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Sommario del 19/06/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: le divisioni danneggiano la Chiesa, superare i personalismi per ricevere il dono dell'unità
  • Appello del Papa per i rifugiati: hanno bisogno di comprensione e ospitalità
  • Il Papa ai cristiani: non siate ipocriti e moralisti, ma magnanimi e larghi di cuore
  • San Giuseppe entra nelle preghiere eucaristiche del Messale Romano
  • Mons. Tomasi: il diritto d'autore non discrimini i non vedenti nell'accesso alla cultura
  • Fao, mons. Travaglino: sostegno all'agricoltura è volano di sviluppo nei Paesi poveri
  • Tweet del Papa: un cristiano non può trattenere la gioia di annunciare Cristo
  • Altre udienze e nomine episcopali di Papa Francesco in Brasile e Lesotho
  • Vaticano. Incontro per i responsabili amministrativi promosso dalla Prefettura degli Affari Economici
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Afghanistan: Obama conferma i colloqui con i talebani, critiche da Karzai
  • Accordo in Mali: i ribelli del Nord accettano il cessate il fuoco per il voto presidenziale
  • G8: convergenza sulla lotta all’evasione fiscale, elusione e riciclaggio
  • Rapporto Onu sui rifugiati: nel mondo in fuga quasi 8 milioni di persone
  • La Commissione Europea punta sull'integrazione di migranti e richiedenti asilo
  • Roma. Al Convegno diocesano le indicazioni pastorali del card. Vallini
  • A Strasburgo la "Messa per l’Europa" in onore dei Santi Cirillo e Metodio
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Terra Santa: appello per le scuole cristiane di Gaza
  • Giordania: le conclusioni del Seminario sui media arabi cristiani
  • Perù: la "Populorum Progressio" discute delle comunità indigene latinoamericane
  • Argentina: i rilievi dei vescovi alla nuova legge sulla fecondazione assistita
  • Rapporto sulla pace nel mondo: meno conflitti in Africa
  • Congo: appello per i tre religiosi rapiti otto mesi fa nel Nord Kivu
  • Alluvioni: Nepal e India mandano l’esercito per salvare le vittime
  • Sud Corea: una nuova cattedrale sul confine per riconciliare Seoul e Pyongyang
  • Sri Lanka: nasce la prima web radio cattolica del Paese
  • Ecuador: approvata la nuova legge sulle comunicazioni
  • Congo: appello alla pace nel Katanga
  • Albania: la Chiesa chiede di votare per il bene del Paese
  • Bonn: Convegno mondiale su "Il futuro della crescita, valori economici e media"
  • Il card. Bagnasco: senza lavoro si rischia il suicidio sociale
  • Si è spento Adriano Bompiani: ha saputo coniugare "sapere medico e fede cristiana"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: le divisioni danneggiano la Chiesa, superare i personalismi per ricevere il dono dell'unità

    ◊   Chiediamo al Signore la grazia di liberarci dalla tentazione della divisione e della lotta tra di noi. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’udienza generale in Piazza San Pietro, gremita da oltre 50 mila fedeli. Il Papa ha ribadito che essere parte della Chiesa “vuol dire essere uniti a Cristo” e ha invitato tutti i cristiani a impegnarsi per la comunione e l’unità. Al momento dei saluti ai pellegrini, il Papa ha rivolto un appello per la difesa della vita in tutte le sue fasi e dimensioni. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “La Chiesa non è un’associazione assistenziale, culturale o politica, ma è un corpo vivente, che cammina e agisce nella storia”. Papa Francesco ha svolto la sua catechesi partendo dall’immagine della Chiesa come corpo, sviluppata da San Paolo nella prima Lettera ai Corinzi. Il Papa ha sottolineato che il corpo “ci richiama ad una realtà viva” e che questo ha un capo, “Gesù, che lo guida, lo nutre e lo sorregge”:

    “Questo è un punto che vorrei sottolineare: se si separa il capo dal resto del corpo, l’intera persona non può sopravvivere. Così è nella Chiesa: dobbiamo rimanere legati in modo sempre più intenso a Gesù. Ma non solo questo: come in un corpo è importante che passi la linfa vitale perché viva, così dobbiamo permettere che Gesù operi in noi, che la sua Parola ci guidi, che la sua presenza eucaristica ci nutra, ci animi, che il suo amore dia forza al nostro amare il prossimo. E questo sempre, sempre, sempre!”

    Nella Chiesa, ha proseguito, “c’è una varietà, una diversità di compiti e di funzioni; non c’è la piatta uniformità, ma la ricchezza dei doni che distribuisce lo Spirito Santo”. Parole particolarmente significative, essendo pronunciate dal Papa dinanzi ad una Piazza San Pietro gremita di fedeli, provenienti da tutto il mondo. Un’immagine forte di universalità e pluralità nella Chiesa. D'altro canto, ha aggiunto il Pontefice, “c’è la comunione e l’unità: tutti sono in relazione gli uni con gli altri e tutti concorrono a formare un unico corpo vitale, profondamente legato a Cristo”:

    “Ricordiamolo bene: essere parte della Chiesa vuol dire essere uniti a Cristo e ricevere da Lui la vita divina che ci fa vivere come cristiani, vuol dire rimanere uniti al Papa e ai vescovi che sono strumenti di unità e di comunione, e vuol dire anche imparare a superare personalismi e divisioni, a comprendersi maggiormente, ad armonizzare le varietà e le ricchezze di ciascuno”.

    L’unità, ha detto ancora, “è superiore ai conflitti, sempre. I conflitti, se non si sciolgono bene, ci separano da noi, ci separano da Dio”.

    “Non andiamo sulla strada delle divisioni, delle lotte tra noi, no! Tutti uniti, tutti uniti con le nostre differenze, ma uniti, uniti sempre, che quella è la strada di Gesù! L’unità è superiore ai conflitti, l’unità è una grazia che dobbiamo chiedere al Signore perché ci liberi dalle tentazioni della divisione, delle lotte tra noi, degli egoismi, dalle chiacchiere, eh? Quanto male fanno le chiacchiere: quanto male, eh? Quanto male! Mai chiacchierare degli altri: mai”.

    “Quanto danno arrecano alla Chiesa le divisioni tra i cristiani – ha avvertito – l’essere di parte, gli interessi meschini!”. Papa Francesco ha così messo l’accento sulle divisioni tra cattolici, “ma anche le divisioni tra le comunità: cristiani evangelici, cristiani ortodossi, cristiani cattolici”. E ha ribadito: “Dobbiamo cercare di portare l’unità”. Quindi, ha confidato ai fedeli:

    “Io racconterò una cosa. Oggi, prima di uscire da casa, sono stato 40 minuti più o meno, mezz’ora, con un pastore evangelico e abbiamo pregato insieme, cercando l’unità. Ma noi dobbiamo pregare tra noi, cattolici, e anche con i cristiani, pregare perché il Signore ci dia l’unità: l’unità tra noi! Ma, come avremo l’unità tra i cristiani se non siamo capaci di averla tra noi cattolici, di averla in famiglia – quante famiglie lottano e si dividono?”

    Ha quindi rivolto una preghiera al Signore. “Aiutaci a non far soffrire il Corpo della Chiesa con i nostri conflitti, le nostre divisioni, i nostri egoismi; aiutaci – è stata l’invocazione del Papa – ad essere membra vive legate le une con le altre da un’unica forza, quella dell’amore, che lo Spirito Santo riversa nei nostri cuori”. Al momento dei saluti ai pellegrini, quindi, il Papa ha ricordato che domenica scorsa è stata celebrata la Messa per l’Evangelium Vitae:

    “Vorrei rivolgere ancora una volta l’invito a tutti ad accogliere e testimoniare il ‘Vangelo della vita’, a promuovere e a difendere la vita in tutte le sue dimensioni e in tutte le sue fasi. Il cristiano è colui che dice ‘sì’ alla vita, che dice ‘sì’ a Dio, il Vivente”.

    Anche questo mercoledì, Papa Francesco ha percorso a lungo Piazza San Pietro a bordo della sua jeep, salutando i fedeli e baciando e benedicendo numerosi bambini. C’è stato anche un simpatico fuori programma: il Papa stava completando il suo giro tra i malati prima di lasciare Piazza San Pietro quando un ragazzo, con indosso la maglia della nazionale Argentina di calcio, lo ha salutato e gli ha chiesto di salire sulla jeep. Richiesta che il Papa ha accolto volentieri e così il giovane ha potuto provare l'emozione di sedersi sulla papamobile.


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    Appello del Papa per i rifugiati: hanno bisogno di comprensione e ospitalità

    ◊   A conclusione dell'udienza generale di stamattina, Papa Francesco ha ricordato che ricorre domani la Giornata Mondiale del Rifugiato. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    E’ alle famiglie rifugiate che va il pensiero del Papa alla viglia della Giornata mondiale. Papa Francesco invita tutti a considerare la loro situazione, perché spesso costrette “a lasciare in fretta la loro casa e la loro patria e a perdere ogni bene e sicurezza per fuggire da violenze, persecuzioni, o gravi discriminazioni a motivo della religione professata, dell’appartenenza ad un gruppo etnico, delle loro idee politiche”:

    “Oltre ai pericoli del viaggio, spesso queste famiglie si trovano a rischio di disgregazione e, nel Paese che li accoglie, devono confrontarsi con culture e società diverse dalla propria”.

    Di qui, il forte appello del Papa:

    “Non possiamo essere insensibili verso le famiglie e verso tutti i nostri fratelli e sorelle rifugiati: siamo chiamati ad aiutarli, aprendoci alla comprensione e all’ospitalità. Non manchino in tutto il mondo persone e istituzioni che li assistano: nel loro volto è impresso il volto di Cristo!”

    Beatriz Ngoie Mbullumba è della Repubblica Democratica del Congo. E’ fuggita dal suo Paese nel 2006, alla vigilia delle prime elezioni democratiche dopo decenni. Allora aveva 36 anni e una laurea in Economia dello Sviluppo, conseguita in una università cattolica di Kinshasa, la sua città. Le sue idee l’hanno condotta in carcere e l’hanno costretta a subire violenze. Oggi è rifugiata a Roma, dove studia Scienze infermieristiche, poiché il suo precedente titolo di studio non è stato riconosciuto. E la sua idea di accoglienza è ben lontana da quella che ha ricevuto in Italia:

    R. – Ho lavorato come formatrice per un’organizzazione non governativa e durante gli incontri che si tenevano con la popolazione ho detto di scegliere le persone giuste per governare il Congo. Quella era per noi la prima occasione, dopo 46 anni, per avere elezioni democratiche. Quindi, non bisognava sprecarla, occorreva scegliere persone che avessero nei progetti un futuro di pace, che aiutassero la popolazione a vivere, ad andare avanti. Questo era il mio discorso.

    D. – Però, Beatrice, il tuo discorso a qualcuno non è piaciuto...

    R. – A causa della povertà, spesso la gente va a dire bugie a quelli che hanno il potere, per guadagnare qualcosa. E qualcuno è andato a riferire quello che avevo detto, il mio discorso. Hanno mandato alcune persone ad arrestarmi. Mi hanno preso e mi hanno portato in carcere. Era un carcere illegale, dove mettono le persone che non condividono…

    D. – Vuoi dire, per i reati di opinione?

    R. – Sì, per questo. La mia situazione era questa: mi hanno fermato e mi hanno messo in un carcere illegale. Mi ha salvata un vicino di casa, un colonnello, che in quel periodo faceva parte dell’esercito. E’ lui che ha aiutato la mia famiglia a ritrovarmi, lì dove stavo. Quando sono venuti ad arrestarmi, a casa, mi hanno picchiato, dicendomi: “Tu sei una donna, perché fai le cose degli uomini e ti occupi di politica? Che c’entra? Non puoi fare altre cose?”. Hanno detto tutto ciò che potevano dirmi, mi hanno picchiato. Poi, mi hanno portato in carcere, dove ho passato tre giorni. Dopo, un parroco mi ha ospitato, perché non potevo tornare a casa, lì dove mi avevano preso, e da lì poi sono scappata in Congo Brazzaville.

    D. – Ecco che il tuo viaggio ti porta a Roma...

    R. – La mia preoccupazione era la mia famiglia. Sono venuta da sola. Era la prima volta che lasciavo la mia famiglia. Anche adesso sto soffrendo, dopo sette anni, passati senza vedere nessuno. Mi fa male. Mi chiamano, ma non mi basta. Con il documento che ho e con quel regime politico in Congo, non posso ritornare nel mio Paese.

