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Sommario del 22/06/2013
Il Papa a 50 anni dall'elezione di Paolo VI: ci ricorda l'amore per Cristo, la Chiesa e l'uomo
◊ La testimonianza di Paolo VI “alimenta in noi la fiamma dell’amore per Cristo, dell’amore per la Chiesa, dello slancio di annunciare il Vangelo”. Così Papa Francesco nel discorso pronunciato stamani nella Basilica vaticana davanti a circa cinquemila pellegrini della diocesi di Brescia, giunti ieri a Roma per il 50.mo anniversario dell’elezione di Papa Montini. Il Pontefice è sceso in Basilica al termine della Messa presieduta presso l’altare della Confessione dall’arcivescovo di Brescia, mons. Luciano Monari. Presente anche il cardinale Giovanni Battista Re. Il servizio di Debora Donnini:
“L’amore a Cristo, l’amore alla Chiesa e l’amore all’uomo”: sono i tre aspetti testimoniati dal Servo di Dio Paolo VI attorno ai quali si dipana il discorso di Papa Francesco, applaudito più volte, fin dal suo ingresso in Basilica, dai circa cinquemila fedeli presenti. “Queste tre parole – dice- – sono atteggiamenti fondamentali, ma anche appassionati di Paolo VI”, che “ha saputo testimoniare, in anni difficili, la fede in Gesù Cristo”:
“Risuona ancora, più viva che mai, la sua invocazione: 'Tu ci sei necessario o Cristo!'. Sì, Gesù è più che mai necessario all’uomo di oggi, al mondo di oggi, perché nei ‘deserti’ della città secolare Lui ci parla di Dio, ci rivela il suo volto”.
Nel discorso ai circa cinquemila pellegrini conterranei di Papa Montini, che nacque infatti a Cesio in provincia di Brescia, Papa Francesco mette soprattutto in luce la totalità dell’amore a Cristo di Paolo VI. Una totalità visibile già nella scelta del nome come Papa: Paolo è l’Apostolo che portò il Vangelo a tutte le genti e che “per amore di Cristo offrì la sua vita”, affermò lui stesso. Papa Francesco cita più volte le parole di Paolo VI per mettere in rilievo questo amore: “Cristo! Sì, io sento la necessità di annunciarlo, non posso tacerlo!”, disse a Manila Papa Montini ricordando che “Egli è il centro della storia e del mondo””, “Egli è il compagno e l’amico della nostra vita”. “Parole grandi” afferma Papa Francesco:
“Ma io vi confido una cosa: questo discorso a Manila, ma anche quello a Nazareth, sono stati per me una forza spirituale, mi hanno fatto tanto bene nella vita! E io torno a questo discorso, torno e ritorno, perché mi fa bene sentire questa parola di Paolo VI oggi”.
Il secondo insegnamento lasciatoci da Paolo VI è il suo profondo amore per la Chiesa, “Madre che porta Cristo e porta a Cristo”. Un amore fino a spendersi per la Chiesa senza riserve con un “cuore di vero Pastore, di un autentico cristiano, di un uomo capace di amare”, dice Papa Francesco, rilevando anche che “Paolo VI ha vissuto in pieno il travaglio della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II, le luci, le speranze, le tensioni”. Papa Francesco fa riferimento a diversi scritti di Paolo VI, come la sua prima Enciclica Ecclesiam suam, "Pensiero alla morte", il suo Testamento. Ma soprattutto all’Esortazione apostolica Evangeli nuntiandi, “per me – afferma – il documento pastorale più grande che è stato scritto fino ad oggi”. In questa Esortazione apostolica, Papa Montini pone questa domanda: “Dopo il Concilio e grazie al Concilio…. la Chiesa si sente o no più adatta ad annunziare il Vangelo e ad inserirlo nel cuore dell’uomo con convinzione, libertà di spirito ed efficacia?”. La Chiesa “è veramente radicata nel cuore del mondo, e tuttavia abbastanza libera e indipendente per interpellare il mondo?”. E ancora, rileva Papa Francesco, Paolo VI si chiedeva se fosse più impegnata nell’azione caritativa, nella ricerca dell’unità dei cristiani:
“Sono interrogativi rivolti anche alla nostra Chiesa, a tutti noi, siamo tutti responsabili delle risposte e dovremmo chiederci: siamo veramente Chiesa unita a Cristo, per uscire e annunciarlo a tutti, anche e soprattutto a quelle che io chiamo le 'periferie esistenziali', o siamo chiusi in noi stessi, nei nostri gruppi, nelle nostre piccole chiesuole? O amiamo la Chiesa grande, la Chiesa madre, la Chiesa che ci invia in missione e ci fa uscire da noi stessi?”.
Infine il terzo aspetto che Paolo VI ha testimoniato: l’amore per l’uomo. Un aspetto profondamento legato a Cristo perché è proprio la passione per Dio che spinge a servire l’uomo. In questo senso Papa Francesco cita un ampio passo del discorso che Paolo VI pronunciò nell’ultima Sessione del Vaticano II. Paolo VI evidenziava che “l’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella sua terribile statura e ha in un certo senso sfidato il Concilio”. “La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione dell’uomo che si è fatto Dio”, proseguiva Paolo VI mettendo in luce che poteva esserci uno scontro ma non è avvenuto. “L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio”, disse Papa Montini che rivolgendosi “agli umanisti moderni – rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme” – li invitava a riconoscere “il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo”. Quindi Papa Francesco evidenzia, sempre citando le parole di Paolo VI, che “tutta questa ricchezza dottrinale” è rivolta “a servire l’uomo” “in ogni sua necessità”, tanto che “la Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità”. E questo, nota Papa Francesco, anche oggi “ci dà luce in questo mondo dove si nega l’uomo, dove si preferisce andare sulla strada dello gnosticismo, sulla strada del pelagianesimo” cioè di “un Dio che non si è fatto carne" o del "niente Dio”, dell’ uomo prometeico:
"Noi in questo tempo possiamo dire le stesse cose di Paolo VI: la Chiesa è l'ancella dell'uomo, la Chiesa crede in Cristo che è venuto nella carne e perciò serve l'uomo, ama l'uomo, crede nell'uomo. Questa è l'ispirazione del grande Paolo VI. Cari amici, ritrovarci nel nome del Venerabile Servo di Dio Paolo VI ci fa bene! La sua testimonianza alimenta in noi la fiamma dell’amore per Cristo, dell’amore per la Chiesa, dello slancio di annunciare il Vangelo all’uomo di oggi, con misericordia, con pazienza, con coraggio, con gioia".
L'Ordine di Malta in udienza da Papa Francesco: da 900 anni a servizio degli ultimi
◊ E’ durato 15 minuti il colloquio privato tra Papa Francesco e fra’ Matthew Festing, 79.mo Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta. Con lui il seguito, composto da 11 ufficiali. La visita al Pontefice, come tradizione, è in occasione della festa di San Giovanni Battista, patrono dell’Ordine ospedaliero, il 24 giugno prossimo. A conclusione dell’udienza vi è stato il consueto scambio di doni: da parte del Papa il trittico di medaglie del Pontificato, da parte di fra’ Matthew una medaglia.
L'Ordine di Malta celebra quest’anno i 900 anni dal suo riconoscimento ufficiale, con la bolla del 15 febbraio 1113, di Papa Pasquale II Attualmente, e fino al 30 giugno l’Istituto Cervantes di Roma ospita una mostra fotografica che testimonia la missione realizzata nel mondo dai volontari: “al servizio di poveri e dei sofferenti nella Chiesa e nel Mondo”. Una missione che si confronta quotidianamente con le difficoltà finanziarie che toccano ogni odierna realtà. Francesca Sabatinelli ha intervistato il direttore dell’Ufficio Comunicazioni dell’Ordine di Malta, Eugenio Ajroldi di Robbiate:
R. – La crisi economica non aiuta. Però, tutte le persone dell’Ordine di Malta che incontro nei miei viaggi mi dicono che è difficile reperire risorse economiche, ma è facile reperire volontari. L’Ordine di Malta si basa moltissimo sull’attività di volontari: ne abbiamo circa 80 mila in tutto il mondo. Le difficoltà della nostra situazione attuale fanno sì che le persone siano più spinte a donare se stesse, e quindi notiamo anche un incremento della nostra capacità di aiutare in quel senso.
