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Sommario del 21/06/2013
Papa Francesco ai nunzi apostolici: siate pastori, no a borghesia dello spirito e della vita
◊ Amare la Chiesa e il Paese, che si è chiamati a servire, attraverso la mortificazione, il sacrificio, il distacco da se stessi, attraverso un costante rapporto con il Signore. Così si è espresso Papa Francesco con i rappresentati pontifici ricevuti in Sala Clementina. Il Santo Padre ha ribadito la centralità della testimonianza di amore e la necessità di fuggire da quella che ha definito la “borghesia dello spirito e della vita”. Il servizio di Massimiliano Menichetti:
"La vostra è una vita spesso difficile, a volte in luoghi di conflitto (...) Quanto dolore, quanta sofferenza! Un continuo pellegrinaggio senza la possibilità di mettere radici in un posto, in una cultura, in una specifica realtà ecclesiale. Ma è una vita che cammina verso le promesse e le saluta da lontano. Una vita in cammino, ma sempre con Gesù Cristo che vi tiene per mano". Grazie ancora per questo! Noi sappiamo che la nostra stabilità non sta nelle cose, nei propri progetti o nelle ambizioni, ma nell’essere veri Pastori che tengono fisso lo sguardo su Cristo".
Il Papa si è stretto con l’affetto che lui stesso definisce “del cuore”, “non formale”, ai rappresentanti pontifici, li chiama “mediatori” costruttori di “comunione”. Con il suo discorso si “mette accanto a ciascuno”. Sottolinea l’impegno, la mobilità da un “continente all’altro”. "La vostra è una vita di nomadi”, puntualizza stilando il parallelo con Abramo, “uomo di fede in cammino” che dice si a Dio:
"Questo comporta due elementi, a mio parere. Anzitutto la mortificazione, perché davvero andare con la valigia in mano è una mortificazione, no?, il sacrificio di spogliarsi di cose, di amici, di legami e iniziare sempre di nuovo. E questo non è facile; è vivere nel provvisorio, uscendo da se stessi, senza avere un luogo dove mettere radici, una comunità stabile, eppure amando la Chiesa e il Paese che siete chiamati a servire".
Papa Francesco ha sottolineato la necessità di professionalità, ma soprattutto la prossimità con le persone, l’imprescindibilità della ricerca, dell’affidamento al Signore. “Lui è il bene promesso - ha rimarcato - Questo non deve sembrarci mai qualcosa di scontato”. Da qui, la testimonianza di Cristo “bene prezioso da comunicare, da annunciare, da rappresentare”:
"I beni, le prospettive di questo mondo finiscono per deludere, spingono a non accontentarsi mai; il Signore è il bene che non delude. L’unico che non delude. E questo esige un distacco da se stessi che si può raggiungere solo con un costante rapporto con il Signore e l’unificazione della vita attorno a Cristo. E questo si chiama familiarità con Gesù. La familiarità con Gesù Cristo dev’essere l’alimento quotidiano del rappresentante pontificio, perché è l’alimento che nasce dalla memoria del primo incontro con Lui e perché costituisce anche l’espressione quotidiana di fedeltà alla sua chiamata".
La familiarità con Gesù Cristo – ha spiegato il Papa – nella preghiera, nella celebrazione eucaristica, nel servizio della carità”. Poi, precisa, c’è sempre il pericolo, anche per gli uomini di Chiesa, di cedere nella “mondanità spirituale”:
"Cedere allo spirito del mondo, che conduce ad agire per la propria realizzazione e non per la gloria di Dio, a quella sorta di 'borghesia dello spirito e della vita' che spinge ad adagiarsi, a ricercare una vita comoda e tranquilla".
Citando il discernimento del Beato Giovanni XXIII, ha parlato di “fogliame inutile” o di “andare diritto all’essenziale, che è Cristo e il suo Vangelo”, "altrimenti – ha evidenziato – si rischia di volgere al ridicolo una missione santa":
"E’ una parola forte questa del ridicolo, no?, ma è vera: cedere allo spirito mondano espone soprattutto noi Pastori al ridicolo. Potremo forse ricevere qualche applauso, ma quegli stessi che sembreranno approvarci, poi ci criticheranno alle spalle".
“Fate sempre tutto con profondo amore!”, ha più volte detto, “nella carità“, con “professionalità”. “Ricercate sempre il bene, il bene di tutti, il bene della Chiesa e di ogni persona”, ha proseguito. Poi, la raccomandazione relativa “al delicato compito di realizzare l’indagine per le nomine episcopali”:
"Siate attenti che i candidati siano Pastori vicini alla gente: questo è il primo criterio. Pastori vicini alla gente (…) Che siano padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; che amino la povertà, interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, che non abbiano una psicologia da “Principi”. Siate attenti che non siano ambiziosi, che non ricerchino l’episcopato".
“Siano capaci” di sorvegliare, ha aggiunto Papa Francesco, di vigilare, di proteggere il “gregge” che sarà loro affidato. “Il vescovo è quello che fa la veglia, che siano capaci di vegliare”:
"I Pastori sappiano essere davanti al gregge per indicare la strada, in mezzo al gregge per mantenerlo unito, dietro al gregge per evitare che qualcuno rimanga indietro e perché lo stesso gregge ha, per così dire, il fiuto nel trovare la strada".
Il Papa: il Signore ci aiuti ad accumulare tesori che ci salvano il cuore
◊ Chiedere a Dio la grazia di un cuore che sappia amare e non si lasci sviare da tesori inutili. È la sostanza dell’omelia tenuta questa mattina da Papa Francesco a Casa S. Marta, durante la Messa concelebrata con il cardinale Francesco Coccopalmerio, il vescovo Juan Ignacio Arrieta e l’ausiliare José Aparecido Gonzalves de Almeida, rispettivamente presidente, segretario e sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, accompagnati da alcuni collaboratori del dicastero. Presente alla celebrazione personale della Fabbrica Basilica S. Giovanni in Laterano, guidato da mons. Giacomo Ceretto, oltre a dipendenti della “Domus Sanctae Marthae”. Il servizio di Alessandro De Carolis:
La caccia all’unico tesoro che si può portare con sé nella vita dopo la vita è la ragion d’essere di un cristiano. È la ragion d’essere che Gesù spiega ai discepoli, nel brano riportato oggi nel Vangelo di Matteo: “Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”. Il problema, spiega Papa Francesco, sta nel non confondere le ricchezze. Ci sono “tesori rischiosi” che seducono “ma che dobbiamo lasciare”, quelli accumulati durante la vita e che la morte vanifica. Constata con lieve ironia il Papa: “Io non ho mai visto un camion da trasloco dietro un corteo funebre, mai”. Ma c’è anche un tesoro che “possiamo portare con noi”, un tesoro che nessuno può rapinare, che non è – afferma – “quello che hai risparmiato per te”, ma “quello che hai dato agli altri”:
“Quel tesoro che noi abbiamo dato agli altri, quello lo portiamo. E quello sarà il nostro merito – fra virgolette, ma è il nostro ‘merito’ di Gesù Cristo in noi! E quello dobbiamo portarlo. E’ quello che il Signore ci lascia portare. L’amore, la carità, il servizio, la pazienza, la bontà, la tenerezza sono tesori bellissimi: quelli portiamo. Gli altri no”.
Dunque, come asserisce il Vangelo, il tesoro che vale agli occhi di Dio è quello che già dalla terra si è accumulato in cielo. Ma Gesù, rileva Papa Francesco, fa un passo oltre: lega il tesoro al “cuore”, crea un “rapporto” fra i due termini. Questo, soggiunge, perché il nostro “è un cuore inquieto”, che il Signore “ha fatto così per cercare Lui”:
“Il Signore ci ha fatto inquieti per cercarlo, per trovarlo, per crescere. Ma se il nostro tesoro è un tesoro che non è vicino al Signore, che non è dal Signore, il nostro cuore diventa inquieto per cose che non vanno, per questi tesori… Tanta gente, anche noi siamo inquieti… Per avere questo, per arrivare a questo alla fine il nostro cuore si stanca, mai è pieno: si stanca, diventa pigro, diventa un cuore senza amore. La stanchezza del cuore. Pensiamo a quello. Io cosa ho: un cuore stanco, che soltanto vuol sistemarsi, tre-quattro cose, un bel conto in banca, questo, quell’altro? O un cuore inquieto, che sempre cerca di più le cose che non può avere, le cose del Signore? Questa inquietudine del cuore bisogna curarla sempre”.
A questo punto, prosegue Papa Francesco, Cristo chiama in causa anche l’“occhio”, che è simbolo “dell’intenzione del cuore” e che si riflette sul corpo: un “cuore che ama” rende il corpo “luminoso”, un “cuore cattivo” lo rende buio. Dal contrasto luce-tenebre, nota il Papa, dipende “il nostro giudizio sulle cose”, come peraltro dimostra il fatto che da un “cuore di pietra”, “attaccato a un tesoro della terra” – a “un tesoro egoista” che può diventare anche un tesoro “dell’odio” – “vengono le guerre…”. Invece, è la preghiera finale del Papa, per intercessione di S. Luigi Gonzaga che oggi la Chiesa ricorda, chiediamo “la grazia di un cuore nuovo”, un “cuore di carne”:
“Tutti questi pezzi di cuore che sono di pietra, il Signore li faccia umani, con quella inquietudine, con quell’ansia buona di andare avanti, cercando Lui e lasciandosi cercare da Lui. Che il Signore ci cambi il cuore! E così ci salverà. Ci salverà dai tesori che non possono aiutarci nell’incontro con Lui, nel servizio agli altri, e anche ci darà la luce per conoscere e giudicare secondo il vero tesoro: la sua verità. Il Signore ci cambi il cuore per cercare il vero tesoro e così diventare persone luminose e non persone delle tenebre”.
