del rigore e dal lato dell’austerità.

    D. – L’instabilità politica di questo momento, non aiuta certo il Portogallo…

    R. – Questo senz’altro. Però l’instabilità politica deve essere messa in conto, perché quando si insiste in maniera esasperata con l’austerità, è evidente che non si può pensare che la tenuta sociale del Paese sia eterna. Fa parte dei conti che vanno comunque fatti!

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    Mons. Bregantini al Festival di Spoleto: "Dove c'è il perdono c'è un Paese che cresce"

    ◊   Perdonare le offese: un cammino lungo, eroico, ma fecondo. Questo il filo conduttore che mons. Giancarlo Maria Bregantini, vescovo di Campobasso-Boiano, svolgerà dinanzi al pubblico del Festival dei Due mondi in corso a Spoleto. L’appuntamento è per domenica prossima 7 luglio nella Chiesa di San Domenico nell’ambito del ciclo “Le Prediche” dedicato quest’anno alle Opere di Misericordia Spirituale, che coinvolgono tanti aspetti della vita sociale politica e culturale dell’uomo contemporaneo. Sul perdono, sentiamo - al microfono di Gabriella Ceraso - lo stesso mons Bregantini:

    R. – E’ certamente il vertice del Vangelo. Perdonare è l’ultima parola di Gesù sulla Croce: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. La grandezza di un cristiano è tutta lì, come la non capacità di perdonare o la non volontà produce poi distruzioni, violenze, guerre…

    D. – Lei ha avuto testimonianza di perdono fattibile e semmai anche di perdono che porta al pentimento?

    R. – Il pentimento è un’altra cosa ancora: sono le due facce della medaglia. Classico è l’omicida di don Pino Puglisi: “Quel sorriso lo ha convertito”. Però il perdono vale anche quando l’altro non si converte, perché altrimenti è relazionato in negativo.

    D. - Mons. Bregantini, lei pensa che questo tipo di opera, di cui lei parlerà al pubblico di Spoleto, si può - e quindi anche il perdono – estendere anche al piano socio-politico? Diventare un po’ un principio guida a livello delle istituzioni?

    R. – Certo. Basterebbe la stima, l’ascolto dell’altro, momenti ufficiali di incontro tra partiti diversi e operare insieme su piani comuni. Perdonare le offese può voler dire, in positivo, costruire un mondo di relazioni pulite, solide e intrecciate, dove il bene vince il male e dove la forza del bene costruisce il bene anche per l’altro.

    D. – Perdono è, dunque, una reazione: non è dimenticanza di quanto è accaduto…

    R. – No, non lo è. Le ferite bisogna guarirle, non nasconderle! L’unico modo, come ci dice la spiritualità, è trasformare le ferite di sangue in feritoie di luce e di grazia. Dimenticare è una delle fasi. Bisogna fare di più: togliere, per esempio, i risentimenti; vincere la permalosità… Il perdono delle offese comporta anche la pacificazione interiore, che diventa poi saggezza, paternità nel confessionale, ma anche nelle scuole, guida sicura con i figliuoli. In questo senso la “Pacem in terris” ci insegna tantissimo: odiare il peccato, ma non il peccatore!

    D. – Le chiedo di attingere ancora al suo patrimonio di esperienze vissute, soprattutto quando è stato vescovo in Calabria. Quale l’esperienza che più l’ha colpita come cuore cambiato, capace di perdonare e che ha anche generato grazia intorno a sé?

    R. – Quella di una mamma, di un paese vicino a Bovalino, a cui hanno ucciso il marito. Lei gli è corsa dietro e hanno sparato anche lei e per miracolo, con un’operazione ardita, le hanno recuperato le gambe. Anche se zoppicante, la vedevamo poi venire alle riunioni, parlare in cattedrale, essere ministra di riconciliazione e di consolazione. Ha creato nel paese uno spazio e i suoi figli oggi sono tra i migliori, perché educati al perdono e anche la comunità religiosa che viveva con lei, che l’ha sostenuta e insieme ne ha avuto beneficio, è diventata - essa stessa - capace di apprendere. Dove c’è il perdono, c’è un condominio diverso, c’è un paese che cresce; dove c’è la vendetta, c'è la morte, la faida… Io ho visto delle faide terrificanti! I funerali più agghiaccianti sono i funerali dove io ho seppellito qualcuno, sapendo che tra la gente c’era già il desiderio di vendetta, che avrebbe ucciso altra gente.

    D. – Qual è il messaggio che vorrebbe arrivasse a chi l’ascolta, perché a Spoleto ci sarà un pubblico eterogeneo per culture, per provenienze, per interessi?

    R. – Che perdonare è difficilissimo e quindi ci vuole tempo; che è eroico e quindi ci vogliono delle tappe accompagnate; ma che perdonare è il culmine della pienezza della dignità umana. Quando uno dà la mano al nemico, non è vile, ma è lui che vince, è lui che cambia il cuore dell’altro, è lui che trasforma un ambiente. Questo è il messaggio che io vorrei arrivasse.

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    Presentata a Roma la 34.ma edizione del Meeting di Rimini sul tema "Emergenza uomo"

    ◊   Con 100 convegni, 12 esposizioni, 18 spettacoli e 10 manifestazioni sportive, si preannuncia ricchissima la 34.ma edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli, che si svolgerà a Rimini dal 18 al 24 agosto e che è stata presentata ieri a Roma. Dall’Europa unita alla libertà religiosa, dall’economia, al lavoro, fino al teatro, saranno moltissimi i temi trattati, mentre il titolo scelto per quest’anno è “Emergenza uomo”. Al microfono di Roberta Barbi il portavoce del Meeting, Stefano Pichi Sermolli, ne spiega il significato:

    R. – “Emergenza uomo” vuole affrontare la cosa più bella, e al tempo stesso più drammatica, che è l’uomo e più precisamente, appunto, l’emergenza dell’uomo: l’uomo nel suo bisogno di esistere, come realtà unica e irripetibile, ma anche l’uomo nell’irriducibilità del suo desiderio; l’uomo che sente che ciò da cui è definito, è caratterizzato è, appunto, la libertà. Possiamo dire che oggi l’uomo vive sicuramente una condizione di emergenza, non soltanto quando i sistemi politici autoritari ne minacciano le condizioni elementari di libertà e di sopravvivenza, ma anche in sistemi dove la libertà democratica esiste ed è garantita, quel desiderio del cuore, invece, corre il rischio di essere anestetizzato e censurato.