D. – Del resto, nel vostro motto sono presenti due aspetti importantissimi: difendere la fede e servire i poveri. Un motto estremamente in linea con il Pontificato di Papa Francesco…(Tuitio Fidei et Obsequium Pauperum - NdR)
R. – Sì. E’ un motto antichissimo che ci permette appunto di dare una testimonianza di fede attraverso il nostro servizio ai poveri e agli ammalati ed è il motto che fanno proprio tutte le nostre strutture nel mondo: gli ospedali, i centri medici, le case per anziani, per disabili e i nostri volontari. E’ quello che caratterizza la nostra azione in 120 Paesi del mondo.
D. – Giusto sottolineare che la vostra azione è svolta in totale e piena libertà. La vostra missione è servire il bene integrale dell’uomo…
R. – Sì, assolutamente. Una delle caratteristiche dell’Ordine di Malta, che teniamo sempre a sottolineare, è il fatto che siamo assolutamente indipendenti da qualunque potere politico o economico. Questo ci permette di avere una grande libertà nel poter scegliere quali siano i progetti da perseguire, senza essere in alcun modo condizionati dai poteri, dalla politica, dall’economia, e avendo come obiettivo finale il benessere delle persone. Il nostro fine ultimo non è quello di guadagnare da quello che facciamo: il nostro fine ultimo è cercare di sollevare le persone che sono nel bisogno.
D. – I volontari operano in 120 Paesi, chiaramente ognuno di questi Paesi ha delle emergenze e delle criticità. Però, ad oggi, se dovessimo disegnare una mappa delle urgenze, che cosa vi sta impegnando di più e cosa vi preoccupa maggiormente?
R. – Abbiamo tante emergenze purtroppo e non soltanto nei Paesi difficili. Noi ci occupiamo di famiglie bisognose a Roma, distribuiamo pasti caldi nelle stazioni di Roma per le persone che sono rimaste senza casa, anche quella è un’emergenza che sta – purtroppo – dietro l’angolo. Una delle crisi che ci preoccupa di più in assoluto, ovviamente, è la crisi siriana. Siamo in Libano da tantissimi anni, abbiamo un’associazione libanese, e abbiamo un centro medico nel nord del Libano, che sta accogliendo e curando i profughi siriani che sono in fuga dalla loro terra. Ci sforziamo di dare aiuto medico e anche materiale a queste famiglie che hanno dovuto abbandonare tutto. Sicuramente la Siria – e quindi i Paesi limitrofi - sono quelli che ci preoccupano di più in questo momento.
D. – Le vostre persone che lavorano lì, che testimonianza vi danno?
R. – Una testimonianza di una situazione terribile dal punto di vista umanitario, perché i profughi non si riducono, ma continuano ad aumentare. I Paesi che li ospitano, hanno sempre più difficoltà ad accoglierli. C’è quindi anche – forse – un timore di un possibile blocco delle frontiere, proprio per l’incapacità dei Paesi limitrofi di far fronte a questa emergenza.
D. - Voi avete consegnato a Papa Francesco un documento a testimonianza della vostra attività a servizio degli ultimi, a servizio dei poveri. E avete indicato tra le varie zone, anche quella di origine di Papa Bergoglio: avete parlato del Sud America…
R. – Noi abbiamo cercato di fare un breve riassunto delle molteplici attività che svolgiamo nel continente americano e in particolar modo in Sud America. Nello specifico, l’Ordine di Malta ha attività in 26 Paesi del Sud America e sono molto varie, dipendono fondamentalmente dalle condizioni e dalle necessità dei singoli Paesi. In Argentina abbiamo questo progetto per i malati di cancro in fase terminale, con un centro per fornire loro cure palliative e con tutta una serie di attività per alleggerire il loro stato. Abbiamo poi attività in tantissimi altri Paesi: dal Cile al Perù, alla Colombia, alla Repubblica Dominicana… Le attività dell’Ordine spaziano moltissimo, non si limitano soltanto ad un campo di attività: cercano fondamentalmente di guardare a quelli che sono i bisogni e intervenire prontamente.
Il Papa: serviamo la Parola di Dio, non l’idolatria della ricchezza e le preoccupazioni del mondo
◊ Le ricchezze e le preoccupazioni del mondo “soffocano la Parola di Dio”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che la nostra vita è fissata su tre pilastri: elezione, alleanza e promessa, aggiungendo che dobbiamo affidarci al Padre nel vivere il presente senza aver paura per quello che accadrà. Alla Messa, concelebrata tra gli altri dal vescovo di Santa Clara a Cuba, mons. Arturo González, ha preso parte un gruppo di dipendenti dei Musei Vaticani. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Nessuno può servire due padroni”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia partendo dalle parole di Gesù che, nel Vangelo odierno, si sofferma sul tema delle ricchezze e delle preoccupazioni. Gesù, ha detto il Papa, ha “un’idea chiara su questo”: sono “le ricchezze e le preoccupazioni del mondo” che soffocano la Parola di Dio, sono queste le spine che soffocano il seme caduto nella terra, di cui si parla nella Parabola del Seminatore:
“Le ricchezze e le preoccupazioni del mondo - ci spiega qui - soffocano la Parola di Dio e non la lasciano crescere. E la Parola muore, perché non è custodita: è soffocata. In quel caso si serve la ricchezza o si serve la preoccupazione, ma non si serve la Parola di Dio. E anche questo ha un senso temporale, perché la Parabola è un po’ costruita – il discorso di Gesù nella Parabola – sul tempo, no? Non preoccupatevi dell’indomani, di cosa fai domani… E anche la Parabola del Seminatore è costruita sul tempo: semina, poi viene la pioggia e cresce. Cosa fa in noi, cosa fanno le ricchezze e cosa fanno le preoccupazioni? Semplicemente ci tolgono dal tempo”.
Tutta la nostra vita, ha sottolineato il Papa, è fondata su tre pilastri: uno nel passato, uno nel presente e un altro nel futuro. Il pilastro del passato, ha spiegato, “è quello dell’elezione del Signore”. Ognuno di noi, infatti, può dire che il Signore “mi ha eletto, mi ha amato”, “mi ha detto ‘vieni’” e con il Battesimo “mi ha eletto per andare su una strada, la strada cristiana”. Il futuro invece riguarda il “camminare verso una promessa”, il Signore “ha fatto una promessa con noi”. Il presente infine “è la nostra risposta a questo Dio tanto buono che mi ha eletto”. Ed ha osservato: “Fa una promessa, mi propone un’alleanza ed io faccio un’alleanza con Lui”. Ecco dunque i tre pilastri: “elezione, alleanza e promessa”:
“I tre pilastri di tutta la storia della Salvezza. Ma quando il nostro cuore entra in questo che Gesù ci spiega, taglia il tempo: taglia il passato, taglia il futuro, e si confonde nel presente. A quello che è attaccato alle ricchezze, non importa il passato né il futuro, ha tutto là. E’ un idolo, la ricchezza. Non ho bisogno di un passato, di una promessa, di un’elezione: niente. Quello che si preoccupa di cosa può succedere, taglia il suo rapporto col futuro – ‘Ma, può andare questo?’ – e il futuro diventa futuribile, ma no, non ti orienta a nessuna promessa: rimane confuso, rimane solo”.
