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Sommario del 18/06/2013
Papa Francesco: perdonare i nemici ci fa assomigliare a Gesù
◊ Amare i nemici è difficile, ma è quello che ci chiede Gesù: è quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che per perdonare i nostri nemici, è fondamentale pregare per loro, pregare il Signore che cambi il loro cuore. Alla Messa, concelebrata con il cardinale Giuseppe Versaldi, ha preso parte un gruppo di collaboratori della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede e un gruppo di collaboratori dei Musei Vaticani. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Come possiamo amare i nostri nemici? Nella sua omelia, Papa Francesco ha posto delle domande lancinanti, menzionando alcuni drammi dell’umanità. Come si possono amare, si è chiesto, quanti “prendono la decisione di fare un bombardamento e ammazzare tante persone”? E ancora, come si “possono amare quelli che per amore dei soldi non lasciano che le medicine arrivino agli anziani e li lasciano morire”? O quelli che cercano soltanto “il proprio interesse, il proprio potere e fanno tanto male”? “Sembra una cosa difficile da fare amare il nemico”, ha osservato, ma Gesù ce lo chiede. La liturgia di questi giorni, ha proseguito, ci propone proprio questo “aggiornamento della legge che fa Gesù”, dalla legge del Monte Sinai alla Legge del Monte della Beatitudini. Ed ha sottolineato che tutti noi abbiamo nemici, ma infondo noi stessi possiamo diventare nemici degli altri:
“Anche noi tante volte diventiamo nemici di altri: non vogliamo loro bene. E Gesù ci dice che noi dobbiamo amare i nemici! E questo non è facile! Non è facile… Anche pensiamo che Gesù ci chiede troppo! Lasciamo questo per le suore di clausura, che sono sante; lasciamo questo per qualche anima santa, ma per la vita comune questo non va. E questo deve andare! Gesù dice: ‘No, dobbiamo fare questo! Perché al contrario voi siete come i pubblicani, come i pagani. Non siete cristiani’”.
Come possiamo dunque amare i nostri nemici? Gesù, ha detto Papa Francesco, "ci dice due cose": innanzitutto guardare al Padre che “fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni” e “fa piovere sui giusti e gli ingiusti”. Dio “ha amore per tutti”. E poi, ha continuato, Gesù ci dice di essere “perfetti come è perfetto il Padre Celeste”, “imitare il Padre con quella perfezione dell’amore”. Gesù, ha soggiunto, “perdona i suoi nemici”, “fa tutto per perdonarli”. Vendicarsi invece, ha avvertito, non è cristiano. Ma come possiamo dunque riuscire ad amare i nostri nemici? Pregando. “Quando uno prega per quello che ci fa soffrire – ha affermato il Papa – è come se il Signore viene con l’olio e prepara i nostri cuori alla pace”:
“Pregare! E’ quello che Gesù ci consiglia: ‘Pregate per i vostri nemici! Pregate per quelli che vi perseguitano! Pregate!’. E dire a Dio: ‘Cambiagli il cuore. Ha un cuore di pietra, ma cambialo, dagli un cuore di carne, che senta bene e che ami’. Soltanto lascio questa domanda e ciascuno di noi risponde nel suo cuore: ‘Io prego per i miei nemici? Io prego per quelli che non mi vogliono bene?’ Se noi diciamo di ‘sì’, io dirò: ‘Vai avanti, prega di più, quella è una buona strada’. Se la risposta è ‘no’, il Signore dice: ‘Poveretto. Anche tu sei nemico degli altri!’. Pregare perché il Signore cambi il cuore di quelli. Anche possiamo dire: ‘Ma questo me ne ha fatta una grossa’, o questi hanno fatto cose cattive e questo impoverisce le persone, impoverisce l’umanità. E con questo argomento vogliamo portare avanti la vendetta o quell’occhio per occhio, dente per dente”.
E’ vero, ha ribadito Papa Francesco, l’amore per i nemici “ci impoverisce”. Ma “ci fa poveri” come Gesù “quando è venuto da noi, si è abbassato e si è fatto povero” per noi. Qualcuno, ha osservato, potrebbe dire che questo non è un buon affare “se il nemico mi fa più povero” e certo, “secondo i criteri del mondo non è un buon affare”. Ma questa, ha detto, è “la strada che ha fatto Gesù”, che da ricco si è fatto povero per noi. In quella povertà, “in quell’abbassamento di Gesù – ha sottolineato – c’è la grazia che ci ha giustificati tutti, ci ha fatto ricchi”. E’ il “mistero di salvezza”:
“Col perdono, con l’amore al nemico, noi diventiamo più poveri: l’amore ci impoverisce, ma quella povertà è seme di fecondità e di amore per gli altri. Come la povertà di Gesù è diventata grazia di salvezza per tutti noi, ricchezza… Noi che siamo oggi alla Messa, pensiamo ai nostri nemici a quelli che non ci vogliono bene: sarebbe bello che offrissimo la Messa per loro: Gesù, il sacrificio di Gesù, per loro, per loro che non ci amano. E anche per noi, perché il Signore ci insegni questa saggezza tanto difficile, ma tanto bella perché ci fa assomigliare al Padre, al nostro Padre e fa uscire il sole per tutti, buoni e cattivi. E ci fa assomigliare al Figlio, a Gesù, che nel suo abbassamento si è fatto povero per arricchirci, a noi, con la sua povertà”.
Il Papa alla diocesi di Roma: portate Gesù con coraggio, pazienza e gioia
◊ Un invito ad essere testimoni coraggiosi e pazienti del Vangelo in una città in cui molti vivono senza la speranza che viene da Cristo. E’ quello che Papa Francesco ha rivolto ieri sera, nella sua catechesi, alla diocesi di Roma che così ha aperto la tre giorni del suo Convegno ecclesiale sul tema “Cristo, tu ci sei necessario!- La responsabilità dei battezzati nell’annuncio di Gesù Cristo". Migliaia i fedeli dentro e fuori l’Aula Paolo VI, che il Pontefice ha salutato affettuosamente al suo arrivo. Ad accoglierlo un commosso cardinale vicario, Agostino Vallini, che gli ha assicurato: "Padre Santo, noi vogliamo essere con Lei". Il servizio di Gabriella Ceraso:
Un interminabile applauso, le voci e l’orchestra della diocesi di Roma e poi un suggestivo gioco di luci: così l’Aula Paolo VI accoglie un sorridente Papa Francesco che subito fa della sua catechesi un dialogo tra Vescovo e popolo, appassionato e coinvolgente, sulle orme di San Paolo. Da battezzati “non siete più sotto la legge ma sotto la grazia”: le parole dell’Apostolo sono lo spunto per spiegare modi e mezzi dell’evangelizzazione a partire dalla grazia, che è quella che il Padre ci dà attraverso Gesù Cristo morto e risorto, che ci ha amati, salvati e perdonati. La grazia è dunque un orizzonte di gioia, è la libertà dei figli di Dio: accoglierla ci trasforma la vita facendoci da peccatori, santi, come accaduto a San Paolo. Ci cambia il cuore rendendolo capace di amare:
"E, diceva il profeta Ezechiele, che da un cuore di pietra lo cambia in un cuore di carne. Cosa vuol dire, questo? Un cuore che ama, un cuore che soffre, un cuore che gioisce con gli altri, un cuore colmo di tenerezza per chi, portando impresse le ferite della vita, si sente alla periferia della società. L’amore è la più grande forza di trasformazione della realtà, perché abbatte i muri dell’egoismo e colma i fossati che ci tengono lontani gli uni dagli altri. E questo è l’amore che viene da un cuore mutato, da un cuore di pietra che è trasformato in un cuore di carne, un cuore umano. E questo lo fa la grazia, la grazia di Gesù Cristo che noi tutti abbiamo ricevuto".
La grazia non si compra e non si vende, è dono gratuito: prendiamola e gratuitamente, doniamola ai fratelli. Quindi, il riferimento del Pontefice va alla realtà romana e ai tanti, specie i giovani, che cercano inutilmente la speranza da una società che però non può darla e spesso, come soluzione, trovano il suicidio:
"In mezzo a tanti dolori, a tanti problemi che ci sono qui, a Roma, c’è gente che vive senza speranza. Ciascuno di noi può pensare, in silenzio, alle persone che vivono senza speranza e sono immerse in una profonda tristezza da cui cercano di uscire credendo di trovare la felicità nell’alcol, nella droga, nel gioco d’azzardo, nel potere del denaro, nella sessualità senza regole… Ma si ritrovano ancora più delusi e talvolta sfogano la loro rabbia verso la vita con comportamenti violenti e indegni dell’uomo. Quante persone tristi, quante persone tristi, senza speranza!
La speranza è come la grazia, non si può comprare, è un dono di Dio. Da qui, indica Papa Francesco, il compito dei cristiani:
"Noi dobbiamo offrire la speranza cristiana con la nostra testimonianza, con la nostra libertà, con la nostra gioia. Il regalo che ci da Dio della grazia, porta la speranza. Noi, che abbiamo la gioia di accorgerci che non siamo orfani, che abbiamo un Padre, possiamo essere indifferenti verso questa città che ci chiede, forse anche inconsapevolmente, senza saperlo, una speranza che l’aiuti a guardare il futuro con maggiore fiducia e serenità? Noi non possiamo essere indifferenti".
