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Sommario del 14/06/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa al primate anglicano Welby: impegno comune per la vita e la famiglia, la pace e i poveri
  • Il Papa a “Civiltà Cattolica”: siate uomini di frontiera, costruite ponti con mente e cuore aperto
  • P. Spadaro: Papa Francesco ci esorta ad essere ponte tra la Chiesa e il mondo
  • Il Papa: se il cristiano rifugge da un’umiltà di facciata la potenza di Dio è dentro di lui
  • Il card. Tauran a Londra: la religione, se violenta, non è religione. Ribadito impegno per la pace
  • Nomine episcopali di Papa Francesco in Polonia, Italia e Germania
  • Vaticano. Incontro S. Sede-Vietnam: Chiesa apprezzata per il suo contributo etico e sociale
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • La Nato chiede a Damasco verifiche sulle armi chimiche
  • Turchia, tensioni smorzate: governo annuncia lo stop del rifacimento del parco Gezi
  • Iran al voto per le presidenziali. Incertezza sul risultato
  • Sciopero generale in Grecia dopo la chiusura della tv e radio pubblica
  • Sinodo della Chiesa caldea. Mons. Warduni: abbiamo bisogno di pace e riconciliazione
  • Don Colombo: sentenza Usa sul Dna umano "un grande passo per la tutela umana"
  • Convegno alla Gregoriana sui migranti: il Mediterraneo torni ad essere spazio di dialogo
  • Giornata del donatore di sangue: l'impegno dell'Ospedale "Bambino Gesù"
  • Un anno fa la morte di Chiara Corbella, in migliaia al Santuario del Divino Amore
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Colombia: la Chiesa chiede rispetto dei diritti del cittadino in vista della riforma sanitaria
  • Appello dei vescovi irlandesi per il G8: la solidarietà sia principio-guida dell’incontro
  • Consiglio delle istituzioni religiose di Terra Santa condanna dissacrazione del cimitero di Jaffa
  • Etiopia: ratificato il Trattato dei Paesi del bacino del Nilo
  • Bangladesh: per i sindacati del tessile le nuove tutele per i lavoratori sono inadeguate
  • I salesiani celebrano 50 anni di presenza a Taiwan
  • Canada: l’Organizzazione cattolica per la vita respinge il progetto di legge sull’eutanasia
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa al primate anglicano Welby: impegno comune per la vita e la famiglia, la pace e i poveri

    ◊   Difesa della vita umana'' e della famiglia ''fondata sul matrimonio'', impegno per ''una maggiore giustizia sociale'', per ''dare voce al grido dei poveri'' e per ''la risoluzione dei conflitti”, a partire dalla crisi siriana. Questi gli ambiti di collaborazione tra Chiesa cattolica e Chiesa anglicana evidenziati questa mattina da Papa Francesco durante l’udienza in Vaticano all’arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana, Justin Welby, ricevuto con la consorte e il seguito. “L’impegno per la ricerca dell’unità tra i cristiani non deriva da ragioni di ordine pratico – ha detto il Papa – ma dalla volontà stessa del Signore Gesù Cristo. Dopo il colloquio privato e lo scambio dei doni, è stata celebrata una preghiera comune nella Cappella Redemptoris Mater. A seguire, a fine mattinata, il pranzo presso la Domus Sancthae Marthae. Il servizio di Paolo Ondarza:

    Un incontro fraterno, nel solco della storica visita dell’arcivescovo Michael Ramsey nel 1966 a Paolo VI. Papa Francesco fa proprie le parole del suo predecessore, accogliendo l’arcivescovo Welby “non come ospite o forestiero, ma come concittadino della famiglia di Dio". Il primate anglicano da parte sua confida di sentirsi a casa. E’ la prima volta che i due si incontrano, vista la coincidenza dell’inizio dei rispettivi ministeri, lo scorso mese di marzo. Il Santo Padre ha ringraziato Welby per averlo ricordato nella preghiera durante la cerimonia di insediamento nella cattedrale di Canterbury:

    "Avendo iniziato i nostri rispettivi ministeri a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, avremo sempre un motivo particolare per sostenerci a vicenda con la preghiera".

