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Sommario del 17/06/2013
Papa Francesco: è Gesù il segreto della magnanimità del cristiano
◊ Per il cristiano, Gesù è “il tutto” e da qui deriva la sua magnanimità. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che la giustizia che porta Gesù è superiore a quella degli scribi, all’occhio per occhio, dente per dente. Alla Messa, concelebrata dal cardinale Attilio Nicora, erano presenti, tra gli altri, i collaboratori dell’Autorità di Informazione Finanziaria e un gruppo di collaboratori dei Musei Vaticani, accompagnati dal direttore amministrativo, don Paolo Nicolini. Alla Messa era presenta anche il cardinale arcivescovo di Manila, Luis Antonio Tagle. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra”. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia sulle sconvolgenti parole di Gesù rivolte ai suoi discepoli. Quello dello schiaffo, ha osservato il Papa, “è diventato un classico per ridere dei cristiani”. Nella vita, ha detto, la “logica normale” ci insegna che “dobbiamo lottare, dobbiamo difendere il nostro posto” e se ci danno uno schiaffo “noi ne daremo due, così ci difendiamo”. Del resto, ha detto il Papa, quando consiglio ai genitori di riprendere i propri figli sempre dico: “Mai sulla guancia”, perché “la guancia è la dignità”. Gesù invece, ha proseguito, dopo lo schiaffo sulla guancia va a avanti e dice anche di dare il mantello, spogliarsi di tutto.
“La giustizia che Lui porta – ha dunque affermato – è un’altra giustizia totalmente diversa dall’occhio per occhio, dente per dente. E’ un’altra giustizia”. E questo, ha osservato, lo possiamo capire quando San Paolo parla dei cristiani come “gente che non ha nulla” e “invece possiede tutto”. Ecco allora che la sicurezza cristiana è proprio in questo “tutto” che è Gesù. “Il ‘tutto’ - ha soggiunto - è Gesù Cristo. Le altre cose sono ‘nulla’ per il cristiano”. Invece, ha avvertito il Papa, “per lo spirito del mondo il ‘tutto’ sono le cose: le ricchezze, le vanità”, “avere posti in su” e “il ‘nulla’ è Gesù”. Se dunque un cristiano può camminare 100 chilometri quando gli chiedono di andare avanti per 10, “è perché per lui questo è ‘nulla’” e, con tranquillità, “può dare il mantello quando gli chiedono la tunica”. Ecco qual è allora il “segreto della magnanimità cristiana, che sempre va con la mitezza”, è il “tutto”, è Gesù Cristo:
“Il cristiano è una persona che allarga il suo cuore, con questa magnanimità, perché ha il ‘tutto’, che è Gesù Cristo. Le altre cose sono il ‘nulla’. Sono buone, servono, ma nel momento del confronto sceglie sempre il ‘tutto’, con quella mitezza, quella mitezza cristiana che è il segno dei discepoli di Gesù: mitezza e magnanimità. E vivere così non è facile, perché davvero ti danno degli schiaffi, eh?, te li danno! E su tutte e due le guance. Ma, il cristiano è mite, il cristiano è magnanimo: allarga il suo cuore. Ma quando noi troviamo questi cristiani con il cuore ridotto, con il cuore rimpicciolito, che non vanno… questo non è cristianesimo: questo è egoismo, mascherato da cristianesimo”.
“Il vero cristiano”, ha detto ancora, “sa risolvere questa opposizione bipolare, questa tensione tra il ‘tutto’ e il ‘nulla’, come Gesù ci aveva consigliato: 'Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e l’altro viene, poi'”:
“Il Regno di Dio è il ‘tutto’, l’altro è secondario, non è principale. E tutti gli sbagli cristiani, tutti gli sbagli della Chiesa, tutti i nostri sbagli nascono di qua, quando noi diciamo al ‘nulla’ che è il ‘tutto’ e al ‘tutto’ che, mah, sembra che non conti... Seguire Gesù non è facile, non è facile. Ma neppure è difficile, perché nella strada dell’amore il Signore fa le cose in un modo che noi possiamo andare avanti; lo stesso Signore ci allarga il cuore”.
E questa è la preghiera che noi dobbiamo fare, ha aggiunto, “davanti a queste proposte dello schiaffo, del mantello, dei 100 chilometri”. Dobbiamo pregare il Signore, affinché allarghi “il nostro cuore”, affinché “noi siamo magnanimi, siamo miti”, e non lottiamo “per le piccolezze, per i ‘nulla’ di ogni giorno”.
“Quando uno fa un’opzione per il ‘nulla’, da quella opzione nascono gli scontri in una famiglia, nelle amicizie, con gli amici, nella società, anche; gli scontri che finiscono con la guerra: per il ‘nulla’! Il ‘nulla’ è seme di guerre, sempre. Perché è seme d’egoismo. Il ‘tutto’ è quello grande, è Gesù. Chiediamo al Signore che allarghi il nostro cuore, che ci faccia umili, miti e magnanimi, perché noi abbiamo il ‘tutto’ in Lui; e che ci difenda dal fare problemi quotidiani attorno al ‘nulla’”.
Roma, il Papa apre il Convegno diocesano. Il card. Vallini: una fede forte regge la crisi
◊ “Io non mi vergogno del Vangelo”. L’affermazione di S. Paolo dà il titolo alla catechesi con la quale stasera, alle 19.30, in Aula Paolo VI, Papa Francesco aprirà il suo primo Convegno pastorale diocesano di Roma. La netta affermazione del titolo richiama l’incisività dello stile comunicativo al quale il Papa da tre mesi ha abituato la Chiesa. Sulla scelta del tema e lo sfondo sul quale il Convegno è stato preparato, Alessandro De Carolis ha sentito il cardinale vicario Agostino Vallini:
R. – Il tema è venuto perché al Santo Padre ho chiesto di tenere una catechesi su un testo paolino ed un brano della Lettera ai Romani, dove San Paolo esprime proprio la sua ansia pastorale con questa espressione: “Io non mi vergogno del Vangelo”. Naturalmente, mi sembra proprio molto congeniale all’attività di magistero di Papa Francesco e, quindi, questa sera ci aspettiamo che il Papa ci aiuti ad assumere maggiore coraggio nel vivere prima e nel testimoniare il Vangelo poi.
D. – Come vi siete preparati a questo incontro?
R. – E’ un appuntamento annuale che nasce dall’esperienza pastorale di un anno intero e che diventa occasione di riflessione per approfondire e anche per progredire in quella visione del progetto pastorale di questi anni, che ha posto la questione della missione della Chiesa a Roma all’attenzione della Chiesa stessa.
D. – In questa contingenza storica la Chiesa capitolina sta vivendo una nuova primavera come testimonia la corrente di entusiasmo che da tre mesi accompagna il nuovo vescovo di Roma. La situazione sociale, invece, non è altrettanto serena. Come conciliate la gioia di questi momenti con la durezza del periodo?
R. – Io la concilio in questo modo: nella misura in cui cresce la vita cristiana bella, ricca, affascinante, capace di testimonianza credibile, si riesce ad affrontare anche le difficoltà, la crisi, con la forza e la pazienza del Signore. Quindi, non ci dobbiamo lasciarci scoraggiare dalle difficoltà, ma renderci particolarmente adatti a testimoniare la bontà del Vangelo, così che i cristiani a Roma siano quelli che si rimboccano le maniche ancora di più e sappiano anche condividere e partecipare, portando gli uni i pesi degli altri.
D. – Come risponderebbe in sintesi alla domanda: dove sta andando attualmente il corpo ecclesiale della città?
R. – Io penso di poter rispondere con questa semplice espressione: è un corpo ecclesiale che cammina con una crescente consapevolezza e passione pastorale, affronta le sfide del tempo: quelle della cultura, quelle della vita, anche gli aspetti più difficili, più problematici, quelli che riguardano i valori, messi in discussione. Ma con il coraggio di una testimonianza che possa aiutare quantomeno chi non è nella comunità ecclesiale, a pensare, a domandarsi: “Ma che senso ha la vita?”. La nostra risposta è: solo nel Signore Gesù, troveremo salvezza.