Per questo, ha ribadito il Papa, Gesù ci dice che o si segue il Regno di Dio oppure le ricchezze e le preoccupazioni del mondo. Con il Battesimo, ha detto ancora, “siamo eletti in amore” da Lui, abbiamo un “Padre che ci ha messo in cammino”. E così “anche il futuro è gioioso”, perché “camminiamo verso una promessa”. Il Signore “è fedele, Lui non delude” e quindi anche noi siamo chiamati a fare “quello che possiamo” senza delusione, “senza dimenticare che abbiamo un Padre nel passato che ci ha eletti”. Le ricchezze e le preoccupazioni, ha avvertito, sono le due cose che “ci fanno dimenticare il nostro passato”, che ci fanno vivere come se non avessimo un Padre. E anche il nostro presente “è un presente che non va”:
“Dimenticare il passato, non accettare il presente, sfigurare il futuro: questo è quello che fanno le ricchezze e le preoccupazioni. Il Signore ci dice: ‘Ma, tranquilli! Cercate il Regno di Dio e la sua giustizia, tutto l’altro verrà’. Chiediamo al Signore la grazia di non sbagliarci con le preoccupazioni, con l’idolatria della ricchezza e sempre avere memoria che abbiamo un Padre, che ci ha eletti; avere memoria che questo Padre ci promette una cosa buona, che è camminare verso quella promessa e avere il coraggio di prendere il presente come viene. Questa grazia chiediamo al Signore!”
Il Papa al concerto di stasera in Aula Paolo VI per l’Anno della fede
◊ Gran concerto di musica classica alla presenza di Papa Francesco, stasera in Aula Paolo VI a partire dalle ore 17.30, in occasione dell’Anno della fede. Il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ha organizzato il concerto dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, diretta dal Maestro Juraj Valčuha, e il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, diretto dal Maestro Ciro Visco. Il programma prevede l’esecuzione della Sinfonia n.9 in D minore op.125 di Ludwig van Beethoven. Al termine dell’esecuzione, il Papa si rivolgerà ai partecipanti con un discorso.
Il "Treno dei bambini" domani dal Papa. Il card. Ravasi: una festa nel cuore del Vaticano
◊ Un viaggio in treno con partenza da Milano, tappe a Bologna e Firenze, e arrivo a Roma, in una stazione del tutto particolare: quella vaticana. Protagonisti oltre 300 ragazzi, oltre ai loro accompagnatori, coinvolti da una iniziativa studiata per loro dal “Cortile dei Gentili”. Momento culminante, domani subito dopo l’Angelus, sarà l’incontro del “Treno dei bambini” con Papa Francesco, che arriverà di persona a salutare i ragazzi alla stazione. Fabio Colagrande ha chiesto al cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, di descrivere la finalità di questo evento:
R. – Nasce in connessione al "Cortile dei bambini", che abbiamo voluto già sperimentare in due occasioni: la prima a Palermo, sul tema della legalità, e la seconda ad Assisi, sul tema dell’universo. Quindi, i bambini entrano con esperienze molto diverse tra di loro, esperienze di famiglie credenti e non credenti, e partecipano a questo dialogo, a loro modo. Questa volta, però, l’evento è molto più importante e dedicato soprattutto a una tipologia di bambini molto specifica, che deve essere quasi al centro dell’impegno ecclesiale. Si tratta, infatti, di bambini che hanno situazioni di disagio alle loro spalle: famiglie disgregate e alcune volte famiglie che hanno al loro interno delle vere e proprie tragedie e che sono ospiti di case famiglia, oppure sono in via di adozione o di affidamento. Per questo motivo, rappresentano una delle situazioni più drammatiche all’interno della crisi della famiglia.
D. – Cosa c’entrano i bambini con una struttura vaticana dedicata al dialogo con i non credenti?
R. – L’evento è stato preparato da una lunga serie d’incontri, durati mesi, che i loro educatori e le persone che si sono impegnate in maniera particolare per questo evento hanno fatto nei loro confronti nelle varie città, cioè Milano, Bologna, Firenze e anche Roma. In queste città, i bambini sono stati portati alla cattedrale: non solo perché la cattedrale è il simbolo della fede, della tradizione cristiana di una città, ma anche perché normalmente proprio in queste città è incastonata nel cuore civile della città stessa. Ecco, moltissimi di questi bambini, pur abitando in queste città - la maggior parte - non avevano mai messo piede non solo nella cattedrale, ma neppure in una chiesa. Per cui, è il primo momento in cui l’assenza di formazione religiosa veniva colmata anche da un dialogo col mondo dello spirito. Anche se, proprio nello spirito del Cortile dei Gentili, non era un’operazione di catechesi nei loro confronti, ma di incontro con un mondo, che è il mondo della fede, che è un mondo anche di bellezza.
D. – Il Papa come ha accolto questa iniziativa, quando lei gliela comunicata?
R. – L’iniziativa l’ho proposta direttamente al Papa stesso, che ne è stato subito coinvolto, che ha accettato subito, anche in questa maniera piuttosto informale, perché inizialmente si pensava di portare questi bambini all’interno della piazza ad ascoltare l’Angelus del Papa. Però, non dimentichiamo che qui siamo in presenza di un numero di almeno 500 persone, che dobbiamo muovere: 300 bambini e 164 educatori. Perciò, la complessità della vicenda richiedeva che fosse il Papa stesso, in qualche modo, ad avallare un incontro di questo genere, perché loro rimarranno poi tutta la giornata, prima di ripartire per le loro città con il treno di Trenitalia: rimarranno nell’atrio dell'Aula Paolo VI dove avranno giochi, avranno rappresentazioni teatrali, dove pranzeranno. Entreranno e conosceranno la Basilica di San Pietro: una molteplicità delle cose che si svolge tutta all’interno della Santa Sede.
D. – Dobbiamo pensare che a Papa Francesco piaccia particolarmente incontrare i bambini a 100 giorni dall’inizio del suo Pontificato…
R. – Sicuramente, questo credo sia forse l’elemento più significativo, anche perché non dobbiamo dimenticare che lui stesso essendo stato pastore di una grande diocesi, ha vissuto tante volte a contatto con bambini, attraverso le Cresime, le catechesi, le visite pastorali. Quindi può comprendere e, in un certo senso, ritorna ancora alla sua matrice pastorale, vivendola in questo nuovo contesto.
Nomine episcopali di Papa Francesco in Giappone e negli Stati Uniti
◊ In Giappone, Papa Francesco ha nominato vescovo della Diocesi di Sapporo in Giappone, il Rev. Bernard Taiji Katsuya, del clero di Sapporo, responsabile del Distretto di Sapporo e Parroco.
Negli Usa, il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di Ausiliare della diocesi di Rockville Centre, presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor John C. Dunne, per sopraggiunti limiti d’età.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Cristo, la Chiesa e l'uomo, i tre amori di Paolo VI: il santo Padre incontrando un gruppo di fedeli bresciani ha ricordato il suo predecessore.
Lettere pontificie per le celebrazioni in onore dei santi Cirillo e Metodio.
I pilastri della salvezza cristiana: Messa del Papa a Santa Marta.
Il cardinale Stanislaw Rylko sulla Giornata mondiale della gioventù in programma, fra un mese, a Rio de Janeiro.
In rilievo, nell'informazione internazionale, la protesta popolare in Brasile. Nell'informazione religiosa, un articolo dal titolo "Il giusto grido delle strade": l'episcopato brasiliano sulle manifestazioni che infiammano il Paese.
Per colpire la Chiesa di Pio XII: in cultura, Anna Foa su Giovanni Palatucci, trasformato da Giusto delle Nazioni in persecutore di ebrei.
Come un inconsapevole Colombo: Paolo Cairoli e Andrea Malvano sulla Nona di Beethoven che viene eseguita oggi pomeriggio in Vaticano, alla presenza di Papa Francesco, nel concerto per l'Anno della fede.
Un articolo di Silvia Guidi dal titolo "Uno sguardo moderno": il 23 giugno 1973 Papa Montini inaugurava la Collezione di arte contemporanea dei Musei Vaticani.