    Una storia di relazioni lunga e complessa, non priva di momenti dolorosi quella intercorsa tra Chiesa d’Inghilterra e Chiesa di Roma, ha ammesso il Papa, rilevando però il cammino di avvicinamento e fraternità degli ultimi decenni ed evidenziando "l’importanza della comune promozione dei valori cristiani di fronte ad una società che sembra mettere in discussione alcune basi della convivenza, quali la sacralità della vita umana o la solidità dell’istituto della famiglia fondata sul matrimonio". Uguale - ha evidenziato il Pontefice - anche "l’impegno per una maggiore giustizia sociale, per un sistema economico al servizio dell’uomo e del bene comune":

    "Tra i nostri compiti, quali testimoni dell’amore di Cristo, vi è quello di dare voce al grido dei poveri, affinché non siano abbandonati alle leggi di un’economia che sembra talora considerare l’uomo solo in quanto consumatore".

    Quando i cristiani vivono e lavorano insieme in armonia – ha aggiunto Papa Francesco – possono portare al mondo la pace. Di qui, il pensiero è andato alla difficile crisi siriana. Il Pontefice ha ricordato l’impegno comune dell’arcivescovo Welby e dell’arcivescovo di Westminster, mons. Nichols, presente all’udienza, nel sollecitare le autorità a trovare una soluzione pacifica del conflitto:

    "Trovare una soluzione pacifica al conflitto siriano, che garantisca anche la sicurezza di tutta la popolazione, incluse le minoranze, tra le quali ci sono le antiche comunità cristiane locali".

    A tale riguardo, l’arcivescovo anglicano Welby non ha mancato di menzionare le sofferenze patite dai cristiani in varie zone di crisi nel mondo:

    "Even as we speak…
    Mentre noi parliamo, i nostri fratelli e sorelle in Cristo soffrono terribilmente la violenza, l’oppressione, la guerra, dovute al cattivo governo e a sistemi economici ingiusti. Se noi non siamo i loro avvocati nel nome di Cristo, chi lo sarà?".

    Pur non nascondendo le differenze tra anglicani e cattolici, il primate anglicano ha aggiunto, citando Benedetto XVI, che la "meta è così grande da giustificare la fatica del cammino". Papa Francesco ha infine apprezzato lo sforzo della Chiesa d’Inghilterra nel comprendere le ragioni che hanno portato il Papa emerito ad accogliere quei gruppi di anglicani che hanno chiesto essere ricevuti nella Chiesa cattolica:

    "Sono certo che ciò permetterà di meglio conoscere e apprezzare nel mondo cattolico le tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali che costituiscono il patrimonio anglicano".

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    Il Papa a “Civiltà Cattolica”: siate uomini di frontiera, costruite ponti con mente e cuore aperto

    ◊   Dialogo, discernimento, frontiera. Sono le tre parole su cui si è soffermato Papa Francesco nell’udienza di stamani alla comunità della “Civiltà Cattolica”, la rivista dei Gesuiti fondata nel 1850. Il Papa ha chiesto in particolare agli scrittori del quindicinale, diretto da padre Antonio Spadaro, di essere uomini di frontiera, impegnati a costruire ponti non muri. Quindi, li ha esortati a dialogare anche con coloro che non condividono la fede cristiana. L’indirizzo d’omaggio è stato rivolto al Papa dal preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Adolfo Nicolás. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Sono sicuro di poter contare su di voi”. E’ uno dei passaggi del discorso di Papa Francesco che sintetizza il clima di un incontro speciale, quello del primo Pontefice gesuita con la rivista dei Gesuiti per antonomasia, “Civiltà Cattolica”. Papa Francesco, seguendo il ritmo ternario ignaziano, ha incentrato il suo intervento su tre parole, tre pilastri: dialogo, discernimento e frontiera. E ha subito esortato i suoi confratelli ad “essere duri contro le ipocrisie frutto di un cuore chiuso, malato”, ma senza erigere barriere:

    “Il vostro compito principale non è di costruire muri ma ponti; è quello di stabilire un dialogo con tutti gli uomini, anche con coloro che non condividono la fede cristiana, ma ‘hanno il culto di alti valori umani’ e perfino con ‘coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in varie maniere’ (Gaudium et Spes)”.