E come possiamo offrire la speranza? Chiede nuovamente il Papa ai fedeli in un dialogo sempre più intenso. Con il sorriso, ma soprattutto con la testimonianza, senza la quale, dice il Pontefice, la "Parola è aria". Il primo annuncio del Vangelo è destinato ai poveri, ma il messaggio di Gesù è per tutti:
"Questo di andare verso i poveri non significa che noi dobbiamo diventare pauperisti, o una sorta di 'barboni spirituali'! No, no, non significa questo! Significa che dobbiamo andare verso la carne di Gesù che soffre, ma anche soffre la carne di Gesù di quelli che non lo conoscono con il loro studio, con la loro intelligenza, con la loro cultura. Dobbiamo andare là! Perciò, a me piace usare l’espressione 'andare verso le periferie', le periferie esistenziali. Tutti, tutti quelli, dalla povertà fisica e reale alla povertà intellettuale, che è reale, pure. Tutte le periferie, tutti gli incroci dei cammini: andare là. E là, seminare il seme del Vangelo, con la parola e con la testimonianza".
Il Pontefice riflette ancora sulla testimonianza: testimoniare, dice, richiede coraggio e pazienza, le due virtù di San Paolo che portano il cristiano "avanti", verso tutti. “Quando una comunità è chiusa”, sottolinea Papa Francesco, è sterile e non dà vita:
"Ma cosa dobbiamo fare con il coraggio e con la pazienza? Uscire da noi stessi: uscire da noi stessi. Uscire dalle nostre comunità per andare lì dove gli uomini e le donne vivono, lavorano e soffrono e annunciare loro la misericordia del Padre che si è fatta conoscere agli uomini in Gesù Cristo di Nazareth. Annunciare questa grazia che ci è stata regalata da Gesù".
Dunque, questo il compito anche della diocesi Di Roma. Ma c’è un altro ostacolo, aggiunge il Papa in chiusura, che si può opporre a lavoro non facile di evangelizzare: è la delusione, è la tristezza che il diavolo "instilla in noi quando non vediamo ricompensato subito il nostro impegno apostolico". Questa è una “lotta spirituale” a cui occorre prepararsi:
"Questo si chiama – non vi spaventate – si chiama martirio: il martirio è questo. Fare la lotta, tutti i giorni, per testimoniare. Questo è martirio. E ad alcuni il Signore chiede il martirio della vita. Ma c’è il martirio di tutti i giorni, di tutte le ore: la testimonianza contro lo spirito del male che non vuole che noi siamo evangelizzatori".
Ma il messaggio finale resta sempre quello della gioia, che deriva dalla grazia dell’essere cristiani:
"Cari, cari fratelli e sorelle: non abbiamo paura! Andiamo avanti per dire ai nostri fratelli e alle nostre sorelle che noi siamo sotto la grazia, che Gesù ci da la grazia e quello non costa niente: soltanto, riceverla. Avanti!".
Nomine di Papa Francesco in Paraguay, Germania e all'Accademia per la Vita
◊ In Paraguay, Papa Francesco ha nominato Vicario Apostolico di Chaco Paraguayo il Rev.do P. Gabriel Narciso Escobar Ayala, S.D.B., attualmente Direttore dell’Istituto San José a Concepción. Gli è stata assegnata la sede titolare vescovile di Media.
In Germania, il Papa ha nominato Vescovo Ausiliare della diocesi di Osnabrück il Rev.do Johannes Wübbe, finora Parroco dell’unità pastorale di Spelle, assegnandogli la sede titolare vescovile di Ros Cré.
Il Papa ha nominato Membro del Consiglio Direttivo della Pontificia Accademia per la Vita l’Ill.mo Prof. Adriano Pessina, Professore Ordinario di Filosofia Morale e Direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Italia).
◊ E’ rientrato a Roma il cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli che ha compiuto una visita di cinque giorni negli Emirati Arabi. Venerdì scorso, alla periferia di Dubai, il porporato ha celebrato la Messa, davanti a 10mila fedeli, per la consacrazione della nuova chiesa intitolata a Sant’Antonio da Padova costruita su un terreno donato dall’emiro Saud Bin Saqr al Qasimi. Significativo l’incontro con la comunità ecclesiale del vicariato dell’Arabia che comprende 2,5 milioni di cattolici di oltre 90 nazionalità, soprattutto immigrati asiatici. Al card. Filoni, Roberto Piermarini ha chiesto cosa ha significato questa visita per i fedeli degli Emirati:
R. - Devo dire che l’occasione è stata l’inaugurazione di una nuova chiesa a Ras al – Khaima, dove i cristiani, dopo aver ricevuto il terreno, hanno voluto una bellissima chiesa che si trova in una zona un po’ all’esterno della città, dove ci sono anche altre espressioni religiose. Ci sono i copti, ci sono i protestanti, i quali hanno ricevuto – anche loro - un po’ di terreno … Noi abbiamo costruito la nostra chiesa con un Centro parrocchiale molto bello. Poiché lì, la presenza dei cattolici è così intensa, abbiamo dovuto fare una chiesa su due livelli. Praticamente la parte superiore è esattamente uguale alla parte sottostante, dove contemporaneamente viene celebrata la Messa. I cristiani erano estremamente felici ed emozionati al momento della consacrazione dell’altare e delle pareti delle chiesa… Si vedeva visibilmente la gioia e l’emozione; alcuni piangevano. Lo stesso vicario apostolico, mons. Paul Hinder, era molto commosso, perché finalmente si realizzava un evento atteso a lungo. Quindi i cristiani in questo hanno visto questa attitudine della Chiesa a voler essere presente accanto a loro, in un Paese dove devono lavorare per guadagnarsi da vivere, e che questa stessa Chiesa, li accompagna dal punto di vista spirituale come anche in tante altre situazioni di emergenza sociale e umanitaria. Per loro, è stato un momento molto bello, di grande aiuto, sollievo e anche di prospettive per il futuro, perché sanno di poter eventualmente andare e trovare qualcuno che li ascolta.
D. – Cardinale Filoni, quale mandato ha affidato a questi cattolici che vivono in un contesto a maggioranza islamica negli Emirati?
R. - Questo è stato uno degli aspetti con cui ho voluto anche qualificare la mia visita, perché, prima di tutto, ho detto loro che tutti noi in quanto cristiani siamo un po’ migranti. La loro condizione sociale di migranti, corrisponde anche a quella spirituale di persone un po’ migranti nella vita. Poi, sono migranti in una terra che è cara all’islam, quindi noi non possiamo prescindere da questa conoscenza, da questa realtà. Per cui, con l’islam condividiamo il principio dell’unico Dio, ma anche la preghiera, l’adorazione dell’Altissimo … Ma bisogna, anche qui, imparare la pratica della convivenza interreligiosa, dove - appunto - ci vuole reciproco rispetto, ma dove ci vuole anche la piena conoscenza della propria fede per non lasciarsi “travolgere” da pressioni, da aspetti diversi, da situazioni ... Questo, quindi diventa anche un approfondimento della propria fede. I nostri cristiani - mi pare - che questo lo comprendano e lo vivano. Dunque per loro è stato un messaggio specifico, particolare, in relazione sia alla loro condizione di migranti, sia alla loro condizione di ospiti in una terra che è – appunto - quella cara all’islam.
D. - Eminenza, Lei ha avuto anche degli incontri con le autorità degli Emirati. Come vedono la presenza della Chiesa?
R. - Direi che negli Emirati c’è molta stima ed attenzione. Le autorità ospitano quasi due milioni e mezzo di cristiani in tutta la Penisola arabica; negli Emirati vivono circa centinaia di migliaia di cristiani e di cattolici. Quindi questi cattolici, questi cristiani contribuiscono alla vita e alla prosperità del Paese: senza di loro tante cose non potrebbero funzionare. Dunque sono coscienti che è una presenza preziosa. Un altro aspetto: se questa è una presenza preziosa, non si può impedire loro di avere punti di riferimento anche spirituali e religiosi. In questo senso, hanno permesso con molto tatto e anche con molta cautela - per non offendere i sentimenti della maggioranza della gente locale - la costruzione di vari siti religiosi. Finora, abbiamo sette parrocchie negli Emirati. Praticamente, su sette Emirati abbiamo sette parrocchie, e abbiamo in previsione la costruzione di un’altra. Dunque io ho trovato stima, attenzione, visitando anche alcune moschee, dove i responsabili, tutti, mi hanno espresso la loro stima, la loro simpatia ed anche la loro curiosità verso il Santo Padre, la sua nuova personalità che viene guardata con molta attenzione e anche con molta stima. Sono un po’ ammirati nel vedere una personalità venuta dall’America Latina, adesso a Capo della Chiesa, che attrae tanti fedeli. Per loro, questo è un aspetto su cui si interrogano.
