![]() | ![]() |

Sommario del 16/06/2013
◊ “Seguire la via di Dio conduce alla vita, mentre seguire gli idoli conduce alla morte”. Così oggi il Papa in Piazza San Pietro dove ha presieduto la Santa Messa in occasione della Giornata dedicata all’"Evangelium Vitae", nell’anno della Fede. Il Santo Padre ha più volte ribadito la misericordia di “Dio che vuole la vita, sempre ci perdona”. Migliaia i fedeli presenti, con loro anche le delegazioni provenienti da tutto il mondo del "popolo della vita". Massimiliano Menichetti:
L’affetto dei fedeli, immersi nella preghiera del Rosario, ha accolto il Papa che sorridente sulla jeep vaticana ha benedetto una piazza festante, poi la Santa Messa e l’omelia di Papa Francesco:
Diciamo sì all’amore e no all’egoismo, diciamo sì alla vita e no alla morte, diciamo sì alla libertà e no alla schiavitù dei tanti idoli del nostro tempo; in una parola diciamo sì a Dio, che è amore, vita e libertà, e mai delude”.
“Una fede che ci rende liberi e felici” ha ribadito il Papa sottolineando che “solo la fede nel Dio Vivente ci salva; nel Dio che in Gesù Cristo ci ha donato la sua vita e con il dono dello Spirito Santo ci fa vivere da veri figli di Dio”. E guardando alla liturgia odierna ha evidenziato:
Quando l’uomo vuole affermare se stesso, chiudendosi nel proprio egoismo e mettendosi al posto di Dio, finisce per seminare morte. E l’egoismo porta alla menzogna, con cui si cerca di ingannare se stessi e il prossimo. Ma Dio non si può ingannare:
Ha parlato del “Dio dei viventi, il Dio che si rende presente nella storia, che libera dalla schiavitù”, prima di spiegare il “dono dei Dieci Comandamenti”:
Una strada che Dio ci indica per una vita veramente libera, per una vita piena; non sono un inno al “no”: non devi fare questo, non devi fare questo, non devi fare questo. No! Sono un inno, al “sì”, a Dio, all’Amore, alla vita. Cari amici, la nostra vita è piena solo in Dio, perché solo Egli è il Vivente!
Il Papa ha evidenziato più volte che “tutta la Scrittura” ci ricorda che Dio è “colui che dona la vita e che indica la via della vita piena”.
"Gesù è l’incarnazione del Dio Vivente, Colui che porta la vita, di fronte a tante opere di morte, di fronte al peccato, all’egoismo, alla chiusura in se stessi. Gesù accoglie, ama, solleva, incoraggia, perdona e dona nuovamente la forza di camminare, ridona vita."
Grande è la “misericordia di Dio” e “sempre ci perdona”, ha ribadito Papa Francesco:
"Dio il Vivente è misericordioso. Siete d’accordo? Diciamolo insieme: Dio, il Vivente è misericordioso! Tutti: Dio, il Vivente, è misericordioso. Un’altra volta: Dio, il Vivente, è misericordioso!"
“E’ lo Spirito Santo, dono del Cristo Risorto” che “ci introduce nella vita divina come veri figli di Dio”, ha proseguito:
"Il cristiano è un uomo spirituale, e questo non significa che sia una persona che vive “nelle nuvole”, fuori della realtà, (come se fosse un fantasma), no! Il cristiano è una persona che pensa e agisce nella vita quotidiana secondo Dio, una persona che lascia che la sua vita sia animata, nutrita dallo Spirito Santo perché sia piena, da veri figli. E questo significa realismo e fecondità. Chi si lascia condurre dallo Spirito Santo è realista, sa misurare e valutare la realtà, ed è anche fecondo: la sua vita genera vita attorno a sé."
"Spesso l'uomo non sceglie la vita, non accoglie il Vangelo della vita - ha aggiunto - ma si lascia guidare da ideologie e logiche" orientate "dall’egoismo, dall’interesse, dal profitto, dal potere, dal piacere e non sono dettate dall’amore, dalla ricerca del bene dell’altro”:
E’ la costante illusione di voler costruire la città dell’uomo senza Dio, senza la vita e l’amore di Dio - una nuova Torre di Babele; è il pensare che il rifiuto di Dio, del Messaggio di Cristo, del Vangelo della vita, porti alla libertà, alla piena realizzazione dell’uomo. Il risultato è che al Dio Vivente vengono sostituiti idoli umani e passeggeri, che offrono l’ebbrezza di un momento di libertà, ma che alla fine sono portatori di nuove schiavitù e di morte.
“Solo la fede nel Dio Vivente ci salva - ha concluso- nel Dio che in Gesù Cristo ci ha donato la sua vita con il dono dello Spirito Santo e fa vivere da veri figli di Dio con la sua misericordia. Questa fede ci rende liberi e felici”.
E anche oggi tantissimi i fedeli festanti che hanno affollato piazza San Pietro per ascoltare Papa Francesco. Ma in che modo cercano di vivere la Parola di Dio nella loro vita quotidiana? Marina Tomarro ha raccolto in piazza alcuni commenti.
R. – Noi sappiamo che il Vangelo è la Parola della salvezza, Gesù il Verbo di Dio, l’unica salvezza nostra. La Parola mi chiama a convertirmi, perché cercando di applicare questa Parola nella mia vita troverò la mia salvezza.
R. – Cerco ogni giorno di portare il Vangelo con il mio esempio: avendo sempre un sorriso per gli altri, essendo di aiuto alle persone che mi sono vicine magari nei momenti più difficili …
R. – Nella nostra vita quotidiana viviamo il Vangelo nelle piccole azioni che possono anche sembrare ordinarie, cercando quindi di ricordare gli insegnamenti del Vangelo in ogni piccolo gesto.
R. – Consigliando di fare sempre del bene agli altri …
R. – Con gentilezza, prestando le cose, aiutandosi vicendevolmente …
R. – Cercando di essere una brava persona, tutti i giorni, con tutti. Semplicemente.
D. – Il Papa oggi ha parlato molto anche di perdono: il perdono da chiedere a Dio, il perdono da dare agli altri, di apertura alla vita, di apertura all’amore … Allora, in che modo accogliere tutte queste esortazioni che ci ha fatto Papa Francesco?
R. – Accogliendole nel cuore, chiedendo a Dio veramente di farle nostre.
R. – Innanzitutto accogliendo i figli e facendo in modo che possano crescere sempre con dei valori. La promozione alla vita è questa: la promozione ai valori. Se si rispetta il prossimo, sicuramente si rispetta la vita.