    Dialogare, ha poi osservato, “significa essere convinti che l’altro abbia qualcosa di buono da dire”, “senza cadere ovviamente nel relativismo”. Ed ha aggiunto che “per dialogare bisogna abbassare le difese e aprire le porte” ed è proprio ciò che è chiamata a fare “Civiltà Cattolica”, anche per offrire il proprio contributo “alla formazione di cittadini che abbiano a cuore il bene di tutti e lavorino per il bene comune”. Il Papa ha così rivolto l’attenzione alla dimensione del discernimento, constatando che le “grandi domande spirituali oggi sono più vive che mai”, ma “c’è bisogno che qualcuno le interpreti e le capisca”. Papa Francesco ha inoltre osservato che “non bisogna aver paura di proseguire nel discernimento, per trovare la verità”. Con “intelligenza umile e aperta – ha detto citando S. Ignazio di Loyola – cercate e trovate Dio in tutte le cose". E ha sottolineato che “un tesoro dei Gesuiti è proprio il discernimento spirituale, che cerca di riconoscere la presenza dello Spirito di Dio nella realtà umana e culturale”. Del resto, ha soggiunto, per cercare Dio in tutte le cose sono necessari “studio, sensibilità, esperienza”:

    “Tutto questo richiede di mantenere aperti il cuore e la mente, evitando la malattia spirituale dell’autoreferenzialità. Anche la Chiesa quando diventa autoreferenziale, si ammala, invecchia. Il nostro sguardo, ben fisso su Cristo, sia profetico e dinamico verso il futuro: in questo modo, rimarrete sempre giovani e audaci nella lettura degli avvenimenti”.

    La terza parola su cui si è soffermato il Papa è “frontiera”. La “frattura tra Vangelo e cultura – ha constatato – è senza dubbio un dramma” ed ecco allora che uno dei compiti di “Civiltà Cattolica” è proprio di “sanare questa frattura”. E riecheggiando quanto detto da Paolo VI e Benedetto XVI della “Compagnia di Gesù”, Papa Francesco ha esortato la rivista a essere “nei campi più difficili e di punta, nei crocevia delle ideologie, nelle trincee sociali”. “Il vostro luogo proprio – ha ribadito – sono le frontiere”:

    “Per favore, siate uomini di frontiera, con quella capacità che viene da Dio (cfr 2Cor 3,6). Ma non cadete nella tentazione di addomesticare le frontiere: si deve andare verso le frontiere e non portare le frontiere a casa per verniciarle un po' e addomesticarle. Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, è urgente un coraggioso impegno per educare a una fede convinta e matura, capace di dare senso alla vita e di offrire risposte convincenti a quanti sono alla ricerca di Dio”.

    “Si tratta – ha detto ancora il Papa – di sostenere l'azione della Chiesa in tutti i campi della sua missione”. La “Civiltà Cattolica”, ha ricordato, quest'anno si è rinnovata e raggiunge oggi i suoi lettori pure nelle reti sociali:

    “Anche queste sono frontiere sulle quali siete chiamati a operare. Proseguite su questa strada!”.