Plenaria Roaco. Mons. Sako: i cristiani in Iraq si sentono isolati
◊ Sono iniziati stamani, in Vaticano, i lavori della 86.ma Assemblea plenaria della Roaco, la Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali. L’evento si concluderà giovedì prossimo, giorno in cui i partecipanti alla plenaria saranno ricevuti in udienza da Papa Francesco. L’inizio dei lavori è stato preceduto dalla Messa presso la chiesa romana di Santa Maria in Transpontina, presieduta dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali e presidente della Roaco. All’assemblea prende parte anche il Patriarca caldeo, Raphael I Sako, che al microfono di Manuella Affejee si sofferma sulla situazione dei cristiani in Iraq:
R. – La situazione è molto complicata. Adesso, c’è un miglioramento in Iran. In Siria e in altri Paesi, però, si ripercuote la situazione irachena. Purtroppo, l’esodo dei cristiani continua e noi ci sentiamo un po’ isolati: nessuno ci appoggia. L’unico appoggio spirituale, morale e anche politico che possiamo ricevere è da parte della Santa Sede. La riconciliazione: bisogna aiutare questi cristiani a giocare un ruolo cruciale nella vita sociale e politica. Questo è, dunque, molto importante. Non serve solo una presenza diplomatica. Ci sono delle sfide da affrontare. Se dovesse continuare l’esodo, in questi Paesi non ci sarebbero più cristiani. E’ veramente una grande perdita. E perché l’Unione Europea invece di far arrivare i cristiani nei suoi Paesi – cosa molto costosa – non li aiuta a rimanere lì e non fa qualche progetto? Strade, alloggi per le famiglie povere, un dispensario...
D. – Lei lavora molto a favore della riconciliazione, quale può essere il ruolo dei laici cristiani in Iraq?
R. – Nel Medio Oriente, c’è la mentalità del sospetto e questo gioca molto. Si sentono, dunque, cose talvolta ingiuste e c’è un muro fra le persone. Quando si parla faccia a faccia, però, tutto viene risolto. Bisogna preparare la gente. Anche il primo ministro mi ha detto: “Voi cristiani potete fare tanto e siete preparati come cristiani”. Penso che per noi sia una grande prestazione: noi siamo lì per costruire ponti, ma abbiamo anche bisogno di essere aiutati e supportati. Esiste un dialogo con le autorità musulmane, soprattutto nella vita, ma c’è pure un dialogo teologico. Forse, c’è bisogno di tutto un lavoro nei media, per spiegare la fede cristiana, la tradizione cristiana, il ruolo dei cristiani e la cultura cristiana.
D. – Proprio un rinnovamento del dialogo tra musulmani e cristiani, un approccio più diretto...
R. – Io penso che i cristiani in Medio Oriente siano più preparati ad un dialogo “serio” e non, dunque, ad un dialogo accademico, che questi occidentali che hanno studiato nelle università. Quella è una cosa teorica. Per noi, invece, c’è la teoria, ma c’è anche la prassi.
Ginevra. Documento sul dialogo cattolico-luterano "Dal Conflitto alla Comunione"
◊ Guarire il ricordo della divisione e collaborare per giungere a una ritrovata unità, passando “dal conflitto alla comunione”. E “Dal Conflitto alla Comunione” è anche il titolo del documento sul dialogo cattolico-luterano illustrato ieri in conferenza stampa a Ginevra, alla presenza del cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Il porporato è stato invitato alla presentazione degli eventi celebrativi per il 2017, con i quali la Federazione luterana mondiale ricorderà i 500 anni dalla Riforma. Sull’importanza del documento, Philippa Hitchen ha chiesto a mons. Matthias Turk responsabile delle relazioni cattolico-luterane del dicastero pontificio:
R. – It is a very important landmark: after so many centuries of conflict and…
E’ una tappa davvero molto importante. Dopo così tanti secoli di conflitti e malintesi – che hanno portato perfino a guerre tra nazioni e tra persone all’interno di uno stesso Paese, come tutti sappiamo dalla storia – questo è il primo anniversario della Riforma che possiamo affrontare insieme, ecumenicamente. Come ha detto Martin Jung, il segretario generale della Federazione luterana mondiale, la commemorazione della Riforma sarà un evento internazionale, ma dovrà essere un evento ecumenico e dovrà chiamarci a una testimonianza comune, sottolineando quanto condividiamo piuttosto che porre in risalto quanto ancora ci divide.
D. – L’intenzione di questo documento – come è detto specificamente – non è “raccontare una storia diversa”, ma “raccontare la storia diversamente”. Cosa significa questo, esattamente? Come si procede su questa strada?
R. – The reasons for Church division are very often misunderstandings and different…
Le ragioni che portano a divisioni nella Chiesa spesso si fondano su malintesi e su interpretazioni diverse dei medesimi contenuti di fede e delle stesse convinzioni teologiche. Nel comune dialogo ecumenico internazionale, abbiamo saputo riscoprire i fondamenti comuni, le basi comuni che abbiamo sulle questioni di fede, e abbiamo saputo affermare che questi punti non sono più motivo di divisione tra le Chiese. Il nostro documento riassume tutti questi passi come la raccolta di ciò che abbiamo in comune e si proietta nel futuro, alla ricerca del prossimo passo nella comune testimonianza al mondo di oggi.
D. – Quali potrebbero essere questi passi, secondo lei, nell’urgente bisogno di una testimonianza comune nelle nostre società sempre più secolarizzate?
R. – The question of God is very important, as also Pope Benedict put it very…
La questione di Dio è molto importante, come anche Papa Benedetto ricordava con forza, ma ce ne sono altre ancora. Noi dobbiamo rendere testimonianza davanti a Dio, Creatore e Salvatore, a Gesù Cristo e allo Spirito Santo. Questo Dio Trino è quello in cui noi ci riconosciamo ed è quello che ha istituito la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica, che siamo noi. Dobbiamo superare le nostre divisioni e rappresentare quello che Gesù Cristo stesso ha istituito per noi: solo questo potrà convincere persone di tutte le età, soprattutto in questi nostri tempi.
D. – Il documento sottolinea anche l’importanza che i Pentecostali e i nuovi Movimenti cristiani esercitano sulla ricerca di riconciliazione…
R. – We are in an intense contact with all Christian denominations…
Noi manteniamo contatti intensi con le denominazioni cristiane a livello universale e questo documento potrebbe essere un testo di partenza per ogni tipo di dialogo ecumenico, non soltanto tra la Federazione luterana mondiale e la Chiesa cattolica, ma anche per quanto riguarda il dialogo con altri interlocutori ecumenici, perché esso parla delle intenzioni di fondo delle riforme della Chiesa, che sono sempre necessarie, e parla del nostro rapporto con Dio.
Sul “treno della bellezza” 250 bambini arriveranno domenica dal Papa
◊ 250 bambini residenti in Italia, ma di diversa nazionalità, arriveranno in treno alla Stazione ferroviaria in Vaticano domenica 23 giugno e incontreranno Papa Francesco. Sono piccoli tra i 6 e i 10 anni con problematiche psico-sociali. Si tratta di un’iniziativa nell’ambito del "Cortile dei bambini", che rientra nel Cortile dei Gentili, promosso dal Pontificio Consiglio per la Cultura. E’ stata presentata stamane in sala stampa vaticana dal presidente del Pontificio Consiglio stesso, cardinale Gianfranco Ravasi; dall’Amministratore delegato di Trenitalia che mette a disposizione il Frecciargento, Mauro Moretti; da Patricia Martinez, coordinatrice della giornata. Il servizio di Fausta Speranza:
Da Milano, tappa a Bologna e Firenze, in un viaggio attraverso il duomo di ciascuna città: per questo si chiama “Il treno dei bambini - viaggio attraverso la bellezza”. Non saranno in Piazza San Pietro per l’Angelus, per motivi logistici, ma arriveranno con tutta probabilità proprio a ridosso della preghiera mariana e Papa Francesco li incontrerà e con loro passerà del tempo. L’atrio dell’Aula Paolo VI sarà piacevolmente invaso dai lavori e lavoretti, che hanno elaborato in un percorso culturale partito mesi fa con la collaborazione di diverse strutture sanitarie e didattiche di diverse parti d’Italia. E l’abbraccio andrà ben oltre i piccoli viaggiatori, perché tanti hanno dato il loro contributo anche se non saranno sul treno. A partire dai piccoli ricoverati al Bambino Gesù, che la mattina del 23 esporranno dalle finestre i teli ai quali hanno affidato i colori del cuore con cui vivono questa esperienza di condivisione. La coordinatrice dell'iniziativa, Patricia Martinez:
“Loro stanno preparando delle piccole sorprese, come i bambini del Bambino Gesù hanno preparato delle sorprese per loro. Per cui i bambini tagliano tutti i ponti, tutte le mura, tutte quelle sovrastrutture che, a volte, noi ci costruiamo”.
Conoscenza e incontro sono le parole chiave che viaggiano sulle rotaie e nell’immaginario. Il cardinale Gianfranco Ravasi:
“Il treno costituisce una componente che per il bambino è estremamente significativa, come lo è anche per l’adulto, per molti versi. Non stiamo adesso a dire tutto quanto la letteratura ha costruito attorno a questo simbolo. I bambini costituiscono sempre una sorpresa, ma anche il bambino ti segnala in maniera inequivocabile le curve di ascolto. Un mondo, quindi, arduo per molti versi, ma estremamente creativo”.
L’amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, ci tiene a sottolineare che l’iniziativa rientra in un impegno di attività sociali che l’azienda porta avanti anche con la Caritas e la Comunità Sant’Egidio, perché non sia “solo business”:
“Ho proprio posto questo come tema centrale. Nelle nostre iniziative, abbiamo avuto adesioni di tutti - soprattutto da parte dei francesi prima e poi anche degli altri - per poter svolgere nelle stazioni e fuori un ruolo importante su questo”.