R. – Semplicemente, di vivere serenamente con il proprio prossimo. Poi, ovviamente, con la fede si riesce ad accettare molte cose che altrimenti non verrebbero accettate, nei rapporti con le altre persone.
R. – Soprattutto, è l’amore che deve portarci poi al perdono. Quindi, il perdono dev’essere il cardine che poi ci deve portare all’amore e alla vita.
◊ Dopo la celebrazione eucaristica, dedicata al Vangelo della Vita, Papa Francesco ha ricordato il nuovo beato proclamato ieri a Carpi e ha rivolto un pensiero in particolare alle famiglie e a quanti promuovono la vita, pregando soprattutto a “quella più fragile, indifesa e minacciata”. Il servizio di Fausta Speranza:
All’Angelus Papa Francesco cita un testimone del Vangelo della Vita: Odoardo Focherini, sposo e padre di sette figli, giornalista, che è stato proclamato beato ieri a Carpi, in Emilia Romagna.
“Catturato e incarcerato in odio alla sua fede cattolica, morì nel campo di concentramento di Hersbruck nel 1944, a 37 anni. Salvò numerosi ebrei dalla persecuzione nazista. Insieme con la Chiesa che è in Carpi, rendiamo grazie a Dio per questo testimone del Vangelo della Vita!”.
Papa Francesco affida alla materna protezione della Madonna “ogni vita umana”:
“... affidando ogni vita umana, specialmente quella più fragile, indifesa e minacciata, alla sua materna protezione”.
Un ringraziamento a quanti sostengono la vita quotidianamente, in particolare le famiglie:
“Ringrazio di cuore tutti voi che siete venuti da Roma e da tante parti d’Italia e del mondo, in particolare le famiglie e quanti operano più direttamente per la promozione e la tutela della vita. Saluto cordialmente i 150 membri dell’Associazione “Gravida Argentina” riuniti nella città di Pilar. Grazie tante per quello che fate. Coraggio e andate avanti".
Un “saluto ai numerosi partecipanti al raduno motociclistico Harley-Davidson e anche a quello del Motoclub Polizia di Stato”.
Nel tweet di Papa Francesco: la Chiesa sia luogo di misericordia, dove sentirsi amati
◊ Nel tweet di questa Domenica Papa Francesco scrive: “La Chiesa sia sempre luogo di misericordia e di speranza, dove ognuno possa sentirsi accolto, amato e perdonato”.
Appello del Papa per la Siria: nella lettera a Cameron presidente di turno del G8
◊ Il summit del G8 lavori per un cessate il fuoco immediato in Siria e per l’avvio di negoziati: così Papa Francesco in una lettera di risposta al Primo ministro inglese David Cameron che il 5 giugno scorso aveva scritto al Santo Padre in vista del Summit del G8 a Lough Erne, in Irlanda del Nord, in programma domani e martedì 18. Il servizio di Roberta Barbi:
Un appello forte affinché i grandi del mondo considerino la situazione in Medio Oriente e soprattutto in Siria, è quello contenuto nella lettera di risposta di Papa Francesco al premier britannico Cameron in vista del G8. Il Papa chiede che il summit contribuisca a ottenere un cessate il fuoco immediato e duraturo e a portare tutte le parti in conflitto al tavolo dei negoziati. È la costruzione della pace, infatti, per il Papa, il requisito indispensabile per la protezione delle donne, dei bambini e delle altre vittime innocenti e per debellare la fame. Il Santo Padre prosegue esortando ad ancorare ogni attività politica ed economica all’uomo, perché il fine di entrambe è proprio il servizio agli uomini, a cominciare dai più poveri e dai più deboli. Politica ed economia “devono da una parte consentire la massima espressione della libertà e della creatività individuale e collettiva, e dall’altra promuovere e garantire che esse esercitino sempre responsabilmente e nel senso della solidarietà, con una particolare attenzione ai più poveri”. Il Papa poi si sofferma sulla necessità di eliminare definitivamente il flagello della fame e di garantire la sicurezza alimentare, ricordando che il benessere materiale e spirituale dell’uomo deve essere il punto di partenza di qualsiasi soluzione politica ed economica, nonché la misura della sua efficacia e della sua eticità. La presente crisi globale dimostra, quindi, che l’etica non è qualcosa di esterno all’economia, ma una parte integrante di essa, ragion per cui sia le misure di lungo respiro che verranno adottate, sia le misure congiunturali d’urgenza “devono essere guidate dall’etica della verità”. “Il denaro e gli altri mezzi devono servire e non governare – conclude Papa Francesco – la solidarietà gratuita e disinteressata è la chiave del buon funzionamento economico globale”. Nella sua lettera, Cameron illustrava le priorità fissate dalla presidenza britannica al G8 per il 2013 e riguardanti soprattutto il libero commercio internazionale, il fisco, la trasparenza dei governi e degli agenti economici.
Il saluto di mons. Fisichella al Santo Padre: “Rispettare, amare e servire la vita umana”
◊ Vengono da diverse parti del mondo, ma hanno in comune “un impegno che va oltre il confine delle nazioni” e danno testimonianza, come dice il Vangelo di Giovanni, che “la vita si è fatta visibile“. Questo l’esordio dell’indirizzo di saluto che il presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, mons. Rino Fisichella, ha rivolto al Papa al termine della Messa per la Giornata dell’Evangelium Vitae, ringraziandolo per il suo sostegno e la forza della sua testimonianza. Alla celebrazione di questa mattina ha partecipato una folta rappresentanza del “popolo della vita”, “uomini e donne che sotto l’azione della grazia hanno toccato con mano la ‘carne di Cristo’ e ne hanno difeso la dignità”. Sono testimoni dell’amore, che non hanno fatto mai mancare la propria vicinanza a “bambini lasciati soli, donne abbandonate, malati cronici, portatori di handicap, persone in fin di vita, emarginati, esclusi e quant’altro il peccato e l’egoismo dell’uomo producono”. “Nell’Anno della Fede – ha aggiunto il presule – era importante che un momento di riflessione e di preghiera fosse dedicato a quanti sono testimoni dell’Evangelium Vitae. La loro passione quotidiana mostra con evidenza l’impegno per la piena promozione della vita umana e per la sua difesa”. Nel rinnovare l’appello affinché “tutti abbiano a rispettare, difendere, amare e servire la vita umana”, mons. Fisichella ha specificato che non si tratta di una prerogativa di noi cristiani, ma è “un cammino comune fatto insieme a tanti uomini e donne che pur non avendo la nostra fede condividono comunque il nostro annuncio e l’impegno”. (A cura di Roberta Barbi)
Il card. Tauran conclude la visita nel Regno Unito: il dialogo interreligioso promuova la pace
◊ Una visita “molto educativa ed arricchente”: è un bilancio positivo quello tracciato stamani dal card. Jean-Louis Tauran, presiedendo a Londra, nella Cattedrale di Westminster, la Santa Messa conclusiva del suo viaggio di cinque giorni nel Regno Unito. Arrivato oltremanica mercoledì scorso, infatti, il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso ha avuto modo di “rafforzare le buone relazioni interreligiose nel Paese” per dimostrare che “l’amicizia tra le religioni è, di per sé, un presupposto per la costruzione della pace”. In questi giorni, il porporato ha dunque incontrato le comunità locali hindu, giainiste e sikh; ha preso parte ad un evento interreligioso nella Westminster Cathedral Hall; ed infine, stamani, ha celebrato la Santa Messa nella capitale britannica, alla presenza – tra gli altri – dell’arcivescovo di Westminster, mons. Vincent Nichols.
