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Sommario del 28/06/2013
Il Papa riceve gli ortodossi del Patriarcato ecumenico: non dobbiamo avere paura del dialogo
◊ Un importante incontro a carattere
ecumenico ha aperto gli impegni odierni di Papa Francesco, che ha accolto in
Vaticano la delegazione del Patriarcato ortodosso ecumenico, giunta a Roma
per partecipare, come da tradizione, alla Festa dei Santi Pietro e Paolo del
29 giugno. La solenne celebrazione avrà inizio domattina alle 9.30 nella
Basilica Vaticana e sarà presieduta dal Pontefice, che imporrà il pallio ai nuovi arcivescovi metropoliti. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Verità tra mille voci discordanti, speranza in un mondo che ne conserva poca, pace su un pianeta ancora preda di troppo odio. È quello che i cristiani hanno sempre cercato di testimoniare e che bello sarebbe se la voce che annuncia tutto questo fosse unita. È con questo augurio sostanziale che Papa Francesco, per la prima volta dalla sua elezione, ha condiviso l’abbraccio con i rappresentanti del Patriarca ortodosso ecumenico, Bartolomeo I, nel primo dei due tradizionali incontri che scandiscono ogni anno la celebrazione delle rispettive feste patronali. Un cammino cominciato nel 1969, che ha avvicinato molto le due Chiese sulla strada della piena unità e che – ha osservato il Papa – ha molto da dire al resto del mondo:
“La ricerca dell'unità tra i cristiani è un'urgenza (...) alla quale, oggi più che mai, non possiamo sottrarci. ¡Nel nostro mondo affamato ed assetato di verità, di amore, di speranza, di pace e di unità, è importante per la nostra stessa testimonianza, poter finalmente annunciare ad una sola voce la lieta notizia del Vangelo e celebrare insieme i Divini Misteri della nuova vita in Cristo!”.
Sappiamo bene, ha detto Papa Francesco, che l'unità è per prima cosa “un dono di Dio per il quale dobbiamo incessantemente pregare, ma a noi tutti – ha ribadito – spetta il compito di preparare le condizioni, di coltivare il terreno del cuore, affinché questa straordinaria grazia venga accolta”. Il Papa ha molto apprezzato come “contributo fondamentale alla ricerca della piena comunione tra cattolici ed ortodossi” il lavoro che da anni svolge la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico, attualmente impegnata sul “delicato tema della relazione teologica ed ecclesiologica tra primato e sinodalità nella vita della Chiesa”:
“È significativo che oggi si riesca a riflettere insieme, nella verità e nella carità, su queste tematiche iniziando da ciò che ci accomuna, senza tuttavia nascondere ciò che ancora ci separa. Non si tratta di un mero esercizio teorico, ma di conoscere a fondo le reciproche tradizioni per comprenderle e, talora, anche per apprendere da esse”.
Apprendere, ad esempio, ha affermato Papa Francesco, il senso della collegialità episcopale e la tradizione della sinodalità che, ha riconosciuto, è così “tipica delle Chiese ortodosse”:
"Sono fiducioso che lo sforzo di riflessione comune, così complesso e laborioso, darà frutti a suo tempo. Mi è di conforto sapere che cattolici ed ortodossi condividono la stessa concezione di dialogo che non cerca un minimalismo teologico sul quale raggiungere un compromesso, ma si basa piuttosto sull'approfondimento dell'unica verità che Cristo ha donato alla sua Chiesa e che non cessiamo mai di comprendere meglio mossi dallo Spirito Santo. Per questo, non dobbiamo avere paura dell’incontro e del vero dialogo".
Il Papa: il cristiano sia paziente e irreprensibile, camminando sempre alla presenza del Signore
◊ Il Signore ci chiede di essere pazienti e irreprensibili, camminando sempre alla sua presenza. E’ quanto affermato, stamani, da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che il Signore sceglie sempre il suo modo per entrare nella nostra vita e questo richiede pazienza da parte nostra, perché non sempre si fa vedere da noi. Alla Messa ha preso parte, tra gli altri, un gruppo di dipendenti della Direzione di Sanità e di Igiene, accompagnati dal direttore, dott. Patrizio Polisca. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Il Signore entra lentamente nella vita di Abramo, ha 99 anni quando gli promette un figlio. Entra invece subito nella vita del lebbroso: Gesù ascolta la sua preghiera, lo tocca ed ecco il miracolo. Papa Francesco ha preso spunto dalla Prima Lettura e dal Vangelo odierno per soffermarsi su come il Signore scelga di coinvolgersi “nella nostra vita, nella vita del suo popolo”. Abramo e il lebbroso. “Quando il Signore viene – ha osservato il Papa – non sempre lo fa nella stessa maniera. Non esiste un protocollo d’azione di Dio nella nostra vita”, “non esiste”. Una volta, ha aggiunto, “lo fa in una maniera, un’altra volta lo fa in un’altra maniera” ma sempre lo fa. “Sempre – ha ribadito – c’è questo incontro tra noi e il Signore”:
“Il Signore sceglie sempre il suo modo di entrare nella nostra vita. Tante volte lo fa tanto lentamente, che noi siamo nel rischio di perdere un po’ la pazienza: ‘Ma Signore, quando?’ E preghiamo, preghiamo… E non viene il suo intervento nella nostra vita. Altre volte, quando pensiamo a quello che il Signore ci ha promesso, è tanto grande che siamo un po’ increduli, un po’ scettici e come Abramo - un po’ di nascosto - sorridiamo… Dice in questa Prima Lettura che Abramo nascose la sua faccia e sorrise… Un po’ di scetticismo: ‘Ma come io, a cento anni quasi, avrò un figlio e mia moglie a 90 anni avrà un figlio?’.
Lo stesso scetticismo, ha rammentato, lo avrà Sara, alle Querce di Mamre, quando i tre angeli diranno la stessa cosa ad Abramo. “Quante volte noi, quando il Signore non viene – è stata la sua riflessione - non fa il miracolo e non ci fa quello che noi vogliamo che Lui faccia, diventiamo o impazienti o scettici”:
“Ma non lo fa, agli scettici non può farlo. Il Signore prende il suo tempo. Ma anche Lui, in questo rapporto con noi, ha tanta pazienza. Non soltanto noi dobbiamo avere pazienza: Lui ne ha! Lui ci aspetta! E ci aspetta fino alla fine della vita! Pensiamo al buon ladrone, proprio alla fine, alla fine, ha riconosciuto Dio. Il Signore cammina con noi, ma tante volte non si fa vedere, come nel caso dei discepoli di Emmaus. Il Signore è coinvolto nella nostra vita - questo è sicuro! - ma tante volte non lo vediamo. Questo ci chiede pazienza. Ma il Signore che cammina con noi, anche Lui ha tanta pazienza con noi”.
Il Papa ha rivolto il pensiero proprio “al mistero della pazienza di Dio, che nel camminare, cammina al nostro passo”. Alcune volte nella vita, ha constatato, “le cose diventano tanto oscure, c’è tanto buio, che noi abbiamo voglia - se siamo in difficoltà - di scendere dalla Croce”. Questo, ha affermato, “è il momento preciso: la notte è più buia, quando è prossima l’aurora. E sempre quando noi scendiamo dalla Croce, lo facciamo cinque minuti prima che venga la liberazione, nel momento dell’impazienza più grande”:
“Gesù, sulla Croce, sentiva che lo sfidavano: ‘Scendi, scendi! Vieni!’. Pazienza sino alla fine, perché Lui ha pazienza con noi. Lui entra sempre, Lui è coinvolto con noi, ma lo fa a suo modo e quando Lui pensa che sia meglio. Soltanto ci dice quello che ha detto ad Abramo: ‘Cammina nella mia presenza e sii perfetto’, sii irreprensibile, è proprio la parola giusta. Cammina nella mia presenza e cerca di essere irreprensibile. Questo è il cammino col Signore e Lui interviene, ma dobbiamo aspettare, aspettare il momento, camminando sempre alla sua presenza e cercando di essere irreprensibili. Chiediamo questa grazia al Signore: camminare sempre nella sua presenza, cercando di essere irreprensibili’.
Tweet del Papa: Gesù non ci ha salvato con un idea ma facendosi uomo
◊ Nuovo tweet di Papa Francesco lanciato oggi dal suo account @Pontifex: “Gesù non ci ha salvato con un’idea. Si è abbassato e si è fatto uomo. La Parola si è fatta carne”.
Il Papa conferma la rielezione di padre Pizzaballa a Custode di Terra Santa
◊ Papa Francesco ha confermato l'elezione di padre Pierbattista Pizzaballa, dell’Ordine dei Frati Minori, a Custode di Terra Santa e Guardiano del Monte Sion, per un ulteriore triennio. Nato in provincia di Bergamo nel 1965, sacerdote dal 1990, è Custode di Terra Santa dal maggio 2004. E' stato collaboratore del Patriarcato Latino nella pastorale dei fedeli cattolici di espressione ebraica e ne è diventato Vicario Patriarcale nel 2005, proseguendo nell'incarico fino al 2008.