20.mo del Catechismo: il Giudizio universale, giudizio della misericordia
◊ Il Giudizio universale sarà il giudizio della misericordia. E' quanto sottolinea il Catechismo della Chiesa cattolica che dedica pagine importanti al Giudizio universale. Il gesuita padre Dariusz Kowalczyk vi si sofferma nella 31.ma puntata del ciclo di riflessione sul Catechismo, a 20 anni dalla sua pubblicazione:
I cristiani professano che Gesù Cristo “verrà a giudicare i vivi e i morti”. Questo vuol dire che la storia del mondo e di ciascuno avrà il suo compimento. Nel Catechismo leggiamo: “Nel Giorno del Giudizio, alla fine del mondo, Cristo verrà nella gloria per dare compimento al trionfo definitivo del bene sul male che, come il grano e la zizzania, saranno cresciuti nel corso della storia” (n. 681)
Cristo è il Signore dei morti e dei vivi e come tale ci dice: “Abbiate fiducia; io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). La sua sovranità però non si è ancora compiuta. E così la zizzania cresce insieme al grano.
Bisogna fare distinzione tuttavia tra il Giudizio universale, che verrà alla fine dei tempi, e il giudizio particolare, che avviene subito dopo la morte dell’individuo. “E’ stabilito per gli uomini – leggiamo nella lettera agli Ebrei – che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio” (9,27). Non c'è alcuna reincarnazione. La storia umana è lineare – ha il suo inizio e il suo fine. Abbiamo una sola vita e una sola morte. Il giudizio particolare riguarda la storia degli individui. Il Giudizio universale invece riguarda tutta la storia di tutte le generazioni.
Tutti abbiamo visto diverse rappresentazioni del giudizio e, qualche volta, queste ci fanno anche paura. Dobbiamo ricordare però che ci giudicherà Colui che per noi è morto sulla Croce. Il giudizio sarà quindi quello della misericordia. Si! “Saranno messi in luce la condotta di ciascuno e il segreto dei cuori” (CCC 678), ma non per condannare il peccatore, ma per purificarlo e salvarlo. E il criterio principale del giudizio saranno le parole di Gesù: “Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Il male sarà svelato ma, prima di tutto, verrà ricordato ogni bene, anche il più piccolo, che abbiamo reso al prossimo.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina "Rivoluzionari della grazia": si apre per la prima volta in Vaticano il convegno diocesano di Roma; il testo è riportato integralmente a pagina 8, accanto al saluto del cardinale vicario Agostino Vallini.
A pagina tre "Quando l’uomo diventa merce" del gesuita Francesco Occhetta, sulla piaga della tratta.
Nello spazio dedicato alla cultura "Da qui all’eternità", un articolo di Alessia Amenta dedicato a un convegno sui segreti dei sarcofagi policromi egizi che vedrà riuniti nei Musei Vaticani studiosi provenienti da tutto il mondo.
"Quella follia di un popolo mite" di Sergio Casali, in cui si racconta la vita quotidiana durante il genocidio in Rwanda.
"Avventure dello spirito sul dorso di un’asina", in cui Silvia Guidi ripercorre gli appuntamenti più importanti del festival «I Teatri del Sacro» che si è appena concluso a Lucca, trasformata per una settimana in un palcoscenico a cielo aperto.
A pagina 5, "Se il malato costa troppo. Come si colma il divario tra medico e paziente senza disumane scorciatoie" di Ferdinando Cancelli, accanto al commento di Lucetta Scaraffia "Dalla paura dei processi all’accanimento terapeutico".
Per finire, "In treno a scuola di bellezza", sull'iniziativa del Cortile dei gentili riservata ai bambini che si svolgerà tra Milano, Bologna Firenze Roma e Città del Vaticano il prossimo 23 giugno.
Turchia: Erdogan difende l'operato della polizia, un centinaio gli arresti di oggi
◊ In Turchia proseguono gli arresti, stamani almeno un centinaio di persone sono state fermate a Istanbul. Intanto, in parlamento, il premier Erdogan ha difeso l’operato della polizia dopo le dure critiche della comunità internazionale, accusando poi i manifestanti che avrebbero sparato contro almeno due agenti. Rinviata la missione della commissione Esteri dell’Unione Europea dopo l’attacco ieri di Erdogan all'Europarlamento. “Un’assemblea che non riconosco”, aveva detto il premier. Infine dopo lo sgombero di Piazza Taksim e di Gezi Park ci si interroga sul futuro del movimento di protesta. Su questo punto, Benedetta Capelli ha intervistato Monica Ricci Sargentini, inviato a Istanbul del “Corriere della Sera”:
R. – Qui, in questo momento, il movimento della protesta sta cercando semplicemente di rimanere in piedi, perché non c’è più un luogo di aggregazione e chi scende in piazza viene arrestato. Loro cercano ovviamente di avere l’attenzione internazionale ed in particolare della stampa internazionale.
D. – Proprio questo movimento, che destino può avere a questo punto?
R. – Ne parlavo ieri con una politologa. Il problema è se questo movimento riuscirà a dotarsi di una rappresentanza politica, se riuscirà, al di là della manifestazione di piazza, ad avere un altro tipo di impatto. C’è molto risentimento nella nazione verso il governo Erdogan, che è caduto, infatti, anche nei sondaggi, però questo movimento è molto frammentato: ci sono gli ambientalisti, i politicizzati, i religiosi, i non religiosi. E’ un grande pentolone. Questa politologa diceva che, però, da una parte, la forza di questo movimento sta proprio nel fatto che sia apolitico, anche se, dall’altra, è anche la sua debolezza perché non riesce a dotarsi di una rappresentanza. A lungo andare, però, forse non per queste prossime elezioni, ma per quelle dopo, secondo lei questo risentimento si convoglierà in qualcosa di politico, che non può essere il Chp, il partito kemalista, perché non è un partito che finora ha rappresentato un cambiamento.
D. – Arresti, perquisizioni e nel mirino ci sono anche gli organi di informazione. Qual è allora l’obiettivo del governo? In fondo non si possono spegnere tutte le voci, anche se c’è al vaglio questa legge per limitare Facebook e Twitter...
R. – Non si capisce. Io sono qui, davanti al Gezi Park, che fra l’altro è abbastanza incredibile come lo stiano rimettendo tutto a nuovo, come se volessero cancellare qualsiasi traccia della protesta. Nell’arco di 24-48 ore, infatti, è un altro scenario, qui fioriscono aiuole. E’ anche bello, ma è pure inquietante. A me sembra che il governo voglia spegnere la protesta: impedire a chiunque di scendere in strada; fare restrizione sui social network e così via. Non vogliono più che questa cosa accada. Non mi sembra, però, che vogliano dare a queste persone la possibilità di parlare. Non mi sembra che questo sia in atto. C’è, invece, in atto il fatto di mettere tutto a tacere e di dimenticarsi di questa cosa.
D. – Ma questo può, in un certo senso, creare un clima che poi potrebbe degenerare ulteriormente in violenza?
R. – In questo momento mi sembra che il movimento – chiamiamolo così – la protesta, la rivolta, abbia assunto un atteggiamento molto saggio. Ieri, infatti, anche i sindacati hanno scelto di rinunciare ad arrivare in Piazza Taksim, perché hanno capito che si sarebbe arrivati ad un clima di guerra civile, ad uno spargimento di sangue e così via. E ieri sera, in Piazza Taksim, c’è stata una nuova protesta molto bella: “One standing man”, un uomo in piedi. Una persona si è messa in piedi nella piazza, un coreografo, e per cinque ore e mezzo è stato fermo immobile a guardare il ritratto di Atatürk che campeggia sopra il centro culturale proprio a lui dedicato. Questa cosa, che all’inizio nessuno aveva notato, poi è stata notata da tutti e ha avuto un impatto fortissimo. Era una piazza non piena, ma è vuota, solo con questa persona in mezzo. Si è, quindi, propagata nel Paese l’idea di fare una protesta silenziosa. Tra l’altro, ieri, i poliziotti hanno arrestato anche quelli che stavano in piedi, fermi e immobili, senza fare nulla. Mi sembra che si stia andando verso una protesta meno violenta. Questa è la mia impressione. Si vuole sì continuare a protestare, ma forse trovando altri modi.
D. – E da inviata c’è un’immagine che hai visto, che vuoi raccontare, e che è emblematica di questa protesta, che meglio la sintetizza e la rappresenta?
R. – Più che un’immagine c’è un collage d’immagini, di tutte queste persone così diverse: dal pensionato, alla donna velata, alla signora con la sporta della spesa, a questi ragazzi giovani e un po’ meno giovani. Veramente tanta, tanta gente con un grande senso di responsabilità. Persone organizzate che credevano veramente in quello che facevano. Io ho ammirato molto questi ragazzi. Ognuno pensava delle cose diverse. Nell’anarchia più totale c’era un’organizzazione pazzesca. Sono stati veramente bravi. Quindi, l’immagine che mi rimane negli occhi è quella del parco, con questi ragazzi sotto la pioggia, che cantavano gli slogan e che cercavano di aiutarsi l’un con l’altro; i pronto soccorso; la biblioteca. Insomma è stato tutto molto bello.
