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Sommario del 24/06/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa al Comitato ebraico per le consultazioni interreligiose: "Un cristiano non può essere antisemita"
  • Il Papa: la Chiesa sia come San Giovanni, voce che indica la Parola senza idee proprie
  • Dal Papa il leader dei "qom" argentini per parlare dei diritti dei nativi in America Latina
  • Il Papa riceve il premier di Malta, il fenomeno delle migrazioni al centro del colloquio
  • Altre udienze e nomina di Papa Francesco
  • Tweet del Papa: siamo capaci di essere cristiani coerenti 24 ore su 24?
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: ribelli assaltano il Convento di Sant’Antonio a Ghassanieh. Ucciso un religioso
  • Usa, Kerry: non ci sono condizioni per negoziare con i talebani
  • Pakistan: Musharraf sarà processato per alto tradimento
  • Egitto di nuovo in fermento a un anno dall'elezione del presidente Morsi
  • Medio Oriente. Il presidente dell'Anp accetta le dimissioni del premier Hamdallah
  • Uruguay: per mancanza di quorum fallita la proposta di abrogare la legge sull'aborto
  • Terremoto. La Regione Toscana chiede lo stato d'emergenza
  • Serbia. Concluse a Belgrado le celebrazioni per i 17 secoli dell'Editto di Costantino
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Auschwitz: "La sofferenza degli innocenti" di Kiko Arguello per le vittime dell'Olocausto
  • India: la Chiesa in soccorso delle vittime dello “tsunami dell’Himalaya”
  • Comece: al via la "Settimana della speranza" nel segno del Beato Popieluszko
  • Giappone: messaggio dei vescovi per i Dieci giorni per la pace
  • Myanmar. L'arcivescovo di Yangon: "La Chiesa per il dialogo e contro i conflitti religiosi"
  • Bangladesh: a Rajshahi, sindaco musulmano chiede scuole cristiane per la città
  • Colombia. Il vescovo di Tibú chiede di capire la protesta dei contadini
  • Mali: riunione della Caritas sulla crisi umanitaria
  • Nigeria: una milizia civile anti-Boko Haram preoccupa gli abitanti di Maiduguri
  • Irlanda: Campagna della Chiesa contro la legge sull'aborto
  • Polonia: le conclusioni della 362.ma Plenaria dei vescovi
  • Libano: annullato il Congresso di Signis a causa del conflitto in Siria
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa al Comitato ebraico per le consultazioni interreligiose: "Un cristiano non può essere antisemita"

    ◊   “Un cristiano non può essere antisemita”: è la frase forte pronunciata da Papa Francesco nel corso dell’udienza di oggi in Vaticano ai membri del “Comitato Ebraico Internazionale per le Consultazioni Interreligiose” (International Jewish Committee on Interreligious Consultations). Nel suo discorso, il Pontefice ha evidenziato la lunga relazione di amicizia tra cristiani ed ebrei ed ha incoraggiato a proseguire sulla strada intrapresa. Il servizio di Benedetta Capelli:

    Per due volte nel suo discorso, Papa Francesco ripete ai “fratelli maggiori” la parola shalom, “pace”. Lo fa all’inizio ricordando i 40 anni di "dialogo regolare" tra ebrei e cristiani, che hanno contribuito a rafforzare “la reciproca comprensione ed i legami di amicizia”. Poi al termine dell’udienza, quando chiede e assicura il “dono della preghiera”. A guidare le parole del Papa la Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, “un punto di riferimento fondamentale per quanto riguarda le relazioni con il popolo ebraico”:

    “La Chiesa riconosce che 'gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei Patriarchi, in Mosè e nei Profeti'. E, quanto al popolo ebraico, il Concilio ricorda l’insegnamento di San Paolo, secondo cui 'i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili', ed inoltre condanna fermamente gli odi, le persecuzioni, e tutte le manifestazioni di antisemitismo. Per le nostre radici comuni, un cristiano non può essere antisemita!”

    Una frase forte che segna questa “prima occasione” di confronto con “un gruppo ufficiale di rappresentanti di organizzazioni e comunità ebraiche”. Papa Francesco aggiunge che proprio i principi conciliari hanno segnato “il cammino di maggiore conoscenza e comprensione reciproca”, intrapreso negli ultimi decenni tra ebrei e cattolici grazie anche a dichiarazioni e gesti importanti da parte dei Pontefici precedenti. Un percorso – evidenzia il Papa – che è “la parte più visibile di un vasto movimento che si è realizzato a livello locale un po’ in tutto il mondo”. Qui ricorda la sua esperienza come arcivescovo di Buenos Aires con confronti, dialoghi con gli ebrei sulla “rispettiva identità religiosa”, sulle “modalità per tenere vivo il senso di Dio in un mondo per molti tratti secolarizzato”:

    “Mi sono confrontato con loro in più occasioni sulle comuni sfide che attendono ebrei e cristiani. Ma soprattutto, come amici, abbiamo gustato l’uno la presenza dell’altro, ci siamo arricchiti reciprocamente nell’incontro e nel dialogo, con un atteggiamento di accoglienza reciproca, e ciò ci ha aiutato a crescere come uomini e come credenti”.

    Un’amicizia che ha inevitabilmente rappresentato “la base del dialogo” che ad oggi si sviluppa sul piano ufficiale; una strada che va ancora battuta “coinvolgendo anche le nuove generazioni”:

    “L’umanità ha bisogno della nostra comune testimonianza in favore del rispetto della dignità dell’uomo e della donna creati ad immagine e somiglianza di Dio, e in favore della pace che, primariamente, è un dono suo. Mi piace qui ricordare le parole del profeta Geremia: 'Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – oracolo del Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza”.

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    Il Papa: la Chiesa sia come San Giovanni, voce che indica la Parola senza idee proprie

    ◊   Come San Giovanni, la Chiesa è chiamata a proclamare la Parola di Dio fino al martirio. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta, nell’odierna Solennità della Nascita di San Giovanni Battista. Il Papa ha ribadito che la Chiesa non deve mai prendere niente per se stessa, ma essere sempre al servizio del Vangelo. Alla Messa, concelebrata tra gli altri dal cardinale Gianfranco Ravasi, hanno preso parte un gruppo di sacerdoti e collaboratori del Pontificio Consiglio della Cultura, un gruppo di dipendenti della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e uno dell’Ufficio Filatelico e Numismatico Vaticano. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Nel giorno in cui la Chiesa celebra la nascita di San Giovanni Battista, Papa Francesco ha iniziato la sua omelia rivolgendo gli auguri a tutti coloro che portano il nome Giovanni. La figura di Giovanni Battista, ha detto il Papa, non è sempre facile da capire. “Quando pensiamo alla sua vita – ha osservato – è un profeta”, un “uomo che è stato grande e poi finisce come un poveraccio”. Chi è dunque Giovanni? Lui stesso, ha detto il Papa, lo spiega: “Io sono una voce, una voce nel deserto”, ma “è una voce senza Parola, perché la Parola non è Lui, è un Altro”. Ecco allora qual è il mistero di Giovanni: “Mai si impadronisce della Parola”, Giovanni “è quello che indica, quello che segna”. Il “senso della vita di Giovanni – ha soggiunto – è indicare un altro”. Papa Francesco ha quindi confidato di essere colpito dal fatto che la “Chiesa scelga come festa di Giovanni” un periodo in cui i giorni sono i più lunghi dell’anno, “hanno più luce”. E davvero Giovanni “era l’uomo della luce, portava la luce, ma non era luce propria, era una luce riflessa”. Giovanni è “come una luna” e quando Gesù iniziò a predicare, la luce di Giovanni “incominciò a diminuire ad andare giù”. “Voce non Parola – ha detto il Papa - luce, ma non propria”:

    “Giovanni sembra essere niente. Quella è la vocazione di Giovanni: annientarsi. E quando noi contempliamo la vita di quest’uomo, tanto grande, tanto potente – tutti credevano che fosse lui il Messia – quando contempliamo questa vita, come si annienti fino al buio di un carcere, contempliamo un grande mistero. Noi non sappiamo come sono stati gli ultimi giorni di Giovanni. Non lo sappiamo. Sappiamo soltanto che è stato ucciso, la sua testa su un vassoio, come grande regalo da una ballerina a un’adultera. Credo che più di questo non si possa andare giù, annientarsi. Quello è stato il fine di Giovanni”.

