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Sommario del 25/06/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: essere cristiano non è una casualità, ma una chiamata d’amore
  • Il premier italiano Letta in udienza dal Papa il 4 luglio
  • Il Papa nomina mons. Orazio Francesco Piazza nuovo vescovo di Sessa Aurunca
  • La carità della Chiesa per le popolazione indigene dell’America Latina nel segno di Papa Francesco
  • La Segreteria del Sinodo dei Vescovi al lavoro per la prossima assise del 2015
  • 20.mo del Catechismo. Lo Spirito Santo, Amore invisibile perché in tutti
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Oltre 5 mila le vittime nel nord dell'India per i monsoni
  • Libano sempre più a rischio di coinvolgimento nella guerra in Siria
  • Siria, sacerdote ucciso. Il card. Sandri: si apra presto la stagione della riconciliazione
  • Turchia: i ministri degli Esteri Ue sbloccano il negoziato per l'adesione
  • Toscana, sisma: 100 edifici inagibili. Mons. Castellani: la gente è impaurita
  • Giornata mondiale del marittimo: “Volti di mare” da accogliere e rispettare
  • La mostra fotografica "Essere madri in Etiopia": un aiuto per 200 mila donne e 500 mila bimbi
  • Concerto ad Auschwitz "La sofferenza degli innocenti". Il rabbino Lefkowitz: mi sono sentito amato
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Iraq: nella serie di attentati, colpita anche un chiesa a Baghdad
  • Vietnam: attivista cattolico in sciopero della fame contro le condizioni carcerarie
  • Le linee guida dell'Ue sulla libertà di religione. Soddisfazione delle Chiese europee
  • Europa: alla Settimana della speranza il messaggio di don Pino Puglisi
  • La morte di Emilio Colombo, ultimo costituente
  • Centrafrica: appello alla riconciliazione dei vescovi
  • Togo: per i vescovi è minacciata la pace sociale
  • Bangkok: le religioni unite contro l'Aids
  • Cambogia: i Gesuiti lanciano un nuovo progetto educativo e una nuova scuola
  • Venezuela: i vescovi chiedono di risolvere il conflitto universitario
  • Colombia: nessuna notizia di un sacerdote scomparso da 4 giorni
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: essere cristiano non è una casualità, ma una chiamata d’amore

    ◊   Essere cristiano è una chiamata d’amore, una chiamata a diventare figli di Dio. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha quindi ribadito che la certezza del cristiano è che il Signore non ci lascia mai soli e ci chiede di andare avanti, anche in mezzo ai problemi. Alla Messa, concelebrata dal cardinale Robert Sarah, dal cardinale Camillo Ruini e da mons. Ignacio Carrasco de Paula, hanno preso parte un gruppo di dipendenti del Pontificio Consiglio Cor Unum, della Pontificia Accademia per la Vita e un gruppo di collaboratori della Specola Vaticana, accompagnati dal direttore José Gabriel Funes. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Papa Francesco ha incentrato l’omelia sulla Prima Lettura, tratta dal Libro della Genesi, dove si racconta della discussione tra Abram e Lot per la divisione della terra. “Quando io leggo questo – ha detto il Papa – penso al Medio Oriente e chiedo tanto al Signore che ci dia a tutti la saggezza, questa saggezza – non litighiamo, io di qua e tu di là… - per la pace”. Abram, ha osservato il Papa, “continua a camminare”. “Lui – ha affermato – aveva lasciato la sua terra per andare, non sapeva dove, ma dove il Signore gli dirà”. Continua a camminare, dunque, perché crede nella Parola di Dio che “lo aveva invitato ad uscire dalla sua terra”. Quest’uomo, forse novantenne, ha detto ancora il Papa, guarda la terra che gli indica il Signore e crede:

    “Abram parte dalla sua terra con una promessa: tutto il suo cammino è andare verso questa promessa. E il suo percorso è anche un modello del nostro percorso. Dio chiama Abram, una persona, e di questa persona fa un popolo. Se noi andiamo al Libro della Genesi, all’inizio, alla Creazione, possiamo trovare che Dio crea le stelle, crea le piante, crea gli animali, crea le, le, le, le… Ma crea l’uomo: al singolare, uno. Sempre Dio ci parla al singolare a noi, perché ci ha creato a sua immagine e somiglianza. E Dio ci parla al singolare. Ha parlato ad Abram e gli ha dato una promessa e lo ha invitato ad uscire dalla sua terra. Noi cristiani siamo stati chiamati al singolare: nessuno di noi è cristiano per puro caso! Nessuno!”.

    C’è una chiamata “col nome, con una promessa”, ha ribadito il Papa: “Vai avanti, Io sono con te! Io cammino a fianco a te”. E questo, ha proseguito, Gesù lo sapeva, "anche nei momenti più difficili si rivolge al Padre”:

    “Dio ci accompagna, Dio ci chiama per nome, Dio ci promette una discendenza. E questa è un po’ la sicurezza del cristiano. Non è una casualità, è una chiamata! Una chiamata che ci fa andare avanti. Essere cristiano è una chiamata di amore, di amicizia; una chiamata a diventare figlio di Dio, fratello di Gesù, a diventare fecondo nella trasmissione di questa chiamata agli altri, a diventare strumenti di questa chiamata. Ci sono tanti problemi, tanti problemi; ci sono momenti difficili: Gesù ne ha passati tanti! Ma sempre con quella sicurezza: ‘Il Signore mi ha chiamato. Il Signore è come me. Il Signore mi ha promesso’”.

    Il Signore, ha ribadito Papa Francesco, “è fedele, perché Lui mai può rinnegare se stesso: Lui è la fedeltà”. E pensando a questo brano dove Abram “è unto padre, per la prima volta, padre dei popoli, pensiamo anche a noi che siamo stati unti nel Battesimo e pensiamo alla nostra vita cristiana”...

    “… qualcuno dirà ‘Padre, io sono peccatore’… Ma tutti lo siamo. Quello si sa. Il problema è: peccatori, andare avanti col Signore, andare avanti con quella promessa che ci ha fatto, con quella promessa di fecondità e dire agli altri, raccontare agli altri che il Signore è con noi, che il Signore ci ha scelto e che Lui non ci lascia soli, mai! Quella certezza del cristiano ci farà bene. Che il Signore ci dia, a tutti noi, questa voglia di andare avanti, che ha avuto Abram, in mezzo ai problemi; ma andare avanti, con quella sicurezza che Lui che mi ha chiamato, che mi ha promesso tante cose belle è con me!”.

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    Il premier italiano Letta in udienza dal Papa il 4 luglio

    ◊   Il 4 luglio prossimo, alle ore 11, Papa Francesco riceverà in Vaticano il presidente del Consiglio, Enrico Letta, in visita privata. E' quanto informa una dichiarazione del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Successivamente, il premier italiano incontrerà anche il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone. L’8 giugno, il Papa aveva ricevuto al Palazzo Apostolico il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano.

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    Il Papa nomina mons. Orazio Francesco Piazza nuovo vescovo di Sessa Aurunca

    ◊   In Italia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Sessa Aurunca, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Antonio Napoletano. Al suo posto, il Papa ha nominato il sacerdote Orazio Francesco Piazza, del clero della diocesi di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti, vicario episcopale e docente universitario. Mons. Orazio Francesco Piazza è nato a Solopaca (BN), nella diocesi di Cerreto Sannita-Telese-S. Agata de’ Goti, il 4 ottobre 1953. Ha frequentato la Scuola media e il Ginnasio presso il Seminario Minore di Cerreto Sannita. Ha concluso gli studi liceali al Pontificio Seminario regionale “Pio XI” di Benevento e seguito i corsi di filosofia e teologia alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale - Sezione S. Luigi di Napoli, ospite del Pontificio Seminario Interregionale Campano. Ha poi ottenuto presso la medesima Facoltà i gradi accademici di Licenza e di Dottorato in Teologia Dogmatica. È stato ordinato presbitero il 25 giugno 1978 ed è incardinato nella diocesi di Cerreto Sannita-Telese-S.Agata de’ Goti. Dopo l’ordinazione presbiterale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale di Telese Terme (1978-1981); Rettore della chiesa del SS. Corpo di Cristo a Solopaca (1981-1992); Rettore del Santuario Maria SS. del Roseto a Solopaca (1988-1992); Assistente unitario diocesano di Azione Cattolica (dal 1989); Vicario Episcopale per il settore Evangelizzazione e Testimonianza (dal 2002); Docente di Etica Sociale presso la Facoltà di Economia dell’Università del Sannio di Benevento (dal 1997); Assistente unitario regionale di Azione Cattolica (dal 1998). Nel 2004 ha fondato il Centro Studi Sociali Bachelet, che attualmente dirige. È Professore Ordinario di Ecclesiologia presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale - Sezione San Luigi di Napoli, Membro del Collegio dei Consultori e del Consiglio Presbiterale, Canonico Teologo della Cattedrale, Cappellano magistrale del Militare Ordine di Malta e Cavaliere con funzione di Priore dell’Ordine del Santo Sepolcro.