G8: Unione Europea e Usa verso un accordo di libero scambio
◊ Dal G8 di Lough Erne, in Irlanda del Nord, è arrivato l’annuncio ufficiale del lancio dei negoziati sull’accordo di libero scambio tra Europa e Stati Uniti. Un'intesa tra le due sponde dell'Atlantico che da sole valgono la metà del Pil mondiale, ma che coinvolge le economie maggiormente colpite dalla crisi globale. Quanto questo accordo potrà essere un volano per la ripresa economica del vecchio e del nuovo continente? Salvatore Sabatino lo ha chiesto all’economista Giovanni Marseguerra:
R. – La crisi certamente si sta dimostrando ispiratrice di soluzioni nuove. Il progetto, se andrà in porto, darà vita alla più grande relazione commerciale del mondo. Ci saranno miglioramenti dal lato delle barriere doganali, dei meccanismi d’investimento e degli scambi in generale. Sotto molti profili, quindi, la globalizzazione potrebbe avere effetti positivi da una parte e dell’altra. Secondo il presidente Obama, dal punto di vista del mercato del lavoro e dell’occupazione, questo porterebbe alla creazione di circa 30 milioni di posti di lavoro su entrambe le sponde dell’Atlantico. Si tratta, però, di previsioni da andare a verificare.
D. – Ci sono anche dei nodi da sciogliere e resta sul tavolo, ad esempio, la posizione della Francia, che è pronta a battersi per escludere gli audiovisivi. Perché questa posizione così intransigente di Parigi?
R. – La Francia è sempre molto sospettosa di accordi che possano in qualche modo privilegiare l’asse atlantico – anche in questo caso Europa-Usa – a dispetto di quella che è la sua visione più nazionalistica. Io credo che siano più sospetti del momento e che non ci sia dietro un’opposizione concreta. Il presidente Hollande sta affrontando un problema gravissimo di disoccupazione, di disoccupazione giovanile. Quindi, di fronte alle prospettive di un accordo di tale portata, le considerazioni locali o nazionali credo debbano lasciare il posto a riflessioni più da bene comune.
D. – C’è qualche elemento che realisticamente, invece, può o potrebbe bloccare questo accordo di libero scambio?
R. – Ci sono varie interpretazioni riguardo alle ragioni vere, che sottostanno a questo accordo e al fatto che sia stato rilanciato in questo modo dal G8. Una, appunto, è quella che dicevamo prima, di Obama, e serve a far crescere l’occupazione su entrambe le sponde dell’Atlantico. Secondo altri, però, quest’accordo commerciale, che potrebbe presto prendere vita, potrebbe servire a contrastare le nuove economie emergenti o economie emerse. In questo caso, quindi, la paura verso le politiche di prezzo, spinte, che stanno mettendo in difficoltà i Paesi occidentali, potrebbe essere la chiave interpretativa giusta.
D. – Questo vuol dire che la Cina, per esempio, potrebbe mettersi di traverso. Non dimentichiamo che Pechino detiene la maggior parte del debito pubblico americano. Questo potrebbe, dunque, avere delle ricadute concrete...
R. – Certamente, la Cina potrebbe vedere in questo accordo un elemento che va a contrastare il commercio cinese sia verso l’Europa sia verso l’America. Ci saranno certamente dei cambiamenti nelle quote del commercio internazionale. Parte del commercio che andava verso la Cina adesso andrà verso l’Europa e analogamente parte del commercio europeo – penso a quello tedesco ed anche a quello italiano – che fino adesso ha cercato nuovi mercati, troverà un mercato più favorevole negli Stati Uniti.
Grecia a rischio elezioni. Domani la decisione definitiva sul destino di Ert
◊ In Grecia, la decisione definitiva sulla sorte della televisione pubblica Ert sarà presa domani durante un nuovo incontro tra i leader dei tre partiti che sostengono il governo. Ieri, il Consiglio di Stato, la più alta istanza giudiziaria del Paese, ha ordinato la sospensione ''temporanea'' della chiusura della Radio-Tv pubblica. Il servizio di Massimiliano Menichetti:
Ore decisive per capire il futuro della Tv di Stato Ert. Fissato per la mattinata di domani un nuovo incontro tra i leader dei tre partiti che sostengono il governo: il premier e leader di Nea Dimokratia, Antonis Samaras, Evanghelos Venizelos del Pasok e Fotis Kouvelis di Sinistra Democratica. Ieri, il Consiglio di Stato ha ordinato la sospensione ''temporanea'' della chiusura della Radio-Tv pubblica. Da una parte, c’è chi afferma che la decisione dell’esecutivo sia conforme alle leggi e alla Costituzione e non riguarderebbe la chiusura della Ert, ma la sospensione delle trasmissioni, che secondo le toghe greche, devono essere riprese immediatamente. Un’altra ipotesi sostiene che la vecchia “televisione pubblica è morta”, deve essere chiusa e al suo posto istituita una nuova società pubblica.
Sul fronte politico in Grecia, nonostante la riunione dei sostenitori governativi, non si allontana l’ipotesi di un ricorso anticipato alle urne ed i rischi connessi: come la fuga di capitali all'estero sino al blocco degli aiuti finanziari da parte dei creditori internazionali del Paese. In questo scenario, si tiene oggi ad Atene l’incontro tra il ministro delle Finanze greco, Yannis Stournaras, e i rappresentanti della troika (Fmi, Ue e Bce) per trovare un accordo su alcune questioni ancora in sospeso come la nuova tassa sugli immobili, la riduzione dell'Iva sui prodotti alimentari e nel settore della ristorazione, il licenziamento di 2.000 dipendenti statali entro la fine del mese.
Per non dimenticare i rifugiati: da stasera a Roma una mostra del Servizio dei Gesuiti
◊ Da stasera e fino al 21 giugno, 200 fotografie proiettate a Roma racconteranno la vita e le difficoltà dei rifugiati. E’ un’iniziativa del Jesuit Refugee Service, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, il 20 giugno prossimo. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
Un milione e mezzo di fuoriusciti dalla Siria, decina di migliaia dal Congo: sono i rifugiati ai quali è dedicata la mostra fotografica “Santuario e Nutrimento” , organizzata dal Servizio dei Gesuiti per i rifugiati (JRS), in occasione del 20 giugno. Da stasera, e per tre giorni, a Roma sulla facciata della Chiesa del Gesù, saranno proiettate foto inedite, scattate dal personale del JRS nei campi profughi in Libano e Congo, a testimonianza delle esperienze di rifugiati e richiedenti asilo, costretti a fuggire da guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti umani. La mostra è inoltre visitabile fino al 30 giugno nella Chiesa del Gesù. Un’iniziativa, in contemporanea con New York e Beirut, necessaria a ricordare che, spiega padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli, anche in Italia ci sono scarse condizioni di accoglienza.
R. - Sono dieci anni che lo dico! E il continuare a dirlo vuol dire che c’è ancora la speranza che possa cambiare qualcosa ed è doveroso rimanere voce di chi non ha voce. Purtroppo, in Italia i governi che si sono alternati - sono stati un buon numero - hanno manifestato sempre disinteresse nei confronti di queste persone, per cui è mancata poi una politica seria di accoglienza. Non ci si deve arrendere! E noi non ne abbiamo alcuna intenzione: finché ci saranno rifugiati e persone costrette a scappare dalla propria patria, rimarremo con loro, servendo loro, e dicendo con fermezza che siamo stanchi di assistere alle morti in mare, siamo stanchi di politiche poco serie e pretendiamo, in un periodo non facile, che si diventi seri anche nell’accoglienza progettuale dei rifugiati, impedendo loro di rischiare la vita. Sappiamo dove sono: stabiliamo dei canali umanitari sicuri per farli arrivare. Non vogliamo più vedere persone aggrappate alle tonnare o sentire racconti di sopravvissuti, che ci danno il numero di quelli che sono morti, o assistere all’incredibile realtà di vedere una donna partorire su un barcone!
D. - Si sono susseguite le immagini di tutti quei rifugiati che sono fuggiti dalle coste libiche nel tentativo di raggiungere la salvezza. Forte fu la denuncia del Centro Astalli quando l’allora governo Berlusconi firmò il Trattato di amicizia Italia-Libia, Trattato che, in qualche modo, è stato rinnovato dal governo tecnico di Mario Monti. Oggi, abbiamo il governo di larghe intese di Enrico Letta. Cosa chiedete?
R. - Chiediamo che si abbia anzitutto l’onestà di dire - non a padre Giovanni o al Centro Astalli o al Jrs - al popolo italiano, e di riferire in parlamento, quanto spendono gli italiani negli accordi con la Libia e in cosa consistono. Non c’è mai stato un responsabile di governo che abbia reso conto al parlamento italiano, agli italiani, di quanto stanno costando gli accordi. Bisogna sapere che ci sono racconti drammatici, gli italiani devono sapere che finanziando i libici, "finanziamo" anche gli stupri che le donne somale subiscono nei centri di detenzione libici. Sono situazioni indegne, realizzate anche con i soldi nostri. Se sono costretti a pagare 1.400 dollari nel viaggio da Tripoli a Lampedusa, rischiando la vita nel Mediterraneo, c’è una nostra parte di responsabilità. Noi ci siamo macchiati anche della situazione indegna dei respingimenti: siamo stati condannati. Allora tutte queste esperienze dovrebbero insegnarci e aiutarci a migliorare. Dal governo Letta mi aspetto politiche oneste, serie e trasparenti, nei confronti delle persone che sono costrette a lasciare il proprio Paese, perché in fuga da guerre e conflitti, e molto probabilmente abbiamo la nostra parte di responsabilità in quei conflitti. Ad esempio, il silenzio dell’Italia in Siria pesa…
D. – Sì però quanto è credibile l’Italia oggi di fronte all’Unione Europea e alla politica internazionale?
R. - Purtroppo, paghiamo il prezzo di una mala politica che ci ha tolto credibilità e autorevolezza. Sbilanciarsi in iniziative del genere potrebbe ora restituire dignità. La diplomazia si è persa. Anche il Mali rappresenta una triste realtà: non è possibile che i conflitti si risolvano soltanto con le armi. Ci siamo rassegnati a questo. E’ bene che cresciamo culturalmente e ritorniamo a dare peso alle diplomazie. Le armi sono un mercato favorevole per molti, però non possiamo più ragionare in maniera schizofrenica in sedi internazionali: i politici, i governanti, i rappresentanti si dichiarano tutti d’accordo sul volere la pace e poi, sottobanco, vendono armi. In Siria, se non arrivano le armi, molto probabilmente il conflitto va a diminuire, fino ad arrivare a spegnersi.