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    P. Spadaro: Papa Francesco ci esorta ad essere ponte tra la Chiesa e il mondo

    ◊   Siate “uomini di frontiera”, costruttori di ponti tra la Chiesa e il mondo. E’ il mandato consegnato da Papa Francesco a “Civiltà Cattolica”, nell’udienza di oggi in Vaticano. Un’esortazione che mette l’accento sulla dimensione missionaria a cui è chiamata la rivisita dei Gesuiti. Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione del direttore di “Civiltà Cattolica”, padre Antonio Spadaro, subito dopo l’udienza con il Pontefice:

    R. - Incontrando Papa Francesco, ho avuto l’impressione di una grande attenzione nei confronti della “Civiltà Cattolica”, di cui conosce molto bene la storia e, essendo gesuita, conosce anche le motivazione della nascita di questa rivista. Quindi, ha ribadito l’importanza per la Chiesa e il suo legame con il Romano Pontefice. E’ stato un incontro che ci ha confermati come Gesuiti nel servizio al Papa. Poi, il fatto che il Papa sia gesuita è un elemento in più, non determinante ovviamente - noi siamo sempre stati al servizio di tutti i Papi, sin dal 1850 - ma ci conferma in questo servizio che ci vede ormai impegnati da 163 anni.

    D. - Il Papa ha detto “Siate uomini di frontiera”, costruite ponti, con mente e cuore aperto. Siate nei “crocevia delle ideologie”, laddove i Gesuiti sono sempre stati. In un qualche modo, il Papa ha parlato di “Civiltà Cattolica” come se parlasse della Chiesa più in generale…

    R. - Assolutamente sì e con parole, tra l’altro, che hanno ripreso alcune espressioni di Paolo VI e quindi in questo senso c’è una continuità storica. Ha insistito parecchio, delle tre parole che ci ha consegnato - cioè “dialogo”, “discernimento” e “frontiera” - proprio sulla frontiera: anzi, in modo particolare, a braccio, ha insistito ripetendo due volte: “Non addomesticate le frontiere, ma andate in frontiera!”. Quindi, un grosso slancio missionario dalle sue parole, che ci conferma in questa missione così importante e delicata di essere ponte tra la Chiesa e il mondo.

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    Il Papa: se il cristiano rifugge da un’umiltà di facciata la potenza di Dio è dentro di lui

    ◊   L’unico modo per ricevere realmente il dono della salvezza di Cristo è riconoscerci con sincerità deboli e peccatori, evitando ogni forma di autogiustificazione. Papa Francesco lo ha affermato all’omelia della Messa di questa mattina, celebrata nella cappella di Casa S. Marta. Con il Pontefice, hanno concelebrato il prefetto e il segretario della Congregazione per il Clero, il cardinale Mauro Piacenza e l’arcivescovo Celso Morga Iruzubieta – accompagnati da sacerdoti e personale del dicastero – oltre al cardinale Giuseppe Bertello e al vescovo di Humahuaca in Argentina, Pedro Olmedo Rivero, e a mons. Benjamin J. Almoneda, vescovo emerito di Daet nelle Filippine. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Consapevole di essere un debole vaso di creta, eppure custode di un grande tesoro che gli è stato donato in modo del tutto gratuito. È questo il seguace di Cristo davanti al suo Signore. Papa Francesco ricava lo spunto di riflessione dalla Lettera in cui Paolo spiega ai cristiani di Corinto che, perché sia chiaro che la “straordinaria potenza” della fede è opera di Dio, essa è stata riversata in uomini peccatori, in “vasi di creta”, appunto. Ma proprio dal rapporto “tra la grazia e la potenza di Gesù Cristo” e noi poveri peccatori scaturisce, osserva il Papa, “il dialogo della salvezza”. E tuttavia, nota, questo dialogo deve rifuggire da qualsiasi “autogiustificazione”, “deve essere come noi siamo”:

    “Paolo, tante volte ha parlato – è come un ritornello, no? – dei suoi peccati. ‘Ma, io vi dico questo: io che sono stato un inseguitore della Chiesa, ho perseguito…’ Torna sempre alla sua memoria di peccato. Si sente peccatore. Ma anche in quel momento non dice: ‘Sono stato, ma adesso sono santo’, no. Anche adesso, una spina di Satana nella mia carne. Ci fa vedere la propria debolezza. Il proprio peccato. E’ un peccatore che accoglie Gesù Cristo. Dialoga con Gesù Cristo”.