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    La carità della Chiesa per le popolazione indigene dell’America Latina nel segno di Papa Francesco

    ◊   Si è conclusa ad Arequipa, in Perù, la riunione annuale del Consiglio di amministrazione della Fondazione “Populorum Progressio” del Pontificio Consiglio Cor Unum, per le popolazioni indigene ed afroamericane dell’America Latina. Alla riunione – che ha deciso il finanziamento di 170 progetti destinati alle popolazioni povere del Continente – hanno preso parte il presidente di Cor Unum, il card. Robert Sarah ed il sottosegretario mons. Tejado Muñoz, che è membro del Consiglio d’Amministrazione della Fondazione voluta da Giovanni Paolo II. A mons. Segundo Tejado Muñoz, Roberto Piermarini ha chiesto cosa è emerso dall’incontro di Arequipa:

    R. – Come tutti gli anni abbiamo ricevuto tanti progetti: quest’anno sono stati 200. Sono piccoli progetti che vogliono lasciare un segno della presenza del Santo Padre in America Latina per le popolazioni indigene, afroamericane e campesine. Su 200 progetti ne abbiamo potuto finanziare soltanto 170. Praticamente, abbiamo dovuto lasciare fuori 30 progetti per cause diverse. La causa principale è che non avevamo fondi per finanziarli tutti. Quasi tutti gli anni le tipologie dei progetti sono le stesse. Si ripetono molti progetti di piccole comunità indigene, che vogliono un pozzo d’acqua, un trattore che li aiuti, un microcredito, gestito poi dalla missione o da qualche responsabile. Sono molto vari: di carattere sanitario, tantissimi riguardano la formazione, di strutture per scuole e così via. I progetti vogliono essere non strettamente sociali, ma legati in qualche modo alla Pastorale. Nella Fondazione non vogliamo scindere tra necessità spirituali e necessità sociali dell’uomo. Come dice il Papa nella ”Deus Caritas est”: tante volte la più grande sofferenza dell’uomo è l’assenza di Dio. Credo che la Fondazione questo l’abbia molto a cuore, per valutare i progetti, per incentivare i progetti, che abbiano anche questo aspetto pastorale, questo aspetto spirituale.

    D. – Avete dovuto accantonare 30 progetti quindi i soldi non bastano mai per aiutare questi progetti in America Latina…

    R. – Non bastano mai. Nonostante la generosità della Conferenza episcopale italiana, il Comitato per gli interventi caritativi, che dà il più grande contributo per questi progetti, e nonostante anche alcune donazioni particolari, non bastano mai. I progetti, infatti, sono tanti, e le necessità sono tante. La Fondazione si sta facendo conoscere molto nell’America Latina, ma i fondi non bastano mai. Avremmo bisogno di anime generose che ci aiutino un poco in modo che anche il Santo Padre possa esercitare la carità nel continente latino americano.

    D. – Com’è stata accolta l’elezione di Papa Bergoglio, un Papa latinoamericano, da una Fondazione per l’America Latina?

    R. – Ne abbiamo parlato parecchio durante l’incontro con i vescovi. Ricordo che il Consiglio di amministrazione è formato da cinque arcivescovi dell’America Latina. Quest’anno non è venuto il cardinale Sandoval, che è stato nostro membro per molti anni. C’era l’arcivescovo de La Paz, l’arcivescovo di San Salvador de Bahia, l’arcivescovo di Guayaquil, l’arcivescovo di Villavicencio e l’arcivescovo di Arequipa. Sono cinque arcivescovi, più la mia persona, in rappresentanza del Pontificio Consiglio Cor Unum. E’ un ambiente totalmente latinoamericano, dunque, in cui abbiamo parlato molto di questa presenza di Papa Francesco. Dà a tutti molta speranza e vogliamo al più presto presentare al Papa la Fondazione, in modo che anche lui ci dica esattamente cosa vuole dalla ‘sua’ Fondazione, essendo una Fondazione papale. L’anno prossimo abbiamo deciso di fare la riunione a Roma, per poter dialogare con lui, in modo che ci possa dire una parola: cosa pensa di tutta la problematica degli indigeni. Ieri tra l’altro ha ricevuto un rappresentante indio dell’Argentina. Lui è molto sensibile a tutte queste problematiche. Anche nella Fondazione stiamo studiando tutta la problematica indigena, degli afroamericani, delle periferie, delle grandi città sorte in tutta l’America Latina, che sono grandi mostri dove le sètte stanno tirando fuori dalla Chiesa tante persone. Bisogna dare una risposta, perché lo Spirito Santo sempre ci anticipa. Dando Papa Francesco alla Chiesa, penso che lo Spirito Santo ha dimostrato che ci anticipa sempre nel suo lavoro. Abbiamo constatato l’amore che l’America Latina, ma anche tutte le nazioni, mostra al Papa; l’accettazione unanime che ha avuto e, appunto, l’amore che mostra verso di lui.

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    La Segreteria del Sinodo dei Vescovi al lavoro per la prossima assise del 2015

    ◊   La Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi ha iniziato il lavoro preparatorio in vista della 14.ma Assemblea generale ordinaria prevista per il 2015. Lo si afferma in un comunicato ufficiale dell’organismo sinodale, nel quale si precisa che lo scorso 13 e 14 giugno i membri della Segreteria si sono radunati per discutere della scelta del tema per la prossima assise, vagliando le proposte inviate dalle varie Chiese. Il segretario generale del Sinodo, l’arcivescovo Nikola Eterović, ha aperto l’incontro ricordando come nell’Anno della Fede in corso abbiano “avuto luogo eventi storici, quali la rinuncia al ministero petrino da parte di Benedetto XVI e la successiva elezione del nuovo Vescovo di Roma, Papa Francesco”.

    Il comunicato ricorda anche l’udienza concessa dal Papa al gruppo Il 13 giugno. “A proposito dell’istituzione sinodale, Sua Santità – si legge nella nota – ha affermato che essa è nata dal Concilio Vaticano II e in cinquant’anni ha apportato benefici per la missione e la comunione della Chiesa, come espressione della collegialità. Tale servizio diventa ancora più importante attualmente”. “Siamo fiduciosi – prosegue il comunicato citando Papa Francesco – che il Sinodo dei Vescovi conoscerà ulteriori sviluppi per favorire ancora di più il dialogo e la collaborazione tra i Vescovi e tra essi e il Vescovo di Roma”.

    La riunione poi è proseguita nei due gruppi, inglese e italiano, nei quali i membri “hanno potuto approfondire criteri e motivazioni della scelta del tema della prossima Assemblea, allo scopo di elaborare alcune opzioni da sottoporre al Santo Padre per la decisione finale. I Membri, infine, hanno fissato la data della quinta riunione del Consiglio nei giorni 7-8 ottobre 2013”. Il comunicato elenca poi i partecipanti a questa quarta riunione: i cardinali Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban (Sud Africa); Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; George Pell, arcivescovo di Sydney (Australia); Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, presidente della Conferenza Episcopale Ungherese e del Consiglio delle Conferenze Episcopali dell'Europa (C.C.E.E.); Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay (India), segretario generale della "Federation of Asian Bishops' Conferences" (F.A.B.C.); Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di São Paulo (Brasile); Donald William Wuerl, arcivescovo di Washington (Stati Uniti d'America); Luis Antonio G. Tagle, arcivescovo di Manila (Filippine); Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, Arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halyč. Con loro anche i presuli Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto (Italia), e Santiago Jaime Silva Retamales, ausiliare di Valparaíso (Cile), segretario generale del Consiglio Episcopale Latinoamericano (C.E.L.AM.).

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    20.mo del Catechismo. Lo Spirito Santo, Amore invisibile perché in tutti

    ◊   Lo Spirito Santo "è la Persona in molte persone". E' una delle tante definizioni del "Dio sconosciuto", al quale il Catechiesmo della Chiesa Cattolica dedica ampie pagine. A 20 anni dalla pubblicazione del testo, il gesuita padre Dariusz Kowalczyk dedica al tema la 32.ma puntata del suo ciclo di riflessioni dedicate al Catechismo:

    "I cristiani credono nello Spirito Santo”. Il Catechismo esplicita: “Credere nello Spirito Santo significa professare che lo Spirito Santo è una delle Persone della Santa Trinità, consustanziale al Padre e al Figlio” (n. 685). In altre parole, lo Spirito Santo è l’unico Dio insieme al Padre e al Figlio. San Paolo sottolinea che “nessuno può dire 'Gesù è Signore', se non sotto l’azione dello Spirito” (1 Cor 12,3). E soltanto grazie allo Spirito che è in noi, possiamo pregare dicendo: “Abba, Padre!” (cfr. Gal 4,6).