Tweet del Papa: non dimenticare che è Cristo che guida la Chiesa e rende viva la missione
◊ Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex: “Non dimentichiamo mai che è il Signore che guida la Chiesa. È Lui a rendere fecondo il nostro apostolato”.
Il card. Tauran: il dialogo interreligioso diventi patrimonio di tutti e non di un'élite
◊ I credenti e il loro atteggiamento nella società del materialismo e del laicismo è stato il tema di fondo del Convegno tenutosi nei giorni scorsi a Roma, alla presenza del saudita, Hamid bin Ahmad Al-Rifaei, presidente della Forum islamico internazionale per il Dialogo, del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Entrambe le delegazioni, di 12 membri ciascuna, hanno riflettuto tra l'altro sulla perdita del senso religioso, comune a società multiculturali occidentali. Al cardinale Tauran, Hélène Destombes ha chiesto di commentare questo confronto:
R. – On ne peut pas séparer la vie religieuse de la vie normale, parce-que le …
Non si può scindere la vita religiosa dalla vita normale, perché il credente è credente e cittadino: non è credente o cittadino, è credente e cittadino. Esiste quindi una complementarietà tra l’aspetto materiale e quello spirituale della realtà e credo che una delle responsabilità del credente sia quella di conciliare i due aspetti. Poi, insieme, ci siamo dispiaciuti per il fatto che la società, e soprattutto le giovani generazioni in generale, abbiano perso le loro radici spirituali. Si dovrà fare uno sforzo per dare all’umanità di oggi la possibilità di avere una vita interiore…
D. – Quali sono le vie o le azioni concrete proposte nell’ambito di questo incontro?
R. – Les aspects concrets… la nécessité de la formation religieuse des jeunes…
Gli aspetti concreti… la necessità di una formazione religiosa dei giovani. Spesso, i problemi nascono dall’ignoranza. Quello che voglio dire è che siamo riusciti a evitare lo scontro tra le civiltà, cerchiamo anche di evitare lo scontro tra le ignoranze. È necessario, dunque, trovare un modo per presentare con rispetto e precisione una religione all’altra.
D. – E’ stata affrontata anche la questione della libertà religiosa?
R. – Oui: la question de la liberté religieuse a été abordée, …
Sì, abbiamo parlato della libertà religiosa, della libertà di culto, evidentemente con molta prudenza perché sono argomenti molto delicati. Pure, non si possono ignorare visto che tutti conoscono le difficoltà in questo campo. In questo ambito, non sono state prese attualmente decisioni straordinarie.
D. – Siamo al 19.mo incontro di questo tipo. Per quanto riguarda quest’ultima edizione, possiamo parlare di nuovi passi e quale cammino rimane da fare?
R. – Le dialogue interreligieux est venu très à la mode et je crois …
Il dialogo interreligioso oggi è diventato di moda e credo siano state prese numerose iniziative, molte delle quali fanno le stesse cose. Credo sia necessario moderare un po’ il nostro “appetito” e schiarirci le idee sul concetto di dialogo interreligioso. Quello che, alla fine, risulta da tutte queste riunioni è che in realtà ancora non ci conosciamo abbastanza bene e che quindi è necessario continuare sulla strada della conoscenza e del rispetto vicendevole. Ho l’impressione che abbiamo fatto molti progressi ma, quando si scende un po’ in profondità, mi rendo conto che la conoscenza vicendevole è ancora piuttosto superficiale, condizionata dagli avvenimenti politici, dal terrorismo… La grande sofferenza che si prova, per così dire, dopo anni di dialogo interreligioso è che tutti i risultati che abbiamo potuto ottenere, pure a costo di grandi sacrifici, non sono mai stati assimilati a livello legislativo, amministrativo e della strada. E così, il dialogo interreligioso rimane tuttora un impegno riservato alle élite. Invece, bisognerebbe trovare il modo di fare passare questo patrimonio – modesto, pure, ma che esiste – dai vertici alla strada, e soprattutto al campo dell’insegnamento – nelle scuole, nelle università – all’amministrazione e alla formulazione delle leggi.
Editto di Costantino. Mons. Antonini: in Serbia occasione di ecumenismo e confronto interetnico
◊ In Serbia, tutte le iniziative cattoliche per celebrare il 1700,mo anniversario dell’Editto di Costantino saranno all’insegna dell’ecumenismo. A sottolinearlo è il nunzio apostolico a Belgrado, mons. Orlando Antonini, che, ai nostri microfoni, spiega l’importanza che questa ricorrenza storica riveste in particolare per rilanciare il dialogo ecumenico in Serbia e in tutta la regione balcanica. L’intervista è di Stefano Leszczynski:
D. – Mons. Antonini, quale importanza assumono le celebrazioni per l'editto di Costantino con riferimento al dialogo ecumenico in Serbia?
R. – Queste celebrazioni potevano rappresentare un grande passo in avanti nel dialogo ecumenico e nel cammino verso l'unità. Quando io giunsi in Serbia, nel 2009, circolava un'idea grandiosa: quella di riunire nel 2013 per il 1700.mo anniversario dell'Editto, a Nis città natale di Costantino, tutti i capi cristiani: il Papa in primo luogo, i Patriarchi ortodossi, i leader delle Confessioni protestanti storiche. Si pensava che l'occasione e il luogo geografico potevano essere l'appropriata area "neutra" per un tale storico appuntamento. Poi, quando si cominciò a passare al dunque, si registrò che vari settori della società serbo-ortodossa - per i problemi storici ancora irrisolti tra serbi e croati a causa degli eccidi commessi dal regime ustasha nel corso della Seconda Guerra mondiale - si opponevano ad una venuta del Papa per quella occasione. 'Prima il Papa chieda perdono - sostenevano, in quanto per loro di quegli eccidi è responsabile la Chiesa cattolica tout court - e poi potrà venire". Naturalmente, altri settori hanno diversa posizione, anzi potrei dire che buona parte della Chiesa serba sarebbe favorevole alla venuta del Papa. Però, per ragioni di prudenza, per evitare un possibile scisma nel suo seno, e anche ad evitare difficoltà in seno all'Ortodossia, la Chiesa serba non ha raggiunto il consenso sufficiente affinché la visita possa aver luogo e risultare fruttuosa per entrambe le parti. Sicché, l'evento giubilare dell'Editto viene celebrato separatamente, ogni Chiesa con le proprie iniziative, alle quali comunque ognuna invita rappresentanti dell'altra. Alle celebrazioni ortodosse centrali del prossimo mese di ottobre, ad esempio, saranno invitate le più alte personalità vaticane, anche se non specificamente il Papa. E' curioso che poi in Serbia sia stato lo stesso presidente della Repubblica, Nikolic, a mettere assieme le Chiese, come Costantino fece per il Concilio di Nicea nel 325: ha cioè istituito un Comitato nazionale che ha per presidente il capo dello Stato, per co-presidente il patriarca Irinej e per membri anche la Chiesa cattolica e la comunità protestante locali. È pur sempre qualcosa. Non so come fu celebrato nel 1913 il 1600.mo anniversario dell'Editto, ma credo che non sarà stato certo più ecumenico di questo del 2013. Un passo la volta. Forse nel 2113, grazie allo Spirito Santo e a Costantino e S. Elena, si potrà finalmente celebrare tutti assieme, in una Chiesa nuovamente indivisa, il 1800.mo anniversario dell'editto di Milano!
D. – Qual è il messaggio che tale documento propone ancora oggi, alla luce delle divisioni che ancora esistono all'interno del mondo cristiano?
R. –orse, non si rileva abbastanza come l'Editto di Milano non sancisca solamente la libertà di religione per i cristiani, ma anche, attenzione, la libertà di coscienza per tutti. Lo si vede specialmente dove si legge che “...in primis ordinanda esse credidimus ... ut daremus et Christianis et omnibus liberam potestatem sequendi religionem quam quisque voluisset...”. Per l'oggi, la libertà di coscienza è per me il messaggio più significativo del documento del 313. Perché è appunto la libertà di coscienza a non essere ancora riconosciuta dappertutto nelle legislazioni. Vi sono Stati che, com'è noto, comminano ancora la pena di morte per i cittadini che volessero cambiare religione. E vi sono regioni in cui sta diventando sempre più arduo affermare, vivere e praticare i valori etici cristiani. Secondo me, questo diventerà il punto cruciale nel dialogo con l'islam, da una parte, e dall'altra la controversia maggiore con le nazioni dell'Occidente secolarizzato, dove si va delineando una rivoluzione antireligiosa e specificamente anticristiana, tradotta persino in leggi che obbligano i credenti a tacere circa i loro valori e a compiere pratiche contrarie alla loro visione etica e morale. Forse, dovremo prepararci a far fronte a un nuovo periodo di persecuzione. Ora, nei primi secoli il sangue dei cristiani obbligò il potere politico di allora a modificare la legislazione in materia di libertà religiosa anche perché erano uniti. Per questo è necessario che oggi, proprio per attuare integralmente l'Editto di Milano a livello di libertà di coscienza, i cristiani di tutte le confessioni superino le loro divisioni e si alleino per rispondere efficacemente alle sfide della società moderna.