Altre udienze e nomine di Papa Francesco
◊ Il Papa ha ricevuto in udienza stamani il cardinale Antonio María Rouco Varela, arcivescovo di Madrid e il prof. Carl A. Anderson, Cavaliere Supremo dei Cavalieri di Colombo.
Il Papa ha nominato vescovo titolare di Iliturgi ed Ausiliare dell’arcidiocesi di Toledo, primaziale di Spagna, mons. Ángel Fernandez Collado, Vicario Generale della medesima arcidiocesi.
Il Santo Padre ha nominato coadiutore del Vicario Apostolico di Nekemte in Etiopia, il rev.do P. Varghese Thottamkara, CM, già missionario in Etiopia, attuale assistente generale dei PP. Lazzaristi. Gli è stata assegnata la sede titolare vescovile di Cullu.
In Francia, il Papa ha nominato vescovo ausiliare di Reims il rev.do Bruno Feillet, finora Decano dell’agglomerato urbano di Valenciennes, assegnandogli la sede vescovile di Gaudiaba.
Il Santo Padre ha nominato Promotore di Giustizia del Tribunale della Rota Romana il Rev.do Mons. Pietro Milite, del clero della diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, finora Notaro del medesimo Tribunale.
◊ Riguardo alle notizie riportate oggi da agenzie di stampa sulle indagini relative a mons. Nunzio Scarano, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha dichiarato che “come già noto dai giorni scorsi, mons. Scarano era stato sospeso dal servizio presso l’Apsa da oltre un mese, appena i Superiori erano stati informati che era indagato”. Ciò, ha spiegato, “in applicazione del Regolamento della Curia Romana, che impone la sospensione cautelare per le persone per cui sia stata iniziata un’azione penale”. “La Santa Sede – ha poi aggiunto padre Lombardi – non ha ancora ricevuto alcuna richiesta sulla questione dalle competenti autorità italiane, ma conferma la sua disponibilità a una piena collaborazione”. “La competente autorità vaticana, l’Aif – ha concluso – segue il problema per prendere, se necessario, le misure appropriate di sua competenza”. Padre Lombardi ha inoltre aggiunto che Papa Francesco è stato informato della vicenda.
Il card. Damasceno Assis: aspettiamo con gioia Papa Francesco in Brasile
◊ La Chiesa brasiliana attende con gioia l’arrivo di Papa Francesco. Lo ha ribadito il cardinale Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida, in questi giorni a Roma. Ieri l’incontro con il Santo Padre per mettere a punto i dettagli per la visita, durante la GMG, al Santuario mariano di Aparecida. L’intervista è del collega brasiliano, Silvonei Protz:
R. – E’ stato un incontro molto piacevole. Il Santo Padre era molto contento. Io e il mio vescovo ausiliare abbiamo parlato della sua visita ad Aparecida. Sarà una visita di un giorno ma molto impegnativa. E’ la terza visita di un Papa ad Aparecida: abbiamo ricevuto Papa Giovanni Paolo II nel 1980, Papa Benedetto XVI nel 2007 e adesso Papa Francesco nel 2013. Abbiamo parlato con lui del programma, ma soprattutto della possibilità di celebrare l’eucarestia fuori dalla Basilica, perché il 24 luglio ci aspettiamo un numero molto grande di pellegrini. Ci saranno circa 200-300 mila persone.
D. – Il Santo Padre segue le manifestazioni che in questi giorni si stanno svolgendo in tutto il Brasile?
R. – Penso che le segua in maniera indiretta, attraverso qualche informazione che riceve. Però, lui non è preoccupato per questo. Vede queste manifestazioni come una cosa normale, naturale in un Paese democratico, dove la gente ha il diritto di manifestare. Però, queste manifestazioni devono svolgersi in un clima di rispetto della persona, dei diritti delle persone e soprattutto svolgersi senza alcuna aggressione.
D. – Il Papa sarà ricevuto dai giovani di tutto il Brasile, dell’America Latina, di tutto il mondo per la Giornata Mondiale della Gioventù. In Brasile che aspettative ci sono per questo evento?
R. – Una grande aspettativa. La gente attende il Santo Padre. È la sua prima visita intercontinentale, nel suo continente perché lui è latino americano e questa visita avviene esattamente in un Paese latino americano, il Brasile, dove c’è il maggior numero di cattolici di tutto il mondo. Farà questa visita e noi brasiliani lo aspettiamo con molta gioia, con calore umano. Sono sicuro che sarà una visita molto importante per il Brasile, perché le parole del Santo Padre saranno ascoltate e potranno aiutare i giovani del Brasile e tutti quei giovani che andranno a Rio de Janeiro e che saranno così spinti ad amare di più Gesù Cristo e a vivere questa fede. Penso che sarà una spinta molto grande per i giovani.
D. – Un pensiero sul Santuario di Aparecida: ogni anno sono milioni le persone che arrivano e i fedeli in pellegrinaggio…
R. – Senza dubbio. Ogni anno, abbiamo circa undici milioni di pellegrini ad Aparecida. Ora è un Santuario grande, molto conosciuto e dopo la quinta Conferenza di Aparecida – con la visita di Papa Benedetti XVI – il Santuario è diventato più conosciuto in tutto il mondo. Inoltre il documento prodotto da questa quinta Conferenza è un documento che ispira i programmi pastorali delle Chiese - soprattutto in America Latina – ma ha un’influenza anche sui piani pastorali delle Chiese di tutto il mondo.
Mons. Chullikatt all’Onu: no alle logiche antinataliste, passare dall’egoismo alla solidarietà
◊ Ogni giorno nel mondo muoiono 19 mila bambini sotto i 5 anni a causa di malattie curabili. E’ il dato sconvolgente che mons. Francis Chullikatt ha sottolineato nel suo intervento al Palazzo di Vetro sul tema dello sviluppo sostenibile. L’Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di New York ha, inoltre, messo in guardia dai tentativi – ispirati a meccanismi malthusiani - di ridurre la questione della salute alle preoccupazioni demografiche come se si potessero risolvere le emergenze sanitarie riducendo il numero delle persone, piuttosto che fornendo invece servizi adeguati a chi non ne ha. La Chiesa cattolica, ha detto il presule, è impegnata in prima linea in questo sforzo con i suoi 5.400 ospedali, i suoi 17.500 dispensari e 567 lebbrosari. La Santa Sede, ha ribadito mons. Chullikatt, chiede agli Stati di “andare oltre” una “logica stereotipata” interessata solo alla salute riproduttiva, che maschera un “disfattismo nichilista” nel momento in cui considera un servizio sanitario la “sistematica distruzione dalla vita nascente”. A rendere tutto ancora più tragico, ha denunciato il diplomatico vaticano, è il fatto che la comunità globale ha le capacità tecniche e finanziarie di “salvare milioni di vite ogni anno”. Ed ha denunciato che l’unico motivo “che ci impedisce di adottare un impegno globale per l’accesso alle medicine di base e alle tecnologie è la continua difesa di un’avidità senza freno per il profitto”. Di qui l’appello a spezzare la logica egoista del profitto e a sostituirla con una logica della cura per l’altro e della solidarietà. La Santa Sede, ha concluso, ritiene che invece di investire finanziamenti per cancellare il dono della vita, bisognerebbe rafforzare gli sforzi per salvare le vite di quanti muoiono a causa di malattie curabili. (A cura di Alessandro Gisotti)
Mons. Tomasi: S. Sede soddisfatta per approvazione Trattato accesso a pubblicazioni per ipovedenti
◊ La Santa Sede esprime soddisfazione per l’approvazione del Trattato per facilitare l’accesso alle pubblicazioni per le persone ipovedenti, avvenuta alla Conferenza di Marrakech dell’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (Wipo). Questo risultato, ha detto mons. Silvano Maria Tomasi, “fa la differenza nella vita delle persone” che hanno disabilità della vista e aiuta ad una loro piena partecipazione nella vita della società. Al tempo stesso, ha aggiunto, l’Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra, questo Trattato dimostra che il multilateralismo non solo è vivo, ma può servire come un sistema di concreta implementazione del bene comune. La Santa Sede, ha concluso mons. Tomasi, ha deciso di “siglare immediatamente” il documento e spera in un’ampia ratifica del nuovo Trattato. (Alessandro Gisotti)
Il vescovo ausiliare di Buenos Aires: con il suo stile il Papa rende vive le parole del Vangelo
◊ Misericordia e tenerezza: sono fra le due prime parole usate da Papa Francesco all’inizio del suo Pontificato. Nelle Messe della mattina a Casa Santa Marta ma non solo, il Papa è tornato anche su altri termini che in qualche modo sembrano caratterizzare il suo magistero, come magnanimità, amore ai nemici, comunione. A più di tre mesi dall’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio al Soglio di Pietro, ripercorriamo alcuni aspetti del suo pensiero con l’aiuto del vescovo ausiliare di Buenos Aires, mons. Eduardo Garcia che conosce Papa Francesco da oltre 20 anni. Il servizio è di Debora Donnini:
Magnanimità, amore ai nemici, annunciare il Vangelo, andare alle periferie esistenziali, essere cristiani gioiosi. Papa Francesco più volte ha dipanato questi concetti che sembrano rimandare ad una questione centrale: la conversione personale. Conversione legata ad un rapporto con Gesù Cristo a cui il Papa esorta. Sentiamo mons. Eduardo Garcia:
“El Papa, lo que va haciendo es un discernimiento de la vida…
Quello che sta facendo il Papa è un discernimento della vita a partire dal Vangelo e chiaramente lì c'è il tema della conversione, lì c’è la fonte della nostra vita di fede. Io credo che ogni mattina il Papa, quando fa la sua riflessione sul Vangelo, lo applichi concretamente alla vita: da lì passa la nostra vita cristiana, per fare questo discernimento di leggere la nostra vita alla luce del Vangelo. E’ chiaro che in questo ogni mattina il Papa è molto concreto perché non parla di temi, ma parla del Vangelo e lo porta nella realtà. In questo appare la sua radice 'gesuita': discernere la vita”.
