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Sommario del 01/07/2013
Papa Francesco l’8 luglio a Lampedusa in preghiera per i migranti
◊ Nella mattinata di lunedì 8 luglio, Papa Francesco si recherà in visita all’isola di Lampedusa. Il Papa, informa una nota della Sala Stampa vaticana, “profondamente toccato dal recente naufragio di un’imbarcazione che trasportava migranti provenienti dall’Africa, ultimo di una serie di analoghe tragedie, intende pregare per coloro che hanno perso la vita in mare, visitare i superstiti e i profughi presenti". Il Papa vuole inoltre "incoraggiare gli abitanti dell’isola e fare appello alla responsabilità di tutti affinché ci si prenda cura di questi fratelli e sorelle in estremo bisogno". A motivo delle “particolari circostanze – conclude la nota - la visita si realizzerà nella forma più discreta possibile, anche riguardo alla presenza dei Vescovi della regione e delle autorità civili”. Sui dettagli di questa visita del Papa a Lampedusa, il servizio di Alessandro Gisotti:
Papa Francesco arriverà a Lampedusa poco dopo le ore 9 di lunedì 8 luglio e troverà ad accoglierlo l’arcivescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro, e il sindaco di Lampedusa, Giuseppina Nicolini. Il Papa raggiungerà quindi Cala Pisana da dove si imbarcherà per raggiungere via mare il Porto di Lampedusa. Durante la navigazione, i pescatori lampedusani accompagneranno il Pontefice con le loro barche. Al largo, Papa Francesco lancerà in mare una corona di fiori in ricordo di quanti hanno perso la propria vita in mare. Il Papa entrerà, dunque, nel Porto dove, al molo, lo attenderà un gruppo di immigrati che il Santo Padre saluterà al suo passaggio. Alle ore 10 è, dunque, prevista la Messa che il Papa celebrerà nel campo sportivo “Arena”. Dopo la celebrazione, il Santo Padre visiterà brevemente la parrocchia di San Gerlando, quindi si trasferirà in aeroporto. Il ritorno del Papa è previsto per le ore 13.45 allo scalo di Ciampino.
L'arcivescovo di Agrigento, mons. Montenegro: il Papa a Lampedusa, segno di speranza per chi soffre
◊ “La Chiesa agrigentina accoglie con immensa gioia la notizia della visita di Papa Francesco alla comunità di Lampedusa” e la considera un “dono di grazia straordinario”. Così si è espresso l’arcivescovo di Agrigento, incontrando la stampa in mattinata, dopo l'annuncio della visita. Per mons. Francesco Montenegro, anche la scelta di Lampedusa, come primo viaggio, da parte del Santo Padre, è già un messaggio forte che “aiuta a leggere la storia con gli occhi di Dio”. Immigrazione, accoglienza e carità saranno le parole chiave, ha spiegato il presule al microfono di Gabriella Ceraso:
R. – Quando ho saputo che sarebbe venuto ho sentito un senso di grande commozione. E’ vero che ne avevamo parlato durante la visita "ad Limina" e avevo sottolineato l’importanza di Lampedusa per i nostri fratelli che vengono dall’Africa e per noi credenti, Chiesa che deve accogliere anche nella povertà. Ho visto il Papa molto attento alle notizie che gli davo e ho detto: sarebbe bello se lei volesse venire. Questa sorpresa però mi ha toccato perché ho visto che davvero c’è il cuore di un pastore che sente che c’è un fratello, che soffre e quindi la sofferenza è duplice. C’è la sofferenza degli immigrati ma c’è anche la sofferenza di una popolazione che nell’accoglienza ha cercato di dare tutto. Perché di loro non si deve parlare e pensare anche quando gli immigrati non ci sono?
D. - Guardando il programma notiamo che il Santo Padre desidera avere anche il contatto con il mare che per molti diventa nel viaggio una tomba…
R. – Sì, il numero dei morti sembra non interessare perchè hanno la pelle nera, c'è tanta indifferenza. Il mio desiderio l’ho sempre detto, cioè che il problema dell’immigrazione diventi davvero problema di tutte le chiese e di noi chiese che siamo in prima fila.
D. - Quali sono le vostre attese ma anche quali sono le istanze che, nel caso, sarà lei a portare al Pontefice?
R. - Io al Pontefice porterò tutto questo: tanta sofferenza che bussa alle nostre porte e l’accoglienza della mia gente, che quando c’era il pieno di stranieri all’isola ha svuotato armadi, ha messo a disposizione docce, pranzi, oggetti, vestiti. Loro riusciranno a capire che i loro impegni, i loro sforzi, la loro generosità, sono riconosciuti dal Papa. Abbiamo bisogno di sentire dalla sua voce quello che il Papa, il pastore, ci deve dire. Chi dovrebbe darci parole di speranza, dirci che se si ha un cuore grande si può guardare lontano? Lampedusa, Agrigento, sono un ponte con quel continente africano che non possiamo far finta che non esista.
D. - Oltre alla gioia e l’emozione avrete anche pochi giorni per la preparazione. Vi siete dati priorità, avete già pensato come preparare anche la comunità?
R. – Oggi stiamo dando la notizia ufficiale, ma il bello è anche che il Papa ci ha detto che vuole essere una visita privata dove non ci deve essere niente di eclatante. Ci sarebbe da dire che viene in punta di piedi! Ma quando si sta con i poveri è sempre in punta di piedi che si arriva, proprio per delicatezza e attenzione verso questa gente. Che lui voglia venire in punta di piedi, con la semplicità di un vescovo che guarda la sua gente e la guarda con gli occhi del cuore, credo che questo sia un grande insegnamento. Io lo dicevo oggi come battuta: se anche il Papa dovesse venire e non dire una parola, la stessa sua venuta è un messaggio in una realtà come questa.
D. – Avete già qualche riscontro anche dal punto di vista della presenza degli immigrati in quella giornata?
R. – No, non sono calcoli che si possono fare. Quando c’è buon tempo si guarda il cielo e si guarda lontano all’orizzonte perché è facile che arrivino e per fortuna non è niente di programmato. Ma c'è anche un’altra cosa che ripeto sempre ed è che quella dell’immigrazione non è più emergenza, dobbiamo avere il coraggio di cancellare questa parola: è uno stato di fatto. Oggi ne arriveranno 10, ne arriveranno 100, ne arriveranno 1000, ma il problema non è perché ne arrivano 1000: il problema è anche se ne arrivano 10, perché sono 10 uomini che vogliono vivere.
“Lumen fidei”: il 5 luglio la pubblicazione della prima Enciclica di Papa Francesco
◊ Venerdì 5 luglio verrà pubblicata “Lumen fidei”, la prima Enciclica di Papa Francesco. Il documento verrà presentato alle ore 11, alla Sala Stampa Vaticana. Interverranno: il card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione dei Vescovi; mons. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.
Il Papa: pregare con coraggio e insistenza per toccare il cuore di Dio
◊ Dobbiamo pregare con coraggio il Signore, anche con insistenza come ha fatto Abramo. E’ quanto affermato stamani da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che pregare è anche “negoziare col Signore”, diventare perfino inopportuni come ci insegna Gesù. Alla Messa, concelebrata dal cardinale Kurt Koch e da mons. Brian Farrell, ha preso parte, tra gli altri, un gruppo di sacerdoti e collaboratori del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Abramo parla con coraggio e insistenza al Signore per difendere Sodoma dalla distruzione. Papa Francesco svolge la sua omelia partendo dalla Prima Lettura e subito osserva che “Abramo è un coraggioso e prega con coraggio”. Abramo, ha detto ancora, “si sente la forza di parlare faccia a faccia col Signore e cerca di difendere quella città”. E lo fa con insistenza. Nella Bibbia, dunque constata il Papa, si vede che “la preghiera deve essere coraggiosa”:
“Quando noi parliamo di coraggio pensiamo sempre al coraggio apostolico, andare a predicare il Vangelo, queste cose… Ma c’è anche il coraggio davanti al Signore. Quella parresia davanti al Signore: andare dal Signore coraggiosi per chiedere le cose. Un po’ fa ridere, va bene ma fa ridere questo perché Abramo parla col Signore in una maniera speciale, con questo coraggio e uno non sa: è davanti a un uomo che prega o davanti a un ‘commercio fenicio’, perché lui tira sul prezzo, va, va… E insiste: da cinquanta è riuscito ad abbassare il prezzo a dieci. Lui sapeva che non era possibile. Soltanto c’era un giusto: il suo nipote, il suo cugino… Ma con quel coraggio, con quella insistenza, andava avanti”.