D. – Quanto è importante l'unità spirituale dei cristiani per scongiurare drammi quali quelli vissuti nella storia recente dalle Repubbliche balcaniche?
R. – Intanto, diciamo che i drammi della storia nei Balcani derivano dalla contrapposizione etnica e politica che si traduce in contrapposizione religiosa tra cristiani e musulmani da una parte, e tra i cristiani stessi dall'altra: in pratica, tra serbi ortodossi e croati cattolici. Tale contrappposizione è una tra le più intricate del pianeta, una matassa difficile da dipanare che è cominciata ben prima degli eccidi di serbi nella Seconda Guerra mondiale: essa affonda nei decenni e forse nei secoli anteriori. Qualsiasi ricerca storica in merito temo non arriverà ad accertare la verità, tanto meno ad accertare, come si dice, chi "iniziò le ostilità". Per cui, l'unità spirituale dei cristiani non solo è importante ma essenziale per scongiurare altri drammi. Soltanto questa unità spirituale potrebbe attirare di nuovo la loro attenzione su valori evangelici basilari, come l'amore del nemico – "nucleo della rivoluzione cristiana", ha detto Benedetto XVI – e quindi il perdono delle offese. Almeno per i cristiani, siano ortodossi o cattolici, questi due pilastri del messaggio di Cristo dovrebbero essere un imperativo categorico. Fuori di questo, temo possano profilarsi altri drammi in futuro fino al giudizio universale. Quindi, è molto importante che tutti i Paesi balcanici entrino in Europa: in tale quadro politico più vasto del proprio, difatti, si potrà favorire l'avvento di una società plurietnica nella quale ogni componente culturale possa non solo convivere pacificamente con le altre, ma anche mettere assieme le proprie specifiche potenzialità a vantaggio del bene comune. Lo voglia Dio, Signore della storia.
D. – Quali iniziative contraddistinguono queste celebrazioni da parte cattolica?
R. – Anzitutto, ogni diocesi ha programmato celebrazioni sia di preghiera che culturali. Ad esempio, a maggio, da parte dell'arcidiocesi di Belgrado e di quella di Jacovo in Croazia si è organizzato un Simposio su Costantino e la libertà religiosa, simposio iniziato a Srjem, la città di San Girolamo, dove l'imperatore Costantino fu educato e conchiuso a Belgrado. La celebrazione centrale avverrà a Nis il 20-21 settembre prossimo, con l'intervento dell'arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola. Inizierà con una Via Crucis per le vie della città in memoria della croce riscoperta a Gerusalemme dalla madre di Costantino S. Elena, e in memoria della croce apparsa a Costantino alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio, nel 312. Si concluderà con una solenne concelebrazione allo Stadio comunale. Data la bassissima percentuale dei cattolici in Serbia – il 5%, concentrato soprattutto nel Nord, in Vojvodina, non nell'arcidiocesi di Belgrado – la Chiesa locale ha fatto appello alle diocesi dei Paesi confinanti, e anche all'Opera romana pellegrinaggi, affinché indirizzino a Nis, per settembre, il più alto numero possibile di flussi di pellegrini. Io lancio lo stesso appello qui, da Radio Vaticana: venite a Nis in settembre, a celebrare la Croce per la quale il mondo è stato redento e che è segno dell'amore folle di Dio per noi. Quanto al livello culturale, anzitutto è prevista per il mese di ottobre una Mostra su Costantino, allestita nel Braccio di Carlo Magno in Vaticano, con reperti romani del Museo nazionale di Belgrado, mentre e l’8 ottobre prossimo a Belgrado verrà eseguita un’Opera musicale, "In Hoc Signo", sulla vita di Costantino, il cui libretto è stato scritto dall'attuale direttore artistico dell'Opera di Belgrado, Dejan Miladinovic, serbo-ortodosso, e musicato dal nostro mons. Marco Frisina. Come si vede, si tratta di iniziative che vogliono rivestire sempre una valenza ecumenica.
50 anni fa l'elezione di Paolo VI, un Pontificato nel segno dell'Apostolo delle genti
◊ Il 21 giugno 1963, venne eletto al Soglio Pontificio Paolo VI. Papa Montini, in precedenza arcivescovo di Milano, guidò la Chiesa per 15 anni in un periodo storico, fino al 1978, costellato da molti cambiamenti e tensioni sociali che Paolo VI però affrontò radicando in Cristo tutto il suo Magistero. Ce ne parla Benedetta Capelli:
"Annuntio vobis gaudium magnum; habemus Papam (applausi) Eminentissimum et Reverendissimum Dominum, Dominum Joannes Baptista…".
E’ il primo giorno di estate del 1963. Il sole illumina Piazza San Pietro e migliaia di persone accolgono con un lungo applauso e con uno sventolio di fazzoletti l’allora arcivescovo di Milano, il cardinale Giovanni Battista Montini, bresciano di Concesio, che sceglie il nome di Paolo VI. Era un devoto dell’Apostolo delle Genti, nei suoi appunti, lo definì il “primo teologo di Gesù Cristo”, colui che “portò il Vangelo al mondo con criteri di universalità, prototipo della cattolicità”. Una scelta che anticipava un tratto del suo Pontificato: l’evangelizzazione; fu infatti il primo Papa a prendere un aereo, nei suoi 15 anni sul soglio di Pietro visitò tutti e 5 i continenti. Ai fedeli presenti impartì la Benedizione Apostolica:
"Sit nomen Domini benedictum…"
E otto giorni dopo l’inizio del suo magistero, nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo, così parlava del compito che lo attendeva:
“Il Signore ha voluto mettere sulle mie povere spalle, forse perché erano le più deboli e le più idonee a mostrare che non è Lui che vuole qualcosa da me. Ma è Lui che vuole dare a me la sua assistenza e la sua presenza e vuole agire su di me - strumento più debole - per mostrare la sua potenza, la sua libertà e la sua bontà”.
Nel corso della stessa celebrazione, Paolo VI non mancò di sottolineare l’affetto e il legame con i suoi paesani di Concesio, i fedeli dell’arcidiocesi di Milano e tutto il popolo di Dio al quale si rivolse chiedendo preghiere:
“Non so che sarà di me, ma io dico una cosa: in quel giorno – e potrebbe essere ogni giorno del mio calendario – io mi troverò stanco, oppresso e sentirò di essere come Simone debole e vacillante, capace di ogni infedeltà. Allora penserò che voi mi siete vicini con la vostra preghiera e voi fatemi un regalo: la vostra affezione e la vostra preghiera”. (applausi)
Innamorato di Cristo e radicato nel Vangelo, nella sua lunga carriera diplomatica Paolo VI fu anche un pastore appassionato. Al microfono di Benedetta Capelli, mons. Ettore Malnati, autore del libro “I gesti profetici di Paolo VI”, edito da Ancora:
R. – Bisogna entrare nell’animo, nella sensibilità di questo Pontefice: è la sua grande attenzione nei confronti dell’uomo coinvolto nella modernità, nelle dimensioni positive, nelle dimensioni negative. Il gesto fondamentale è la vicinanza della Chiesa al mondo nell’ascolto del mondo, perché anche il mondo può dare alla Chiesa un insegnamento. Questo sarà poi recepito nella Costituzione pastorale della Gaudium et Spes. Quindi, leggendo questo criterio montiniano noi comprendiamo tutti i vari gesti – piccoli e grandi – il suo voler ripartire dalla Terra Santa, la sua offerta della tiara per i poveri, la sua attenzione per i lavoratori. Poi, soprattutto, il grande gesto: non far perdere la profezia di Giovanni XXIII che ha voluto il Concilio.
D. – Quindi, dentro al mondo ma non del mondo...
R. – Non del mondo ma amando il mondo. Non significa essere controversi con il mondo, ma accompagnarlo come “buon samaritano” perché il mondo possa dare alla Chiesa l’opportunità di svolgere la sua missione di speranza e se vogliamo anche di “medico”. Ma anche cogliere dal mondo quelle che sono le urgenze, le necessità che il mondo ha nei confronti dell’evangelizzazione e di Dio. Bisogna dare al mondo la verità: Dio e Cristo. Ma anche alla Chiesa bisogna dare la verità: non un uomo stereotipato, ma l’uomo nella sua dimensione storica, nella sua fatica ed anche nelle sue imprese.
D. – Le cronache del tempo, però, lo hanno spesso lo hanno dipinto come un uomo “schiacciato” dal proprio tempo...
R. – Sì, certo, l’uomo “amletico”... Ma di amletico c’è poco o niente nella vita di Paolo VI. Era un uomo molto sereno, ma soprattutto molto responsabile. Siamo nel ’68, ferve il mondo della contestazione: ricordo quando ero a Roma a studiare, nei primi anni Settanta, ogni mercoledì c’era un corteo, c’era una manifestazione, c’era uno sciopero e si impediva in tutti i modi che il messaggio del mercoledì di Paolo VI potesse raggiungere con serenità coloro che volevano cogliere il Magistero petrino. Paolo VI fu un uomo con un grande senso di responsabilità del ruolo al quale lo Spirito Santo e i cardinali lo avevano chiamato.