“In un mondo che sta diventando sempre più multi-religioso – ha detto il card. Tauran nella sua omelia – e in cui dover convivere con persone di altre tradizioni religiose è diventata una realtà esistenziale inevitabile, la Chiesa esorta i cristiani, come dice Papa Francesco, a costruire ponti fra tutti gli uomini, così che ognuno possa trovare nell’altro non un nemico, non un concorrente, ma un fratello da accogliere ed abbracciare”. In quest’ottica, in quanto presidente del dicastero vaticano preposto al dialogo interreligioso, il porporato ha incoraggiato tutti i presenti ad “instaurare rapporti cordiali con i vicini, i colleghi e gli appartenenti ad altre religioni, così da promuovere la pace”. Citando, poi, le parole di Pio XII che nel 1946 diceva “Il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato”, il porporato ha evidenziato come, a sessantasette anni di distanza, ciò abbia portato alla “diffusione del secolarismo, il quale conduce ad una sempre crescente crisi di fede e all’indifferenza religiosa tra i credenti”. Il card. Tauran ha, infine, concluso la sua omelia ripetendo l’esortazione lanciata da Papa Francesco la Domenica di Pasqua, il 31 marzo scorso: “Diventiamo strumenti della misericordia di Dio, canali attraverso i quali Dio possa irrigare la terra, custodire tutto il creato e far fiorire la giustizia e la pace”.
Altra celebrazione significativa è stata quella tenutasi ieri pomeriggio nella Cattedrale di Birmingham, intitolata a San Ceadda: lì, il card. Tauran ha celebrato i Vespri ed ha ribadito che “la vera pace è possibile solo se si ha davvero rispetto per la dignità trascendente dell’altro, soprattutto dell’altro diverso da noi”, dati anche “i tempi turbolenti” in cui si vive e “in cui la pacifica coesistenza delle persone appartenenti da religioni e culture diverse viene minacciata da forze guidate da interessi personali e non dal bene comune”. Per questo, ha sottolineato il presidente del dicastero vaticano, oggi è necessario “avere pensieri di pace, parlare di pace, essere operatori, persone, messaggeri e costruttori di pace, raggiungendo ogni essere umano senza distinzioni”. “Anni fa – ha sottolineato ancora il card. Tauran – probabilmente i nostri vicini di casa erano persone che condividevano la nostra fede, la nostra cultura”. “Ma oggi non è più così – ha continuato il porporato – e in questa situazione pluralistica non abbiamo altra scelta che coltivare consapevolmente relazioni di amicizia con tutti, partendo dal rispetto e dalla comprensione reciproci”, così da arrivare a “collaborare per il bene comune, la pace e l’armonia in favore dello sviluppo della società”. In fondo, ha concluso il porporato, “il dialogo interreligioso è questo: essere radicati nella propria fede, ma coltivare, al di là delle differenze, rapporti cordiali con i credenti di religioni diverse e collaborare con loro per il bene comune dell’umanità con valori e convinzioni condivise”. Infine, il card. Tauran ha ricordato quell’esortazione a “edificare la pace e a costruire ponti” rivolta da Papa Francesco al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ricevuto in udienza il 22 marzo scorso. Questa sera, il porporato rientrerà in Italia. (A cura di Isabella Piro)
Oggi Giornata mondiale del Bambino Africano: vittima delle più disagiate condizioni al mondo
◊ Si celebra oggi, come ogni anno dal 1976, la Giornata mondiale del Bambino Africano in ricordo delle giovani vittime del massacro di Soweto, in Sudafrica, durante una manifestazione per il diritto all’istruzione contro l’apartheid. E’ l’occasione per fare il punto sulla condizione dell'infanzia africana, la più numerosa sulla popolazione totale, ma anche la più disagiata per indicatori di salute e benessere. Sono tutti africani i 10 Paesi con il tasso di mortalità, sotto i 5 anni, più alto del mondo e sono oltre 45 milioni i bambini della zona Subsahariana che non frequentano la scuola. Per non parlare di bambini vittime di violenze, come le mutilazioni genitali o i matrimoni precoci. Lucas Duran ha intervistato Gianfranco Morino, chirurgo al Neema Hospital di Nairobi, in Kenya, e tra i fondatori della World Friends Onlus, che opera tra le fasce più deboli delle popolazioni africane con un obiettivo preciso:
R. – E’ proprio questo cammino verso la soddisfazione di diritti umani fondamentali, cioè il diritto alla salute, al cibo, all’abitazione e alla protezione sociale. Ed è un cammino ancora veramente lungo. Ogni giorno – pensate – soltanto in Kenya sono 300 mila i ragazzi sotto i 15 anni che vivono sulla strada.
D. – Chi sono i beneficiari, fondamentalmente, della vostra azione, in particolare in Kenya?
R. – Sono tanti. Negli ultimi anni ci siamo concentrati soprattutto sulla salute materno-infantile e sulla formazione degli operatori socio-sanitari. Soltanto l’anno scorso, a livello di pazienti, il “Neema”, questo ospedale che confina con le grandi baraccopoli a nordest di Nairobi, che è cresciuto, ha avuto 115 mila pazienti, con la maternità che registrato circa duemila parti al suo primo anno di attività, più altre decine di migliaia di ragazzi coinvolti nei programmi all’interno delle baraccopoli: dal programma di riabilitazione della disabilità, ai programmi di educazione sanitaria nelle scuole, fino a una delle ultime iniziative che è una scuola di musica che ogni settimana coinvolge quasi 80-90 bambini.