Proteste in Brasile: i vescovi invitano ad ascoltare "il grido del popolo"
◊ I vescovi brasiliani sostengono le contestazioni, purché pacifiche. In una nota hanno invitato a non ignorare “il grido del popolo”. Intanto la presidente Rousseff, ieri, in un vertice d’emergenza ha promesso riforme ma anche che "non tollererà alcuna violenza". Il servizio di Massimiliano Menichetti:
Il Brasile si è svegliato nel dodicesimo giorno di contestazioni contro la corruzione e le spese esorbitanti per la Coppa del mondo del prossimo anno. In oltre cento città in questi giorni, migliaia di persone hanno chiesto interventi nei campi di sanità, istruzione e trasporti. Ieri la presidente Dilma Rousseff ha promesso strategie per favorire la trasparenza nella lotta contro la corruzione; un sistema politico più vicino alla società; un piano in tre punti per migliorare i servizi pubblici. La leader ha rimarcando che non tollererà violenze, pur riconoscendo il valore della protesta. Due i morti in relazione ai tumulti, decine i fermi della polizia e i feriti. Tensioni comunque si temono per oggi, soprattutto in occasione della partita della Confederations Cup tra Brasile e Italia, che si giocherà a Salvador de Bahia. In questo scenario i vescovi brasiliani, in una nota, invitano al dialogo, esprimono solidarietà e sostegno alle manifestazioni, purché pacifiche. “Tutti, anche nella protesta, devono rispettare l'ordine, il bene comune, i beni di tutti e la pace, ma il grido del popolo deve essere ascoltato”, scrivono i presuli, che parlano di un “fenomeno che richiede attenzione e comprensione per identificare valori e confini, sempre con l'obiettivo di costruire una società giusta e fraterna”. I vescovi puntano anche il dito contro "la corruzione, l'impunità e la mancanza di trasparenza", ribadendo che “la soluzione dei problemi” “è possibile solo con la partecipazione di tutti”.
Albania al voto: Berisha cerca il terzo mandato, socialisti in vantaggio nei sondaggi
◊ Domenica di elezioni politiche in Albania. A contendersi la guida del Paese il Partito democratico con il premier uscente Sali Berisha, che chiede un terzo mandato, e il Partito socialista con l’ex sindaco di Tirana, Edi Rama, indicato come favorito nei sondaggi. Occhi puntati dalla Commissione europea che ha indicato la tenuta delle elezioni nel rispetto agli standard internazionali come una condizione per l'avvio dei negoziati di adesione all’Ue. Per un’analisi dei temi che detteranno l’agenda del futuro governo Marco Guerra ha sentito il responsabile del programma albanese della nostra emittente, don Davide Djudjaj:
R. – L’entrata dell’Albania nell’Unione Europea a titolo pieno è stata lo scopo del governo fino adesso, ed è lo scopo di tutti i leader e, naturalmente, anche dell’opposizione, chiaramente con visioni e un percorso molto diverso l’uno dall’altro. Altro tema molto importante è la disoccupazione, ossia i posti di lavoro, la crisi economica molto forte. Poi ci sono argomenti e temi importanti, ereditati ancora dal regime comunista, come lo è la proprietà privata, e cioè il censimento e la legalizzazione della proprietà delle case e dei terreni. Ciò che ai cittadini dell’Albania interessa è che ci sia meno corruzione, lo snellimento burocratico nell’apparato statale e una riduzione della spesa statale.
D. – Quindi, gli occhi puntati dell’Europa. Queste elezioni possono essere considerate un crocevia per l’integrazione con Bruxelles?
R. – Io penso di sì, anche se tutte le volte che l’Albania si presenta alle elezioni, diventa un esame importante per il suo processo e proseguimento verso l’Unione Europea. Spero davvero che almeno i cittadini, a differenza dei politici, dimostrino una maturità maggiore. Credo che così sarà, anche se c’è l’incognita del grande astensionismo dal voto. Questo non aiuterebbe molto ad adempiere quegli standard e superare quegli esami che l’Europa chiede all’Albania: ovvero di rafforzare la propria democrazia.
D. – I due candidati, quali ricette propongono per il Paese?
R. – Anzitutto, una promessa di ripresa dell’economia; l’altro, la promessa ad ogni cittadino di rientrare in possesso al più presto, con i certificati di proprietà, di ciò che ha perso durante il regime comunista, le varie proprietà. I programmi si assomigliano, ma ciò che distingue l’uno e l’altro sono solo le critiche si rivolgono. Una delle incognite, uno degli elementi temuti, è che non si arrivi ad una vittoria schiacciante, che metterebbe il Paese molto in difficoltà nel proseguire verso la democrazia, nel suo processo verso l’Unione Europea.
D. – Dopo due mandati, è ancora in campo il premier Berisha. E’ ancora lui l’uomo forte del Paese?
R. – Certamente Berisha, in questi anni, ha dimostrato la sua forte leadership, la sua capacità indiscussa nel portare avanti il governo. Dall’altra parte, anche i socialisti hanno un partito forte, con un leader meno carismatico, ma con un gioco di squadra probabilmente più forte. Questo però lo diranno le prossime elezioni.
D. – La minoranza cattolica ha un ruolo in queste elezioni e nella politica albanese?
R. – La comunità cattolica ha certamente un ruolo, ma sempre più marginale. Non ci sono figure di grande spessore, di grandi o prestigiosi incarichi. Questo è un fatto che preoccupa la Chiesa albanese, perché la Chiesa cattolica ha sempre dato un contributo fortissimo sia nell’affermazione dei valori della democrazia, sia nel coltivare la cultura, l’identità del proprio Paese. Ultimamente ci sono state anche delle polemiche per le esclusioni di pochi personaggi cattolici nelle alte sfere del Paese. Speriamo che la leadership tenga conto anche di questa armonia nel Paese.
Ancora nessun accordo a Lussemburgo sulle nuove regole per le banche
◊ I ministri delle Finanze dell'Unione Europea si sono congedati nella notte senza l’accordo su un meccanismo unico per un eventuale 'fallimento ordinato' delle banche. Si tratterebbe di trovare regole comuni per liquidare le banche in difficoltà senza fare appello ai contribuenti. La discussione riprenderà mercoledì. L’Ecofin ha approvato invece definitivamente la chiusura della procedura per deficit eccessivo per l’Italia. Dell’importanza del provvedimento europeo sulle banche e delle prospettive per l’Italia, Fausta Speranza ha parlato con l’economista Paolo Guerrieri, docente di economia internazionale all’Università La Sapienza di Roma:
R. – L’unione bancaria a livello europeo è un tassello fondamentale per far funzionare l’unione monetaria e quindi l’area dell’Euro. La sorveglianza comune è ormai un traguardo – diciamo – che abbiamo raggiunto. Adesso si dovrebbero, appunto, varare questi meccanismi di risoluzione delle crisi comuni, in cui a un certo punto ci deve essere un’autorità che decide come ripartire i costi del fallimento e quindi che siano soprattutto coloro che hanno usufruito o che hanno avuto ritorni da una banca a pagare e non i cittadini con le imposte. Su questo punto non c’è accordo in Europa, perché si tratta di decidere a un certo punto anche su un trasferimento di risorse e questo trasferimento di risorse tra Paesi oggi è un discorso tabù: quindi i Paesi creditori hanno detto “sì” al meccanismo comune, ma che ognuno paghi per sé. Ma questa è una contraddizione in termini: ancora una volta, troviamo una specie di muro in Europa per quanto riguarda la capacità di esprimere solidarietà tra Paesi.
D. – L’Ecofin di ieri ha varato definitivamente la chiusura della procedura per l’Italia. Il ministro Saccomanni parla di “maggiori gradi di libertà”: che ci dice su questo?