    Nel carcere, ha proseguito, Giovanni ha sperimentato dei dubbi, aveva un’angoscia e ha chiamato i suoi discepoli per andare da Gesù a chiedergli: “Sei Tu, o dobbiamo aspettare un altro?”. C’è “proprio il buio, il dolore sulla sua vita”. Neanche questo “fu risparmiato a Giovanni”, ha detto il Papa, che ha aggiunto: “La figura di Giovanni a me fa pensare tanto alla Chiesa”:

    “La Chiesa esiste per proclamare, per essere voce di una Parola, del suo sposo, che è la Parola. E la Chiesa esiste per proclamare questa Parola fino al martirio. Martirio precisamente nelle mani dei superbi, dei più superbi della Terra. Giovanni poteva farsi importante, poteva dire qualcosa di sé. ‘Ma io penso mai’, soltanto questo: indicava, si sentiva voce, non Parola. Il segreto di Giovanni. Perché Giovanni è santo e non ha peccato? Perché mai, mai ha preso una verità come propria. Non ha voluto farsi ideologo. L’uomo che si è negato a se stesso, perché la Parola venga su. E noi, come Chiesa, possiamo chiedere oggi la grazia di non diventare una Chiesa ideologizzata…”.

    La Chiesa, ha soggiunto, deve ascoltare la Parola di Gesù e farsi voce, proclamarla con coraggio. “Quella – ha detto – è la Chiesa senza ideologie, senza vita propria: la Chiesa che è il mysterium lunae, cha ha luce dal suo Sposo e deve diminuire, perché Lui cresca”:

    “Questo è il modello che ci offre oggi Giovanni, per noi e per la Chiesa. Una Chiesa che sempre sia al servizio della Parola. Una Chiesa che mai prenda niente per se stessa. Oggi, nella preghiera abbiamo chiesto la grazia della gioia, abbiamo chiesto al Signore di allietare questa Chiesa nel suo servizio alla Parola, di essere voce di questa Parola, predicare questa Parola. Chiediamo la grazia di imitare Giovanni, senza idee proprie, senza un Vangelo preso come proprietà, soltanto una Chiesa voce che indica la Parola, e questo fino al martirio. Così sia!”.

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    Dal Papa il leader dei "qom" argentini per parlare dei diritti dei nativi in America Latina

    ◊   La situazione dei popoli indigeni, con il carico dei gravi problemi di sussistenza che spesso la caratterizza, è stata al centro dell’udienza che questa mattina Papa Francesco ha concesso a Félix Díaz, leader dell’etnia Qom della comunità argentina “La Primavera”, accompagnato dal Nobel per la pace, Adolfo Pérez Esquivel. Manifestando gratitudine al Papa per l’incontro, Félix Díaz gli ha espresso – si legge in una dichiarazione di padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana – “le difficoltà che soffrono i popoli indigeni di Argentina e di America Latina, così come le loro preoccupazioni per la salvaguardia dei propri diritti, specialmente riguardo al loro territorio e all’identità culturale”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Che i nativi di molte aree del pianeta siano spesso vittime di discriminazioni e prevaricazioni non di rado violente è fatto purtroppo noto. Non fanno eccezione i qom della comunità denominata “La Primavera” (Potae Napcnà Navoghh), situata nella Provincia di Formosa, estremo nordest dell’Argentina, vicino alla frontiera col Paraguay. All’allora cardinale arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, era ben noto sia il leader dei qom, Félix Diaz, sia la serie di discriminazioni e abusi che questa comunità indigena ha patito nei decenni come una lenta e inesorabile erosione. Nomadi fino a non molti anni fa, dediti alla caccia e alla pesca nelle ricche foreste in cui vivevano – e che il governo argentino aveva loro concesso dal 1940 – i qom hanno subito un primo “esproprio” del loro habitat naturale con l’avvento della monocultura, una pratica che ha comportato la deforestazione dei boschi e dunque la privazione di una delle principali basi per la sussistenza dei nativi. Non solo: sui circa 5 mila ettari che costituivano la porzione di territorio di loro pertinenza – e che includevano la “Laguna Bianca”, risorsa pregiata per il loro sostentamento – una nuova decurtazione è stata imposta quando lo Stato ha deciso di sfruttare economicamente parte delle terre, dando il via libera di fatto a un’occupazione mai finita. Altre “donazioni” di terreno, sulla carta dei qom, sono state via via concesse nel tempo a istituzioni argentine, tutte precedute dallo sgombero delle famiglie aborigene. Nel 2007, 600 ettari dati a beneficio dell’Università di Formosa, sono tuttora al centro di conflitto.

    La lotta dei qom ha “bucato” l’attenzione degli argentini nel 2010, quando ha assunto la forma di una protesta su scala nazionale, fatta di manifestazioni e blocchi stradali, che purtroppo ha portato alla morte di due indigeni, di un poliziotto e a numerosi arresti di nativi. Il leader Diaz ha quindi guidato una delegazione di 70 membri della comunità a Buenos Aires, sollecitando un’udienza con la presidente Kirchner e facendo pressione attraverso, fra l’altro, uno sciopero della fame. L’udienza poi c’è stata, ma senza che gli accordi firmati abbiano cambiato la realtà della situazione. Particolarmente grave per la comunità è la mancanza regolare di acqua potabile, con tutte le sue conseguenze sanitarie. A ciò si sommano la denutrizione, le condizioni abitative più che precarie, l’analfabetismo, la disoccupazione: condizioni di una endemica precarietà peggiorata dalla negazione dei diritti di cittadinanza nel Paese, oggetto di una richiesta formale nel 2011. Un’altra richiesta molto sentita dai qom riguarda il diritto a preservare la loro lingua e identità culturale, minacciata dal razzismo, dalla discriminazione e dalle politiche che rischiano di annientare le comunità tradizionali aborigene.

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    Il Papa riceve il premier di Malta, il fenomeno delle migrazioni al centro del colloquio

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto in udienza, in Vaticano, il primo ministro della Repubblica di Malta, Joseph Muscat. Durante il colloquio, informa una nota della Sala Stampa Vaticana, “sono state ricordate le origini apostoliche della Chiesa maltese e l’impronta determinante che il cristianesimo ha lasciato nella storia e nella cultura del Popolo dell’Arcipelago”. Sono inoltre state ricordate le visite pastorali compiute a Malta dal Beato Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, che hanno lasciato “un profondo ricordo nella vita della Chiesa e nella popolazione”. Durante l’incontro, prosegue la nota, “è stata riaffermata la necessità di mantenere saldi i valori cristiani e si è richiamato l’importante ruolo che la Chiesa cattolica svolge con le sue istituzioni di carattere educativo e assistenziale”. Ruolo che è “tutelato grazie anche ai numerosi Accordi conclusi tra la Santa Sede e Malta, fra cui quelli sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali, sulle scuole cattoliche e sulle proprietà della Chiesa”. Particolare cenno, si legge ancora, “è stato fatto all’Accordo sugli effetti civili dei matrimoni religiosi che sarà oggetto di ulteriori colloqui tra le Parti”. Nel menzionare le “importanti sfide e situazioni critiche che interessano la regione del Mediterraneo e il ruolo del Paese nell’Unione Europea”, speciale rilievo è stato dato infine “al fenomeno delle migrazioni verso l’Europa, che vedono fortemente impegnati sia la Chiesa che il Governo di Malta”.

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    Altre udienze e nomina di Papa Francesco

    ◊   Il Papa ha ricevuto stamani il card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi. Nel pomeriggio, il Papa riceve in udienza il card. Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, Arcivescovo di Colombo (Sri Lanka).

    Il Papa ha nominato prefetto Apostolico del Sahara Occidentale, il Rev.do padre Mario Léon Dorado, O.M.I., attuale Amministratore della medesima Prefettura Apostolica.

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    Tweet del Papa: siamo capaci di essere cristiani coerenti 24 ore su 24?

    ◊   Nuovo tweet lanciato stamattina da Papa Francesco dal suo account @Pontifex: “Siamo pronti a impegnarci come cristiani coerenti, 24 ore su 24, per dare testimonianza con la nostra parola e il nostro esempio?”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Un cristiano non può essere antisemita: lo ha riaffermato Papa Francesco, ricevendo l'International Jewish Committee on Interreligious Consultations.

    Al servizio di tanti fratelli senza nulla in cambio: il Papa all'Associazione Santi Pietro e Paolo.