    D. – Quando sei arrivata in Italia cosa è successo? Hai avuto delusioni da questo Paese?

    R. – Molte delusioni. Le delusioni sono cominciate quando sono andata a prendere il treno per Foggia, dove la Questura di Roma mi ha mandato per l’identificazione. La Questura mi aveva dato un documento da mostrare al controllore del treno, perché non potevo pagare il biglietto, non avendo i soldi. Ma il controllore non voleva farmi salire, mi ha detto: “Senza biglietto, tu non puoi salire. Il documento che ti ha dato la Questura non c’entra nulla con il biglietto, quindi non puoi salire”. Alla fine, però, ha deciso di farmi salire. Immagina Roma-Foggia: sono cinque o sei ore di viaggio. Il controllore mi ha detto: “Se vuoi viaggiare, è in piedi, perché non hai posto”. La mia delusione, quindi, è iniziata quando sono arrivata, perché mi sono sentita sola, e si è però rafforzata quando quella persona mi ha detto: “Tu fai il viaggio in piedi”. E ho cominciato a pensare: “Io, in queste condizioni, riuscirò a vivere in questa terra?” Infine, però, mi sono detta: “Ho lasciato la famiglia e devo darmi la forza per andare avanti”.

    D. – E dopo tanti anni hai ancora quella delusione? L’Italia è stata d’accoglienza per te?

    R. – Sono veramente delusa, perché ho poco aiuto. Ho un progetto adesso e abbiamo degli esami da fare a luglio, ma devo pensare a come pagare l’affitto, a come studiare. Devo capire come fare, da sola, per portare avanti questo progetto. Devo arrivare fino alla fine, perché lasciare a causa delle difficoltà non ha senso. Voglio solo dare la forza ai rifugiati, che sono qui in Italia. Dobbiamo usare le capacità che abbiamo, le competenze che abbiamo, e non scoraggiarci. Dobbiamo andare avanti con la vita. Chissà, domani forse potremo cambiare le cose.

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    Il Papa ai cristiani: non siate ipocriti e moralisti, ma magnanimi e larghi di cuore

    ◊   Il cristianesimo non è una “casistica” di precetti: questa concezione impedisce di comprendere e vivere che Dio è gioia e magnanimità. Papa Francesco lo ha ribadito alla Messa celebrata stamattina in Casa S. Marta. Sull’altare con il Papa vi erano il cardinale Marc Ouellet e l’arcivescovo Lorenzo Baldisseri, rispettivamente prefetto e segretario della Congregazione per i vescovi – accompagnati da un gruppo di collaboratori – e il presidente e il segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia, l’arcivescovo Vincenzo Paglia e mons. Jean Laffitte, anch’essi in compagnia del personale del dicastero. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Gli ipocriti che “portano il popolo di Dio su una strada senza uscita”: sono costoro i protagonisti del Vangelo di oggi e dell’omelia di Papa Francesco. Il Pontefice riflette sul celebre brano di Matteo che presenta il contrasto tra il comportamento di scribi e farisei – che si pavoneggiano in pubblico quando fanno l’elemosina, la preghiera e il digiuno – e quello che invece Gesù indica ai discepoli come il giusto atteggiamento da assumere nelle medesime circostanze, e cioè il “segreto”, la discrezione gradita e premiata da Dio. In particolare, oltre alla vanità di scribi e farisei, Papa Francesco stigmatizza il loro imporre ai fedeli “tanti precetti”. Li definisce “ipocriti della casistica”, “intellettuali senza talento” che “non hanno l’intelligenza di trovare Dio, di spiegare Dio con intelligenza”, e così facendo impediscono a se stessi e agli altri l’ingresso nel Regno di Dio:

    “Gesù lo dice: ‘Non entrate voi e non lasciate entrare gli altri’. Sono eticisti senza bontà, non sanno cosa sia la bontà. Ma sì, sono eticisti, eh? ‘Si deve far questo, questo, questo...’ Ti riempiono di precetti, ma senza bontà. E quelli delle filatterie che si addossano tanti drappi, tante cose, per fare un po’ finta di essere maestosi, perfetti, non hanno il senso della bellezza. Non hanno il senso della bellezza. Arrivano soltanto ad una bellezza da museo. Intellettuali senza talento, eticisti senza bontà, portatori di bellezze da museo. Questi sono gli ipocriti, ai quali Gesù rimprovera tanto”.

    “Ma non finisce qua”, prosegue Papa Francesco. “Nel Vangelo di oggi – osserva – il Signore parla di un’altra classe di ipocriti, quelli che vanno sul sacro”:

    “Il Signore parla del digiuno, della preghiera, dell’elemosina: i tre pilastri della pietà cristiana, della conversione interiore, che la Chiesa ci propone a noi tutti nella Quaresima. Anche su questa strada ci sono gli ipocriti, che si pavoneggiano nel fare il digiuno, nel dare l’elemosina, nel pregare. Io penso che quando l’ipocrisia arriva a quel punto della relazione con Dio, noi stiamo abbastanza vicini al peccato contro lo Spirito Santo. Questi non sanno di bellezza, questi non sanno d’amore, questi non sanno di verità: sono piccoli, vili”.

    “Pensiamo all’ipocrisia nella Chiesa: quanto male ci fa a tutti”, riconosce con schiettezza Papa Francesco. Che invece indica come “icona” da imitare un personaggio descritto in un altro passo del Vangelo. Si tratta del pubblicano che con umile semplicità prega dicendo: “Abbi pietà di me, Signore, che sono un peccatore”. “Questa – afferma il Papa – è la preghiera che dobbiamo fare tutti i giorni, nella consapevolezza che siamo peccatori”, ma “con peccati concreti, non teorici”. E' questa preghiera, conclude, che ci aiuterà a percorrere “la strada contraria” all’ipocrisia, tentazione – ricorda – che “tutti noi abbiamo”:

    “Ma tutti noi abbiamo pure la grazia, la grazia che viene da Gesù Cristo: la grazia della gioia; la grazia della magnanimità, della larghezza. L’ipocrita non sa cosa sia gioia, non sa cosa sia larghezza, non sa cosa sia magnanimità”.

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    San Giuseppe entra nelle preghiere eucaristiche del Messale Romano

    ◊   Novità nel Messale Romano. La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha disposto che nelle Preghiere eucaristiche si faccia si faccia menzione, dopo la Beata Vergine Maria, del nome di San Giuseppe, suo Sposo. Il servizio di Roberta Gisotti:

    San Giuseppe di Nazareth, “posto a capo della famiglia del Signore”, “modello esemplare di generosa umiltà”, seppe adempiere alla “missione ricevuta dalla grazia nell’economia della salvezza”, “testimone di quelle virtù comuni, umane, semplici, necessarie perché gli uomini siano onesti e autentici seguaci di Cristo”. Così recita il decreto del dicastero vaticano, che inserisce nelle preghiere eucaristiche il nome di quel Giusto che presosi “amorevole cura della Madre di Dio” e dedicatosi “con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, è divenuto il custode dei più preziosi tesori di Dio Padre”. “Incessantemente venerato nei secoli dal popolo di Dio quale sostegno di quel corpo mistico che è la Chiesa”, i fedeli ne hanno sempre onorato la memoria quale “sposo castissimo della Madre di Dio e Patrono celeste di tutta la Chiesa”.

    Per questo già Giovanni XXIII durante il Concilio Vaticano II volle “che ne fosse aggiunto il nome nell’antichissimo Canone Romano”. Ed ora Papa Francesco rispondendo ai tanti auspici giunti da molteplici luoghi, conferma quanto già accolto da Benedetto XVI, perché “il nome di San Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria, sia d’ora in avanti aggiunto alle preghiere eucaristiche II, III e IV della terza edizione tipica del Messale Romano”.

    I testi indicati nel decreto in latino saranno tradotti dalla stessa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti nelle lingue occidentali di maggiore diffusione, mentre quelli nelle altre lingue saranno redatti dalla Conferenza dei Vescovi e confermati dalla Sede apostolica.

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    Mons. Tomasi: il diritto d'autore non discrimini i non vedenti nell'accesso alla cultura

    ◊   La tutela del diritto d’autore non sia una barriera frapposta tra un bene comune come la cultura, intesa in senso ampio, e le persone con disabilità visive, che siano così lese nel loro diritto a fruirne. È la sostanza dell’intervento col quale l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra, l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, è intervenuto sul tema, durante una Conferenza svoltasi a Marrakech e incentrata sull’accesso delle persone con disabilità ai lavori pubblici. Le persone ipovedenti nel mondo sono oggi circa 285 milioni, secondo le stime dell'Organizzazione mondiale della sanità, e “circa il 90% di loro – ha ricordato il presule – vive nei Paesi in via di sviluppo”. Tuttavia, ha soggiunto, “solo l'1% dei libri nei Paesi in via di sviluppo e meno sviluppati è invece disponibile in formati accessibili alle persone non vedenti”. E anche “nei Paesi sviluppati, gli individui non vedenti hanno accesso solo al 5% dei libri pubblicati”. Si tratta, ha affermato l’osservatore vaticano, di quella “carestia del libro” – com’è stata definita – per cui “molti studenti non vedenti e agli studenti universitari dei Paesi in via di sviluppo non hanno accesso ai libri di testo”.

    Rifacendosi allo spirito e alla lettera della Dichiarazione Universale dei Diritti, mons. Tomasi ha richiamato la Conferenza di Marrakech al suo compito centrale, legato – ha detto – a un “problema di diritti d'autore che riveste un chiaro aspetto legato ai diritti umani”: è cioè il fatto di “garantire che il diritto d'autore non sia un ostacolo alla parità di accesso alle informazioni, alla cultura e all'istruzione per le persone con disabilità legate a stampa, lettura e affini”. Un obiettivo che “implica l'accesso alle conoscenze e le competenze necessarie per sviluppare la capacità di una persona di plasmare il suo futuro”. Se venti o trent’anni fa, osserva mons. Tomasi, poco si poteva contro la "carestia dei libri" giacché la “stampa di libri in Braille richiedeva molto tempo ed era dispendiosa”, oggi la tecnologia ha introdotto cambiamenti importanti ed è più diffusa, quindi “persone con handicap visivi possono oggi leggere libri su computer che utilizzano la tecnologia di ingrandimento text-to-speech, per mezzo di cosiddetti schermi braille, oppure ascoltando dei normali audiolibri”. A fronte di ciò, ha notato l’osservatore permanente pontificio, “l’obsoleto contesto giuridico” del diritto d’autore si pone come “una barriera”. La protezione della proprietà intellettuale “è un valore importante che dobbiamo rispettare”. Tuttavia, ha obiettato, “vi è un’ipoteca sociale su tutti i beni, compresa la proprietà intellettuale. La spinta molto creativa e innovativa, che il sistema di diritti di proprietà intellettuale offre, esiste principalmente per servire il bene comune della comunità umana”.

    Riformare il copyright – “che non è mai stato un fine a sé”, anche se spesso è accaduto il contrario – per favorire questa svantaggiata categoria di persone è dunque un traguardo verso cui dirigersi, ha auspicato mons. Tomasi. Il quale che ha definito la Conferenza diplomatica di Marrakech “un'opportunità storica per la comunità internazionale di dare una risposta concreta ai problemi più pratici a livello globale”. “Dare forza alle persone non vedenti o ipovedenti è vitale per accrescere il loro status economico e sociale” e ciò, ha concluso il presule, sollecita i politici a far sì che dal mercato del lavoro siano eliminate “tutte le forme di discriminazione”. Un Trattato di solidarietà verso coloro che hanno problemi di vista “può e deve essere concluso come un messaggio di speranza nei loro riguardi e come un segno di responsabilità da parte della comunità internazionale”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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    Fao, mons. Travaglino: sostegno all'agricoltura è volano di sviluppo nei Paesi poveri

    ◊   La Delegazione della Santa Sede ribadisce il proprio apprezzamento per l’attività della Fao volta a favorire lo sviluppo agricolo e a garantire la sicurezza alimentare. Questo obiettivo va perseguito attraverso un impegno degli Stati membri basato sul principio etico della solidarietà, fondamento della pacifica convivenza internazionale. Così, nel suo discorso, il nunzio apostolico, mons. Luigi Travaglino, capo delegazione alla 38.ma Sessione della Conferenza della Fao. Il presule auspica che, in questo momento di particolare difficoltà per l’economia mondiale, vengano comunque attuati i programmi dell’Organizzazione dell’Onu nei diversi settori dell’agricoltura, delle foreste e della pesca. Questo soprattutto in vista dell’obiettivo della sicurezza alimentare. Poi, l'invito a fornire alla Fao le risorse necessarie, puntando su una solidarietà proporzionale alla capacità e ai bisogni di ciascuno Stato.