    D. – “Emergenza uomo” riecheggia una preoccupazione di don Giussani, quando affermava che "a essere in emergenza è l’umano", ma il tema sarà articolato anche in positivo, inteso come la possibilità dell’umano di emergere, nonostante l’epoca di crisi...

    R. – Esatto... ed è proprio questo che il Meeting vuole mettere in evidenza: l’esperienza di alcuni testimoni che vivono nella pura emergenza – e avremo testimoni che parleranno di situazioni veramente difficili, veramente drammatiche – ed esperienze in cui l’emergere dell’uomo, pure nella più difficile e drammatica situazione, viene fuori. La possibilità, quindi, di un io che emerge anche dentro le difficoltà.

    D. – L’edizione dell’anno scorso ha confermato il successo delle precedenti. Cosa vi aspettate per quest’anno?

    D. – Ci aspettiamo che il Meeting possa essere un’esperienza d’incontro. Non abbiamo la preoccupazione del successo o del non successo, ma abbiamo la preoccupazione che il Meeting possa essere, com’è sempre stato finora, un momento d’incontro, di esperienza e di testimonianza.

    D. – In calendario, come sempre, moltissimi eventi e tante le presenze del mondo politico, a partire dal presidente del Consiglio, Enrico Letta, che inaugurerà il Meeting. Qual è il contributo che la politica può dare a questa riflessione?

    R. – Noi vogliamo sfidare la politica e chiunque venga al Meeting sull’emergenza e su quelle che possono essere le risposte che il mondo politico può dare a questo momento di emergenza. La politica, quindi, fa parte della realtà e alla politica possiamo chiedere e possiamo mettere a tema con i politici che vengono al Meeting, quelle che sono le preoccupazioni del momento, dialogare con loro di questa emergenza e chiedere loro quale sostegno la politica deve dare alla realtà, e quindi all’uomo, perché si possa uscire da questa emergenza.

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    Italia, primo grande Paese europeo a ratificare la Convenzione sul femminicidio

    ◊   In Italia, nei giorni scorsi è stato presentato al Senato il Ddl bipartisan che istituisce una commissione bicamerale d'inchiesta per indagare e intervenire sul fenomeno del femminicidio. Si tratta di un’ennesima iniziativa dopo l’importante ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa contro qualsiasi forma di violenza alle donne. L’Italia è stata il quinto Paese a ratificarla, dopo Albania, Turchia, Montenegro, Portogallo, e dunque il primo tra i grandi Paesi europei. La Convenzione rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne. Fausta Speranza ne ha parlato con il vice segretario generale del Consiglio d'Europa, Gabriella Battaini Dragoni:

    R. - Questa convenzione sviluppa un approccio globale nella lotta contro la violenza nei confronti delle donne e contro la violenza domestica. È quindi una convenzione che prevede sia misure preventive - che sono fondamentali - che di protezione della donna - pure indispensabili - e poi, soprattutto, sottolineerei le misure di repressione nei confronti di coloro che hanno svolto azioni violente. Proprio questo approccio globale fa si che questa convenzione sia considerata alle Nazioni Unite come la Convenzione gold standard, nel senso che è la convenzione che, a livello mondiale, tratta nel modo più completo possibile il problema della lotta contro la violenza nei confronti delle donne.

    D. – Nella recente escalation drammatica con episodi veramente raccapriccianti - come ad esempio il giovane che riesce a dar fuoco alla ex fidanzata ancora viva - ci sono stati degli elementi veramente drammatici. Ce ne sono poi altri che ci interrogano con altrettanta forza, come ad esempio, la ragazza che ritira la denuncia al fidanzato che l’ha picchiata fino a spappolarle la milza, continuando a ribadire che vuole ritornare da lui….

    R. - Penso che il ruolo della famiglia come quello della scuola siano importanti …

    D. - È anche una questione culturale: conservare il valore della dignità di sé stessi …

    R. - Certo. È un fatto culturale. Il fatto che la ragazza, innanzi tutto, non si rende conto di come abbia il diritto di essere protetta e di proteggersi è grave… Si tratta di valori … Ecco perché menzionavo la famiglia, la scuola; si reagisce in base ai valori che si sono potuti condividere nella crescita. Se la ragazza ha capito alcune cose fondamentali - pur avendo questo innamoramento - può prendere le distanze necessarie. Inoltre, la convenzione sottolinea con fermezza la necessità di punire e di non arrivare a misure di accomodamento o di accordo. È assolutamente necessario che ci sia giustizia, e giustizia non è accomodamento. Ad esempio, noi ci siamo opposti - come Consiglio d’Europa - a un progetto di legge che si stava elaborando nella primavera scorsa in un Paese come la Romania, in cui si prevedevano forme di compensazione, di accordo, tra la vittima e colui che aveva picchiato o violentato la donna in questione. Ci siamo opposti proprio perché non si può prima abusare di una persona e poi pensare con un accordo finanziario - solo perché si hanno dei soldi e ci si può permettere di pagare - di non scontare nessuna pena.

    D. - Però, anche attraverso i media passano dei modelli di donna-oggetto che hanno svilito l’immagine femminile. Paradossalmente siamo passati dal femminismo a modelli di questo tipo …

    R. - Assolutamente! Infatti, una delle preoccupazioni fondamentali che abbiamo ora - e che sarà anche l’oggetto di discussione di una prossima riunione a livello dei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa - riguarda il ruolo dell’immagine femminile nei media. A questa conferenza - a cui parteciperanno diversi ministri delle pari opportunità dell’insieme dei 47 Paesi del Consiglio d’Europa - è stata invitata Laura Boldrini, presidente della Camera italiana, ad essere una delle conferenziere di apertura. Un appuntamento per noi importante è il 4 e 5 luglio ad Amsterdam, sotto invito del Ministro delle pari opportunità olandese, per discutere, per fare un po’ un’analisi della situazione attuale sull’influenza che i media hanno nell’immagine della donna e quanto questo può essere effettivamente dannoso: la donna spesso associata alla pubblicità, la donna-oggetto, che quindi può essere trattata come tale, e di conseguenza può essere valorizzata, messa da parte o addirittura buttata via. Per cui poi si può arrivare a buttare via e a spezzare la vita di una donna.