    La chiave, indica il Papa, è quindi l’umiltà. Paolo stesso lo dimostra. Egli riconosce pubblicamente, dice Papa Francesco, “il suo curriculum di servizio”, ovvero tutto ciò che ha compiuto come Apostolo inviato da Gesù. Ma non per questo nasconde o si nasconde quello che il Pontefice definisce il “suo prontuario”, cioè i suoi peccati:

    “Anche, questo è il modello dell’umiltà di noi preti, di noi sacerdoti. Se noi ci vantiamo soltanto del nostro curriculum e niente più, finiremo sbagliati. Non possiamo annunziare Gesù Cristo Salvatore perché nel fondo non lo sentiamo. Ma dobbiamo essere umili, ma con un’umiltà reale, con nome e cognome: ‘Io sono peccatore per questo, per questo, per questo’. Come fa Paolo: ‘Ho perseguitato la Chiesa”, come fa lui, peccatori concreti. Non peccatori con quella umiltà che sembra più faccia da immaginetta, no? Eh no, l’umiltà forte”.

    “L’umiltà del sacerdote, l’umiltà del cristiano è concreta”, asserisce Papa Francesco, per il quale, quindi, se un cristiano non riesce “a fare a se stesso e neanche alla Chiesa questa confessione, qualcosa non va”. E a non andare per primo è il non poter “capire la bellezza della salvezza che ci porta Gesù”:

    “Fratelli, noi abbiamo un tesoro: questo di Gesù Cristo Salvatore. La Croce di Gesù Cristo, questo tesoro del quale noi ci vantiamo. Ma lo abbiamo in un vaso di creta. Vantiamoci anche del nostro prontuario, dei nostri peccati. E così il dialogo è cristiano e cattolico: concreto, perché la salvezza di Gesù Cristo è concreta. Gesù Cristo non ci ha salvati con un’idea, con un programma intellettuale, no. Ci ha salvato con la carne, con la concretezza della carne. Si è abbassato, fatto uomo, fatto carne fino alla fine. Ma soltanto, solo si può capire, solo si può ricevere, in vasi di creta”.

    Anche la Samaritana che incontra Gesù e dopo avergli parlato racconta ai suoi conterranei prima il suo peccato e poi di aver incontrato il Signore si comporta in modo analogo a Paolo. “Io credo – osserva Papa Francesco – che questa donna sia in cielo, sicuro” perché, come dice il Manzoni, "‘mai ho trovato che il Signore abbia incominciato un miracolo senza finirlo bene’ e questo miracolo che Lui ha incominciato sicuramente lo ha finito bene in Cielo”. A lei, conclude il Papa, chiediamo “che ci aiuti a essere vasi di creta per poter portare e capire il mistero glorioso di Gesù Cristo”.

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    Il card. Tauran a Londra: la religione, se violenta, non è religione. Ribadito impegno per la pace

    ◊   “Le religioni sono causa di amore, unità e pace, e se una religione insegna il contrario, allora non è una religione”: lo ha detto il cardinale Jean-Louis Tauran, stamani a Londra, incontrando la comunità giainista locale. Dal 12 giugno, infatti, il presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso si trova nel Regno Unito dove rimarrà fino a domenica prossima. Scopo della visita ufficiale è quello di “affermare e rafforzare le buone relazioni interreligiose in questo Paese” e “dimostrare che l’amicizia tra le religioni è di per sé un presupposto per la costruzione della pace”. In particolare, nell’incontro svoltosi stamani, il porporato si è soffermato sul tema “Cattolici e giainisti - La pratica della non-violenza come contributo alla pace”, ed ha detto: “In un’epoca in cui la violenza, in varie e molteplici forme, è divenuta la preoccupazione maggiore di molte parti del mondo perché disturba la pace nelle famiglie, nelle comunità e nell’intera società”, la pratica della non-violenza diventa “un imperativo sia per i cattolici che per i giainisti”, considerato che entrambi “danno la priorità ad una vita di amore e di rifiuto della violenza”. Quindi, il card. Tauran ha messo in luce il fatto che, sebbene “non-violenza suoni, etimologicamente, come negativo, tuttavia in senso positivo essa significa compassione ed amicizia nei confronti di tutti gli esseri viventi”. Tutto questo, ha sottolineato il presidente del dicastero vaticano, implica che “credenti e uomini di buona volontà onorino la dignità di ogni essere umano e che, al di là delle differenze dovute alla religione o ad altri fattori, si riconosca la responsabilità di appartenere tutti ad una più ampia famiglia umana per contribuire, personalmente e collettivamente, alla sviluppo integrale di ciascuno nell’amore, nella giustizia, nella libertà ed in armonia, a favore della pace e della prosperità del mondo”. Quanto al “fondamentalismo crescente ed alle tensioni interreligiose che si verificano in diverse parti del mondo contemporaneo”, il porporato ha ribadito che una religione, se è violenta, non può definirsi religione. Infine, il porporato ha ricordato grandi esempi di non-violenza, come il Mahatma Gandhi e Martin Luther King, ed ha citato le parole di due Pontefici: Paolo VI che nel ’78 disse “No alla violenza, sì alla pace”, e Benedetto XVI che all’Angelus del 18 febbraio 2007 ha esortato i fedeli a contrastare la violenza con “un di più di amore, un di più di bontà”, che “viene da Dio e che è la sua misericordia”.