Il Papa incontra il presidente venezuelano Maduro: colloqui su dopo-Chavez e narcotraffico
◊ L’analisi del Venezuela del dopo Chavez e considerazioni sulla lotta a crimine e narcotraffico hanno impegnato questa mattina Papa Francesco e il presidente della Repubblica Bolivariana di Venezuela, Nicolás Maduro Moros, durante il colloquio avuto in Vaticano. “Nel corso dei colloqui, che si sono svolti in un clima di cordialità, ci si è soffermati – si legge in una nota ufficiale della Sala Stampa vaticana – sulla situazione sociale e politica del Paese, dopo la recente scomparsa del Presidente Hugo Chávez Frías, come pure su alcune problematiche attuali, quali la povertà e la lotta alla criminalità e al narcotraffico” e, inoltre, sulla situazione regionale, “con particolare riferimento al processo di pace in Colombia”.
Nel prosieguo dei colloqui, continua il comunicato, “si è fatto riferimento alla presenza storica della Chiesa cattolica nel Paese e al suo decisivo apporto nell’ambito della carità, dell’assistenza sanitaria e dell’educazione, convenendo sulla necessità di un dialogo sincero e costante tra la Conferenza Episcopale e lo Stato, per lo sviluppo dell’intera Nazione”. Al termine dell’udienza con Papa Francesco, il presidente Maduro si è intrattenuto con il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, accompagnato dall’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. (A cura di Alessandro De Carolis)
In udienza dal Papa il card. Ze-kiun e il vicepremier iracheno Shaways
◊ Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il vicepremier iracheno, Rowsch N. Shaways, e il cardinale Joseph Ze-Kiun, vescovo emerito di Hong Kong.
Tweet del Papa: amore cristiano è pregare per chi ci fa arrabbiare
◊ Papa Francesco ha lanciato questa mattina un tweet dal suo account @Pontifex. Questo il testo: “Siamo arrabbiati con qualcuno? Preghiamo per quella persona. Questo è amore cristiano”.
Plenaria della Roaco sulla situazione dei cristiani in Siria, Iraq, Egitto e Terra Santa
◊ Il tema è scottante come sempre quando lo sguardo si appunta sul Medio Oriente. “La situazione dei Cristiani e delle Chiese in Egitto, Irak, Siria e in Terra Santa” recita il titolo della 86.ma Assemblea della Roaco, la Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali, che si riunisce da oggi al 20 giugno in Vaticano per la sua plenaria annuale. Attorno al tavolo dove siederanno rappresentanti di oltre 20 Agenzie cattoliche, provenienti da 10 Paesi occidentali, sono attesi il patriarca copto-cattolico, Ibrahim Isaac Sidrak, e il patriarca caldeo, Raphael I Sako, ambedue eletti in gennaio 2013. Il teatro di guerra della Siria avrà ovviamente la preminenza nel confronto, attraverso la relazione del nunzio apostolico a Damasco, l’arcivescovo Mario Zenari, mentre il delegato apostolico a Gerusalemme, mons. Giuseppe Lazzarotto, e il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa apriranno la consueta “finestra” sulla situazione a Gerusalemme e negli altri luoghi cari alla cristianità.
Domattina, alle ore 8.30, il gruppo di partecipanti concelebrerà con il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, la Messa nella Chiesa di Santa Maria in Traspontina per i benefattori e per la pace in tutto il Medio Oriente. Per giovedì 20, è fissata l’udienza della Roaco con Papa Francesco.
La Roaco è un organismo, fondato nel 1968 dalla Congregazione per le Chiese Orientali e raduna le Agenzie impegnate nel sostegno delle Chiese Cattoliche Orientali in tutte le dimensioni della loro vita: culto, clero, formazione pastorale, istituzioni educative e scolastiche, assistenza sociosanitaria. E’ presieduta dal prefetto della Congregazione, il Cardinale Leonardo Sandri, e ha come vicepresidente il segretario del dicastero, l’arcivescovo Cyril Vasil’. (A cura di Alessandro De Carolis)
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Economia e politica al servizio dei poveri: lettera di Papa Francesco al premier britannico per il vertice in Irlanda del Nord.
Quel Dio vivente e misercordioso: Messa del Pontefice per la giornata dell’ “Evangelium vitae”.
Il nulla e il tutto del cristiano: Messa del Papa a Santa Marta.
L’odio alla radice del crimine: nell’informazione internazionale, Ombretta Fumagalli Carulli sui progetti dell’Osce contro la discriminazione.
Un articolo di Felice Accrocca dal titolo “Tutto cominciò in un campo di insalata”: dopo sessant’anni Servus Gieben saluta il Museo francescano cappuccino.
L’ultimo viaggio: il curatore del Museo Gregoriano Etrusco, Maurizio Sannibale, sul restauro in Vaticano dei carri etruschi della Tomba Regolini Galassi di Cerveteri.
La fede non è morta, ma nemmeno scontata: sul convegno diocesano di Roma, Fabrizio Contessa a colloquio con il cardinale vicario Agostino Vallini.
A proposito di una realtà spirituale che entra nella vita di ogni giorno, la premessa di Giovanni Giorgianni alla prima edizione del libro “Il mistero degli Angeli” di Maria Luigia Ronco Valenti.
Calimero battagliero: una mostra e una nuova serie in 3D.
Al via il G8. L'ambasciatore britannico: la persona è il centro di economia e politica
◊ Al via nel pomeriggio a Lough Erne, in Irlanda del Nord, il vertice G8 quest’anno incentrato sulla crisi economica e la guerra in Siria. Un incontro, quello tra i potenti della Terra, che già si preannuncia ad alta tensione. Il servizio di Salvatore Sabatino:
Il vertice delle divisioni, quelle sulla Siria. Argomento centrale di questo G8, ma anche argomento infuocato, visto che Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e Francia si presentano compatti e pronti ad armare i ribelli, mentre gli altri Paesi sono più cauti o fortemente contrari. La posizione più dura quella della Russia, che ha già definito "non convincenti" le prove presentate dalla Casa Bianca sull'uso di armi chimiche da parte del regime di Damasco, mentre ieri il presidente Putin ha accusato i ribelli di atti impietosi sui cadaveri dei nemici. Proprio la Siria sarà al centro del faccia a faccia tra Obama ed il capo del Cremlino, un incontro che si preannuncia carico di tensione. Ma al G8 di Lough Erne, in Irlanda del Nord, si parlerà anche di economia globale, con particolare attenzione ai temi della crescita e del lavoro. Argomenti, questi, di stretta attualità, che hanno bisogno di risposte concrete. E questo riguarda tutti, visto che i Paesi più ricchi della Terra sono anche quelli più colpiti dalla crisi economica.
E al summit del G8 di Lough Erne, in Irlanda del Nord, risuonano tra i leader dei Paesi più potenti della Terra le parole di Papa Francesco, che in una lettera indirizzata al primo ministro britannico, David Cameron, ha auspicato tra le altre cose che il consesso lavori per un cessate-il-fuoco immediato in Siria e per l’avvio di negoziati. La missiva del Papa fa seguito ad una lettera inviata dall’inquilino di Downing Street il 5 giugno scorso al Pontefice, proprio in vista del G8 di questi giorni. Sul perché Cameron abbia scritto a Papa Francesco, Philippa Hitchen ha intervistato Nigel Marcus Baker, ambasciatore britannico presso la Santa Sede:
R. – The Pope, is particularly now with Pope Francis, but in general, one of…
Il Papa – ora, nello specifico, Papa Francesco, ma in generale il Pontefice – è tra i pochi leader mondiali che affrontano argomenti a livello universale e globale. L’attenzione della presidenza britannica del G8 è fortemente incentrata sulla necessità di ribilanciare l’economia globale, sulla necessità di attuare nuovi provvedimenti in ambiti specifici come il buon governo, la trasparenza, il commercio esente da imposte, ma anche in altri ambiti che comunque possono avere risonanza globale, nel loro impatto: non solo sui Paesi del G8, ma anche sull’Africa, sull’America Latina e sull’Asia. Questo è il ruolo della presidenza del G8, per quanto ci riguarda. Abbiamo pensato che fosse utile un coinvolgimento diretto del Papa – in considerazione del suo ruolo – e nello specifico di Papa Francesco, alla luce delle sue omelie, dei suoi messaggi e dei suoi discorsi, che fin dall’elezione ci parlano della necessità di affrontare i mali del pianeta, le questioni legate alla pace e che ci ricordano che la persona umana è l’oggetto primo delle azioni economiche e politiche. Ecco perché è giusto che ci sia stato questo scambio.