    Lo sviluppo della produzione agricola, dell’allevamento e della pesca, soprattutto se rivolto all’impresa familiare e a ridurre la povertà rurale – ha affermato ancora mons. Travaglino – ha una ricaduta positiva per l’occupazione e le condizioni di sviluppo economico: fattori essenziali a fronteggiare l’emergenza causata da conflitti, spostamenti forzati di popolazione e cambiamenti climatici. La Santa Sede spinge anche per un sostegno dell’artigianato, realtà economica di base per la maggior parte dei Paesi in via di sviluppo. Obiettivi, questi – ha detto ancora il presule – da raggiungere attraverso un’effettiva responsabilità di condotta degli Stati, per assicurare un adeguato livello di sicurezza alimentare alle rispettive popolazioni, come pure per favorire un cambiamento degli stili di vita legati all’eccessivo consumo, allo spreco di cibo o all’uso non alimentare di prodotti agricoli. Si tratta - ha sottolineato il rappresentante vaticano - di un impegno "di noi tutti nei confronti delle future generazioni".

    Bisogna, inoltre, puntare sull’uso sostenibile delle risorse agro-alimentari, in relazione alla domanda crescente di alimenti. Queste, infatti, sebbene prodotte a livello mondiale in quantità nettamente superiore al reale fabbisogno mondiale, non riescono a eliminare o a ridurre il numero degli affamati. La Delegazione della Santa Sede – ha concluso mons. Travaglino – richiama infine la necessità di una prospettiva essenzialmente etica, all’interno della quale ogni decisione e conseguente azione in questo campo è frutto di quel principio di solidarietà, che sta alla base di una convivenza giusta e pacifica tra le nazioni.

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    Tweet del Papa: un cristiano non può trattenere la gioia di annunciare Cristo

    ◊   Nuovo tweet di Papa Francesco, lanciato oggi dal suo account @Pontifex: “Un cristiano è pronto ad annunciare il Vangelo perché non può trattenere in sé la gioia che nasce dalla conoscenza di Cristo”.

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    Altre udienze e nomine episcopali di Papa Francesco in Brasile e Lesotho

    ◊   Al termine dell’Udienza Generale, nell’Auletta dell’Aula Paolo VI, Papa Francesco ha ricevuto in udienza i partecipanti all’Incontro promosso dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso con l’International Islamic Forum for Dialogue (Arabia Saudita).

    In Brasile, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Almenara, presentata da S.E. Mons. Hugo Maria van Steekelenburg, O.F.M., per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato nuovo vescovo di Almenara il Rev.do Sacerdote José Carlos Brandão Cabral, del clero della diocesi di Limeira, finora Parroco, Cancelliere e Giudice Uditore del Tribunale Interdiocesano. Sempre in Brasile, il Santo Padre ha nominato Vescovo di Caraguatatuba S.E. Mons. José Carlos Chacorowski, C.M., finora Vescovo titolare di Case nere ed Ausiliare di São Luís do Maranhão.

    Nel Lesotho, il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Qacha’s Nek, il Rev.do P. Joseph Mopeli Sephamola, O.M.I., Ministro Provinciale dei Padri Oblati in Lesotho.

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    Vaticano. Incontro per i responsabili amministrativi promosso dalla Prefettura degli Affari Economici

    ◊   Questa mattina ha avuto luogo un incontro per i responsabili amministrativi dei vari dicasteri ed enti dipendenti dalla Santa Sede organizzato dalla Prefettura degli Affari Economici presso la Sala vecchia del Sinodo dei Vescovi. Era presente - informa in una nota il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi - tutto il personale della Prefettura, accompagnato dai revisori internazionali. L’incontro ha fatto seguito a un primo analogo, tenuto nello scorso dicembre per la presentazione del nuovo Regolamento della Prefettura, e sarà seguito da altri, verosimilmente a scadenza semestrale.

    Dopo la lettura di un breve messaggio di saluto del Santo Padre a firma del Segretario di Stato e l’introduzione del Cardinale Versaldi, è stato presentato interessante accordo in base a cui il Banco Santander è disponibile a mettere a disposizione della Prefettura conoscenze e risorse formative attinte alla grande rete di rapporti del Banco stesso con il mondo universitario internazionale. Anche il Sostituto, Mons. Angelo Becciu, è intervenuto per portare il suo saluto e incoraggiamento. Il Segretario del Dicastero, mons. Vallejo Balda, e il Ragioniere Generale, dott. Fralleoni, sono intervenuti a loro volta per spiegare lo sviluppo storico della redazione dei bilanci consolidati da parte della Prefettura e l’importanza di un’adeguata redazione dei bilanci preventivi per il governo dell’amministrazione economica.

    In particolare, si è data informazione sui progressi compiuti nella preparazione di un bilancio consolidato che non si limiti alle due aree specifiche della Curia e dello Stato della Città del Vaticano, ma si allarghi anche alle aree delle pastorale e delle attività caritative che fanno capo alla Santa Sede. I bilanci in questione verranno presentati in modo documentato e dettagliato alla prossima riunione del Consiglio di Cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, il cosiddetto “Consiglio dei 15”, che si riunirà come di consueto nei primi giorni di luglio.

    L’incontro è proseguito con una serie di interventi e domande dei partecipanti, fra cui da segnalare gli interventi dei revisori internazionali, la cui presenza e partecipazione è stata molto apprezzata da tutti i presenti.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   All’udienza generale Papa Francesco parla dell’unità della Chiesa.

    Il lavoro priorità assoluta del g8: i risultati del vertice in Irlanda del Nord.

    Oltre 45 milioni di rifugiati: nel servizio internazionale, i risultati di un rapporto dell’Unhcr.

    Per una crescita integrale: intervento dell’arcivescovo Luigi Travaglino alla Fao.

    Il decreto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti con il quale il nome di San Giuseppe viene inserito nelle preghiere eucaristiche II, III e IV del Messale romano. Sul tema, un articolo del cardinale Antonio Cañizares Llovera.

    Non più cristiani senza voce e senza famiglia: le indicazioni pastorali del cardinale vicario di Roma, Agostino Vallini, al convegno ecclesiale diocesano.

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    Oggi in Primo Piano



    Afghanistan: Obama conferma i colloqui con i talebani, critiche da Karzai

    ◊   I colloqui di pace devono proseguire nonostante le difficoltà. E’ l’auspicio per l’Afghanistan del presidente americano Barack Obama che, da Berlino, ha invitato le parti a lavorare per spezzare il ciclo delle violenze. Stamani, il governo di Kabul ha annunciato la sospensione delle trattative con gli Stati Uniti per l’accordo che avrebbe permesso alle truppe americane di rimanere operative nel Paese nel 2014. Il presidente Karzai ha ribadito che l'Afghanistan deve scegliere senza interferenze il suo futuro. Un passo indietro dunque dopo l’annuncio ieri dell’apertura dei colloqui di pace in Qatar tra gli Usa, lo stesso Karzai ed i talebani. Annuncio coinciso con l’apertura di un ufficio a Doha denominato ''Emirato islamico dell'Afghanistan''; proprio questa dicitura ha creato malumori all’esecutivo di Kabul. Benedetta Capelli ne ha parlato con Antonello Biagini, ordinario di Storia dell’Europa orientale presso l’Università di Roma “La Sapienza”:

    R. - Il ragionamento serio che andrebbe fatto è capire perché gli Stati Uniti ad un certo punto hanno, in qualche modo, "bypassato" il governo di Kabul rivolgendosi direttamente a questo ufficio che ha una denominazione che già prelude ad un certo tipo di assetto dell’Afghanistan. Quindi, è come se gli Stati Uniti da un lato sostenessero un governo “legittimo”- quello di Kabul -, e dall’altro lato però siano disposti a trattare con quelli che non riconoscono quel governo e che vorrebbero abbatterlo. Quindi c’è una certa incoerenza. Diciamo che da questo punto di vista possiamo capire l’atteggiamento del governo di Kabul che si sente deprivato di una sovranità. Tra l’altro, se queste trattative fossero fatte direttamente con i talebani, in qualche modo si vanificherebbero anche tutti questi anni, perché il tipo di governo che si è voluto costruire in Afghanistan è un po’ di tipo occidentale. Penso che se invece del parlamento, avessero fatto un parlamento con i capi tribù, con i capi dei clan, la situazione probabilmente si sarebbe risolta prima, perché culturalmente l’Afghanistan funziona in questo modo.

    D. - Gli Stati Uniti hanno investito molto in Afghanistan. Ma perché questi negoziati dovrebbero implicare la presenza degli Stati Uniti, dato che i colloqui di pace riguardano l’Afghanistan; dunque, Karzai e i talebani …

    R. - In astratto dovrebbero incontrarsi Karzai e i talebani e magari - come è accaduto anche in passato - una grande potenza che fa da mediatore. Poi però nella realtà concreta, politica attuale, abbiamo che proprio dagli Stati Uniti è partita questa missione di combattere i talebani e instaurare un regime diverso a Kabul. Quindi c’è una sorta di assunzione di responsabilità dell’unica grande potenza rimasta sulla scena, che oggi però si trova - nella linea politica scelta dai democratici e da Obama - in dovere di mettere fine a questa situazione, perché non solo è una promessa della campagna elettorale, ma perché non possono non farlo. Nello stesso tempo, si rendono conto che i due soggetti da soli non arriverebbero mai da nessuna parte. Si è creata una situazione in cui ognuno è costretto ad essere presente: i talebani non possono essere ignorati perché - ripeto - ancora esistono e ancora hanno una loro forza ed una presa sulla popolazione; il governo di Karzai non può essere ignorato perché è un governo comunque legittimo, legittimato ed anche riconosciuto all’estero e gli Stati Uniti perché sono stati gli attori principali di tutta questa operazione, e quindi non possono andarsene lasciando una situazione di guerra civile forse peggiore di quella che c’era prima di questo intervento occidentale.

    D. - Ieri dopo l’annuncio dei negoziati, si è verificato subito un attacco contro una base americana, rivendicato, tra l’altro dai talebani. È la dimostrazione che il fronte degli insorti è diviso sull’opportunità di dialogare con Karzai, quindi anche con gli Stati Uniti?

    R. - Sicuramente questo, ma ciò conferma ancora di più che spesso questo tipo di forze che adottano la guerriglia come strumento della politica - e gli attentati fanno parte di tutto questo - non desiderano il processo di pace, perché verrebbe meno il loro ubi consistam, in qualche modo non avrebbero più ragione d’essere. Per una forza politica che ha basato tutta la sua esistenza e anche le risorse che riesce ad ottenere su un presupposto che formalmente è ideologico - ma che poi nella sostanza nasconde tutta un’altra serie di equilibri che sono quelli poi del ruolo che oggi il mondo islamico o una certa parte del modo islamico vuole giocare nella politica internazionale - è chiaro che attuatasi una pace, comunque sia, il ruolo di queste forze verrebbe meno.

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    Accordo in Mali: i ribelli del Nord accettano il cessate il fuoco per il voto presidenziale

    ◊   Accordo in Mali tra il governo di transizione e i ribelli tuareg che occupano Kidal, nel Nord del Paese africano. L'accordo è stato firmato nel palazzo presidenziale del Burkina Faso, impegnato in una mediazione nella crisi maliana che va avanti in diverso modo da marzo 2012. Il servizio di Fausta Speranza:

    Primo punto: il cessate il fuoco in vista delle elezioni presidenziali fissate per il 28 luglio. E i ribelli tuareg che da tempo insidiano il potere centrale nel Nord si impegnano a far tornare l’armata regolare nella città di Kidal, ultima roccaforte. La crisi scoppia a marzo 2012 quando un colpo di Stato militare depone l’allora presidente Tourè, accusato di non saper gestire la ribellione al Nord. Ma l’offensiva dei tuareg e degli islamisti non si ferma, tanto che a gennaio 2013 l’Onu autorizza l’operazione di forza multinazionale guidata dalla Francia. Ora la transizione dovrebbe concludersi con il voto presidenziale. Poi ci sarà da fare i conti con quanto successo in tutti questi mesi nel Nord: l’accordo, che non parla dell’incriminazione dei leader della ribellione, prevede invece la creazione di una commissione di inchiesta internazionale su crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Ma c’è da dire che le Nazioni Unite denunciano anche la detenzione nelle carceri regolari del Mali di bambini, per presunta collusione con gli estremisti.