R. – Sulla carta è proprio così. Nel senso che l'Italia ha fatto sforzi enormi, ha pagato costi enormi, dal 2009 in poi, per arrivare ad oggi a portare il nostro deficit sotto il 3 per cento ed essere tra i pochi – perché sono pochissimi i Paesi che oggi hanno questa situazione; la Francia e la Spagna, per esempio, non sono tra i virtuosi. Adesso ci aspetteremmo non dico una ricompensa, ma la possibilità perlomeno di usare risorse per il futuro di questo Paese - quindi investire per lo sviluppo - e che queste risorse non pesino come la spesa corrente sui deficit. Questo è il tema aperto che c’è. A livello europeo c’è ancora un atteggiamento - direi - molto burocratico-notarile: non si vuole concedere poi al tema degli investimenti quella che si chiama la “golden rule”, cioè la “regola aurea”, secondo la quale questi investimenti non siano conteggiati come il resto nel deficit di un Paese. Quindi io temo che a giugno non si otterrà nulla: la partita vera si giocherà, ancora una volta, a fine anno, dopo le elezioni tedesche.
D. – Però qual è il ruolo dell’Italia a questo punto, perché questi maggiori gradi di libertà significhino degli impegni precisi per migliorare la situazione dei cittadini e non per andare a compensare, come dire, "buchi di Stato" o di "banche pasticcioni"?
R. – Noi purtroppo abbiamo una storia che è costellata di falsi investimenti: a parole le spese venivano classificate come tali e poi nei fatti queste risorse sono state sperperate o addirittura neanche spese. Quindi questo è il secondo punto fondamentale: prima dobbiamo ottenere che l’Europa riconosca agli investimenti il loro status di spese per il futuro dei Paesi. Ma poi dobbiamo monitorare attentamente affinché queste risorse siano utilizzate per lo sviluppo dell’Italia e non certo per – diciamo in qualche maniera – sanare gli errori o anche di peggio che è stato fatto fin qui. Quindi, sono due le condizioni che nei prossimi mesi dobbiamo portare avanti insieme.
In Uruguay si decide l’indizione o meno di un referendum sull’aborto
◊ Oltre due milioni e mezzo di uruguayani sono chiamati, nella giornata di domani, a pronunciarsi in favore o contro l’indizione di un referendum abrogativo della legge che depenalizza l’aborto, entrata in vigore nel Paese all’inizio dell’anno. L’iniziativa, promossa dai vescovi con una lettera pastorale nel maggio scorso, ha trovato l’appoggio di diversi esponenti politici. Il servizio di Roberta Barbi:
Sono più di 68mila le firme presentate alla Corte elettorale per indire un referendum che abolisca la legge sull’aborto, approvata nell’ottobre dell’anno scorso con una stretta maggioranza, e che prevede l’interruzione volontaria di gravidanza fino alla 12.ma settimana e in alcuni casi fino alla 14.ma, previa consultazione con una commissione di medici, psicologi e assistenti sociali. L’interruzione volontaria di gravidanza può essere, invece, secondo la normativa, direttamente autorizzata in caso di rischio grave per la salute della madre, in caso di stupro o di possibili malformazioni del nascituro. Fino a ieri la Conferenza episcopale uruguayana, tra i promotori del referendum, ha invitato la popolazione al voto contro una legge “ingiusta”, ribadendo il rispetto della vita umana fin dal concepimento e ricordando che i diritti umani, primo il diritto alla vita non possono essere soggetti a maggioranze circostanziali di un gruppo legislativo o elettorale, pur riconoscendo che i cittadini hanno nelle loro mani la scelta dei mezzi che ritengono necessari per cambiare la legislazione. Oggi, invece, è la giornata del silenzio stampa, ma il dibattito continua ad accendersi su Internet e sui social network. Da tempo i vescovi sono in prima linea contro questa legge: già durante l’assemblea plenaria dell’aprile scorso avevano lanciato un appello in difesa della vita: “I cittadini dell’Uruguay hanno l’opportunità di cambiare il corso delle cose e dire sì alla vita dei bambini”, avevano detto, pur ribadendo che “il diritto alla vita non potrà mai essere oggetto di un referendum, dal momento che esso deriva da Dio”. Affinché il referendum si realizzi, è necessario che si registrino 655.193 adesioni. Anche se finora era una pratica illegale, secondo i dati ufficiali in Uruguay si praticano circa 30 mila aborti l’anno; ma secondo alcune organizzazioni umanitarie potrebbero in realtà essere il doppio.
Assisi. Presentato il Manifesto a tutela del Creato dei giovani della Gmg
◊ A un mese circa dalla Gmg di Rio de Janeiro, la Fondazione Giovanni Paolo II per la Gioventù del Pontificio Consiglio per i Laici, insieme con il Ministero italiano dell’ambiente, hanno presentato questa mattina al Sacro Convento di Assisi il manifesto per l'ambiente della Giornata mondiale della gioventù dal titolo: “I giovani della Gmg custodi del creato, il futuro a misura d'uomo che vogliamo”. Si tratta di un documento stilato da una commissione di esperti in materia, che prende spunto dal vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile “Rio+20”, ma soprattutto dalle recenti affermazioni di Papa Francesco sulla “Custodia del Creato”. Federico Piana ne ha parlato con padre Enzo Fortunato, responsabile della sala stampa del Sacro Convento:
R. – Lancia un grande messaggio che riprende le prime parole del Papa all’inizio del suo Pontificato: essere custodi del Creato. I giovani si sono interrogati profondamente su questo tema – un tema emergente, forte, significativo – e lo vogliono lanciare dal Brasile. I giovani ci dicono che non vogliono essere "giganti tecnologici" e "nani morali", ma vogliono essere giganti morali ed esperti di tecnologia. Questo è il secondo aspetto del messaggio. Il terzo: le loro richieste di fronte ai governanti a impegnarsi, a non nascondersi. Poi, anche un appello ai media di tutto il mondo affinché vigilino attentamente sulle misure che i governanti sono chiamati a mettere in atto e, infine, il loro personale impegno. I giovani diranno: vogliamo rispettare la verità dell’essere umano, vertice del Creato, seguendo l’esempio di San Francesco.
D. – Padre Enzo, perché è importante che i giovani, in qualche modo, stiano attenti al Creato?
R. – Perché è questo Creato che sono chiamati ad abitare. E' questo Creato che custodisce l’uomo. E poi, soprattutto, perché il Creato è il riflesso dell’amore e della bontà di Dio. Rispettare il Creato significa quindi anche amare chi lo ha creato. C’è un passaggio nel messaggio che dice: “Dalla creazione al Creatore”. E poi ci sono dei particolari molto importanti: le denunce sullo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento e l’acidificazione degli oceani, la deforestazione, la siccità. Tutti fenomeni che incidono soprattutto sulle zone più povere del mondo e anche questo è messo in risalto.
Seminario a Todi: ritrovare il futuro partendo dalla radici cattoliche
◊ In questo momento di stallo, le radici cattoliche possono essere fondamentali per la rinascita dell'Italia. A Todi, al seminario "ritrovare il futuro" dell'associazione Argomenti 2000, politici, storici e sociologi si confrontano sul futuro del Paese. Si tratta di guardare anche a quello che potrebbe succedere dopo il governo di larghe intese. Da Todi, il nostro inviato Alessandro Guarasci:
La Terza Repubblica sta morendo in modo doloroso. Per questo il sociologo Mauro Magatti è convinto che l'Italia debba tornare a fare leva sulle sue radici cattoliche. Gli esempi del declino d'altronde, secondo Magatti, sono sotto gli occhi di tutti: la scuola non risponde alle esigenze della società, le riforme sono bloccate, le privatizzazioni hanno portato solo ad una serie di oligopoli privati. La risposta della politica è stata scarsa, perché, dice Magatti, il berlusconismo ha portato a forme di individualismo, il centro sinistra non si è messo in sintonia con i bisogni del Paese. Ne consegue che il cattolicesimo sociale è una risorsa da sfruttare. Ma su quali temi? Ernesto Preziosi presidente dell'associazione Argomenti 2000:
"E’ la grande crisi economica, il grande tema del lavoro, è il discorso grande dello sviluppo possibile per questo Paese. Poi ci sono tutti gli altri temi che riguardano la dignità della persona, della donna, la dignità della famiglia, la sua unità… Su tutti questi temi io credo che noi non abbiamo una posizione particolare, isolata, da credenti. Noi dobbiamo rivendicare – lo diciamo con umiltà – che i credenti hanno qualcosa da dire per il ben comune, per tutti".