A volte, ha detto, si va dal Signore a “chiedere una cosa per una persona”, si chiede questo e quello e poi si va via. “Ma quella – ha avvertito – non è preghiera”, perché “se vuoi che il Signore dia una grazia, devi andare con coraggio e fare quello che ha fatto Abramo, con quell’insistenza”. Il Papa rammenta che è Gesù stesso che ci dice che dobbiamo pregare così come la vedova col giudice, come quello che va a bussare di notte alla porta dell’amico. Con insistenza: “Gesù ci insegna così”. E infatti, ha osservato, Gesù elogia la donna siro-fenicia che con insistenza chiede la guarigione della figlia. Insistenza, ha affermato il Pontefice, anche se stanca, ed “è stancante davvero”. Ma questo, ha detto, “è un atteggiamento della preghiera”. Santa Teresa, ha ricordato, “parla della preghiera come un negoziare col Signore” e questo “è possibile solo quando c’è la familiarità col Signore”. “E’ stancante, è vero – ha ribadito – ma questa è la preghiera, questo è prendere da Dio una grazia”. Il Papa ha così sottolineato l’argomentazione che Abramo utilizza nella sua preghiera: “Prende gli argomenti, le motivazioni dello stesso cuore di Gesù”:
“Convincere il Signore con le virtù proprie del Signore! Quello è bello! L’esposizione di Abramo va al cuore del Signore e Gesù ci insegna lo stesso: ‘Il Padre sa le cose. Il Padre – non preoccupatevi – manda la pioggia sui giusti e sui peccatori, il sole per i giusti e per i peccatori’. Con quell’argomentazione Abramo va avanti. Io mi fermerò qui: pregare è negoziare col Signore, anche diventare inopportuno col Signore. Pregare è lodare il Signore nelle sue cose belle che ha e dirgli che queste cose belle, ce le mandi a noi. E se Lui è tanto misericordioso, tanto buono, che ci aiuti!”
“Io – ha detto il Papa - vorrei che oggi, tutti noi, cinque minuti, non di più, durante la giornata prendessimo la Bibbia e lentamente dicessimo il Salmo 102”, recitato oggi fra le due Letture:
“‘Benedici il Signore anima mia, quanto è in me benedica il suo nome. Non dimenticare tutti i suoi benefici. Egli perdona tutte le colpe, guarisce tutte le infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e di misericordia…’. E con questo impareremo le cose che dobbiamo dire al Signore quando chiediamo una grazia. ‘Tu che sei misericordioso, Tu che perdoni, fammi questa grazia’: come aveva fatto Abramo e come aveva fatto Mosè. Andiamo avanti nella preghiera, coraggiosi, e con questi argomenti che vengono proprio dal cuore di Dio”.
Ad agosto, annullate le udienze generali. Il Papa a Castel Gandolfo per la Solennità dell’Assunta
◊ Nel mese di agosto vengono annullate le udienze generali dei mercoledì 7, 14, 21 e 28. E’ quanto rende noto, oggi, la Prefettura della Casa Pontificia. Le udienze generali di Papa Francesco riprenderanno regolarmente da mercoledì 4 settembre. Nelle domeniche di agosto, informa ancora la Prefettura, il Santo Padre guiderà la preghiera mariana dell’Angelus in Vaticano. Giovedì 15 agosto, Solennità dell’Assunzione di Maria Santissima, il Papa celebrerà la Messa nella parrocchia di Castel Gandolfo, e successivamente reciterà l’Angelus al Palazzo Pontificio della residenza estiva.
◊ Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani; Luis Alberto Moreno, presidente del Banco Interamericano de Desarollo, con la Consorte, e seguito; Enrique Valentín Iglesias García, segretario generale della Segib (Secretaría General Ibero americana). Il Santo Padre riceve questo pomeriggio in udienza il card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione dei Vescovi.
"Mi fido di te!" Giornata dei seminaristi, novizi e novizie: 6 mila giovani a Roma dal 4 al 7 luglio
◊ “Mi fido di te!”: il tema della “Giornata dei Seminaristi, Novizi, Novizie e di quanti sono in cammino vocazionale”. L’evento, promosso nell’ambito dell’Anno della Fede, si svolgerà dal 4 al 7 luglio prossimo. Ad illustrare lo spirito ed il programma dell’iniziativa è stato, questa mattina in Sala Stampa vaticana, mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Il servizio di Roberta Gisotti:
Seimila seminaristi, novizi, novizie giungeranno a Roma da 66 Paesi, alcuni molto remoti come Cina, Giappone e Vietnam, Zimbabwe e Tanzania, Cile e Uruguay, Papua Nuova Guinea e Isole Salomone. Arriveranno a nome di migliaia e migliaia di altri giovani che in tutto il mondo – ha detto l'arcivescovo Fisichella - “trovano ancora la forza e l’audacia di consacrarsi al Signore nella vita sacerdotale e consacrata”:
“Non poteva mancare in questo Anno un momento così espressivo. Il desiderio di evidenziare la gioia di tanti giovani che percepiscono la vocazione e, nonostante le varie difficoltà della vita, compiono con coraggio un atto che pone in gioco tutto loro stessi e la loro esistenza".
“La vocazione a questa vita – ha sottolineato il presidente del dicastero vaticano promotore - chiede di lasciare molto, spesso tutto”. “Farsi discepoli di Cristo è la vera conquista”:
“Confidare nella sua parola e indirizzare l’esistenza nel servizio alla Chiesa e quindi agli altri, è una scelta che impegna non poco, ma richiede la forza necessaria che scaturisce dall’incontro con Cristo".
Mi fido di Te! Lo testimonieranno i giovani nei quattro giorni densi di eventi religiosi, formativi ed anche ricreativi, che avranno il loro culmine nell’incontro con il Papa, nell’Aula Paolo VI sabato pomeriggio 6 luglio, e nella Messa presieduta da Francesco, domenica mattina 7 luglio alle 9.30 nella Basilica di San Pietro. Tra gli altri appuntamenti: giovedì 4 luglio vi sarà il pellegrinaggio alla Tomba di Pietro, con una riflessione offerta dal cardinale Angelo Comastri; venerdi 5 luglio al mattino le catechesi nelle varie lingue in diverse chiese di Roma, al pomeriggio prima la visita ad alcuni luoghi sacri che ospitano le reliquie di Santi legati alla città di Roma e poi la festa in piazza del Campidoglio; sabato 6 luglio al mattino una seduta formativa all’Università Lateranense; al pomeriggio dopo l’incontro con il Papa vi sarà la processione mariana dai Giardini Vaticani fino al Sagrato di San Pietro con una meditazione finale del cardinale Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per la Vita Consacrata.
Giornate di Roma che precedono quelle della Gmg di Rio de Janeiro. “Siamo certi - ha concluso mons. Fichella - che anche in quei giorni ritornerà importante il tema della vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata”.
“Ci auguriamo che delle giornate così intense di preghiera, di riflessione, di amicizia, di canto e di gioia possano sviluppare in tutti, a partire dai partecipanti, il vero senso di partecipazione attiva e feconda alla vita della Chiesa”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Gesti e parole: in prima pagina, un editoriale del direttore sulla festa dei santi patroni Pietro e Paolo celebrata, per la prima volta, dal vescovo di Roma preso "quasi alla fine del mondo", e sull'esempio offerto da Benedetto XVI, richiamato da Papa Francesco all'Angelus.
Sarà a Lampedusa, l'8 luglio, il primo viaggio del pontificato.
Preghiera coraggiosa al cuore del Signore: messa del Pontefice a Santa Marta.
La Croazia testimonianza delle radici cristiane dell'Europa: nell'informazione internazionale, l'omelia dell'arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, per la messa in occasione dell'entrata del Paese nell'Unione europea.
Solido come la roccia: in cultura, Marco Agostini illustra il ruolo di Pietro nell'interpretazione architettonica della Basilica vaticana.
Un articolo di Gaetano Vallini dal titolo "L'ultimo degli ingiusti": nel documentario di Claude Lanzmann la controversa figura di Benjamin Murmelstein, ultimo presidente del consiglio degli anziani del ghetto di Terezin, accusato di collaborare con i nazisti.
Quell'intuizione di Rosseau: sul fallimento dell'ateismo, anticipazione dell'articolo di Rémi Brague contenuto nel prossimo numero di "Vita e Pensiero".
Che fatica imparare di nuovo a camminare: Silvia Guidi recensisce il libro di Marco Deambrogio sul pellegrinaggio a Santiago de Compostela.
Contemporaneo a ogni epoca: Inos Biffi su Gesù risorto e la vittoria sul tempo.
L'Europa attende un nuovo annuncio del Vangelo: nell'informazione religiosa, l'incontro continentale a Varsavia dei segretari generali degli episcopati.