Un altro aspetto affrontato dal Papa è quello dell’amore al nemico di cui ha parlato come di una “saggezza tanto difficile, ma tanto bella perché ci fa assomigliare al Padre, al nostro Padre” che “fa uscire il sole per tutti, buoni e cattivi. E ci fa assomigliare al Figlio, a Gesù, che nel suo abbassamento si è fatto povero per arricchirci, a noi, con la sua povertà”. Ancora mons. Garcia:
“Es el centro también de nuestra fe...
E’ anche il centro della nostra fede: Gesù che viene a riconciliarci con il Padre che ci riconcilia fra di noi. Credo che quello che il Papa stia facendo sia di tornarvi su, affinché non dimentichiamo le radici e il fondamento della nostra fede. Il Papa proclama l’amore universale di Gesù”.
Un'altra parola-chiave di Papa Francesco sembra essere “magnanimità”, larghezza di cuore tanto che, sempre in un’omelia della Messa a Casa Santa Marta, ha detto che “il cristiano è una persona che allarga il suo cuore, con questa magnanimità, perché ha il ‘tutto’, che è Gesù Cristo. Le altre cose sono il ‘nulla’. Sono buone, servono, ma nel momento del confronto sceglie sempre il ‘tutto’, con quella mitezza, quella mitezza cristiana che è il segno dei discepoli di Gesù: mitezza e magnanimità”. Papa Francesco, dunque, usa parole dirette per discorsi profondi teologicamente e umanamente…
“El Papa usa palabras simples, que pueden entender todos…
Il Papa usa parole semplici, parole che possono essere comprese da tutti, che può comprendere l’uomo comune. Quando parla di magnanimità, parla di un cuore grande, di un cuore che sia capace di amare tutti, un cuore che sia capace di offrire, di soffrire e soprattutto di un cuore che sia capace di amare coloro che più hanno bisogno, i più poveri. E lui unisce due cose, perché quando parla di magnanimità, parla anche delle 'periferie', le 'periferie esistenziali': la vita che è ai margini a livello economico, sociale, in diversi aspetti... Parla di avere un cuore grande per amare queste realtà, per poterle portare nel cuore, per poterle aiutare: di un cuore grande come quello di Gesù Cristo. Credo che questo sia il messaggio del Papa e quello che fa abitualmente: avvicinarsi alle periferie, perché sono proprio quelle che ama più il Signore, sono i prediletti. Questo quello che mi ha raccontato: dopo un’udienza del mercoledì, dopo aver salutato molti infermi, qualcuno gli ha detto: 'Non le sembra che siano molti e bisognerebbe che ve ne fossero meno?'. E Lui ha risposto: 'Facciano venire tutti quelli che possono, che io li saluterò tutti, perché loro mi apriranno la porta del Cielo'”.
In un recente discorso a una delegazione del Comitato Ebraico Internazionale per le consultazioni interreligiose, il Papa ha detto: “Per le nostre radici comuni, un cristiano non può essere antisemita”, facendo tra l’altro riferimento alla Dichiarazione Nostra Aetatae del Concilio ecumenico Vaticano II. Papa Francesco quando era cardinale a Buenos Aires aveva relazioni di grande amicizia con esponenti del mondo ebraico come ci conferma mons. Garcia:
“El ha tenido dos posiciones…
Ha avuto due posizioni. Credo non sia soltanto un atteggiamento formale, diciamo così, per compiere quello che dice il Concilio, ma ha sempre avuto verso membri del popolo ebraico anche un atteggiamento affettivo, di amicizia concreta, che va al di là di quello che ci invitano a vivere i documenti. E’ molto amico di un rabbino, con il quale ha condiviso un programma televisivo per molto tempo, ha fatto il prologo a un suo libro e anche il rabbino ha fatto il prologo a un libro dell’allora cardinale Bergoglio. Lui ha dunque un atteggiamento di buone relazioni, ma anche affettivo e di vicinanza con membri del popolo ebraico”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ L’urgenza dell’unità: Papa Francesco a una delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli.
Il mistero della pazienza di Dio: Messa del Pontefice a Santa Marta.
Bergoglio, Hegel e l’America Latina: il testo scritto, nel 2006, dall’arcivescovo di Buenos Aires riguardo a un libro della filosofa Amelia Podetti, figura di rilievo nel panorama culturale argentino degli ultimi cinquant’anni.
Io vinco per mezzo dei deboli: in prima pagina, Manuel Nin su Pietro e Paolo nella poesia di Romano il Melode. In cultura, sulle origini del culto per i patroni di Roma, gli articoli di Carlo Carletti e Fabrizio Bisconti.
Nuove occasioni per le solite prediche: l’introduzione di Lucetta Scaraffia curatrice del libro “I vizi capitali”, che raccoglie il ciclo di predicazioni tenute da varie personalità ecclesiastiche e del mondo della cultura nell’edizione 2012 del Festival dei Due Mondi a Spoleto.
In rilievo, nell’informazione internazionale, l’Ue che va verso un’intesa sull'unione bancaria.
Il segretario di Stato Usa Kerry in Medio Oriente per rilanciare il processo di pace
◊ Prosegue la visita del segretario di Stato americano, John Kerry, in Medio Oriente. Gli Stati Uniti tentano, così, di rilanciare il difficile processo di pace israelo-palestinese. Ieri sera, il capo della diplomazia di Washington ha avuto un lungo colloquio a Gerusalemme col premier israeliano, Benyamin Netanyahu. Oggi, invece, l'incontro ad Amman con il presidente palestinese, Abu Mazen. Sull’azione diplomatica di Kerry, Salvatore Sabatino ha intervistato Marcella Emiliani, esperta dell’area:
R. - Visto il pericolo rappresentato dal dilagare della guerra civile siriana, urge una iniziativa diplomatica internazionale, che abbia - diciamo così - una visione il più possibile regionale. E’ chiaro che, accanto al problema siriano, c’è sempre il vecchio contenzioso israelo-palestinese. Ora vediamo quali saranno i risultati.
D. - Il premier israeliano Netanyahu pare che sia pronto a cedere il 90% dei territori occupati in cambio di sicurezza. Un’apertura che suona davvero come una svolta...
R. - Non voglio mettere in discussione le intenzioni del primo ministro israeliano, ma allo stato attuale è molto difficile dire qual è il territorio della sola Cisgiordania che è rimasto disponibile per la restituzione. Non dimentichiamoci che c’è una moltiplicazione continua, ancora in atto, della colonizzazione ebraica in Cisgiordania. L’altro punto che ha posto Netanyahu è che venga garantita la sicurezza di Israele in cambio della restituzione dei territori. Il problema qui è: chi ha il controllo di tutte le formazioni palestinesi, che ancora oggi militano per la distruzione di Israele?
D. - C’è un "pressing" in corso di Stati Uniti e Europa, secondo indiscrezioni di stampa, affinché i palestinesi acconsentano alla ripresa dei negoziati. Che tipo di risposta ci possiamo aspettare?
R. - Io credo che Abu Mazen porrà la condizione che pone sempre: prima di tutto che Israele dia un segno di buona volontà sospendendo la colonizzazione dei territori e possibilmente allentando la morsa attorno a Gaza. Dopo di che, vista l’esperienza passata, si daranno anche loro la classica regolata.