D. - Di rifugiati ormai se ne incontrano ovunque, non si può non sapere chi è il rifugiato, eppure gli italiani continuano a girarsi dall’altra parte. Non chiedono al loro Paese che si faccia carico di tutto questo…
R. - Siamo stati abituati a reagire emotivamente: l’immagine dell’afghano in televisione mi commuove e gli mando pure i due euro con l’sms. Ma se lo stesso afghano, lo vedo qui, a Roma, mi spavento, perché è sporco. Dobbiamo uscire dalla reazione emotiva, lasciar sedimentare l’immagine e riflettere sull’immagine: questo ci porterà a prendere consapevolezza di chi sono i rifugiati, perché sono nel nostro Paese, e a chiedere con autorevolezza ai nostri governanti di fare la loro parte per dare un’accoglienza dignitosa.
Fondazione Oasis. Il card. Scola: Islam e Cristiani si conoscono ancora troppo poco
◊ A dieci anni dalla sua creazione, per iniziativa del cardinale Angelo Scola, oggi arcivescovo di Milano, la Fondazione Oasis riunisce nel capoluogo lombardo il proprio Comitato internazionale per continuare ad approfondire la conoscenza tra cristianesimo e Islam. Tema dei lavori “Sul crinale. Cristiani e musulmani tra secolarismo e ideologia”. Al microfono di Paolo Ondarza, il porporato traccia un bilancio dell’attività:
R. - Quando siamo partiti nel 2003, ci siamo resi conto dell’ignoranza radicale degli uni verso gli altri: molto, molto profonda nella realtà islamica, ma anche terribile nel mondo europeo. Quindi, il nostro scopo non è - tecnicamente parlando - quello del dialogo interreligioso, perché ci sono centri specializzati molto più evoluti del nostro. Lla nostra è una iniziativa culturale, che ha come scopo la conoscenza reciproca.
D. - Eminenza, ci si conosce ancora poco?
R. - Pochissimo. E la mancanza di conoscenza - come lei sa bene - è foriera di paura, porta con sé brutte conseguenze.
D. - Stiamo parlando di due realtà - Islam e Occidente - toccate da correnti analoghe, come secolarismo e ideologia, ma con ripercussioni molto diverse…
R. - Molto, molto diverse. Per esempio: sta prendendo molto peso in questi Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa un ritorno ad una sorta di ideologia politica, mentre da noi si tratta di capire cosa voglia dire la secolarizzazione di cui tutti parliamo, che certamente tocca temi delicati, come quelli della libertà religiosa. Quindi, abbiamo bisogno di capire la genesi di questo fenomeno, ma soprattutto a che punto è oggi e che cosa veramente significa la proposta cristiana, capace di operare un confronto reale.
D. - E’ attraverso questa visione che si riesce anche a "comporre" le differenze: da una parte, la secolarizzazione che mette a dura prova l’umanesimo europeo, e, dall’altra, i venti di fondamentalismo che attraversano le società islamiche…
R. - Sì, ma mettere d’accordo vuol dire cambiare. Per andare d’accordo, bisogna cambiare. Però, noi abbiamo la forte speranza che anche ciò che oggi è in radicale opposizione - come l’integralismo, il fondamentalismo, il terrorismo - possa essere riassorbito dalla vera, dalla autentica esperienza religiosa e quindi essere ricondotto dentro quella "pluriformità nell’unità" di cui, come Chiesa cattolica, stiamo facendo esperienza dopo il Concilio Vaticano II. Ecco, questa sarà una testimonianza che noi potremo continuare a dare a tutte le realtà del mondo musulmano.
D. - Eminenza, come lei diceva le differenze ci sono ed è opportuno per questo la conoscenza: per evitare che si trasformino in attriti. Quali sono, secondo lei, i principali errori che si compiono quando si tenta di mettere a confronto realtà così diverse?
R. - Quando non ci si pone con tutta la propria chiarezza, cercando di dare ragione della propria fisionomia, della propria posizione: questo è il principiale errore. L’errore a cui spesso indirettamente sembra indurci anche un certo tipo di politica, quando dice che per far convivere le religioni e le diverse visioni bisogna creare uno spazio neutro nel quale tutto diventi indistinto. Invece, è esattamente il contrario! Bisogna che chi ha il compito di governare la società viva una realtà sì aconfessionale, ma di una aconfessionalità positiva, che consenta a tutti i soggetti in campo di esprimersi, di praticare il loro punto di vista e così di operare un confronto, in vista dell’edificazione di una vita buona, dal momento che tutti dobbiamo vivere insieme. Questo per me è il criterio di fondo.
Ma quale il significato del tema scelto: “Sul crinale. Cristiani e musulmani tra secolarismo e ideologia”? Lo spiega al microfono di padre Rifat Baader padre Samir Khalil Samir, docente di cultura araba all’Università Saint Joseph di Beirut:
R. – Siamo presi da una parte da una tendenza secolare che esclude la religione, e dall’ideologia, che spesso diviene ideologia islamica, finalizzata al ritorno all’islam delle origini, finalizzata ad applicare questo islam in tutti gli ambiti della vita sociale, quotidiana, familiare, lavorativa, religiosa e così via. I cristiani si trovano su questo crinale, ma anche i musulmani. Molti musulmani protestano oggi, dappertutto, contro l’ideologia islamista. Alcuni adottano l’ideologia islamista, perché si sentono minacciati da una società secolare. Noi vogliamo, insieme - musulmani e cristiani - con una visione umanistica, proporre un progetto umanistico, dove Dio e la fede abbiano il loro posto e nello stesso tempo proporre un progetto di società che includa la modernità, quello che gli islamisti rigettano. Ma lo rigettano perché la modernità arriva dall’Occidente, e l’Occidente oggigiorno, a differenza di ciò che era due secoli fa, è sempre più laicista, antireligioso, ateo. Allora ci troviamo di fronte a due visioni, secolarismo e ideologia, ambedue false. Noi cerchiamo la via mediana, che dica: “Vogliamo una società per tutti e secolare nel senso che non discrimini qualcuno per la sua religione; la vogliamo moderna, ma ciò non significa che la modernità debba escludere qualunque dimensione etica o morale”. Questo è il progetto. Stiamo allora analizzando Paese per Paese come stanno le cose, per suggerire una via mediana, di credenti - musulmani, cristiani - che però vivano nel mondo moderno, aperti a tutto ciò che è bello, giusto ed etico.