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    Conferenza Rio+20: il ruolo dell'Italia nello sviluppo sostenibile

    ◊   Green economy, lotta alla povertà e nuova governance sono i pilastri del processo di sviluppo e sostenibilità del pianeta che da Rio+20 i governi mondiali stanno perseguendo. In un tavolo di lavoro svoltosi ieri alla Farnesina tra governo e organizzazioni non governative si è fatto il punto sull’importante ruolo dell’Italia e dell’Europa. Federica Baioni ha intervistato Elisa Baciotti responsabile delle campagne di Oxfam Italia, tra i promotori dell’evento:

    R. – Oggi abbiamo voluto mettere intorno ad un tavolo imprese, istituzioni, soggetti della società civile, mondo della ricerca per discutere insieme di come l’Italia, dopo la Conferenza di Rio+20 che si è tenuta lo scorso anno e anche nel quadro del proprio ruolo in Europa, può fare di più per promuovere lo sviluppo sostenibile sia nel mondo sia nel nostro territorio. Una sfida importante, cruciale, perché crediamo che oggi e nel futuro non sia più possibile continuare a produrre, a consumare e a vivere come semprenon sia più possibile. Non solo perché c’è la crisi economica ma perché ci sono crisi ambientali, crisi di sviluppo, che vanno risolte e possiamo risolverle: abbiamo gli strumenti, abbiamo le soluzioni e quello che serve è la volontà di metterle in atto.

    D. – Attori importanti ogg sono le intorno a un tavolo, le istituzioni ma anche organizzaziCosa vi aspettate: uni non governative. Un to: cosa vi aspettate?

    R. – Da questo incontro ci aspettiamo che possa venir fuoriche possa un’agorientare ne anche che orienti il comportamento dell’Italia in vista di appuntamenti internazionali, pensiamo al semestre di presidenza europea o anche all’appuntamento sulla sicurezza alimentare che sarà Expo a Milano nel 2015.

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    Colombe d'Oro per la Pace a quattro donne

    ◊   Si è svolta ieri sera al Maxxi di Roma la cerimonia di assegnazione delle Colombe d’Oro per la pace 2013. L’importante riconoscimento, quest’anno, in ricordo di Rita Levi di Montalcini che ha presieduto per molti anni la giuria del premio. Tra le premiate di questa edizione, Asha Omar Ahmed, ginecologa somala laureata in Italia e ora rientrata in Somalia e Lorella Zanardo, scrittrice e blogger impegnata sul fronte dell’affermazione della dignità della donna. Le ascoltiamo nel servizio di Federica Baioni:

    Kawonga, Caridi, Ahmed e Zanardo. Sono tutte donne le Colombe d'oro per la Pace dell'archivio disarmo 2013. Dal 1984 il Premio viene tradizionalmente assegnato a personalità internazionali che si siano contraddistinte per opere a favore della pace, nonché a giornalisti studiosi o reporter capaci di raccontare di diritti calpestati. La prima Colomba ha premiato il coraggio della dottoressa Asha Omar Ahmed:

    “Sono tornata in Somalia per un semplice motivo: servire le donne somale. Sono ginecologa e in Somalia c’è molta richiesta di questa figura perché - prima di tutto - la vita media è di 45 anni. Qui, puoi trovare una ragazza di 15 o 16 anni già mamma. Poi c’è questa pratica - molto diffusa - dell’infibulazione dei genitali femminili che riguarda circa il 97-98 percento delle donne … Questo è uno dei motivi per i quali sono rientrata”.

    Tra i riconoscimenti per il giornalismo la blogger e docente Lorella Zanardo, autrice del documentario "Il corpo delle donne", un lavoro critico sull’immagine femminile nella comunicazione di massa:

    “Sono orgogliosa, contenta di condividere il premio con delle donne così eroiche, così coraggiose. Nello stesso tempo, ricordo - ad esempio - che da bambina dicevo sempre che avrei voluto fare la missionaria e andare all’estero. Dico sempre ai ragazzi e alle ragazze che questo è importantissimo; spesso, però, il bisogno è intorno a noi”.

    Le altre Colombe d'Oro sono andate a Pacem Kawonga, attivista di Dream, il progetto realizzato dalla Comunità di Sant'Egidio per la cura dei malati di Aids, e a Paola Caridi, fondatrice dell'associazione di giornalisti indipendenti "Lettera 22".

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    Anziani soli: piaga sociale anche in Italia, alleviata da decine di migliaia di volontari

    ◊   “Anziani mai soli: abbiamo bisogno di volontari”. A lanciare l’appello è l’Auser, associazione attiva in Italia con una rete capillare sul territorio in aiuto soprattutto della terza età. Roberta Gisotti ha intervistato il presidente nazionale dell’Associazione, Enzo Costa.

    In tempi di crisi si parla sempre di giovani disoccupati, di imprese che chiudono, di licenziamenti, di famiglie in sofferenza. Si parla forse poco degli anziani: in Italia sono quasi 13 milioni, quelli oltre i 65 anni, il 14% della popolazione. Enzo Costa:

    R. - Dalle chiamate che stiamo ricevendo, ci siamo resi conto che il disagio sociale sta crescendo pesantemente; un disagio che anno dopo anno continua ad aumentare. La nostra rete rimane attiva, ma l’anziano che viene lasciato solo, sta diventando un fenomeno generalizzato, soprattutto d’estate. D’estate finisce per venire meno anche quel minimo di solidarietà familiare che dovrebbe sempre accompagnare l’anziano, e sappiamo benissimo che non sempre è così. A noi servono volontari, perché attraverso il numero verde non solo teniamo compagnia telefonicamente a questi anziani, ma anche fisicamente a chi lo richiede, e li aiutiamo nei piccoli lavori a domicilio, nella consegna della spesa, dei pasti, delle medicine … Diventiamo un punto di riferimento, che per una persona anziana - normalmente fragile - può essere davvero una cosa molto importante.