D. - Kerry ha detto chiaramente di non voler indicare scadenze per il processo di pace. Però, ha avvertito che sono necessari progressi prima dell’Assemblea generale dell’Onu di settembre. Cosa avverrà in quella data?
R. - In quella data, intanto, dovrebbe già essersi svolta la Conferenza di "Ginevra 2" sulla Siria, in cui sarà possibile testare innanzitutto se è stato raggiunto un minimo di accordo tra le due superpotenze, Stati Uniti e Russia, per quello che riguarda la Siria stessa. Secondariamente bisogna vedere anche l’atteggiamento degli altri contendenti del conflitto siriano, che sono l’Arabia Saudita e il Qatar, che - come sappiamo - armano l’opposizione, quando non sono addirittura in dissidio tra di loro anche su questo punto. Quindi, è chiaro che per i tempi del Medio Oriente, dove i conflitti dilagano alla velocità della luce, parlare di ottobre è già una data parecchio, parecchio dilazionata. Certamente, però, il fatto che Kerry sia così pressante con le iniziative diplomatiche in Medio Oriente è, se non altro, un buon segnale.
Canti e preghiere per accompagnare Mandela, oggi Obama in Sudafrica
◊ E’ stata ancora una notte di canti e preghiere a Pretoria, in Sudafrica. Moltissime persone stanno accompagnando così le ultime ore del 94.enne ex presidente, Nelson Mandela. Nel Paese, oggi arriva il capo della Casa Bianca Obama, che farà tappa nel carcere di massima sicurezza di Robben Island, la prigione dove Mandela trascorse diversi anni. Benedetta Capelli ha raggiunto telefonicamente a Pretoria Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid International, nella capitale sudafricana per l’assemblea internazionale dell’organizzazione:
R. – Il Sud Africa aspetta questo momento, dal punto di vista umano, ormai con la normalità con la quale si aspetta la fine della vita di un uomo di 94 anni, simbolo per questa nazione e simbolo per il mondo. Passando sotto la clinica dov’è ricoverato ho avuto una bella impressione, perché in genere quando ci sono questi momenti c’è anche un po’ di “voyeurismo”, invece non si respira assolutamente quest’aria. Stando lì si respira assolutamente l’aria di un “accompagnamento” verso questo passaggio in cui i sudafricani sicuramente riflettono su quelli che sono stati gli ultimi 30/40 anni della loro storia; riflettono su quello che questo uomo ha significato per loro e riflettono anche sul fatto che dopo la vittoria cruciale di 20 anni fa – con la liberazione dall’apartheid - in realtà questo Paese ha vissuto anche molte contraddizioni: sono ancora forti le disparità tra bianchi e neri, disparità sociali e dal punto di vista economico ci sono anche gravi forme di ingiustizia sociale. Quindi, questa è un’occasione sicuramente per riflettere. Si vedono bianchi e neri con gli occhi lucidi passare di fronte all’ospedale. Quello che noi tutti viviamo è un fenomeno planetario: questo uomo è stato un simbolo per tutti ed anche in questo passaggio è uno stimolo a credere veramente nei cambiamenti possibili.
D. – Le televisioni stanno trasmettendo immagini di persone che cantano e pregano. Un modo molto bello di accompagnare Nelson Mandela…
R. – Sì, l’atmosfera è serena, c’è mestizia ma c’è anche qualche sorriso. Un uomo di 94 anni che se ne va avendo dato tutto quello che poteva dare. Ci si ritrova e ci si abbraccia come si deve fare in queste situazioni.
D. – La storia di Action Aid in un certo modo si interseca con le battaglie di Nelson Mandela. Lei ha un ricordo particolare o una frase che l’ha guidata anche nella sua attività?
R. – Mandela è conosciuto da tutti per la sua lotta contro l’apartheid, però ha capito che lo sviluppo di un intero popolo dipende dalla volontà politica di farlo uscire da gravi forme di esclusione sociale. Io ricordo in particolare una sera di febbraio a Trafalgar Square, quando venne a Londra e parlò a migliaia di persone – si preparava il vertice di Gleneagles – lui chiaramente disse in molte maniere, ma in buona sostanza, che senza essere liberi dalla povertà non si è veramente liberi. Questo si interseca con la storia personale di molti noi, ma si interseca anche con la storia di Action Aid, si interseca nelle parole, nelle battaglie, si interseca anche nella volontà di ribadire il fatto che per vincere la povertà bisogna essere radicati sul territorio, vicini ai luoghi dove la povertà si trova ed essere vicini alla gente. La lotta contro la povertà non è solo dall’altra parte del mondo: è anche sotto casa e questo può diventare veramente uno stimolo a mettere in pratica il cambiamento che vogliamo ovunque. In questo, Mandela è sicuramente un testimone del nostro tempo che non ci dimenticheremo mai.
Parma: funerali di padre "Bepi" Berton, apostolo dei bambini soldato in Sierra Leone
◊ “L’importante è donarsi e avere fiducia nella provvidenza, in Dio”. Questa la certezza che ha guidato, per 81 anni, padre Giuseppe Berton, missionario saveriano, morto il 25 giugno scorso. Oggi i funerali presso la Casa Madre dell’Ordine, a Parma. Padre Giuseppe, "Bepi" come veniva chiamato affettuosamente, fondatore “del Movimento delle Case famiglia”, ha speso tutta la sua esistenza al sevizio degli altri, in particolare dei bambini vittime della guerra in Sierra Leone. Massimiliano Menichetti:
Ottantuno anni ed una grinta senza confini, quella che un anno fa lo ha riportato, nonostante la precarie condizioni di salute, in Sierra Leone, dove ha trascorso una vita prendendosi cura dei piccoli senza famiglia, degli ex bambini-soldato arruolati e deturpati dalla guerra (1992-2000). Così padre Giuseppe Berton, nel giugno del 2012, parlava ai nostri microfoni della sua amata Africa:
"Ho imparato un sacco di cose, specialmente quella di saper accettare quel che viene, quello che capita. Lì c’è la Provvidenza, e lasciamo che operi. Noi siamo presenti oggi e saremo presenti domani. E loro questo senso della provvidenza, della fiducia in Dio, ce l’hanno davvero molto forte".
Padre “Bepi”, come lo chiamavano tutti, era un uomo di Dio al servizio degli ultimi, libero nel cuore. A Freetown la sua eredità visibile il "Family Homes Movement”, una rete di case famiglia per ridare dignità, futuro e luce a occhi senza più speranza.
Il ricordo di padre "Bepi", nelle parole di padre Stefano Berton, fratello di Giuseppe, anche lui missionario saveriano:
R. – Giuseppe era il primo in una famiglia di dieci figli, un po’ il caposquadra. Tra noi ci volevamo bene e spesso scherzavamo. Lui diceva: “Io sono l’originale della squadra di dieci, voi siete venuti dopo, siete copie”. Io replicavo sempre: “Ma guarda che la mamma non era pratica, allora, sai? Poi è andata migliorando …”. Cinque maschi e cinque femmine, lui – Bepi è il primo, io terzo dei dieci e secondo Saveriano, mentre il terzo è sacerdote diocesano – don Bruno – nella diocesi di Vicenza. Ma comunque, lui ha sempre conservato tra di noi questo primato morale di autorità, di amore, di tutto.
D. – Grandissimo è l’impegno che suo fratello ha avuto affianco dei bambini …
R. – Gli ultimi vent’anni li ha dedicati al recupero dei ragazzi-soldato, in Sierra Leone. Ha fondato anche una associazione, “Family Homes Movement”, dove accoglieva i ragazzi che recuperava dalla guerriglia. Lo stesso esercito, la polizia, sapevano che mio fratello dirigeva a Lakka, alla periferia di Freetown, questo centro di recupero e quando catturavano questi ragazzi glieli portavano, e lui se li teneva e dopo li sistemava presso famiglie per aiutarli a ricostruirsi una famiglia e un avvenire.
D. – Che cosa erano per suo fratello i bambini?
R. – Per lui erano tutto! La sua era una propensione naturale, una missione di vita. Aveva un carattere allegro, sapeva scherzare, giocare… Lui amava stare con i ragazzi e dare speranza. Lui, grazie ad aiuti, aveva anche trasformato un Centro per il turismo in un centro di recupero per i ragazzi.
D. – Ci regala un’immagine di suo fratello, una cosa l’ha colpita?
R. – Per esempio: era così africano che il suo orologio era come quello degli africani: il sole, le nuvole… Gli africani dicono: “Vuoi che mi alzi, se il sole non è ancora venuto fuori?”. Lui si era così, io dico “africanizzato”. Quando dovevamo viaggiare, gli dicevo: “Ma guarda, Bepi, che dobbiamo prendere il treno, o la corriera, partire tra un quarto d’ora …”. E lui mi smontava: “Non preoccuparti dopo ce n’è un altro, sai?”