D. – La radicalità evangelica e questo proporsi sempre come Vescovo di Roma lo fanno assomigliare in alcuni tratti a Papa Francesco?
R. – Basterebbe prendere le registrazioni delle omelie a braccio che Paolo VI ha fatto alle parrocchie romane: richiamando il suo ministero da sacerdote nelle periferie, Papa Francesco ci richiama e ci dice che bisogna andare nelle periferie e Paolo VI amava andare nelle periferie, lo amava già da arcivescovo di Milano. Lui pensa di fare delle periferie il centro della comunità: non solo la Chiesa, ma anche l’oratorio, la casa parrocchiale, il suo andare costantemente nelle fabbriche. Venne messa una bomba nell’arcivescovado di Milano, perché lui era chiamato “l’arcivescovo rosso”, quasi che il suo andare verso gli operai, le persone più in difficoltà, fosse una scelta ideologica. No, era una scelta da pastore, era una scelta cristiana, e per questo Giovanni XXIII fa di lui il primo dei suoi cardinali, facendo sì che tutto il mondo cattolico conoscesse questo vescovo così attento alla modernità. Proprio questa attenzione di Papa Giovanni farà sì che i conclavisti lo scelgano poi come successorie di Papa Roncalli.
Saranno quasi cinquemila i pellegrini della diocesi di Brescia che domani saranno ricevuti dal Papa, nel 50.mo anniversario dell’elezione di Papa Paolo VI. Un’iniziativa che rientra nell’Anno della Fede. Ma quanto ha inciso la figura di Papa Montini nella vita della diocesi di Brescia? Benedetta Capelli lo ha chiesto al vescovo. mons. Luciano Monari:
R. – La mia impressione è che la presenza viva cresca: mano che andiamo avanti, il ricordo di Papa Montini venga sentito intensamente per tutto quello che ha significato per la Chiesa. A me sembra che il suo ricordo cresca.
D. – Domani, avrete questo importante pellegrinaggio dal Papa: come vi siete preparati all'incontro con Papa Francesco?
R. – Abbiamo vissuto quest’Anno della Fede riprendendo il filone di quella professione di fede che fece, ai suoi tempi, Paolo VI come proposta a tutta la Chiesa. Questo ci ha aiutato un pochino a riprendere il cammino nostro, a rivedere lo stesso cammino che abbiamo fatto in questi anni e verificare le difficoltà che abbiamo incontrato, che sono state notevoli, però lo abbiamo fatto con quello spirito con cui le ha affrontate Papa Montini. Paolo VI aveva una percezione importante delle incoerenze del mondo, ma anche una specie di stima profonda per l’uomo, in tutto quello che l’uomo ha fatto, e quindi anche nella dimensione della cultura, della società, della scienza. A noi piacerebbe riprendere questo spirito per affrontare le situazioni che sono già nuove, rispetto a quelle che ha dovuto affrontare lui, ma che hanno bisogno dello stesso spirito, credo, per essere affrontate in modo costruttivo.
D. – Personalmente, lei che ricordo ha di Paolo VI?
R. – Il ricordo di Paolo VI è di quando era arcivescovo di Milano: io ero studente al Seminario lombardo e quindi ogni tanto veniva, passava, celebrava con noi. Ricordo il saluto che ci diede prima di entrare in Conclave: ci aveva esortato a non dare troppo retta a quello che stavano scrivendo i giornali sul Conclave, ma di cercare invece di leggere quell’avvenimento alla luce della fede, nella prospettiva dell’azione che il Signore, con il suo Spirito, continua a operare nella Chiesa. Questo me lo ricordo benissimo: perché eravamo davanti al Seminario e venne a salutarci proprio prima di entrare.
A ottobre Convegno sulla figura di Gesù in Joseph Ratzinger-Benedetto XVI
◊ Presentate ai media stamani in Sala Stampa vaticana le prossime attività della Fondazione Vaticana "Joseph Ratzinger- Benedetto XVI", in particolare del Simposio “I Vangeli: storia e cristologia. La ricerca di Joseph Ratzinger” in programma ad ottobre alla Pontificia Università Lateranense. Annunciati i nomi dei due studiosi che riceveranno quest’anno il Premio Ratzinger. Il servizio di Adriana Masotti:
Saranno il biblista inglese, Richard A. Burridge, decano del King’s College di Londra e ministro della Comunione anglicana, e il teologo tedesco, Christian Schaller, docente di Teologia dogmatica e vicedirettore dell’Istituto Papa Benedetto XVI di Regensburg, gli studiosi a cui andrà il Premio Ratzinger, giunto alla sua terza edizione. Nel suo intervento, il cardinale Camillo Ruini, presidente del Comitato scientifico della Fondazione, traccia i loro profili: al teologo Schaller viene riconosciuto il suo contributo agli studi teologici, ma anche il ruolo che sta svolgendo nella pubblicazione dell’Opera Omnia di Benedetto XVI. Del prof. Burridge, il primo cristiano non cattolico a ricevere il Premio, si sottolinea in particolare il grande contributo offerto sul riconoscimento, storico e teologico, del legame inscindibile dei Vangeli a Gesù di Nazaret, un legame che rappresenta il cuore dell’opera teologica di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Da questa ricerca, prenderà spunto anche il Simposio in programma il 24, 25 e 26 ottobre 2013: terzo Convegno, precisa mons. Giuseppe Scotti, presidente della Fondazione, dopo quello in Polonia su “Pellegrini della verità, pellegrini della pace”, che ha visto la partecipazione di 32 università e di 400 studiosi, e quello dell’anno scorso a Rio de Janeiro, con 134 università e 700 studiosi su un tema di carattere antropologico: “Cosa fa sì che l’uomo sia uomo”. Mons. Jean–Louis Brugues, presidente del Comitato organizzativo presenta così il Simposio 2013 su “I Vangeli: storia e cristologia”:
“Ricercatori e docenti di diverse università e confessioni cristiane si incontreranno per studiare insieme, discutere e valorizzare elementi utili per approfondire l’ermeneutica attuale dei Vangeli e per procedere nell’appassionante ricerca su Gesù, il Cristo”.
Allo studio della proposta del Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI e della sua ricezione sarà dedicata in particolare la terza giornata. Ma dove risiede la caratteristica peculiare di questa ricerca su Gesù? Se lo è domandato mons. Luis Romera, vicepresidente del Comitato. La risposta, afferma mons. Romera, si può trovare nelle parole dell’autore stesso quando scrive...
“… che lo scopo fondamentale della sua opera fu presentare la figura e il messaggio di Gesù, proprio perché l’essere cristiano consiste essenzialmente in un incontro con Dio in Cristo. Un incontro nel quale la persona si sente coinvolta esistenzialmente e ne trae anche un profitto di carattere spirituale”.
Ecco, dunque, la peculiarità dell’opera “Gesù di Nazareth”, prosegue mons. Romera: da una parte, il rigore dello storico, dall’altra la profondità del teologo e la penetrazione intellettuale dello sguardo di fede, da cui appare la figura di Gesù che ci interpella. Solo così, la metodologia ermeneutica della lettura dei testi evangelici è adeguata, conclude mons. Romera:
“Ecco perché, allora, il testo che abbiamo di fronte è un testo che non lascia indifferente nessun cristiano. E' un testo che interpella, direi, ogni uomo di buona volontà, che ha aiutato migliaia e migliaia, probabilmente centinaia di migliaia di uomini e donne a scoprire la figura di Cristo. Ma è, contemporaneamente, un testo, dal punto di vista teologico ed esegetico, di grande portata”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Familiari di Cristo con la valigia in mano: il Papa nell’incontro con i rappresentanti pontifici si sofferma sull’importanza del loro ruolo di mediazione.
Gesti e parole per tutti: Papa Francesco secondo i media internazionali, con un articolo di José Maria Gil Tamayo - tratto dallo speciale che il quotidiano spagnolo “La Razon” ha dedicato al Papa - sul suo nuovo stile di comunicare.
Alla ricerca del vero tesoro: messa del Papa a Santa Marta.
I cambiamenti climatici affamano i più poveri: in rilievo, nell’informazione internazionale, l’allarme della Banca mondiale.
Carità intellettuale di due preti antagonisti: Paolo Vian su Giuseppe De Luca e Giovanni Battista Montini.
In attesa di un nuovo rinascimento: nella sua ultima lezione all’università di Padova, Cesare De Michelis denuncia il declino della grande letteratura italiana.