    Dio Padre viene a volte rappresentato – secondo alcune immagini bibliche – “come il Signore seduto su un trono alto” (Is 6,1). La seconda persona della Trinità invece ci ha rivelato il suo volto in Gesù Cristo, Figlio incarnato. Ma quale è il volto rivelato dello Spirito? E’ da notare che i simboli dello Spirito che troviamo nella Bibbia sono a-personali: la colomba, il vento, il fuoco. Come se lo Spirito non fosse una persona, ma piuttosto un'energia divina. Non è così, però. Anzi, in tale modo ci vengono rivelate le caratteristiche personali dello Spirito.

    Nel Nuovo Testamento lo Spirito mai dice “io”, mai indica se stesso o parla di se. Lo Spirito non rivela direttamente il suo volto. La terza persona divina, infatti, è l’amore in persona tra il Padre e il Figlio. “Non esiste per sé, perché – come dice Sergej Bulgakov – è tutto negli altri, nel Padre e nel Figlio”.

    E così è anche nella Chiesa dove lo Spirito agisce attraverso le persone. Si può dire pertanto che Egli è la persona in molte persone. Non vediamo il vento, ma possiamo vedere il movimento che esso produce. Il risultato primario causato dallo Spirito è l’amore. Il volto dello Spirito nella Chiesa è quello di una comunità che porta i frutti dell’amore. Lo Spirito si rivela a noi creando la comunione tra gli uomini.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, in apertura, un articolo dedicato a padre François Mourad, il sacerdote francescano ucciso in un attacco al convento di Sant’Antonio da Padova a Ghassanieh, un villaggio siriano vicino al confine turco.

    Di spalla, "L’Afghanistan ostaggio delle violenze"; non decolla il negoziato tra Stati Uniti e talebani.

    Nelle notizie internazionali, "Stretta europea sul lavoro", allo studio misure in vista del vertice del 27 e 28 giugno e un articolo a pagina tre dedicato allo scontro politico in corso in Egitto.


    Un'intera pagina, nella cultura, è dedicata ad Hans Urs von Balthasar, di cui il 26 giugno ricorre il venticinquesimo anniversario della scomparsa: "Lo sguardo che buca il tempo" di Cristiana Dobner e "Rolf Schott l’amico poeta" di Carlo Pulsoni. Sempre nelle pagine della cultura, ampio spazio viene dedicato alle opere di Simon Hantaï in mostra al Centre Pompidou di Parigi ("Una pittura meno pittura possibile" di Sylvie Barnay) e al cinema, con "Che differenza l’Hitchcock americano" di Emilio Ranzato.

    Tra le segnalazioni, un nuovo allestimento di Curlew River di Benjamin Britten, in programma giovedì 27 giugno nella basilica di Santa Maria in Ara Coeli proposto dal Teatro dell’opera di Roma. Composto nel 1964 per essere messo in scena in chiesa, il lavoro è stato scelto per festeggiare il centenario della nascita del compositore britannico. Lo spettacolo — realizzato in collaborazione con il Vicariato di Roma, per la rassegna «Una porta verso l’Infinito» — è firmata dalla regia di Mario Martone e dalla direzione musicale di James Conlon.

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    Oggi in Primo Piano



    Oltre 5 mila le vittime nel nord dell'India per i monsoni

    ◊   Gravissima la situazione nel nord dell’India, a causa delle inondazioni dovute al maltempo. Oltre cinquemila i morti sinora accertati, mentre preoccupa la situazione umanitaria per circa 150 mila persone, metà dei quali bambini, rimasti senza abitazione e senza generi di prima necessità. Sulle cause di quanto accaduto Giancarlo La Vella ha sentito Maurizio Salvi, della sede Ansa di New Delhi:

    R. – Prima di tutto, bisogna ricordare che si tratta probabilmente della tragedia più grave mai avvenuta sulla cordigliera dell’Himalaya: un fenomeno meteorologico che ha accompagnato il monsone, che stagionalmente arriva in India in quest’epoca, ma con piogge che sono sembrate più uno tsunami che un normale evento meteorologico. Secondo aspetto, è che questo disastro è avvenuto in un territorio vasto come l’Italia settentrionale e quindi con una grande difficoltà nel raggiungere la gente colpita dal disastro. Terzo aspetto, è che in quel periodo si stava svolgendo uno dei pellegrinaggi più seguiti, alle sorgenti del Gange, cui partecipavano centinaia di migliaia di persone. Ecco, questo è lo scenario, all’interno del quale si sono trovati a dover operare i soccorritori, con tutti i problemi aggravati dal fatto che, ancora adesso, il maltempo perseguita quelle zone.

    D. – Annualmente, l’India è colpita dai monsoni. Perché le istituzioni sinora non hanno preso dei provvedimenti, se non altro per limitare gli effetti catastrofici di questi eventi naturali?

    R. – Questa è la polemica in corso: le responsabilità vengono rimbalzate tra le autorità dello Stato di Uttarakhand, che è quello dove è avvenuta la tragedia, e quelle invece centrali. Bisogna dire che siamo in un Paese in via di sviluppo, in cui le manifestazioni religiose non vengono accompagnate da un’organizzazione e da un controllo particolarmente accurati: è una cosa un po’ approssimativa, dove tutti fanno quello che vogliono. In più, va segnalato che, nel momento in cui si è creato il picco di questa tragedia, verso il 16-17 giugno, la gente ha cominciato a fuggire in mille direzioni diverse, creando quindi un problema supplementare a chi era addetto ai soccorsi. Oltretutto, molti si sono rifugiati all’interno dei templi o all’interno delle foreste, impedendo quindi dall’alto la loro localizzazione. Sicuramente, dunque, c’è un difetto di organizzazione, che verrà poi analizzato quando finirà la fase acuta di questa tragedia. Bisogna dire, però, che molto è dovuto anche al pressapochismo della gente, che partecipa a queste iniziative di massa.


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    Libano sempre più a rischio di coinvolgimento nella guerra in Siria

    ◊   Il gruppo degli “Amici della Siria”, riunito in Qatar, ha deciso di fornire maggiore appoggio, anche a livello militare, agli insorti. Intanto sul campo proseguono i combattimenti tra ribelli ed esercito di Damasco. Violenti scontri, secondo fonti dell’opposizione, sarebbero avvenuti oggi nella capitale e ad Aleppo. Sempre più grave anche la situazione umanitaria per i civili in fuga dalle violenze, mentre cresce il rischio di un coinvolgimento del Libano nella crisi siriana. Christopher Altieri ne ha parlato con il padre gesuita Samir Khalil Samir, docente all’Università St. Joseph di Beirut:

    R. - Il Libano è legato alla Siria, storicamente, da secoli, e legati al governo della Siria sono gli sciiti libanesi del gruppo Hezbollah. Loro ricevono aiuto dall’Iran attraverso la Siria. Per questo sono alleati del governo siriano, ma è anche vero che in Libano i sunniti attaccano sia Hezbollah, sia l’esercito, perché – dicono – é collegato agli sciiti. Così ci troviamo in una situazione dove il conflitto siriano si trasferisce lentamente in Libano e il motivo è che non c’è più governo in Libano. Per il momento ce n’è uno provvisorio e per questo l’esercito, non ricevendo nessuna direttiva dall’esecutivo, ha deciso di reagire contro il gruppo sunnita estremista dei salafiti. Con i salafiti libanesi sono venuti dalla Siria tutti quelli dell’opposizione, che erano a Qusayr e in Libano hanno creato un loro centro operativo. Come si vede la situazione è molto confusa, c’è violenza. Tutti questi gruppi sono pesantemente armati e una volta di più è il Libano che paga, in particolare i cristiani che non hanno nessuna milizia, né difesa militare. Il pericolo è che la guerra della Siria, che non ha soluzioni per il momento, si trasferisca qui e che le varie comunità entrino nel conflitto. Ma questo sarebbe una vera catastrofe.