D. – La vita, di tutti e due, comunque è stata tutta orientata a Dio e all’altro…
R. – A Dio e alla missione. Le racconto un altro aneddoto che è rimasto storico in famiglia. A un certo punto, siccome pareva che il superiore generale non fosse pronto e disposto a mandare mio fratello in missione, lui ha fatto una fotografia con una cugina – la cugina Lorena, a quei tempi era una che faceva colpo – e ci ha scritto sotto: “Padre generale se non mi mandi, l’ho già pronta per sposarmi”. Secondo lui, aveva in mano la carta vincente… Questo episodio è solo per far capire il tipo…
D. – Padre Giuseppe come ha vissuto gli ultimi momenti della vita?
R. – Lui è ritornato in Sierra Leone l’anno scorso, il 17 novembre, ma è ritornato con una salute molto incerta e contro il parere di tutti i medici. E’ andato con due volontari. Le sue condizioni però si sono subito aggravate e quindi lo hanno riportato in Italia. Lui aveva sempre detto di voler morire e rimanere là, e invece i superiori lo hanno richiamato perché sarebbe stato impossibile curarlo. Però, qualche giorno fa, con alcuni amici africani, abbiamo rivissuto quei momenti ed ho detto: “Guardate, portate pazienza: noi, come saveriani, dobbiamo essere seppelliti dove cadiamo. Quindi, sarà sepolto in Italia; ma non abbiate paura, abbiate pazienza: vedrete, ritornerà in Africa”. Questa sera lo tumuliamo nella tomba di famiglia a Marostica; penso che quando verrà il tempo, tornerà nella sua Africa …
Card. Bagnasco: il governo su lavoro giovanile? "Un primo passo"
◊ Per il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, i provvedimenti del governo in fatto di lavoro sono un primo passo e si spera “che dopo questo se ne facciano altri”. E a livello europeo c’è soddisfazione per il via libera in nottata dal vertice di Bruxelles al pacchetto di interventi sul lavoro. Il servizio di Alessandro Guarasci:
Il cuore del provvedimento sono i 6 miliardi di euro della “Youth guarantee” (per l'Italia 400-600 milioni), spendibili già dal primo gennaio 2014. Ma poi sono stati riprogrammati i fondi strutturali non spesi del vecchio bilancio 2007-2013. Anche il fondo sociale del nuovo bilancio 2014-2020 verrà in soccorso. Inoltre, è previsto un rafforzamento dell’apprendistato e dell’apprendistato. Strumenti che dovrebbero servire per arginare il calo dell’occupazione giovanile, che nell’Europa del sud riguarda un ragazzo su tre. Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, afferma che “la fascia delle persone tra i 15 e i 29 anni è stata quella più penalizzata negli anni di crisi con 727 mila occupati in meno con questa età, a fronte di 800 mila posti persi nel complesso”. Giovannini, poi, a settembre proporrà modifiche alla legge Fornero sulle pensioni nella direzione di un possibile anticipo nell'uscita dal lavoro a fronte di penalizzazioni. Per il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, bisogna prendere atto dei passi avanti fatti dal governo, “sempre meglio di niente”.
Il Catechismo per la prima volta tradotto in video. Intervista col regista Kolndrekaj
◊ Una sfida impegnativa per diffondere la bellezza della fede cristiana attraverso il linguaggio e i segni della società contemporanea. Questo il non facile obiettivo del “video-Catechismo della Chiesa Cattolica”, un’opera in quattro volumi illustrati e altrettanti dvd allegati, comprendenti 2500 minuti di immagini, che descrivono e narrano, in vari episodi e segmenti, i contenuti del Catechismo stesso. La realizzazione, disponibile al pubblico da novembre prossimo e prodotta da CrossinMedia Group e dalla Libreria Editrice Vaticana (Lev), è stata presentata stamani presso la Sala Marconi della Radio Vaticana. Presenti, tra gli altri, l'arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Don Giuseppe Costa, direttore della Lev, e Gjon Kolndrekaj, il regista del video-Catechismo. Giancarlo La Vella ha intervistato quest’ultimo sulla nascita del progetto:
R. – Il progetto nasce un anno fa, parlando con don Giuseppe Costa, che è il direttore della Libreria Editrice Vaticana. Quando lui mi parlò di questo progetto, lì per lì rimasi un po’ perplesso perché mille pagine, più il Compendio di 200 pagine da tradurre in video, è un po’ impegnativo. Però, dopo vari incontri, comprendendo questa la sua visione di editore, ho detto: “Bene, ci sto”. Abbiamo lavorato a lungo e abbiamo capito anche la dimensione che avremmo dovuto dare a questo Catechismo: è la prima volta che si realizza un’opera simile e viene girata nei cinque continenti della terra, anche per scoprire le bellezze dell’espressione della fede. Per esempio, c’è grande differenza tra il nostro Paese e l’Africa: qui, ci sono Paesi che hanno quattro-cinque parrocchie e alla Messa ci sono cinque-sei persone che assistono, mentre in Africa addirittura si svegliano anche sei ore prima per andare ad assistere ad una Messa domenicale. Anche queste ricchezze del Catechismo a livello mondiale noi dobbiamo testimoniarle, anche con le immagini. Ecco il motivo per cui abbiamo detto: “Ok, facciamolo, e lo ambientiamo nei cinque continenti della Terra”.
D. – Come fare del Catechismo in video qualcosa di estremamente utile per iniziare un cammino di fede e per proseguire un cammino di fede?
R. – La nostra fortuna – e parlo da cristiano – è che noi abbiamo una ricchezza immensa: basta scoprirla. Se noi prendiamo il Catechismo, scopriamo tutti i valori fondamentali dell’umano. Se questi valori fondamentali noi li esprimiamo quotidianamente, l’uomo sarebbe la perfezione di Dio. E’ questo il nostro intento: far captare questa immagine a livello di comunicazione per comprendere quello che sta avvenendo. Infatti, molti leggono ma non sanno immaginare. Allora, questa combinazione del testo integrale del Catechismo viene riportato in immagine e abbinando la parola e l’immagine otteniamo una forma di comunicazione utile soprattutto ai giovani, per le generazioni future.
D. – Come regista, quali sono gli aspetti che più l’hanno stimolata per creare un’opera del genere?
R. – Per esempio, nel numero-pilota che naturalmente abbiamo presentato alla Santa Sede, abbiamo parlato del Battesimo, cioè l’iniziazione cristiana. Nel Battesimo, noi comprendiamo benissimo due elementi: l’acqua e il nome. L’unione a Cristo avviene tramite questi due elementi. Allora, acqua e nome – una cosa bellissima – si possono trasformare con grande immaginazione e questo è l’intento anche nel trovare la soluzione a livello espressivo.
D. – Un’opera che si lega strettamente alla catechesi del nuovo Pontefice, di Papa Francesco, che nelle sue omelie parla spesso molto per immagini, per esempi…
R. – Indubbiamente. Noi abbiamo proprio riportato e siamo in piena sintonia con il Santo Padre. Un elemento, tramite gli esempi, che viene captato ed espresso fortemente anche verso altre terre. Noi, con la nostra cultura, crediamo di essere forti nella comunicazione, ma spesso non è così. E con questo lavoro spero di arrivare proprio lì …
Festival di Spoleto: 7 serate dedicate alle Opere di Misericordia spirituale
◊ Con oltre 50 anni di storia il Festival dei 2 Mondi di Spoleto, questa sera torna ad alzare il suo sipario, aprendo 17 giorni di grandi emozioni dedicati a Opera, teatro, musica e danza, ma anche a un ricco filone di iniziative legate allo spirito. Ci sarà uno spettacolo sul cardinale Martini, un concerto sulla vita di San Filippo Neri e il ciclo delle “Prediche” dedicato alle Opere di misericordia spirituale. In collaborazione col Pontificio Consiglio della Nuova Evangelizzazione, cardinali, vescovi e religiosi si confronteranno con la platea variegata del Festival. Un connubio fortemente voluto dal direttore artistico Giorgio Ferrara. Gabriella Ceraso lo ha intervistato:
R. - E’ stata una cosa che abbiamo inaugurato l’anno scorso con i Vizi capitali. Abbiamo fatto questa scommessa e abbiamo avuto un risultato straordinario, perché il pubblico affollava questa grande chiesa di San Domenico di Spoleto ed era veramente grato di questa iniziativa. Vedere questi grandi personaggi della Chiesa alle prese con queste prediche, che sono cose - diciamolo - un po’ dimenticate, è stata proprio una gioia.