    La risposta che viene dal cuore: messa del Papa con i rappresentanti pontifici.

    L'esempio di Giovanni voce della Parola: nell'omelia del Pontefice a Santa Marta.

    Un australiano a Roma: per mezzo secolo fratel Fabiano è stato il volto amabile della Farmacia Vaticana. Il religioso australiano è morto oggi a Sydney.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, le nuove violenze nel Corno d'Africa.

    In cultura, un articolo di Vincenzo Fiocchi Nicolai dal titolo "Quel borgo intorno a San Paolo": il 27 giugno apre al pubblico l'area archeologica all'esterno della basilica sulla via Ostiense.

    Un lume acceso da cinquant'anni: nell'informazione religiosa, Riccardo Burigana sugli incontri ecumenici dell'abbazia benedettina di Glenstal in Irlanda.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: ribelli assaltano il Convento di Sant’Antonio a Ghassanieh. Ucciso un religioso

    ◊   La violenza in Siria non risparmia la minoranza cristiana, sempre più in affanno nel teatro di guerra. Assaltato e razziato, nel nord est del Paese, il convento francescano di Sant’Antonio di Padova a Ghassanieh nella valle dell’Oronte, a 120 chilometri da Aleppo. Nell’attacco è stato ucciso un religioso. L'arcivescovo Jacques Behnan Hindo, titolare della arcieparchia siro-cattolica di Hassaké-Nisibi ha detto che "negli ultimi tempi, il religioso mi aveva fatto arrivare alcuni messaggi in cui si mostrava consapevole di vivere in una situazione pericolosa, e offriva la sua vita per la pace in Siria e in tutto il mondo”. La notizia diffusa stamane è stata confermata da padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, al microfono di Roberta Gisotti:

    R. - Confermo la morte di un monaco che viveva con noi, non era un francescano ma viveva in un nostro convento per motivi di sicurezza, perché era un monaco eremita. E’ stato ucciso ieri dalle forze ribelli: padre Francois Murad. Aveva 49 anni.

    D. - Quali considerazioni verso questa violenza che si è rivolta verso un luogo cristiano?

    R. - Siamo senza parole. Purtroppo quel villaggio a nord della Siria - vicino al confine con la Turchia - insieme ad altri villaggi cristiani, è stato ormai totalmente distrutto e quasi totalmente abbandonato. Sono rimasti soltanto i ribelli con le loro famiglie, ribelli che vengono - va detto - dall’estero e sono tutti molto estremisti, almeno quel gruppo. L’unica cosa che possiamo dire - oltre che per pregare per padre Francois e per tutte le vittime - è che questa pazzia finisca presto e che non si introducano armi in Siria perché significherebbe solo prolungare questa assurda guerra civile.

    D. - Bisogna dunque lavorare per la pace da parte dell’Occidente e forse non - come dice lei - fomentare la ribellione…

    R. - Sì. Bisogna evitare questo inutile e continuo spargimento di sangue. Purtroppo la Siria ormai è diventata terreno di battaglia non soltanto tra forze siriane, ma anche tra Paesi arabi e la comunità internazionale. A pagarne e a farne le spese sono sempre i poveri, i piccoli e gli ultimi tra cui anche i cristiani. Bisogna che la comunità internazionale ponga un freno a tutto questo.

    D. - Si pensa che i cristiani rimasti fuggiranno?

    R. - Molti di quelli che hanno potuto sono fuggiti, molti altri si sono spostati all’interno del Paese, perché non hanno le risorse per abbandonare la Siria. Però è chiaro che la vita della comunità è ormai terribilmente ferita.

    D. - Quindi, l’attenzione internazionale deve essere portata anche verso questa minoranza cristiana così in difficoltà…

    R. - Certamente. Il rapporto verso la minoranza cristiana è un po’ la cartina tornasole per comprendere i tipi di regimi ed i tipi di società che si vanno instaurando nel Medio Oriente.

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    Usa, Kerry: non ci sono condizioni per negoziare con i talebani

    ◊   Al momento “non ci sono ancora le condizioni'' per un negoziato con i talebani afghani. Lo ha affermato il Segretario di Stato americano John Kerry. Gli Stati Uniti – ha detto ancora – hanno però intenzione di dare il loro contributo alla pace, dialogando con i rappresentanti degli insorti, che hanno aperto un ufficio politico in Qatar con il proposito di avviare un dialogo con il mondo intero. Un’offerta immediatamente raccolta dalla Casa Bianca. Intanto oggi l’inviato di Washington, Dobbins, è a Kabul per colloqui con il presidente Karzai, che non ha gradito l’esclusione delle istituzioni afghane dai colloqui con i talebani. Emanuela Campanile ha cheisto un’analisi a Valerio Pellizzari, già corrispondente di guerra ed esperto di Afghanistan:

    R. – Questa è stata una trattativa, almeno per quanto riguarda il Qatar, esclusivamente tra americani e talebani. L’equivoco è se si pensa che Karzai sia uno dei protagonisti di questa morsa diplomatica, perché in realtà lui è una comparsa di seconda fila.

    D. – E Washington quindi con chi si interfaccia?

    R. – I due gruppi principali a Goa sono il gruppo moderato sostenuto dalla Turchia e il gruppo intransigente storico sostenuto dal Pakistan. Già il fatto che questi due gruppi abbiano comunque alle spalle due Paesi islamici, secondo me è già qualcosa di più efficace che può portare a un accordo o a qualche cosa di consistente, più di quando alle spalle ci sono invece Berlino, Washington, Londra o Parigi.

    D. - E’ anche un dialogo tra fazioni moderate…

    R. – Alla fine, hanno deciso di sedersi al tavolo anche questi talebani – la cui reputazione è quella che tutti conosciamo – perché in realtà ci sono due fatti. Gli Stati Uniti, circa un anno fa, dissero che a metà del 2013 loro avrebbero interrotto le operazioni di guerra in Afghanistan. In sintesi vuol dire che avrebbero smesso di combattere, a metà 2013, cioè tra qualche giorno. Parallelamente si apre la trattativa, quindi non c’è granché di casuale. Questa è una cosa. L’altra è che dall’inizio di gennaio il gruppo dirigente politico si prepara a sostituire Karzai a Kabul, perché il suo mandato non può più essere rinnovato secondo quanto dice la Costituzione. Loro hanno detto chiaramente ai talebani: tornate e tornate con le vostre famiglie. Questa è intanto un’idea, un progetto esclusivamente afghano, che nessuno all’estero aveva pensato. Se si fanno tornare questi guerrieri vagabondi, solitari, alcuni dei quali combattono da 25 anni, è come dire: mettetevi a lavorare nella vostra terra più che continuare in questo ruolo di nomadi della guerra.

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    Pakistan: Musharraf sarà processato per alto tradimento

    ◊   L'ex presidente e generale in pensione, Pervez Musharraf, sarà processato in Pakistan per alto tradimento in base all'articolo 6 della Costituzione pakistana. Il premier pakistano Sharif ha inviato la richiesta scritta alla Corte suprema affinché si proceda per il processo, ricordando che l'ex presidente nel 2007 abrogò la Costituzione e impose lo Stato di emergenza. Del contesto in cui rientra la decisione discussa da tempo e delle implicazioni geopolitiche, Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:

    R. – Si contestualizza nel tentativo di tagliare definitivamente il cordone ombelicale con un vecchio regime, che era passato. Si parla di una presenza anche cinese nell’area, determinata dalla ricerca di nuovi porti dove sistemarsi da parte della flotta cinese, in maniera tale da avere un controllo diretto sulla parte sud dell’Oceano Indiano. Naturalmente, questo entra in contrasto con la presenza forte da sempre della flotta americana. E anche la scelta, già da un po’ di tempo, del Pakistan di guardare da un’altra parte rispetto agli Stati Uniti è sicuramente significativa.

    D. – Quindi, in qualche modo si chiude il capitolo Musharraf per svoltare anche nei rapporti con gli Stati Uniti…

    R. – Probabilmente sì. Io credo che già nel momento in cui gli Stati Uniti fecero la loro operazione con i “navy seals” per la cattura di Osama bin Laden senza avvisare il governo pakistano, già lì c’era una chiara rottura.