    D. - Lei ha detto: “L’anziano viene sempre più spesso lasciato solo”. Ha colpito tutto il mondo, la legge varata in Cina che obbliga i figli ad accudire i genitori anziani. Ma siamo anche noi su quella strada?

    R. - Noi siamo molto lontano da quella strada. Se andiamo a guardare il nostro Codice civile, vediamo che questo impone ai figli di farsi carico dei genitori anziani, ma è un’imposizione che non viene minimamente praticata. Abbiamo 48 mila volontari distribuiti in tutto il territorio nazionale, che si occupano principalmente di anziani. Riceviamo, attraverso il nostro numero verde, 2 milioni 360 mila chiamate l’anno. Questo per darle un termine di paragone del fenomeno. Quelle chiamate corrispondono poi - quasi sempre - ad un intervento di prossimità che noi facciamo. Ci occupiamo di accompagnare l’anziano ad una visita specialistica, facciamo del trasporto sociale. Con la centralizzazione degli ospedali e la chiusura delle strutture sanitarie più piccole, ci troviamo spesso ad avere un ospedale ogni 10 o 20 comuni; ciò significa allontanare la struttura sanitaria dalla residenza di un anziano. Per una persona attiva può non essere un problema, ma per un anziano diventa un problema, a volte logistico, altre economico, in quanto spostarsi è un costo. Lei sa meglio di me che la stragrande maggioranza delle pensioni sono al di sotto della soglia di povertà. Una parte consistente dei nuovi poveri sono i nostri anziani, perché siamo una società che dimentica quello che le persone fanno per una vita per costruire progresso sociale, ricchezza generalizzata, o anche maldistribuita come in questo tempo. Purtroppo, ce ne dimentichiamo! Ieri abbiamo chiuso, insieme alle altre associazioni che si occupano di anziani, un progetto per una legge che parli di invecchiamento attivo. In ogni fase della vita si può dare qualcosa a sé stessi, al prossimo, in base alle conoscenze che una persona ha acquisito per tutta la vita. Certo, un anziano la dà con più lentezza, ma noi non possiamo essere una società che corre dove, chi è capace di correre è dentro, e chi non lo è viene emarginato e letteralmente ghettizzato.

    D. - Questo vostro appello va in questo senso, insomma, di non dimenticarli?

    R. - Chi ha bisogno di un aiuto, chi vuol ritrovare il piacere della solidarietà - perché la solidarietà è un valore e anche un piacere quando la si incontra - può chiamarci. Il numero verde è 800995988. É attivo tutti i giorni dalle 8 del mattino alle 20 della sera.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Papa a Lampedusa. Il card. Bagnasco e la Caritas: "Segnale di speranza"

    ◊   La visita che il Papa farà all’isola di Lampedusa “è un segnale importante di speranza e di particolare attenzione della Chiesa e del Santo Padre verso un problema che sono queste persone alla ricerca di una vita migliore e spesso in fuga da situazioni di povertà estrema, di miseria o di mancanza di libertà”. Così il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, a margine della visita che ha compiuto al terminal Sech del porto di Genova. “La presenza del Santo Padre a Lampedusa - ha detto l’arcivescovo - sarà sicuramente un segnale di speranza per queste persone e di richiamo all’intera società, all’intero Paese perché diventiamo sempre più una società che sa accogliere nel rispetto, nell’equità e nella giustizia”. Dal canto loro - riferisce l'agenzia Sir - il presidente e il direttore di Caritas Italiana, mons. Giuseppe Merisi e don Francesco Soddu affermano che “la decisione di recarsi a Lampedusa conferma dunque ancora una volta l’attenzione del Santo Padre al fenomeno immigratorio. Un richiamo ai grandi temi della giustizia e della pace, che si impastano nel quotidiano con la responsabilità personale e l’impegno di ognuno". Dall’avvio della cosiddetta “emergenza Nord Africa” Caritas italiana si è mobilitata e le Caritas diocesane si sono fatte carico dell’accoglienza di circa 3.000 persone. Un impegno diversificato: dal lavoro in banchina a Lampedusa e sui binari di Ventimiglia, fino all’accoglienza diffusa su tutto il territorio nazionale, interloquendo con le istituzioni locali e nazionali. L’emergenza è stata dichiarata formalmente conclusa, ma l’impegno delle Caritas sul territorio continua, mentre le ripetute crisi internazionali, dalla Siria all’Egitto, rischiano di richiedere nuovi sforzi sul fronte della tutela e dell’accoglienza. “In questo quadro poco confortante e drammatico - sottolinea don Francesco Soddu - la visita di Papa Francesco a Lampedusa è un segnale di forte speranza che incoraggia la Caritas e l’intera Chiesa nel costante impegno a favore degli ultimi e ci spinge ad andare verso le periferie dell’esistenza”. Per don Tonio Dell'Olio di Pax Christi la visita del Papa a Lampedusa “sarà tutt‘altro che una solenne cerimonia paludata. Questa volta non ci sono nuovi beati da annunciare o eventi storici da ricordare. C‘è carne e sangue, volti e storie. Un dramma che altri tentano di rimuovere e che Francesco vuole mettere al centro di tutti, credenti e laici, soprattutto della politica”. Mentre secondo Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, “la visita è un chiaro segnale che Papa Francesco vuole davvero una Chiesa povera per i poveri”. (R.P.)