D. – Quali sono attualmente gli obiettivi? Dove volete, dove potrete arrivare?
R. – Da una parte, completare questo centro ospedaliero con la pediatria, come pure continuare con la formazione.
D. – Voi state cercando anche di portare assistenza anche a coloro che, magari, non possono arrivare fino al “Neema Hospital”, grazie ai medical camps: di che si tratta?
R. – Ogni mese, in una baraccopoli diversa, su richiesta della gente, si reca un team; in genere abbiamo 200-300 pazienti, cure totalmente gratuite, visite gratuite, e poi il riferimento al “Neema” in caso di bisogno. Il 70 per cento dei pazienti che incontriamo non hanno mai visto un medico per motivi essenzialmente finanziari.
D. – Qual è la reazione da parte istituzionale?
R. – Sicuramente noi – per tutto quello che facciamo – abbiamo l’approvazione dei vari ministeri. La collaborazione è fondamentale e, nel tempo, anche l’apprezzamento. Dall’altra parte, rimane il fatto di essere – pur non volendolo – competitori su quella che è la medicina a Nairobi, perché l’altra parte della città, quella che se lo può permettere, va in ospedali privati, con costi altissimi. Per cui, è una medicina fondamentalmente commerciale. Tuttavia, a molti pazienti che vengono al “Neema” non interessano questi ospedali perché o sono sieropositivi o non potrebbero assolutamente permettersi nessun tipo di cura.
D. – Dr. Morino, quanto è cambiata – se è cambiata – la situazione in meglio o in peggio, da quando lei è arrivato a Nairobi?
R. – Bè, io sono arrivato nel 1986 e sicuramente per determinati aspetti sociali è cambiata in peggio: sono aumentati gli abitanti delle baraccopoli, è aumentato il divario sociale … Tuttavia, sicuramente sta nascendo – almeno da alcuni anni – una società civile di giovani, anche ragazzi nati in baraccopoli. Se penso soltanto ad una parte di collaboratori di World Friends, ad esempio i nostri responsabili del programma di educazione nelle scuole, loro sono ragazzi che sono nati in baraccopoli e hanno saputo tirarsene fuori, naturalmente con aiuto, anche, con borse di studio. Ritengo che sia questa la via da seguire: riuscire comunque a investire sui giovani, sulla formazione; altrimenti cade la speranza …
30 anni fa l’arresto di Enzo Tortora, simbolo in Italia dell’errore giudiziario
◊ Il 17 giugno di 30 anni fa in Italia veniva arrestato, per associazione per delinquere di tipo mafioso e traffico di stupefacenti, Enzo Tortora, intellettuale e uomo di spettacolo diventato il simbolo dell'errore giudiziario. Accusato da “pentiti” in un’inchiesta con 856 ordini di cattura, veniva condannato in primo grado a 10 anni di reclusione e poi però assolto nel 1987. Meno di un anno dopo, il 18 maggio 1988, moriva per un cancro ai polmoni. Era stato eletto eurodeputato nel 1984. Domani pomeriggio a Napoli l'Università Suor Orsola Benincasa ha organizzato un convegno a partire dalla presentazione del libro-inchiesta a cura di Paolo Mieli e i ragazzi del corso di giornalismo intitolato "Il caso giudiziario e il caso giornalistico trent'anni dopo", Ucsi editore. Fausta Speranza ha intervistato lo storico Eugenio Capozzi, dell'Università stessa, che interverrà al dibattito:
R. – E’ stato il caso che ha fatto esplodere il grande tema della giustizia nel nostro Paese. Lo squilibrio tra le procedure giudiziarie e i diritti dei cittadini, tra il mondo della giustizia e il mondo della politica, con i loro complicati rapporti. E’ un processo che si era già messo in moto, in realtà, negli anni Settanta – negli anni del terrorismo – ma che con le grandi inchieste sulla criminalità organizzata degli anni Ottanta esplode. E il caso Tortora è il momento in cui questo grave problema diventa effettivamente un tema politico. Per quanto riguarda l’aspetto mediatico, in quel caso per la prima volta viene messo in evidenza il circolo vizioso che unisce lo squilibrio nei diritti dei cittadini rispetto alla giustizia e l’uso selvaggio dei media che deturpano l’immagine e l’onorabilità dei cittadini stessi.
D. – Nel caso di Tortora, era personaggio particolarmente pubblico e quindi è stato questo un motivo in più per offrirlo alla gogna delle telecamere, o è stato un caso?
R. – No, non è stato assolutamente un caso. Probabilmente – questo è ancora da vedere – è stato tutto sommato casuale il modo in cui Tortora fu coinvolto nell’inchiesta; ma proprio il fatto che fosse un personaggio di enorme popolarità, in quel momento, favorì il fatto che diventasse un simbolo dell’inchiesta stessa e che quindi fosse inghiottito da questo gigantesco gorgo mediatico-giudiziario che è stato il prototipo di quello che per molti motivi è diventato un tema ricorrente della politica italiana.
D. – Ma quell’inchiesta stessa, in quel momento, era già particolare: aveva delle caratteristiche. Ce le delinea?
R. – Inchieste come quelle sulla nuova camorra organizzata in cui fu coinvolto Enzo Tortora, rispondevano alla caratteristica della maxi-inchiesta, del maxi-processo contro la criminalità organizzata che era tipica dell’azione giudiziaria in quel periodo storico ma che in realtà era stato già adottato e sperimentato nelle inchieste contro le organizzazioni terroristiche del decennio precedente. Quindi si venne a creare una sorta di inchiesta-mostra, di processo-mostra con centinaia se non addirittura migliaia di imputati e con una fortissima prevalenza dei reati associativi su quelli individuali, con tutte le conseguenze di sommarizzazione e di tritolamento delle posizioni individuali e con tutti i rischi per i diritti individuali che questo poteva comportare.
D. – Dunque, in pratica, uno schema processuale sperimentato in casi di terrorismo veniva applicato per la prima volta a casi di camorra?
R. – Esattamente. E nello stesso periodo si avvia anche il maxi-processo a Palermo contro Cosa Nostra. Ora, in quel tipo di tendenza c’è anche un fatto storico ineluttabile e cioè che lo Stato incominciava a combattere le grandi organizzazioni criminali come tali. Però, questo avrebbe dovuto comportare una riflessione su come salvaguardare i diritti individuali dei cittadini rispetto a questa inchiesta che, invece, per debolezza del mondo politico e per una corporativizzazione dell’ordine del Terzo Potere, della Magistratura, non fu mai avviata. E il caso-Tortora è stato la scintilla che ha fatto esplodere il problema.