Brasile: sale la protesta antisprechi e per i diritti, manifestazioni in 100 città
◊ Cresce in Brasile la protesta di piazza. Ieri, oltre un milione di persone hanno manifestato in oltre 100 città del Paese, dimostrando contro le spese sostenute dal governo per la Confederation Cup, in corso, e i Campionati Mondiali di Calcio del 2014. Accanto alla denuncia di sprechi anche la richiesta di maggiori diritti, come quella alla salute. Scontri si sono registrati anche a San Paolo, dove vi è stato anche un morto e a Brasilia. La presidente Roussef ha convocato un veryice di crisi. Per un commento sulla difficile situazione Luca Collodi ha intervistato Riccardo Moro, economista, esperto dei Paesi emergenti:
R. – Devo dire che, con una lettura forse un po’ superficiale, sembra difficile che delle ragioni di questo tipo possano spiegare una mobilitazione popolare di questa dimensione e che si è, in parte, anche tradotta in manifestazioni di violenza. Certamente, da parte di una minoranza dei manifestanti, ma non sono mancate neanche queste… Inoltre, la decisione dell’aumento del prezzo dei mezzi di trasporto da diversi giorni è già stata ritirata: il governo e il presidente, Dilma Rousseff, hanno annunciato che l’aumento non verrà imposto. Per cui, in teoria, una delle due ragioni maggiori del contendere, delle manifestazioni è ormai superata. Credo ci siano forse delle questioni un po’ più profonde, fondamentalmente due. Da una parte, una difficoltà in qualche modo nell’accettare la globalizzazione: il Brasile è un Paese che, in questi anni, ha rappresentato un percorso interessante di lotta alla povertà e di entrata nelle dinamiche internazionali – quelle che appunto chiamiamo della globalizzazione – sia migliorando la propria condizione economica e quindi giocando un ruolo economico più importante, sia giocando un ruolo politico più importante. Queste proteste farebbero pensare che questo consenso intorno al nuovo ruolo del Brasile sia in realtà relativo. Dall’altra parte, una riflessione che può nascere è quella che anche questo percorso – al di là del consenso sul processo internazionale – proprio il processo di miglioramento delle condizioni di vita del Paese - sia un processo, in questo momento, non condiviso. Direi che questo fenomeno potrebbe essere il segno di un disagio popolare, soprattutto di una voglia di contare che però non sa come esprimersi e come determinarsi. In sostanza, forse dietro questo c’è anche una fatica della democrazia o della democrazia che abbiamo oggi: le forme di democrazia partecipative, in qualche modo, sembrano inadeguate a guidare i processi ed è certamente vero. Quanto un cittadino oggi ha la consapevolezza di incidere sui processi decisionali del proprio Paese o su quelli internazionali?
D. – Una rivolta popolare contro una mancanza di democrazia, contro la globalizzazione e contro il potere di pochi, che viene esercitato spesso attraverso la finanza?
R. – Questo potrebbe essere, anche se in qualche modo forse nemmeno con una consapevolezza piena. Però forse un elemento comune, tra fenomeni analoghi che si sono determinati anche in altre parti del pianeta, potrebbe essere esattamente questo. Certamente un ulteriore elemento è il fatto che il disagio sociale, in Brasile, è comunque consistente: la povertà è molto consistente, la questione dei trasporti è una questione fondamentale per una parte largamente maggioritaria della popolazione, che è la parte più povera. A volte poi, oltretutto, i trasporti e anche i trasporti privati sono gestiti da gruppi di poteri, che sono di fatto mafie molto potenti.
Grecia: governo a rischio crisi dopo la decisione di riaprire la tv di Stato
◊ Il governo della Grecia si divide sulla riapertura della radiotelevisione pubblica Ert. Le trasmissioni erano state sospese in ottemperanza alle misure anticrisi sul ridimensionamento dei dipendenti pubblici. Il premier Samaras è alla ricerca di una nuova maggioranza, mentre il commissario dell’Unione Europea agli Affari Economici, Olli Rehn, ha lanciato un appello al “senso di responsabilità”, invitando Atene a ritrovare la stabilità necessaria per attuare quelle riforme indispensabili per il programma di aiuti internazionali. Sulle conseguenze di questa situazione, Giancarlo la Vella ha intervistato l’economista Francesco Carlà:
R. – Oltre alla spaccatura che è di ordine economico, politico e anche sociale, credo ci sia anche il fatto che, dei 752 miliardi totali di aiuti che dovrebbero essere erogati alla Grecia, si scopre adesso un altro "buco" di tre-quattro miliardi. C’è un dissidio tra il Fondo monetario internazionale e l’Eurozona su chi deve pagare. Naturalmente, questo poi ha delle ricadute politiche in Grecia, che si estendono di nuovo all’Eurozona e alla Commissione europea.
D. – Le difficoltà di realizzare le misure richieste a livello internazionale ai Paesi in difficoltà: può essere questa una chiave di lettura, che poi riguarderà la situazione futura anche di altri Paesi, tra cui l’Italia?
R. – Proprio così. Oltre al fatto che l’austerità ha creato molti problemi al Pil greco, non va bene nemmeno il piano finanziario nei rapporti con le banche centrali del Nord Europa. E vanno meno bene del previsto, perché troppo ottimistiche, le attese sulle privatizzazioni dei beni pubblici greci.
D. – E stentano inoltre a partire tutti i programmi per lo sviluppo, e questo non solo in Grecia…
R. – Questo scenario è molto simile in tutti i Paesi dell’Europa del sud e in parte anche in Francia. L’austerità in parte provoca molti problemi economici e finanziari in Paesi dove già questi problemi non mancano, problemi che poi diventano anche politici. Ciò accade perché ovviamente si innesca una bella lotta per stabilire chi deve pagare di più e chi di meno, oppure facciamo pagare di più tutti creando nuovamente altri problemi sui consumi e sul Pil con l’ennesimo aumento dell’Iva.
D. – Secondo alcuni osservatori, non si fanno partire i piani di sviluppo perché l’industria europea è battuta in partenza da quella orientale…
R. – Se, quando parliamo di piani di sviluppo, pensiamo alla solita lotta a chi paga meno gli operai e i dipendenti, sicuramente è inutile cominciarla quella partita. La media degli stipendi del top management delle più grandi aziende cinesi è intorno ai 30 mila euro l’anno lordi; con quella cifra lì, da noi si paga un impiegato di livello medio – basso. Bisognerebbe veramente che cominciassimo a capire che i piani di sviluppo europei devono essere fatti seguendo i vantaggi competitivi dell’Europa e non gli svantaggi a priori. Senz’altro, qualità e non quantità; senz’altro tutte le nostre armi principali che sono lo stile di vita, l’ambiente, la storia e un certo tipo di industria manifatturiera molto più difficile da replicare e da copiare. Quando si tratta di prodotti di qualità, anche i prodotti greci si vedono in tutto il mondo. Quindi, l’Europa meridionale non va male quando fa il suo mestiere.
Giornata mondiale sulla Sla. Progressi sulla diagnosi, meno sulla cura
◊ Ancora non si conoscono con esattezza le cause della Sclerosi laterale amiotrofica (Sla), una malattia che ha un’incidenza media di due casi e mezzo ogni 100 mila abitanti. Oggi, in tutto il mondo si celebra la Giornata sulla Sla per sensibilizzare sulle problematiche legate a questa patologia: tra queste, la comunicazione dei malati che oggi comunque hanno a disposizione App e computer per farsi capire. Per l'associazione Scienza e Vita bisogna "puntare su tecnologie al servizio dei pazienti e sistemi innovativi per la comunicazione". Ma sono stati fatti progressi per quanto riguarda la diagnosi e la cura della Sla? Alessandro Guarasci ha sentito il presidente dell’associazione Aisla, Massimo Mauro:
R. – La diagnosi, sì, è una diagnosi che avviene per esclusione di tutte le altre malattie. Per quanto riguarda la cura, invece no, purtroppo ancora no. Si è intensificata tantissimo la ricerca in Italia. Noi, con la nostra Associazione, siamo protagonisti nell’aver fondato Arisla, l’agenzia che si occupa esclusivamente di finanziare la ricerca sulla Sla. L’Italia è piena di persone che si dedicano quotidianamente a questa ricerca. Speriamo presto di poter ottenere dei risultati.
D. – I governi in occidente, in particolar modo quello italiano, investono sufficientemente fondi per lottare contro la Sla, oppure il taglio dei fondi per il welfare rischia di avere effetti negativi anche su questa ricerca?
R. – Ne ha già avuti sull’assistenza. Gli ammalati di Sla sono straordinari perché hanno molto da insegnare. Ci vorrebbe la certezza che le istituzioni si occupassero seriamente dell’assistenza prima di tutto e poi a non far mancare mai i fondi alla ricerca. Purtroppo, in Italia non è così.
D. – Quanto è importante la tecnologia per garantire una migliore qualità di vita ai malati di Sla?
R. – Proprio oggi, proponiamo all’attenzione della comunità scientifica internazionale - con il convegno di Arisla - un piccolo computer che potrebbe essere collegato a quello che invece serve agli ammalati di Sla per comunicare: faciliterà l’accesso alla tecnologia anche agli ammalati di Sla. Quindi il non sentirsi soli per avere la possibilità di comunicare meglio: c’è questa tecnologia che non vedo l’ora di vedere applicata ai computer degli ammalati di Sla.
Italiani e carità: pesa la crisi economica
◊ Le persone sono disposte ad aiutare, ma sulla generosità sta pesando la crisi economica. E' quanto emerge dal rapporto tra gli italiani e la carità analizzato, per la Fondazione Casa della Carità di Milano, dalla Società Astra Ricerche, confrontando i nuovi dati con quelli del 2005. L’indagine, è stata presentata oggi a Milano. Al microfono di Elisa Sartarelli, il presidente di Astra Ricerche, Enrico Finzi:
R – Sicuramente la crisi pesa duramente. Nell'ambito dell'indagine, i nove milioni e 400 mila nostri connazionali – quasi uno su quattro – dicono “non riesco più ad aiutare gli altri”. Il fenomeno è concentrato nelle aree più povere – dal Lazio in giù – e colpisce in particolare i soggetti con basso reddito e quelli tra i 45 e i 54 anni di età. La crisi, purtroppo, ha fatto crescere un po’ l’egoismo: a chiacchiere il favore per la carità e per la solidarietà in Italia è molto vasto e raccoglie quasi i due terzi dei nostri connazionali, però se si va a vedere in concreto, solo il 54% si rende conto che non si può chiedere tutto allo Stato e che è indispensabile non solo mettere mano al portafoglio – perché alcune volte questo può essere uno scarico di coscienza – ma bisogna anche impegnarsi, o come si dice “farsi prossimo”.