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    Indonesia. Terremoto ad Aceh di magnitudo 6,1: almeno 22 morti e oltre 200 feriti

    ◊   È salito a 22 morti il bilancio ufficiale delle vittime del terremoto di magnitudo 6,1 che ha colpito ieri la provincia indonesiana di Aceh, sulla punta occidentale dell'isola di Sumatra, e che ha causato gravi danni agli edifici e smottamenti del terreno. I feriti - riporta l'agenzia AsiaNews - sarebbero più di 200, alcuni dei quali versano in gravi condizioni; le operazioni di recupero delle squadre della Protezione civile sono tuttora in corso, anche se le speranze di trovare altre persone in vita fra le macerie si attenuano col trascorrere delle ore. L'epicentro del sisma è stato la zona montagnosa interna della provincia di Aceh, ad una profondità di 10 km nel sottosuolo. Le scosse sono durate almeno 15 secondi, sono state avvertite dal capoluogo Banda Aceh fino a Bener Mariah e hanno seminato il panico in un'area già martoriata dal devastante tsunami del dicembre 2004. Nella reggenza almeno 300 persone hanno dormito all'aperto, a causa delle numerose scosse di assestamento - alcune delle quali di forte intensità - che hanno seguito il terremoto principale. Secondo alcuni testimoni il crollo di una moschea a Central Aceh avrebbe ucciso almeno sei bambini, mentre altri 14 sono ancora intrappolati fra i resti della struttura rasa al suolo. Migliaia le abitazioni private e gli edifici pubblici colpiti dalla scossa, in una delle aree al mondo più soggette a fenomeni sismici di elevata natura e portata. Le autorità hanno disposto l'invio di soldati e mezzi dell'esercito per contribuire alle operazioni di emergenza. Tuttavia, in alcune aree l'accesso è pressoché impossibile a causa di smottamenti e slavine che hanno interrotto le vie di comunicazione. Difficoltà vi sono pure nelle comunicazioni e nella fornitura di energia elettrica; in diverse località il servizio è sospeso e non è dato sapere quando verrà ripristinato. L'arcipelago indonesiano è formato da migliaia di isole e atolli immersi nell'Oceano Pacifico, in un'area detta dagli scienziati come "Anello di fuoco". Essa è caratterizzata da un'intensa attività tellurica e vulcanica, causata dalla collisione delle diverse placche continentali. Nella memoria della gente è ancora vivo il ricordo del devastante terremoto e del successivo tsunami che hanno colpito la regione nel dicembre 2004, con epicentro al largo dell'isola di Aceh, causando centinaia di migliaia di vittime in tutta l'Asia. Il 30 ottobre 2009, un altro forte sisma aveva interessato l'area di Padang provocando circa 700 morti. Oltre 180 abitazioni erano state rase al suolo. (R.P.)

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    Gmg 2013: il 6 luglio la Croce della Gmg e l'icona di Maria arrivano a Rio

    ◊   Arriveranno a Rio de Janeiro sabato 6 luglio, provenienti dalla diocesi di Itaguai, la Croce e l’icona della Madonna, i simboli della Giornata Mondiale della Gioventù che prenderà il via nella città carioca il 23 luglio (fino al 28). L’arrivo - riferisce l'agenzia Sir - è previsto nella chiesa di san Giuseppe nel quartiere di Santa Cruz. Qui sarà celebrata una Messa presieduta dall’arcivescovo di Rio e presidente del Comitato organizzatore locale (Col) mons. Orani Tempesta. Seguirà una processione fino alla cattedrale di São Sebastião, in centro città. L’evento sarà anche l’occasione per convocare tutte quelle famiglie che hanno dato la loro disponibilità ad accogliere ed ospitare i giovani pellegrini in arrivo a Rio. Per tutti è prevista anche una grande festa, fatta di musica, animazione e spettacoli tenuti da grandi artisti cattolici della musica brasiliana e latino americana. Salutando l’arrivo a Rio dei simboli della Gmg, l’arcivescovo Orani Tempesta ha ricordato che questi “hanno fatto il giro del mondo e dal settembre 2011 stanno attraversando il Brasile facendo visita non solo alle diocesi ma anche alle scuole, carceri, piazze e comunità indigene. In questo modo il messaggio di Cristo sta arrivando a tutti gli uomini e le donne del Brasile”. (R.P.)

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    Kek: da oggi a Budapest l'Assemblea generale su "La missione in un'Europa che cambia"

    ◊   Sono giunti a Budapest i 230 delegati che partecipano all’assemblea della Conferenza delle chiese europee (Kek) che si apre oggi con una celebrazione preparata dalle Chiese ungheresi e con il discorso di apertura del presidente della Kek, il metropolita Emmanuel Adamakis. Interverranno - riferisce l'agenzia Sir - anche l’arcivescovo cattolico di Budapest e presidente della Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, cardinale Péter Erdő, e il segretario del Consiglio Mondiale delle Chiese, rev. Olav Tveit. “Non è nostro compito risolvere i problemi dell’Europa”, ha detto il metropolita Adamakis in conferenza stampa: “Ma se cambiamo noi stessi, possiamo cambiare il contesto in cui siamo”. “E ora, cosa aspetti? La Kek e la sua missione in un’Europa che cambia”, è il titolo dei lavori assembleari, che dureranno fino a lunedì 8 luglio, e che dovrebbero portare la Kek a definire una sua profonda ristrutturazione, “necessaria, perché sono cambiate le circostanze, sia nell’ambito della società che nella vita delle Chiese”, rispetto al 1959, quando è nata, ha spiegato il segretario generale Guy Liagre. Occorre “riformare un sistema complesso per trovare un modo più efficace per unire le Chiese e le persone attraverso l’Europa”, ha confermato il metropolita del patriarcato ecumenico. (R.P.)

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    Ciad: incriminato ex presidente Habré. E' in carcere a Dakar

    ◊   E’ stato formalmente incriminato per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e torture l’ex presidente ciadiano Hissène Habré, al potere tra il 1982 e il 1990: lo ha annunciato il procuratore generale del Tribunale speciale creato a Dakar, Mbacké Fall. Il giudice - riporta l'agenzia Misna - ha fatto riferimento a “indizi gravi e concordanti” nei confronti di Habré, esiliato in Senegal 23 anni fa, dopo essere stato rovesciato con un golpe da Idriss Deby Itno. Da ieri l’ex capo di Stato ciadiano sopranominato il “Pinochet africano” è in “detenzione preventiva” in un carcere di Dakar, come confermato da uno dei suoi legali, François Serres. Lo scorso fine settimana Habré è stato prelevato al suo domicilio nella capitale senegalese e posto sotto custodia cautelare. Negli ultimi giorni è stato interrogato dai magistrati del Tribunale speciale africano costituto sulla base di un accordo tra il Senegal e l’Unione Africana, dopo anni di dibattiti sulla competenza giuridica e sul costo di un eventuale processo. Secondo una commissione d’inchiesta istituita a N’Djamena, durante gli otto anni del regime di Habré, più di 40.000 persone hanno perso la vita, di cui solo 4.000 sono state identificate, uccise sommariamente o morte in detenzione. Dal 2005 era agli arresti domiciliari a Dakar, anche se l’avvio di un processo nei suoi confronti è stato chiesto per anni dalla Corte internazionale di giustizia e da numerose organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani. “E’ un giorno importante, è una vittoria per tutte le vittime dei tiranni africani. Habré vive in Senegal da più di 22 anni, ora è finalmente in prigione e dovrà rispondere dei suoi atti” ha dichiarato Assane Dioma Ndiaye, coordinatore del collettivo degli avvocati senegalesi delle vittime. L’arresto e la successiva incriminazione di Habré si sono verificati pochi giorni dopo la visita a Dakar del presidente americano Barack Obama, che ha sottolineato i progressi sul piano della democrazia e della giustizia ottenuti in Senegal dall’elezione lo scorso anno del capo di Stato Macky Sall. (R.P.)