◊ Sette condanne definitive, 33 prescrizioni del reato, 4 assouzioni: il verdetto pronunciato ieri dalla Cassazione sulle violenze a Bolzaneto durante il G8 di Genova del 2001, “lasciano una ferita aperta”. Il commento è di Amnesty International che in una nota rileva come la mancanza del reato di tortura nel codice penale italiano abbia ''impedito ai giudici di punire i responsabili in modo proporzionato alla gravità della condotta loro attribuita''. Una quarantina, intanto, le associazioni impegnate nella raccolta di firme a sostegno di una legge di iniziativa popolare che introduca proprio questo tipo di reato come spiega, al microfono di Adriana Masotti, Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone:
R. – Prima di tutto, perché forse è l’unico delitto di cui c’è l’obbligo costituzionale a prevederne la fattispecie nel nostro Codice penale: infatti, l’unica volta che nella Costituzione si usa la parola “punizione” è l’articolo 13 a proposito di chi ha obblighi di custodia. Poi, perché c’è un obbligo internazionale, una Convenzione del 1984 delle Nazioni Unite che ci obbliga – come obbliga tutti i Paesi del mondo – a prevedere una norma in merito all’interno del proprio Codice penale. L’Italia ha ratificato quella Convenzione ma non si è mai adeguata, e quindi nel nostro Codice ci sono varie migliaia di norme penali di tutti i tipi – puniamo tutto! – ma non puniamo chi commette un crimine contro l’umanità. E quindi è una vera e propria ingiustizia, e nel caso di Bolzaneto questo è stato esplicitato dai giudici sin dal primo grado di giudizio, dicendo: “Se avessimo avuto il delitto di tortura, non saremmo arrivati alla prescrizione”.
D. – La norma che voi proponete che vuole introdurre, appunto, il reato di tortura, parla esplicitamente di “un reato commesso da pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio”; non vuole quindi colpire un qualunque cittadino che infligga torture ad un altro …
R. – Per i cittadini ci sono già le norme presenti: ci sono le lesioni, c’è l’omicidio … Il punto è che la tortura è qualcos’altro: è qualcosa che riguarda il rapporto tra lo Stato ed i suoi cittadini, è qualcosa che investe l’etica dello Stato, il suo modo di essere. Noi vorremmo che le forze dell’ordine in generale fossero i primi garanti dei diritti, quelli a cui affidare noi e i nostri figli e non quelli da cui temere. Ecco: bisogna proprio rovesciare l’ottica. E in questa grande campagna per l’introduzione del delitto di tortura vorremmo avere vicini tutti i corpi di polizia, “complici” con noi in questa battaglia, per dare il segno che chi commette violenze è veramente una mela marcia. Se invece vediamo che loro si difendono, che dicono che non ce n’è bisogno, a quel punto noi pensiamo che non si tratti di una questione di mele marce, ma che sia una questione di un inqualificabile realismo politico.
D. – Ecco: si tratta quindi di un’assunzione di responsabilità e di volontà politica. Basterà allora, per cambiare le cose, l’introduzione del reato di tortura?
R. – Noi non pensiamo che una volta introdotto il reato, allora abbiamo sradicato i rischi e il problema. E’ chiaro: non è che una volta introdotto il delitto di violenza sessuale siano finite le violenze sessuali. Ma a quel punto c’è quantomeno la condizione necessaria per punire. Poi, condizione sufficiente è il lavoro culturale con le forze della magistratura e quindi poi bisognerà fare un lavoro di prevenzione, ma sarà più facile farlo … Dobbiamo raccogliere 50 mila firme per dare il segno che questi non sono temi di minoranza, ma sono temi che investono le persone, sono i temi della democrazia liberale: non sono i temi di poche sparute frange estremiste. Il divieto di tortura ha origini nell’Habeas Corpus del 1215 della Magna Charta Libertatum anglosassone; nasce nelle democrazie liberali, nasce nel divieto di detenzioni arbitrarie … Speriamo, questa volta, di riuscirci in modo sereno. Si può andare anche nei comuni a firmare, oltre che sui siti e, lo segnalo, il 26 giugno, Giornata mondiale dell’Onu a favore delle vittime della tortura, ci saranno manifestazioni in tantissime piazze italiane. A Roma, l’appuntamento è a Piazza Farnese.
Partono i campi di volontariato: tanti i giovani impegnati in progetti antimafia
◊ Si chiamano “Estate liberi” i campi di volontariato per ragazzi, che si svolgeranno nei territori confiscati alla mafia, dal 24 giugno al 15 settembre, e per i quali sono aperte le iscrizioni. Gestiti dalle Cooperative sociali di “Libera terra”, prevedono per i giovani partecipanti sia lavori agricoli, sia percorsi incentrati sulla legalità. Sedici le regioni coinvolte e tanti i ragazzi che partecipano. Maria Cristina Montagnaro ne ha parlato con Roberto de Benedittis, referente dell’Associazione Libera per i campi di volontariato:
R. – Sono delle opportunità per i giovani ma anche meno giovani, anche se la maggior parte dei partecipanti sono fra i 18 e i 24. Si fa questa esperienza di volontariato sui terreni confiscati alle mafie: in parte si tratta di terreni agricoli e in parte di immobili, che hanno bisogno di ristrutturazioni, che hanno bisogno di una mano vera e concreta per poter andare avanti.
D. – Quanto è importante l’impegno dei volontari?
R. – Il lavoro che fanno le tante braccia di questi ragazzi è un lavoro che dal punto di vista economico significa molto. Le cooperative ovviamente devono impiantare lavoro da zero e quindi hanno bisogno - soprattutto nei primi anni di vita - di questo grandissimo lavoro che le tante centinaia di persone riescono a fare andando nei singoli campi. Questo dà modo alla cooperativa di poter intraprendere il cammino verso quell’imprenditoria sana per cui sono nate.
D. – Quindi agricoltura, attenzione all’ambiente, ma anche temi della legalità: quanto è importante per questi ragazzi questa vacanza educativa?
R. – Arrivano, tra l’altro, con tantissima voglia. Scelgono loro di voler fare questa esperienza e tornano a casa con tantissimo entusiasmo, perché - al di là del lavoro vero e proprio - c’è tutta una parte formativa a cui questi ragazzi si approcciano. Incontrano tante persone che l’antimafia sociale la fanno sul campo.
D. – Quali sono i temi dei laboratori della legalità?
R. – Sostanzialmente sono tutti legati all’antimafia sociale, all’antimafia civile e su come ci si deve difendere da questi fenomeni, che ormai permeano tutta la nostra società, non solo nel Sud Italia.