    D. – Parliamo di questo nuovo rapporto con la Cina: del peso che può avere anche in quest’area…

    R. – La Cina è diventata sicuramente la controparte degli Stati Uniti, in un modo o in un altro, perché la Russia ha fatto una propria scelta di campo, soprattutto una propria scelta economica. Quindi, al momento Mosca ha una politica estera diversa, meno espansiva rispetto a quella cinese, che all’inizio per motivi grossolanamente alimentari ha cominciato a espandersi in Africa ma poi ha cominciato a farlo anche per ragioni strategiche nell’Oceano Indiano e ancor di più nell’Oceano Pacifico: Pechino ha bisogno di posizionare la sua flotta che sta diventando molto importante, molto potente e le nuove navi che la flotta cinese sta dispiegando sono veramente all’avanguardia da tutti i punti di vista, soprattutto da un punto di vista strettamente degli armamenti che montano a bordo. La nuova politica cinese non è soltanto una politica economica, è anche una politica militare, e io credo che bisognerà fare i conti anche con questo tentativo di espansione della nuova Cina.

    D. – Riandiamo a quel 2007, quando Musharraf prendeva la decisione di abrogare la Costituzione…

    R. – La situazione era abbastanza grave: il Pakistan, molto probabilmente, risentiva della forte presenza dei fuoriusciti afghani e questo metteva in seria difficoltà il governo “filo occidentale/filo statunitense” del Pakistan. In ogni caso, però, quella presenza andava ad influire fortemente e a creare dei forti squilibri nel Paese. Quindi, si capisce la scelta che fece Musharraf: grazie al potere che aveva, gli permettevano di bloccare la Costituzione e di imporre la legge di emergenza, nel tentativo di salvare, da una parte, forse il proprio regime e poi forse anche di sostenere scelte strategiche e geopolitiche del Pakistan.

    D. – Musharraf è ex presidente e generale in pensione…

    R. – Io non vorrei che fosse un tentativo da parte dei nuovi governanti di ridimensionare un po’ il ruolo dell’esercito. Ridimensionarlo, portarlo dalla propria parte vuol dire poter controllare definitivamente e senza grandi problemi il Paese. E’ anche un colpo che si dà al vecchio esercito mentre il nuovo esercito invece dovrebbe schierarsi con il nuovo regime.

    D. – Altre scelte immaginabili di questo nuovo regime?

    R. – Più che scelte, ci sono le solite preoccupazioni. C’è una questione che è totalmente irrisolta e che rimane sempre sotto la cenere: i rapporti con l’India. Ci si chiede che scelte faranno nelle loro alleanze, come si schiereranno… Anche la situazione dell’India non è tra le migliori e tra le più pacifiche, pur essendo diventata negli ultimi tempi uno dei Paesi più industrializzati, con una propria Silicon Valley di altissimo livello. E c’è da considerare la crescente influenza all’interno sia del Pakistan che dell’India di formazioni estremiste: penso agli estremisti islamici da una parte e alle differenze etniche e religiose all’interno dall’altra.

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    Egitto di nuovo in fermento a un anno dall'elezione del presidente Morsi

    ◊   Esattamente un anno fa, veniva eletto Mohammad Morsi come presidente dell’Egitto. Una nomina, la sua, giunta dopo i sommovimenti di Piazza Tahrir, al Cairo e la caduta di Hosni Mubarak. Espressione dei Fratelli Musulmani, Morsi ha dovuto affrontare mille difficoltàa iniziare dalla contestazione di una parte del Paese, con momenti di alta tensione e destabilizzazione. Ma a distanza di un anno dalla sua elezione, quanto è cambiato l’Egitto? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Valentina Colombo, docente di Storia dei Paesi islamici presso l'Università Europea di Roma:

    D. – Diciamo che l’Egitto è cambiato nel senso che, probabilmente oggi come oggi, c’è molta più responsabilità da parte dei cittadini. I cittadini hanno capito che votando com’è stato votato Morsi in alternativa a Shafiq, che veniva visto come espressione del vecchio regime, è stata votata una ideologia. Una ideologia contro il passato, un’ideologia volta a un cambiamento totale: dopo la laicità, o pseudo-laicità, di Mubarak, votare un partito islamico. Ma non dimentichiamoci che la maggior parte degli egiziani nelle elezioni presidenziali, che hanno visto contrapporsi Morsi a Shafiq, non ha votato: Morsi è stato eletto con 13 milioni di voti contro i 70 milioni abbondanti di cittadini egiziani.

    D. – C’è ora la data del 30 giugno, scelta proprio dal movimento anti Morsi per chiederne le dimissioni e intanto sono scese in campo le forze armate. Insomma, una situazione incandescente…

    R. – E' una situazione incandescente, ma anche tipicamente egiziana. L’ingresso delle forze armate in campo è una costante nella storia politica egiziana: laddove abbiamo dei problemi politici, l’esercito è sempre entrato, l’esercito è sempre stato un po’ l’ago della bilancia. Ovviamente, a maggior ragione se si ha bisogno di un elemento forte, che è soltanto l’esercito. Teniamo presente che all’interno del movimento anti-Morsi troviamo anche alcune parti islamiche, ovvero gli estremisti islamici di destra, i salafiti: ci sono alcune parti di questo gruppo forte che iniziano a criticare Morsi stesso.

    D. – E non si fermano poi solo alle critiche, visto che ci sono già dei fatti di violenza e anche questo non era mai avvenuto: ad esempio, 4 sciiti sono stati linciati in un villaggio proprio per aver promosso il loro credo in un villaggio a maggioranza sunnita. Questo è successo nel sud del Paese.

    R. – Questo deve far riflettere! Questo è un qualcosa che rappresenta veramente – possiamo dire – una novità, però non stupisce. Questo ha a che fare non tanto con l’Egitto, ma con la situazione siriana. Noi, all’inizio di giugno, abbiamo avuto la dichiarazione di jihad in Siria, da un lato, da parte del leader dei Fratelli musulmani, e dall’altra di Hezbollah, partito del movimento islamico sciita in Libano, scatenando la guerra non tanto dei siriani contro il regime di Assad, ma una guerra interna, intraislamica tra sunniti e sciiti. E questo cosa significa? Significa che in tutti i Paesi, compreso l’Egitto, laddove non si erano mai registrati scontri di questo genere – scontri nei confronti di cristiani sì, ma nei confronti degli sciiti rarissimamente si erano avuti fatti di questo genere – se si invoca una jihad che vede l’asse sunnita contro l’asse sciita, si arriva anche a questo.

    D. – Tutte queste tensioni interne cozzano poi con il ruolo di mediatore che il Paese ricopre in ambito internazionale, soprattutto per quanto riguarda lo scacchiere mediorientale. Può oggi l’Egitto essere ancora credibile?

    R. – Io credo di no, ma non solo l’Egitto. Io, a questo punto, parlerei dei Fratelli musulmani in generale: purtroppo i Fratelli musulmani sono stati considerati dagli Stati Uniti e dall’Occidente il male minore in questi Paesi, ma purtroppo quello che si sta rivelando – sia in Tunisia come in Egitto, per non parlare poi ovviamente della situazione siriana, che è ancora tutta in fieri – è che i partiti legati al movimento dei Fratelli musulmani sono tutt’altro che affidabili. Continuano la loro politica di doppio linguaggio: un linguaggio moderato, addolcito nei confronti dell’Occidente, nei confronti degli Stati Uniti, e invece un linguaggio più duro, più islamicamente corretto all’interno. Queste due facce, ovviamente, rappresentano una schizofrenia nelle loro decisioni. Per cui, addirittura, c’è chi oggi definisce persone come Ghannouchi in Tunisia o persone come Morsi addirittura dei filo-sionisti, il che è una assurdità ovviamente. Però, c’è la percezione, all’interno di Paesi come l’Egitto, che i partiti al potere siano scesi a patti con l’Occidente e con il nemico di sempre che è Israele.

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    Medio Oriente. Il presidente dell'Anp accetta le dimissioni del premier Hamdallah

    ◊   Il presidente dell’Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, ha accettato ieri le dimissioni del primo ministro Rami Hamdallah, nominato solo tre settimane fa. Nonostante le pressioni fatte per farlo recedere dalla sua decisione, quest’ultimo ha confermato l’irrevocabilità della stessa. Alla base delle dimissioni vi sarebbero divergenze sulle garanzie di manovra dell’esecutivo richieste da Hamdallah. Su questo aspetto Giancarlo La Vella ha intervistato Janiki Cingoli, direttore del Cipmo, Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente:

    R. – Lui non si è sentito in grado di fare il primo ministro, anche perché le deleghe date a due vice primi ministri sono deleghe molto estese. Lui ha percepito che restringessero troppo il suo ruolo di capo del governo. In particolare, c’è questo vicepresidente e consigliere economico di Abu Mazen, Mohammad Mustafa, che doveva essere primo ministro e che ha elaborato un piano economico, che ha in larga misura ispirato le proposte economiche di Kerry, l’inviato speciale degli Stati Uniti.