Libano: appello di cattolici e ortodossi per l'unità dei cristiani e la fine della guerra in Siria
◊ Leader delle Chiese cattolica e ortodossa aprono a Beirut i propri sinodi per discutere la grave situazione della popolazione cristiana siriana, colpita dalla guerra fra sciiti e sunniti, che ha ormai sconfinato anche nel vicino Libano. Entrambi gli incontri - riporta l'agenzia AsiaNews - sono iniziati oggi. Il sinodo greco-ortodosso è in corso nel monastero di Balamand. Quello della Chiesa cattolica melchita è ospitato nel convento di Ain Trez nel distretto di Aley. Dando il via ai lavori per la riunione episcopale, i prelati cattolici e ortodossi hanno lanciato un appello congiunto per l'unità di tutti i cristiani, pregando per la liberazione di mons. Youhanna Ibrahim e mons. Boulos Yaziji, i due vescovi rapiti lo scorso 22 aprile nella periferia di Aleppo. Intervistato dal quotidiano libanese "Daily Star" poco prima dell'inizio dell'Assemblea sinodale, Giovanni X Yazigi, patriarca greco-ortodosso di Antiochia e fratello di mons. Bouls Yaziji, ha affermato: "Non abbiamo paura, stiamo vivendo momenti drammatici, questa è la verità che nessuno può ignorare. Ma siamo figli della fede e del coraggio, ci aggrappiamo alla terra in cui viviamo, portiamo il messaggio di Dio dentro i nostri cuori e continueremo a farlo senza paura". Il vescovo ha inoltre ribadito che il fratello è vivo e sarebbe detenuto in Turchia, ma finora non si sono ancora ottenuti contatti diretti con i rapitori. Da Ain Trez, sede della Chiesa melchita, Gregorio III Laham, patriarca di Antiochia per i cattolici, ha puntato il dito contro la decisione di Stati Uniti e di alcuni altri Paesi europei di inviare armi ai ribelli. A causa di questa mossa, la popolazione "affronterà più problemi" rispetto al passato. Secondo il prelato la posizione dei Paesi occidentali è incomprensibile. "Sembra che il mondo - ha continuato - comprenda solo il linguaggio delle armi, della guerra, della distruzione, della violenza e del terrorismo. Le armi - ha aggiunto alimentano la violenza e l'odio, e portano più uccisioni, incrementano la distruzione e i profughi, con enormi danni economici e sociali per famiglie, giovani, studenti e lavoratori". Laham ha lanciato un appello alla comunità internazionale chiedendo la cessazione immediata di tutti i trasferimenti di armi, invitando i Paesi a lavorare per una soluzione politica, invece di contribuire alla "divisione" del mondo arabo lungo linee politiche, sociali, religiose e tribali". Parlando ai vescovi presenti, il prelato ha annunciato la costituzione di un "comitato di solidarietà" della Chiesa in Siria. Il piano ha l'obiettivo di coordinare le attività di soccorso in loco e di controllare e registrare gli edifici ecclesiastici distrutti o danneggiati. Il patriarca ha proposto anche dei sottocomitati in Libano, Egitto, Giordania, Iraq, Kuwait, Paesi arabi ed Europa, che avranno il compito di sostenere con le loro risorse il lavoro della Chiesa melchita in Siria. "Speriamo - ha affermato - che i nostri fratelli vescovi ci aiuteranno in questa impresa ... in modo da poter affrontare le sfide future, che ci chiedono di restare in questo Paese martoriato dalla guerra e in quanto cristiani di essere guida e punto di riferimento per tutta la popolazione". Gregorio III ha sottolineato che la "Chiesa è un solo corpo, una sola famiglia cristiana, una nazione, e questa fede si traduce in opere buone e soprattutto in amore attivo verso chi è nel bisogno". Per il prelato i fedeli della Chiesa melchita devono promuovere e testimoniare il Vangelo ovunque essi siano: "Questa è la vera azione politica e il dovere che dobbiamo compiere con coraggio, zelo, amore, dedizione, sincerità e dignità". (R.P.)
Siria. L'arcivescovo di Aleppo al G8: "C'è bisogno di dialogo e non di armi"
◊ “Non abbiamo notizie dei nostri due confratelli vescovi e nemmeno dei due sacerdoti. Il tempo trascorre e non sappiamo più cosa pensare”. A smorzare un certo ottimismo che si era diffuso nei giorni scorsi sulla sorte dei due prelati ortodossi rapiti il 22 aprile in Siria è mons. Jean-Clement Jeanbart, arcivescovo greco melkita di Aleppo. “Non abbiamo più notizie di Boulos al-Yazigi, arcivescovo greco ortodosso di Aleppo e Iskenderun e di Youhanna Ibrahim, metropolita siro-ortodosso di Aleppo - riferisce all'agenzia Sir - non sappiamo come evolverà la situazione, se le trattative vanno avanti, e lo stesso vale per i due sacerdoti da mesi nelle mani dei rapitori. Ad Aleppo la situazione sembra, almeno in apparenza più tranquilla, ma nessuno sa cosa si prepara per tutti noi”. Da mons. Jeanbart una “certa speranza” potrebbe arrivare dal G8 a Lough Erne, in Irlanda del Nord dominato dal dossier Siria. Sul martoriato Paese mediorientale è arrivato anche l’appello di Papa Francesco, che ha scritto una lettera al premier David Cameron, padrone di casa del Summit, “auspicando un cessate il fuoco” e la ripresa dei negoziati. “Speriamo - dice l’arcivescovo melkita facendo proprio l’appello del Pontefice - che dal G8 si possa sapere qualcosa di più sul futuro del nostro Paese soprattutto in chiave di soluzioni pacifiche. L’appello del Papa ci conforta e ci dona forza di credere in un futuro non di morte. La soluzione negoziale è l’unica praticabile. - ribadisce mons. Jeanbart - Al G8 dico che abbiamo bisogno di dialogo e non di armi. Dovesse permanere una situazione come quella attuale a rischio non sarebbe solo la Siria ma tutta la regione, e con essa la libertà, la convivenza e la tutela delle minoranze”. (R.P.)
Afghanistan: a Kabul attentato contro il vicepresidente: tre morti
◊ Un attacco suicida ha colpito questa mattina un convoglio con a bordo Haji Mohammad Mohaqeq, vice-presidente e leader della minoranza Hazara. L'attentato è avvenuto nella parte ovest di Kabul e ha ucciso tre persone. Illeso il leader politico. Il kamikaze si è fatto esplodere proprio nel giorno in cui il governo Karzai e la Nato annunciano l'inizio del passaggio dei poteri di sicurezza dalla forza internazionale all'esercito afghano. Il processo terminerà nel 2014, quando circa 95 distretti verranno consegnate alle autorità afghane. Fra esse anche il distretto di Kandahar, roccaforte dei talebani. Fonti dell'agenzia AsiaNews, anonime per motivi di sicurezza, affermano che in queste settimane "i talebani hanno minacciato più volte di compiere attacchi contro personalità di primo piano". Da giorni a Kabul si aggirano "loschi figuri" che spesso sfuggono al controllo dell'intelligence. Per le fonti i talebani non vogliono il dialogo con il nuovo governo, anche se una parte di loro ha accettato di aprire un ufficio di diplomatico a Doha per portare avanti un negoziato, che però finora non ha dato i frutti sperati. "La transizione - spiegano - non è condivisa da tutti. Le forze più radicali si oppongono. Il passaggio di consegne sarà molto duro e rischioso e coinvolgerà soprattutto diplomatici e politici, non solo l'esercito". Con i recenti attacchi gli estremisti islamici hanno mostrato di poter colpire il centro di Kabul, fino a pochi anni fa una delle aree più sicure del Paese, proprio mentre l'Afghanistan si prepara alle elezioni presidenziali previste per il 2014 in concomitanza con il ritiro dei militari Nato. Lo scorso 11 giugno un'autobomba ha ucciso 15 civili davanti alla sede della Corte suprema. Il giorno precedente, una sparatoria fra talebani e polizia afghana ha scosso l'aeroporto della città. Alla fine di maggio un attacco durato sette ore ha colpito l'Organizzazione internazionale per le migrazioni. Nella sparatoria sono morte tre persone. Fra i feriti gravi anche Barbara de Anna, cittadina italiana e funzionaria dell'organizzazione. (R.P.)
Pakistan: giovane cristiano muore per le torture della polizia
◊ Fermato dalla polizia senza una prova né l'ordinanza di un giudice; trattenuto per nove giorni in custodia cautelare e sottoposto a torture e abusi per estorcere una confessione di un crimine mai commesso; e la morte avvenuta per le gravissime ferite riportate, tanto che i medici hanno riscontrato "la frattura di 22 ossa del corpo". È la drammatica storia del 20enne cristiano Irfan Masih, originario di Sharikpur, distretto di Sheikhupura (nella provincia del Punjab) deceduto il 16 giugno fra le mani dei suoi aguzzini, tutti agenti della polizia pakistana. Il giovane, operaio in una ditta della zona, è stato arrestato l'8 giugno perché sospettato di omicidio; secondo la famiglia egli è stato trattenuto per diversi giorni in caserma, pur senza prove concrete o un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal magistrato. Il 16 giugno è morto a causa delle violenze subite, certificate dai dottori che parlano nel referto di "fratture multiple". Nonostante la barbarie commessa, i funzionari di polizia di Sharikpur non mostrano segni di pentimento. Per il responsabile della caserma, Masih "non ha saputo reggere" le torture ed è morto. Il vice aggiunge laconico, e senza alcun rimorso, che era impegnato ad accertare la verità su un delitto e poco importa che sia deceduto. "Ma che importanza ha la sua morte - ha dichiarato il vice-ispettore Variam Ali - molta gente muore ogni giorno". Attivisti pro diritti umani e associazioni - fra cui Life for All - condannano la barbarie e hanno indetto una protesta a Lahore. È già pronta una denuncia all'Alta corte della città, per chiedere giustizia sulla vicenda e ottenere la condanna dei torturatori, anche se il caso si presenta difficile perché sono coinvolte forze di polizia. Intanto la famiglia del giovane è sotto protezione e nascosta in un luogo al sicuro. Il Pakistan non è nuovo a casi di malagiustizia, omicidi extragiudiziali e morti sospette in carcere o nelle caserme di polizia. L'agenzia AsiaNews ha più volte denunciato questi atti di violenza, come avvenuto nel 2009 con il decesso in carcere di Robert Fanish Masih, denunciato per un presunto (e falso) caso di blasfemia. Sempre in base alla "legge nera" era finito in cella un giovane affetto da disturbi mentali, morto per un malore improvviso e molto sospetto ai primi di dicembre. Commentando questi casi padre John Gill, sacerdote a Lahore, auspica "indagini rigorose" che facciano giustizia. "Irfan Gill Masi era l'unico figlio - aggiunge - e ci chiediamo ancora oggi quale fosse la sua colpa. Perché è stato strappato alla famiglia in modo così brutale. Queste vicende devono finire e gli organismi preposti intervenire per riportare giustizia". (R.P.)