D. – Sono la dimostrazione concreta di come i giovani siano interessati a temi come la legalità…
R. – C’è un’Italia che non viene raccontata dai media: è l’Italia di questi ragazzi! Sono veramente uno specchio bellissimo della nostra Italia: vogliono confrontarsi, vogliono mettersi in gioco, vogliono sporcarsi le mani per dare aiuto a tutti quei loro coetanei che s’impegnano nelle Cooperative sociali e che gestiscono questi beni confiscati alle mafie. E’ molto complesso andare lì, dove fino al giorno precedente in quel bene c’era un boss mafioso, e mettersi in gioco, lavorare, mettere in campo tutta la propria forza morale per tirar fuori del lavoro sano e pulito.
Superman si rinnova: al TaorminaFilmFest, "l’Uomo d’acciaio", del regista Zac Snyder
◊ Serata d’apertura ieri sera del TaorminaFilmFest all’insegna del cinema spettacolare, ma non solo: sull’immenso schermo allestito nel Teatro Antico anteprima internazionale de L’Uomo d’acciaio, il nuovo film dedicato a Superman, nei cinema italiani a partire da giovedì prossimo. Il regista americano Zac Snyder rinnova profondamente i contenuti della saga del super-eroe dandogli un’inattesa profondità. Il servizio è di Luca Pellegrini:
Intere generazioni di ragazzi hanno seguito le mirabolanti avventure del loro eroe preferito, una tuta blu elettrico e un mantello rosso spiegato al vento. Il cinema se ne è impossessato dal 1948, molti i tentativi più o meno riusciti. Ora si affronta di nuovo la sfida, affidandola a un regista visionario come Zac Snyder attorniato da un cast eccellente. Pur dispiegando grandi mezzi spettacolari, il film si allontana però dagli stereotipi, concentrandosi sulla dimensione umana di un uomo diverso da tutti, al quale Henry Cavill offre uno spessore meno muscolare e più riflessivo. Snyder l’ha precisato presentando il suo kolossal al pubblico: “Non abbiamo voluto chiamare il film Superman, ma L’uomo d’acciaio semplicemente perché ci interessava mettere prima la parola uomo a super. Abbiamo voluto andare oltre i canoni rigidi della mitologia, tornare indietro nel tempo per capire la sua natura soprannaturale, come scopre la missione affidatagli dal padre Jor-El prima che Krypton, il loro pianeta, imploda”. Numerosi i momenti del bellissimo film in cui Kal-El, d’acciaio sì, ma con un cuore simile al nostro, s’interroga dubbioso. E lui stesso ci spiega perché è arrivato sul nostro pianeta diffidente, a difenderci dalla guerra che il generale Zod, kryptoniano pure lui, ha scatenato contro di noi: per dare Speranza agli uomini. Quella S sul suo costume, prima di indicare chi sia, simboleggia il motivo del suo essere qui sulla Terra. Una dimensione cristologica ribadita da Snyder e da molti dialoghi della sceneggiatura. “Mio padre pensava che se il mondo avesse scoperto chi ero, mi avrebbero respinto. Era convinto che il mondo non fosse pronto”, confessa Superman, che prima di iniziare la battaglia decisiva, dopo aver salutato i genitori terrestri adottivi, entra in una chiesa e dialoga con un sacerdote per trovare luce nella sua oscurità. Tutti i protagonisti a ribadire poi il valore centrale della famiglia: nel mondo da cui Superman è partito e su quello in cui, incompreso e solo, è involontariamente arrivato.
“Parlare civile”: un libro per riflettere sulle parole che possono essere ponti oppure muri
◊ Distinguere tra “senza tetto” e “senza dimora” per non usare “barbone” o “clochard”. È solo uno dei consigli ai comunicatori di professione contenuti nel libro “Parlare civile: comunicare senza discriminare”, curato da Redattore Sociale, che oggi pomeriggio è stato presentato a Montecitorio alla presenza del presidente della Camera, Laura Boldrini. Realizzato con l’associazione Parsec e con il sostegno della Open Society Foundation, al microfono di Roberta Barbi, il direttore dell’agenzia della Comunità di Capodarco, Stefano Trasatti, spiega come è nato questo progetto:
R. - L’idea è nata, è germogliata negli anni, fa parte della storia di Redattore Sociale. Noi ci siamo sempre preoccupati di pubblicare notizie ma non solo, pubblicare anche dei dati. Il linguaggio in certi periodi è stato davvero brutto, davvero preoccupante, insomma: sono state usate parole, etichette, discriminatorie offensive. Ci sembrava potesse essere un contributo a migliorare questo. I destinatari sono i comunicatori, non solo i giornalisti, anche i pubblicitari, anche i politici.
D. - Il libro affronta in una cornice unica otto temi apparentemente scollegati, dalla disabilità, l’immigrazione, dalla prostituzione alla salute mentale, una sorta di minidizionario di 25 parole chiave: può farci qualche esempio?
R. - Si può citare il capitolo che abbiamo chiamato “delitto passionale”, come altri termini simili come “dramma della gelosia” o “delitto d’onore”, “raptus”, che hanno in sé elementi quasi attenuanti: no, è un femminicidio e basta! C’è l’eterna diatriba sulla parola “clandestino” che in certi periodi storici è stata usata come sinonimo di immigrato o sinonimo di delinquente. Ci sono termini come “badante”: a noi sembra che in certe parti di Italia abbia connotati un po’ offensivi, perché si bada agli animali, insomma. Il termine “diversamente abile” che è rifiutato, a favore del termine “persona con disabilità” o “persona disabile”. Sosteniamo che dietro ogni parola c’è una storia.
D. - Molti dei termini che utilizziamo, penso a “child labour” o “homeless”, sono forestierismi. Perché l’Italia è ancora così indietro rispetto al resto dell’Europa?
R. - Per un’esterofilia che attraversa il nostro Paese da molti anni. In certi casi è obbligata finché non si trova un termine italiano, perché poi non è mica facile. Gli italiani sono molto creativi: così come abbiamo trovato la parola “colf” per sintetizzare collaboratrice familiare - che non è un termine straniero, è semplicemente una sigla che viene accettata - così prima o poi ci saranno termini per definire altre persone e altre situazioni.
D. - Oltre ad alcuni termini che sono suggeriti perché sono preferibili ad altri, ci sono anche concetti che ancora non hanno un termine che li definisca…
R. - In questi casi bisogna fare ancora più attenzione perché si rischia di usare sinonimi che poi sono del tutto inadeguati.