D. – L’impoverimento dei ceti medi e medio bassi, provocato dalla forte crisi economica, ha dunque influito sulla propensione alla generosità. Quali sono le strategie da adottare affinché la carità resti presente nella vita di ognuno?
R. – Il primo ambito, quello determinante, è quello dei valori: se non si reintroducono e non si estendono valori forti nella società questa tende a disgregarsi e rischia di determinarsi il trionfo dell’individualismo; poi, c’è un problema di educazione a partire dai primi anni di vita. Una formazione che è anche responsabilità dei mezzi di comunicazione di massa i quali non possono naturalmente non rendere conto delle brutture della vita, ma troppo spesso dimenticano di raccontare anche esempi - piccoli, grandi e luminosi - del ben operare. Poi, non avere pretese di grandi cose: la carità è una sommatoria di tanti piccoli atti; certo la grande donazione della persona abbiente è di immensa utilità materiale, ma forse da un punto di vista etico e di esempio valgono di più i pochi euro strappati ad una pensione miseranda da un anziano generoso.
D. – Circa la metà degli intervistati si riferisce “indignato” per le troppe ingiustizie della società. Oltre all’aiuto verso il prossimo, dovremmo forse cercare di risolvere il problema a monte cambiando la società stessa e l’economia?
R. – Questa è stata una contrapposizione classica del ‘900. Da un lato c’era chi valorizzava la carità come aiuto ai singoli bisognosi, e dall’altro c’era chi – specialmente a sinistra – diceva “Ma la carità è un pannicello caldo, dobbiamo cambiare le strutture sociali”. Oggi la popolazione in parte è diventata più insensibile, ma in parte fa valere una cultura che non tiene conto della contrapposizione di cui parlavo. Non c’è dubbio che si tratta di aiutare la singola persona dolente, non solo dandole un tozzo di pane ma anche accompagnandola, standole vicino e fornendole gli strumenti per uscire dalla sua condizione di miseria, materiale e psicologica. Bisogna certamente anche rimuovere molti vincoli che rendono troppo forte la diseguaglianza sociale: è in qualche modo indignante la differenza che c’è tra ricchi e poveri che in tutto il mondo, ma anche in Italia, è cresciuta fino a livelli che non sono più sostenibili. La carità è anche giustizia e la giustizia richiede carità.
Stasera a S. Pietro la Veglia di preghiera per il Papa del Movimento dell'amore familiare
◊ Unirsi intorno a Papa Francesco, capo della Chiesa universale e Pastore umile e amorevole del popolo di Dio. Con questa particolare intenzione il Movimento dell’Amore Familiare promuove, per il nono anno consecutivo, la "Veglia di preghiera per il Papa e per il Suo Pontificato". Presieduta dal cardinale vicario, Angelo Comastri, si svolgerà stasera in Piazza San Pietro dalle 21 alle 22. Possibile seguire l’evento anche via Internet sul sito "amorefamiliare.it." Al microfono di Emanuela Campanile, don Stefano Tardani, fondatore del Movimento e ideatore dell’iniziativa:
R. – Siamo tanto contenti per Papa Francesco. Si tratta di una Veglia di preghiera per lui, secondo le sue intenzioni. Ci sarà la recita del Rosario, commentato dalle stesse famiglie del nostro Movimento che toccheranno degli aspetti concreti della vita di oggi.
D. – Quindi, è aperta a tutti …
R. – È aperta a tutti, si terrà a Piazza San Pietro a sarà presieduta dal cardinale Comastri, che offre sempre un messaggio molto bello a tutti i presenti, e ci sarà anche l’accensione dei flambeaux con una preghiera particolare per il Santo Padre. Le tematiche che vengono toccate in questa recita del Rosario fanno sempre riferimento ai temi del Magistero del Papa come quello della povertà, della pace, dei giovani e i quelli fondamentali della vita di oggi.
D. – Quindi, ripetiamo, l’appuntamento è...
R. – ...alle ore 21 in Piazza San Pietro. Invito di cuore tutti gli ascoltatori e coloro che ci hanno seguito via web anche in altre città d’Italia e dall’estero. Questo è sempre un momento forte.
Siria: preghiere per i vescovi di Aleppo rapiti da due mesi
◊ Le Chiese del Medio Oriente si uniscono nella preghiera per invocare la liberazione dei due vescovi metropoliti di Aleppo - il siro-ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e il greco-ortodosso Boulos al-Yazigi – sequestrati lo scorso 22 aprile da ignoti rapitori. Domani sera, a due mesi esatti dal rapimento, una preghiera comune sarà guidata congiuntamente a Balamand (Libano) dal patriarca greco-ortodosso di Antiochia Yohanna X al-Yazigi (fratello di uno dei vescovi rapiti) e dal patriarca siro-ortodosso Mar Ignatius Zakka I Iwas per invocare la liberazione di tutti i rapiti e il dono della pace per tutta la Siria. Iniziative analoghe di preghiera condivisa da tutte le comunità cristiane si svolgeranno nelle chiese cattedrali di Aleppo. Lo riferisce all'agenzia Fides il vescovo metropolita Timoteo Matta Fadil Alkhouri, assistente patriarcale nel patriarcato siro-ortodosso di Antiochia. “Siamo tristi, perché sono passati due mesi e non abbiamo alcuna idea di dove siano e di come stiano i nostri fratelli Vescovi. Non siamo sicuri che siano ancora vivi, lo speriamo. Abbiamo chiesto tante volte di poter sentire la loro voce, e non è stato possibile. Ma finora non abbiamo ricevuto nemmeno cattive notizie, e questo dà speranza a noi e al nostro popolo. Per questo continuiamo a essere in contatto con ambienti politici in Siria Libano e Turchia, cercando di trovare canali di comunicazione con chi conosce la loro sorte”. Il vescovo Matta ringrazia “Papa Francesco, tutti i cristiani e anche i musulmani che pregano con noi e che sentiamo al nostro fianco in questo momento di pena. Tutto questo ci aiuta a andare avanti. Domenica nelle nostre Chiese si celebra la Pentecoste. Pregheremo con forza che Dio Padre ponga le sue mani su di noi e ci doni il suo Spirito Consolatore”. (R.P.)
Uruguay. Invito della Chiesa: votate per indire il referendum contro l’aborto
◊ La Chiesa cattolica nel Uruguay ha invitato la popolazione a partecipare domenica 23 giugno alla votazione per decidere se indire o meno un referendum contro la legge “ingiusta” che depenalizza l'aborto. I vescovi uruguayani invitano a partecipare a “questo atto civico” che definiscono come “uno sforzo di uomini e donne di buona volontà” per garantire che la legge uruguaiana rispetti il diritto alla vita umana fin dal concepimento. I vescovi hanno insistito che i diritti umani e, in particolare, il "diritto alla vita" non può essere soggetto a maggioranze circostanziali di un gruppo legislativo o elettorale, pur riconoscendo che i cittadini hanno nelle loro mani la scelta dei mezzi che ritengono necessari per cambiare la legislazione. Una nota inviata all'agenzia Fides riferisce che il 23 giugno, 2,6 milioni di uruguayani, iscritti alle liste elettorali, saranno chiamati a partecipare a un "atto d'adesione" volontario, nel quale si potrà votare se tenere o meno un referendum per abrogare la legge dell'aborto che è entrata in vigore alla fine dello scorso anno. I vescovi, lo scorso 3 maggio in una lettera pastorale (dal titolo "La vida esta primero") avevano proposto di ricorrere al referendum per abolire la legge dell'aborto; una iniziativa che è stata accolta da diversi politici del Paese. (R.P.)