    La maggior parte della popolazione ha accolto in maniera favorevole l’accordo di pace, perché "vuole il rapido ritorno della normalità", afferma all’Agenzia Fides don Edmond Dembele, segretario generale della Conferenza Episcopale del Mali, spiegando però che c'è una parte dell’opinione pubblica che avrebbe voluto anche l'immediato disarmo degli uomini dei gruppi ribelli del Nord. Per una valutazione dell'accordo e della situazione in Mali, Fausta Speranza ha intervistato Anna Bono, africanista dell'Università di Torino:

    R. – E’, se non altro, un passo indispensabile, soprattutto per riuscire a rendere credibili le elezioni imminenti che dovrebbero essere un traguardo – questo sì, è davvero importante – verso la stabilizzazione del Paese e la risoluzione di una crisi che ormai dura da molto tempo, una crisi che è il risultato di un colpo di Stato e, prima ancora, della divisione in due del territorio del Mali quando l’anno scorso, prima i ribelli tuareg indipendentisti e poi alcuni gruppi jihadisti, hanno occupato il Nord incluse le tre principali città, le capitali dell’immenso Nord di questo Paese.

    D. – Da marzo 2012, dal colpo di Stato, praticamente questa situazione di transizione è stata gestita dalla giunta militare. Che ruolo immaginare nella campagna elettorale che ci sarà, in vista del voto del 28 luglio?

    R. – Il problema è molto delicato e, anzi, è forse il problema del momento. Le popolazioni del Mali – questa è una precisazione importante – sono storicamente divise in due: a Nord abitano popolazioni tuareg e affini, al Sud etnie diverse, in conflitto tra di loro soprattutto da quando il potere politico del Paese è nelle mani delle popolazioni del Sud. Il Nord teme che il controllo delle elezioni, grazie all’ingresso dell’esercito dal Sud - per far sì che le elezioni si svolgano in modo regolare - soprattutto a Kidal, l’ultimo dei capoluoghi del Nord ancora in mano ai ribelli, crei una situazione pericolosissima per le popolazioni del Nord. In altre parole, si temono vendette, ritorsioni, violenze nei confronti delle popolazioni del Nord. La giunta militare gode del sostegno di una parte dell’esercito, e anche questo è motivo di contrasto e di conflitto. Cioè, da quando c’è stato il colpo di Stato una parte dell’esercito e delle forze politiche ha appoggiato la giunta, un’altra parte no. Questo ha avuto ripercussioni anche sulle vicende militari: infatti, c’è voluto del tempo perché venissero accettate da tutte le forze politiche e militari le milizie africane e straniere in generale che sono poi state decisive nel cacciare dal Nord i movimenti armati che lo avevano occupato.

    D. – Lei ci ha parlato di una divisione etnica della popolazione tra Sud e Nord, ma c’è anche l’elemento islamista al Nord …

    R. – Naturalmente. I movimenti che hanno preso il potere, poi, per mesi nel Nord, sono tre movimenti jihadisti che hanno approfittato del successo del Movimento tuareg separatista, l’Mnla, per poi prendere a loro volta il controllo delle tre capitali e praticamente di tutto il territorio. Va detto che questi tre movimenti si sono poi ancora ulteriormente suddivisi, scissi e solo una parte delle forze in campo ha accettato di firmare questo accordo. Sono gruppi importanti, ma non sono tutti. Uno dei rischi in Mali, come già sta succedendo ed è successo in altri Paesi, è sempre questo: cioè che un movimento nasce, poi si suddivide, si fraziona rendendo sempre più difficile portare tutte le parti in causa al tavolo dei negoziati e quindi assicurare che poi gli accordi presi vengano effettivamente rispettati.

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    G8: convergenza sulla lotta all’evasione fiscale, elusione e riciclaggio

    ◊   Lotta all’evasione, elusione e riciclaggio. Sono le sfide economiche lanciate dal G8 di Lough Erne, in Irlanda del Nord, che si è chiuso ieri. I leader hanno stilato un decalogo in cui si rimarca la necessità di lottare contro “i paradisi fiscali”, creando uno standard globale per lo scambio automatico d’informazioni. Richiesta anche la massima trasparenza fiscale alle multinazionali e maggiore collaborazione con l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Carlo Secchi professore emerito di politica economia alla Bocconi di Milano:

    R. – L’accordo desta grande interesse ed ha prospettive positive. Lo scambio di informazioni internazionali si sta instaurando come regola normalmente seguita all’interno dell’Unione Europea. E gli Stati Uniti, da questo punto di vista negli ultimi anni, si sono dimostrati molto determinati. Ricordiamo tutti ad esempio le azioni Usa contro le banche svizzere, non ancora del tutto concluse, volte proprio ad ottenere quelle informazioni che sono indispensabili dal punto di vista fiscale, per una corretta gestione dei rapporti tra i contribuenti ed il fisco dei vari Paesi.

    D. – Secondo lei sarà possibile quindi riuscire a chiudere i cosiddetti “paradisi fiscali”?

    R. – Questo è solo l’inizio del lavoro in quanto la decisione presa nell’ambito del G8, che riguarda i Paesi che partecipano, potrà essere sottoscritta anche nell’ambito del G20 di luglio e io credo che sicuramente sarà così. Però sappiamo che i “paradisi fiscali” si annidano anche presso piccoli Stati che non appartengono a questo tipo di consessi e cercheranno di resistere. Bisognerà verificare quanto la capacità di persuasione sul piano politico e quello economico da parte dei grandi Stati – Stati Uniti da un lato ed Unione Europea dall’altro – produrrà effetti. Bisognerà attendere risultati efficaci. Tra l’altro, la stessa Unione Europea al proprio interno deve ancora mettere ordine, risolvere “paradisi fiscali” veri e propri: le Isole del Canale della Manica che dipendono a questo punto vista dal Regno Unito, i problemi di Andorra non ancora del tutto risolti, San Marino, Monte Carlo…

    D. – Si chiede trasparenza fiscale nei confronti delle multinazionali, si lavorerà ad un modello comune con cui le aziende potranno comunicare alle autorità fiscali dove vanno a finire i profitti e dove pagano le tasse…

    R. – Il problema è particolarmente cruciale negli Stati Uniti: abbiamo tutti letto delle modalità elusive poste in atto da alcune grandi multinazionali, che per certi aspetti sono citate come esempio, ma non certamente nel campo del buon adempimento dei doveri fiscali. Anche in Europa abbiamo avuto alcuni casi. Credo che una sorta di statuto, accettato a livello internazionale, sia una cosa più che ragionevole che debba essere ben accolto da tutti coloro che ritengono che l’equa ripartizione del carico fiscale sia nell’interesse di tutti.

    D. – Una dichiarazione di impegno anche nei confronti dei Paesi in via di sviluppo che devono avere le informazioni, e viene ribadito; e la capacità di recuperare le tasse che gli sono dovute e gli altri Paesi devono aiutarli…

    R. – Non sarà certamente un cammino facile, però è evidente che il principio fondamentale per cui la tassazione debba avvenire nella località, nello Stato dove si produce la ricchezza di cui si tratta, credo che sia un principio che debba essere imposto a livello mondiale.

    D. – L’importanza della crescita e del lavoro: queste misure serviranno anche a questo rilancio?

    R. – Credo proprio di sì, perché uno dei problemi con cui si confrontano tutti gli Stati – avanzati e meno avanzati dal punto di vista economico – è proprio quello della scarsità di risorse da dedicare alla crescita in una situazione dove prevale inevitabilmente l’obiettivo di rimettere apposto i conti pubblici.

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    Rapporto Onu sui rifugiati: nel mondo in fuga quasi 8 milioni di persone

    ◊   Guerre e violenze continuano a generare flussi di popolazione. Lo evidenzia il Rapporto 2012 dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati presentato ieri a Ginevra. Dalla città elvetica, Silvana Bassetti:

    L'anno scorso, conflitti, violenze e persecuzioni hanno costretto circa 7,6 milioni di persone ad abbandonare le proprie case, per fuggire all'estero e diventare rifugiati o sfollati all'inteno del proprio Paese. E' un dato enorme, pari a 23mila persone sradicate ogni giorno e che porta il totale del numero di sfollati e rifugiati nel mondo alla fine del 2012 ad oltre 45,2 milioni. E' il numero piu' alto dal 1994, ha sottolineato l'Alto commissariato Onu per i rifugiati che ha pubblicato a Ginevra il suo ultimo rapporto. Per l'Alto commissario Antonio Guterrres, si tratta di numeri che ci parlano di sofferenze individuali intense, ma anche delle difficolta' che incontra la comunita' internazionale a prevenire i conflitti e promuovere soluzioni. La maggioranza dei rifugiati e' in paesi in via di sviluppo. L'Afghanistan resta il paese che ha generato il piu' alto numero di profughi, un triste primato che detiene da 32 anni, seguono la Somalia, l'Iraq e la Siria, Paese dal quale alla fine del 2012 erano fuggiti 650mila rifugiati. Il rapporto si ferma li, al dicembre 2012. Ma da allora, con l'intensificarsi degli scontri, il numero di rifugiati siriani fuggiti nei Paesi vicini e' drammaticamente aumentato ed ha superato quota 1,6 milioni.

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    La Commissione Europea punta sull'integrazione di migranti e richiedenti asilo

    ◊   L’Unione Europea deve favorire un’immigrazione regolare ben gestita e politiche di integrazione, e lavorare per una gestione più moderna ed efficiente dei flussi di viaggiatori alle sue frontiere esterne. Deve d’altra parte lottare più a fondo contro la tratta degli esseri umani e affrontare meglio la migrazione irregolare, garantendo al contempo che siano rispettati i diritti fondamentali dei migranti e dei richiedenti asilo. Questo, in sintesi, quanto emerge dalla relazione pubblicata dalla Commissione Europea, in tema di migrazioni e richiedenti asilo. Un documento che chiede una risposta più coerente da parte dell’Ue. Ma in generale in che modo l’Unione Europea e gli Stati membri stanno affrontando le sfide e le opportunità della migrazione? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Stefano Manservisi, direttore generale per gli Affari Interni della Commissione Europea:

    R. – Stiamo elaborando progressivamente una politica più comune; stiamo utilizzando strumenti che cercano di confortare i cittadini europei su due terreni: che la migrazione è necessaria ed è positiva e che, al tempo stesso, non mette a rischio la sicurezza ed i posti di lavoro; e, ancora, che per ottenere questo risultato bisogna incominciare da dialoghi importanti con i principali Paesi di origine, in modo da far sì che la migrazione sia quanto più preparata, assistita e resa positiva tanto per i Paesi di origine quanto per il Paese di destinazione.

    D. – La commissaria per gli affari interni, Maelstrom, ha dichiarato che si sta creando un sistema europeo comune di asilo, solidale con le persone vulnerabili, in grado di proteggerle. Ma chi sono queste persone? E’ possibile tracciare un loro profilo?

    R. – Diciamo che le persone vulnerabili che fanno ricorso all’asilo europeo sono sostanzialmente di due o tre nature. Il primo gruppo comprende le persone che fuggono dalle zone in conflitto. Non a caso, vedete che negli arrivi regolari, ma anche con arrivi meno spettacolari, ci sono molte persone che arrivano dal Corno d’Africa, per esempio, quindi da zone di instabilità: dall’Eritrea, dalla Somalia o dall’Afghanistan, altra zona in cui ovviamente la guerra, l’instabilità, la violazione dei diritti spingono queste persone a cercare protezione, oltre che una vita migliore, altrove. Il secondo gruppo è quello che attualmente è legato alla crisi in Siria, la cui tipologia è diversa: sono persone che, in realtà, non hanno più la possibilità fisica di rimanere nel loro Paese ma non necessariamente chiedono asilo. In effetti, le domande di asilo dei cittadini che provengono dalla Siria non coprono la totalità degli arrivi: sono persone che cercano una soluzione almeno temporanea. Un terzo gruppo invece riguarda coloro che vengono da quei Paesi in cui l’integrazione – ad esempio – di minoranze, come i rom, non è efficace e quindi sono spinti a cercare una forma di protezione altrove. In questo contesto, l’accordo sul sistema europeo di asilo è importante perché ha innalzato gli standard di protezione, li ha resi un po’ più comuni, ha considerato le persone particolarmente vulnerabili tra i vulnerabili, cioè i minori non accompagnati e le vittime di tortura o di maltrattamenti. Quindi abbiamo ora una base che è più comune e migliore, anche per far sì che i richiedenti protezione possano spalmarsi sul territorio europeo in maniera un poco più omogenea. Non è tanto – o solo – una questione di peso, ma si tratta di riconoscere che lo spazio comune europeo è uno spazio che comunemente, a tutti può dare lo stesso livello di protezione.