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    Sud Sudan: è entrata nel vivo la Settimana per la pace

    ◊   “La guerra civile ha lasciato ferite profonde e per una riconciliazione vera ci vorranno anni”: lo dice all'agenzia Misna padre Fernando Colombo, amministratore apostolico della diocesi di Rumbek, a pochi giorni dalla Settimana di preghiera organizzata per promuovere la pace in Sud Sudan. L’iniziativa è parte di un programma di incontri e momenti di riflessione avviato lunedì da un comitato costituito dal governo, alla guida del quale figurano esponenti di spicco delle Chiese locali. Oggi il presidente e il vice-presidente dell’organismo, rispettivamente l’arcivescovo anglicano Daniel Deng e il vescovo emerito di Torit, mons. Paride Taban, hanno pregato insieme con il capo dello Stato Salva Kiir. Nei prossimi giorni, si terranno assemblee e dibattiti in tutte e dieci le regioni del Sud Sudan. “Sulla base dell’esperienza maturata in Sudafrica dopo la fine dell’apartheid - sottolinea padre Colombo – si cercherà di sanare le memorie del passato”. Il riferimento è alla Seconda guerra civile del Sudan (1983-2005), un conflitto che ha lasciato “ferite profonde” e rancori non sopiti. Secondo l’amministratore apostolico di Rumbek, è da questa esperienza dolorosa che bisognerà ripartire. “Per riappacificare e riunire – dice padre Colombo – è fondamentale che a tutte le vittime sia data la possibilità di esprimersi; e perché questo accada saranno necessari anni”. La giornata nazionale di preghiera sarà celebrata lunedì prossimo, alla vigilia del secondo anniversario dell’indipendenza del Sud Sudan da Khartoum. La fine dei conflitti interni, insieme con lo sviluppo economico e sociale, è la sfida principale che il nuovo Stato deve affrontare. In Sud Sudan vivono più di 60 gruppi etnici e più volte, anche dopo la proclamazione dell’indipendenza, i conflitti per le risorse naturali sono sfociati in contrapposizioni di carattere comunitario. Contrapposizioni, sottolinea padre Colombo, le cui radici affondano spesso nella guerra civile. (R.P.)

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    Sud Sudan: la radio cattolica di Rumbek autorizzata a riprendere le trasmissioni

    ◊   Sono riprese ieri, 2 luglio, le trasmissioni dell’emittente cattolica sud-sudanese Rumbek Catholic Radio Good News FM-89, dopo che il governo dello Stato dei Laghi aveva ordinato il 28 giugno la loro sospensione. Secondo quanto riporta il sito Internet del Catholic Radio Network (del quale l’emittente fa parte), l’amministratore diocesano di Rumbek, padre Fernando Colombo ha affermato che il Ministro di Stato dell’Informazione ha autorizzato la ripresa delle emissioni con una lettera inviata all’amministrazione della radio. Era stato lo stesso Ministro - riferisce l'agenzia Fides - a ordinare la sospensione delle trasmissioni per una presunta mancanza delle necessarie autorizzazioni. Il South Sudan Human Rights Society for Advocacy, citato dal Sudan Tribune, afferma che la sospensione dei programmi della radio cattolica è “un attacco al cuore della Costituzione del Sud Sudan”, che garantisce la libertà di espressione. Il gruppo di difesa dei diritti umani accusa il Ministro dell’Informazione dello Stato dei Laghi di aver abusato dei propri poteri e di aver infranto la legge. Padre Colombo ha qualificato come false e tendenziose le notizie riportate da alcuni media che la stazione sia stata chiusa perché diffondeva messaggi politici. Secondo Sudan Tribune, la radio è stata autorizzata a trasmettere di nuovo dopo che il direttore della programmazione, Peter Mapuor Makur Malith, è stato sospeso dal servizio, senza una motivazione apparente. (R.P.)

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    Centrafrica: Caritas partner in un progetto di microcrediti per le famiglie colpite dalla crisi

    ◊   Caritas Centrafrica è partner del Programma delle Nazione Unite per lo Sviluppo in un progetto di concessione di microcrediti a favore delle comunità colpite dalla crisi che vive la Repubblica Centrafricana. Il programma - riferisce l'agenzia Fides - offre piccoli prestiti alle donne e ai giovani nel IV e nel VII quartiere di Bangui, e alla famiglie degli sfollati ospitate nel I e nel II quartiere della capitale. Il progetto mira a favorire la ripresa di attività come piccoli commerci e artigianato, consentendo ai beneficiari di generare un reddito e di conseguire l’autonomia economica. La cerimonia di avvio del programma si è tenuta presso la parrocchia Notre Dame d’Afrique, alla presenza del rappresentante dell’Onu nel Paese, Sand James, e di don Jésus Martial Dembélé, presidente di Caritas centrafricana, che rappresentava l’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga. Don Dembélé ha sottolineato che “a seguito dei recenti avvenimenti, le piccole unità di produzione che assicuravano da vivere alle comunità di base sono state distrutte, costringendo la popolazione a vivere nella precarietà”. “La miseria nella quale queste persone sono sprofondate è giunta a un momento critico le cui conseguenze toccano donne e bambini. Il nostro progetto mira soprattutto a sostenere questi ultimi” ha concluso il sacerdote. Il Centrafrica vive nella precarietà dopo la cacciata a fine marzo del Presidente François Bozizé e l’arrivo nella capitale dei ribelli della coalizione Seleka, che stentano a riportare condizioni minime di sicurezza. (R.P.)