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    Siria, sacerdote ucciso. Il card. Sandri: si apra presto la stagione della riconciliazione

    ◊   “L’ennesimo episodio di violenza, sempre ingiustificata, risvegli la coscienza dei Responsabili delle parti in conflitto e della comunità internazionale, perché, come più volte ripetuto dal Santo Padre Francesco, tacciano le armi e si apra finalmente la stagione della giusta riconciliazione per un futuro di pace”. L’affermazione è contenuta nel messaggio nel quale il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, assieme ai superiori e ai collaboratori del dicastero esprime dolore per la “barbara uccisione”avvenuta ieri in Siria di padre Francois Mourad. Il messaggio è stato indirizzato, con al patriarca siro-cattolico, Youssif Ignace III Younan, e alla Custodia di Terra Santa. Padre Mourad, sottolinea ancora il messaggio, “è stato ricordato, insieme alle innumerevoli altre vittime, come pure ai vescovi, sacerdoti e laici rapiti, nella consueta preghiera che ha dato inizio alla nuova settimana di lavoro, nella cappella del dicastero. Come spesso affermava padre Murad – conclude il testo – “il desiderio dei cristiani in Siria e in tutto il Medio Oriente, è quello di poter rimanere nei luoghi in cui è risuonato il primo annuncio della salvezza, ‘mostrando nella quotidianità dei piccoli gesti il volto di Cristo’”. La collega francese, Manuella Affejee, ha raccolto la testimonianza di un religioso francescano in Siria, che ha chiesto l’anonimato per motivi di sicurezza:

    R. – Quello che so è che questo prete, questo monaco viveva lì, fra di noi, e aveva istituito anche un centro suo, vicino a Ghassanieh. Veniva spesso dai frati, si salutavano… A un certo punto, ho sentito che era stato ucciso a sangue freddo: l’hanno prelevato dal suo convento – hanno detto – l’hanno portato fino al nostro convento e davanti alla porta lo hanno ammazzato a colpi d’arma da fuoco. Poi sono entrati nel convento – sia nel convento nostro, sia dalla parte delle suore – e hanno rubato tutto quello che potevano rubare. E questa non è stata la prima volta che sono venuti: c’erano quindi dei precedenti. Questa notizia, quando l’ho sentita, mi ha colpito. Secondo me, questo modo di agire non è del popolo siriano. E’ il modo di gente che viene da fuori, di estremisti che vengono qui, da queste parti, per stroncare tutto quello che non è musulmano. E per questo ripeto che non sono siriani, ma persone che vengono da fuori, perché i siriano – sia cristiani sia musulmani – hanno vissuto insieme per secoli e non credo che in un tempo così limitato si possa cancellare così velocemente tutta questa storia di convivenza!

    D. – Lei ha detto che l’Occidente, nell’appoggiare i ribelli…

    R. – Sì, l’Occidente appoggia la rivoluzione. Aiutando però la rivoluzione senza distinzione, nessuno potrà garantire che tutte le armi dall’Occidente non vadano ancora nelle mani di questa gente. Non si può garantire che quello che diamo a un gruppo non passi ad un altro gruppo. Anzi, si può affermare il contrario: che non solo non stanno facendo cadere il governo, ma che invece stanno facendo cadere tutti i principi umani e della cultura umana.

    D. – Lei ha delle testimonianze che dicono che questi gruppi arrivano in una casa religiosa e intimano: avete 24 ore per andarvene…

    R. – Sono andati in un altro convento di cuore che sta vicino ad Aleppo e hanno dato loro 24-48 ore per lasciare tutto il complesso, perché Aleppo con i suoi dintorni è stata dichiarata un principato musulmano, e se è un principato musulmano ciò significa che nessuno che non sia musulmano potrà vivere in questo principato. Per questo, anche le suore devono lasciare il loro lavoro, perché il convento diventerà un centro di educazione e istruzione musulmana.

    D. – Quindi, non si tratta di un caso isolato?

    R. – No, no: non è un caso isolato. Anche se altri rivoluzionari, che sono un po’ più moderati, hanno detto che non risponde nemmeno al principio musulmano il fatto di cacciare via i cristiani. E’ questo che io dico e sostengo: e cioè, che musulmani e cristiani possono vivere insieme, a condizione che non vengano questi estremisti, in particolare dall’esterno del Paese.

    D. – Cioè, da quali Paesi?

    R. – Dai Paesi di tendenze religiose estremiste, come l’Afghanistan, la Cecenia… Sono stati trovati anche estremisti libici, tra questi rivoluzionari in Siria…

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    Turchia: i ministri degli Esteri Ue sbloccano il negoziato per l'adesione

    ◊   I ministri degli Esteri Ue, riuniti a Lussemburgo, hanno sbloccato il negoziato con la Turchia. A confermarlo la presidenza irlandese di turno sottolineando che la Conferenza intergovernativa di adesione all’Unione Europea avrà luogo dopo la presentazione del rapporto annuale della Commissione sui progressi fatti da Ankara in termini di giustizia e rispetto dei diritti politici, previsto per ottobre. Come valutare questo risultato? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Bruna Soravia, docente di Storia dei Paesi islamici presso Università Luiss-Guido Carli di Roma:

    R. – Ogni valutazione è naturalmente sottoposta al giudizio della cronaca, nel senso che, come sappiamo, tutto quello che viene detto in ambito mediorientale è soggetto al cambiamento immediato. Quello che si può ipotizzare è che sicuramente vi sia un interesse da entrambe le parti a riprendere questi colloqui. L’interesse dell’Unione Europea ad indirizzare il corso degli eventi in Turchia e, più in generale, nell’area mediorientale, in questo momento, é un interesse evidente del governo turco a legittimarsi come governo democratico, nonostante, appunto, le repressioni delle manifestazioni a piazza Taksim, appoggiandosi all’Unione.

    D. - Una delle condizioni da sempre poste da Bruxelles è stato il rispetto dei diritti umani e politici. Quanto accaduto nei giorni scorsi con le proteste di piazza Taksim può influire in qualche maniera in questo processo di avvicinamento?

    R. – Questo è il motivo che è stato preso dalla Germania per opporsi alla riapertura di questi colloqui. A me sembra che la Turchia abbia in realtà già iniziato a muoversi da tempo nella direzione di accogliere la maggior parte delle richieste sostanziali europee. Io credo, ad esempio, che l’inizio dei colloqui di conciliazione con il Pkk curdo, alla fine di maggio, vada considerato in questo senso.

    D. – Sappiamo che la Turchia è un partner strategico della Nato. Nel gioco di forze tra Unione Europea e Alleanza Atlantica chi la spunta?

    R. – La spunta quello che ha più peso internazionale. Sicuramente, in questo momento, fino a pochissimo tempo fa, la Turchia si muoveva in un’ottica che risponde di più al piano generale di pacificazione del Medio Oriente, lanciato dal governo americano, dopo il 2011. Anche quello che la Turchia ha fatto, quindi, e ha dichiarato di voler fare nei confronti della Siria, va visto in quest’ottica. E anche in questo senso, l’Unione Europea ha interesse a riprendere questo progetto strategico turco e ad inserirlo in un’ottica, invece, europea, più propriamente europea.

    D. – La Turchia è sempre stato definito un Paese ponte tra Medio Oriente ed Europa. Cosa cambierebbe, se effettivamente Ankara riuscisse ad entrare nell’Unione Europea?

    R. – Era più facile rispondere qualche anno fa, quando la Turchia era completamente dalla parte di questa integrazione; in questi tre anni di stallo – ricordiamo che la Turchia dal 2005 è entrata in quest’area di pre-integrazione e vi è rimasta bloccata per tre anni – non solo l’Europa si è allontanata dalla Turchia, ma anche la Turchia si è allontanata dall’Europa, e questo è un fatto molto più grave, mi sembra. Mentre oggi è interessante riprendere questo processo di avvicinamento culturale anche della Turchia all’Europa. Parliamo però di un’Europa molto meno chiara nei suoi obiettivi e di una Turchia molto più chiusa nei propri obiettivi.

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    Toscana, sisma: 100 edifici inagibili. Mons. Castellani: la gente è impaurita

    ◊   Sono circa cinquemila gli sfollati nelle zone toscane della Lunigiana e Garfagnana colpite dal terremoto e dove da venerdì scorso si susseguono scosse di assestamento. Per lo più si tratta di persone che temono scosse più forti e che quindi al momento preferiscono non rientrare in casa. Un centinaio gli edifici lesionati o comunque dichiarati inagibili, a fronte di 900 domande di controllo presentate dai proprietari, in tutta l’area colpita, compreso il versante lucchese. Su quanto il terremoto nell’alta Toscana incida sul tessuto sociale, soprattutto nelle aree rurali sentiamo, al microfono della collega Laura De Luca, l’arcivescovo di Lucca, mons. Italo Benvenuto Castellani:

    R. - La Carfagnana direi che è un territorio bellissimo, in certi angoli sembra di essere nelle Dolomiti. Però, pensiamo che questo territorio vasto ha solo 28 mila abitanti, con tre centri significativi: Castelnuovo, che ne è un po’ il capoluogo, e gli altri due centri di Gallicano e Piazza al Serchio, che hanno dai duemila ai quattromila abitanti. Tutti gli altri sono piccoli paesi, sperduti nel verde; piccoli, piccoli paesini arroccati: paesini che hanno dai 50 agli 800 abitanti. Realtà rurali, quindi.