    D. – Queste dimissioni rappresentano un ostacolo in più per il tentativo di mediazione degli Stati Uniti, attraverso Kerry...

    R. – Non attribuirei eccessiva importanza. L’interlocutore degli Stati Uniti è Abu Mazen. Non credo che si faranno carte false da parte degli Stati Uniti e della comunità internazionale su chi sia il premier. Kerry questa settimana dovrebbe tornare per la quinta missione e occorre capire se si riuscirà a portare le parti al tavolo negoziale, ma soprattutto, il grande problema è cosa succederà il giorno dopo l’inizio del negoziato. Abbiamo, infatti, sperimentato nel 2010 che è possibile riprendere il negoziato, ma dobbiamo vedere se ci saranno poi i termini per negoziare.

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    Uruguay: per mancanza di quorum fallita la proposta di abrogare la legge sull'aborto

    ◊   E’ fallita in Uruguay, per mancanza del quorum, la proposta di un referendum per abrogare la legge di depenalizzazione dell’aborto, approvata dal parlamento l’anno scorso. Il servizio di Francesca Ambrogetti:

    Degli otre 2 milioni e mezzo di elettori, chiamati ieri a partecipare ad una consulta non obbligatoria, ha solo votato il 10% per indire il referendum. La legge prevede un’adesione di non meno del 25% degli aventi diritto. Per la prima volta nella storia in Uruguay, la richiesta è stata appoggiata da esponenti di tutti i partiti. La Conferenza episcopale uruguayana ha chiesto ai cittadini di votare. “Il diritto alla vita non può essere oggetto di un referendum, perché proviene da Dio, ma se le circostanze lo consentono ci si deve opporre ad una legge ingiusta”, si legge in un comunicato. L’Uruguay è il secondo Paese dell'America latina che ha approvato, nell’ottobre scorso e per un solo voto, una legge autorizzando l’interruzione volontaria della gravidanza nelle prime dodici settimane di gestazione. La partita non è chiusa. Il referendum si potrebbe comunque fare, se si raccolgono le 650 mila firme necessarie. Ma il risultato di ieri dimostra che non sarà facile.

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    Terremoto. La Regione Toscana chiede lo stato d'emergenza

    ◊   Il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, oggi è nuovamente nelle zone colpite dal terremoto, assieme al responsabile della Protezione Civile, Franco Gabrielli. Dal governatore la richiesta all’esecutivo di predisporre lo stato d’emergenza in Garfagnana e Lunigiana. Deciso per oggi anche l’allestimento di strutture per ospitare mille persone, che nelle ultime giornate hanno dormito fuori casa. L’ultima scossa, 3.1 Richter si è registrata la scorsa notte. Sulla situazione, Paolo Ondarza ha sentito Vittorio Oriano, vicepresidente del Centro nazionale dei geologi:

    R. – Stiamo parlando di zone che si trovano a nordovest della Toscana e sono da sempre sismiche. Le ordinanze di sgombero, a oggi, sono pochissime. Probabilmente, sono ordinanze più per motivi precauzionali che per altro.

    D. – Anche lo stato d’emergenza che la Regione Toscana ha chiesto al governo è una misura precauzionale?

    R. – Da una parte, c’è la preoccupazione della gente che è molto spaventata. Non escludo che – anche se è difficile fare previsioni, anzi impossibile in questi casi – questo sciame sismico possa dar corso a scosse un po’ più grandi di quelle che effettivamente stanno avvenendo in questi giorni.

    D. – Il territorio, lei diceva, è una zona sismica...

    R. – E’ una zona molto montagnosa, molto aspra.

    D. – Le strutture, sono, dal suo punto di vista, resistenti agli eventi che potrebbero verificarsi?

    R. – La grande maggioranza del patrimonio immobiliare in quella zona è di antica data. Sono, quindi, costruiti certamente senza alcun criterio antisismico. Sono edifici storici, alcuni anche molto belli. Sono inseriti in piccoli centri, piccoli borghi, tra l’altro non facilmente raggiungibili. Ci sono strade piccole che s’inerpicano sulle montagne. Quindi, la situazione logistica presenta qualche problematica.

    D. – In un territorio con queste caratteristiche, è possibile mettere in sicurezza le strutture antiche?

    R. – E’ sicuro che sia possibile farlo. Diciamo che realisticamente ci vorrebbero molti finanziamenti ed anche molto tempo. E forse anche una sburocratizzazione delle procedure. Quello che manca è che non si comincia mai.

    D. – Da un punto di vista geologico, quanto deve durare l’emergenza?

    R. – Io penso che ora, siccome questo sciame dà ancora punte di energia che sono ben avvertibili dalla popolazione, sia consigliato, per il criterio della prudenza, di mantenere un’allerta elevata e quindi di avere prudenza a rientrare nelle case in maniera stabile. Non voglio fare paragoni inquietanti, ovviamente, però a L’Aquila è accaduto proprio questo: in presenza di uno sciame sismico che avveniva da qualche mese, non si è adottato un criterio di prudenza, invitando a rimanere fuori di casa. Questo non è stato fatto e il risultato si è visto.

    D. – Per concludere, potremmo dire di mantenere alta la guardia: prevenire...

    R. – Secondo me, sì. La prevenzione si fa mettendo in sicurezza gli edifici. Ma visto che questo ancora non è possibile, la prevenzione si fa cercando di trattenere la gente in luoghi che non siano pericolosi.

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    Serbia. Concluse a Belgrado le celebrazioni per i 17 secoli dell'Editto di Costantino

    ◊   Si è concluso a Belgrado un incontro internazionale ecumenico di teologi, organizzato nell'ambito delle celebrazioni per il 1700.mo anniversario dell’Editto di Costantino, che pose fine alle persecuzioni romane contro i cristiani. La nostra inviata, Philippa Hitchen, ha domandato a uno dei partecipanti, Roberto Catalano, del Centro internazionale per il dialogo interreligioso del Movimento dei Focolari, di spiegare l’importanza di questo Editto a 17 secoli dalla sua promulgazione:

    R. – Il significato per noi cristiani è che con Costantino e con quest’Editto sono cambiati i rapporti di forza e di equilibrio fra religione e Stato. Si è aperta una nuova pagina nei rapporti di questo tipo, che poi si è evoluta in un certo modo in Occidente in altri Paesi. Quindi non si può ignorare, nel momento che viviamo, un evento storico come quello dell’Editto del 313.

    D. – Qui abbiamo anche parlato del nuovo modo in cui le Chiese e anche le religioni devono collaborare in modo molto più fruttuoso. Qual è il significato di questo anniversario anche per il lavoro dei Focolari nell’ecumenismo e nel dialogo interreligioso?

    R. – Noi lavoriamo molto con persone di altre Chiese e anche con persone di altre religioni. Questo aspetto è importante soprattutto perché oggi si sta ridefinendo un po’ tutta la geografia mondiale, per via delle migrazioni e per via degli incontri fra popolazioni che fino a qualche decennio fa non si incontravano o magari non si conoscevano nemmeno. Si mette in discussione il ruolo della religione all’interno dei rapporti internazionali. Dalla sfera privata, dove era stata relegata per un paio di secoli, la religione è ritornata prepotentemente, nel bene e nel male, in primo piano. Il terrorismo si è identificato o è stato identificato per vari decenni con un certo tipo di religione. Si cerca di eliminare questa immagine di islamofobia e cristiano fobia, due mali ugualmente gravi oggi, per i quali tra l’altro i mass media contribuiscono a creare un’immagine sempre più seria, più grave. Allora, all’interno di questo discorso, ricordare l’Editto di Costantino ha un senso non tanto per ritornare evidentemente al 313, ma per prendere coscienza della necessità di approfondire questi nuovi rapporti, che ci sono e che devono essere ridefiniti per poter affrontare l’oggi della storia.