Il demografico Alessandro Rosina chiede di investire di più sui giovani, perché, per scarsa natalità ed emigrazioni, tra una decina di anni l'Italia avrà perso un giovane su tre. Dunque puntare su spesa sociale, formazione, abbassamento dell'età anagrafica per accedere a cariche di vertice.
Paula Cooper: dal braccio della morte alla libertà, una storia di riscatto
◊ Dopo 27 anni di carcere, è tornata in libertà Paula Cooper, la più giovane condannata a morte nella storia degli Stati Uniti. Nel luglio del 1986 aveva ucciso, all'età di 15 anni, la sua insegnante di religione. La sua vicenda divenne un caso internazionale e provocò profondi interrogativi nella coscienza degli americani circa la legittimità e l’efficacia della pena capitale. Per lei si mobilitarono molte associazioni impegnate per i diritti umani. Più volte Giovanni Paolo II si appellò alla giustizia americana per chiederne la grazia e fu proprio a Karol Wojtyla che la Cooper inviò una lettera chiedendo un intervento. Nel 1989, grazie alla modifica della legislazione in materia, la pena capitale venne commutata in 60 anni di carcere poi, per buona condotta, la riduzione della pena e qualche giorno fa la liberazione della ragazza, oggi una donna di 43 anni. Su questo caso, Federica Baioni ha intervistato Stefania Tallei della Comunità di Sant’Egidio:
R. - Veramente la storia di Paula mostra il riscatto, come una persona possa cambiare completamente e come ciò che ha commesso in un’età così giovane - aveva 15 anni - non ha niente a che vedere con la vita che può venire dopo, e mostra che è possibile cambiare. Noi partecipammo come Comunità di Sant’Egidio, insieme a tantissime altre associazioni e tantissime persone, a questa campagna: l’Italia raccolse più di un milione di firme per lei. E’ intervenuto anche il Beato Giovanni Paolo II, con un intervento autorevole presso il governatore, che l’ha salvata. Poi lei ha avuto una storia di perdono da parte del parente della vittima, del nipote diretto della vittima, di questa anziana. Quindi è una storia veramente di perdono e di pietà. Si può vedere come dal perdono e dalla pietà è nata una nuova vita, una nuova donna, una storia nuova, che ricomincia adesso.
D. - Per chi fa campagna contro la pena di morte, cosa vuol dire però trovare ancora nella società americana delle polemiche intorno ad un caso come questo?
R. - Io penso che ci sia molta paura, troppa, e poca fiducia nella vita, in ciò che nella vita può veramente trasformare l’animo di una persona.
Il 22 settembre del 1987 la Radio Vaticana riuscì a raggiungere telefonicamente Paola Cooper nel “Braccio della morte”. Vi riproponiamo l’intervista nella sua forma originaria, realizzata da Kitty Wolf, dell’allora redazione inglese del Programma "Quattro Voci":
D. - Paula. prima del delitto, hai mai pensato alla pena di morte?
R. - No. Non ci ho mai pensato.
D. - Pensi quindi che la pena di morte non sia un deterrente?
R. - Fino ad ora non ha funzionato: le minacce non hanno alcun effetto, perché i crimini continuano. Secondo me la gente vuole che si faccia qualcosa contro la violenza, per questo le esecuzioni continuano ma non cambia nulla.
D. - In che modo, a tuo avviso, si possono convincere i giovani a non commettere delitti?
R - C'è sempre una ragione perché certe cose accadono. Tanti giovani stanno lottando perché qualcuno abbia cura di loro. Ma la gente non si preoccupa. Finché non accade qualcosa di grave. Quando un ragazzo, che vive in una famiglia violenta si rivolge al giudice per aiuto, non riceve nulla, e deve tornare a casa e continuare a subire violenza. Il mondo è brutto e non so se c'è qualcosa che possa migliorarlo.
D. - Secondo te, perché la maggior parte degli americani è a favore della pena di morte e non capisce i motivi a monte che spingono i ragazzi a commettere dei crimini?
R. - Perché la gente è intransigente: se uccidi devi morire. Ma non è detto che questo sia necessariamente giusto. Non credo che esistano esseri umani totalmente malvagi, come questa gente pensa. Penso che la gente non voglia perdere un minuto del proprio tempo per cercare di capire il perché di certe azioni e, quando ti trovi nei guai, i mezzi di comunicazione ti fanno sembrare un mostro. La gente, però, non capisce che i mass-media devono fare così, devono, presentare storie sconvolgenti per fare denaro, perché il pubblico vuole leggere tali storie. Dal momento che ti creano questa immagine, tu sei così e devi morire.
Ospedale "Bambin Gesù": Open Day per famiglie nelle sede di S. Paolo
◊ “Open Day”: è l’iniziativa che l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ha organizzato per oggi nella sede di San Paolo, inaugurata lo scorso anno. Una giornata di festa dedicata all’accoglienza delle famiglie e dei loro piccoli. I medici saranno a disposizione per dare consigli e avere informazioni sanitarie, ma sarà anche una giornata di divertimento. Giocolieri, burattini e clown intratterranno i piccoli dalle ore 11 alle 18. La dott.ssa Lucia Celesti, responsabile dell’accoglienza e dei servizi alle famiglie del Bambin Gesù, ne parla nell’intervista di Eliana Astorri:
R. – E’ una giornata dedicata all’accoglienza: perché l’ospedale non è soltanto un posto dove ci si cura sotto il profilo fisico, ma dove ci si cura anche sotto il profilo psicologico e dove anche ci si può divertire: si può giocare insieme, si possono imparare anche molte cose, sia i bambini sia gli adulti.
D. – Quindi, una presa in cura del bambino malato che va al di là delle terapie, ma che punta molto sul creare sempre di più un ambiente familiare, di gioco, accogliente?
R. – Assolutamente, sì! E’ una vera e propria terapia dell’accoglienza. Sicuramente, accogliere bene se non guarisce, senz’altro cura. Anche perché, vede, quando si ammala un bambino, in realtà si ammala tutta la famiglia, perché il problema dell’uno inevitabilmente si ripercuote sui genitori, sui nonni – se ci sono – e anche sugli altri fratellini. Sto parlando in particolare di bambini con malattie serie, croniche, che magari devono allontanarsi dalla loro casa per tanto tempo.
D. – Addirittura, dalla loro città, a volte...
R. – Dalla loro città. Pensi, che il 40% dei bambini che vengono in cura da noi non sono romani e ci sono situazioni – per esempio quelle dei bambini che sono sottoposti ai trapianti – nelle quali tutta la famiglia, o gran parte della famiglia, deve restare lontana da casa per tanto tempo.
D. – I medici interagiranno con i genitori dei bambini, in questa Giornata con le famiglie, per saperne di più su alcune patologie …
R. – Certamente. Sarà come un grande mercato gratuito: ci saranno degli stand dove i nostri medici offriranno gratuitamente prestazioni come l’elettrocardiogramma, e quindi tutta la parte di informazione sulla cardiologia, una parte sulle malattie rare, un’altra parte sull’obesità infantile. Non dimentichiamo che bisogna parlare di prevenzione, perché il 20% dei bambini italiani è sovrappeso se non addirittura obeso. Poi, ci saranno dei corsi di primo soccorso per insegnare ai bambini – e anche ai grandi – le prime manovre di primo soccorso. Insomma, una serie articolata di iniziative che sono rivolte ai bambini – queste ultime, soprattutto ai genitori.