All'eroismo quotidiano delle donne dedicato il numero di luglio di "donne chiesa mondo".
Egitto: 15 morti nelle manifestazioni contro Morsi
◊ Egitto nel caos. L’opposizione ha lanciato l’ultimatum al presidente Morsi: entro domani, alle 17, dovrà dimettersi altrimenti partirà una campagna di disobbedienza civile. Solo ieri, giorno di imponenti manifestazioni contro il capo dello Stato, sono state 15 le vittime, intanto al Cairo è stata assaltato il quartier generale della Fratellanza Musulmana, una persona è rimasta gravemente ferita. Nella capitale egiziana, Benedetta Capelli ha raggiunto telefonicamente Francesca Paci, inviata de “La Stampa”:
R. - Piazza Tahrir e il presidio davanti al Palazzo presidenziale al Cairo - i due luoghi deputati dell’oceanica manifestazione di ieri - sono assolutamente tranquilli. In questo momento, il caos è soprattutto nel Sud dell’Egitto nella zona intorno ad Assiut, nelle zone rurali e roccaforti della Fratellanza Musulmana e di altri partiti islamisti. Da una parte, anche se non si vede, l’esercito è molto presente. Ieri, in corteo c’erano anche molti poliziotti con la divisa bianca e molti agenti di polizia che spiegavano, come nel vecchio regime di Mubarak, che loro dovevano solo obbedire mentre adesso, da due anni e mezzo, dopo la rivoluzione hanno capito le esigenze del popolo e sono con loro contro i Fratelli Musulmani. Anche i ragazzi della rivoluzione fanno molta attenzione insieme al servizio d’ordine al fatto che la situazione non degeneri in scontri.
D. - Tu avevi seguito anche quanto accaduto due anni fa a Piazza Tahrir. Cosa avverti di diverso oggi?
R. - Rispetto alla rivoluzione di due anni e mezzo fa, la prima differenza che noto è che sotto il precedente regime, questa manifestazione non sarebbe stata possibile. Certo, ci sono molti nostalgici del vecchio regime in piazza, però i rivoluzionari della prima ora, i ragazzi del movimento "Tamarod" ci tengono sempre a precisare che nel vecchio regime si aveva paura persino di giudicare il colore della camicia del figlio di Mubarak, mentre adesso si è in piazza, dopo un solo anno, contro un presidente che, piaccia o meno, è stato legittimamente eletto. Quindi, questa è la prima differenza. La seconda differenza sta nel numero massiccio delle persone che è così evidente; in piazza c’è molta più gente rispetto al periodo della rivoluzione. Questo perché, da una parte, è gente che due anni e mezzo fa aveva paura; ci sono stati mille morti per la cacciata di Mubarak, e poi dopo quel momento la gente ha cominciato ad avere sempre meno paura e adesso è massicciamente in piazza; in più c’è gente che ha votato un anno fa per Morsi, ha sostenuto i Fratelli Musulmani, ed ha pensato che loro potessero veramente - in qualche modo - addrizzare se non tutti almeno parte dei guai del Paese. Così non è stato e quindi sono delusi. La piazza è molto composita; è formata da moltissime persone: ci sono i liberali che contestano a Morsi e ai Fratelli Musulmani il tentativo di islamizzare il Paese; ci sono anche molti religiosi, molte donne velate che invece ritengono che la performance dei Fratelli Musulmani abbia messo in cattiva luce l’islam perché è stato un tentativo di accaparramento quasi forsennato del potere.
D. - Secondo te adesso come si evolverà la situazione?
R. - È molto difficile dirlo, perché lo stesso movimento Tamarod che nasce al di fuori delle opposizioni ufficiali - sono un gruppo di ragazzi molto giovani che ha deciso di cominciare a raccogliere queste firme e neanche loro avrebbero immaginato che ne avrebbero raccolte oltre 22 milioni finendo poi per portare in piazza milioni e milioni di persone - è imprevedibile. Loro hanno cominciato tre mesi fa, quindi bisogna vedere cosa succederà domani. I ragazzi di "Tamarod" continuano a dire che vogliono rimanere pacifici. Ritengono che questa sia la loro forza. C’è da capire cosa farà l’esercito. Tendenzialmente, l’impressione è che l’esercito interverrà solo nel caso di violenza, altrimenti resterà a guardare, però certamente è un attore importantissimo che è temuto anche se non lo si vede.
D. - In questo panorama così eterogeneo che compone "Tamarod" ci sono personalità politiche che secondo te possono spiccare?
R. - No, è un movimento senza leader. Nell’opposizione i leader rimangono i tre grandi vecchi, quelli della prima ora: Mohammed El Baradei, Amr Mussa e il nasseriano Hamdine Sabbahi. A dire il vero loro non erano leader neanche all’inizio della rivoluzione contro Mubarak, ma poi sono stati riconosciuti un po’ dalla piazza come le figure simboliche e carismatiche intorno alle quali raggrupparsi. Se considero quanto è giovane questo movimento, loro non ne sono rappresentativi né da un punto di vista anagrafico, né di appartenenza di partiti. Questo è un movimento apartitico e trasversale. Però, certamente, saranno queste le tre le figure principali. Una chance potrebbe essere appunto Hamdine Sabbah, il candidato nasseriano che al primo turno delle elezioni presidenziali fece un’inaspettata e buonissima performance, al punto tale che se le opposizioni invece di andare separate fossero andate unite, forse lui ce l’avrebbe fatta anche su Morsi e sull’avversario Shafik.
Zagabria in festa: la Croazia 28.mo Paese Ue, ma resta lo spettro della crisi
◊ Festeggiamenti a Zagabria: la Croazia dalla mezzanotte è il 28.mo Stato membro dell’Unione Europea. A Zagabria, si sono riuniti i vertici dell'Ue e diversi capi di Stato. A rappresentare l'Italia, vi erano il presidente della repubblica, Napolitano, e il ministro degli Esteri, Bonino. Ha suscitato polemiche l’assenza della cancelliera tedesca Merkel. E ha dato spunto a considerazioni sulla precarietà delle condizioni economiche dell’ex Paese jugoslavo che raggiunge l’obiettivo dell’integrazione dopo 10 anni di lunghi e difficili riforme che hanno portato a una radicale democratizzazione e liberalizzazione della società croata. Dell’equilibrio economico Fausta Speranza ha parlato con il prof. Matteo Caroli, docente di Economia e Gestione delle imprese all’Università Luiss:
R. – Sicuramente è una notizia positiva, perché evidentemente allarga ulteriormente la dimensione del mercato europeo, rafforza l’interazione tra i Paesi del nostro continente. E la rafforza con uno Stato che non è di grandi dimensioni ma che ha sicuramente un grande potenziale di crescita e ha anche una popolazione giovane. E’ quindi una linfa positiva per il continente. E’ chiaro che l’Unione Europea è in una fase di passaggio, in una fase complessa, in particolare per la difficoltà di alcuni grandi Stati e per i livelli di crescita, che sono diversi tra le macroaree del continente. E’ quindi un elemento sicuramente positivo, un’opportunità, ma sarà importante poi il processo di metabolizzazione di questa nuova realtà.
D. – Parliamo d’imprese, di prospettive per le imprese...
R. – Dal punto di vista delle nostre imprese, la notizia è sicuramente positiva, perché la Croazia è un mercato già oggi importante per le nostre importazioni e quindi avrà ulteriori potenzialità di crescita. Naturalmente, la Croazia è anche un competitor, e penso al turismo, settore dove è cresciuta molto in questi anni. Ormai, quindi, rappresenta una destinazione alternativa alle nostre. Un altro elemento importante è anche l’opportunità, che ora diventa maggiore, di collaborazioni, di lavoro comune tra le nostre imprese e quelle della Croazia, per raggiungere una competitività maggiore, anche sui grandi mercati extra europei.
D. – Qualcuno ricorda che il rapporto debito-Pil è l’unico parametro di Maastricht rispettato da Zagabria. Ma, da economista, in questa fase storica di crisi mondiale, quali sono i punti fondamentali per cui un Paese può sperare di andare avanti e non andare indietro?
R. – Direi, assolutamente, la capacità di crescere, la capacità di produrre ricchezza e, naturalmente, anche la capacità poi di distribuire in maniera efficace la ricchezza prodotta. Questo è stato il problema dell'Italia. Noi, non solo negli anni passati, siamo cresciuti poco – in questi ultimissimi siamo addirittura tornati indietro – ma abbiamo anche utilizzato male le risorse prodotte. Allora, per competere a livello internazionale, un Paese deve innanzitutto avere capacità di crescita, migliorare sul fronte della produttività. Poi, rimane ovviamente il tema di un equilibrio finanziario, perché altrimenti si è sempre sotto lo scacco dei comportamenti e degli umori dei mercati finanziari internazionali, che possono decidere di penalizzare il debito, facendone aumentare il costo e quindi drenando risorse finanziarie che lo Stato potrebbe utilizzare in altra maniera.