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    Indonesia: a Bekasi centinaia di estremisti islamici contro la costruzione di una chiesa cattolica

    ◊   Centinaia di estremisti islamici hanno promosso una due giorni di manifestazioni e proteste contro la costruzione della chiesa cattolica di Saint Stanislaus Kotska a Kranggan, sotto-distretto della reggenza di Bekasi, nella provincia di West Java. In una vicenda del tutto simile a quella dei fedeli della Yasmin Church - al centro di uno scontro durissimo con le autorità di Bogor - i cattolici di Kranggan rischiano di vedere vanificati i loro sforzi; l'iter per ottenere i permessi ha preso il via nel 2003 e tutti gli obblighi di legge, compreso il famigerato Imb, sono stati adempiuti. Tuttavia, secondo i dimostranti un edificio cristiano in un'area a maggioranza musulmana servirebbe solo ad "alimentare" lo scontro interreligioso e metterebbe in pericolo la coesistenza pacifica fra confessioni diverse. Durante le dimostrazioni di piazza di inizio settimana, gli estremisti si sono appellati alle autorità di Bekasi chiedendo loro di "congelare" l'Imb (Izin Mendirikan Bangunan). La procedura per la costruzione di una chiesa in Indonesia - nazione musulmana più popolosa al mondo, a larga maggioranza sunnita - è complicata e possono trascorrere da cinque a 10 anni per le autorizzazioni; la delibera è rilasciata dalle autorità locali. La vicenda si complica se si tratta di un luogo di culto cristiano: serve infatti il nulla osta di un certo numero di residenti dell'area e del gruppo per il dialogo interreligioso del posto. E spesso subentrano pressioni o minacce islamiste per bloccare i lavori. Fonti cattoliche interpellate dall'agenzia AsiaNews confermano che "tutte le procedure" per l'ottenimento dell'Imb "sono state espletate" e per questo "il 17 dicembre 2012 le autorità hanno concesso il nulla osta" alla costruzione. Agung Dewabrata, segretario del comitato organizzativo cattolico, sottolinea il "lavoro scrupoloso" fatto "dal 2003" e "senza aver mai fatto opera di proselitismo" tra i non cattolici. Tuttavia, negli ultimi 30 anni in Indonesia accuse di proselitismo e conversione sono state un pretesto sfruttato dagli estremisti islamici per colpire le minoranze e cancellare permessi di costruzione relativi a luoghi di culto, soprattutto nella provincia di West Java. Secondo le fonti cattoliche, il paradosso della vicenda di Kranggan è che "le proteste non sono opera di gente della zona", ma di persone provenienti "da altri villaggi e non hanno nulla a che vedere col progetto della chiesa". A sostegno delle loro tesi, affermano che nel distretto vi sarebbero solo "due cattolici", conclude la fonte, ma è "una dichiarazione priva di alcun fondamento" perché sono molti di più. Attivisti ed esponenti della società civile sottolineano come questa nuova vicenda di intolleranza a sfondo confessionale sia un'ulteriore dimostrazione dell'insuccesso del presidente Susilo Bambang Yudhoyono nel tentativo di creare una vera società multiculturale e pluralista. Nelle scorse settimane aveva destato scalpore e sconcerto la decisione di assegnare al capo di Stato un premio - ideato da una fondazione statunitense - per la difesa della libertà religiosa. Occasione durante la quale egli aveva snocciolato i presunti successi in tema di pluralismo e diritti civili, smontati una volta di più dalla vicenda di Bekasi. (R.P.)

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    Pakistan: il caso di violenza su tre donne cristiane scuote il Paese

    ◊   Un episodio di violenza contro i cristiani è divenuto un “caso politico” in Pakistan. Tre donne cristiane sono state percosse, denudate e umiliate pubblicamente in un villaggio nei pressi di Pattoki, nel distretto di Kasur, nella provincia del Punjab. Come riferito dall'agenzia Fides, il gesto era una vendetta di Muhammad Munir, figlio di un latifondista musulmano. Questi intendeva punire alcune famiglie di contadini cristiani per lo sconfinamento dei loro armenti in un terreno altrui. A un mese dall’accaduto – i fatti risalgono al 3 giugno scorso – il caso sta creando un vasto clamore nell’opinione pubblica pakistana, fra cristiani e musulmani, generando critiche al governo della “Pakistan Muslim League-N” (Pml-N), partito al governo sia nella provincia del Punjab, sia a livello nazionale. Infatti Munir, l’uomo che abusato delle donne, è figlio di Abdul Rasheed, noto sostenitore della Pml-N. Inoltre il parlamentare Rana Ishaq, membro dell’Assemblea Nazionale nelle file della Pml-N, sta pubblicamente difendendo e aiutando Abdul Rasheed e suo figlio. Fonti di Fides in Punjab notano che “le vittime hanno sporto denuncia contro i colpevoli, ma nessuno è stato arrestato in quanto sono molto influenti”. Inoltre Abdul Rasheed ha a sua volta registrato un “First Information Report” contro i cristiani, come forma di pressione sulla famiglia, per indurla a ritirare la denuncia. In un comunicato inviato all'agenzia Fides, la “Asian Human Rights Commission” (Ahrc), organizzazione per la difesa dei diritti umani, stigmatizza l’accaduto e chiede alle autorità civili e giudiziarie di prendere provvedimenti per questo “caso disumano”. Tahira Abdullah, musulmana, nota attivista, impegnata nella difesa delle minoranze religiose, spiega a Fides: “E’ un episodio gravissimo. Per la nostra cultura e tradizione, è quanto di peggio si possa fare a una donna. Io stessa preferirei esser uccisa piuttosto che subire una tale umiliazione e una ferita così profonda alla dignità personale”. Al caso delle tre donne si è interessato l’avvocato cristiano Mushtaq Gill, direttore dell’ organizzazione “Lead” (“Legal Evangelical Association Development”), che ha offerto alle vittime assistenza legale. Gill ha informato Fides di aver ricevuto, per tale ragione, pesanti intimidazioni e minacce di morte dai militanti: il 23 giugno scorso tre uomini armati lo hanno fermato e minacciato sparando in aria. Joseph Francis, cristiano pakistano fondatore della Ong “Claas” (“Center for Legal Aid and Assistence Settlement”) commenta a Fides: “E’ molto difficile per le famiglie cristiane ottenere giustizia, perché sono povere e sono cristiane”. (R.P.)