    D. – E’ essenziale, però, che tutti gli Stati membri dispongano di misure efficaci per promuovere l’integrazione: questo è un punto dolente. Come risolvere il problema dell’integrazione?

    R. – Il problema dell’integrazione, intanto, forse bisogna identificarlo con caratteristiche che sono anche mutate. La questione dell’integrazione ora si pone nei confronti di persone che non sono così estranee al loro Paese di origine: voglio dire, i mezzi di comunicazione fisica e di comunicazione via telefono, Internet eccetera fanno sì che i migranti – soprattutto quelli più recenti – portino una cultura che non intendono in nessun modo lasciare. Quindi è un processo di comprensione reciproca, di strumenti di comprensione reciproca, di diritti e doveri reciproci e di identificare le vulnerabilità, in particolare a livello del territorio e degli enti locali. Infatti, le storie di successo nell’ambito dell’integrazione sono storie di integrazione a livello locale, quando i comuni, le regioni, le comunità possono sostanzialmente non fare la differenza, possono permettere di vedere i problemi di riqualificazione professionale, di disoccupazione come parte di un problema comune e di soluzione comune. Bisogna attualmente investire sugli strumenti di comunicazione: in questi giorni ho presentato il glossario in arabo della terminologia migrazione-asilo che abbiamo finanziato insieme al ministero degli Interni. E’ uno strumento importante perché serve alla mediazione culturale che rimane comunque estremamente importante, soprattutto nei confronti di appartenenti a comunità religiose diverse.

    D. - Dal punto di vista economico sappiamo che l’Europa sta attraversando un momento molto particolare, colpita pesantemente dalla crisi. La migrazione può essere considerata uno strumento per la crescita?

    R. – La migrazione può e deve essere considerato uno strumento per la crescita, e d’altra parte, l’integrazione non è una misura compensativa: è un investimento. Infatti, se si investe bene nell’integrazione si investe bene anche nella produttività, nel contributo che i migranti danno alla crescita. Però, non sono necessariamente risultati automatici. Cioè, direi che se la migrazione è ben gestita, contribuisce – e come! – alla crescita, alla creazione di posti di lavoro; se la migrazione non è gestita bene, può creare problemi tanto nelle società di origine, quanto in quelle di accoglienza.

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    Roma. Al Convegno diocesano le indicazioni pastorali del card. Vallini

    ◊   Incoraggiare la formazione di nuovi catechisti nelle parrocchie, avere un attenzione particolare verso i poveri e i deboli, aiutare i laici a portare il vangelo negli ambienti della loro vita quotidiana, sostenere la responsabilità di una nuova generazione di cristiani laici capaci di dedicarsi al bene comune e alla vita politica. Sono queste alcune delle linee guida date ai parroci dal cardinal vicario Agostino Vallini, ieri sera a Roma nella Basilica di San Giovanni in Laterano, nella seconda giornata del Convegno pastorale della diocesi. L’appuntamento annuale, sul tema “Cristo tu ci sei necessario!”, si conclude questa sera nelle parrocchie e nelle prefetture. Marina Tomarro ha intervistato mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara , presente all’incontro:

    R. – Questa nuova responsabilità deve innanzitutto alimentarsi sempre daccapo alla sorgente cristiana, a partire dalla prima pagina scritta del Nuovo Testamento dove Paolo delinea i tratti fondamentali di una comunità cristiana e quindi l’operosità della fede, la ricchezza della carità e la fermezza nella speranza. Poi, questa “pendolarità” che il credente responsabile deve avere tra il dono di Dio e la libertà degli uomini, perché solo facendo avvenire questo incontro che il Vangelo può essere annunciato. Da ultimo, dobbiamo tornare a recuperare la funzione di racconti di vita cristiana e di un’ospitalità cristiana per tutte le varie situazioni degli ambienti di vita. È per questo che bisogna abitare gli ambienti perché lì si impara “l’alfabeto della vita umana”: i primi racconti con cui l’uomo e la donna, i genitori ed i figli, le situazioni di disagio, ma anche le situazioni di crescita - che creano legami sociali - diventano capaci di diventare luoghi in cui si possa dire la forza del Vangelo.

    D. – In quale modo si può sviluppare l’ospitalità cristiana soprattutto in quelle che sono le situazioni più difficili della diocesi…

    R. – Anche una diocesi complessa, in una città che essendo la capitale ha situazioni molto complesse, possiamo arrischiare frammenti di vita nuova e lo stile di vita dei cristiani. Questo stile di accoglienza che abita gli ambienti della vita: l’università, la scuola, la salute, la carità, persino il mondo della politica dovrà trovare nei cristiani queste forme di responsabilità che li rendono particolarmente trasparenti ed incidenti.

    Ascoltiamo il commento di don Carmine Brienza, parroco della Chiesa di Santa Francesca Romana:

    R. – Io credo che il punto fondamentale sia quello di puntare sulla formazione di cristiani che nei loro ambienti siano capaci di dire che l’incontro con Gesù Cristo ha cambiato e reso bella la vita. Il punto è lì: la parrocchia deve impegnarsi perché attraverso una preghiera, sentita e vissuta come maggiore intensità, e soprattutto un investimento formativo porti i laici a rendere ragione della speranza che è in loro con la parola e l’esempio. Credo che la parrocchia debba ritornare a percorrere il fatto di essere un grembo generante, una testimonianza di fede più attiva.

    D. – Questi convegni aiutano pure le parrocchie ad avvicinarsi a quei parrocchiani che sono più lontani, che non frequentano…

    R. – Io direi che il grande tentativo è questo, cioè una parrocchia è fatta di tanti cerchi concentrici: ci sono i cosiddetti praticanti, poi ci sono quelli che vengono ogni tanto. Il punto è questo: riuscire a far sì che i laici si sentano impegnati non solo a venire in parrocchia, ma ad uscire fuori. La parrocchia è chiamata soprattutto nei momenti in cui anche i lontani le si avvicinano - sto parlando di funerali, sto parlando di matrimoni e di battesimo - e di gettare un seme che possa poi indurre le persone a tornare e a sperimentare la bellezza della fede.

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    A Strasburgo la "Messa per l’Europa" in onore dei Santi Cirillo e Metodio

    ◊   In spirito di partecipazione e fraternità, per commemorare il 1150.mo anniversario dell’arrivo nella Grande Moravia dei Santi Cirillo e Metodio, compatroni d’Europa, nella Cattedrale di Straburgo, si è svolta ieri sera una solenne concelebrazione, “Messa per l’Europa”, concelebrata dall’ordinario metropolitano, affiancato dai suoi ausiliari e dall’arcivescovo di Praga, il cardinale Dominik Duka che ha tenuto l’omelia. Sottolineando che oggi l’Europa ha più nemici all’interno che all’esterno, il porporato ha affermato che se la società contemporanea vuol difender il progetto di un’Europa comune evitando pusillanimi tentennamenti e il circolo vizioso della banalità e del vuoto, deve rifarsi alla fede sostenuta dalla ragione, e alla ragione illuminata dalla rivelazione divina. Nella Preghiera dei Fedeli si è invocata, tra l’altro, la luce per difendere e promuovere in Europa la dignità della persona umana e la libertà dalla schiavitù delle ideologie, dei poteri e del denaro. In un messaggio, letto dai rappresentanti europei al termine della celebrazione, è stato ribadito l’impegno per un’Europa non chiusa in sé stessa come una fortezza, ma solidale con le altre regioni della Terra, soprattutto verso i popoli lacerati dalla violenza, dalla fame e dall’ingiustizia. (A cura di Paolo Scappucci)

    Strasburgo è la sede sia del Parlamento dell’Unione Europea che dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa che ha organizzato l’iniziativa della Messa promossa dalla Repubblica ceca e dalla Slovenia, Paesi dove arrivarono da Oriente i Santi Cirillo e Metodio. A concelebrare mons. Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa:

    R. – L’Europa ha due anime, "due polmoni" – come diceva Giovanni Paolo II – che devono sempre più incontrarsi per creare un’Europa moderna, veramente “ricca”. L’anima, il polmone occidentale, tra i Patroni dell’Europa è rappresentato in particolare da Benedetto, e poi c’è l’anima orientale che è rappresentata appunto dai Santi Cirillo e Metodio che hanno una valenza storica, culturale, letteraria enorme. Io credo che sia interessante far conoscere queste personalità qui, presso il Consiglio d’Europa, qui a Strasburgo, in Occidente, appunto come contributo per questa Europa più ricca. Può essere un importante contributo per avvicinare anche il popolo e le varie tradizioni europee alle istituzioni. Cioè, troviamo molto interessante che ci sia attenzione alla cultura in genere, perché la cultura credo sia il luogo dove noi possiamo identificare l’identità europea che avrà un’identità geografica, storica, politica, economica ma a nostro avviso è soprattutto una questione culturale. E siamo molto interessati dal fatto che il Consiglio d’Europa abbia percepito che nel cuore delle culture ci sia la dimensione religiosa: è interessante sentire che si parla della dimensione religiosa e del dialogo interculturale. E oggi c’è questa coscienza che non si può pensare a un incontro di popoli, di cultura, eccetera senza considerare la dimensione religiosa. Oggi, siamo in un pluralismo religioso e quindi abbiamo questo grosso interrogativo di come convivere, come collaborare, come evitare delle tensioni, anche tensioni pericolose, e guardare positivamente a come contribuire all’Europa. Come esponenti di religioni siamo coscienti di avere alcuni capitoli che sono attesi anche dalle istituzioni. C’è il capitolo della coesione sociale, c’è il capitolo educativo, c’è il capitolo del senso stesso della vita, il capitolo della solidarietà … sono tutti capitoli dove il mondo politico diventa sempre più cosciente che le religioni hanno qualcosa da dire e quindi attendono un contributo.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Terra Santa: appello per le scuole cristiane di Gaza

    ◊   “E' giunto il momento che i Parlamenti, le istituzioni educative e tutto il mondo dell'istruzione alzino la voce su quello che potrebbe accadere presto a Gaza, facendosi ascoltare anche dai leader politici palestinesi: le nostre scuole sarebbero messe in crisi dalle nuove misure disposte da chi esercita il potere politico nella Striscia”. Così padre Faysal Hijazin, responsabile delle scuole del Patriarcato latino di Gerusalemme, contattato dall'agenzia Fides chiama alla mobilitazione internazionale il mondo dell'istruzione a difesa delle 5 scuole cristiane operanti nella Striscia di Gaza, che rischiano di essere pesantemente penalizzate da recenti provvedimenti del governo egemonizzato dagli islamisti di Hamas. Una legge emanata lo scorso aprile dal locale Ministero per l'istruzione – e destinata a entrare in vigore a settembre – stabilisce che d'ora in poi le classi di tutte le scuole di ogni ordine e grado dovranno obbligatoriamente essere divise in base al sesso, mentre gli insegnanti – uomini e donne - non potranno impartire lezioni a allievi dell'altro sesso con età superiore ai 9 anni. “Questo” fa notare padre Faysal “creerà problemi di gestione alle nostre scuole: dovremo trovare nuovi spazi, assumere nuovo personale”. Al di là dell'aspetto logistico, il provvedimento impressiona per la chiusura mentale che esprime: “Noi” fa notare padre Hijazin “lavoriamo per arricchire Gaza, aprendo alla varietà delle culture. La gente manda i figli alle nostre scuole proprio perchè possano assimilare questa apertura di sguardo”. Il responsabile delle scuole del Patriarcato smentisce invece le indiscrezioni secondo cui il governo di Hamas vuole impedire agli studenti musulmani di frequentare le scuole cristiane. “Finora non ho sentito niente del genere” ripete padre Hijazin. Anche il ministero dell'educazione a Gaza ha smentito tali voci circolate sulla stampa israeliana - bollandole come una “bugia infondata” mirante a creare tensione tra musulmani e cristiani – e ha ribadito che nella Striscia di Gaza ogni studente è libero di scegliere la scuola da frequentare. (R.P.)