D. – Questo già è molto: porre la persona umana al centro, è in realtà il nucleo della lettera del Papa. In termini pratici, tre saranno i temi centrali nel G8: l’evasione fiscale, il commercio equo e la trasparenza. Quali probabilità abbiamo di vedere qualche iniziativa reale in qualcuno di questi ambiti?
R. – In once, they seem very technical, but in fact of course, each of these…
Presi così, sembrano molto tecnici ma poi, in realtà, ciascuno di questi va a toccare profondamente l’aspetto umano. Quando, ad esempio, si parla di evasione fiscale, Papa Francesco ha ricordato, giustamente e in termini molto schietti, la base etica secondo la quale le imprese e i governi dovrebbero agire in campo economico. Evadere le tasse mina alle fondamenta i servizi sanitari, i servizi educativi nel mondo sviluppato e in quello in via di sviluppo, centrali per lo sviluppo dei popoli. Il primo ministro è determinato ad attuare misure molto concrete e ad ottenere il supporto del G8 in favore di questi provvedimenti. Vi saranno dei Paesi, in questa settimana di lavori, che al G8 dichiareranno il loro impegno a cambiare le regole in ambiti come, ad esempio, la disponibilità delle multinazionali a interfacciarsi con le autorità di regolamentazione fiscale. La trasparenza: Papa Francesco è stato molto eloquente per quanto riguarda il fatto che i valori etici debbano essere alla base dell’agire economico e politico. Sappiamo molto bene che la mancanza di trasparenza nelle imprese di estrazione mineraria e di petrolio e gas a livello mondiale, ad esempio, spesso significa corruzione della legge in Paesi che sono ricchi di risorse naturali. Per questo, il primo ministro insieme agli altri leader del G8, presenterà provvedimenti nuovi e molto chiari per le imprese estrattive. Lo scopo è tentare di ottenere – anche se sarà difficile – che i governi e gli uomini d’affari sia nei Paesi sviluppati sia in quelli in via di sviluppo, assumano questa responsabilità. Infine, il commercio: noi già consideriamo l’evoluzione di un commercio libero come un motore per la lotta alla povertà a tutti i livelli e l’attenzione del G8, quest’anno, sarà incentrata in particolare sull’Africa. Quindi, come vede, sono state prese numerose misure pratiche e speriamo di vedere molto, molto presto risposte chiare in termini di economia globale, che avranno forte impatto sui popoli, soprattutto sulle persone più vulnerabili e più svantaggiate, ma anche su quelle che risentono della crisi economica nel mio stesso Paese e in altri: speriamo di vedere questi risultati molto presto.
D. – Sicuramente, l’economia sarà un grande campo di discussione. Ma altrettanto lo sarà la Siria, immagino, dal punto di vista della sicurezza globale, la Siria e il Medio Oriente in particolare. Secondo lei, riusciremo a vedere da qualche parte una qualunque volontà politica per trovare una soluzione a questa crisi, in questo vertice?
R. – The political will is there – the United Kingdom has been very clear…
La volontà politica c’è, il Regno Unito è stato assolutamente chiaro: la nostra priorità è vedere la Siria in pace e le parti in lotta sedute attorno ad un tavolo negoziale. Ci sarà questa volontà sul terreno? E’ praticamente certo che questa volontà ci sia da parte del governo siriano, ad esempio. Sarà possibile superare le divisioni tra le diverse fazioni? Questo sarà il vero banco di prova. Ma anche in questo caso, Papa Francesco ha sottolineato, in termini molto chiari, che la pace – o l’assenza di conflitto – è un prerequisito allo sviluppo internazionale e sicuramente questi argomenti saranno in cima all’ordine del giorno del G8.
Turchia: polemiche per l'eccessivo uso della forza da parte della polizia
◊ Divampa la polemica in Turchia sul comportamento della polizia, considerato troppo repressivo, nei confronti dei manifestanti. Solo, ieri, nei disordini ad Istanbul e Ankara sono state fermate quasi 600 persone, tra di loro anche un fotografo italiano Daniele Stefanini. Alcuni media hanno poi diffuso filmati che mostrano l’impiego di idranti con sostanze urticanti e gas lacrimogeni da parte degli agenti. Intanto, il ministro dell’Interno Guler ha dichiarato "illegale" lo sciopero proclamato oggi da due grandi sindacati per denunciare la violenza della polizia. Come potrà il premier Erdogan mettere fine all’empasse in cui si trova il Paese? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Marco Ansaldo, inviato de “La Repubblica” ad Istanbul:
R. - La Turchia è spaccata in due: c’è una Turchia che si riunisce intorno al suo leader, che ha dei valori religiosi molti forti, ma che tendono poi ad avere la prevalenza, diventando anche leggi dello Stato; questo è il suo tentativo. A questo intendimento, si contrappone - invece - l’altra Turchia più democratica, più vicina all’Occidente, sicuramente più laica che, pur essendo al 99 percento musulmana, non vuole sottostare a imposizioni, soprattutto da un punto di vista religioso, che dopo dieci anni tendono a diventare prevalenti.
D. - Come mai, Erdogan ha criticato fortemente anche i giornalisti stranieri?
R. - Erdogan finge, oppure non mostra di voler capire quali sono davvero gli umori della piazza che non vuole più sottostare a determinate imposizioni. E allora il riflesso qual è? Lo ha dimostrato pienamente ieri, in questo mega raduno organizzato alla periferia di Istanbul, prendendosela non soltanto con l’opposizione, ma soprattutto con i media - visto che molti media locali ahimè hanno problemi di censura o di autocensura -, soprattutto con quelli stranieri, che invece stanno facendo un lavoro di copertura eccellente. In questo blocco di media turchi tradizionali un lavoro capillare è stato fatto dalle piccoli emittenti radiofoniche, i social network, Twitter… Quindi, i media turchi, che sono nati in maniera artigianale dopo questa rivolta, hanno colto pienamente gli umori, cercando di trasmetterli alle persone che quasi con un tam tam lasciavano perdere gli organi tradizionali di informazione cercando di informarsi via web di quello che accadeva davvero a Piazza Taksim o al Gezi Park.
D. - Quali sono, secondo te, gli strumenti che ha a disposizione Erdogan per uscire da questa empasse?
R. - Erdogan lo sta dimostrando con un pugno di ferro. È determinato ad andare avanti. Il problema non è tanto l’Islam, ma è l’autoritarismo. Mi chiederei piuttosto cosa può fare la piazza. Io sto cogliendo degli umori di disincanto nella folla che ormai non trova più un punto di riferimento logistico, perché Piazza Taksim è stata evacuata ed oggi è tornata quasi alla normalità; il Gezi Park continua ad essere occupato dalla polizia, quindi la gente non solo non ha un leader in questa protesta, ma non sa più nemmeno dove ritrovarsi. Da qui bisogna ripartire per vedere come si convoglierà la rivolta nei confronti di colui che lo fa arrabbiare e che molti qui definiscono “il sultano”.
D. - A livello internazionale, come esce la figura di Erdogan che in passato si era sempre proposto come un interlocutore credibile ed affidabile?
R. - Molto male. Intendiamoci, Erdogan ha avuto dei meriti straordinari: ha portato il Paese a livelli economici formidabili, con un Pil che negli ultimi anni ha superato addirittura quello della Cina, ha fatto della Turchia un faro per il mondo circostante – l’ex Repubblica sovietica, il Caucaso, una buona parte del Medio Oriente, il nord dell’Africa, i Balcani -, è sempre un Paese candidato all’ingresso nell’Unione Europea, seppur con tante difficoltà. Quindi i due lustri di Erdogan al potere sono stati sicuramente molto importanti, però il pugno di ferro che ha usato per stroncare la rivolta, il non capire le ragioni della parte politica che non lo ha votato, sicuramente gli costano, da questo punto in poi, molto sul piano dell’affidabilità e della credibilità. Io credo che i leader europei ed occidentali credano molto nella Turchia; da oggi, molto meno nel suo leader attuale.