    Altro momento di grande rilevanza è stato l’evento interreligioso svoltosi ieri sera nella Westminster Cathedral Hall, alla presenza, tra gli altri, del Nunzio apostolico nel Regno Unito, l’arcivescovo Antonio Mennini, dei vescovi locali e di alcuni esponenti di nove diverse religioni: oltre al cristianesimo, erano rappresentate le religioni bahai, buddista, gianista, sikh, islamica, ebraica e zoroastrica. “Come possiamo essere, concretamente, messaggeri ed artigiani della pace?”: ha chiesto il card. Tauran, in apertura del suo discorso, sul tema “Insieme in preghiera per la pace”. La risposta, ha continuato il porporato, presuppone che sia necessario “prima di tutto vivere genuinamente la propria fede, qualunque sia la religione a cui si appartiene”. Questo perché “una vita di fede vissuta autenticamente non può mancare di portare frutti di pace e di fratellanza, perché nessuna religione insegna il contrario”. Il porporato non ha certo negato l’esistenza, attualmente, di “certi elementi fondamentalisti e fanatici che cercano di istigare l’intolleranza e la violenza contro chi non condivide il loro credo, in nome della religione”. Tuttavia – ha notato il card. Tauran – “questi elementi sono una minoranza”. Di qui, l’appello lanciato alla “cooperazione interreligiosa” così da promuovere “il rispetto, la comprensione reciproca e la cooperazione per la causa della pace”. La riflessione del presidente del dicastero vaticano è andata, poi, all’importante ruolo ricoperto dai leader religiosi: “Abbiamo la grande responsabilità morale di ispirare i nostri fedeli con l’esempio della nostra vita personale, vivendo in dialogo, in amicizia, in pace con tutti, compresi coloro che hanno una fede diversa dalla nostra”. Allo stesso tempo, ha continuato il card. Tauran, è necessario “dissuadere, con gentilezza e comprensione, coloro che cercano di creare discordie e divisioni, destabilizzando la pace e la tranquillità nella società”. Infine, il porporato ha richiamato il magistero pontificio sul tema della pace: dal “dialogo dell’amicizia” così spesso citato da Papa Francesco, alla preghiera come autentica relazione con Dio e con gli altri, definita da Benedetto XVI “un contributo positivo alla pace”, allo “spirito di Assisi” lanciato da Giovanni Paolo II, ideatore degli Incontri internazionali di preghiera per la pace, svoltisi per molti anni nella città umbra. Al termine dell’evento, tutti i partecipanti all’evento interreligioso hanno preso un solenne impegno per la promozione della pace. Domani, il card. Tauran si recherà a Birmingham dove incontrerà la comunità Sikh. (A cura di Isabella Piro)

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    Nomine episcopali di Papa Francesco in Polonia, Italia e Germania

    ◊   In Polonia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Rzeszów (Polonia), presentata da S.E. Mons. Kazimierz Górny, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato nuovo Vescovo di Rzeszów il Rev.do Mons. Jan Franciszek Wątroba, trasferendolo dalla sede titolare di Bisica e dall’ufficio di Ausiliare di Częstochowa.