D. – Vogliamo dire che per questa occasione il parcheggio sotterraneo vicino all’Ospedale è gratuito?
R. – Assolutamente gratuito! C’è un grande parcheggio nel quale si può lasciare la macchina; tra l’altro, l’ambiente è climatizzato, cosa non da poco in questo periodo. E quindi, se non si ha modo di andare al mare ma si vuole trascorrere una giornata di festa in un ambiente meraviglioso, unico – ricordo che l’Ospedale di San Paolo è l’ultima delle nostre realizzazioni: è stato aperto nello scorso agosto in una zona bellissima di Roma, vicino alla Basilica di San Paolo, ed è quindi anche un modo per fare del turismo intelligente, in questa meravigliosa città che è la città dell’accoglienza.
Il commento al Vangelo della 12.ma Domenica del tempo ordinario
◊ Nella 12.ma Domenica “per annum”, il Vangelo presenta il brano di Luca nel quale Gesù chiede ai discepoli anzitutto chi Egli sia secondo l'opinione della gente e poi anche secondo la loro stessa opinione. Una domanda alla quale Pietro risponde con chiarezza:
"Tu sei il Cristo di Dio".
Su questo brano evangelico, ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:
La fede cristiana è fondamentalmente un incontro personale con Gesù di Nazareth. La domanda che nel Vangelo di oggi Gesù pone ai suoi discepoli diviene importante per ognuno di noi: “Voi, chi dite che io sia?”. Chi è Gesù Cristo per me? A Pietro che lo confessa: “Il Cristo di Dio”, Gesù chiarisce in cosa consista questa “consacrazione”, questo “essere tutto per Dio”, che traduce letteralmente il termine “Messia”, “Cristo”: “Il Figlio dell’uomo – dice – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”, parole che aprono un duplice scenario, difficile da immaginare per gli apostoli, ma anche per noi: deve soffrire molto e risorgere al terzo giorno.
Cosa significa questo? Seguirlo non conduce a nessun successo umano: non c’è posto per lui né tra gli anziani, né tra i capi. Per questo: “Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. Ma questa croce – e lo si deve comprendere molto bene – è solo dono di Dio all’uomo, dono dell’uomo a Dio e ai fratelli. E se c’è una sofferenza in essa, se c’è un sacrificio, questo è sacrificio d’amore: la croce non ci è data perché dobbiamo soffrire, ma perché è la scala che ci porta alla vita. La croce resta sì la nostra quotidiana compagna di viaggio, ma viene resa gloriosa dall’amore, diviene la nostra quotidiana via al Cielo, non inteso come “paradiso illusorio”, ma come gioioso incontro con l’altro, dove l’altro non è l’inferno (Sartre), ma Cristo, Cristo che io amo e che mi ama. A cui ci si dona.
Siria: alla conferenza a Doha si parla di “armare i ribelli”
◊ È di sei morti, tra cui tre bambini tutti appartenenti alla stessa famiglia, il bilancio dell’ennesima notte di guerra in Siria. I tre piccoli sono stati uccisi nel quartiere Qaboune a Damasco, da giorni nel mirino delle forze governative, preso di mira nella notte: la loro casa è stata centrata da almeno un proiettile sparato da un carro armato delle truppe di Assad. A riferirlo è l’Osservatorio siriano per i diritti umani, che comunica anche della morte di una donna e di due uomini, uccisi nella notte sempre nella capitale. Dall’alba di oggi, inoltre, carri armati lealisti sono posizionati lungo l’autostrada Damasco-Homs e da lì sparano contro le abitazioni del quartiere di Qabon, considerato una roccaforte degli insorti. Intanto, al termine della riunione degli Amici della Siria a Doha, in Qatar, il premier del Paese ha dichiarato che “l’unico modo per ottenere la pace in Siria è armare i ribelli”. Il Qatar, quindi, appoggia la conferenza di pace "Ginevra 2", ammesso che si tenga senza Assad. Anche il segretario di Stato americano, John Kerry, sempre da Doha, ha auspicato più appoggio all’opposizione siriana, non per cercare “una soluzione militare”, ma per “colmare lo squilibrio di forze” rispetto ad Assad. (R.B.)
Alluvioni in India, i soccorritori al lavoro no-stop
◊ Appena 48 ore di tempo per portare a termine le operazioni di soccorso, prima dell'arrivo di una nuova perturbazione che potrebbe danneggiare in particolare l'evacuazione via terra dai luoghi più isolati. È questo il limite di tempo che le autorità indiane si sono date per le operazioni di soccorso nella zona di Uttarakhand, colpita dalle alluvioni. Per quanto riguarda il bilancio ufficiale delle vittime, rimane per ora a quota 600, ma non tiene conto dei numerosissimi cadaveri che nessuno ha ancora prelevato in molte zone vicino al tempio di Kedarnath, uno degli obiettivi del pellegrinaggio (Char Dam Yatra) che era in corso quando si è scatenata la tragedia. Soccorritori civili, militari e paramilitari della polizia di frontiera indo-tibetana hanno portato a termine negli ultimi giorni, con l'appoggio di decine di elicotteri e alcuni C-130, il salvataggio di almeno 60 mila persone, e sono ora impegnati a raggiungere le 30 mila ancora bloccate soprattutto nelle regioni di Kedarnath e Badrinath. Salvati anche circa 17 mila cittadini stranieri. Migliaia i soccorritori militari e civili che continuano no-stop le operazioni di recupero e salvataggio. Il bilancio delle vittime è destinato purtroppo a salire e i dispersi sono ufficialmente 16 mila. Il governo ha chiesto ai soccorritori il massimo dello sforzo nelle prossime ore, perché secondo l’ufficio meteorologico nazionale potrebbe tornare la pioggia a partire da lunedì. (R.B.)
Anno della Fede. I vescovi sudcoreani promuovono le piccole comunità cristiane
◊ In occasione dell’Anno della Fede, rivitalizzare e dare nuovo slancio alla fede attraverso le piccole comunità cristiane. È l'idea della Conferenza episcopale della Corea del Sud, che ha promosso un seminario per invitare i sacerdoti a coltivare e sviluppare questa forma di aggregazione e di esperienza spirituale, destinata sia ai laici che alle famiglie. Come riferisce l’agenzia Fides, le piccole comunità cristiane sono formate da laici che promuovono una spiritualità incentrata sulla condivisione del Vangelo e sull’Eucaristia. Nei giorni scorsi, è stata anche organizzata un’iniziativa dall’Istituto Pastorale della Corea diretto da mons. Peter Kang U-il, vescovo di Cheju e attuale presidente della Conferenza episcopale locale, che ha presentato le comunità come “modello concreto per la Chiesa in Corea”, capace di portare nuova linfa vitale alle diocesi coreane. “Un appello a cambiare il paradigma della Chiesa locale allontanandosi da clericalismo e laicismo – è l’interpretazione di un parroco di Seul, padre Bartolomeo Jun Won – le piccole comunità incarnano una visione pastorale per la Chiesa locale, che realizza lo spirito del Concilio Vaticano II”. (R.B.)