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    Bangladesh: nuovo caso di avvelenamento in fabbrica tessile, colpiti in 200

    ◊   Nuovo caso di avvelenamento in una fabbrica tessile del Bangaldesh, dove il settore rappresenta oltre il 10% del Pil nazionale essendo il Paese il secondo esportatore di vestiti al mondo, dopo la Cina. A riferire la notizia è l'agenzia AsiaNews: oltre 200 operai, ieri, sono stati ricoverati con sintomi di avvelenamento ad Ashula, cittadina nella cintura industriale di Dhaka. Tutti risultano essere dipendenti della stessa azienda, la Rose Dresses, che conta circa seimila operai. La fabbrica non è nuova a episodi di questo tipo: dall’inizio di giugno, infatti, questo sarebbe già il terzo caso di avvelenamento confermato dal personale medico, nonostante inizialmente il governo avesse accusato gli operai di psicosi di massa. Secondo il racconto delle vittime, colpevole sarebbe l’acqua che sgorga dai rubinetti della fabbrica e che tutti avrebbero bevuto durante la giornata di lavoro. L’industria tessile del Bangladesh è da tempo nel mirino per le condizioni di lavoro in cui versano i suoi operai: turni massacranti, scarsissima retribuzione, condizioni igieniche precarie e totale assenza di misure di sicurezza. (R.B.)

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    India: i dalit cristiani minacciano di non votare per i partiti che non li difendono

    ◊   Alle elezioni legislative del 2014 in India, i Dalit cristiani non voteranno per quei partiti, compreso il Partito del Congresso al potere, che non si sono impegnati concretamente per l’abolizione delle leggi che continuano a discriminarli. Lo annuncia un comunicato diffuso dal Consiglio nazionale delle Chiese in India (Ncci) al termine di una riunione a New Delhi di un centinaio di leader Dalit cristiani convocati per decidere quale linea assumere nei confronti dei partiti in corsa per l’elezione del nuovo Parlamento federale. Da decenni essi chiedono, con il sostegno della Chiesa, pari opportunità d’istruzione e di accesso ai servizi sociali essenziali. In base a un decreto del 1950, i Dalit convertiti al cristianesimo e all’islam continuano infatti ad essere esclusi dal sistema delle quote riservate e da altri benefici previsti dalla legge per le sotto-caste, le classi svantaggiate e le popolazioni tribali. Diritti di cui invece godono adesso, oltre ai Dalit indù, quelli convertiti al buddismo e alla religione sikh. Nonostante gli impegni assunti dal Governo di coalizione guidato dal Partito al Congresso nulla è stato fatto per abolire tali discriminazioni. Un rapporto pubblicato nel 2007 da una commissione insediata dall’esecutivo che ha riconosciuto le ragioni dei Dalit cristiani giace in Parlamento dal 2009 e attende di essere ancora esaminato. Secondo i dati della Chiesa indiana il 60% dei 25 milioni di cristiani del Paese provengono dalle caste Dalit. (L.Z.)

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    Polonia: iniziativa per cancellare la legge sull'aborto eugenico

    ◊   “Il 90% degli aborti che vengono legalmente effettuati in Polonia sono giustificati con le presunte malformazioni o gravi malattie del feto”. Lo afferma Mariusz Dzierzawski, uno dei promotori dell’iniziativa che vuole cancellare dalla legge vigente in Polonia l’ammissibilità dell’aborto eugenico. L’associazione “Per il diritto alla vita” in meno di tre mesi ha raggiunto oltre 100mila adesioni, raccogliendo il numero sufficiente di firme per deporre al Parlamento la mozione volta a cambiare la legislazione vigente. L’iniziativa - riferisce l'agenzia Sir - è partita il 21 marzo scorso in concomitanza con la Giornata mondiale dedicata ai bambini con la sindrome di Down. Nell’ottobre scorso il Parlamento aveva respinto un simile progetto di modifica della legge sull’aborto presentato da un gruppo di deputati. Secondo i dati ufficiali dal 1997 - e cioè dall’entrata in vigore dell’attuale normativa che permette l’interruzione della gravidanza in caso di pericolo di vita della donna, di malattia o malformazione del feto e fino alla dodicesima settimana di gestazione nei casi di abusi -, il numero di aborti in Polonia non supera ufficialmente alcune centinaia. Le organizzazioni pro-life tuttavia stimano che gli aborti praticati sul territorio nazionale possano arrivare anche a 15mila, mentre le associazioni femministe lo valutano come vicino a 100mila. Si stima che il 15% degli aborti viene praticato all’estero. L’episcopato polacco fermamente deciso a difendere la vita e la dignità umana, si è sempre espresso con grande risolutezza contro l’aborto. Dal 1° luglio, nonostante la totale assenza delle normative in materia, è diventato operativo il programma governativo di finanziamento con fondi pubblici delle procedure di fecondazione assistita; i vescovi con un comunicato hanno ricordato che “le ricerche scientifiche confermano, nei bambini concepiti con il metodo di fecondazione assistita”. Il gruppo di esperti costituito presso la Conferenza episcopale polacca sottolinea che “la ricorrenza degli effetti genetici indesiderati per la salute nei casi di fecondazione in vitro trova la conferma nelle ricerche cliniche e nelle sperimentazioni su modelli biologici”. Al comunicato è allegato l’elenco di oltre 30 pubblicazioni a carattere scientifico che danno conferma di quanto asserito. Mons. Henryk Hoser, presidente del gruppo, ha più volte ricordato che “la selezione degli embrioni è parte integrante delle procedure di fecondazione assistita”. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 184

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