Centrafrica: la mediazione della Chiesa cattolica per stemperare le tensioni
◊ “Abbiamo avviato il dialogo tra musulmani, cattolici e protestanti per calmare la situazione, se no questo Paese rischia di scoppiare” dice all’agenzia Fides mons. Juan José Aguirre Muños, vescovo di Bangassou, che si trova a Bangui per una riunione della Conferenza episcopale della Repubblica Centrafricana. “Stiamo offrendo una possibilità di dialogo perché la vita della popolazione possa normalizzarsi. Siccome i musulmani sono stati accusati di essere complici della Seleka (la coalizione ribelle che ha preso il potere cacciando il Presidente Bozizé, ndr.), stiamo cercando di evitare vendette e nuove violenze che complicherebbero una situazione già molto confusa”. “Molte Ong hanno chiesto alla Chiesa cattolica perché coordini questi tentativi di dialogo nelle diverse zone del Centrafrica e stiamo lavorando in questo senso” afferma mons. Aguirre Muño. Nel frattempo il Centrafrica deve far fronte a nuovi attacchi dell’Esercito di Resistenza del Signore (Lra), il gruppo di guerriglia ugandese che ha posto alcune delle sue basi nell’est del Paese. Sedici persone, tra cui 4 membri dell’Lra sono morti nell’assalto a due villaggi nei pressi di Bria. Il nuovo Presidente centrafricano e leader della Seleka, Michel Djotodia, ha annunciato l’invio di truppe nell’est per dare la caccia ai guerriglieri ugandesi. “Non vorrei che queste dichiarazioni fossero una scusa della Seleka per entrare nelle zone dell’est che, bene o male, sono ancora protette dalla presenza delle truppe ugandesi e americane” dice mons. Aguirre Muños . “La Seleka non è potuto entrare a Zemio e Obo, eccetto solo per qualche saccheggio. I militari ugandesi si trovano nel sud-est del Centrafrica, su mandato dell’Unione Africana, per dare la caccia all’Lra. La Seleka, dichiarando che vuole attaccare l’Lra, vuole dimostrare che la presenza delle truppe ugandesi non è più necessaria e quindi avere mano libera anche in quella zona. L’Lra è qui da 6 anni e ci ha fatto passare un calvario enorme in tutto l’est, non è facile da sconfiggere” conclude il vescovo. (R.P.)
Zimbabwe: le Chiese cristiane organizzano il monitoraggio del voto
◊ Oltre 200 leader religiosi cristiani, inclusi sacerdoti e vescovi, sono stati formati a seguire le prossime elezioni presidenziali nello Zimbabwe. Il programma è stato promosso da Southern Africa Crisis Management Agency, una organizzazione non governativa, e da Christian Action Trust Zimbabwe (Cat-Zim), un gruppo ecumenico. Il programma - riporta l'agenzia Fides - mira a formare circa 5.000 leader cristiani. “Facciamo parte di un ampio gruppo di organizzazioni affiliate allo Zimbabwe Council of Churches che hanno avviato alcuni programmi per ridurre le violenza e la tortura come parte nel nostro normale lavoro pastorale nello Zimbabwe” ha spiegato il rev. Levee Kadenge, presidente dello Cat-Zim. “Il programma cerca di completare gli sforzi già avviati da parte delle tre principali organizzazioni cristiane dello Zimbabwe, la Conferenza episcopale cattolica, l’Evangelical Fellowship of Zimbabwe e lo Zimbabwe Council of Churches, per far fronte al retaggio della violenza, prima durante e dopo le elezioni, che affligge il nostro Paese”. È prevista pure la creazione di una rete per segnalare tempestivamente pressioni e violenze che potrebbero verificarsi durante il voto, ispirandosi ad una precedente esperienza effettuata in Kenya. Il Presidente Robert Mugabe ha fissato, senza consultare le altre forze politiche, il 31 luglio come data delle elezioni. Il Premier, Morgan Tsvangirai, leader dell’opposizione ha chiesto un rinvio del voto. Anche la Sadc (comunità economica dei Paesi dell’Africa australe) ha chiesto a Mugabe di posticipare le elezioni. (R.P.)
Honduras. Mons. Emiliani: governo non ha ancora risposto all’iniziativa di pace delle gang
◊ "Non c'è stata finora una risposta chiara ed evidente da parte del governo per sostenere il processo di pace, siamo ancora in tempo per salvare l'Honduras dalla violenza", ha detto mons. Romulo Emiliani, vescovo di San Pedro Sula, incontrando ieri, i giornalisti in una conferenza stampa indetta per criticare la mancata risposta del governo dell’Honduras all’iniziativa di pace avviata a maggio scorso. I capi delle gang "M-13" e "M-18", note come "maras" - riporta l'agenzia Fides - hanno promesso, lo scorso 28 maggio nel carcere di San Pedro Sula, di ridurre la violenza nel Paese, chiedendo scusa a Dio, alla società e alle autorità per i crimini commessi. In base alle statistiche dell’Onu, l’Honduras è considerato il Paese più violento al mondo. (R.P.)
Giappone: la Chiesa onora il dott. Yamaura, traduttore delle “Bibbie della speranza”
◊ La Chiesa cattolica ha deciso di onorare il dottor Leo Harutsugu Yamaura, medico che per tutta la vita ha lavorato per i poveri e che ha tradotto la Bibbia in kesen, dialetto della prefettura di Iwate. Il nunzio apostolico in Giappone gli ha infatti conferito l'onorificenza pontificia "Pro Ecclesia et Pontifice", che viene concessa ai laici e agli ecclesiastici che si sono distinti per il loro servizio verso la Chiesa. La cerimonia si è svolta presso la nunziatura apostolica di Tokyo alla presenza di tutti i vescovi giapponesi (impegnati in questi giorni nei lavori dell'Assemblea plenaria ordinaria) e dei presidenti e vice-presidenti dei Superiori Maggiori. Il medico ha ringraziato il nunzio, il siro-malabarese Mar Joseph Chennoth, per l'onore concesso. Il dottor Yamaura ha lavorato una vita intera per trasmettere e far penetrare in profondità nei cuori della gente il Vangelo di Cristo. Per raggiungere lo scopo ha deciso di tradurre la Bibbia nella sua lingua locale, il kesen. Nell'aprile del 2004, insieme all'allora vescovo di Sendai mons. Francesco Osamu Mizobe, il medico si è recato in Vaticano e ha offerto questi Vangeli a Giovanni Paolo II. Negli ultimi anni la sua opera ha avuto un'enorme eco collegata - suo malgrado - al terribile tsunami che ha devastato le coste giapponesi l'11 marzo del 2011. Il medico aveva appena concluso le bozze per la stampa di "Gesù di Galilea・ Traduzione giapponese dei Quattro Vangeli, Nuovo Testamento" quando la sua clinica venne allagata dall'onda anomala provocata dal terremoto subacqueo. Senza luce, gas ed acqua, per diversi giorni il dottor Yamaura - senza dormire né riposare - ha cercato con tutto se stesso di rispondere ai bisogni dei tanti pazienti del posto che venivano ogni giorno per chiedere cure e medicine. Ma nella tragedia il suo lavoro si è salvato, e le "Bibbie dello tsunami" sono divenute un segno di speranza per tutti i giapponesi. Dopo l'esperienza del grande terremoto gli sono arrivate da tutto il Paese delle richieste di conferenze, e rispondendo a queste richieste il medico ha scelto come uno dei titoli dei suoi discorsi "Dio, tu sei il Sommo Bene. Noi non piagnucoliamo. Va bene così. Accettiamo questa catastrofe". Nel corso di questi incontri spiega il suo credo dicendo che "il modo di vivere di un credente dovrebbe essere in grado di superare la tragedia con la fede". I suoi discorsi commuovono tante vittime della catastrofe e persone, che - cristiani o no - si domandano il significato della sofferenza di questo terremoto. (R.P.)
Sud Corea: le religioni marciano insieme per la vita
◊ Oltre tremila persone, di fede e provenienza diversa, hanno marciato insieme per le vie della capitale sudcoreana per chiedere al governo di "rimettere la santità della vita al centro della società". L'evento è stato organizzato dalla Federazione pro-life, organizzazione interreligiosa che da anni si batte a favore delle nascite. Il tema della manifestazione, che si è svolta nei pressi del distretto di Yeouido, era "La vita parla, la vita ascolta, la vita cammina!". Prima della marcia (di quasi 4 chilometri) i rappresentanti della Federazione hanno presentato "Il Principio della vita: le nostre richieste": un manifesto pro-life per chiedere all'esecutivo di inserire il reato di omicidio neonatale e di finanziare con dei sussidi le donne incinte e le madri single. Il presidente della Commissione pro-life della Conferenza episcopale coreana, mons. Linus Lee Seong-hyo, dice: "La situazione e il dramma dell'aborto in Corea del Sud non sono cambiati. Al momento, nonostante i grandi successi in tanti campi diversi, la nostra rimane una nazione sotto-sviluppata dal punto di vista della difesa della vita. Il governo deve interrompere questo fenomeno e dare alle persone la possibilità di fare la scelta giusta". Al momento il tasso di natalità coreano si attesta sull'1,05 %, uno dei più bassi al mondo. Consapevole del rischio insito in questi dati, la Chiesa cattolica è da sempre impegnata in diversi programmi a sostegno della famiglia e della procreazione. Nel Paese i temi legati alla genetica e alla clonazione sono molto sentiti, dato che è qui che sono avvenuti i primi esperimenti legati alla riproduzione di cellule umane. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 169