    In Italia, Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare di Roma il Rev.do Mons. Paolo Selvadagi, del clero romano, finora Parroco della Parrocchia "Natività di Nostro Signore Gesù Cristo", assegnandogli la sede titolare di Salpi.

    In Germania, il Papa ha nominato Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di Köln il Rev.do Mons. Ansgar Puff, assegnandogli la sede titolare vescovile di Gordo.

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    Vaticano. Incontro S. Sede-Vietnam: Chiesa apprezzata per il suo contributo etico e sociale

    ◊   Dall’ultimo incontro del febbraio 2012, i rapporti bilaterali sono “progrediti in uno spirito di buona volontà, di scambio costruttivo e di rispetto per i principi della loro relazione”. È quanto riconoscono in un comunicato la Santa Sede e il Vietnam, al termine del quarto incontro del Gruppo di lavoro congiunto tra la Santa Sede e il Vietnam, svoltosi ieri e oggi in Vaticano “in un clima di cordiale sincerità, di apertura e di mutuo rispetto”. “La Parte vietnamita – si legge nella nota – ha sottolineato la consistente attuazione ed i continui miglioramenti delle politiche da parte del Partito e dello Stato del Vietnam riguardanti il rispetto e l’assicurazione della libertà di religione e delle credenze religiose, come pure l’incoraggiamento continuo alle diverse religioni e alla Chiesa cattolica in Vietnam in particolare, a prendere parte attiva nella costruzione nazionale e nel processo di sviluppo socioeconomico”. Da parte sua, “la Santa Sede ha espresso apprezzamento e gratitudine per l’attenzione data da diversi livelli del Governo alle attività della Chiesa cattolica in Vietnam, in particolare alla decima Assemblea plenaria della Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia tenutasi in Xuan Loc e Hochiminh City nel dicembre 2012, come pure alle visite pastorali del Rappresentante Pontificio non residente, l’Arcivescovo Leopoldo Girelli”. Inoltre, prosegue il comunicato ufficiale, “la Santa Sede ha evidenziato il desiderio di sviluppare ulteriormente i rapporti tra il Vietnam e la Santa Sede, sottolineando il bisogno di avere al più presto un Rappresentate Pontificio residente nel Paese, a beneficio di tutti gli interessati”.

    Apprezzamento è stato manifestato dalle due parti “per la predicazione della Chiesa sul ‘vivere il Vangelo all’interno della Nazione’ e sul fatto che ‘essere un buon cattolico vuol dire essere anche un buon cittadino’”. Quindi, la Santa Sede ha anche “confermato la volontà della Chiesa cattolica di contribuire, nella maniera che le è propria, al bene comune della società, e di trasmettere e attuare gli insegnamenti costanti dei Papi al riguardo”. “Le due Parti – si legge ancora nella nota – sono del parere che i rapporti tra il Vietnam e la Santa Sede siano progrediti in uno spirito di buona volontà, di scambio costruttivo e di rispetto per i principi della loro relazione. In questo spirito, ed in vista dell’impegno di sviluppare ulteriori rapporti reciproci, il lavoro del Rappresentante Pontificio non residente sarà facilitato per permettergli di svolgere la sua missione in modo ancora più fecondo”. Infine, la nota ufficiale mette in rilievo la decisione di Santa Sede e Vietnam di tornare a incontrarsi ad Hanoi per il quinto incontro del Gruppo di lavoro congiunto, in data che verrà concordata attraverso i canali diplomatici.

    L’incontro in Vaticano è stato presieduto congiuntamente da mons. Antoine Camilleri, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati e capo della Delegazione della Santa Sede, e dal viceministro degli Esteri vietnamita, Bui Thanh Son, capo della delegazione del suo Paese. Che, nell’occasione, ha anche reso una visita di cortesia al segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Dominique Mamberti.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In cammino verso l’unità: Papa Francesco ha ricevuto Sua Grazia Justin Welby, arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana.