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    Giordania: le conclusioni del Seminario sui media arabi cristiani

    ◊   “I media arabi cristiani al servizio della giustizia, della pace e dei diritti umani" è il titolo del seminario che si è svolto dal 10 all’11 giugno a Amman e al quale hanno partecipato il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, e mons. Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. Il seminario, aperto a vescovi, sacerdoti e laici, si è tenuto ad Amman al Centro cattolico di studi e di formazione per i media, diretto da don Rifaat Bader, sacerdote del patriarcato latino di Gerusalemme. Organizzato dal Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, questo colloquio si colloca sulla scia del sche si è svolto in Libano nell’aprile 2012, dal titolo “La comunicazione come strumento di evangelizzazione, di dialogo e di pace in Medio Oriente”. Durante le due giornate di lavori, i partecipanti al colloquio hanno riflettuto e lavorato insieme sulla questione del contributo che i media arabi cristiani danno al servizio della giustizia, della pace e dei diritti umani. Quale ruolo svolgono i media nella promozione del dialogo tra i popoli, le culture e le religioni? Come i media possono essere dei ponti di pace? A queste riflessioni hanno partecipato in particolare il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, mons. Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, Mohammad Momani, Ministro giordano per le Comunicazioni Sociali e Faisal Fayez, ex Primo Ministro giordano. Nel suo intervento, mons. Fouad Twal, ha ricordato le parole forti che Papa Francesco aveva rivolto ai rappresentanti dei mezzi di comunicazione, lo scorso 16 marzo “siamo chiamati tutti non a comunicare noi stessi, ma questa triade esistenziale che conformano verità, bontà e bellezza”. Il patriarca ha in seguito sottolineato, riprendendo un passaggio dell’Esortazione Apostolica Ecclesia in Medio Oriente (N. 25), che i cattolici del Medio Oriente “hanno il dovere e il diritto di partecipare pienamente alla vita della nazione, lavorando alla costruzione della loro patria fornendo il loro specifico contributo”. Per questa ragione mons. Twal ha sostenuto l’importanza delle scuole e delle Università del patriarcato come fattore di unità edi dialogo. Dal canto suo mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, ha insistito da parte sua sull’importanza del dialogo. “Per vivere in pace dobbiamo imparare a parlare, onestamente e rispettosamente, gli uni con gli altri” e “sensibilizzare il pubblico ai nostri valori comuni”. Gli strumenti tecnologici moderni devono aiutarci “a sviluppare tale dialogo fraterno” tra persone di diversi paesi, religioni e culture. Mons. Celli ha inoltre ricordato le reti sociali che permettono uno scambio di opinioni “mezzo per comprendersi ed apprezzarsi reciprocamente”. Alla fine del seminario i partecipanti hanno resa pubblica una dichiarazione finale nella quale si sottolinea il “ruolo principale e fondamentale dei media in diverse forme” che devono lavorare instancabilmente “al servizio della giustizia e dei diritti umani”. La dichiarazione insiste sulla necessità di “dialogo ed incontri con i musulmani per mezzo dei multimedia”. Infine, i membri del colloquio, nella preoccupazione costante di servire i diritti umani, lanciano un appello per la liberazione dei due vescovi ortodossi della Siria, mons. Youhanna Ibrahim, vescovo siriaco ortodosso di Aleppo e mons. Boulos (Paul) Yazigi, Metropolica greco ortodosso della stessa città, rapiti lo scorso 22 aprile. (R.P.)

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    Perù: la "Populorum Progressio" discute delle comunità indigene latinoamericane

    ◊   E’ in corso in Perù la riunione annuale del Consiglio di amministrazione della Fondazione Autonoma Populorum Progressio affidata, fin dalla sua fondazione nel 1992, al Pontificio Consiglio Cor Unum. Come ogni anno, i presuli che lo compongono sono chiamati a deliberare il finanziamento di progetti in favore delle comunità indigene, meticce, afroamericane e contadine dell'America Latina e dei Caraibi. Questa volta l’incontro si svolge in Arequipa, una delle città più importanti del Perù al sud della capitale Lima. L'agenzia Fides ha confermato la partecipazione dei membri del Consiglio: il card. Robert Sarah, presidente ex officio della Fondazione; mons. Edmundo Luis Flavio Abastoflor Montero, arcivescovo di La Paz, Bolivia, presidente del Consiglio di amministrazione; mons. Antonio Arregui Yarza, arcivescovo di Guayaquil, Ecuador, vicepresidente; mons. Óscar Urbina Ortega, arcivescovo di Villavicencio, Colombia; mons. Murilo Sebastião Ramos Krieger, arcivescovo di São Salvador de Bahia, Brasile; mons. Javier Augusto del Río Alba, arcivescovo di Arequipa, Perù; mons. Segundo Tejado Muñoz, rappresentante del Pontificio Consiglio Cor Unum. Nel corso della riunione è emerso che “i primi beneficiari della Populorum Progressio, in particolare le comunità indigene e contadine, devono essere le periferie "umane" (richiamandosi a quanto dice Papa Francesco che chiede di “stare attenti alle periferie”) in un continente che vive una fase di sviluppo economico significativo, ma che è caratterizzato da grandi diseguaglianze sociali, che penalizzano soprattutto quelle fasce di popolazione che restano ai margini di tale sviluppo”. Quest'anno sono stati presentati 222 progetti da parte di 18 Paesi, in particolare Colombia, Brasile, Perù ed Ecuador. I progetti sono caratterizzati da un approccio ampiamente partecipativo da parte delle comunità locali che contribuiscono in tutte le fasi del lavoro: dall’ideazione, alla realizzazione concreta in caso di approvazione. (R.P.)

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    Argentina: i rilievi dei vescovi alla nuova legge sulla fecondazione assistita

    ◊   Non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente e giuridicamente accettabile. La trasmissione della vita umana ha una dignità che «non può essere soggetta a parametri tecnici». Da qui la preoccupazione per «la legalizzazione di nuove forme di manipolazione di vite umane nella fase embrionale». Con un documento intitolato El embrión «es uno de nosotros», firmato dalla Commissione esecutiva, la Conferenza episcopale argentina torna a pronunciarsi sulle tecniche di procreazione artificiale consentite nel Paese dopo la recente approvazione, da parte del Parlamento, della legge sulla fecondazione assistita. Tali tecniche — riferisce l’Agencia informativa católica argentina — faranno d’ora in poi parte del «Programma medico obbligatorio» dei fondi di assistenza sanitaria privata, delle opere sociali e degli ospedali pubblici. Nelle loro riflessioni sull’approvazione della Ley de acceso integral a la reproducción médicamente asistida - riferisce L'Osservatore Romano - i vescovi ricordano di essere già intervenuti al riguardo in diverse occasioni «cercando di portare la speranza alle persone coinvolte in situazioni di infertilità e di sterilità, ma anche sottolineando che non tutto il tecnicamente possibile è eticamente e giuridicamente accettabile». In particolare, il 27 aprile 2012, in un documento si osservava che «nel caso si porti avanti la fecondazione extracorporea l’essere umano concepito in questa maniera ha lo stesso status, dignità e diritti di qualsiasi altro», e che tra i diritti in questione figura quello all’identità dei bimbi concepiti. La legge, all’articolo 2, dispone che le tecniche di procreazione artificiale si applichino per conseguire una gravidanza, «ma al di là delle considerazioni bioetiche di fondo — scrive la Commissione esecutiva — crediamo che ciò rifletta una finalità chiaramente riproduttiva nello spirito della legge che escluderebbe qualsiasi possibilità di distruggere embrioni». Tuttavia, dopo l’approvazione del provvedimento, «per limitare danni e contribuire al bene comune, è necessaria una espressa proibizione di qualsiasi forma di distruzione di embrioni umani o della loro utilizzazione per fini commerciali, industriali o di sperimentazione». L’Argentina, si osserva, «ha una saggia e umanistica tradizione giuridica di protezione della vita umana fin dal concepimento. Tale protezione, lungi dall’essere espressione di una visione religiosa, è manifestazione del rispetto che merita ogni vita umana e che sta alla base del funzionamento del sistema dei diritti umani». Sul piano internazionale — affermano i vescovi — si assiste a un intenso dibattito sulla protezione della vita embrionale. In Europa è stata lanciata l’iniziativa «Uno di noi» tesa a promuovere, nell’intero ambito della comunità europea, la tutela degli embrioni umani contro ogni forma di manipolazione e distruzione. Per questo «è importante affermare il riconoscimento dell’inizio della vita umana dall’esistenza dell’embrione». E i presuli argentini concludono ricordando che Papa Francesco in persona ha incoraggiato questa iniziativa durante il Regina Coeli del 12 maggio 2013 in Piazza San Pietro: «Invito a mantenere viva l’attenzione di tutti sul tema così importante del rispetto per la vita umana sin dal momento del suo concepimento», ha detto salutando i partecipanti alla marcia per la vita svoltasi quel giorno a Roma. In tale occasione il Papa ha ricordato anche la raccolta di firme tenutasi in molte parrocchie italiane al fine di sostenere appunto l’iniziativa europea «Uno di noi», per garantire — ha sottolineato — «protezione giuridica all’embrione, tutelando ogni essere umano sin dal primo istante della sua esistenza». (R.P.)

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    Rapporto sulla pace nel mondo: meno conflitti in Africa

    ◊   Dall’Afghanistan alla Siria i conflitti armati continuano e si inaspriscono, ma a sud del Sahara le cose sembrano andar meglio. Per lo meno stando agli autori del Global Peace Index, una classifica mondiale che mette l’Africa sopra il Medio Oriente, l’Asia meridionale e perfino la Russia. Nel rapporto, diffuso a New York dagli esperti dell’Istituto per la pace e l’economia, sono passati in rassegna dati, fatti e tendenze relativi a 162 Stati. La sintesi si fonda sull’analisi di 22 indicatori, che vanno dal livello delle spese militari ai rapporti con i Paesi vicini o alla percentuale di detenuti rispetto alla popolazione. “Nel suo complesso – scrivono i ricercatori – nel 2012 l’area sub-sahariana è stata più in pace del Medio Oriente, del Nord Africa, dell’Asia meridionale, della Russia e dell’Eurasia”. Il miglioramento è spiegato anzitutto con dinamiche economiche. “La crescita dei Paesi sub-sahariani – si sottolinea nel rapporto – ha superato negli ultimi due anni quella di qualsiasi altra regione; paradossalmente, poi, la tradizionale marginalizzazione dell’area l’ha protetta dalle conseguenze della crisi finanziaria globale”. In fondo alla graduatoria dell’area sub-sahariana ci sono Somalia, Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centrafricana, Paesi l’anno scorso e ancora adesso ostaggio di conflitti armati e violenze. L’Africa è però molto altro, come confermano i buoni piazzamenti delle Isole Mauritius, del Botswana e della Namibia ma anche i progressi di vicini storicamente difficili. Il giudizio generale non impedisce ai ricercatori di riconoscere come in diversi Paesi dinamiche economico-sociali o tensioni di carattere politico, abbiano messo la pace più a rischio che in passato. È il caso del Burkina Faso, dove l’aumento del costo della vita e l’inadeguatezza dei servizi garantiti dallo Stato sono stati all’origine di manifestazioni e disordini; o della Repubblica Centrafricana, dove lo scorso anno c’erano già gli ingredienti della crisi sfociata a marzo nella caduta del presidente François Bozizé. Al di là di questa e altre situazioni di conflitto, le tendenze riscontrate a sud del Sahara risaltano anche alla luce delle difficoltà politiche ed economiche a livello mondiale. Secondo il Global Peace Index, tra il 2008 e il 2012 nei cinque continenti la pace è “diminuita” del 5%. Una regressione alla quale hanno contribuito i combattimenti e gli attentati in Somalia ma anche e soprattutto la guerra in Afghanistan e il conflitto civile cominciato in Siria nel 2011. Di sicuro, la violenza non ha solo conseguenze umanitarie. Nel rapporto si calcola che la pace vale ogni anno l’11% del Prodotto interno lordo mondiale, più o meno 9460 miliardi di dollari. (R.P.)