    D. – Nella tua esperienza, trovi che ci sia questa volontà all’interno delle Chiese di superare queste antiche divisioni, queste ferite della storia, per cercare questa nuova via insieme?

    R. – La buona volontà c’è. Ci sono anche le ferite. Le ferite tante volte guariscono, però non si dimenticano. Ho visto anche in questi giorni, parlando con alcune persone qui presenti, che sono guarite da cose che sono successe. Però, la memoria storica rimane. Quindi, ci vuole molta pazienza per lavorare. Molte volte si fan un passo avanti e due indietro. Non bisogna scoraggiarsi e andare avanti.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Auschwitz: "La sofferenza degli innocenti" di Kiko Arguello per le vittime dell'Olocausto

    ◊   “Questo è il giorno della riscoperta della nostra fraternità”, ha affermato con commozione il rabbino David Rosen, responsabile delle relazioni con la Chiesa Cattolica, introducendo il concerto sinfonico-catechetico su “La sofferenza degli innocenti”, eseguito davanti alla "porta della morte" di Auschwitz-Birkenau, dall’orchestra del Cammino Neocatecumenale. E, commentando la riconciliazione tra Giacobbe ed Esaù ha continuato dicendo: “Questo è il giorno in cui Giacobbe ed Esaù si abbracciano sinceramente. Questo è quasi esattamente il giorno in cui 50 anni fa, moriva il Beato Giovanni XXIII, che iniziò questa rivoluzione e preparò il cammino perché il Beato Giovanni Paolo II portasse avanti questa nuova relazione tra Israele e Chiesa Cattolica, che viene attuata nelle parrocchie dal Cammino Neocatecumenale, con il suo insegnamento e la sua formazione”. Il Papa Francesco ha voluto unirsi all’iniziativa con un suo saluto e la preghiera perché “questa iniziativa porti molto frutto nel rafforzare i legami di rispetto e amicizia tra cristiani e giudei, e nel rinnovare la determinazione della comunità internazionale affinché gli orrori che in questo posto sono stati perpetrati, non abbiano più a ripetersi”. “Oggi siamo riuniti all’ombra di Auschwitz-Birkenau - ha detto il rabbino Yitz Greenberg, uno dei più stimati rabbini americani - dove l’idolatria del potere umano, non trattenuta dall’amore per l’umanità né frenata dal timore di Dio, ha sistematicamente tormentato, torturato e assassinato il popolo ebraico e tanti altri essere umani. Tristemente la maggior parte dell’umanità rimase indifferente a guardare senza fare nulla, mentre tanti esseri umani, fatti ad immagini di Dio venivano massacrati... Siamo profondamente debitori al Cammino Neocatecumenale, e al suo iniziatore, Kiko Argüello, per questa iniziativa di riconciliazione e di amore”. Greenberg ha anche sottolineato che non ci sono altre attività che diano più gioia al nostro Padre nei cieli di questa riconciliazione tra cristiani e giudei. “Appena entrato in una delle baracche di Auschwitz, ha detto Kiko, ho sentito il bisogno di inginocchiarmi; aprendo la Scrittura a caso è uscito il passo in cui Gesù afferma che il più grande comandamento è: “Shemà, Israel. Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutte le tue forze”. E’ stato proprio durante il canto dello “Shemà”, intonato dall’orchestra e accompagnato da 6 cardinali, 50 Vescovi, 35 Rabbini e 15 mila persone, che si è toccato il momento più alto di comunione e di commozione di questo storico evento, senza precedenti. A conclusione del concerto, il card. Stanisław Dziwisz, che ha presieduto l’incontro, ringraziando Kiko e tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo evento ha detto: “Auschwitz è il luogo della musica della Sofferenza degli innocenti…. Questo luogo invoca e persino grida nel nome di milioni di persone… Questa musica ci innalza al dramma della sofferenza nel modo più penetrante”. (Da Auschwitz, Giuseppe Gennarini e don Ezechiele Pasotti)

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    India: la Chiesa in soccorso delle vittime dello “tsunami dell’Himalaya”

    ◊   La Caritas India “si unisce agli sforzi del governo e delle altre organizzazioni di volontariato nel portare solidarietà e aiuti umanitari alle vittime della calamità che ha colpito la popolazione dello Stati di Uttaranchal e Himachal Pradesh”: lo afferma una nota diffusa dall’organizzazione cattolica, e inviata all’agenzia Fides, all’indomani delle inondazioni che hanno devastato i due Stati nel Nord dell’India, facendo oltre 500 vittime e colpendo la vita di oltre 80mila persone, molte delle quali ancora intrappolate nel fango, in attesa di soccorsi. Padre Frederick D’Souza, direttore esecutivo della Caritas, esprimendo piena vicinanza alle vittime del disastro, ricorda che uno dei principi dell’organizzazione, espressione della Chiesa cattolica indiana, è quello di operare in partnership con le istituzioni, venendo incontro alle reali esigenze delle popolazioni colpite dalle calamità. La Caritas assicura la sensibilizzazione di tutta la propria rete delle sedi nazionali e della rete della Caritas Internationalis. Caritas India ha inviato personale nella zona e sta cercando di sostenere le famiglie colpite con vestiario, cibo, aiuti sanitari di base. La partenza anticipata del monsone estivo in India ha avuto tragiche conseguenze in molti stati, sotto le pendici dell’Himalaya. Le forti precipitazioni apportate dal monsone hanno originato devastanti alluvioni nella regione himalayana dell’Uttaranchal che, secondo il Dipartimento meteorologico indiano, ha ricevuto più di tre volte del suo normale quantitativo di piogge atteso per il mese di giugno. Sul versante meridionale della catena himalayana si è scaricata una autentica valanga d’acqua, chiamata “lo tsunami dell’Himalaya”, che si è riversata a valle e ha inghiottito interi villaggi e centri abitati. Oltre alle inondazioni, le piogge torrenziali hanno causato anche enormi smottamenti e frane. (R.P.)

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    Comece: al via la "Settimana della speranza" nel segno del Beato Popieluszko

    ◊   “Il primo messaggio che vogliamo dare è che siamo presenti. La Chiesa in Europa, la Chiesa per l’Europa, la Chiesa nel cuore dell’Europa. E questa settimana della speranza ci dà una opportunità per dire che la Chiesa è una compagna di viaggio, al servizio di tutti quelli che cercano di dare un’anima all’Europa”. Con queste parole - riferisce l'agenzia Sir - padre Patrick H. Daly, segretario generale della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea), presenta la “Settimana della speranza”, iniziativa che ha preso avvio questa mattina a Bruxelles, nella Cappella per l’Europa in Rue van Maerlant, nel cuore del quartiere dove si trovano gli uffici europei. Il primo appuntamento di questa lunga settimana europea all’insegna della speranza è stata una preghiera ed una riflessione sulla figura del beato Kerzy Popieluszko. Una vita vissuta a fianco del movimento operaio polacco e spesa per i temi della libertà e della giustizia sociale. Padre Popieluszko si unì ai lavoratori del sindacato autonomo di Solidarność e, nonostante la legge marziale (1981-1983) e il regime comunista, non cessò mai di predicare il Vangelo: le sue omelie e le sue prediche venivano ascoltate da una moltitudine di gente fino a che il 19 ottobre 1984, di ritorno da un servizio pastorale, fu rapito dalla polizia segreta e ucciso: il suo corpo fu ritrovato il 30 ottobre nelle acque della Vistola vicino a Włocławek. È stata la giornalista polacca Ewa Czaczkowska a ripercorrere questa mattina nella Cappella per l’Europa i tratti più significati del beato Popieluszko. La sua vita - ha detto - “fu una luce di speranza in tempo oscuro” per la Polonia e l’Europa. Il coraggio con cui ha sempre difeso le sue idee e testimoniato la sua speranza dimostra oggi che “nessuna legge, nessun uomo può distruggere la verità. E colui che ne dà testimonianza è sempre un uomo libero”. Ma il coraggio di Popieluszko è stato anche quello di credere sempre che “è possibile trarre il bene dal male”. Dopo la riflessione sul beato polacco, nella Cappella dell’Europa, tra canti di Taizé e letture dei salmi si è pregato ciascuno nella propria lingua per “chi ancora oggi vive e soffre nell’oppressione e non sia tentato dalle vie della violenza o della vendetta ma scelga sempre la strada della pace” e per “chi si impegna per la solidarietà e la giustizia”. Altre figure di martiri e di santi accompagneranno questa Settimana della speranza a Bruxelles. Questa sera per esempio, nella Chiesa domenicana, gli arcivescovi di Palermo e Catanzaro, il cardinale Paolo Romeo e mons. Vincenzo Bertolone, parleranno di don Pino Puglisi, il sacerdote italiano, ucciso dalla mafia a motivo del suo costante impegno evangelico e sociale. (R.P.)