    D. - Quando viene compressa una struttura lavorativa in centri così piccoli, è chiaro che il risentimento è grande...

    R. - Il fatto è proprio questo per questo terremoto. Intanto, sono saltati luoghi chiamiamoli "affettivi": mi riferisco in particolare alle chiese. Per questi piccoli centri, la chiesa è un luogo di fede e un luogo affettivo. Vi dò alcuni dati, perché non è apparso nei mass media e nelle comunicazioni di questi giorni riguardo a questo terremoto. Ringraziamo Dio che non vi siano state vittime, però la paura dal punto di vista proprio di pressione psicologica c’è e continua ad esserci. Lo ho visto io stesso. Sabato scorso sono andato a visitare anzitutto la gente e sono andato a trovare i preti: non dimentichiamo che i preti sono sempre davvero preziosi in queste realtà, ma in questo territorio sono molto anziani e sono rimasti pochi. Per cui, se prima in ogni piccolo centro, 103 parrocchie su 28 mila abitanti, c’era un sacerdote, oggi c’è un sacerdote che ha 11 piccoli centri. Sono andato a trovare loro, la gente. Ci sono situazioni di panico… E’ venuta una scossa, alla quale io non ho reagito perché la ho appena avvertita, ma loro l’hanno avvertita ed era piccolissima, di bassa intensità… La situazione è così in questi luoghi, tanto più che colpito questo luogo di fede, affettivo, di incontro che è la chiesa. È stata colpita anche la vita quotidiana. Per lo più la gente vive ancora di piccole attività agricole, mentre i giovani e le persone di mezza età scivolano in basso, verso Lucca.

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    Giornata mondiale del marittimo: “Volti di mare” da accogliere e rispettare

    ◊   “Volti del mare”, il tema dell’odierna terza Giornata mondiale del marittimo, indetta dalle Nazioni Unite, per evidenziare il ruolo strategico svolto da tutti i marinai che con il loro lavoro contribuiscono a fornire all’intera umanità il 90 per cento dei beni distribuiti nel mondo. Roberta Gisotti ha intervistato il diacono Massimo Franzi, presidente della Federazione nazionale Stella Maris:

    Portare alla ribalta oltre un milione e mezzo di marinai, spesso invisibili nel loro sacrificio in prima linea, lontani dalle loro case e dai loro affetti, come sottolinea Koji Sekimuzi direttore generale dell’Organizzazione marittima internazionale (Imo). Da qui, l’invito ad animare questa Giornata attraverso i social network, per dare loro un volto, una voce, una storia da raccontare. “Esorto tutti – scrive il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, a dedicare un pensiero a quei marinai coraggiosi, uomini e donne, di tutti gli angoli del mondo, che affrontano pericoli e condizioni di lavoro difficili per operare oggi su navi complesse e altamente tecnologiche, ogni ora e ogni giorno dell’anno e dai quali noi tutti dipendiamo”:

    D. – Gente di mare, spesso dimenticata quando non sfruttata? Che cosa si può fare di più per loro? Massimo Franzi:

    R. – Sì, anche nella nostra Italia, che è una penisola, con tantissime diocesi portuali, il marittimo in effetti è ancora una persona un po’ sconosciuta nei nostri porti. Marittimi che stanno per mesi su una nave, isolati dalla famiglia, dalla chiesa: quindi cosa bisogna fare? E’ rendere accogliente il porto, creare una cultura di accoglienza, una cultura di vicinanza per questi marittimi che arrivano da tante nazioni e chiedono, per l'appunto, di essere riconosciuti e di avere un sorriso e alcune notizie fondamentali.

    D. – Il prossimo agosto entra in vigore, a sette anni dalla sua approvazione, la Convenzione sul lavoro marittimo. Quali novità?

    R. – Tra le tante cose, sarà in particolare vissuto in maniera più strutturale il welfare marittimo. Il marittimo, quindi, sarà una persona, anche a livello legislativo, da cercare, da visitare e da rendere partecipe della vita sociale e religiosa nei porti. Noi auspichiamo che questa ratifica non sia solamente un testo scritto, ma sia davvero uno strumento per andare incontro al marittimo quale persona per accoglierlo in maniera più adeguata. La Stella Maris è sempre in prima fila, ha già collaborato in maniera partecipe con tutti gli enti governativi e statali nei vari porti, a livello nazionale, e sarà ancora presente per dare un supporto a queste realizzazioni di welfare marittimo.

    D. – Lei ha detto: “Una persona da riconoscere come tale”. Viene sottolineato, infatti, che i marittimi siano quasi invisibili da chi è a terra…

    R. – Sì, perché noi che siamo a terra normalmente il porto non lo vediamo e pensiamo solo al porto come a un luogo in cui ci sono navi da crociera o yacht o mercantili, ma non pensiamo alla gente che c’è dentro, in particolar modo sulle navi container. Questi marittimi sono invisibili per noi, perché in ogni porto si fermano per poche ore, o pochissimi giorni, ripartono subito e non hanno mai il tempo di mettere qualche radice, di creare qualche rapporto, di avere risposta ai loro bisogni, sia religiosi sia umani. Per questo, parlavo di persona nella sua integrità: stanno pochissime ore nei nostri porti, che ormai sono dei luoghi staccati dalla città, e il marittimo, come dicevo prima, non trova modo di porre radici sia a livello civile che religioso.

    D. – Quindi, è importante che ci sia invece un riconoscimento particolare per chi opera sulle navi?

    R. – Certo, perché il marittimo è un lavoratore internazionale e quindi ha dei diritti e dei doveri: tra i suoi diritti, ha quello di essere riconosciuto come persona nei suoi bisogni. Quando un marittimo raggiunge un porto, ha diritto ad avere una accoglienza, che sia un’accoglienza religiosa per i credenti, e sia comunque un’accoglienza umana – ad esempio poter telefonare a casa o dare risposta alle sue esigenze primarie. Poter aver quindi dei rapporti umani, che non siano solamente quelli strettamente lavorativi che ha sulla nave.


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    La mostra fotografica "Essere madri in Etiopia": un aiuto per 200 mila donne e 500 mila bimbi

    ◊   Dopo l’anteprima ad Addis Abeba, la mostra fotografica “Essere madre in Etiopia” è stata inaugurata nei giorni scorsi in Piazza Carlo Alberto a Torino, dove resterà fino a metà luglio. Organizzata dal Comitato collaborazione medica e realizzata dall’agenzia Magnum Photos, presenta una selezione degli scatti realizzati dalla fotografa Bieke Depoorter che documentano le attività del Comitato stesso. Al microfono di Elisa Sartarelli, la responsabile della mostra, Sabina Tangerini.

    R. – La mostra fotografica è stata pensata in collaborazione con l’agenzia fotografica Magum Photos. È composta da una serie di scatti prestati dall’archivio fotografico di Magum che è un nostro partner nell’organizzazione di questa iniziativa. Le immagini sono tratte da Paesi in cui il Ccm interviene e hanno come obiettivo quello di sensibilizzare sull’importanza e sulla delicatezza della maternità, dell’infanzia e soprattutto sulla tutela dei diritti. Diciamo che è una mostra fotografica che si divide un po’ a metà tra la volontà di far emergere, da una parte, dei dati che sono oggettivamente drammatici – quelli relativi alla mortalità e i problemi legati alla gravidanza in Paesi in cui la sanità è piuttosto debole – e dall’altra parte, abbiamo scelto di non avere uno sguardo tragico su questo tema, ma di raccontare parallelamente quanto sia invece centrale il momento della gravidanza, del parto e dell’accudimento della madre nei confronti dei propri bambini in Africa e nel contesto in cui interveniamo. Dedichiamo ampio spazio, oltre che alle immagini, anche a un testo che riesca a restituire parte di questo legame profondo e importante che c’è tra la madre e il suo bambino, dando degli spaccati sulle realtà diverse in cui interveniamo. Ci sono quindi riferimenti ai vari rituali legati alla maternità nei Paesi in cui interveniamo, ci sono delle riflessioni: ad esempio sull’allattamento al seno, sull’importanza del contatto tra mamma e bambino… Tutte cose su cui si riflette molto intensamente anche in Italia. Le prime sezioni della mostra fotografica sono state inaugurate lo scorso anno a ottobre. Queste sezioni erano molto generali: si parlava molto della maternità, della gravidanza in maniera trasversale nei nostri Paesi. La sezione che viene inaugurata adesso è dedicata specificamente all’Etiopia e gli scatti che sono esposti in questa sezion, sono stati raccolti proprio da una fotografa di Magnum, Bieke Depoorter, che è stata presente nei nostri progetti ed ha potuto quindi documentare l’attività del Ccm.

    D. – La mostra “Essere madre in Etiopia” fa parte della campagna “Sorrisi di madri africane” che si concluderà nel 2015. Quali sono gli obiettivi di questa campagna?

    R. – Entro questa data, ci siamo dati degli obiettivi: da una parte c’è quello di sensibilizzazione. La mostra fotografica risponde al bisogno di sensibilizzare e stimolare a partecipare attivamente il maggior numero di persone, di istituzioni, di organizzazioni sui problemi sanitari dei Paesi a basso reddito. Dall’altra parte, ovviamente, c’è la raccolta fondi per sostenere le iniziative a favore della salute materna e infantile. L’obiettivo finale è quello di garantire una gravidanza priva di problemi e un parto sicuro a 200 mila donne, sia per assicurare una nascita senza complicazioni che per garantire vaccinazioni e cure ad almeno 500 mila bambini.