Giornata contro la desertificazione. La Fao: combattere l'inaridimento
◊ “Non lasciamo seccare il nostro futuro” è lo slogan dell’edizione 2013 della Giornata mondiale per la lotta contro la desertificazione, che si celebra oggi 17 giugno. L’intento è sensibilizzare l´opinione pubblica e promuovere la cooperazione internazionale per attuare la Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione. Marco Guerra ne ha parlato con Nora Derrhamouni, funzionario Fao per le politiche forestali nelle zone aride:
R. - Tanta gente pensa che la desertificazione sia il deserto che va verso le altre terre: le foreste, le terre da pascolo, l’agricoltura. Invece, la desertificazione è solo un fenomeno dovuto alla degradazione delle terre delle zone aride a causa delle attività umane, che sono insostenibili. Le terre aride sono naturali: non sono le terre aride che dobbiamo combattere! Quello che dobbiamo combattere sono le pratiche di gestione che non sono sostenibili e che fanno sì che queste zone aride e vulnerabili, vengano rese ancora più fragili e vulnerabili alla desertificazione e al degrado delle terre.
D. - Cosa sta facendo la comunità internazionale per combattere la desertificazione?
R. - C’è la Convenzione delle Nazioni Unite sulla lotta contro la desertificazione, che si chiama “La strategia di dieci anni”, per aiutare i Paesi ad identificare le loro priorità nazionali per la lotta contro la desertificazione. Stiamo poi lavorando con i diversi Paesi per sviluppare dei progetti, delle iniziative per prevenire la desertificazione, attraverso la gestione sostenibile delle foreste, delle terre da pascolo e anche delle terre agricole, dalle quali queste popolazioni dipendono per quanto riguarda le risorse naturali. Stiamo realizzando, per esempio, un programma che si chiama “La grande muraglia verde”, destinato al Sahara e al Sahel, che promuove lo sviluppo sostenibile delle zone aride e delle sue popolazioni attraverso una gestione adeguata delle risorse della terra e dell’acqua in queste zone. Stiamo sviluppando delle linee guida per promuovere delle buone pratiche di gestione sostenibile e di restauro di queste terre degradate nelle zone più aride del mondo.
D. - Quali attività influiscono sul fenomeno della desertificazione?
R. - La sovraespoliazione dei prodotti forestali, il pascolo esagerato in queste zone e anche la conversione delle terre forestali e delle terre di pascolo a terre di agricoltura. A volte queste terre destinate all’agricoltura non sono comunque ben gestite in un approccio territoriale -“Landscape Approach” - che deve sviluppare delle attività che possano portare benefici economici, sociali, ma anche ambientali, avendo così un equilibrio tra agricoltura, foreste e anche altri usi del territorio.
D. - Quindi, anche le popolazioni locali sono chiamate a fare la loro parte?
R. - La loro parte deve essere ancora più importante nella prevenzione. La prevenzione si fa con una gestione sostenibile, prima di avere questo problema, perché quando arriviamo alla desertificazione sarà poi difficile e molto costoso recuperare queste terre e queste zone, che sono anche molto importanti, perché danno molte opportunità di sviluppo per queste popolazioni.
Tragedia nel Canale di Sicilia, muoiono in 7. Mons. Perego: nuova politica Ue
◊ Dopo gli sbarchi a ripetizione di immigrati sulle coste italiane, il centro di accoglienza sull’isola di Lampedusa è di nuovo sull’orlo del collasso. I dati aggiornati indicano in 855 gli extracomunitari ospitati nella struttura a fronte di una capienza massima prevista di 300 persone. Gli ultimi arrivi sono avvenuti nella tarda serata di ieri per un totale di circa 150 persone. Negli occhi restano le immagini della tragedia di ieri, che ha visto almeno 7 persone annegare nel Canale di Sicilia mentre erano aggrappate a una gabbia per tonni assieme ad altre dozzine di naufraghi. Un altro tragico episodio che impone delle riflessioni come afferma mons. Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, al microfono di Alessandro Guarasci:
R. – Certamente questa tragedia, che avviene a pochi giorni dalla Giornata internazionale del Rifugiato e dalla celebrazione che ogni anno si tiene in Santa Maria in Trastevere per i morti del mare, aggiunge altri nomi ai duemila che ormai sono i morti del mare, in questi ultimi anni, soprattutto nel Mediterraneo. E stimola, in un momento di discussione, di revisione di una legge sull'asilo di carattere anche europeo, a strumenti nuovi, che possano creare canali umanitari per fuggire da situazioni soprattutto in Medio Oriente, ma anche in Nord Africa. Al contempo serve un pattugliamento che sappia accompagnare questi migranti nel contesto di una situazione nuova di accoglienza. Questa tragedia spinge, quindi, ancora una volta, ad una politica sociale europea, che guardi al mondo dei richiedenti asilo e dei rifugiati con più attenzione.
Nel segno del dialogo: la Fondazione "Oasis" compie 10 anni
◊ La Fondazione Oasis per il dialogo tra cristiani e musulmani compie 10 anni. L’evento viene celebrato oggi a Milano con l’intervento, tra gli altri, del cardinale Angelo Scola ideatore della Fondazione stessa. Il servizio di Fabio Brenna:
Testimoni cristiani e musulmani a confronto sul cambiamento delle società occidentali e orientali. Società sul crinale, impegnate nel difficile guado fra secolarizzazione e affermazione di ideologie fondamentaliste. Il vento che agita tanti Paesi arabi e non solo, nel racconto di chi vive in prima linea difficili esperienze di condivisione con religioni e culture diverse. Non solo focus approfonditi sulle emergenze in corso in Turchia o in Siria, ma l’occasione anche per tornare su questioni apparentemente chiuse, come l’Iraq o lontane dalla nostra attenzione come la Nigeria e l’Indonesia.
Sentieri stretti, dove ci si muove fra illusioni e pericoli: primo quello di pensare alla secolarizzazione come fattore di contenimento dell'islam, così come la denuncia di una teologia politica e del necessario recupero del trascendente contro una religione ideologizzata. Spunti questi suggeriti dall’intervento di apertura del cardinale Angelo Scola, in qualità di presidente della Fondazione "Oasis", che compie 10 anni: e per l’avvenire propone di attraversare i vari territori e saperi, facendo leva sulla comune esperienza religiosa; senza cedere alla tentazione di opporre l’Occidente ateo all’Oriente della spiritualità.
L’immagine evocata dal cardinale Scola è quella di una traversata nel deserto: ciò che sta in mezzo non è ancora deserto, è proprio l’oasi. "Oasis" è nata nel 2004 su iniziativa dell’allora patriarca di Venezia, Angelo Scola. Attualmente produce una rivista semestrale plurilingue, un sito internet, una newsletter quindicinale e la pubblicazione di libri.
◊ Ebrei e cristiani insieme per piantare una foresta in Israele in memoria del cardinale Carlo Maria Martini: è l’iniziativa voluta dal rabbino Giuseppe Laras, già rabbino capo di Milano e grande amico del porporato scomparso l’anno scorso. Proprio ieri, è stato piantato il primo albero di questa foresta nella zona di Tiberiade, in Galilea, luogo particolarmente simbolico sia per i cristiani che per gli ebrei. Sull'idea che ha dato vita a questa iniziativa, Alessandro Gisotti ha intervistato proprio il rabbino Giuseppe Laras:
R. - Nasce dalla constatazione del grande amore e attaccamento che Martini aveva per la terra di Israele. Abbiamo pensato di piantare una foresta di alberi in Alta Galilea. E ieri, infatti, in Israele è stata inaugurata con la piantagione di un albero. Questo sta a simboleggiare il collegamento, il legame, l’attaccamento di Martini alla terra di Israele.