D. - Come è intesa l’idea della predica? Un po’ come guida o spiegazione di qualcosa che nessuno si sofferma mai bene a capire…
R. Certo. Credo che il pubblico questo lo senta. C’è una attenzione veramente - direi - quasi spasmodica. Queste Opere anche di misericordia - consigliare i dubbiosi, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste - sono cose, se vengono attuate e vengono presentate in modi diversi a seconda della persona che predica, che diventano una cosa abbastanza straordinaria.
D. - Voi nel Festival ospitate anche uno speciale sul cardinale Martini. Lei crede, dunque, questo connubio fattibile: il teatro o comunque un palcoscenico o un contesto tale non stride con quanto è spirito?
R. - Assolutamente no, anzi ne ha bisogno!
Siria. Appello di Gregorios III: "Basta fornire armi". P.Pizzaballa smentisce la morte di tre frati
◊ “Un atto barbaro commesso da banditi e criminali senza scrupoli e rivolto verso gente innocente”. Forte e dura è la condanna dell’attentato suicida, avvenuto ieri pomeriggio nelle vicinanze della cattedrale greco-ortodossa di Bab Tuma (sede della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia), nel quartiere di Bab Sharqi, nel centro storico di Damasco, di Gregorios III Laham, patriarca cattolico di Antiochia, di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti. Il bilancio parla di almeno quattro morti e diversi feriti. “Si tratta di gruppi e persone non controllabili dall’opposizione che sembra non esserci più - dichiara al Sir il patriarca -, ci sono alcuni Stati che vogliono armare queste bande criminali e questo è molto grave”. Fonti del patriarcato ortodosso dell'agenzia AsiaNews, anonime per motivi di sicurezza, hanno detto che "l'esplosione avvenuta non aveva come obiettivo la cattedrale". L'ordigno ha colpito il Dar al-Ihsan, un istituto caritatevole musulmano situato a circa 50 metri dalla cattedrale cristiana. Ma la Siria - riferisce l'agenzia Sir - è un Paese sprofondato nel caos in preda a rapimenti e violenze di ogni genere. “Sono sessanta giorni che due nostri confratelli vescovi, quello siro-ortodosso di Aleppo, Youhanna Ibrahim, e quello greco-ortodosso di Aleppo e Iskanderun, Boulos al-Yazij, sono nelle mani dei rapitori e non abbiamo notizie. Non sono gli unici, ricordo anche due sacerdoti e moltissime altre persone. Chiediamo alla comunità internazionale d’impegnarsi per il loro rilascio”. Ma l’appello di Gregorios III non si ferma qui: “Diciamo al mondo: basta fornire armi ai criminali e andiamo a Ginevra per aiutare i siriani a fare la pace. Abbiamo una grande tradizione di convivenza e di dialogo e abbiamo le capacità per poterlo fare. Aiutateci a fare la pace non la guerra. I combattenti contro il regime di Assad non sono siriani ma vengono da fuori. Queste efferatezze non appartengono alla nostra tradizione di rispetto e tolleranza”. Tra l'altro questa mattina il Custode di Terra Santa padre Pierluigi Pizzaballa ha smentito la notizia della decapitazione di tre religiosi francescani del convento siriano di Ghassanieh, da parte del Fronte al Nusra, dopo un processo sommario. “Non ci risulta nessuna notizia di questo tipo. Non abbiamo notizia della morte di nessuno dei nostri frati. Abbiamo chiamato in Siria e non ci risulta nulla. Sono tutti vivi. Leggendo ciò che alcuni media hanno scritto - osserva padre Pizzaballa - credo abbiano mischiato notizie vecchie. Non ci risulta nulla”. (R.P.)
Siria. Nuovo rapporto sulla guerra civile: i cristiani sono tra i “più vulnerabili”
◊ Mentre il sacrificio di vite umane nel conflitto siriano raggiunge la soglia dei 100mila morti, Un dettagliato rapporto di 78 pagine commissionato e pubblicato da Open Doors International (l'agenzia di soccorso ai cristiani perseguitati fondata dal missionario evangelico olandese Anne van der Bijl) e pervenuto all'agenzia Fides documenta con dati oggettivi la particolare esposizione delle comunità cristiane siriane alle conseguenze disastrose della guerra civile. Il rapporto, intitolato Vulnerability Assessment of Syria's Christians e curato dall'analista geo-politico Nicholas Heras, raccoglie e espone con rigore scientifico i fattori di “vulnerabilità” che connotano la condizione dei cristiani nell'attuale scenario siriano. A differenza di altri gruppi minoritari come gli alawiti e i curdi, schierati contro le forze d'opposizione – si legge nel resoconto di Open Doors - la posizione dei cristiani rispetto ai fronti in lotta appare più complessa e sfumata. Contrariamente a quello che sostengono settori dell'opposizione, i cristiani non sono in blocco e pregiudizialmente schierati con Assad. Intellettuali cristiani come Michel Kilo, Faiz Sara e George Sabra (attuale presidente del cartello d'opposizione Syrian National Coalition) hanno fin dall'inizio esercitato un ruolo riconosciuto negli ambienti della dissidenza. Anche molti cristiani avevano partecipato alla manifestazioni anti-regime per chiedere maggiore libertà e democrazia, prima che il conflitto dilagasse in tutto il Paese. Lo studio prodotto da Open Doors parla di cristiani presenti tra le milizie del Free Syrian Army, braccio militare dell'opposizione. Sul lato opposto, anche molti cristiani sarebbero stati arruolati nei Comitati di autodifesa popolare sorti per difendere i propri villaggi e insediamenti dai raid delle milizie d'opposizione. Secondo le analisi curate da Heras, nella prima fase del conflitto non si registravano attacchi mirati ai cristiani in quanto tali. Col tempo, la progressiva settarizzazione della guerra civile ha registrato un aumento di omicidi, rapimenti, stupri e violenze ai danni dei cristiani compiuti dai gruppi salafiti e jihadisti (come le intimidazioni inflitte ai cristiani di Homs dal battaglione al-Farouq, con l'imposizione della tassa di “protezione” islamica) che hanno diffuso il panico tra i battezzati siriani. Il rapporto di Open Doors raccoglie da più fonti le notizie sugli episodi di violenza subiti dai cristiani e descrive nel dettaglio i fattori oggettivi che fanno della comunità cristiana uno dei gruppi più vulnerabili nel vortice sanguinoso che sta annientando il Paese, a partire dal loro essere concentrati in zone strategiche (le aree di Damasco, Homs e Aleppo e le aree di confine con Libano e Turchia) al centro dello scontro militare. I cristiani – si legge nel rapporto - pagano il fatto di “trovarsi in mezzo al fuoco incrociato dello scontro, subendo violenza da ambedue le parti”. Sono bersagli “facili” per tutti i gruppi criminali che approfittano del caos. Soffrono maggiori ostilità e vessazioni nei campi profughi. Sono oggetto di attacchi mirati sempre più frequenti da parte delle bande islamiste. Si contano in proporzione più rifugiati e sfollati tra la popolazione cristiana che non tra gli altri gruppi etnici e religiosi. E la loro vulnerabilità viene accentuata dalla riluttanza a organizzarsi in milizie armate di autodifesa settaria. Una serie di elementi che rendono fosche le proiezioni sul futuro dei cristiani in Siria prefigurate nelle ultime pagine del rapporto, qualunque sia l'esito della guerra civile. (R.P.)