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    Giappone: messaggio dei vescovi per i Dieci giorni per la pace

    ◊   È dedicato al 50.mo anniversario della “Pacem in Terris”, l’enciclica siglata da Giovanni XXIII nel 1963, il messaggio della Conferenza episcopale giapponese pubblicato in vista dell’iniziativa “Dieci giorni per la pace”. L’evento si terrà dal 6 al 15 agosto prossimi, in concomitanza con la commemorazione dei bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki, avvenuti nel 1945. “L’enciclica ‘Pacem in Terris’ – si legge nel messaggio a firma del presidente dei vescovi, mons. Peter Takeo Okada – offre insegnamenti sui diritti e i doveri dell’uomo, sull’autorità dello Stato e sul bene comune, insieme a temi di interesse internazionale come verità, giustizia, solidarietà, la questione dei rifugiati, il disarmo e lo sviluppo economico”. E non solo: “Il sottotitolo dell’enciclica – scrivono i presuli –, ‘Sulla pace fra tutte le genti, nella verità, nella giustizia, nell'amore, nella libertà’, esprime l’idea fondamentale che all’origine della pace c’è la tutela dei diritti e della dignità umana e che la stessa pace può essere realizzata solo quando lo sviluppo dell’uomo è mirato alla costruzione di una società più umana”. Quindi, la Chiesa di Tokyo rende noto che la Commissione episcopale per il Sociale sta preparando una nuova traduzione in giapponese dell’Enciclica, affinché possa essere utilizzata nel corso dell’attuale Anno della Fede. Poi, i presuli si soffermano sull’attuale dibattito relativo alla revisione della Costituzione ed in particolare dell’articolo 9, che non solo sancisce il rifiuto della guerra come mezzo di soluzione dei conflitti, ma vieta anche la creazione di un apparato militare potenzialmente aggressivo. “Tale articolo – si legge nel messaggio – è un patrimonio mondiale del quale il Giappone va fiero; esso riflette l’insegnamento di Cristo sull’amore ed è nostra cruciale responsabilità difendere tale principio”. Infine, in vista delle elezioni parlamentari del 21 luglio, i vescovi invitano “cittadini e credenti” a riflettere “sulla via per la pace” anche in ambito politico, “esercitando i propri diritti e doveri di cittadini, secondo coscienza”. (A cura di Isabella Piro)

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    Myanmar. L'arcivescovo di Yangon: "La Chiesa per il dialogo e contro i conflitti religiosi"

    ◊   “Nel Paese vi è una certa tensione e paura. Gruppi estremisti buddisti alimentano l'odio e la violenza interreligiosa verso i musulmani, ma sono pochi. Alcuni dei monaci buddisti hanno offerto rifugio alle vittime e diffuso dichiarazione di pace e di riconciliazione. La Chiesa è impegnata nel promuovere il dialogo e costruire l’armonia”: è quanto racconta, in una nota inviata all'agenzia Fides, l’arcivescovo di Yangon, mons. Charles Maung Bo, descrivendo l’impegno della comunità cattolica per disinnescare le tensioni e le violenze interreligiose che stanno fortemente preoccupando la società civile e i leader religiosi nel Paese. Un’escalation della violenza interreligiosa, infatti “potrebbe causare il caos per l'intero Paese” e scatenare anche – ipotesi che tutti scongiurano – “attacchi terroristici” da parte di gruppi estremisti musulmani, mettendo perfino a rischio il faticoso cammino di riforme intrapreso in Myanmar. Per questo le forze sane della società civile e le comunità religiose stanno lavorando alacremente per trovare soluzioni adeguate al fenomeno: “La Chiesa cattolica ha diffuso dichiarazioni per la pace e la riconciliazione”, ricorda mons. Bo. “Negli ultimi cinque secoli abbiamo cooperato con buddisti e musulmani, senza alcun conflitto. Stiamo facendo il possibile per costruire ponti”, afferma, raccontando di aver contattato anche alcune ambasciate di Stati stranieri per cercare un appoggio dalla comunità internazionale. “Il 27 giugno prossimo – annuncia l’arcivescovo – è previsto un meeting di alto livello fra leader religiosi proprio per discutere le modalità e le strade opportune per promuovere la pace”. Le tensioni fra buddisti e musulmani sono iniziate nello Stato di Rakhine, dove c’è una tradizionale presenza di fedeli musulmani. Secondo l’arcivescovo, “molti immigrati musulmani sono arrivati di recente e inizialmente la questione era un problema legato all’afflusso massiccio di immigrati”, poi degenerato in conflitto fra comunità di religione diversa. In Myanmar i buddisti sono il 75% della popolazione, i musulmani circa il 4%, i cristiani l’8%, il resto sono seguaci di culti animisti. (R.P.)

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    Bangladesh: a Rajshahi, sindaco musulmano chiede scuole cristiane per la città

    ◊   Costruire scuole e istituti cristiani a Rajshahi e in tutte le sue circoscrizioni: è la richiesta ufficiale fatta da Mossaddeque Hossain Bulbul, neoeletto sindaco della città, a mons. Gervas Rozario, vescovo della diocesi. "I cattolici - ha detto Bulbul, un musulmano - svolgono un lavoro esemplare nel settore educativo, hanno istituti noti in tutto il Paese e sono ottimi centri per la formazione degli studenti". La scorsa settimana - riferisce l'agenzia AsiaNews - la diocesi di Rajshahi ha organizzato una cerimonia di benvenuto in onore del nuovo sindaco, alla presenza di giovani cristiani e personalità del governo. In quell'occasione, il vescovo ha presentato a Bulbul la situazione in cui vivono i cristiani della zona. Anche se in Bangladesh vi sono 302 scuole elementari, quattro università e 50 licei cattolici, nell'area di Rajshahi non ve ne è neanche uno. Considerata questa mancanza, Bulbul ha dichiarato: "Con umiltà chiedo al vescovo di costruire strutture per la formazione nella mia città. Vi aiuterò a edificare una scuola e un college che saranno gestiti da cattolici". Mossaddeque Hossain Bulbul era il candidato del Bangladesh Nationalist Party (Bnp) alle elezioni comunali tenutesi il 16 giugno scorso. Contro ogni aspettativa, il Bnp - partito nazionalista all'opposizione nel governo - ha vinto in tutte le città che andavano al voto. Fondamentale è stato il sostegno del Jamaat-e-Islami, partito islamico che da mesi è protagonista di hartal e violenze in tutto il Paese. (R.P.)

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    Colombia. Il vescovo di Tibú chiede di capire la protesta dei contadini

    ◊   Il vescovo di Tibú, in Colombia, mons. Omar Alberto Sánchez Cubillos ha invocato la via del dialogo per trovare una soluzione alla difficile situazione di questi giorni nella regione di Catatumbo. Da giorni più di 1.200 abitanti di Ocaña e tremila di Tibú, protestano per chiedere la definizione di una Zona di Riserva Contadina (Zrc) nel Catatumbo. Nella nota inviata all'agenzia Fides, il vescovo spiega che la frustrazione della popolazione deriva da diverse cause, tra cui l’eradicazione forzata delle coltivazioni di coca che è stata a lungo la spina dorsale dell’economia della zona. "Lo Stato non fornisce un'alternativa immediata alla coltivazione della coca, che tenga conto della necessità del contadino che ha vissuto per molto tempo grazie a questa attività. Ecco perché la gente protesta per il modo in cui si sta gestendo la questione della eradicazione di tali colture da parte del governo", ha riferito il vescovo di Tibú. I contadini rifiutano i progetti della cosiddetta "locomotiva delle miniere" e chiedono la graduale sostituzione delle coltivazioni illecite attraverso progetti produttivi sostenibili. Intanto, nella zona cresce la tensione, le strade sono bloccate da più di dieci giorni, la polizia denuncia l’infiltrazione della guerriglia di sinistra fra i manifestanti, cominciano a mancare i prodotti alimentari e il combustibile e perfino la Croce Rossa ha denunciato che viene limitata nel proprio servizio d’assistenza ai feriti. (R.P.)