D. – Da questo punto di vista, commentiamo i timori che qualcuno registra a Zagabria. La Croazia nel 2009-2010 ha avuto un momento fortissimo di crisi, però poi ha segnato punti di crescita. Adesso, con l’ingresso nell’Unione Europea che zoppica i cittadini temono appunto di tornare indietro...
R. – Beh, in questo senso il far parte di una grande comunità è un aspetto importante, perché è chiaro che, entro certi limiti, i comportamenti dei singoli Stati tendono ad essere uniformati. C’è una negoziazione sui diversi punti, c’è un tentativo di condividere le politiche, gli orientamenti generali. Lo abbiamo visto anche con la crisi violenta di alcuni Paesi dell’Unione Europea: la Grecia, Cipro. Insomma, si cerca di gestire in maniera condivisa, in maniera che risponda all’interesse di tutti. E’ meglio essere all’interno dell’Unione Europea che esserne fuori evidentemente.
Datagate: l’Unione Europea chiede chiarimenti a Washington
◊ Tensione tra Unione Europea e Stati Uniti dopo le rivelazioni del settimanale tedesco "Der Spiegel", che parla di spionaggio dei servizi segreti di Washington ai danni di istituzioni e Stati europei. L’Ue chiede spiegazioni alle istituzioni statunitensi, che già hanno risposto affermativamente anche se ribadiscono: "Cercare informazioni non è insolito". Intanto anche il presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, parla della necessità di trovare risposte: Il servizio di Davide Maggiore:
Le accuse di spionaggio ai danni di Washington incidono sulle relazioni tra le due sponde dell’Atlantico: è in bilico anche la costituzione dell’area di libero scambio per la quale sarebbero dovute iniziare presto le trattative. “Non cominceranno se c’è anche il minimo dubbio” sulle azioni statunitensi, ha fatto sapere Viviane Reding, vicepresidente della Commissione europea. Gli Stati Uniti annunciano di essere pronti a discutere le rivelazioni con l’Unione e coi singoli governi. “Lo spionaggio si fa tra nemici, è un clima da guerra fredda”, è però il commento che arriva da Berlino. E secondo la stampa britannica la procura federale tedesca potrebbe aprire un’inchiesta sulle attività d’intelligence che avrebbero riguardato la Germania. Intanto, il quotidiano "Guardian" ha ritirato un articolo sulla collaborazione dei paesi europei con il programma statunitense di raccolta dei dati, ritenendo poco affidabile la nuova fonte, Wayne Madsen, ma ha sostenuto, citando documenti dell’Nsa statunitense, che lo spionaggio abbia riguardato anche “alleati” extra-europei di Washington, come Giappone, Messico, Corea del Sud, India e Turchia.
Sulla vicenda, Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Gianni Cipriani, esperto d’intelligence e direttore di Globalist.it:
R. – L’intera vicenda dimostra semplicemente che le nuove tecnologie e il loro utilizzo, praticamente, non hanno confini e non hanno frontiere. Quindi, quando si hanno a disposizione degli strumenti che ottengono dei risultati, difficilmente ci si riesce ad autolimitare.
D. – Le super potenze hanno sempre utilizzato lo spionaggio. Perché, secondo lei, questo caso suscita tutto questo clamore?
R. – La mia personale opinione è che la vicenda Snowden sia da ricollegarsi nell’ambito di una più vasta guerra psicologica. Tutta questa vicenda ha un enorme ricasco mediatico e quindi conseguenze politiche, in termini negativi, per l’amministrazione americana. Da un punto di vista sostanziale, però, formalmente, si è scoperto quello che già ragionevolmente si poteva ipotizzare, ossia che la National Security Agency, una delle agenzie più potenti al mondo, spiasse il mondo avendone le capacità. Fondamentalmente, la notizia è che la Nsa sta facendo il suo lavoro. Quando queste cose, che si fanno ma non si dicono, vengono scoperte e si entra nei dettagli, allora scoppia il clamore mediatico. Ecco perché io credo che la vicenda Snowden, al di là delle intenzioni dell’agente della Cia, che sono di carattere – almeno così lui dice – etico, sia un’enorme operazione di guerra psicologica a livello internazionale.
D. – A quale fine?
R. – Nel mondo dello spionaggio c’è una compravendita di spie, ma spesso i segreti che vengono carpiti rimangono tali. Perché se la super potenza “X” conosce i segreti della super potenza “Y”, ovviamente non li diffonde, ma prende solo delle contromisure, senza dare troppo nell’occhio. In questo caso, invece, siamo di fronte ad una battaglia che si è combattuta prevalentemente sui giornali. Per cui tecnicamente non c’è da un punto di vista dello spionaggio null’altro che un discredito, che viene fatto nei confronti degli Stati Uniti. I beneficiari sono tutti i competitor degli Usa. Perché va ricordato che questo tipo di spionaggio, più o meno, viene fatto da tutti, anche quindi da altre grandi potenze.
D. – Berlino ribadisce che lo spionaggio si fa tra nemici e che questo è un “clima da guerra fredda...”
R. – Teoricamente non si fa, ma in realtà è sempre stato così. Se noi ricordiamo - tanto per fare un esempio che ci riguarda - la crisi di Sigonella, in quell’occasione si scoprì che gli americani riuscivano ad intercettare le comunicazioni private tra gli esponenti del governo italiano. E certamente l’Italia è un fedele alleato degli Stati Uniti dal dopoguerra. In questo mondo dell’intelligence tutti sono alleati, quando non sono dichiaratamente nemici, ma in realtà ognuno gestisce propri interessi. Personalmente, nel 2000, per conto della Commissione Stragi, feci una ricerca nei National Archives e lì emerse chiaramente che molti funzionari italiani, anche ad alto livello – militare, ministeriale e di governo – erano fonti, cioè confidenti degli Stati Uniti. Evidentemente le reti di spionaggio vanno oltre quello che ufficialmente si dice.
D. – Questa vicenda come si concluderà, secondo lei?
R. – E’ difficile dirlo, perché lo scandalo si sta allargando. C’è da capire come vorranno reagire gli Stati Uniti, che sono appunto nell’occhio del ciclone. Una delle tecniche della guerra psicologica, però, è la propaganda e la contro propaganda o la disinformazione offensiva. Magari tra qualche mese ci sarà uno scandalo che riguarda cose analoghe riferito ad altre super potenze, così si pareggerebbe a livello internazionale l’immagine e si getterebbe discredito da un’altra parte.
◊ L’Onu ritiene di poter raggiungere l’obiettivo di Sviluppo del Millennio di dimezzare entro il 2015 il numero di persone che soffrono di fame nel mondo. La notizia è stata diffusa da un rapporto reso noto oggi. Dagli anni ’90 ad oggi la percentuale di persone denutrite è scesa infatti dal 23,2% al 14,9. E questo nonostante la crisi economica globale. In proposito Debora Donnini ha sentito il prof. Vincenzo Buonomo, capo ufficio della missione della Santa Sede presso la Fao:
R. - Già durante la conferenza della Fao la scorsa settimana era emerso il fatto che 18 Paesi hanno raggiunto ormai la sufficienza dal punto di vista alimentare, tanto che la metà della popolazione che soffre la fame è in qualche modo libera da questo grande peso. Era un dato significativo proprio in questo momento. Si aggiunga il fatto che altri 20 Paesi sarebbero sulla strada per poter arrivare allo stesso obiettivo e questo ancora circa mille giorni prima della scadenza del 2015, che era previsto come scadenza ultima.
D. - Da che cosa dipende questo?
R. - Di fatto emerge da una volontà politica dei diversi Paesi che sono riusciti a dare piena attuazione ai rapporti della Fao, delle Nazioni Unite, riguardanti l’aumento della produzione e l’aspetto della distribuzione, che è l’aspetto maggiormente evidente quando ci sono situazioni di fame, cioè la mancata possibilità delle popolazioni di accedere al mercato degli alimenti sia per un problema di carattere strettamente economico sia per problemi derivanti da conflitti o da catastrofi naturali.
D. - Secondo lei questo dimostra anche che l’aumento della popolazione non è quel fenomeno allarmante che molti paventano, ma può addirittura portare sviluppo?