Ccee: a Varsavia le sfide di secolarizzazione, disoccupazione ed emigrazione
◊ È stato il vice-presidente del Ccee e presidente della Conferenza episcopale polacca, mons. Jozef Michalik, ad aprire ieri pomeriggio i lavori dell’incontro dei segretari generali delle Conferenze episcopali in Europa che si incontrano a Varsavia fino a domenica 30 giugno presso la sede della Caritas polacca. Mons. Michalik - riporta l'agenzia Sir - si è soffermato sulla situazione della Chiesa cattolica in Polonia e le sfide attuali poste dalla società quali la grande disoccupazione e la forte emigrazione che preoccupano particolarmente la Chiesa locale. Mons. Wojciech Polak, segretario della Conferenza episcopale polacca, ha sottolineato l’importanza che riveste il tema della nuova evangelizzazione in Polonia, a Varsavia in particolare dove il beato Giovanni Paolo II disse, nel 1979, che “la Chiesa ha portato alla Polonia Cristo, cioè la chiave per la comprensione di quella grande e fondamentale realtà che è l’uomo. Non si può infatti comprendere l’uomo fino in fondo senza il Cristo. O piuttosto l’uomo non è capace di comprendere se stesso fino in fondo senza il Cristo” (1979, Piazza della Vittoria). Per il vescovo Polak, “anche l’Europa non riuscirà a comprendere e a capire se stessa senza Cristo, la viva speranza per le nostre Chiese e i nostri popoli”. Dal canto suo mons. Virgil Bercea, vescovo di Oradea-Mare (Romania) e vice-presidente della Comece ha affermato che “le conseguenze del secolarismo hanno provocato un’ingiustificata emarginazione di Dio e questa ha comportato un forte disorientamento dell’identità personale, per cui si diventa incapaci di giustificare se stessi e l’orientamento della propria esistenza”. Oggi “manca sempre più una visione del futuro”, ha detto il presule. Inoltre, “stiamo assistendo a un disfacimento della cultura della famiglia e del bene comune che vengono sostituite dall’egocentrismo”. Non solo: “La cultura contemporanea è diventata pragmatica, scettica nei confronti della conoscenza di Dio e delle realtà spirituali fino all’agnosticismo, segnata da un indifferentismo religioso che si esprime tramite il promuovere un umanismo senza Dio e senza Gesù Cristo”. Per mons. Bercea, ci troviamo anche “davanti all’emergenza di una cultura modellata dai mass media”: “Il flusso informativo invade quantitativamente la capacità cosciente di percezione dell’individuo, ma 'getta’ senza discernimento informazioni sia vere che false; promuove con la stessa facilità sia le trasgressioni etiche e l’immoralità sia i valori perenni della verità umanista e dei fondamenti cristiani della cultura europea”. A ciò si aggiunge una classe politica europea “priva dei valori fondanti dell’unità culturale proposta dai Padri fondatori”. Perfino coloro che si dicono “cristiani” in politica “omettono di ascoltare la voce dei cristiani credenti”. Di fronte a questo quadro “la nuova evangelizzazione è necessaria oggi più che mai”. Per dare “risposte adeguate” mons. Bercea ha offerto alcune piste: “È importante che si chiariscano le fondamenta dei contenuti basilari della fede e della cultura ed è per questo che si deve approfondire il significato teologico e pastorale della nuova evangelizzazione”. Occorre “promuovere e favorire lo studio, la diffusione e l’attuazione del Magistero pontificio relativo alle tematiche connesse con la nuova evangelizzazione”. Far conoscere e sostenere iniziative legate alla nuova evangelizzazione significa “restituire ai cristiani un’identità credente forte per i contenuti che la sostengono e ricca per un profondo senso di appartenenza alla Chiesa”. L’avvicinarsi, poi, “tramite la preghiera agli altri cristiani è una via verso la reciproca conoscenza, verso la guarigione delle ferite della storia ed è un passo verso il ristabilire l’unità della Chiesa divisa dai vani desideri degli uomini che non conoscono il vero Dio”. È necessario, infine, “favorire l’utilizzo delle forme moderne di comunicazione, come strumenti per la nuova evangelizzazione”. (R.P.)
Bruxelles: al centro della settimana della speranza la disoccupazione giovanile
◊ Al servizio della speranza una missione a cui la Chiesa in Europa non può rinunciare e alla quale non può sottrarsi anche se incontra delle difficoltà”. Sono queste le prime parole diramate dall’agenzia Sir che mons. Alain Lebeaupin, nunzio apostolico presso l’Unione Europea, ha pronunciato a Bruxelles nella messa conclusiva della “week of hope”, settimana della speranza promossa dalla Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) in occasione del decimo anniversario dell’esortazione post-sinodale “Ecclesia in Europa” di Giovanni Paolo II. "L’Europa nella sua proiezione storica - ha ricordato il nunzio - ha una vocazione ad aprire le coscienze e i cuori per rispondere ad un umanesimo che affonda le sue radici nel messaggio evangelico. Nel processo della costruzione della casa comune europea bisogna essere accoglienti verso coloro che soffrono e che cercano solidarietà per una società rispettosa della dignità della vita umana. A margine della chiusura dell’appuntamento di Bruxelles, padre Patrick H. Daly segretario generale della Commissione delle Conferenze Episcopali della Comunità Europea, ha ricordato ai leader europei di non dimenticare la dimensione sociale della politica economica. E mentre era in corso il Consiglio europeo incentrato sulla politica economica in particolare, sulla promozione dell’occupazione giovanile, padreDaly ha ricordato che L’Europa sta affrontando il grande problema della disoccupazione una grande sfida per la speranza e per l’avvenire della comunità europea: la disoccupazione diffusa soprattutto tra i giovani preparati ma purtroppo vittime di uno sbarramento al mercato del lavoro, toglie senso al valore della vita e genera una profonda crisi esistenziale. Conseguenza evidente di una politica economica che dimentica la dimensione sociale”. La Chiesa - fa notare padre Daly - è la voce delle persone che vivono ai margini della società aggiungendo che il cristiano è colui che vive secondo i valori fondamentali ispirati dal Vangelo, che si batte per una giustizia più equilibrata e che si schiera per la dignità umana. Dignità che oggi si traduce anche in posti di lavoro, perché l’uomo e la donna che lavorano hanno dignità e rispetto per se stessi, mentre la disoccupazione oltre a essere fonte d’ingiustizia sociale toglie anche la capacità di guardare con speranza al futuro. (A cura di Federica Baioni)
Myanmar: Appello dei leader religiosi: pace e armonia unica via di sviluppo
◊ Gli esponenti delle principali fedi mondiali sono stati riuniti a Yangoon in Myanmar dall’ambasciatore statunitense Derek Mitchell. Nell’incontro, secondo quanto riferito dall'agenzia AsiaNews, cristiani, musulmani e buddisti hanno voluto rilanciare il principio dell’unità nella diversità e del rispetto per opinioni e modi di fare diversi. Istruzione, salute e sviluppo umano tra le priorità al centro delle nuove generazioni che popolano la nazione giovane del Myanmar. Una speciale benedizione per tutti i cittadini e l'invito a collaborare per "la pace e la prosperità" di tutti, a prescindere dalla fede o dal credo religioso professato, è stato il passaggio significativo del messaggio interconfessionale pubblicato al termine dell'incontro. Il delegato della Chiesa cattolica, l'arcivescovo Charles Bo - come ha sottolineato AsiaNews - ha ribadito che "nessuna religione promuove l'odio" sottolineando che “è compito dei leader e dei rappresentanti delle varie fedi astenersi da discorsi che fomentino odio, colpiscano qualcuno a causa della fede, causino danni o ferite, colpiscano specifici gruppi". Da tempo il Myanmar è attraversato da violenti conflitti etnico-religiosi, che vedono contrapposte la maggioranza buddista e la minoranza musulmana. In particolare, nello Stato occidentale di Rakhine, al confine col Bangladesh, si assiste quotidianamente a una vera e propria repressione dei musulmani Rohingya, accusati di essere immigrati irregolari. Scontri, assalti, attacchi mirati o singoli focolai di tensione hanno causato ad oggi centinaia di morti e migliaia di sfollati nell'inerzia di istituzioni e Forze di polizia. A fomentare tensioni e divisioni anche la recente proposta di un gruppo di monaci buddisti, che intende proibire i matrimoni misti. Le divisioni possono "causare ritardi" nel cammino di riforme, hanno ricordato nell’incontro i leader religiosi birmani. Per coadiuvare il processo di sviluppo nazionale e garantire prosperità, i leader religiosi hanno esortato i cittadini a puntare sulla pace e sull’amicizia tra i popoli (F.B.)