D. - Lei che ha fortemente voluto questa iniziativa, ha anche subito voluto coinvolgere cristiani ed ebrei: questo è anche molto significativo e importante, pensando a quanto il cardinale Martini si sia impegnato - lungo i decenni, potremmo dire - per il dialogo tra ebrei e cristiani…
R. - Certo. Io lo ricordo bene che, quando ci siamo conosciuti, proprio nel 1980, quando lui entrava nella diocesi di Milano e io prendevo il posto di Rabbino Capo a Milano, una delle sue preoccupazioni primarie fu quella di dare un nuovo impulso al dialogo ebraico-cristiano, che stava un pochino languendo. Da allora prendemmo insieme diverse iniziative dirette a rilanciare un po’ il dialogo. Sicuramente il dialogo è un qualcosa che è molto legato alla sua figura.
D. - Questa foresta ovviamente non è solo memoria, ma evidentemente si proietta anche verso il futuro: questo luogo diventerà, nel tempo, caro ad ebrei e cristiani…
R. - Diventerà una grande foresta dedicata al nome di Martini. Dato che il nome di Martini è legato e sarà sempre legato a questo attaccamento verso la terra di Israele, ma anche all’attaccamento per il dialogo, per questo discorso comune che doveva riprendere e che era ripreso fra cristiani e ebrei, questa foresta sarà un punto di incontro molto importante per Israele, che simboleggerà questo rilancio del dialogo e dialogo vuol dire andare in direzione della pace, perché fra ebrei e cristiani, per duemila anni non c’è stato alcun momento - prolungato almeno - di fraternità o di sentimenti di amicizia. Lui questo lo sottolineava e diceva spesso: “Noi dobbiamo ripercorrere a ritroso un cammino, che è stato tutto sotto un altro segno”. Per cui la foresta di Tiberiade in memoria di Martini è sicuramente un qualche cosa che resterà e nella memoria e nei fatti. Sarà anche un qualcosa di simbolicamente molto forte.
A Roma, Forum sulla disabilità promosso dall'Opera Don Calabria
◊ “Dal supermercato delle prestazioni al budget di salute. Da pazienti-assistiti a coproduttori del proprio benessere”: è il titolo del convegno svoltosi, venerdì scorso, al Campidoglio in una Sala della Protomoteca gremita. Ma è anche la sfida che l'Opera Don Calabria di Roma, in collaborazione con Forum Disabilità-Formazione-Lavoro, lancia alle istituzioni della città di Roma, per passare da una concezione di erogazione di servizi senza anima ad una progettazione di assistenza che parta dalla persona. A raccoglierla Ignazio Marino, nel suo primo intervento pubblico dopo l’elezione a sindaco di Roma, rappresentanti delle amministrazioni locali, dell’associazionismo cattolico e laico e tantissimi cittadini. Al microfono di Luca Attanasio il direttore dell’Opera Don Calabria di Roma, Fratel Brunelli, e il consigliere di Roma Capitale, Paolo Masini, ospite dell’evento:
D. - Fratel Brunelli, portavoce di un movimento che punta alla difesa dei disabili per essere politicamente presente, ma soprattutto per essere fedele allo spirito di Don Calabria…
R. - Sì, certamente. L’intento dell’Opera Don Calabria, insieme a tante altre istituzioni a Roma e in Italia, vuole riprendere il discorso in prima fila a nome e per conto delle persone con disabilità. Noi vogliamo che siano protagonisti nel costruire quello che hanno diritto di ottenere. L’Opera Don Calabria ha bisogno dei poveri per essere se stessa, per diventare insieme - religiosi, laici - Chiesa, pastoralmente, a tutti i livelli e voce per chi non ce l’ha, affinché la politica guardi bene che se c’è qualcosa che deve essere blindato nelle risorse è proprio a quello che va a chi più soffre, a chi più è in difficoltà. Il progetto che noi vogliamo promuovere, anche attraverso questo convegno, è che non siano le commissioni a definire una persona che ha disabilità, ma che a farlo siano la grande partecipazione della persona, della famiglia e della comunità a cui appartiene e che poi questo progetto - una volta definito - sia un progetto di vita, che duri una vita.
D. - Paolo Masini, il nuovo consiglio di Roma ha inaugurato i lavori con questo seminario dedicato all’inclusione dei disabili…
R. - Sì, un segnale importante cominciare questo nuovo quinquennio amministrativo per Roma in questa maniera. Credo che i prossimi anni dovranno essere fondati e basati proprio sull’attenzione alla persona e soprattutto agli ultimi. L’Opera Don Calabria, come altre situazioni della nostra città e non solo, svolgono un lavoro fondamentale. Io credo che chi amministra la cosa pubblica debba “coccolare” e incoraggiare queste buone pratiche, che tendono proprio a costruire un tessuto connettivo sociale importante nella nostra città. Penso ai progetti di psicologia sociale, anche alla stessa mensa, ma proprio all’idea - che è fondamentale e della quale abbiamo dibattutto - di infrangere il muro tra sanitario e sociale: se mettiamo al centro la persona e riusciamo a integrare i servizi - come fa benissimo il Don Calabria - avremo un futuro migliore per i cittadini romani.
D. - Il sindaco Marino, peraltro presente all’inizio del seminario, ha parlato di “blindare” i fondi sul sociale…
R. - E’ un’idea fondamentale. Le persone non possono stare dietro le crisi dell’economia. Il bilancio ha bisogno di una blindatura in tutti quei settori che mettono al centro la persona e la dignità del valore umano.
Restaurata la Via Crucis della cattedrale di Recanati dipinta da Biagio Biagetti
◊ Finalmente restaurata la "Via Crucis" della cattedrale di San Flaviano a Recanati, realizzata dal pittore Biagio Biagetti nella prima metà del XX secolo. Un tributo dovuto a un grande artista d’arte sacra del Novecento, ex direttore dei Musei Vaticani e fondatore del Laboratorio Vaticano per il Restauro delle pitture. La restituzione delle 14 stazioni costituisce l’ultima tappa del percorso di riqualificazione del Duomo della città marchigiana, dopo il sisma della fine degli anni Novanta. Il servizio è di Paolo Ondarza:
Ritrovata l’originaria brillantezza cromatica, grazie ad un accurato e rispettoso intervento di restauro, la Via Crucis di Biagetti torna a rivelare quella Bellezza, con la B maiuscola perché riflesso della Verità del Vangelo, al servizio del quale si pose sempre il pittore marchigiano, ex direttore dei Musei Vaticani e fondatore del Laboratorio Vaticano per il Restauro delle pitture. Le 14 tavole lignee, dipinte a tempera sono in realtà i bozzetti dell’opera a mosaico che l’artista realizzò a Roma per la Basilica di Santa Croce a Ponte Milvio. Lo ricorda la figlia, Fiorella Biagetti, che negli ultimi 15 anni si è impegnata affinchè questi piccoli capolavori, imballati dopo il sisma del 1997, tornassero a essere esposti nella Cattedrale di Recanati:
“Quest’opera è stata realizzata per la Chiesa di Santa Croce, al quartiere Flaminio. I bozzetti sono stati dipinti da mio padre nel ’41 e, per testamento, lui li ha poi donati alla Curia, alla Chiesa di Recanati”.
Anche per questo le opere sono particolarmente amate dalla cittadinanza: nonostante la crisi un benefattore anonimo ha finanziato interamente l’intervento conservativo. Un lavoro non semplice visto che i 14 quadri presentavano pesanti attacchi di muffe e insetti xilofagi, che avevano alterato la lettura delle immagini. La restauratrice Anna Fulimeni illustra le tappe dell’’intervento:
R. – Fermare l’attacco biologico e, successivamente, pulire questo strato di pulviscolo e di sporco, creatosi nel tempo. Poi, risarcire con il colore e quindi integrare con l’utilizzo di stucco e di colle i fori creati dai tarli e ricostruire le lacune a livello pittorico, con gli stessi materiali utilizzati dall’artista.
D. – Che cosa significa riportare alla luce un capolavoro?
R. – La parte più bella di questo mestiere consiste nell’entrare a contatto diretto con l’autore dell’opera, capire quello che c’è dietro un’opera d’arte e arrivare al concetto, all’idea. Tra le altre cose, trovo molto significativa questa esperienza, perché è andata avanti per gradi: ho restaurato i bozzetti, che sono stati proprio l’inizio. Poi, sono stati fatti cartoni dall’artista stesso e da maestranze sono stati eseguiti i mosaici. Devo dire che quando mi sono recata a Roma, durante questo restauro, è stato particolarmente emozionante vedere la realizzazione definitiva, che era nata da questi bozzetti a tempera. Credo che noi restauratori abbiamo la grande opportunità, anche a differenza degli storici dell’arte, di toccare le opere ed entrarci dentro, perché con il restauro ridiamo vita alle opere.