R. - La questione è molto chiara dal punto di vista dei dati. Secondo i dati della Fao, l’attuale produzione mondiale di alimenti è in grado di sfamare il doppio della popolazione attuale. Quindi credo che questo sia un dato che va letto in tutta la sua complessità. Aggiungiamo che circa un terzo della produzione è in qualche modo non utilizzata per fini alimentari: o viene sprecata o utilizzata per altre finalità. Penso soltanto alla questione della produzione di alcuni biocarburanti... Ritorna quindi il problema dell’effettiva distribuzione e disponibilità. Aggiungiamo anche che nell’ultimo periodo sta ritornando l’idea di investire in agricoltura perché è necessario che la produzione mondiale mantenga un certo ritmo. Questo però va letto in un contesto più ampio che vede invece una riduzione dell’assistenza pubblica allo sviluppo nell’ultimo periodo, diminuita nell’ultimo anno quasi del 13% e questo significa che poche briciole vanno agli investimenti nell’agricoltura.
D. - Quali sono i Paesi dove invece ancora è veramente allarmante il numero di popolazione denutrita?
R. - Parliamo nel mondo di 870 milioni di affamati e di circa due miliardi e mezzo di persone malnutrite. In particolare le situazioni di crisi in questo momento sono nella zona dell’Africa subsahariana e del Corno d’Africa. Ci sono poi situazioni endemiche anche in alcune aree del Sudest asiatico, mentre c’è una ripresa dal punto di vista della disponibilità di alimenti in alcune zone dell’Asia caucasica che invece fino a qualche tempo fa avevano problemi di carenze alimentari. Certamente questo tocca soprattutto le fasce più deboli delle popolazioni come bambini, donne e gruppi minoritari che molto spesso sono esclusi dalla possibilità di ricevere aiuti o anche di poter disporre di alimenti.
Rapporto Federculture: in Italia sempre meno investimenti nella cultura
◊ Un anno difficile, il 2012, per i siti culturali italiani, che registrano un sensibile calo di visitatori, con una netta prevalenza degli stranieri sugli italiani. Solo a Roma, l’anno scorso i consumi culturali sono diminuiti dell’8%. È la fotografia che fa dello stato dell’arte e della cultura in Italia il rapporto Federculture 2013, presentato questa mattina a Roma. Ce ne parla Roberta Barbi:
La parola più ricorrente è “declino”: non usa mezzi termini il presidente di Federculture, Roberto Grossi, nel presentare il rapporto annuale sullo stato di salute della cultura in Italia. I dati sono allarmanti: appena 36 milioni di visitatori contro i 40 del 2011 e di questi solo il 28% è costituito da connazionali. Eppure l’Italia con oltre tremila musei, cinquemila siti culturali e oltre 46 mila beni architettonici vincolati, più di 12 mila biblioteche e 34 mila luoghi di spettacolo è unica nel mondo per la ricchezza del suo patrimonio. Un’unicità che però si sta perdendo: nel 2012 nel campo delle presenze turistiche Roma è stata superata da Berlino, dove l’industria culturale è considerata motore centrale dello sviluppo. Molti sono i problemi dei beni culturali italiani – appena tre giorni fa la protesta dei sindacati di settore ha riportato la questione sotto i riflettori – su alcuni dei quali come quello di Pompei, che dispone di 105 milioni di euro del Fondo europeo per lo sviluppo regionale dei quali solo 10 sono stati utilizzati, si è soffermato il presidente Roberto Grossi:
“Pompei è uno dei 47, adesso 48 con l’Etna, siti Unesco. Sono andati gli ispettori dell’Unesco, hanno dichiarato il rischio degrado, ci hanno dato del tempo per superare una serie di problemi, pena mettere il sito di Pompei fuori dal sito Unesco. L’Aquila è veramente un problema di civiltà, un problema che quando si va lì stringe il cuore”.
Con un miliardo e 300 milioni di investimenti perduti negli ultimi 5 anni e una spesa statale pro-capite che ammonta a 25 euro, l’Italia è dunque fanalino di coda di un’Europa sempre più sensibile all’educazione culturale, che parte dalla base: nel 2012, complice anche la crisi, si sono persi tre miliardi di spesa nel settore da parte delle famiglie italiane e la partecipazione culturale degli italiani è ferma al 32%, come ricorda ancora Grossi:
“Siamo diventati ultimi in Europa. Dico solamente questo: guardate l’Italia rispetto alla Danimarca. La spesa per abitante della Danimarca è 10 volte quella dell’Italia, addirittura quella della Grecia è il doppio di quella italiana, della Grecia in default. Quindi vuol dire che c’è un problema di scelte. Nei nostri monumenti più importanti vanno al 90% gli stranieri, al 5% gli italiani. Quindi dobbiamo riportare al centro i cittadini, è indispensabile stimolare la domanda”.
Se finora i governi che si sono succeduti hanno riservato scarsa attenzione alla questione e mostrato un’assenza totale di strategie, l’auspicio è che questi dati servano da stimolo. Federculture, in merito, fornisce anche la propria ricetta:
“Noi abbiamo una proposta: istituire un fondo per la progettualità culturale che possa colmare le lacune che hanno i comuni, le regioni, proprio di progettazione del territorio secondo una logica interattiva, una logica di sistema. La chiave di questo fondo è lo sviluppo locale. Occorre un ministero che sia un centro di coordinamento”.
Nei prossimi giorni il gruppo parlamentare del Pd al Senato depositerà una mozione che impegna il governo a stanziare maggiori risorse per il patrimonio culturale, mentre il Ministero dei Beni culturali sta individuando alcune priorità su cui avviare immediatamente azioni concrete, come ha sottolineato anche il ministro Massimo Bray, intervenuto alla presentazione:
“Bisogna razionalizzare la spesa perché una valorizzazione efficace del nostro patrimonio passa da un meccanismo forse semplice ma difficilissimo da realizzarsi: fare sistema. L’obiettivo che dobbiamo porci è davvero un’alleanza per la cultura, tesa a far nascere e a diffondere presso tutte le forze sociali e in tutti gli ambiti della vita associata una nuova sensibilità, una nuova consapevolezza”.
Nei cinema italiani "La quinta stagione", film dalla forte dimensione ecologica
◊ Presentato lo scorso anno in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, è finalmente arrivato sugli schermi italiani "La quinta stagione", un’esperienza cinematografica piena di suggestioni visive, in cui il tema dell’Apocalisse assume una forte dimensione ecologica e di denuncia delle violenze operate dall’uomo contro la natura, che si ribella silenziosa portando la società umana ai bordi della follia e della scomparsa. Il servizio di Luca Pellegrini:
Le galline hanno smesso di fare le uova, le mucche il latte, le api il miele, in un remoto villaggio belga delle Ardenne. Com’era accaduto prima del diluvio, la popolazione non si fa, all’inizio, tante domande. La vita scorre secondo le antiche tradizioni, si celebra con rito pagano la fine dell’inverno, una stagione che è la prima dell’anno. E forse sarà l’ultima. Si ribella anche il fuoco, l’aria e l’acqua non sono più le stesse, un albero crolla e poi un altro. Gli insetti si moltiplicano. Il cibo scarseggia. I semi non attecchiscono più, lo fa, invece, la paura. I rapporti umani si sbriciolano, non rimane che accarezzare gli alberi, in un panteismo terreno che esclude ogni forma di religiosa preghiera. Peter Brosens e Jessica Woodworth, lui belga e lei americana, non hanno voluto girare un film direttamente riconducibile all’apocalisse del pianeta, ma come questa ipotesi di fine tragica possa creare apocalissi interiori, nelle anime e nei corpi, quando sono alla deriva. Succederà. Si sono chiesti: “Cosa accadrebbe se non arrivasse la primavera? Nel film la natura prende il sopravvento in segno di protesta contro l'umanità. Questa situazione allarmante provoca l'implosione di una comunità. Scampate al naufragio alcune anime riescono a fuggire. Il loro destino resta ignoto”. Il loro film è discretamente arrogante, ma profondamente enigmatico e affascinante. Rarefatto, coglie un allarmismo diffuso che è presente oggi nella società, cavalca le ansie ecologiche. Ispirandosi molto alla pittura fiamminga per i quadri esteriori, mentre quelli interiori sono sensibilmente scandagliati da personaggi che vengono stravolti dagli scherzi della natura prima e dalla violenza incontenibile dell’uomo poi, quando fa uscire il peggio di se. Infatti, lo sfaldarsi delle relazioni umane è l’apice della sconfitta e la comunità, alla fine, ricorre a quella che i registi chiamano “la forma di arroganza più estrema: il sacrificio umano come modo disperato di rovesciare il cattivo presagio”. E’ avvenuto nella storia. Ma il futuro, invece, è messo nelle mani di un adolescente solitario, concentrato nel suo gesto di carità, mentre una famiglia di struzzi africani, sulle note possenti di Bach, invade il borgo abbandonato, in una totale distonia della natura, nella perdita di tutte le certezze.