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    Congo: appello per i tre religiosi rapiti otto mesi fa nel Nord Kivu

    ◊   “A otto mesi precisi dal sequestro chiediamo ai rapitori di dare prova di umanità e di rilasciare immediatamente e senza condizioni i nostri confratelli. La pratica del rapimento, aggravatasi anche ai danni dei civili, non è certamente un metodo che può dare peso e credito politico a un gruppo armato”: è l’appello rivolto all'agenzia Misna da padre Protais Kabila Kalondo, provinciale in Africa della congregazione degli Agostiniani dell’Assunzione. Lo scorso 19 ottobre i suoi confratelli Jean-Pierre Ndulani, Anselme Wasinkundi e Edmond Bamutute, tutti cittadini congolesi, sono stati portati via da uomini armati da un convento della parrocchia di Nostra Signora dei Poveri a Mbau, a una ventina di chilometri a nord dalla città di Beni, nella provincia del Nord Kivu. I sospetti erano caduti su un nuovo movimento politico-militare, l’Unione per la riabilitazione della democrazia in Congo (Urdc), sui ribelli ugandesi delle Adf-Nalu – attivi nella zona e in passato già responsabili di azioni simili – e sulla ribellione del Movimento del 23 marzo (M23), pare infiltrata a Beni. “Da allora è il buio totale. Questo rapimento è un vero e proprio mistero per la nostra comunità, per la chiesa locale e per la popolazione” dice padre Kalondo, aggiungendo: “Ci sentiamo impotenti e preoccupati, poiché finora non abbiamo in mano elementi decisivi e temiamo sempre di più per la loro sorte”. Dallo scorso ottobre né le diverse telefonate ricevute dal provinciale degli Agostiniani né le ricerche fatte sul terreno sono riuscite a stabilire con certezza l’identità dei responsabili del rapimento, mai formalmente rivendicato. “La cosa più sconcertante è la mancanza di interesse e di sostegno nelle ricerche sia da parte del governo locale che da Kinshasa, da parte delle forze di sicurezza congolesi e della locale missione Onu” denuncia l’interlocutore della Misna, precisando che la parrocchia di Nostra Signora dei Poveri si trova a pochi passi da una base della locale missione delle Nazioni Unite (Monusco). In prima fila nella vicenda dei tre religiosi rapiti c’è la Chiesa locale, in particolare il vescovo della diocesi di Butembo-Beni, monsignor Paluku Sikuly Melchisedech, e – sottolinea padre Kalondo – tutte le congregazioni missionarie che “hanno attivamente partecipato alle ricerche assieme alla popolazione locale che si è unita alle nostre preghiere”. Ma, al di là della vicenda dei tre Assunzionisti, padre Kalondo lancia un grido d’allarme per sequestri divenuti sempre più frequenti nella diocesi. “Negli ultimi mesi la situazione non ha fatto che peggiorare. Più di una ventina di civili è stata sequestrata nella totale indifferenza, anche dei militari che dovrebbero proteggere la popolazione” denuncia il provinciale della congregazione, molto attiva nel settore dell’istruzione in Congo, dove gestisce scuole secondarie e un istituto superiore di filosofia, comunicazione e sviluppo. Nella provincia dell’Africa la congregazione degli Agostiniani dell’Assunzione è presente anche in Uganda, Tanzania, Kenya, Togo e Burkina Faso con in tutto 320 religiosi e preti. Rivolgendosi alla comunità internazionale, padre Kalondo auspica “un coinvolgimento con fatti e non solo a parole per ristabilire finalmente la pace in Congo” e per “garantire la sicurezza quotidiana della gente rapita, stuprata e per paura costretta ad abbandonare i campi coltivati”. (R.P.)

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    Alluvioni: Nepal e India mandano l’esercito per salvare le vittime

    ◊   “Le alluvioni ci hanno colpito in modo grave. Stiamo facendo del nostro meglio per minimizzare le perdite e salvare quante più vite umane possiamo”. A parlare all'agenzia AsiaNews è Vijay Bahugun, chief minister dell'Uttarkhand, lo Stato indiano più colpito dalle piogge torrenziali che da giorni si abbattono sul nord dell'India e sulle regioni occidentali del Nepal. I due governi hanno dispiegato ogni forza possibile, incluso l'esercito, per contenere l'emergenza. A oggi il bilancio ufficiale parla di oltre 130 morti e almeno 100mila pellegrini indù bloccati. Case e infrastrutture riportano danni gravi. Secondo i dati diffusi dalle autorità, in Nepal 35 persone sono morte travolte dal fango e 2500 case sono state spazzate via. Migliaia di persone attendono ancora i soccorsi. Almeno 2mila pellegrini indù indiani si trovano bloccati in varie zone dell'area occidentale. Ponti e strade sono inagibili, e questo rende più difficili le operazioni di soccorso. Data l'emergenza, ieri sera il governo ha sbloccato 10 milioni di rupie (circa 79.500 euro) e messo a disposizione quattro elicotteri. Il Nepal non ha un'adeguata preparazione nella gestione e nella prevenzione dei disastri. Così, ogni anno l'inizio della stagione delle piogge provoca danni ingenti. Intanto, in India il bilancio è fermo - per il momento - a 70 vittime e 75mila pellegrini indù bloccati. I fedeli erano diretti al Char-Dham, noto centro spirituale induista, vicino al Nepal occidentale. Il chief minister dell'Uttarkhand spiega che "i danni più gravi sono intorno all'area di Kedarnath. Ho già parlato con il governo centrale e con il nostro primo ministro Manmohan Singh per chiedere aiuto. Egli mi ha garantito che manderà almeno 10 elicotteri in più e altro equipaggiamento". L'amministrazione locale ha già dispiegato una decina di elicotteri per favorire le operazioni di soccorso. Secondo Bahugun si tratta dell'alluvione peggiore dal 1960 e potrebbe causare gravi perdite per l'India intera. (R.P.)

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    Sud Corea: una nuova cattedrale sul confine per riconciliare Seoul e Pyongyang

    ◊   Una nuova cattedrale dedicata al perdono e all'espiazione sarà inaugurata il prossimo 25 giugno sul confine che separa le due Coree, in occasione delle celebrazioni per ricordare il 60mo anniversario dell'armistizio che mise fine alla guerra che divise la penisola. Secondo la Conferenza episcopale del Sud, la nuova chiesa "vuole essere un simbolo evidente della voglia di pace e di riconciliazione nel Paese". Il luogo di culto si trova a Paju, a circa 50 chilometri a nord di Seoul. La messa inaugurale - riferisce l'agenzia AsiaNews - sarà celebrata dal cardinal Nicholas Cheong Jin-suk, arcivescovo emerito della capitale: "La chiesa - afferma il porporato - rappresenta il desiderio di pace, unità e riconciliazione che anima il popolo coreano". Nel corso della funzione "si pregherà per coloro che sono morti in guerra e per chiedere a Dio di donarci la serenità". Il parroco sarà padre Lee Eun-hyung, direttore della Commissione episcopale per la riconciliazione del popolo coreano. La costruzione dell'edificio inizia nel 1997, quando un gruppo di cattolici fuggiti dalla Corea del Nord decise di acquistare il terreno e di donarlo alla Chiesa locale proprio per la costruzione di un "segnale di speranza e di pace". Dall'aprile del 2006 il progetto è stato seguito dall'arcidiocesi di Seoul, che ne ha finanziato i lavori. All'interno si trovano dei mosaici commissionati agli artisti del Mansudae Art Studio, che si trova nel Nord: rappresentano martiri di Pyongyang e della provincia di Hwanghae, le zone più colpite dalla persecuzione religiosa. L'esterno è stato invece disegnato sulla base della cattedrale Jinsadong, costruita nel 1926 e distrutta dai comunisti. Accanto alla chiesa sorge da diversi anni il Centro per la riconciliazione nazionale, sempre gestito dalla comunità cattolica, dove i profughi in fuga dal regime di Pyongyang vengono accolti e possono seguire dei corsi per l'inserimento sociale e per trovare un impiego. Inoltre, qui vengono formati nuovi missionari da impiegare nel dialogo e negli scambi religiosi con il Nord. Il direttore del Segretariato dell'arcidiocesi di Seoul, padre Mattia Hur Young-yup, dice ad AsiaNews: "Per raggiungere la riunificazione, la cosa più importante che la Chiesa coreana può fare è pregare ed educare. La Commissione per la riconciliazione si impegna da anni nel campo dell'educazione, per aiutare i coreani del Sud a capire meglio i fratelli del Nord e ridurre così i problemi di comunicazione. La nostra migliore speranza è il dialogo". (R.P.)

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    Sri Lanka: nasce la prima web radio cattolica del Paese

    ◊   Sfruttare le potenzialità dei nuovi media per portare la Parola di Dio tra i giovani dello Sri Lanka e affrontare temi d'urgenza sociale con uno sguardo cattolico. È con questo obiettivo che il Centro per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale ha deciso di creare la prima web radio cattolica del Paese. "Oggi - spiega all'agenzia AsiaNews padre Benedict Joseph, direttore nazionale del Centro - i nuovi media giocano un ruolo sempre più importante nella società, e abbiamo pensato che anche noi potevamo fare la nostra parte". In particolare, nota il sacerdote, "i media che sfruttano le potenzialità di internet sono gli strumenti migliori per raggiungere i giovani e i bambini e metterli in contatto tra loro. Abbiamo osservato il lato positivo di questo fenomeno, a livello mondiale e locale. In Sri Lanka al momento ci sono molte stazioni radio, noi vogliamo ritagliarci un nostro spazio per usare nel miglior modo possibile questo media". Il sito è ancora in costruzione e la radio andrà in onda dalla prossima settimana, tra il 26 e il 28 giugno. Al momento la programmazione sarà cattolica al 100% e i dj saranno sacerdoti, suore e laici. "Trasmetteremo Messe - sottolinea padre Benedict - programmi devozionali, interviste a esperti e dibattiti sulle Scritture. Ma in futuro vogliamo aprire anche a temi sociali di più ampio respiro, che possiamo considerare importanti per la comunità". All'inizio le trasmissioni saranno tutte in lingua singalese. "Il primo obiettivo - nota - è raggiungere questa ampia fetta della popolazione, ma abbiamo il progetto di variegare l'offerta e trasmettere anche in lingua tamil e inglese". La comunità singalese rappresenta la maggioranza della popolazione dello Sri Lanka (73,8%) ed è per lo più buddista (60% circa), la religione di Stato. I tamil sono il 18% della popolazione e quasi tutti sono di religione cattolica (il 6%). In generale gli srilankesi di lingua inglese - considerata dalla Costituzione "lingua ponte" tra le due comunità - sono circa il 10%. Sul sito della radio, spiega il sacerdote "i contenuti saranno prevalentemente in inglese, con qualche parte in singalese e tamil". La creazione di una radio cattolica risponde alle indicazioni date da Benedetto XVI per la 47ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, dedicata alle "Reti sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione". In Sri Lanka l'iniziativa acquista valore anche per la situazione in cui versa la libertà di parola e di stampa: attivisti locali e internazionali accusano da anni il governo di violare questi diritti fondamentali, portando come prove le morti (e le sparizioni) in circostanze misteriose di 19 giornalisti dal 1992 a oggi. La web radio è un modo per dare voce a un'altra parte del Paese. Per padre Benedict però "bisogna essere molto prudenti e attenti. [Con un simile mezzo] si possono fare molte cose, se le facciamo nel modo giusto. Possiamo mandare messaggi che parlano di coesistenza, pace e armonia tra la popolazione. Se si ha un obiettivo, non è utile perseguirlo creando controversie e situazioni spiacevoli". (R.P.)

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    Ecuador: approvata la nuova legge sulle comunicazioni

    ◊   Con 108 voti a favore, 26 contro e una astensione, è stata approvata la nuova legge sulle comunicazioni, dopo quattro anni di attesa. L'approvazione è stata fatta senza discussione (la discussione era già stata fatta nella precedente sessione legislativa). Secondo i suoi sostenitori, la legge cerca di democratizzare i mezzi di comunicazione, anche se i media privati e l'opposizione l'hanno chiamata "legge bavaglio". Secondo una nota inviata all'agenzia Fides, tra le novità che presenta, c'è l’introduzione del reato di "linciaggio mediatico", derivante dalla pubblicazione ripetuta di informazioni al fine di screditare o ridurre la credibilità pubblica di persone fisiche o giuridiche. La legge prevede inoltre l’istituzione della Soprintendenza per l’informazione e la comunicazione, un organismo incaricato del monitoraggio, della vigilanza e del controllo. Un altro organismo creato dalla nuova legge è il Consiglio per regolamentare i media, che avrà poteri in settori su: l'accesso all’informazione, contenuti e fascia oraria, elaborazione di regole particolari e normative per l'assegnazione delle frequenze. La legge vieta anche la concentrazione delle frequenze radio e la televisione che saranno così distribuite: 33% ai privati, 33% allo Stato (servizio pubblico) e 34% alle istituzioni comunitarie. La legge è stata approvata proprio in questi giorni, nei quali la comunità cattolica celebra in Ecuador il 26° anniversario dell'Organizzazione Cattolica di Comunicazione Latinoamericana e dei Caraibi, Oclacc, creata il 17 giugno 1987, quando tre organizzazioni cattoliche di comunicazione in America Latina (Ocic-Al, film; Uclap, stampa e Unda-Al, radio), decisero di lavorare insieme attorno ad un piano comune. L’Oclacc ha ribadito il proprio impegno e la sua missione di contribuire "alla costruzione di un mondo più solidale e giusto" per mezzo di iniziative, azioni e progetti “illuminati dalla fede in Cristo e in comunione con la Chiesa". (R.P.)