Veglia a Roma per i rifugiati. Presente il card. Vegliò
◊ 19mila vittime dei viaggi verso l’Europa dal 1988 ad oggi. 19 mila vite dimenticate di cui si vuole invece tenere viva la memoria. Questo lo scopo della veglia di preghiera in memoria delle vittime dei viaggi verso l’Europa, che si è tenuta ieri sera nella chiesa di S. Maria in Trastevere a Roma. Un'iniziativa ecumenica - riporta l'agenzia Sir - organizzata da sei anni, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, da Comunità di Sant’Egidio, Centro Astalli, Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e Acli. La chiesa, già bella e sontuosa, è stata arricchita dello splendore degli abiti tradizionali delle diverse culture: donne africane con bambini, uomini senegalesi con i vestiti tipici, indigene peruviane con copricapi coloratissimi. Una processione lunghissima di celebranti delle diverse confessioni è stata accolta dai cori solenni delle diverse chiese: della comunità congolese cattolica, della cappellania latino-americana, della comunità etiopica-ortodossa, dei moldavi e romeni ortodossi, dei filippini e nigeriani cattolici. Cesti di gerbere e una luce accesa, a rappresentare “la speranza di che non muore con la morte”, come ha ricordato il card. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, che ha presieduto la celebrazione. I nomi dei migranti morti in mare sono stati letti uno ad uno: donne, uomini e bambini, una tragica via crucis che sembra non avere fine. “Non possiamo rimanere insensibili ai drammi dei rifugiati”, ha detto padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli: “Dobbiamo sentirci tutti corresponsabili di queste morti. Siamo chiamati a superare l’indifferenza e a contagiare la comunità internazionale, perché si faccia carico di queste persone. Fuggono da guerre, come il conflitto in Siria, in cui anche noi abbiamo la nostra parte di responsabilità”. “Come è possibile - si è chiesto il gesuita - che prima i conflitti si risolvevano anche con la diplomazia e oggi invece solo con le armi? E’ in atto un imbarbarimento della nostra società”. La Comunità di Sant'Egidio, che ha ospitato l’incontro, ha precisato che “i nomi delle vittime sono stati forniti dagli immigrati sopravvissuti o dai parenti”. Nonostante le cifre delle domande d’asilo non siano alte come nel 2011 con l’emergenza Nord Africa (34 mila richieste, oggi dimezzate), “quest’anno - precisa Sant'Egidio - stiamo registrando arrivi consistenti, soprattutto di siriani e iracheni curdi”. (R.P.)
La nuova “Chiesa del Pentimento e della Redenzione” simbolo della riconciliazione fra le Coree
◊ Verrà inaugurata il prossimo 25 giugno la nuova Parrocchia del “Pentimento e della Redenzione” e si candida a diventare il simbolo di pace tra le due Coree. La chiesa sorge a Panmunjeom, il villaggio al confine tra Nord e Sud dove venne firmata la tregua del 1953, a ridosso della zona demilitarizzata (Dmz) e si avvarrà di un “Centro per la riconciliazione del popolo coreano” che avrà l’obiettivo di potenziare il lavoro delle diocesi frontaliere della Commissione speciale per la riconciliazione. Il progetto della struttura, i cui lavori sono iniziati nel 1996 per volere dell’arcidiocesi di Seoul, si ispira al presidio dei Missionari di Maryknoll situato nella periferia di Pyongyang. La nuova parrocchia è la 73esima della diocesi di Euijeongbu e i suoi mosaici sono il frutto di una stretta collaborazione tra artisti del nord e del sud. La Messa e il rito di dedicazione verrà presieduto dall’arcivescovo emerito di Seoul, Card. Nicolas Cheong Jin-suk. Il porporato ha fatto sapere che considera “una grande benedizione l’inaugurazione di una parrocchia nel giorno del 60esimo anniversario della guerra di Corea. E’ evidente l’azione della provvidenza illimitata del Signore”. Secondo il card. Cheong Jin-suk, “Il titolo di questa chiesa è eloquente, perché spiega il profondo desiderio di riconciliazione del popolo. Invece di incolparsi vicendevolmente, tutti i coreani dovrebbero pentirsi e riconoscere i propri sbagli. Panmunjeom è una meta turistica per tanti stranieri” ha aggiunto l’arcivescovo emerito di Seoul. “Il nostro desiderio è quello che, dopo aver visitato il luogo della divisione, vengano qui a pregare e a vedere in che modo i coreani ammettono le proprie responsabilità”. La parrocchia del “Pentimento e della Redenzione”, ha auspicato il porporato, dovrà diventare come la basilica del Sacro Cuore di Montmartre, luogo di culto realizzato all’indomani della sconfitta francese nella guerra franco-prussiana del 1870 per donare alla nazione transaplina la fiducia e l’ottimismo necessari ad una nuova rinascita. “Dal 1885, a Montmartre, iniziò l'Adorazione Perpetua al Santissimo Sacramento. Da allora non si è più interrotta. Mi auguro che qui avvenga la stessa cosa” ha auspicato il porporato. (A cura di Davide Dionisi)
Taipei: nuovo passo avanti nei rapporti bilaterali con Pechino
◊ Il governo cinese e quello taiwanese hanno siglato oggi a Shanghai un nuovo accordo commerciale che riguarda il settore dei servizi e che a detta dei rappresentanti porterà nuovi posti di lavoro sia nel continente sia a Taiwan. Nonostante le proteste dell'opposizione - riferisce l'agenzia AsiaNews - continua l'opera di riavvicinamento fra le due nazioni. La firma di oggi è un altro passo fondamentale nel quadro segnato dall'accordo del 29 giugno 2010, conosciuto come Ecfa (Economic Cooperation Framework Agreement), che ha creato un'area di commercio preferenziale tra l'isola e il continente, che offre a Taiwan numerosi benefici nel vasto mercato cinese e allo stesso tempo costituisce un passo obbligato per Taipei nel fissare accordi commerciali internazionali, possibili solo con il beneplacito di Pechino. L'accordo riguarda il settore dei servizi, che a Taiwan costituiscono il 70 % dell'intero Prodotto interno lordo e che per la prima volta nella Cina continentale (secondo i dati economici del primo trimestre di quest'anno) hanno superato il settore manifatturiero. "Ma c'è ancora un ampio margine di crescita in questo settore - ha affermato ieri Lin Join-sane presidente del taiwanese Sef (Straits Exchange Foundation - perchè la percentuale del settore servizi soprattutto nel continente rimane bassa, se paragonata con Paesi più avanzati. Per questo ci servono modernizzazione e creazione di nuovi posti di lavoro in tale area". Chen Deming direttore dell'Aratas (Relations Across the Taiwan Straits, controparte continentale del Sef) ha affermato che questo nuovo accordo "è un altro passo fondamentale nel rendere ancora più effettivo l'accordo Ecfa". La Sef e l'Arats sono due istituzioni "quasi-ufficiali" per la gestione dei rapporti sullo Stretto, autorizzate dai rispettivi governi in assenza di legami ufficiali. Altri punti importanti che vengono regolamentati sono la cooperazione a livello fiscale, per evitare doppie tassazioni nel continente e sull'isola, studi metereologici e monitoraggio dell'attività sismica per la prevenzione di disastri naturali. Le relazioni fra le due sponde dello Stretto sono migliorate da quando Ma Ying-jeou è diventato presidente di Taiwan (2008) e ha aperto una politica di dialogo con Pechino. Da allora l'integrazione tra il continente e l'isola continua a passo sicuro: sono già stati firmati 19 accordi di cooperazione, tutti a livello non politico. Fortissime le critiche mosse dall'opposizione all'evento di oggi. Esse accusano il presidente Ma Ying-jeou e il suo governo di "non rivelare punti importanti delle trattative" e di "voler firmare accordi senza l'espressa volontà dei cittadini". Un secondo tema importante annunciato in questi giorni, e sempre legato ai rapporti tra le due sponde dello stretto, è quello dell'apertura di uffici di rappresentanza sia a Taipei sia nel continente. Lo scorso 6 febbraio, durante una conferenza stampa, il ministro taiwanese per gli Affari continentali Wang Yu-chi aveva detto che voleva sottoporre al Parlamento un disegno di legge per avere uffici di rappresentanza reciproci sulle due sponde dello stretto. Ieri mattina Ma Ying-jeou ha detto che tali uffici servono per gestire gli otto milioni di persone che attraversano lo Stretto ogni anno e costituiscono uno scambio economico annuale di 160 miliardi di dollari americani: "È inimmaginabile che due entità politiche con un così grande livello di scambi commerciali non abbiano uffici di rappresentanza". (R.P.)
India. Vescovi indiani: solidarietà ai pellegrini indù colpiti dalle alluvioni
◊ La Conferenza episcopale indiana esprime "profonda preoccupazione" per la devastazione causata da alluvioni e frane che hanno colpito molte zone dello Stato di Uttarkhand e che ha prodotto gravi perdite umane. Ad oggi - riferisce l'agenzia AsiaNews - il bilancio parla di oltre 150 morti e decine di migliaia di indù colpiti dalle piogge torrenziali durante un pellegrinaggio. Le forze dell'ordine hanno portato in salvo oltre 30mila persone, ma altre 50mila sono ancora intrappolate nel fango. "È doloroso sapere che migliaia di pellegrini e locali sono bloccati - afferma mons. Albert D'Souza, segretario generale della Cbci, in un messaggio ufficiale - e che i tanti santuari e luoghi sacri di Kedarnath sono stati danneggiati in modo grave. Oltre a esprimere le nostre condoglianze per la morte delle tante vittime, la Conferenza episcopale desidera esprimere la propria simpatia e solidarietà alle migliaia di pellegrini intrappolati, e a tutte quelle persone che hanno perso la propria casa". Attraverso la Caritas e le Ong diocesane, la Chiesa indiana affianca le agenzie governative per fornire soccorso e assistenza alle vittime delle alluvioni. (R.P.)