D. - Si può definire un libro in favore della comunicazione, anche di quella quotidiana tra le persone comuni?
R. – Assolutamente! Noi abbiamo usato lo slogan che è “un libro che serve per la manutenzione delle parole”. Questa attenzione al linguaggio deve diventare una cosa naturale. Questo libro magari tra 10 anni sarà in gran parte vecchio perché nel frattempo il linguaggio si sarà evoluto, però se noi non sorvegliamo e non seguiamo questa evoluzione, non contribuiremo anche noi al miglioramento, al consolidamento: è come se facessimo solo in parte il nostro mestiere di comunicatori. Usare il linguaggio adeguato è un ferro del mestiere.
Tensione tra Usa e Russia per la crisi siriana, mentre l’Egitto rompe i rapporti con Damasco
◊ Dopo la presa di posizione statunitense a supporto dei ribelli siriani per la scoperta di uso di gas sarin da parte del regime di Damasco, la Russia parla oggi di "una violazione del diritto internazionale" a proposito dell'ipotesi americana di istituire una 'no-fly zone' a favore dei ribelli. Intanto l’Egitto rompe i rapporti diplomatici con la Siria, chiudendo la sua ambasciata a Damasco, mentre il re giordano Abdallah dichiara che il suo Paese è pronto a difendersi da una qualsiasi minaccia alla sua sicurezza nel caso di un escalation del conflitto in Siria. Intanto Damasco replica alla Casa Bianca, che aveva denunciato l’uso di armi chimiche nel Paese, parlando di prove false costruite per armare i ribelli. Anche la Russia si dice perplessa.
Notte di scontri a Istanbul: dopo lo sgombero forzato con idranti delle tendopoli a Gezi Park
◊ Dopo l’apparente distensione di ieri, nella notte è tornata a salire la tensione a Istanbul tra manifestanti antigovernativi e polizia, che si sono scontrati per ore in piazza Taksim. Le violenze sono riprese dopo che gli agenti hanno sgomberato la tendopoli di Gezi Park e hanno tentato di disperdere i manifestanti con cannoni ad acqua e proiettili di gomma, ferendo anche alcuni bambini. Alcuni oppositori hanno denunciato la presenza di agenti chimici nell’acqua degli idranti. Il governo aveva avvertito che nella notte chiunque fosse entrato in piazza Taksim “sarebbe stato trattato come un terrorista”.
Reazioni positive della comunità internazionale alla vittoria del moderato Rohani in Iran
◊ Ha incassato commenti positivi da parte dei leader politici di tutto il mondo, la vittoria di Hassan Rohani alle elezioni politiche in Iran. Il candidato moderato appoggiato dai riformisti è stato eletto al primo turno, avendo ottenuto il 50.68% dei voti, ossia la maggioranza assoluta. “Una vittoria della moderazione sull’estremismo – l’ha definita lo stesso Rohani nella prima dichiarazione dopo la vittoria". Unanimi le reazioni in Occidente: l’amministrazione Obama si è congratulata con il “coraggio degli iraniani” recatisi alle urne nonostante “la censura e l’intimidazione”. La Casa Bianca si dice, quindi, pronta a un dialogo diretto con il nuovo presidente". Di segnale positivo parlano anche Parigi, Londra, Berlino, Roma. “L’Iran giochi ora un ruolo costruttivo all’interno della comunità internazionale”, è stato il messaggio del segretario generale dell’Onu, Ban-ki-moon, mentre il capo della diplomazia europea, Ashton, si è detta “determinata” a lavorare con il governo di Rohani sulla questione nucleare. Unica voce fuori dal coro, Israele, che si riserva di giudicare il nuovo presidente “dalle sue azioni in materia di nucleare e terrorismo”.
Iraq: esplosioni in varie città del sud, almeno 25 vittime
◊ Ancora sangue in Iraq, dopo la terribile giornata di lunedì scorso in cui diversi attentati contro le forze di sicurezza hanno causato 73 vittime e 250 feriti. Oggi in una serie di attentati effettuati con alcune autobomba in diverse città e una sparatoria avvenuta a Mosul, hanno perso la vita almeno 25 persone e si contano decine di feriti. La maggior parte degli attacchi si è verificato in zone a maggioranza sciita, a partire, questa mattina presto, da Kout, cui sono seguite esplosioni in tutto il sud: a Bassora, Nassiriya, Mahmoudiya, la città santa sciita di Najaf, Madain e Hilla. Il livello di tensione in Iraq è molto salito in questi ultimi mesi, tanto che non si raggiungeva un tale numero di vittime dal 2008: ben duemila nel solo mesi di aprile. L’ondata di attentati non è ancora stata rivendicata, ma le modalità fanno pensare alla firma di al Qaeda che in Iraq fa spesso uso di autobomba, kamikaze e attacchi contro le forze di sicurezza e contro la maggioranza sciita. (R.B.)
Pakistan: nuovo attentato in Beluchistan, 2 morti
◊ Nuovo attentato oggi nella provincia pakistana del Beluchistan: un ordigno è esploso questa mattina nel distretto di Kalat, uccidendo due persone tra cui un bambino. L’episodio è avvenuto all’indomani di un articolato attentato terroristico rivendicato dal movimento Lashkar e Jhangvi, che ieri ha seminato la morte nella città di Quetta. Una donna kamikaze ha fatto saltare in aria un autobus a bordo del quale viaggiavano 14 studentesse universitarie, tutte morte, e poi un commando ha assaltato l’ospedale dove erano stati trasportati i feriti del primo incidente. Complessivamente il bilancio ammonta ad almeno 23 morti e quattro militanti uccisi dalle forze di sicurezza. (R.B.)