Lituania: Messaggio dei vescovi per la presidenza di turno dell'Ue
◊ “È necessario avere un bilancio in equilibrio, garantire stabilità all’euro e creare nuovi posti di lavoro, ma è importante ricordare che la stabilità economica dipende in larga misura da un approccio giusto all’uomo, alla sua capacità morale”, scrivono i vescovi lituani in un Messaggio alla nazione per l’inizio del semestre di presidenza europea. “Promuovere il senso di responsabilità dell’uomo e la sua capacità creativa sono i più importanti fattori per la concordia sociale, perciò dovrebbero sempre essere inseriti nell’elenco dei compiti dell’Ue”. Infatti “il vero progresso della società si misura dalla condizione morale, piuttosto che dalla crescita del Pil e quando la si ignora, le leggi e i provvedimenti amministrativi sono a malapena in grado di frenare il declino”. Per i vescovi - riferisce l'agenzia Sir - la crisi demografica è più grave di quella delle banche e necessita di un “approccio privilegiato alla famiglia”. Inoltre essi vedono come “un compito importante di tutte le istituzioni dell’Ue” la difesa della libertà di coscienza e di religione: “I Rappresentanti della Lituania non possono stare zitti quando la tradizione cristiana è marginalizzata o esclusa poiché ciò diminuisce la stabilità del fondamento dell’Unione”. I vescovi concludono invitando a “cercare il Signore, affinché egli possa dare ai leader europei la saggezza per costruire la pace su una solida base di verità e il benessere sul fondamento della solidarietà e della dignità umana”. (R.P.)
Chiese europee: Messaggio di speranza dei segretari generali riuniti a Varsavia
◊ “Non temere! Il Vangelo non è contro di te, ma è a tuo favore
Il Vangelo della speranza non delude!”. Con questo messaggio di speranza, rivolto da Giovanni Paolo II nell’Ecclesia in Europa alla Chiesa del continente, si è concluso ieri a Varsavia il 41° incontro dei segretari generali delle Conferenze episcopali. Filo conduttore dell’incontro - riporta l'agenzia Sir - promosso del presidente della Conferenza episcopale polacca e vice-presidente del Ccee, mons. Józef Michalik, e del segretario generale della Cep, il vescovo Wojciech Polak, la nuova evangelizzazione a dieci anni dell’Ecclesia in Europa nell’Anno della fede. Per il vescovo greco-cattolico di Oradea (Romania), mons. Virgil Bercea, nonostante i “mutamenti sociali e culturali” che hanno causato disorientamento, “la Chiesa è nel mondo ed è pertanto chiamata ad essere segno di Dio e quindi di redenzione e di speranza”, si legge in un comunicato diffuso questa mattina dalla Ccee. Da Paul H. Dembinski (Osservatorio delle finanze di Ginevra) l’invito ad andare oltre “un approccio esclusivamente finanziario della vita”, mentre mons. Juan Antonio Martinez Camino, segretario della Conferenza episcopale spagnola, ha esortato a “guardare la crisi più in profondità”. La crisi spirituale, ha detto, “ha un ruolo decisivo nell’attuale situazione che vive l’Europa”. Il vecchio continente, però, “oltre alle crisi economiche e spirituali - si legge nel comunicato - è pieno di segni di speranza”, come testimoniano i rapporti presentati dai segretari. Mons. Markus Stock (Conferenza episcopale Inghilterra e Galles), chiede una Chiesa capace di “una comprensione radicale della nuova evangelizzazione”, all’avanguardia “nell’ardore, nei metodi e nelle espressioni con cui presenta” il contenuto della fede. “Segno di speranza”, è stato sottolineato, è anche la rilevante mobilitazione dei cittadini attraverso l’iniziativa “Uno di noi” per la tutela dell’embrione umano, cui hanno aderito molte Conferenze episcopali. Mentre la Polonia si prepara a festeggiare i 1050 anni del Battesimo della nazione (966-2016), si è parlato del processo di riconciliazione in corso tra Polonia e Russia (firma di un documento comune tra il patriarca di Mosca Kirill e mons. Michalik), e della firma, lo scorso 28 giugno, di una dichiarazione comune che apre al dialogo e al perdono tra i popoli di Polonia e d’Ucraina. A testimoniare ulteriori “segni di speranza” nonostante difficoltà e persecuzioni, i segretari della Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia, padre Raymond O’ Toole, e dell’Assemblea dei vescovi cattolici della Terra Santa, padre Pietro Felet. Presentata l’attività di Ccee e Comece. A concludere l’incontro la Messa presieduta ieri dal nunzio apostolico, mons. Celestino Migliore. (R.P.)
Congo: dai vescovi sanzioni a un sacerdote e monito al governo
◊ E’ stato destituito dal suo incarico di direttore dell’Istituto panafricano Cardinal Martino e rischia altre sanzioni canoniche padre Apollinaire Malu Malu, il sacerdote riconfermato il mese scorso alla presidenza della nuova Commissione elettorale nazionale indipendente (Ceni). Il provvedimento - riferisce l'agenzia Misna - è stato annunciato dalla Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco), al termine di un’Assemblea plenaria che si è tenuta a Kinshasa. Lo scorso maggio, con un comunicato, la Cenco aveva formalmente vietato a preti e religiosi di candidarsi, definendo una decisione del genere un passo “contrario alle disposizioni del diritto canonico”. Ciononostante padre Malu Malu, 51 anni, originario della provincia del Nord Kivu, ha accettato l’incarico, ricoperto a partire dal 2003. In qualità di presidente della Ceni, il sacerdote è già stato responsabile dell’organizzazione delle elezioni generali nel 2006 e nel 2011, vinte dal presidente Joseph Kabila e dal suo partito. Le ultime consultazioni sono state segnate da gravi irregolarità. Anche l’opposizione politica e alcuni esponenti della società civile hanno apertamente contestato la nomina di Malu Malu, considerata un tentativo del presidente Kabila di assicurarsi un terzo mandato; elezioni presidenziali sono in agenda nel 2016. Da Kinshasa i vescovi hanno poi lanciato un appello per i tre preti e le altre 150 persone rapite nella diocesi di Butembo-Beni, dove la situazione “è preoccupante”. I presuli hanno apertamente accusato il governo, sostenendo che “finora non ha fatto abbastanza per la loro liberazione”. Rivolgendosi all’esecutivo di Kinshasa, il segretario generale della Cenco, padre Léonard Santedi ha chiesto di “prendere la situazione in mano, per identificare i rapitori, ritrovare e liberare tutti gli ostaggi”. Lo scorso 19 ottobre i tre congolesi Jean-Pierre Ndulani, Anselme Wasinkundi e Edmond Bamutute, della congregazione degli Agostiniani dell’Assunzione, erano stati portati via da uomini armati da un convento della parrocchia di Nostra Signora dei Poveri a Mbau, una ventina di chilometri a nord dalla città di Beni, nel Nord Kivu. I vescovi congolesi hanno anche sollecitato le autorità per quanto riguarda le politiche socio-economiche, auspicando “sforzi maggiori per migliorare le condizioni di vita di popolazioni sempre più povere”. Guardando al futuro istituzionale del Paese dei Grandi Laghi, la Cenco ha espresso con tono fermo la propria contrarietà a ogni progetto di revisione della Costituzione, in particolare dell’articolo 220, invitando “tutti gli uomini di buona volontà a rimanere vigili e pronti a bloccare ogni eventuale manovra di modifica”. La questione della revisione costituzionale è all’ordine del giorno in Congo, dove esponenti di maggioranza chiedono con insistenza l’avvio del processo. I vescovi suggeriscono invece l’organizzazione di consultazioni nazionali per arginare il progetto di revisione costituzionale. L’articolo 220 è quello che stabilisce durata e limite del mandato del presidente della Repubblica, il suffragio universale, il sistema di governo, lo status della magistratura, ma anche il pluralismo politico e sindacale. Le conclusioni della 50.ma plenaria della Cenco sono state diffuse venerdì, mentre in Repubblica Democratica del Congo ricorreva il 53° anniversario dell’indipendenza dal Belgio. Nel suo discorso alla nazione, Kabila si è impegnato a fare del Paese una “nazione emergente” dopo “la fine della guerra nella regione orientale”. Nessuna celebrazione ufficiale è stata organizzata “in segno di solidarietà con i congolesi che vivono nelle zone occupate” ha detto il ministro dell’Interno Richard Muyej Mangez, in riferimento ai gruppi armati che dilaniano la ricca provincia mineraria del Nord Kivu col sostegno di alcuni paesi vicini, tra cui Rwanda e Uganda. (R.P.)