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    Mali: riunione della Caritas sulla crisi umanitaria

    ◊   Si è aperta oggi a Bamako la riunione del Comitato guida (Copil) delle Caritas che hanno avviato un programma d’aiuto urgente per aiutare le popolazioni colpite dalla crisi nel nord del Mali. Secondo un comunicato inviato all’agenzia Fides, la riunione, che si concluderà il 26 giugno, discuterà, tra l’altro, il livello di finanziamento dell’Appello dell’urgenza regionale, l’avanzamento delle attività del progetto e le conoscenze apprese nel corso della sua gestione, anche in relazione alla collaborazione tra le 4 Caritas del Sahel (Mali, Burkina Faso, Niger e Senegal) e le altre Caritas coinvolte. Collaborano infatti al progetto Caritas Internationalis, Caritas Italiana e Caritas Spagna. L’Appello d’urgenza regionale si articola su tre punti: assistenza agli sfollati interni, ai rifugiati e alle comunità colpite dalla crisi in Mali attraverso un approccio regionale; miglioramento delle competenze tecniche e delle capacità operative della Caritas nella regione del Sahel per far fronte alle esigenze nate dagli eventi maliani; miglioramento dei sistemi di coordinamento e di comunicazione delle quattro Caritas del Sahel per accrescere la capacità di risposta a crisi umanitarie nella regione. (R.P.)

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    Nigeria: una milizia civile anti-Boko Haram preoccupa gli abitanti di Maiduguri

    ◊   La popolazione locale è preoccupata per la presenza di una milizia di civili che opera a fianco dei militari impegnati nelle operazioni di sicurezza a Maiduguri, capitale dello Stato di Borno, uno dei tre Stati del nord- est della Nigeria nei quali il governo federale ha imposto lo stato d’emergenza per contrastare la setta jihadista Boko Haram. Le operazione militari sono condotte dalla Joint Task Force (Jtf), un’unità speciale formata dai migliori elementi delle forze armate nigeriane. La milizia civile che la affianca è stata soprannominata “civilian Jtf” ed è costituita da giovani che operano posti di blocco lungo le arterie principali di Maiduguri. Queste operazioni - riporta l'agenzia Fides - vengono viste dalla popolazione locale come una minaccia potenziale alla fragile pace che sembra ritornare dopo le violenze della scorsa settimana, che hanno provocato 30 vittime, per una serie di attacchi coordinati commessi da Boko Haram in risposta all’arresto di alcuni suoi membri da parte della milizia civile. Secondo le testimonianze raccolte dal quotidiano Nigerian Tribune, gli abitanti di Maiduguri lamentano che la task force civile ha lanciato una “caccia alle streghe” contro persone sospettate di essere legate a Boko Haram, facendo intendere la possibilità di abusi e di una giustizia “fai da te”. La presenza di una milizia civile rischia quindi di accrescere la tensione in un’area dove a causa delle operazioni militari e delle rappresaglie di Boko Haram, circa 3mila persone sono state costrette a rifugiarsi nei Paesi limitrofi, Niger e Camerun. (R.P.)

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    Irlanda: Campagna della Chiesa contro la legge sull'aborto

    ◊   È l’ultima iniziativa in ordine cronologico presa dalla Chiesa cattolica di Irlanda per sostenere la campagna di promozione sulla protezione della vita umana nascente, dopo che il governo irlandese ha dato via libera all’iter legislativo che con l’Abortion Bill dovrebbe introdurre nel Paese l’aborto. “Choose life 2013” è una serie di dossier curati dal Catholic Communications Office della Conferenza episcopale irlandese e sono rivolti ai fedeli, alle newsletter e ai siti web delle parrocchie. Il dossier - riferisce l'agenzia Sir - punta a dare all’opinione pubblica una maggiore conoscenza sull’insegnamento della Chiesa cattolica, sul disegno di legge nonché una serie di proposte di preghiere e di riflessioni che possono essere trovati anche sul sito web, www.chooselife2013.ie. Sabato 8 giugno decine di migliaia di persone si sono date appuntamento a Dublino per una Veglia di preghiera: “The Choose Life: We Cherish them Both”, era lo slogan dell’evento che significa: “La scelta della Vita: abbiamo cura di entrambi”, madri e figli. E sempre nel mese di giugno i vescovi hanno pubblicato un comunicato in cui affermano che il disegno di legge “cambierà radicalmente la cultura della pratica medica in Irlanda” e sollevano anche la questione circa la “libertà di coscienza” perché “mai nessuna istituzione e nessun operatore medico può essere obbligato a praticare un aborto contro la sua volontà”. (R.P.)

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    Polonia: le conclusioni della 362.ma Plenaria dei vescovi

    ◊   Oltre 100 gruppi per un totale di 1.953 giovani, compresi 165 volontari, andranno alle Gmg di Rio de Janeiro. Lo ha reso noto mons. Henryk Tomasik, responsabile per la Pastorale giovanile dell’episcopato polacco, durante la 362ª plenaria dei vescovi svoltasi dal 21 al 23 giugno. I giovani saranno accompagnati da 10 vescovi, responsabili anche per la catechesi preparatoria all’incontro con il Papa. Nel comunicato finale dell’incontro - riferisce l'agenzia Sir - si legge “la ferma contrarietà in relazione a dei tentativi sempre più marcati da parte di diversi soggetti, nazionali e stranieri, di imporre dei contenuti demoralizzanti e dei metodi di educazione sessuale negli asili e nelle elementari”. A questo proposito, i vescovi hanno rivolto “un appello alla vigilanza a tutti i genitori credenti”. “Bisogna in tutti i modi preservare dalla demoralizzazione i bambini e i giovani polacchi”, prosegue il comunicato. L’episcopato, inoltre, ha approvato il testo della dichiarazione che verrà sottoscritta il 28 giugno a Varsavia dal presidente dei vescovi polacchi, mons. Jozef Michalik, e dal capo della Chiesa greco-cattolica dell’Ucraina, monsignor Svjatoslav Sevcuk. “Come Chiese fedeli al Vangelo di Cristo desideriamo il comune cammino di riconciliazione e perdono basato sulla verità”, ha detto mons. Wojciech Polak, segretario dei vescovi polacchi, del documento in occasione del 70° dell’eccidio della Volinia. (R.P.)

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    Libano: annullato il Congresso di Signis a causa del conflitto in Siria

    ◊   È stato annullato il Congresso mondiale di Signis, ovvero dell’Associazione cattolica mondiale per la comunicazione, fissato dal 20 al 23 ottobre a Beirut, in Libano, sul tema “I media per una cultura della pace: creare delle immagini insieme alla nuova generazione”. La decisione, informa una lettera a firma di Augustine Loorthusamy, presidente di Signis, è dovuta “alla guerra civile in Siria e su richiesta degli organizzatori locali”. Esprimendo il suo dispiacere per il provvedimento, il presidente Loorthusamy si dice comunque “profondamente solidale con il Medio Oriente” e ribadisce “la volontà di organizzare un Congresso sempre a Beirut, in futuro”. “Continuiamo ad offrire il nostro sostegno e le nostre preghiere a tutti i cristiani del Medio Oriente – continua il responsabile di Signis – ed al loro diritto di restare, proprio in quanto cristiani, in questa regione del mondo”. Quindi, Loorthusamy aggiunge: “Siamo consapevoli del fatto che, nonostante alcune zone della regione mediorientale siano distrutte dalla guerra e dai conflitti, il Medio Oriente è pieno di iniziative creative e coraggiose in favore del dialogo, della riconciliazione e della pace; ed anche se talvolta le forze della violenza e della guerra possono apparire irresistibili, noi sappiamo che la maggior parte della popolazione auspica e spera nella pace” e che “Beirut è al cuore di molte di queste nuove speranze”. Infine, il presidente di Signis spiega che, nonostante l’annullamento del Congresso mondiale, resta però l’obbligo di organizzare la riunione dell’Assemblea dei delegati, in una sede ancora da stabilire e che vede la scelta tra Roma e Madrid. Da ricordare che l’ultimo Congresso mondiale dell’Associazione si era tenuto a Chiang Mai, in Tailandia, nel 2009, radunando più di 600 professionisti dei media e dello sviluppo, comunicatori cattolici e giovani del mondo intero. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 175

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.