Sud Sudan: al via a luglio le iniziative per la riconciliazione
◊ Partirà a luglio in Sudan il processo di “riconciliazione nazionale”. Secondo quanto riferisce l’agenzia Misna infatti si tratterà di una settimana di preghiera che comincerà il 1° luglio e si concluderà il 7, un incontro con le comunità musulmane il 9 luglio, assemblee e dibattiti sulla guerra, la pace e il futuro in tutte e dieci le regioni del Paese. Sempre il 9 luglio in coincidenza con il secondo anniversario dell’indipendenza del Sud Sudan da Khartoum ci sarà un nuovo appuntamento ecumenico e interreligioso. Queste saranno le prime tappe del processo di “riconciliazione nazionale” definito da un comitato guidato da esponenti di spicco delle Chiese del Sud Sudan. Il calendario delle iniziative è contenuto in un documento “strategico” diffuso dal presidente del comitato, l’arcivescovo anglicano Daniel Deng Bul. Ad agosto, invece, si terranno assemblee e dibattiti sulla guerra civile conclusa nel 2005, i conflitti per la terra e i pascoli continuati dopo l’indipendenza e le sfide da superare per favorire la pace tra le oltre 60 etnie del Paese. L’obiettivo, da quanto si legge nel documento diffuso dall’arcivescovo Deng e diramato dall’agenzia Misna è costituire un’alleanza indipendente e aperta che sia capace di affrontare le cause profonde dei conflitti nel Sud del Sudan, costruire ponti per superare le barriere politiche e sociali e riconciliare tutti i sud-sudanesi, in particolare quelli con le ferite psicologiche e fisiche più gravi. Il comitato è stato costituito dal presidente Salva Kiir con un decreto emesso ad aprile. Il vice-presidente dell’organismo è monsignor Paride Taban, vescovo emerito di Torit, uno dei più decisi sostenitori dell’indipendenza del Sud Sudan. (F.B.)
India: nel 2030 sarà lo Stato più popoloso del mondo
◊ Con una popolazione attuale di 1,2 miliardi di persone e 75mila nuovi nati al giorno, l'India si prepara a diventare il Paese più popoloso al mondo. Secondo le previsioni delle Nazioni Unite, entro il 2030 il colosso dell'Asia meridionale supererà la Cina - il cui tasso di natalità è in declino a causa della politica del figlio unico - toccando quota 1,45 miliardi di persone. Un dato, nota all'agenzia AsiaNews Pascoal Carvalho, membro della Pontificia accademia per la vita, che "riflette l'esistenza, ancora oggi, di valori culturali che incoraggiano la sopravvivenza della famiglia e della comunità". Secondo il medico cattolico, il quadro demografico presentato dall'Onu è "importante per il ritmo, la crescita economica e lo sviluppo integrale dell'India". È poi interessante notare, sottolinea, che questo baby boom "non dipende da un aumento delle nascite, ma piuttosto da tassi di mortalità neonatale e infantile in costante calo". Nonostante gli aspetti positivi che derivano dall'attuale profilo demografico, nel Paese sono in atto politiche di pianificazione familiare per il controllo delle nascite. Tra queste, sottolinea Carvalho, "anche le sterilizzazioni (spesso forzate, ndr), che ci riportano indietro ai giorni neri vissuti dal Paese negli anni '70". All'epoca, il governo di Indira Gandhi promosse un programma di sterilizzazioni aggressivo e mirato, che prevedeva incentivi economici per chi vi partecipava, ma anche vasectomie obbligatorie per gli uomini con due o più figli. "Tuttavia - ricorda - a causa della corruzione diffusa molti uomini e donne sono stati costretti a essere sterilizzati con la forza o l'inganno, subendo procedure molto pericolose". Secondo alcune stime, in un solo anno sono state praticate 8 milioni di sterilizzazioni: 6,2 milioni di vasectomie e 2,5 milioni di legamenti delle tube, per lo più rivolte contro i dalit. Di recente, uno dei dispacci di Wikileaks ha rivelato che in quegli anni il governo agì in modo duro contro gli organismi cattolici e il clero, che tentarono di opporsi al programma obbligatorio di sterilizzazione. (R.P.)
Congo: la popolazione è stanca per il conflitto nei Grandi Laghi
◊ “Il popolo congolese non riesce a capire chi è alla base del conflitto ed è la causa principale della sua sofferenza e come possa, nello stesso tempo, essere portatore di pace. Il popolo congolese ha l’impressione che lo si voglia convincere a tutti i costi che il loro carnefice può essere anche il loro salvatore e liberatore. Impossibile!” afferma una nota inviata all’agenzia Fides dalla "Rete Pace per il Congo", commentando alcune recenti dichiarazioni di personalità della comunità internazionale sulla crisi nell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc). “Quando, a Kinshasa, Ban Ki-moon chiede al presidente Kabila di riprendere le negoziazioni con l’M23 a Kampala, sembra dimenticare che, come i precedenti movimenti cosiddetti ribelli, anche l’M23 è appoggiato, in uomini, armi e munizioni, da alcuni Paesi limitrofi, il Rwanda e l’Uganda” afferma la nota. “Il pretesto è quello di garantire la sicurezza delle loro frontiere di fronte alla “minaccia” proveniente dalle loro rispettive ribellioni fuggite in territorio congolese, le Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda e l’Adf-Nalu”. “Sarebbe stato logico che, per risolvere il problema congolese nella sua globalità, Ban Ki-moon chiedesse anche al Rwanda e all’Uganda di incominciare a negoziare con le loro rispettive ribellioni, ma non ha detto una parola in merito” continua la nota. Lo sconcerto della popolazione congolese deriva dal fatto che la Comunità Internazionale chiede alla Rdc ciò che non osa chiedere al Rwanda e all’Uganda. Il popolo congolese non sopporta più questa strategia dei due pesi e due misure. Solo il presidente tanzaniano, Jakaya Kikwete, ha osato proporre, suscitando un vespaio, l’organizzazione di un dialogo inter-rwandese e di un dialogo inter-ugandese che possano permettere accordi che consentano ai vari gruppi armati stranieri presenti nell’est della Rdc di ritornare, disarmati, nei loro rispettivi Paesi. Sarebbe una via possibile per riportare la pace nell’est della Rdc e nell’intera Regione dei Grandi Laghi” conclude la nota. (R.P.)
Perù, Settimana del Migrante: no alla tratta di persone
◊ "No alla tratta di esseri umani e al traffico di migranti: sfide per la Nuova Evangelizzazione", è la Campagna promossa dalla Pastorale della Mobilità Umana della Conferenza episcopale peruviana, in occasione della Settimana Nazionale per i Migranti e delle loro famiglie che si conclude oggi in tutto il Paese. "L'obiettivo è stato di sensibilizzare i peruviani su un problema sociale molto grave e complesso che non ci può lasciare indifferenti", ha riferito mons. Héctor Vera, vescovo di Ica, durante la presentazione della campagna. Nei primi due mesi del 2012, oltre 200 bambini sono rimasti vittima del traffico di persone nella regione della foresta di Madre de Dios, nel sud-est del Perù. Nel 2011, su 111 tra bambini e ragazzi al di sotto dei 18 anni, ospitati in un alloggio temporaneo dell'Associazione Huarayo nella città di Mazuko, un punto di passaggio obbligato per raggiungere i campi minerari della zona, ben 59 sono risultati essere vittima della tratta di esseri umani. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 167