    D. – Dopo quella di Torino, sono previste altre tappe italiane?

    R. – Abbiamo una serie di luoghi in cui vorremmo portarla. In questo momento, siamo in fase di negoziazione, in collaborazione con le varie autorità locali per avere le autorizzazioni. Quindi non abbiamo un calendario già definito. Diciamo che, sicuramente entro il 2013, abbiamo intenzione di fare almeno altri due allestimenti: uno probabilmente in Val D’Aosta, e uno nella provincia del cuneese.

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    Concerto ad Auschwitz "La sofferenza degli innocenti". Il rabbino Lefkowitz: mi sono sentito amato

    ◊   Ha avuto vasta eco il concerto sinfonico-catechetico “La sofferenza degli innocenti” composto da Kiko Arguello ed eseguito domenica scorsa dall’orchestra del Cammino neocatecumenale davanti alla “porta della morte” di Auschwitz-Birkenau. Vi hanno preso parte 6 cardinali, 50 vescovi, 35 rabbini e più di 12mila persone. A partecipare anche il rabbino Mosche Lefkowitz, direttore di Afikim, un’organizzazione che si occupa di bambini poveri in Israele. Debora Donnini lo ha raggiunto telefonicamente in Polonia:

    R. – (Parole in ebraico)
    C’è scritto nella Torah: sul Monte Sinai quando c’è stata unione e amore tra tutti quanti, i cieli si sono aperti. Io non voglio comparare questo esattamente al Monte Sinai, ma qui c’è stata una tale comunione e un tale amore che posso dire di essermi “rivestito” di questa comunione ed amore come di un Tallit, che è il manto di preghiera ebraico. Questo amore e questa unione sono le cose che più mancano in questo mondo e sono le cose più importanti nel mondo! Sarebbe molto importante continuare ancor di più ad incontrarci, perché possiamo veramente sentirci insieme figli di Dio. E se questo fosse possibile, se riuscissimo a fare sempre di più questi incontri, allora ci sarà pace nel mondo, e se c’è pace nel mondo, allora ci sarà guarigione e abbondanza nel mondo e non tutto questo dolore che oggi sperimentiamo. Ho avuto ora un incontro con Kiko Argüello: gli ho detto che ieri non ho sentito di essere ad un concerto o ad una sinfonia, ma ho sentito che eravamo come in una preghiera. Io sono figlio e sono nipote di sopravvissuti all’Olocausto: ho avuto almeno 60 persone della mia famiglia, miei parenti, che sono morti ad Auschwitz… Immaginate che questa era la prima volta che venivo ad Auschwitz: ho avuto sempre paura di venire in questo luogo.

    D. – Si è commosso?

    R. - (Parole in ebraico)
    Sì, mi sono commosso: stare lì, come ebreo, insieme a 12 mila persone e sentire che mi amavano… Sedermi lì, con tutte queste persone, davanti alla “porta della morte”, davanti alle baracche di Auschwitz e avendo sentito per tanti anni quello che i miei nonni mi hanno raccontato, ho pianto tutto il tempo… Mi sono commosso moltissimo. Per me questo incontro è stata una preghiera, è stata una benedizione, perché quello che volevano fare i nazisti non era soltanto distruggere il corpo degli ebrei, ma anche distruggerli spiritualmente, farli sentire come fossero animali… Ma anche in questo inferno, tutto questo non ha distrutto la loro fede: hanno continuato nella preghiera e nella fede.

    D. – Ieri Papa Francesco, ricevendo in Vaticano una delegazione dell'International Jewish Committee on Interreligious Consultations, ha detto: “Un cristiano non può essere antisemita”.

    R. – (Parole in ebraico)Prima di tutto sono delle parole bellissime, che non saranno invano. E anche io, come ebreo, benedico queste parole con tutto il mio cuore. La benedizione che c’è contro l’odio non è solo la benedizione verso gli ebrei o i cristiani, ma una benedizione per tutto il mondo: queste parole contro l’odio sono una benedizione per tutto il mondo perché pace e amore sono il nome di Dio. E quando c’è pace e amore, lì c’è benedizione!

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Iraq: nella serie di attentati, colpita anche un chiesa a Baghdad

    ◊   Ieri una decina di attentati hanno sconvolto Baghdad, Mosul, Tikrit e altre città nel nord del Paese. Il bilancio è di almeno 41 morti e 125 feriti. Molti degli attacchi hanno colpito mercati e ristoranti nei quartieri di Al Nasser, Karrada, Al Jihade Nahrawan, nella periferia della capitale. Nel solo mese di aprile oltre 2mila persone hanno perso la vita per esplosioni, assalti contro edifici, sparatorie e attentati kamikaze. Il bilancio è il più grave degli ultimi cinque anni. Fonti dell'agenzia AsiaNews descrivono una situazione che ha ormai coinvolto tutta la popolazione composta da sunniti, sciiti e cristiani, vittime innocenti di una guerra portata avanti da estremisti senza volto. La situazione della sicurezza sembra essere un riflesso del conflitto politico esistente in Iraq. La divisione tra i politici è diventata un'opportunità sfruttata da molti per provocare divisioni e confusione fra la popolazione innocente. Gli abitanti della capitale Baghdad e di diverse città dell'Iraq - riporta AsiaNews - hanno vissuto una notte difficile e sanguinosa a causa di attacchi terroristi, con autobombe e dispositivi esplosivi che hanno causato la morte di molte persone. Gli attentati hanno preso di mira mercati e luoghi popolari, distruggendo negozi, abitazioni e auto. Fra i luoghi colpiti e danneggiati seriamente nella serie di attentati anche gli esercizi commerciali di diversi cristiani. Il negozio di Abou Warda, un cristiano caldeo che confeziona cibi nel quartiere Karrada (Baghdad), è stato attaccato con un'auto bomba. Nell'esplosione è morto Ashur, un impiegato del negozio che lascia moglie e tre bambini, mentre altri due lavoratori del locale sono rimasti feriti. In un'altra zona della capitale, nel quartiere di Sinaa, due autobombe sono esplose davanti il negozio di Mariana e Rahhim, una coppia di cristiani. La furia degli attentati non ha risparmiato nemmeno gli edifici religiosi. Ieri notte alcuni uomini dal volto coperto hanno assaltato la chiesa assira di Santa Maria, nella zona est di Baghdad. Gli attentatori si sono presentati davanti all'edificio e hanno sparato all'impazzata contro le guardie. Due di esse sono rimaste gravemente ferite. Finora nessun gruppo ha rivendicato gli attacchi - che hanno devastato anche altre zone dell'Iraq - e le ragioni di una tale violenza. La gente comincia ad avere paura. (R.P.)

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    Vietnam: attivista cattolico in sciopero della fame contro le condizioni carcerarie

    ◊   Un attivista cattolico vietnamita, condannato a quattro anni di prigione nel gennaio scorso con l'accusa di "voler rovesciare il governo comunista", ha iniziato lo sciopero della fame per protesta contro le condizioni carcerarie. Tran Minh Nhat, in cella per l'affiliazione col partito di opposizione Viet Tan (messo al bando dalle autorità di Hanoi) ha iniziato a rifiutare il cibo dopo essersi visto negare alcune letture - fra cui materiale religioso e vite di santi cattolici - e aver subito una serie di abusi psicofisici dalle guardie carcerarie. Ngueyn Thi Chi, cognata dell'attivista Nguyen Dinh Cuong, condannato e imprigionato assieme a Nhat, conferma che il giovane ha deciso lo sciopero della fame "per protesta contro le condizioni carcerarie". La protesta è iniziata lo scorso 21 giugno e andrà a oltranza. Ha da poco interrotto un'analoga forma di protesta Cu Huy Ha Vu, prominente attivista e dissidente, che ha rifiutato il cibo per 25 giorni di fila. Egli ha interrotto lo sciopero della fame dopo che le autorità carcerarie hanno acconsentito a esaminare la denuncia di abusi in prigione; egli parla di "vittoria" per la giustizia e la democrazia, in una realtà come quella dello Stato retto dal Partito unico. Il caso del dissidente Vu ha avuto una vasta eco a livello internazionale; il governo statunitense, diverse nazioni al mondo e gruppi di attivisti pro diritti umani hanno lanciato appelli al governo di Hanoi, chiedendone la liberazione immediata. Sulla stessa falsariga si inserisce la vicenda del giovane cattolico Tran Minh Nhat, la cui sentenza di colpevolezza - assieme ad altri 13 attivisti cattolici, studenti e blogger - è stata condannata da organismi internazionali perché segno di "repressione politica" nel Paese asiatico. Dietro la decisione di rifiutare il cibo c'è la terribile situazione della prigione - con temperature esterne superiori ai 40 gradi - che rendono la vita "quasi insopportabile". I secondini avrebbero inoltre proibito di consegnare al giovane alcuni libri di argomento religioso, fra cui vite di personalità di primo piano della Chiesa come Giovanni Paolo II e il card. Nguyen Van Thuan. (R.P.)