D. – Significativo, perché Biagetti fu egli stesso un restauratore in Vaticano, fondò il laboratorio per restauro delle pitture, restaurò la Cappella Sistina e le Stanze di Raffaello, ma non solo: ha contribuito all’elaborazione delle moderne teorie di restauro...
R. – Ho avuto modo di leggere con attenzione il suo grande interesse verso le problematiche tecniche che un restauratore si trova ad affrontare, mentre esegue un restauro. Infatti, lui lavorando sul cantiere degli affreschi di Michelangelo si è preoccupato innanzitutto della muratura di questi affreschi, di come quindi era stato preparato l’intonaco e di come erano stati eseguiti. Addirittura, lui fa un discorso sulla polvere che Michelangelo studia per prevenire la formazione della polvere e lasciare un margine. Questa cosa mi ha colpito profondamente, perché ho capito attraverso questo restauro quanto lui fosse puntuale e quanto cercasse di capire l’importanza delle sostanze chimiche che esistono nell’arte. Le tecniche sono, infatti, frutto della vita, soprattutto i materiali di base acquosa, organica; come tutti i problemi che conseguono, sono problemi che avvengono con la vita delle opere. Lui, infatti, è stato un pioniere, un uomo moderno nel restauro, perché ha dato un contributo altissimo alla teoria del restauro, quindi all’approccio critico, che bisogna avere quando ci si confronta con un’opera d’arte.
Tornando al loro posto le stazioni della Via Crucis, benedette dal cardinale arciprete della Basilica Vaticana, Angelo Comastri, lo scorso 14 giugno, segnano la conclusione del lungo iter di recupero della cattedrale di San Flaviano. Mons. Claudio Giuliodori, vescovo di Macerata:
“Si porta a compimento un grosso impegno di restauro di tutta la Cattedrale, che a causa del terremoto è rimasta chiusa per 15 anni. E’ stata una grande impresa riaprirla. La Via Crucis era parte integrante di questa Cattedrale, proprio perché Biagetti, da recanatese, ha voluto lasciare un segno importante”.
L’auspicio è che queste opere restaurate nell’Anno della Fede continuino, oggi come ieri, a svolgere lo scopo per il quale furono dipinte: indicare la Via pulchritudinis, ovvero parlare attraverso la bellezza della verità del Vangelo. Ancora mons. Giuliodori:
“Speriamo di poter offrire alle persone che vengono e che ammirano questo luogo un ulteriore segno di fede e di come l’arte contribuisca ad accrescere la fede. Siamo nell’Anno della Fede e quindi anche questo è un piccolo segno di come tutto contribuisca, se realizzato con spirito di amore, a far crescere la fede. Siamo dunque grati: è un atto di amore e di riconoscenza anche per Biagio Biagetti, che tanto ha fatto per la fede e per l’arte, non solo nel nostro territorio, ma anche nel contesto italiano e della Chiesa: la Chiesa universale”.
Ccee: messaggio evangelico, speranza per la nuova Europa
◊ “Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, è sorgente di speranza per l’Europa”. Il messaggio di fiducia dell’esortazione apostolica “Ecclesia in Europa”, pubblicata dieci anni or sono da Giovanni Paolo II, “si rivela profetico e attuale per l’Europa. Il continente sembra infatti attraversare una stagione di smarrimento e di offuscamento della speranza. In questo tempo di crisi, molti cittadini si sentono disorientati e delusi” dalle istituzioni nazionali e internazionali. “L’Europa del 2013 sembra essere percorsa più da un’onda d’incertezza che dal desiderio di futuro. Ma questa crisi, che non è solo economica, ma anche culturale, antropologica, etica e spirituale, costituisce un’opportunità perché l’Europa possa affrancarsi dall’agnosticismo pratico e dall’indifferentismo religioso e decidere nuovamente del suo futuro nell’incontro con la Persona e il messaggio di Gesù Cristo”, come si legge nella “Ecclesia in Europa”. Il Ccee, Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, rende noti, con un documento diffuso oggi, gli esiti principali dell’incontro dei portavoce e addetti stampa delle Chiese europee, svoltosi nel monastero carmelitano di Bucarest dal 12 al 15 giugno. “La sfida principale - prosegue il comunicato Ccee - è quindi quella di capire chi è oggi l’uomo in Europa e verso dove cammina. Come può la Chiesa cattolica essergli accanto, aiutandolo a integrare il messaggio evangelico nella sua esperienza quotidiana e proponendo, con parole nuove, con strumenti moderni, anche sul piano della comunicazione, la persona di Gesù ed i valori presenti nel suo vangelo”. Numerosi i relatori succedutisi a Bucarest, fra cui il giurista Andrea Pin, mons. Piotr Mazurkiewicz (Pontificio Consiglio per la famiglia), Manfred Spieker (Università di Osnabrück), Elvana Thaçi (Consiglio d’Europa), Thaddeus Milton Jones (Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali). Numerosi anche i temi affrontati: il sorgere dei cosiddetti “nuovi diritti”, le sfide poste da teoria del genere ed eutanasia. Sono state analizzate, dal punto di vista della comunicazione, alcune iniziative legate a questi temi, quali la “Manif pour tous” in Francia e la campagna della Conferenza episcopale d’Inghilterra in opposizione al matrimonio fra persone dello stesso sesso. Il direttore del Sir, Domenico delle Foglie, presente ai lavori, ha dal canto suo richiamato l’impegno della Chiesa in Europa nell’ambito dell’iniziativa “Uno di noi” a difesa della vita umana. I partecipanti hanno conosciuto da vicino la realtà ecclesiale romena incontrando l’arcivescovo di Bucarest, mons. Ioan Robu. (R.P.)
Libano: il Patriarca Rai consacra la nazione al Cuore Immacolato di Maria
◊ Il patriarca di Antiochia dei Maroniti Boutros Bechara Rai ha consacrato il Libano e tutto il Medio Oriente al Cuore Immacolato di Maria, pregando che tutti i popoli della regione siano liberati “dai peccati che portano a divisioni, aggressioni e violenza”. L'atto solenne di consacrazione è avvenuto ieri, con la recita di una supplica letta in margine alla liturgia eucaristica presieduta dal Patriarca nel Santuario nazionale di Nostra Signora del Libano a Harissa, alla presenza del Presidente libanese Michel Sleiman e del Primo Ministro designato Tammam Salam. Tutt'intorno alla Basilica si è raccolta una moltitudine di fedeli per implorare con l'atto di consacrazione che il Paese dei cedri non sia travolto dal contagio di conflitti settari che dilaniano la Siria. Durante l'omelia, il card. Rai ha associato i musulmani all'atto di consacrazione, ricordando che il Libano è l'unico Paese dove la Solennità dell'Annunciazione, il 25 marzo, viene celebrata insieme da cristiani e musulmani come festa nazionale. Il Patriarca ha anche ribadito l'urgenza di una riconciliazione tra le forze politiche e in particolare tra le due coalizioni contrapposte – quella dell'8 marzo e quella del 14 marzo – , da lui stigmatizzate per aver compromesso “l'immagine del Libano e la sua coesistenza”, paralizzando le istituzioni e spingendo il popolo libanese a coinvolgersi nel conflitto siriano. Il Capo della Chiesa maronita ha anche ribadito il suo pieno supporto al Presidente Sleiman e ha definito l'esercito regolare libanese come l'unico, legittimo “protettore” del Libano. (R.P.)