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    Congo: appello alla pace nel Katanga

    ◊   La società civile del Katanga, nel sud-est della Repubblica Democratica del Congo, ha lanciato un nuovo appello perché si affrontino i problemi di sicurezza nella provincia derivanti dalla presenza del gruppo Mai-Mai Bakata Katanga. “Da mesi abbiamo proposto una conferenza di pace in Katanga per affrontare i diversi problemi economici, politici e sociali della nostra Provincia ” ha affermato Pierre Muteba, presidente della società civile del Katanga. Secondo Muteba diversi gruppi di ribelli Mai-Mai Bakata Katanga sono attivi nei pressi di Lubumbashi, la capitale provinciale, e da tre mesi costituiscono una minaccia per la città. Il 16 giugno in uno scontro tra ribelli ed esercito, un soldato è morto mentre sono stati registrati diversi feriti da entrambe le parti. I ribelli si sono resi responsabili di violenze contro la popolazione civile e in particolare contro la minoranza pigmea. I Mai-Mai Bakata Katanga sembrano propugnare idee secessioniste ma secondo la stampa congolese dietro questo gruppo si nasconderebbe uno scontro per la successione al Presidente Kabila, quando questi dovrà lasciare il potere nel 2016, perché non potrà più candidarsi. (R.P.)

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    Albania: la Chiesa chiede di votare per il bene del Paese

    ◊   “Spero che non ci siano dei disordini” e “auguro che ogni cittadino che vuole il bene del Paese vada a votare e scelga quel partito che ritenga sia meno dannoso per l’Albania di domani. Si tratta di scegliere il male minore in questa fase di transizione che sembra non finire più”. È l’auspicio di Albert P. Nikolla, portavoce dei vescovi d’Albania, in vista delle elezioni politiche di domenica 23 giugno. Nelle scorse settimane l’episcopato albanese ha diffuso un documento in cui invita, tra l’altro, a “prendere parte alle elezioni come occasione di partecipazione attiva alla vita pubblica del Paese”. In un’intervista all'agenzia Sir, Nikolla sottolinea che “i credenti hanno accolto con molto favore il pronunciamento della Chiesa sulle elezioni”, in modo particolare “in questo momento in cui la campagna elettorale è molto confusa. Per questo il documento era indispensabile”. In Albania, spiega il portavoce, “da quando è caduto il comunismo, solo le elezioni del 1992 non sono state contestate. Ogni volta ci sono accuse di brogli, pressioni, furti e altro. Il Paese non è riuscito ancora a organizzare delle elezioni che non siano contestate. Questo perché esiste una mentalità della politica come potere 'su’ e non come potere 'per’ (per dirla con Hans Jonas) e per questo motivo, ogni azione che permette di avere il potere è lecita”. Secondo Nikolla, “sia i partiti di destra sia quelli di sinistra sono ancora schiavi di una mentalità comunista, dove la bugia era totalitaria, e sono pronti a fare dei brogli, qualora questo fosse possibile. Per le votazioni ci sono anche gli osservatori internazionali, ma questi non sono in grado di osservare il voto anche dal punto di vista sostanziale, ossia capire se un cittadino è libero di votare o se subisce pressioni quando è a casa sua o al posto di lavoro. Gli osservatori vedono solo la parte formale del voto nei seggi elettorali. Questo non basta per avere un giudizio veritiero sull’esito elettorale”. I vescovi, prosegue il portavoce, “avevano ragione, nel loro documento, nel puntare l’accento sulle proposte programmatiche, ma anche su questo argomento, ahimè, i partiti seguono la loro logica: niente proposte serie basate su programmi seri ma battute e barzellette, attacchi personali e familiari sugli avversari. I dibattiti tv sono quasi miserabili. Ciò avviene perché non ci sono programmi politici seri che derivino da una politica seria”. Eppure questa tornata elettorale è molto importante per il futuro dell’Albania, anche in chiave europea. Ma anche “l’Europa - conclude - è strumentalizzata in chiave elettorale dai politici: loro non sono seriamente intenzionati e desiderosi di portare l’Albania verso l’Ue”. (R.P.)

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    Bonn: Convegno mondiale su "Il futuro della crescita, valori economici e media"

    ◊   "I giovani vogliono prendere il loro destino nelle loro mani e benessere per tutti nel tempo della globalizzazione", possono essere l’essenza del messaggio lanciato da Guido Westerwelle, ministro degli Affari Esteri tedesco, al VI Forum globale sul tema: “Il futuro della crescita, valori economici e media”, che si è concluso ogg a Bonn. La globalizzazione dei valori è un tema particolarmente caro al ministro tedesco, che si è sempre battuto contro le disuguaglianze che si registrano oggi nell’Unione Europea e nel mondo intero, dove cambiamenti climatici, disoccupazione in aumento, tensioni sociali, politiche e culturali, che, purtroppo, a volte, sono sfociate in tragedie, hanno creato un’Europa sempre più divisa. Al mancato equilibrio tra profitti e valori, al divario che si presenta sempre più profondo tra ricchi e poveri, come il filosofo Auram Noam Chomsky ha evidenziato, sono stati proposti nuovi scenari, quali economia verde, giustizia sociale e responsabilità ambientale, nuove realtà sociopolitiche per salvaguardare il nostro ecosistema e stabilizzare la coesione sociale. Eric Betterman, direttore generale della Deutsche Welle, è stato ancora più esplicito, affermando: “Un insieme di valori, internazionalmente riconosciuti, è il punto cruciale della globalizzazione. Noi giornalisti dobbiamo creare questa coscienza nel mondo intero”. In altre parole, tutti sembrano concordare con le parole di Benedetto XVI, che ha insegnato per oltre quattro anni, nell’Università di Bonn, e che cioè, è necessario “ripensare i parametri economici per assicurare una vita degna a tutti” e costruire così un’Europa di valori condivisi. E per intenderci, profitto e valori non sono in antitesi, ma in armonia. Non si possono, infatti, ottenere profitti senza valori antropologici comuni, perché gli affari necessitano regole, come ha affermato anche l’ex ministro olandese, Aart De Geus, adesso presidente e Ceo della Bertelsmann Stiftung. Il futuro europeo e la sua crescita non possono fare a meno di relazionarsi a quel senso profondo di appartenere a una tradizione spirituale e intellettuale comune, di possedere una sorgente comune di rispetto per gli stessi valori, perché tutti creati con una stessa dignità e un identico valore supremo. Quest’anno, il VI Forum globale, organizzato da Deutsche Welle, è coinciso con il 60.mo anniversario di questa benemerita organizzazione, di cui Bernd Neumann, commissario federale per la cultura e i media in Germania ha detto: "Deutsche Welle non comunica solo valori universali, come libertà e diritti umani, ma ha anche costruito sempre ponti tra culture”. (Da Bonn, Enzo Farinella)

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    Il card. Bagnasco: senza lavoro si rischia il suicidio sociale

    ◊   Senza lavoro “si rischia il suicidio sociale”. Lo ha affermato il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, a margine della presentazione dell’iniziativa “Dieci piazze per Dieci Comandamenti” la cui tappa genovese - riporta l'agenzia Sir - si svolgerà sabato sera ed avrà per tema il comandamento “Non rubare”. Senza lavoro, ha rimarcato il cardinale, “si rischia il suicidio, non parlo di quello personale, spero, ma di quello sociale”. Il furto della speranza per le nuove generazioni, ha spiegato, “certamente si identifica soprattutto, ma non solo, con il tema del lavoro perché senza lavoro non c’è progettualità nella vita di un giovane, non è possibile formarsi una famiglia e la famiglia è la ricchezza fondamentale”. Ma, ha proseguito, la mancanza di lavoro “non è l’unico modo per rubare il futuro ai giovani e ai non giovani”. L’arcivescovo ha poi affrontato il fenomeno dei furti per fame, soprattutto nei supermercati, che ha definito "un fenomeno nuovo per i nostri tempi ed è qualcosa su cui riflettere”. “Mi pare, però - ha detto il porporato - che molti si interrogano su queste cose” cogliendo, “pur nella fermezza del principio, un atteggiamento non immediatamente aggressivo, di prudente giudizio, di comprensione e attenzione”. Il cardinale ha sottolineato come “per diversi motivi, anche di legge, lo spreco è molto grande, grandissimo. Dai pasti caldi invenduti ogni giorno ai cibi in scadenza, tutto questo può costituire un patrimonio sano da mettere in circolo: basta che ci sia la generosità di molti nell’organizzazione di catene tempestive. Credo che sia questa la prima linea di affronto”. Commentando il comandamento “Non rubare” il cardinale ha affermato che “basterebbe che tutti pagassimo il giusto delle tasse e non esisterebbe assolutamente il debito pubblico, tutto sarebbe risanato e quindi anche l’economia potrebbe avere più respiro e più agio per riprendersi e rilanciarsi”. Questo “è un punto fermo che fa parte del comandamento della giustizia”. Però “bisogna fare anche alcune altre considerazioni e, cioè, che i doveri siano anche proporzionati a un’equità delle diverse situazioni, dei diversi lavori e introiti perché, altrimenti, si può incentivare il malaffare, si può incentivare la non assoluzione di un debito, si può incentivare l’evasione fiscale”. Infine, per l’arcivescovo, “è certamente un principio di equità quello per cui chi ha di più, nel senso di guadagno e di possibilità, paghi di più”, così come è un altro principio di equità quello secondo cui “tutti dovremmo ascoltare la nostra coscienza”. (R.P.)

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    Si è spento Adriano Bompiani: ha saputo coniugare "sapere medico e fede cristiana"

    ◊   “Scienziato di fama internazionale”, ha saputo coniugare “con passione e raffinatezza il rigore del sapere medico con la sapienza della sua fede cristiana". Paola Ricci Sindoni, presidente nazionale di Scienza & Vita, ricorda “con commozione e gratitudine”, a nome di tutta l‘associazione, la figura di Adriano Bompiani, scomparso ieri al Policlinico universitario Gemelli di Roma. Era nato nella capitale il 19 febbraio del 1923. “Socio fondatore, pensatore acuto e finissimo delle problematiche bioetiche, scienziato di fama internazionale su questioni legate all‘inizio della vita umana, operatore sanitario della maternità nel Policlinico Gemelli, educatore di generazioni di medici nell‘Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma", lo definisce Ricci. Già senatore della Repubblica e ministro per gli Affari sociali, “anima del Comitato nazionale di bioetica, sempre presente e disponibile ad offrire il suo contributo scientifico e intellettuale alle grandi questioni etiche che attraversano il nostro Paese”, prosegue la presidente di Scienza & Vita, Bompiani lascia un’eredità “che continueremo a sviluppare e a trasmettere. Certi, come lo era lui, che la vita non è tolta, ma solo mutata e illuminata nella prospettiva dell‘Eterno”. Come rappresentante del Comitato Nazionale, ha fatto costantemente parte dal 1993 sino ad oggi del Comitato direttivo per la Bioetica del Consiglio d’Europa (Strasburgo) mentre nel 1994 è chiamato dal direttore dell’Unesco, Federico Major, a far parte del Comitato Internazionale di Bioetica. Dal 1999 al 2001 è stato presidente dell’Ospedale pediatrico “Bambino Gesù”. Dal 2002 al 2007, direttore dell’Istituto Scientifico Internazionale “Paolo VI” di ricerca sulla fertilità ed infertilità umana per una procreazione responsabile – Centro di Regolazione Naturale della Fertilità presso l’Università Cattolica di Roma. Straordinario e senza sosta è stato il suo impegno per i temi bioetici, pubblicando numerosi saggi, su vari argomenti di etica medica in particolare sulla procreazione e sulla medicina riproduttiva. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 170

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