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    Le linee guida dell'Ue sulla libertà di religione. Soddisfazione delle Chiese europee

    ◊   "Un “passo importante” verso il riconoscimento della libertà di religione e credo come “una priorità” della politica estera dell’Unione Europea. Così la Commissione “Chiesa e Società” della Conferenza delle Chiese europee che ha sede a Bruxelles, definisce l’adozione ieri delle Linee guida sulla libertà di religione o di credo da parte del Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europea. La Chiese cristiane che fanno parte della Kek e della Comece - riferisce l'agenzia Sir -hanno giocato un ruolo attivo nel corso della consultazione e della stesura di queste linee guida, dando suggerimenti alla luce della loro esperienza. E’ dello scorso anno per esempio, l’organizzazione di un Seminario di dialogo promosso da Kek e Comece dal titolo “Libertà di religione: un diritto fondamentale in un mondo che cambia rapidamente”. Le Chiese - si legge in un comunicato della Kek - hanno sempre sottolineato che “la libertà di religione e credo è un diritto inalienabile di ogni essere umano a prescindere dalla sua religione e dal suo credo”. Ed hanno sempre valorizzato il “ruolo cruciale” che le Chiese, le comunità religiose e le organizzazioni della società civile possono giocare per la promozione e la difesa di questo diritto in quanto sono “in diretto contatto con le vittime delle violazioni dei diritti umani”. Per la Kek è importante anche il fatto che con queste linee guida, le chiese, le comunità religiose e le persone al di fuori dei confini dell’Unione europea possono segnalare le violazioni alla libertà di religione o di credo alle delegazioni dell’Ue nei Paesi terzi e in conseguenza delle violazioni segnalate, l’Ue può agire attraverso i meccanismi a sua disposizione, come colloqui bilaterali, iniziative e raccomandazioni. Dal canto loro “le Chiese continueranno a monitorare l’attuazione e la valutazione delle linee guida sulla libertà di religione o di credo, al fine di garantire che queste linee guida siano utilizzate in modo efficace per combattere le violazioni e segnalare i responsabili alla giustizia”. (R.P.)

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    Europa: alla Settimana della speranza il messaggio di don Pino Puglisi

    ◊   Don Pino Puglisi il prete siciliano di Brancaccio ucciso dalla mafia nel ‘93 continua a far parlare di sé e del suo impegno per il Vangelo, l’uomo, la legalità. A lui - riporta l'agenzia Sir - è stata dedicata ieri una serata che si è svolta nella Chiesa domenicana di Bruxelles e che nell’ambito della Settimana della Speranza, promossa dalla Comece, è stata animata dagli arcivescovi di Palermo e Catanzaro, il cardinale Paolo Romeo e mons. Vincenzo Bertolone. Un folto gruppo di persone hanno seguito i vari interventi, tra loro anche autorità religiose e politiche dell’Ue come il nunzio apostolico presso l’Unione europea, mons. Alain Lebeaupin, il vescovo ausiliare di Bruxelles, mons. Jean Kockerols, l’ambasciatore italiano presso il Belgio Alfredo Bastanielli e l’eurodeputato, membro della Commissione speciale europea sulle mafie e il crimine organizzato, Salvatore Iacolino. Beatificato quest’anno il 26 maggio scorso, “don Puglisi - ha detto il cardinale di Palermo, Paolo Romeo - non era il prete-antimafia, ma il prete per il Vangelo. Padre Puglisi toglieva quella coltre di omertà che bloccava un quartiere, privava di manovalanza la mafia, minava al cuore la criminalità organizzata, facendo conoscere l’amore di Dio per ogni uomo e offrendo soprattutto ai giovani un cammino degno e rispettoso della loro dignità, facendone uomini liberi”. Padre Puglisi - ha così proseguito l’arcivescovo di Palermo - “era cosciente dei rischi di correva ma non voleva correre il rischio di non rispondere alla sua vocazione”. La sua vita è un messaggio chiaro per la Chiesa e i cristiani d’Europa, che “non devono farsi prendere dal panico o dallo scoraggiamento ma continuare ad attingere la speranza dalla Parola di Dio. La vita di padre Puglisi è un oceano di speranza. Un chicco di grano che con il passare del tempo cresce e genera vita nuova”. Anche per mons. Vincenzo Bertolone, bisogna parlare di mafia e di don Pino Puglisi “nelle scuole, soprattutto laddove la dignità dell’uomo viene svenduta a pochi soldi, in contesti in cui la speranza viene meno, il rispetto delle istituzioni vacilla e la possibilità di riscatto sembra appartenere a pochi”. “Senza certezza di futuro - ha detto mons. Bertolone - non c’è speranza. Ma la speranza la costruiscono uomini e donne coerenti con le idee che professano e diventano uomini e donne credibili e pronti per quelle idee anche a dare la vita, come ha fatto don Pino. Fu ucciso per i suoi ideali, per il suo amore al Vangelo, per la sua predilezione per gli ultimi. Non ha tolto la libertà ai mafiosi, non ha impedito loro di fare affari. Ha semplicemente cercato di formare coscienze capaci di pensare cristianamente e di agire evangelicamente”. (R.P.)

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    La morte di Emilio Colombo, ultimo costituente

    ◊   E' morto ieri sera a Roma il senatore a vita Emilio Colombo, in passato presidente del Parlamento Europeo, presidente del Consiglio e più volte ministro. Aveva 93 anni ed era l'ultimo costituente ancora in vita. Nato a Potenza l'11 aprile 1920 – riporta l’agenzia Ansa - Emilio Colombo ha attraversato da protagonista tutta la storia politica italiana del Secondo Dopoguerra e anche parte di quella europea, ricoprendo incarichi di primissimo piano - fino alla nomina a senatore a vita, nel gennaio del 2003, per decisione dell'allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ma senza mai interrompere un legame con la sua città e la sua regione, la Basilicata. Laureato in giurisprudenza e proveniente dalla Gioventù di Azione Cattolica - in quel periodo storico autentica ''fucina'' di uomini che hanno guidato l'Italia o hanno avuto responsabilità in settori importanti del Paese - Colombo fu eletto all'Assemblea Costituente a 26 anni. Nel 1948 fu poi eletto deputato, decollo definitivo di una carriera che lo porterà, nell'agosto del 1970, a diventare Presidente del Consiglio, incarico che conserverà fino al febbraio del 1972. In campo europeo, Colombo ebbe un ruolo nei negoziati con la Francia all'epoca della politica della "sedia vuota" inaugurata da De Gaulle: nel 1979 fu rieletto al Parlamento europeo con circa un milione di voti di preferenza. E' stato presidente del Parlamento europeo dal 1977 e fu riconfermato nel 1979, anno in cui gli fu assegnato il premio "Carlo Magno", attribuito ogni anno proprio all'uomo politico che contribuisce di più al processo d'integrazione europeo. Martin Schulz, presidente del Parlamento Ue, lo ha ricordato come "figura cardine della storia italiana e dell’integrazione europea”. “Come presidente del Parlamento europeo si era fortemente impegnato al rafforzamento della democrazia europea - aggiunge Schulz - ed è stato uno dei più alti rappresentanti dell’illustre tradizione dell’europeismo italiano. Italia ed Europa perdono un grande protagonista: un politico appassionato, integro e lungimirante”. (R.P.)

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    Centrafrica: appello alla riconciliazione dei vescovi

    ◊   “Inaudito!”: è questo l’aggettivo che ricorre più volte nel messaggio diffuso dalla Conferenza episcopale centrafricana (Ceca), al termine dell’Assemblea ordinaria svoltasi a Bimbo dal 12 al 23 giugno. “Inaudito” è il difficile momento storico che sta attraversando il Paese, devastato dalle violenze dei ribelli della Seleka, (“Alleanza” in lingua sango), perpetrate dopo il colpo di Stato del 24 marzo, che ha portato al potere l’ex capo della ribellione, Michel Djotodia. Inaudito, scrivono i vescovi, è il bilancio delle vittime, la distruzione del tessuto sociale, il trauma vissuto dalla popolazione. E inaudite sono anche le ripercussioni del conflitto sul piano economico, in cui prevalgono gli interessi personali e la gestione irrazionale delle risorse. Drammatica anche la situazione politico-amministrativa, soprattutto dopo che la Seleka ha deciso di distruggere l’archivio dell’amministrazione pubblica, “annullando la memoria nazionale”, “attentando all’esistenza stessa del Paese” e “mettendo in discussione l’autorità dello Stato”. I vescovi, inoltre, si dicono preoccupati per l’anno scolastico interrotto a causa degli scontri e per l’esercito regolare ormai soppiantato da “un aggregato di uomini armati privi di etica e di deontologia, che continuano a comportarsi da ribelli, imponendo la loro legge con le armi”. “Nel Centrafrica - considerano con amarezza i presuli – la vita non ha ormai alcun prezzo” e in quest’ottica condannano duramente l’arruolamento dei bambini-soldato, così come “la profanazione dei luoghi di culto cristiani messa in atto dalla Seleka”. Di fronte a tali calamità vissute dal Paese, la Ceca si appella ai fedeli affinché testimonino, oggi più che mai, “la fede e la speranza”, continuando ad “annunciare il Vangelo” e la “buona novella di salvezza”. E ciò implica, sottolineano i vescovi, anche un impegno nel campo politico, economico e sociale perché “la fede comporta una dimensione socio-politica”. Di qui, l’invito a contrastare tutto ciò che “frena lo sviluppo della nazione”, come “il nepotismo, il clientelismo, la corruzione, l’impunità, l’accaparramento dei beni pubblici e la violazione dei diritti umani”. Infine, con l’obiettivo di intraprendere “un cammino di riconciliazione e di ricostruzione sociale”, i presuli incoraggiano l’istituzione di “una piattaforma di dialogo tra leader religiosi cattolici, protestanti e musulmani”, anche per “dissipare eventuali tensioni religiose” e per “testimoniare la fede nella carità”. (I.P.)