Nigeria. “Un ritorno alla barbarie”: condanna dei vescovi contro le esecuzioni capitali
◊ “Mentre stavamo per credere che la Nigeria era sul punto di unirsi al mondo civile nel porre fine alla pena di morte, siamo rimasti scioccati di apprendere delle sciagurate esecuzioni di 4 condannati a Benin City nello Stato di Edo” afferma una dichiarazione inviata a Fides, firmata da mons. Ignatous Ayu Kaigama, presidente della Conferenza episcopale della Nigeria. I vescovi criticano l’interruzione della moratoria sulle condanne a morte che era in vigore in Nigeria dal 2006, dopo che il 24 giugno 4 persone sono state giustiziate tramite impiccagione nella prigione di Benin City (nel sud della Nigeria). Una quinta persona doveva essere invece giustiziata tramite fucilazione ma la condanna è stata rimandata perché il carcere dove è detenuto non è attrezzato per questo tipo di esecuzione. L’applicazione della pena di morte ha suscitato vive proteste in tutto il mondo da parte delle organizzazioni di difesa dei diritti umani. Le autorità rispondono alla critiche ricordando che la pena di morte è ancora contemplata nella Costituzione nigeriana. “Usare la Costituzione per giustificare questo atto è un’evidente caduta dalla modernità alla barbarie” afferma la dichiarazione dei vescovi. “Rinnoviamo l’appello ad emendare la Costituzione per proibire ogni legge che lede i diritti delle persone e in particolare il diritto alla vita”. Il documento ricorda inoltre che la pena di morte non serve né al condannato a conformarsi alle norme della società, né come deterrente per impedire l’attuazione di crimini violenti. “Pensiamo che le azioni volte a riformare i criminali siano più utili alla società che non la pena capitale” conclude la dichiarazione. (R.P.)
Sud Sudan: Settimana di preghiera per la pace
◊ “La pace non si fa con i convegni, ma recandosi dove ci sono i conflitti, incontrando chi combatte e chi soffre”: lo dice all'agenzia Misna mons. Roko Taban, amministratore apostolico della diocesi di Malakal, nel giorno dell’inizio di una settimana di preghiera per la “riconciliazione” in Sud Sudan. La testimonianza di mons. Taban ha un valore speciale perché la sua diocesi comprende Jonglei, una regione tornata ostaggio di un conflitto armato sette anni dopo la fine della Seconda guerra civile del Sudan (1983-2005) e uno dopo la nascita di uno Stato del Sud indipendente da Khartoum. La settimana di preghiera è l’inizio di un percorso delineato da un comitato costituito dal governo ad aprile, alla guida del quale figurano esponenti di spicco delle Chiese locali. Secondo l’amministratore apostolico, “per capire le cause profonde del conflitto di Jonglei e contribuire a risolverlo è essenziale che siano organizzati incontri sul posto e che siano ascoltate le comunità”. In questa regione ai confini con il Sudan e l’Etiopia i tradizionali contrasti tra gli allevatori Nuer e Murle per la terra, i pascoli e l’acqua sono sfociati in una ripresa delle violenze l’anno scorso. Da allora l’esercito del Sud Sudan sta affrontando un gruppo ribelle guidato da un ex generale, David Yau, sostenuto per lo più dai Murle. Combattimenti, agguati e rappresaglie hanno già provocato migliaia di sfollati e costretto spesso le persone ad affrontare lunghi viaggi nel timore di ritorsioni da parte della comunità rivale. La crisi sarà un banco di prova per il comitato voluto dal governo, guidato dall’arcivescovo anglicano Daniel Deng Bul e dal vescovo emerito di Torit, mons. Paride Taban. La settimana di preghiera, che comincia oggi, si concluderà in coincidenza con il secondo anniversario dell’indipendenza del Sud Sudan. (R.P.)
Kenya: appello dei vescovi al governo centrale
◊ I vescovi del Kenya esprimono apprezzamento per il processo di decentramento e di devoluzione dei poteri dallo Stato centrale alle 47 contee che compongono il Paese, previsto dalla nuova Costituzione. Allo stesso tempo, però, avvertono di “non devolvere anche i mali come corruzione, nepotismo e povertà di leadership che hanno sempre afflitto il governo centrale”. Secondo quanto riporta l’Agenzia Cisa di Nairobi queste affermazioni sono state presentate a latere della conferenza stampa convocata per esporre il cambio di denominazione della Conferenza episcopale del Kenya, da Kenya Episcopal Conference (Kec) a Kenya Conference of Catholic Bishops (Kccb). Il cambiamento si è reso necessario perché nel Paese, “vi sono diverse chiese protestanti che hanno per nome Chiese Episcopali, e quindi quando si parla di Conferenza episcopale, è facile confonderla come una di queste Chiese Evangeliche Episcopali”. Nell’occasione i vescovi hanno voluto sottolineare il desiderio di partecipare al controllo dei nuovi poteri locali nella collaborazione reciproca. “Facciamo appello alla creazione di strutture per accrescere la partecipazione della popolazione che è sempre stata lo spirito che ha guidato la devoluzione”. I vescovi hanno infine espresso preoccupazione per l’aumento delle imposte sui beni di prima necessità, sottolineando che la maggior parte dei keniani sono poveri e chiedendo che “cibo, abitazioni e sanità siano incondizionatamente accessibili a tutti”. (R.P.)
Siria: raid aerei dell'esercito sui campi profughi del Nord
◊ Il campo profughi di Bab al-Salam è stato oggetto di un raid aereo da parte dell'aviazione militare siriana che ha provocato sette feriti gravi, compresa una bambina. Lo riferiscono all'agenzia Fides fonti dell'associazione Time4Life, che assiste con aiuti umanitari i rifugiati del campo. Il raid è avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 giugno ed è il secondo attacco aereo subito dal campo profughi nelle ultime settimane. “I nostri contatti nel campo – lancia l'allarme Mirta Neretti, volontaria di Time4Life – temono che si tratti dell'inizio di un'escalation di incursioni intimidatorie messe in atto dalle forze armate governative anche per costringere i profughi a fuggire liberando il terreno, in vista dell'incombente offensiva delle forze pro-Assad per riprendere il pieno controllo dell'area di Aleppo. I 17mila profughi del campo, tra i quali ci sono 5mila bambini, sono del tutto inermi e esposti a ogni violenza”. Le 1.500 tende del campo profughi di Bab al-Salam sorgono a ottocento metri dal confine con la Turchia. I volontari le raggiungono passando dalla città turca di Kilis. L'area è attualmente sotto il controllo delle milizie dei ribelli. Ma da Bab al-Salam giungono notizie su movimenti di truppe dell'esercito governativo - coadiuvato dalle milizie di Hezbollah – anche verso l'altro insediamento profughi di Atma, dove sopravvivono 28mila rifugiati. (R.P.)
Cina: a Hong Kong manifestazione per chiedere democrazia
◊ Una manifestazione, che secondo gli organizzatori ha coinvolto 400.000 persone, ha ricordando a Hong Kong il 16° anniversario del passaggio alla Cina. Soprattutto, però, ha portato ancora una volta in piazza l’insoddisfazione e i timori della maggioranza degli abitanti verso l’esecutivo locale accusato di favorire la politica di controllo di Pechino e di limitare sempre più le libertà civili e democratiche garantite dagli accordi sino-britannici e dalla mini-costituzione dell’ex colonia britannica e oggi Regione autonoma speciale della Repubblica popolare cinese. Per chiedere anche un parlamento eletto a suffragio universale e non con una maggioranza di seggi assegnati da un comitato ristretto controllato da Pechino. A preoccupare gli abitanti - riferisce l'agenzia Misna - sono anche i crescenti costi delle abitazioni e un divario sempre più accentuato di reddito e di possibilità. I manifestanti chiedono al capo dell’esecutivo locale, Leung Chun-ying, di dimettersi per lasciare spazio a un riesame delle leggi e delle regole considerate restrittive sul piano sociale ma anche fortemente limitative dell’autonomia d’impresa e dei diritti sindacali. Gli organizzatori della marcia, che ha attraversato aree centrali del territorio, hanno chiesto ai partecipanti di indossare abiti o fasce di colore bianco, simbolo di lutto per la cultura cinese a significare la morte delle libertà e dei diritti. “La vita degli abitanti di Hong Kong sta peggiorando – ha ricordato ai media locali Icarus Wong Ho-ying, tra i leader del movimento Civil Human Rights Front (Fronte per i diritti umani e civili), che ogni anno organizza l’evento – a partire dal crescente divario tra ricchi e poveri”. Si sono registrate alcune tensioni con la polizia presente in forze a presidiare le vie della manifestazione che si è svolta sotto una pioggiabattente portata da un tifone. (R.P.)