Perù: visita del card. Sarah alla Caritas del Callao
◊ Nei giorni scorsi il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum" ha visitato la diocesi di Callao, in Perù, su invito del vescovo del luogo, mons. José Luis del Palacio. Il cardinale ha partecipato ad una riunione di tutte le Caritas parrocchiali della diocesi. Il cardinale Robert Sarah ha detto che la Chiesa si sostiene su tre pilastri: la preghiera, la testimonianza evangelica e la carità. Sul lavoro della Caritas nella Chiesa, il cardinale ha detto: “Il vescovo è il primo responsabile per la carità ed i membri della Chiesa dovrebbero essere con lui. Bisogna promuovere nelle parrocchie una cultura della carità, una cultura “del Dio con noi”, sia a livello individuale sia comunitario, organizzando sempre meglio le strutture pastorali della Chiesa, ad iniziare dalle Caritas parrocchiale. Dobbiamo mettere al centro la dignità umana, promuovere lo sviluppo globale, riaffermare i valori profondi che predica il Vangelo e non ciò che viene imposto dall'esterno”. Il cardinale ha infine osservato che la pastorale della carità deve essere integrata con la liturgia e la catechesi, evitando il rischio che la comunità cristiana sia impegnata solo nel campo puramente sociale. (R.P.)
Mali, negoziati bloccati. A Bamako attesa e timori
◊ Dopo nove giorni di serrate trattative mediate dal Burkina Faso, il governo di Bamako e i ribelli tuareg del nord non sono ancora riusciti a mettersi d’accordo sul testo finale di un accordo politico cruciale in vista delle presidenziali del 28 luglio. A Ouagadougou, di fronte all’impasse negoziale - riferisce l'agenzia Misna - alcune fonti diplomatiche africane e occidentali si chiedono se non è il caso di sospendere i colloqui; altre, invece, sono propense a portarli avanti fino alla firma di un’intesa. Non ha permesso di superare i principali ostacoli il coinvolgimento nelle trattative di delegati militari delle due parti, di responsabili della Forza africana in Mali (Misma), della futura missione Onu (Minusma) e dei comandanti dell’operazione francese Serval. Ieri sera le autorità di transizione maliane hanno rifiutato di sottoscrivere il testo attuale, chiedendo ulteriori emendamenti. Ma finora Bamako non ha diffuso alcun comunicato ufficiale per chiarire la propria posizione ed esplicitare i punti del dissenso. Dal canto loro i delegati del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) e dell’Alto consiglio per l’unità dell’Azawad (Hcua) si sono detti pronti a “firmare il progetto di accordo a nome della pace”, accusando il governo centrale di “cattiva fede” e “di mettere insieme tutti gli ingredienti per bloccare le discussioni”. Al centro del contenzioso ci sarebbero le modalità e il calendario del dispiegamento dell’esercito regolare a Kidal ma anche del disarmo e dell’accantonamento dei combattenti tuareg che controllano ancora il capoluogo nord-orientale. Poi ci sarebbe stato un braccio di ferro sulla possibile amnistia da concedere ai ribelli dell’Mnla. Fonti della società civile maliana contattate a Bamako riferiscono del sentimento contrastante e dominante tra la gente. “Da una parte c’è grande attesa per la firma di un accordo che significherebbe poter recuperare anche Kidal, che fa parte a tutti gli effetti del Mali, e tenere elezioni inclusive – dice l’interlocutore della Misna -. Dall’altra c’è diffidenza, per non dire ostilità, nei confronti di questi gruppi che per anni hanno danneggiato il paese e hanno stretto alleanze con banditi e narcotrafficanti”. La stessa fonte aggiunge che una parte importante della popolazione non voleva nemmeno che il governo si sedesse al tavolo negoziale con l’Mnla e chiede ora alle autorità maliane di “non fare alcun regalo ai ribelli, in particolare di non rinunciare all’impunità”. Inoltre fonti religiose sentite dalla Misna hanno sottolineato che la gente teme rappresaglie da parte dei gruppi del nord, che potrebbero colpire Bamako con attentati. “Rimaniamo in guardia - conclude l’interlocutore - e siamo molto attenti a quanto vediamo per le strade della capitale. Gao e Timbuctù sono state liberate, ma non Kidal. I gruppi armati sono stati cacciati via ma non eliminati, quindi la minaccia rimane sia per noi che per tutti i nostri vicini del Sahel”. Intanto dalla confinante Mauritania, l’agenzia di informazione di Nouakchott (Ani) ha riferito della morte di uno dei capi di Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), l’algerino Abdelhamid Abou Zeid, ucciso in combattimenti nel nord-est del Mali in una data non meglio precisata. E’ la prima volta che Aqmi conferma direttamente l’uccisione di uno dei suoi capi tramite un comunicato trasmesso all’Ani. La morte di Abou Zeid era già stata annunciata lo scorso marzo dal presidente ciadiano Idriss Deby Itno, le cui truppe sono impegnate da febbraio in Mali. Tre settimane dopo anche la presidenza francese aveva dato notizia dell’uccisione di uno dei principali capi di Aqmi, presentata come un “passo avanti importante nella lotta al terrorismo nel Sahel”. Una conferma indiretta della scomparsa di Abou Zeid è arrivata il mese scorso: il doppio attentato di Agadez e Arlit in Niger è stato rivendicato da Mokhtar Belmokhtar – ex membro di Aqmi e capo del gruppo dissidente del ‘Katiba dei Mulathamin’ (‘Brigata dei firmatari col sangue’) – proprio come vendetta per l’uccisione dell’algerino. (R.P.)
Nigeria: 4 chiese bruciate da Boko Haram. Mons. Kaigama: approccio regionale per sconfiggerli
◊ Quattro chiese sono state bruciate in un attacco commesso probabilmente da appartenenti al gruppo jihadista Boko Haram nello Stato di Borno, uno dei tre Stati del nord della Nigeria dove è stato imposto lo stato di emergenza. Un gruppo di uomini armati di ordigni esplosivi artigianali e di bombe molotov ha assalito le comunità Hwa’a, Kunde, Gathahure e Gjigga sulle Gwoza Hills, mettendo a ferro e fuoco le 4 chiese, razziando e saccheggiando il bestiame e le riserve di cereali della popolazione. “Purtroppo non ho informazioni precise e non so a quali comunità cristiane le chiese distrutte appartengono” dice all’agenzia Fides mons. Ignatius Ayau Kaigama arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria. “Tutte le comunicazioni sono state tagliate con le zone interessate dalle operazioni militari e non è possibile mettersi in contatto con il vescovo di Maiduguri” spiega mons. Kaigama. Nonostante questo episodio l’arcivescovo afferma che “l’operazione dell’esercito nigeriano e l’imposizione dello Stato d’emergenza ha sollevato il morale della popolazione. La gente si sente più sicura”. Di fronte ai recenti attacchi in Niger c’è ormai la certezza che Boko Haram si stia coordinando con i gruppi jihadisti cacciati dal Mali. “Boko Haram è un problema regionale e deve essere risolto con un approccio regionale” commenta mons. Kaigama. “Scontiamo una terribile negligenza da parte della nostra intelligence e delle nostre forze di polizia che non hanno affrontato per tempo il fenomeno. Si deve ora mettere insieme le risorse di Nigeria, Niger e Mali per affrontare la minaccia dei gruppi jihadisti. Penso che comunque alla fine saranno sconfitti” conclude mons. Kaigama. (R.P.)
Sud Sudan: dallo Jonglei migliaia di sfollati raggiungono Juba
◊ Migliaia di famiglie di etnia murle hanno lasciato la regione di Jonglei per paura di rappresaglie legate a un conflitto tra l’esercito e un gruppo ribelle sostenuto da parte della loro comunità: lo dicono all'agenzia Misna responsabili di progetti di assistenza umanitaria in Sud Sudan, un Paese indipendente dal 2011. Secondo le fonti, i civili che hanno cercato riparo e aiuto nella capitale Juba sono almeno 11.000. “Hanno preferito viaggiare per oltre 300 chilometri – sottolinea Mauro Modena, coordinatore dell’organizzazione non governativa italiana Intersos – piuttosto che fermarsi a Bor, il capoluogo di Jonglei dove la maggioranza della popolazione è di etnia dinka”. La possibilità di abusi e rappresaglie, connessa inevitabilmente al conflitto, è stata confermata alcuni giorni fa dal divieto opposto dall’esercito agli operatori di Intersos e altre organizzazioni umanitarie che volevano visitare la contea di Pibor per effettuare un esame dei bisogni di decine di migliaia di persone costrette dalle violenze a lasciare le loro case e i loro villaggi. Yau Yau è un ex generale che ha fatto leva sul risentimento degli allevatori murle per abusi commessi dai militari durante una campagna di disarmo avviata nel 2012. Il conflitto con l’esercito ha assunto subito una connotazione etnica, finendo per contrapporre i murle ai dinka, principale comunità del Sud Sudan con un ruolo guida sia a livello politico che in seno alle Forze armate. Sul piano umanitario, a Jonglei con l’inizio della stagione delle piogge l’emergenza è destinata ad aggravarsi. “Molti sfollati si sono nascosti in paludi infestate dalla malaria – dicono alla Misna – senza accesso ad acqua potabile, cibo o cure mediche”. (R.P.)