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    Togo: per i vescovi è minacciata la pace sociale

    ◊   “Quando la pace sociale è minacciata, nessun discepolo di Cristo può chiudersi nell’indifferenza né sottrarsi all’appello evangelico di essere artefice della pace. È quanto scrivono i vescovi del Togo nel messaggio pubblicato al termine della loro Sessione ordinaria. “Di fronte all’accrescersi della tensione e del malcontento - afferma il documento - ogni cittadino ha l’obbligo di operare per evitare che il Paese si ritrovi preso nell’ingranaggio della violenza e della distruzione della nostra eredità comune”. La tensione nel Paese è aumentata a partire da gennaio quando un incendio doloso ha distrutto i mercati di Kara e Lomé, fortunatamente senza causare vittime. “A partire da questi incidenti, sono avvenuti ben altri avvenimenti sfortunati e il nostro Paese è considerevolmente regredito nella fiducia tra i cittadini e le istituzioni” afferma il messaggio. Le proteste dei giovani per le difficili condizioni economiche e le reazione della polizia hanno provocato incidenti che hanno causato vittime e danni materiali, mentre risulta difficile il negoziato tra governo, opposizione e società civile. “Tutto questo fa temere un’esplosione di violenza se non si intraprende un passo coraggioso e inclusivo per riconciliare le diverse parti e più generalmente tutti i togolesi” scrivono i presuli. In vista delle prossime elezioni legislative i vescovi chiedono a tutti di lavorare perché il voto sia “libero, trasparente ed equo. Le generazioni presente e future così come la storia ci giudicheranno severamente se non sceglieremo la via della saggezza” conclude il messaggio. (R.P.)

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    Bangkok: le religioni unite contro l'Aids

    ◊   Inizia oggi per concludersi domani nella capitale thailandese Bangkok, il primo Dialogo regionale tra leader religiosi, persone che vivono con l’Hiv e l’Aids e le popolazioni-chiave coinvolte dalla malattia (ovvero i gruppi a rischio, per condizione socio-economica, discriminazione sessuale o condizioni di emarginazione). Presenti all’evento - riferisce l'agenzia Misna - partecipanti da Cambogia, India, Indonesia, Myanmar e Thailandia. Un’occasione preziosa di incontro e di scambio di esperienze sostenuto dal Programma congiunto delle Nazioni Unite sull’Hiv e l’Aids-Unaids in un’area, quella dell’Asia meridionale, dove a concreti passi avanti negli ultimi decenni si contrappongono ancora livelli elevati di discriminazione e di criminalizzazione che contribuiscono all’isolamento dei sieropositivi e impediscono loro di accedere alle cure necessarie. A Bangkok, per la prima volta, rappresentanze della galassia di organizzazioni e di iniziative che con un sempre maggiore coordinamento cercano di intervenire nella prevenzione e cura ma anche per l’accettazione sociale di chi è colpito dal contagio, si incontrano con le esperienze religiose del continente. Le religioni restano centrali nella vita delle popolazioni dell’Asia e del Pacifico. Per questo, i leader religiosi hanno potenzialmente una grande influenza sulle attitudini sociali prevalenti; possono quindi partecipare a indirizzare in modo più equo ed efficace le politiche di contenimento e cura della malattia, come pure contribuire a ridurre stigma e discriminazione. (R.P.)

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    Cambogia: i Gesuiti lanciano un nuovo progetto educativo e una nuova scuola

    ◊   I Gesuiti lanciano un nuovo progetto educativo in Cambogia: a Battambang sorgerà una scuola secondaria di medie dimensioni, con quattro classi per ogni anno, e una piccola scuola elementare. Il progetto prevede anche un Centro di formazione degli insegnanti e una residenza dove ospitare gli insegnanti in fase di formazione. “Questo progetto educativo sta molto a cuore ai Gesuiti che operano con i giovani Khmer”, spiega in un nota inviata all'agenzia Fides padre Ashley Evans, missionario irlandese, arrivato in Cambogia nel 1993 e direttore dell’ “Education Mission Leadership Team”. Dopo anni di valutazione e discernimento, “siamo molto contenti che il processo prenda il via”, nota. Partner locali del progetto sono la prefettura apostolica di Battambang e le autorità scolastiche provinciali. Si stanno inoltre cercando partner internazionali, che potrebbero includere altre province della Conferenza dei Gesuiti dell'Asia-Pacifico, o altri ordini religiosi, maschili e femminili. Padre Ashley, direttore del nuovo progetto educativo, riferisce che per i primi 12 anni di attività didattica si prevede il bisogno di finanziamenti per acquistare la terra, costruire gli edifici, erogare borse di studio; dopo di che la scuola dovrebbe sostenersi da sola. I Gesuiti sono impegnati in Cambogia da oltre 20 anni nel campo dell’istruzione e della formazione professionale. La Compagnia di Gesù sostiene economicamente studenti della scuola primaria e insegnanti in aree remote e si è occupata anche della formazione degli insegnanti dell’Università Reale di Phnom Penh. I Gesuiti gestiscono, inoltre, un Centro per bambini disabili a Phnom Penh e un Centro per i bambini svantaggiati in Battambang. (R.P.)

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    Venezuela: i vescovi chiedono di risolvere il conflitto universitario

    ◊   La Conferenza episcopale del venezuela (Cev) ha rivolto un appello al governo e al mondo universitario per creare uno spazio di "dialogo sincero e reale" in modo di trovare una soluzione immediata al conflitto dei centri di studio superiore. "Crediamo che sia importante che nel dialogo prevalga la consapevolezza del momento storico che il Paese sta vivendo, il riconoscimento e l'accettazione della pluralità e l'autonomia di pensiero - genuina caratteristica delle università-, in modo che ci sia un chiaro impegno dello Stato, del Governo nazionale e della società civile per l'educazione” affermano i vescovi. La Cev - riferisce l'agenzia Fides - è intervenuta a causa degli atti di violenza e vandalismo di questi ultimi giorni presso l'Universidad Central di Venezuela. Gruppi violenti hanno accolto con colpi d'arma da fuoco la marcia degli universitari di Lara, mentre un gruppo di studenti ha indetto uno sciopero della fame. La protesta degli universitari (che chiedono al governo una revisione dei tagli al settore della pubblica istruzione) è appoggiata anche dai docenti. “Questo conflitto ha mostrato molte facce: l'esigenza del riconoscimento dell’associazione universitaria da parte delle autorità nazionali per un dialogo sulla parità di condizioni e la necessità di ascoltare il mondo degli studenti nelle loro richieste per una formazione di qualità” concludono i vescovi. (R.P.)

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    Colombia: nessuna notizia di un sacerdote scomparso da 4 giorni

    ◊   C'è molta preoccupazione fra i fedeli per la scomparsa da quattro giorni, del sacerdote Nestor Dario Buendia, di 35 anni, che lavora nella parrocchia di San Antonio de Padua nella località di Cereté (circa 500 km al nord di Bogotà). Il sacerdote - riferisce l'agenzia Fides - era partito da Cereté giovedì scorso verso Monteria, ma non ha raggiunto la destinazione prevista dove c'è la sua famiglia. La nota inviata all'agenzia Fides informa che la scomparsa del sacerdote Buendia è stata confermata dal vescovo della diocesi di Monteria, mons. Ramón Alberto Rolón Güepsa. "La Chiesa è preoccupata, noi non lo vediamo da giovedì, ma ho già contattato la polizia", ha riferito il vescovo. Don Buendia è nato a Canalete (Cordoba) ed è stato fino a tre mesi fa parroco della chiesa di Santo Domingo Vidal a Chima, come confermato alla stampa locale dal suo successore padre Luis Fernandez, che si è mostrato molto preoccupato del fatto. Il comandante della polizia di Cordoba ha avviato le ricerche nell’area compresa tra Cereté e Monteria per ritrovare il sacerdote. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 176

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