A Budapest la sinfonia di Kiko Argüello. Presenti il card. Erdo e numerosi ebrei
◊ L'Opera Haz di Budapest ha accolto ieri sera la celebrazione sinfonica "La sofferenza degli innocenti", l'opera musicale composta dall'iniziatore e responsabile mondiale del Cammino neocatecumenale, Kiko Arguello. Alla celebrazione, organizzata dal Cammino, hanno partecipato 600 ebrei della capitale unghese: un fatto storico nel dialogo tra la Chiesa cattolica ed il popolo ebraico. Ha assistito anche l'arcivescovo, il card. Peter Erdo, numerose autorità civili e circa 650 persone del Cammino neocatecumenale provenienti da tutta l'Ungheria. Durante il suo intervento, Kiko Argüello ha ripercorso le celebrazioni vissute negli utlimi giorni in Polonia: ad Auschwitz, dove hanno assistito più di 11mila persone, tra loro importantio personalità del mondo ebraico, ed a Lublino, città nella quale, oltre alla celebrazione sinfonica, l'università cattolica Giovanni Paolo II gli ha conferito l'honoris causa in Teologia. L'iniziatore del Cammino, ha sottolineato l'importanza di questa nuova tappa, aperta grazie a questa sinfonia, che ha "toccato" il cuore del popolo ebraico e sta favorendo un sentimento comune di amicizia grazie al ricordo della sofferenza e della persecuzione. Inoltre, durante la celebrazione, è stato ricordato il cammino, iniziato da Paolo VI e continuato poi da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, nella riconciliazione tra i due popoli, che hanno le stesse radici. A Budapest, l'orchestra sinfonica e il coro del Cammino Neocatecumenale, formati da circa 120 musicisti spagnoli e italiani, ha interpretato l'opera musicale - composta da cinque movimenti - che narra gli ultimi momenti della morte e della resurrezione di Gesù Cristo. In essa ha una rilevanza speciale la Vergine che vede come suo Figlio è crocifisso e, nelle parole del profeta Ezechiele, "una spada le attraversa l'anima". Un momento speciale della celebrazione è stato quello in cui l'orchestra e il coro hanno cantato "Shema Israel" ed hanno invitato tutti i presenti ad unirsi a loro in piedi, un momento vissuto con particolare commozione dagli ebrei che hanno partecipato alla celebrazione. L'evento, ha avuto luogo in questa città dove si trova la sinagoga più grande di tutta l'Europa e la seconda del mondo. (Da Budapest, Alvaro de Juana)
Regno Unito: i vescovi chiedono di emendare la legge sulle nozze gay
◊ In un recente documento pubblicato sul sito della Conferenza episcopale e ripreso dall’Osservatore Romano, i vescovi inglesi e gallesi chiedono una serie di emendamenti alla legge che autorizza la celebrazione nel Regno Unito, anche nei luoghi di culto (tranne in quelli anglicani), dei “matrimoni” fra persone dello stesso sesso. Il “Marriage Bill”, che ridefinisce il matrimonio tradizionale, è stato già esaminato in seconda lettura alla Camera dei Lord, dopo l’approvazione alla Camera dei Comuni nel maggio scorso, ma dovrà superare una terza lettura a luglio prima dell’approvazione definitiva. Mentre prosegue l’iter parlamentare del provvedimento, i vescovi inglesi e gallesi tornano dunque a ribadire la necessità che, in caso di approvazione, esso garantisca una serie di protezioni alle comunità religiose, a partire dalla libertà di espressione e di educazione. Rimane infatti ancora viva l’attenzione sul fatto che la normativa possa essere varata senza che vengano incluse una serie di garanzie su temi che preoccupano l’episcopato. Si tratta in particolare di garanzie collettive e individuali. Le scuole, per esempio, potrebbero essere costrette a parlare liberamente dei “matrimoni” omosessuali, sulla base della sostanziale equiparazione — all’interno dell’Education Act del 1996 che regola i programmi didattici sulla base delle leggi dello Stato — fra le unioni tra persone dello stesso sesso e il matrimonio tradizionale. L’educazione degli alunni “sulla natura del matrimonio e la sua importanza per la vita della famiglia e lo sviluppo dei bambini” verrebbe di fatto modificata, in quanto con la nuova normativa “il matrimonio ha gli stessi effetti in relazione alle coppie formate da persone dello stesso sesso e a quelle invece formate da persone di sesso opposto”. Nel documento si richiama inoltre il rischio che le persone che si oppongono all’applicazione del provvedimento possano subire “forme di pregiudizio” ed essere perseguite persino con sanzioni penali. La legge potrebbe poi limitare i diritti individuali sui luoghi di lavoro. Finora infatti, si evidenzia nel documento, “non è stato stabilito nulla per proteggere gli ufficiali dello stato civile che hanno un’obiezione di coscienza”. Inoltre la normativa non assicura la protezione delle organizzazioni religiose di fronte ai ricorsi giudiziari di coloro che sono favorevoli a tali “matrimoni”, i quali possono, per esempio, appellarsi all’Human Rights Act del 1998 o all’Equality Act del 2010. E alle comunità religiose potrebbero non essere concesse sovvenzioni pubbliche. (L.Z.)
Africa: la Rete dei Gesuiti chiede che le risorse minerarie servano al bene comune
◊ Sono molti i Paesi africani classificati tra i più poveri del pianeta. Eppure, sono Paesi ricchi di risorse naturali. È partito da questa considerazione il Seminario tenuto dalla JascNet (la Rete dei Centri sociali africani dei Gesuiti) svoltosi in questi giorni a Lubumbashi, nella Repubblica Democratica del Congo. Obiettivo dell’incontro: cercare di instaurare nel continente africano una vera e propria governance delle risorse naturali. Tra gli aspetti affrontati durante i lavori, la produzione mineraria, l’accesso alle informazioni sui procedimenti di estrazione petrolifera, la lotta alla deforestazione che minaccia il cambiamento climatico, l’accaparramento delle terre, la siccità e le migrazioni. In particolare, i partecipanti al seminario si sono suddivisi in quattro gruppi di lavoro: quello dedicato alla governance mineraria ha deciso di creare un blog sull’argomento e di indire un secondo seminario il prossimo ottobre; il gruppo incentrato sulla gestione petrolifera ha stabilito di mappare le estrazioni di greggio in Africa, mentre il gruppo tematico sulla governance ambientale ha programmato di moltiplicare gli sforzi per l’educazione ecologica, anche attraverso la diffusione di testi ufficiali sulle questioni forestali. Infine, il gruppo incentrato sulla gestione terriera ha stabilito di studiare la questione dell’accaparramento delle terre da parte di élite sia autoctone che straniere. All’incontro hanno partecipato padri Gesuiti provenienti da Kenya, Zambia, Madagascar, Ciad e Repubblica Democratica del Congo, (I.P.)
Pakistan: la Chiesa lancia i “Gruppi di protezione” delle minoranze religiose
◊ La Chiesa cattolica di Karachi lancia speciali gruppi per proteggere le minoranze religiose, e in particolare i cristiani, dalla violenza e dal terrorismo. Come riferito in una nota inviata all'agenzia Fides, in un seminario di due giorni conclusosi ieri a Karachi, la Commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza dei Superiori maggiori degli ordini religiosi in Pakistan ha cercato tecniche e modalità efficaci per aiutare i fedeli ad affrontare l’emergenza della violenza che attraversa il paese e che spesso colpisce comunità e fedeli cristiani. Per questo la Commissione ha organizzato 15 “Gruppi di protezione” formati da fedeli cristiani di diverse confessioni, da Pastori, avvocati, medici e altri professionisti. I gruppi istituiti dalla Commissione, terranno sotto controllo episodi di violenza settaria o gravi atti di discriminazione a danno dei cristiani, contribuendo a promuovere legalità e giustizia in Pakistan. Rasheed Gill, laico cattolico, animatore della Commissione “Giustizia e Pace”, spiega a Fides: “La sicurezza nel Paese e sta peggiorando. Nelle ultime settimane i fondamentalisti e i terroristi hanno attaccato gente comune, funzionari di polizia, detenuti, avvocati, moschee, turisti. Vogliamo sostenere e proteggere le minoranze religiose più emarginate, tramite programmi di sensibilizzazione”. Gli speciali “Gruppi di protezione” opereranno in diverse aree del Paese, monitorando le violazioni dei diritti umani, offrendo assistenza alla Commissione anche dal punto di vista legale. Secondo Gill, l’obiettivo è crearne trenta, in un progetto triennale, per coprire in modo capillare il territorio nazionale. Il Pastore Nasir John, parte del team, dice a Fides: “Tali gruppi riempiono un grande vuoto: molti fedeli cristiani, a causa di problemi di violenza, sono costretti a lasciare il posto di lavoro o a sradicarsi, cambiando città”. Inoltre in Pakistan le minoranze religiose, come i cristiani e gli indù, non alimentano la corruzione: non pagano tangenti ai funzionari di polizia o ai giudici, che spesso, per questo motivo, li penalizzano, li discriminano o condannano. (R.P.)
Gmg Rio 2013: in Brasile anche 120 giovani dalla Terra Santa
◊ Sono 120 i giovani di Terra Santa che si sono iscritti alla Giornata mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro. A guidarli mons. William Shomali, vescovo ausiliare per la Palestina del Patriarcato latino di Gerusalemme. Il gruppo - riferisce l'agenzia Sir - si sta preparando da diverse settimane all’evento e, riferisce il Patriarcato, ogni domenica i giovani palestinesi (da Gerusalemme e Ramallah) si ritrovano a Ramallah per prepararsi spiritualmente e logisticamente. I giovani della Galilea, invece, si stanno preparando con il Cammino neocatecumenale. Le riunioni permettono ai giovani di conoscersi tra loro già prima della partenza, ma soprattutto di riflettere sul tema della Giornata “Andate e fate discepoli tutti i popoli!”. Il gruppo partirà il 13 luglio alla volta di Niteroi (Stato di Rio de Janeiro) per la settimana missionaria per poi recarsi a Rio per l’incontro con Papa Francesco. Mons. Shomali afferma di “contare molto su questo momento di incontro perché “i giovani possano sentire l’universalità e la cattolicità della Chiesa, particolarmente quando saranno in mezzo a milioni di altri giovani”. Ma non saranno solo i giovani a rappresentare la Terra Santa a Rio: con loro anche mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale per Israele, scelto tra i vescovi che terranno le catechesi preparatorie. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 179