◊ Minacce di estremisti islamici mettono in pericolo le celebrazioni per i 50 anni di sacerdozio di padre Gregorius Utomo, in programma domani. Parenti, amici e semplici fedeli hanno organizzato una serie di eventi e una solenne celebrazione eucaristica, in programma nella cappella privata di preghiera conosciuta col nome di Wisma Tyas Dalem (Casa del Sacro Cuore). L'edificio - riferisce l'agenzia AsiaNews - sorge nel villaggio di Rejoso, sotto-distretto di Jogonalan, nella reggenza di Klaten, nello Java centrale, città natale del prete. Da anni è usata per momenti di preghiera e cerimonie di inculturazione, come la messa di "Rebo Pon". Nei giorni scorsi, alla vigilia dei festeggiamenti, i fondamentalisti del Fronte di difesa islamico (Fpi) hanno però intimato a padre Utomo e ai fedeli di interrompere tutte le attività religiose in programma: essi accusano il sacerdote di usare la casa "in maniera illegale". La "Casa del Sacro Cuore" - sotto l'amministrazione della parrocchia della Vergine Maria di Wedi - in origine era una residenza privata, di proprietà della famiglia Utomo. Negli anni il sacerdote l'ha trasformata in Centro per attività "umanitarie" rivolte soprattutto ai poveri, oltre che in una "casa di preghiera" per la comunità cattolica della zona. Padre Gregorius Utomo appartiene all'arcidiocesi di Semarang - dove il suo lavoro è conosciuto e apprezzato - e per anni ha collaborato con la Conferenza episcopale indonesiana (Kwi) a Jakarta. Egli ha saputo ispirare il movimento per la tutela dei diritti dei contadini e ha promosso in prima persona la giornata dedicata dalla Chiesa all'alimentazione. Alle minacce degli estremisti islamici rispondono i vertici della Chiesa indonesiana, che difendono l'operato di padre Utomo. In una lettera personale inviata ad AsiaNews mons. Johannes Pujasumarta, arcivescovo di Semarang, respinge le accuse del fronte islamista, secondo cui i fedeli vogliono trasformare la Wisma Tyas Dalem in una casa di preghiera "permanente". Il prelato sottolinea che si tratta di "notizie montate ad arte" da media online e giornali, per "gettare discredito" sulla figura del sacerdote. "Ho chiesto personalmente - aggiunge - ai media cattolici di valorizzare la figura di padre Gregorius Utomo e l'attività compiuta nei 50 anni di sacerdozio". L'Indonesia è la nazione musulmana più popolosa al mondo e, pur garantendo fra i principi costituzionali la libertà religiosa, è sempre più spesso teatro di attacchi e violenze contro le minoranze, siano essi cristiani, musulmani ahmadi o di altre fedi. Nella provincia di Aceh - unica nell'Arcipelago - vige la legge islamica, la Shariah, e in molte altre aree si fa sempre più radicale ed estrema la visione e l'influenza della religione musulmana nella vita dei cittadini. Inoltre, alcune norme come il permesso di costruzione - il famigerato Imb - vengono sfruttate per impedire l'edificazione o mettere i sigilli a luoghi di culto cristiani, come avviene da tempo nella reggenza di Bogor, nel West Java, contro i fedeli della Yasmin Church. (R.P.)
India. Adolescenti catturati da riti satanici: allarme dei cristiani
◊ Gli adolescenti dello Stato di Nagaland, in India Nordorientale, sono sedotti da gruppi satanici che si diffondono anche attraverso i social network. Secondo fonti dell'agenzia Fides, solo negli ultimi mesi oltre 3.000 giovani “adoratori di satana” sono stati individuati a Kohima, capitale del Nagaland, e il culto si sta difendendo a macchia d’olio. E’ l’allarme pervenuto a Fides dalle diverse comunità cristiane locali che, a partire dall’aprile scorso, hanno avviato una vera propria “crociata”, per scovare gli adolescenti coinvolti e per strapparli ai gruppi satanici. Per salvare i propri figli, sono scese in campo le madri della “Associazione Cattolica delle Donne del Nagaland” (Ncwa) che, in seminario tenutosi nei giorni scorsi, hanno ribadito forti preoccupazioni e messo in atto un programma per fermare “la terribile pratica che tocca i nostri ragazzi”. Secondo il rev. Zotuo Kiewhuo, Pastore della Chiesa Battista a Kohima, il culto satanico è ampiamente praticato dai giovani nelle scuole e nelle università e negli ultimi cinque anni il fenomeno ha assunto proporzioni rilevanti. I ragazzi assorbono e diffondono la cultura satanica soprattutto tramite siti web e social network come “Facebook” e “Twitter”. Ora, notano i cristiani locali, è tempo di prendere adeguate contromisure, data la pericolosità sociale, culturale e spirituale del fenomeno. Secondo alcune fonti, sarebbe già costituita in Nagaland – stato con una popolazione al 95% cristiana – una “Chiesa satanica sotterranea”. Come riferito a Fides, la madri cattoliche hanno ribadito il loro impegno a rafforzare nei figli la conoscenza delle fede cristiana, senza la quale cadono facilmente preda di disorientamento e, data la crisi dei modelli culturali tradizionali, sono esposti alle seduzioni del demonio e al culto satanico. “La famiglia” – hanno ribadito – è il primo luogo dove presentare Gesù Cristo come unico Signore e salvatore, come sorgente di amore”.
Il Pastore Shan Kikon, della comunità protestante “Faith Harvest Church” in Nagaland, ha detto a Fides di aver incontrato personalmente uno studente di circa 12 anni, che gli ha raccontato di praticare culto a Satana. Come in altre mode giovanili “contano gli amici, le cultura straniera, i mass-media e le reti sociali”, nota il Pastore, a cui si sono rivolti molti genitori per salvare i propri figli. Secondo fonti di Fides, “satana ha già invaso associazioni e comunità cristiane creando confusione, sfiducia reciproca, divisione” e la setta satanica “potrebbe avere “ministri e missionari per indurre in errore i cristiani, metterli contro Dio e per estendere il suo regno”. Padre Charles Irudayam, Segretario della Commissione “Giustizia e Pace” nella Conferenza episcopale dell’India, commenta a Fides: “Siamo rimasti scioccati nell’apprendere tali notizie. Il satanismo non è comunque un fenomeno molto diffuso in India. Quei gruppi nel Nordest sono un campanello di allarme. La Chiesa cattolica e le altre comunità cristiane intendono lavorare molto per approfondire e rafforzare la fede nei ragazzi e nei giovani, tramite programmi pastorali di formazione. Così, in questo Anno della Fede, potremmo debellare questo male”. (R.P.)
Sud Sudan: allarme morbillo per 10 contee del Paese
◊ Una grave epidemia di morbillo sta mettendo in pericolo la vita di molti bambini a Yirol, cittadina al confine sud del neonato Sud Sudan. In tutto il Paese sono 10 le contee che presentano focolai di epidemia, oltre al campo profughi di Maban. In ognuna di queste è in corso una campagna di vaccinazione per i piccoli con meno di 5 anni. I più colpiti sono i piccoli sotto i 9 mesi. A Yirol la campagna è iniziata nei giorni scorsi con il coordinamento dell’ong Medici con l’Africa Cuamm (Cuamm), attiva nell’ospedale di Contea dal 2006, e copre tutte e 7 le unità. Nell’ospedale governativo, dall’inizio dell’anno, sono stati registrati oltre 200 casi ma la situazione sta peggiorando, anche a causa dell’arrivo della stagione delle piogge, con 20 solo nell’ultima settimana. La maggior parte non arrivano in ospedale. I Dinka, la tribù seminomade che popola la zona, considerano infatti il morbillo una malattia che si cura in casa, con infusi tradizionali. Inoltre, le piogge portano le zanzare e la malaria. Nel giro di un mese, le due epidemie potrebbero combinarsi e la situazione sarà ingestibile. Nel 2012 presso l’ospedale sono stati realizzate oltre 35mila visite ambulatoriali, 738 parti, 1.089 visite prenatali e oltre 3.500 ricoveri pediatrici. Il programma di cliniche mobili per raggiungere le aree più periferiche della contea, ha garantito oltre 15mila vaccinazioni, 1.463 visiite prenatali e 1.218 visite pediatriche. L’obiettivo è raggiungere quota 25.000 bambini vaccinati per riuscire a coprire tutta la popolazione infantile sotto i 5 anni della contea di Yirol West. Avviato l’intervento in Sud Sudan nel 2006, con la ristrutturazione e la riapertura dell’ospedale di Yirol nello Stato dei Laghi, il Cuamm ha poi allargato il raggio d’azione intervenendo anche nell’ospedale di Lui, del Western Equatoria.
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 182