Filippine: appello della Chiesa contro il lavoro minorile
◊ Un vescovo della provincia di Samar, Filippine orientali, invita alla lotta contro lo sfruttamento minorile. Secondo le ultime ricerche dell'Istituto nazionale di statistica, sono circa 5 milioni e mezzo i bambini che lavorano sottopagati nel Paese. Mons. Crispin Varquez ha dichiarato, venerdì 13 giugno, che "l'irresponsabilità dei genitori, unita alla grande povertà delle Filippine, sono tra le maggiori cause dello sfruttamento minorile nel Paese". E ha aggiunto che "il problema deve rappresentare una priorità nell'agenda interna di Manila". Secondo il 52enne vescovo di Borongan - riporta l'agenzia AsiaNews - fino a quando il governo non sperimenterà una politica sociale concreta, mirata al miglioramento delle condizioni di vita della gente, questo aspetto rimarrà una "piaga profonda". Anche padre Conegundo Garganta, della Commissione episcopale delle Filippine ha espresso la propria vicinanza alle parole di mons. Varquez, dichiarando che "la comunità cattolica locale spera che le autorità promuovano un efficace programma di recupero". Le ultime statistiche rivelano che nel Paese circa 5 milioni e mezzo di minori tra i 5 e i 17 anni sono vittima di sfruttamento. A dispetto delle numerose promesse fatte dal governo, la cifra è di quasi un milione e mezzo superiore a quella riportata nel 2009. I giovani, impiegati in prevalenza nelle miniere, sui pescherecci o nelle abitazioni private, lavorano anche per 15 ore al giorno. (R.P.)
Honduras. Pericolo dengue: aumentano i casi nelle città
◊ “Ogni settimana, si spegne la speranza di diminuzione dei casi di dengue, il pericolo si annida nelle case mettendo a rischio la salute e la vita degli honduregni” afferma una nota inviata all'agenzia Fides dal settimanale omonimo di Honduras. La nota riferisce inoltre che il direttore generale dell'Istituto di Sorveglianza sanitaria, dottor Bredy Lara, ha sottolineato che non si può ancora allarmare la popolazione dichiarando un'emergenza nazionale, ma che gli ultimi dati raccolti rivelano una situazione terribile: "Siamo passati da 448 casi nella settimana numero diciannove a 528 casi nella settimana ventidue. Questo significa, paragonato al 2012, un incremento del 218%". Di questi casi, l’81% sono concentrati in tredici comuni, fra cui San Pedro Sula, Tegucigalpa, Choluteca, Juticalpa, Puerto Cortes, Choloma, Catacamas, Progresso, La Paz, Yoro, Comayagua. (R.P.)
Messico. I vescovi: filmare atti di linciaggio è il segno di un crollo etico
◊ “Siamo di fronte ad un crollo etico”. Così il vescovo di San Cristóbal de Las Casas, mons. Felipe Arizmendi Esquivel, ha definito il linciaggio di tre persone, bruciate vive in un’azione di “giustizia fai da te”. Ad aggravare l’episodio - riferisce l'agenzia Fides - è il video del linciaggio che è stato messo in vendita nei negozi locali. “Sono fatti molto tristi e che ci preoccupano molto, perché fare giustizia con le proprie mani, bruciare vive delle persone, registrare la scena per poi vendere le immagini è proprio un crollo etico” ha detto il vescovo. Mons. Arizmendi Esquivel, ha chiesto alla comunità di riflettere su come educare i bambini al rispetto delle persone per evitare di trasmettere alle nuove generazioni la sottocultura della violenza che imperversa nella regione di Altos "L'occasione della festa del papà (celebrata ieri in tutte le parrocchie della diocesi) è una buona opportunità per ripensare il ruolo della famiglia nella formazione dei bambini", ha affermato il vescovo alla stampa locale. Il linciaggio è avvenuto il 4 giugno nella Comunità Las Ollas, situato nel misero comune di San Juan Chamula in Chiapas, uno degli Stati messicani la cui popolazione è in gran parte indigena. Questo anno, almeno cinque indigeni in Chiapas sono stati linciati, accusati di vari reati. Il sistema di giustizia in Messico sta attraversando una grave crisi, con alti livelli di impunità. Recentemente in diverse regioni del Messico sono stati creati gruppi civili armati che si fanno giustizia da sé contro la criminalità organizzata. (R.P.)
Bonn: Convegno mondiale su futuro della crescita, valori economici e media
◊ Sfide enormi, dettate da cambiamenti climatici e assottigliamento delle risorse, disoccupazione in aumento, tensioni sociali, politiche e culturali, che a volte, sono sfociate in tragedie, confrontano l’Unione Europea e l’economia mondiale. Dalla parte opposta, realtà sociopolitiche, quali economia verde, giustizia sociale e responsabilità ambientale si affacciano sempre più nel dibattito sul futuro economico, che deve cercare di salvaguardare il nostro ecosistema e di stabilizzare la coesione sociale. Miliardi di persone si battono oggi per una vita più dignitosa, seguendo anche il monito di Benedetto XVI, che diceva: “ripensare i parametri economici per assicurare una vita degna a tutti”. Questo è positivo. Comunque ci si chiede: i valori economici possono presentare un futuro umano più equo o bisogna guardare al di là dell’economia a valori antropologici comuni per assicurare a tutti una vita dignitosa e per costruire un’Europa di valori condivisi, dove profitto e valori dovrebbero essere non in antitesi, ma in armonia? Nell’Unione Europea è mancato l’equilibrio tra profitti e valori: ristabilirlo e mantenerlo è cruciale. La solidarietà è uno di questi valori che deve guidare la rinascita o il futuro della crescita. Crediamo fermamente che il senso profondo di appartenere a una tradizione spirituale e intellettuale comune, di possedere una sorgente comune di rispetto per gli stessi valori, uniti nel desiderio comune di diffondere gli ideali di libertà e democrazia, può e deve fondare il nostro futuro europeo. Per edificare su solide basi l’Ue e il mondo delle Nazioni Unite, non basta fare appello, quindi, solo a un’unione meramente economica e commerciale o a interessi economici, che, se talvolta aggregano, altre volte dividono. E’ necessario invece puntare su valori autentici, fondati sulla legge morale universale, iscritta nel cuore di ogni uomo e, quindi, su una autentica unità spirituale, etica e culturale, nonostante differenze etniche, religiose o di altra natura. Futuro della crescita, valori economici e media sono i temi che verranno discussi al sesto Forum Mondiale, organizzato da Deutsche Welle, al Centro Conferenze Mondiale di Bonn, dal 17 al 19 giugno con personalità quali, l’olandese, Aart De Geus, presidente della Bertelsmann Stiftung, Avram Noam Chomsky, noto linguista, filosofo e critico politico, Helga Schmid, vice Segretario generale per gli Affari Politici per l’Ue, Mohammed Valli Moosa, ex Ministro dell’Ambiente in Sud Africa, Mohan Munasinghe, professore di sviluppo sostenibile all’Università di Manchester, il Ministro degli esteri tedesco, ed Eric Betterman, Direttore generale della Deutsche Welle, che nell’introduzione al Convegno ha dichiarato: "un insieme di valori, internazionalmente riconosciuti, è il punto cruciale della glonalizzazione. Noi giornalisti dobbiamo creare questa coscienza nel mondo intero". (Da Bonn, Enzo Farinella)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 168