Anno della Fede. Il Vietnam celebra i 25 anni di Canonizzazione dei suoi martiri
◊ Ricade proprio nel corso del 2013, Anno della Fede, il 25.mo anniversario della Canonizzazione dei Martiri vietnamiti: 117 persone, tra cui 8 vescovi, 50 sacerdoti, un seminarista e 42 fedeli laici, che assieme ad altri 300 mila cristiani furono uccisi in “odium fidei” tra il 1638 e il 1886. Si tratta di giovani, anziani e bambini massacrati per il diritto alla libertà religiosa, che Giovanni Paolo II decise di canonizzare il 19 giugno 1988. E proprio il 19 giugno scorso, in occasione di questo anniversario, sono state celebrate diverse Messe nelle parrocchie delle diocesi vietnamite di Hanoi e Hue. Durante le omelie, i sacerdoti hanno insistito sull’esempio dei martiri per i cristiani perseguitati di oggi. Su questo tema, si è concentrata anche la lettera pastorale di giugno dell’arcivescovo di Saigon, il cardinale Jean Batiste Pham Minh Mân, che ha esaltato le figure di “coloro che hanno dato la vita e sono morti per la missione in Vietnam”. La festa dei Martiri vietnamiti si celebra ogni anno il 24 novembre e l’anniversario di quest’anno – riferisce AsiaNews – si colloca in un periodo particolarmente delicato per la Chiesa del Paese. (R.B.)
Birmania. Appello dell’arcivescovo di Yangon per lo sviluppo del Paese
◊ “La trasformazione democratica del 2011 non è stata così improvvisa com’è stato fatto credere: in realtà il governo birmano stava preparando le riforme già da un po’ di tempo per evitare sanzioni da parte di Washington e dei suoi alleati”. È quanto dichiara mons. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, che ha anche criticato l’inefficacia dimostrata dalle forze armate nel fronteggiare i recenti conflitti etnici. Intervenuto a un incontro organizzato a Monaco da Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), il presule birmano era accompagnato da un confratello salesiano, padre Charles Saw, il quale ha descritto un lieve miglioramento nel rispetto dei diritti umani. Ad esempio oggi si possono detenere valute straniere, mentre “una volta si poteva finire in prigione per il possesso di un solo dollaro”, e la libertà d’espressione è maggiormente garantita. “Se prima eravamo liberi soltanto prima di aprir bocca, oggi lo siamo anche dopo”, ha ironizzato il religioso. Tuttavia, nonostante i tenui passi avanti, nel multietnico Stato birmano, permangono gravi violazioni dei diritti umani, come spiega ad Acs lo stesso arcivescovo di Yangon: “Per accedere a posizioni di rilievo e incarichi pubblici – è la sua denuncia – si deve essere necessariamente buddisti e appartenere all’etnia maggioritaria dei Bamar. Ciò significa che oltre 30% dei cittadini è escluso dalla vita politica del Paese”. Ad aggravare la situazione, anche la suddivisione amministrativa voluta dalla dittatura militare. Infine, per monsignor Bo, è il fattore etnico all’origine dei recenti e sanguinosi scontri tra buddisti e musulmani. I leader musulmani, cristiani, buddisti e indù continuano a confrontarsi nel tentativo di appianare le tensioni, ma per l’arcivescovo di Yangon il Myanmar ha bisogno di un aiuto esterno. E così ha formulato un appello accorato alla comunità internazionale per fare in modo che il processo di riforme continui: “Gli Stati Uniti e l’Unione Europea devono continuare a tenere sotto controllo il nostro Paese”. (F.B.)
Comece. Al via a Bruxelles la Settimana della speranza per l’Europa
◊ “Essere cittadini europei con speranza”: questo l’appello che il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco-Frisinga e presidente della Comece, rivolge ai cristiani d’Europa invitandoli a partecipare alla “Week for Hope-settimana della speranza”, l’inedita iniziativa che nell’Anno della cittadinanza europea la Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) promuove dal 24 al 27 giugno prossimi. Secondo quanto riferito dal porporato all’agenzia Sir, l’Unione Europea in passato era un luogo diverso e si viveva “un periodo di ottimismo in cui ogni cosa sembrava possibile. Oggi, la crisi ha spento l’entusiasmo. Lo scetticismo e il dubbio sembrano qualche volta prevalere”. “Ma se guardiamo indietro - sottolinea il cardinale - ci accorgiamo che abbiamo realizzato in Europa grandi cose”. Il messaggio del porporato si tramuta in un appello rivolto ai cittadini europei, invitati “a essere europei con speranza, incoraggiando nell’Anno della cittadinanza europea, a trasmettere speranze attraverso il lavoro e il personale impegno come cittadini europei”. Nel presentare la Settimana, inoltre, il cardinale Marx ha parlato della possibilità per conoscere Santi e martiri che sono diventati con la loro vita “testimoni della fede che hanno segnato in modo particolare la storia europea”. La Settimana ha un calendario fitto d’incontri e tavole rotonde. I temi che saranno dibattuti rappresentano i grandi temi di attualità che i vescovi europei cercano di portare nell’agenda politica dell’Unione europea, quali l’educazione dei giovani, il servizio alle persone povere ed emarginate, il riferimento etico nell’economia e nella finanza, la lotta al crimine, le migrazioni. Ognuno di questi aspetti verrà introdotto dalla presentazione di varie figure di Santi e Beati come, per esempio, il polacco padre Jerzy Popieluszko (per giustizia, pace e libertà), il Beato John Henry Newman (educazione), padre Pino Puglisi (lotta alla mafia), e frère Christian de Chergé, ucciso con sei confratelli a Tibhirine, in Algeria (comunione e dialogo). (F.B.)
Spagna. I vescovi per la festa della Vergine del Carmelo: la Chiesa alle periferie del mare
◊ “Prendi il largo e getta le reti”: è ispirato a un versetto del Vangelo di Luca il tema del messaggio dei vescovi spagnoli per la Festa della Vergine del Carmelo, Patrona delle genti del mare, che ricorrerà il 16 luglio prossimo. “Nell’Anno della Fede – si legge nel testo – vogliamo porre al centro delle nostre vite la fede in Cristo e per questo accogliamo l’invito del Signore a prendere il largo”, così da “introdurre le genti del mare nel cammino della nuova evangelizzazione” e “proclamare e difendere con coraggio la dignità umana, spesso trascurata nel mondo marittimo”. In questo senso, continua il messaggio, “l’apostolato del mare, portato avanti dalla Chiesa, si realizza in tutto il mondo come un accompagnamento di fede per portare luce nella vita della gente del mare e aiutare, con la solidarietà, i marinai in difficoltà e le loro famiglie”. Quindi, i presuli iberici ricordano il 23.mo Congresso mondiale dell’Apostolato del mare, svoltosi a Roma lo scorso novembre, e ne ribadiscono “l’impegno della Chiesa in tutti i settori del mondo marittimo, così come l’appello alla comunità internazionale a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei marittimi”. Infine, richiamando le esortazioni di Papa Francesco a uscire da se stessi per evangelizzare, la Chiesa di Madrid invita ad “andare nelle periferie del mare per annunciare e testimoniare la Buona Novella, perché nelle periferie del mare ci sono molti fratelli che ci guardano con speranza”, ai quali bisogna trasmettere “l’affetto e la vicinanza di Cristo e della Chiesa”. (I.P.)
Lunedì a Roma una Giornata di formazione dei cappellani "on board"
◊ In occasione della Giornata di formazione dei cappellani on board, organizzata dall’Ufficio nazionale per l’Apostolato del mare, si svolgerà un evento a Roma, presso la sede Cei di Villa Aurelia. Ne dà notizia l’agenzia Sir. Ad aprire i lavori, l’arcivescovo di Sorrento-Castellammare di Stabia, mons. Francesco Alfano, cui seguirà l’intervento di Gianni Scarso, del settore Risorse umane di Costa Crociere, quindi del cappellano don Giovanni Barbera, che illustrerà il tipo di servizio pastorale offerto a bordo. Infine, al direttore dell’Ufficio Cei, don Natale Ioculano, sarà affidata la relazione conclusiva. L’area cui si rivolge l’Apostolato del mare e il servizio dei cappellani a bordo delle grandi navi turistiche coinvolge i milioni di turisti che in tutto il mondo ogni anno scelgono questo tipo di vacanza - a volte anche della durata di diverse settimane e gli operatori del settore - oltre ai circa 35 milioni di persone che vivono di pesca. (R.B.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 173