Liberia: concessa la cittadinanza a 300 rifugiati sierraleonesi. Un segno di integrazione
◊ La Liberia ha accordato la cittadinanza a 300 rifugiati della Sierra Leone che vivono nel Paese fin dai tempi della guerra civile conclusasi nel 2002. La cerimonia di conferimento della cittadinanza è avvenuta ieri, 20 giugno, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato. “La concessione della cittadinanza liberiana a 300 rifugiati sierraleonesi va vista nell’ottica dello scambio continuo tra questi due Paesi” dice all’agenzia Fides padre Gerardo Caglioni, missionario saveriano con una lunga esperienza in Sierra Leone. “Ricordiamoci che le guerre nei due Stati erano profondamente influenzate l’una dall’altra, vi erano uno scambio continuo di rifugiati da un Paese all’altro. Io stesso mi ricordo che passavo ogni giorno nei pressi di un campo di rifugiati liberiani nei pressi dell’aeroporto di Makeni (Sierra Leone)” dice il missionario. Padre Caglioni ritiene inoltre che la cerimonia di ieri vada inquadrata nel contesto più ampio degli accordi esistenti da tempo tra Sierra Leone, Liberia e Repubblica di Guinea. “Fin dal 1973 con gli accordi della Mano River Union, si è dato vita ad una sorta di comunità tra questi tre Stati (la Guinea si è associata nel 1980), poi allargata all’Ecowas/Cedeao (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) e che ora finite le guerre vanno sviluppati” sottolinea padre Caglioni. “Il futuro dell’intera regione sta negli scambi tra i Paesi che la compongono” prosegue il missionario. “Scambi non solo culturali ma anche economici. La concessione della cittadinanza liberiana ai sierraleonesi è il segno dello sviluppo di un processo ormai avviato di integrazione regionale che, se incoraggiato e promosso ulteriormente, potrebbe sviluppare tutta l’area, ricca di risorse come quelle ittiche, di rutilio, ferro, diamanti e petrolio (che si trova in giacimenti off-shore al confine tra i due Paesi)” conclude padre Caglioni. (R.P.)
Centrafrica: la Chiesa invoca pace, dialogo e soccorre i poveri
◊ I drammatici giorni dell’entrata a Bangui (capitale della Repubblica Centrafricana) dei ribelli della coalizione Seleka, il 24 marzo scorso, Domenica delle Palme, sono descritti da un articolo inviato all’agenzia Fides da Caritas Africa Info. La Chiesa è stato subito presa di mira dai ribelli. Addirittura sono stati rubati tutti i veicoli parcheggiati nei pressi della cattedrale e i fedeli che partecipavano alla Messa sono stati costretti a tornare a casa a piedi. Le violenze di Seleka hanno obbligato diverse Ong a chiudere i loro uffici di Bangui, ciononostante la Caritas locale insieme alle parrocchie della locale diocesi hanno accolto nelle loro strutture oltre 5.700 persone. Mons. Dieudonnée Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, non si è però perso d’animo e si è subito prodigato negli sforzi per promuovere la pace e la riconciliazione, ancora prima della caduta della città nelle mani dei ribelli, promuovendo incontri con i leader delle altre confessioni religiose. Appena la situazione l’ha consentito, “è stata organizzata una celebrazione eucaristica presieduta dal nunzio apostolico in Centrafrica, alla quale hanno preso parte i ministri del nuovo governo e numerosi fedeli provenienti da tutte le parrocchie malgrado le sacche di insicurezza che continuano a persistere nella capitale”. Lo stress e la paura non hanno impedito ai membri di Caritas centrafricana e Caritas Bangui di continuare a lavorare: in 20 parrocchie della capitale una colletta ha raccolto 4.700 euro in generi di prima necessità a favore delle 5.833 persone accolte nelle strutture della Chiesa. Su iniziativa di mons. Nzapalainga sono stati creati nei quartieri più colpiti dalle violenze 6 centri per aiutare i bambini a superare i traumi e socializzare tra di loro. Una delegazione della Caritas ha poi accompagnato mons. Nzapalainga a Zongo (nella Repubblica Democratica del Congo) a portare conforto ai fedeli dell’arcidiocesi lì rifugiati. Caritas Spagna, Caritas Italiana, Caritas Korea, Caritas Japon, Catholic Relief Services, Caritas International Belgique e Cordaid hanno risposto all’appello d’urgenza lanciato dalla Caritas Centrafricana il 15 maggio. (R.P.)
Gerusalemme: ebreo israeliano ucciso dalla polizia al Muro del Pianto
◊ Le forze di sicurezza al cosiddetto "Muro del Pianto" hanno ucciso un uomo stamattina, mentre centinaia di fedeli ebrei compivano la preghiera al Muro occidentale. Soccorso da alcuni infermieri, l'uomo è morto per le ferite riportate. La vittima - riporta l'agenzia AsiaNews - sarebbe un uomo sui 46 anni, e che - secondo la polizia - sarebbe corso verso di loro gridando "Allahu Akbar" e prendendo qualcosa dalla tasca. L'uccisione è avvenuta vicino alle toilette della piazza, verso le 7.40 di questa mattina. Il portavoce della polizia, Micky Rosenfeld, ha difeso l'operato delle Forze dell'ordine dicendo che esse hanno sospettato che l'uomo fosse un palestinese in procinto di compiere un attacco suicida. In passato - riferisce l'agenzia AsiaNews - vi sono stati attacchi contro fedeli ebrei al Muro occidentale. Per questo nel luogo di preghiera c'è un forte controllo da parte di polizia ed esercito. La tensione aumenta ogni venerdì perché, mentre gli israeliti pregano al Muro, migliaia di musulmani si radunano per la preghiera islamica alla Spianata delle moschee, che sovrasta il Muro. (R.P.)
Terremoto in Nord Italia, un ferito e danni in Lunigiana
◊ La terra trema in nord Italia. Un terremoto di magnitudo 5,2 è stato registrato alle 12,33 fra le province di Lucca, Massa e La Spezia. A renderlo noto la sala sismica dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). Il terremoto è avvenuto alla profondità di 5 chilometri. Il comune più vicino alla zona dell'epicentro è Minucciano in provincia di Lucca. Paura e sgomento tra la gente. Moltissime le telefonate allarmate ai centralini dei Vigili del Fuoco. In alcuni casi le persone sono uscite da uffici e abitazioni. Secondo le prime indicazioni giunte alla sala operativa della protezione civile della provincia di Massa Carrara, si segnalano crolli in Lunigiana, a Fivizzano e Casole. Sarebbero rimaste danneggiate alcune abitazioni con la caduta di tetti. Una persona sarebbe rimasta ferita in località Postella. La doppia scossa e' stata prolungata ed e' stata avvertita in Emilia, anche ai piani bassi delle abitazioni, a Firenze e in altre localita' toscane come Carrara, Livorno e in Versilia, a Torino, a Genova. A Reggio Emilia il ministro Josefa Idem aveva appena preso la parola in Sala Tricolore del Municipio in un convegno sulle pari opportunita', quando l'edificio è stato scosso da forti movimenti sismici ed è stato evacuato. La gente si è riversata nelle strade, ma per ora non sono segnalati danni nel centro cittadino. (F.B.)
Simposio dei docenti universitari: gli atenei per educare alla pace
◊ “La sfida epocale per il futuro è conciliare la rapida evoluzione delle conoscenze e degli stili di vita con l’esigenza di mantenere un contatto con la Fede e l’ambito religioso”. Così il cardinale vicario Agostino Vallini, ha aperto ieri pomeriggio a Roma in Campidoglio il X Simposio internazionale dei docenti universitari, sul tema “Le culture dinanzi a Dio. Sfide, ricerche, prospettive, dal Mediterraneo al mondo” e promosso dall’Ufficio per la pastorale universitaria del Vicariato di Roma. “Nessuna cultura – ha continuato il porporato- è declinabile al singolare perché in essa si contengono diverse e a volte disparate realtà. Quindi, ogni conoscenza è frutto di multiformi espressioni. Nel nostro tempo, poi, segnato dalla pervasiva incidenza delle nuove tecnologie, le informazioni e gli scambi diventano così veloci, tanto da essere ancor più difficile definire la cultura o le culture, se non in senso diacronico". E all’incontro, che si concluderà domani, partecipano oltre 800 docenti arrivati da tutto il mondo. “Il bene più grande per qualsiasi società - ha spiegato Hani Mourtada ex rettore dell’ Università di Damasco, tra i relatori della cerimonia di apertura - è l’educazione delle menti alla pace e alla risoluzione dei conflitti. La domanda è: le università come possono essere i custodi di una pace durevole? E’ compito di tutti noi pensare in che modo gli atenei possano contribuire alla costruzione della pace, perché per il Medio Oriente ciò è importantissimo”. Si è invece focalizzata sui fattori che, a partire dalla globalizzazione favorita dalle nuove comunità giunte da tutto il mondo, stanno attualmente modellando la vita religiosa dell’Europa la lectio magistralis di Grace Davie, docente di Sociologia delle religioni dell’università di Exeter nel Regno Unito: “Lo stato attuale della religione in Europa è paradossale - ha spiegato la docente - Da un lato, è rientrata a far parte dello spazio pubblico e chiede una risposta. Dall’altro, una gran parte della popolazione non praticante ha difficoltà nel trattare la questione perché si stanno rapidamente perdendo i concetti, che sono necessari per parlare di religione. Come possiamo allora gestire questa situazione in modo più costruttivo? Questa è la sfida che le società europee devono affrontare oggi, e speriamo che da questo incontro possano nascere le linee guida da seguire”. E oggi tutte le università romane ospitano gli oltre 22 convegni del Simposio, che vanno ad analizzare i legami tra il tema principale dell’ incontro e le quattro grandi aree culturali cioè la giuridica, la scientifica, l’ economica e l’artistico-letteraria. (A cura di Marina Tomarro)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 172