    Uomini di frontiera: il Pontefice alla comunità della Civiltà Cattolica.

    L’umiltà concreta del cristiano: Messa del Papa a Santa Marta.

    Il valore della meraviglia: in prima pagina, Augusto Pessina a margine di una scoperta sul cervello umano.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, l’intenzione di Washington di armare i ribelli siriani.

    Coscienza artigliata: in cultura, nel centenario della nascita, il cardinale Gianfranco Ravasi ricorda lo scrittore Albert Camus, la cui maggiore preoccupazione fu quella di riuscire a capire “come essere santi senza Dio”.

    Il documento che anticipava la “Rerum novarum”: a proposito del contributo di Fernando J. de Lasala - pubblicato sul numero in uscita della “Civiltà Cattolica” - sulla questione sociale, Pio IX e il concilio Vaticano I.

    Ovunque ti giri incontri la Bellezza: Antonio Paolucci illustra mezzo millennio di capolavori della Valtiberina da Piero della Francesca ad Alberto Burri.

    Fra’ Ginepro e il senso della provvidenza: Alberto Fabio Ambrosio riguardo alla nuova traduzione italiana per “Il ponte di San Luis Rey” di Thornton Wilder che, con questo romanzo appassionante, nel 1928 vinse il Pulitzer.

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    Oggi in Primo Piano



    La Nato chiede a Damasco verifiche sulle armi chimiche

    ◊   Il governo siriano deve garantire l'accesso alle Nazioni Unite affinché possano indagare sull'uso di gas sarin nel conflitto. E’ quanto afferma il segretario generale della Nato, Rasmussen, ribadendo che l'uso di armi chimiche è inaccettabile. Gli Stati Uniti hanno dichiarato di averne accertato l'uso da parte del regime di Assad, che parla di "rapporto pieno di menzogne". Ora, gli Stati Uniti si dicono pronti a dare il via libera alla fornitura di armi ai ribelli. C’è anche l’ipotesi di una "no fly zone limitata". Della svolta nella posizione degli Stati Uniti, Fausta Speranza ha parlato con Germano Dottori, docente di Studi strategici all’Università Luiss:

    R. – In realtà, aiuti sottobanco ai ribelli arrivano da molti mesi, probabilmente già dall’anno scorso, ma senza che ci fosse il supporto di una presa di posizione ufficiale. Ora, questa presa di posizione c’è ed è evidente che gli Stati Uniti stanno a mio avviso cercando di impedire la vittoria definitiva dei lealisti, che sono sul punto per attaccare Aleppo. Non è da escludere che l’obiettivo finale sia quello di riequilibrare un po’ le sorti del conflitto sul terreno, anche per facilitare poi una soluzione di compromesso.

    D. – E’ pensabile che si impongano verifiche a Damasco?

    R. – Sicuramente, l’Alleanza Atlantica autonomamente non può muoversi. Però, evidentemente c’è una pressione politica – che immagino coordinata – che tende a sollecitare un’iniziativa da parte delle Nazioni Unite. Alle Nazioni Unite, prevedibilmente, al momento in cui il Consiglio di sicurezza venisse interessato della questione, dovremmo attenderci un esercizio del diritto di veto da parte della Russia e verosimilmente anche della Cina. Credo che, sotto questo punto di vista, non dovrebbero esserci particolari novità e forse da un punto di vista occidentale è anche meglio che sia così, perché sembra che effettivamente i lealisti abbiano fatto uso in piccole quantità a partire dallo scorso dicembre di gas sarin, ma è altrettanto vero che anche il Fronte al-Nusra è entrato in possesso del sarin.

    D. – Parliamo della proposta di una “no-fly zone”: in che cosa dovrebbe consistere?

    R. – Più o meno, nella imposizione di un divieto di sorvolo da parte degli aerei dipendenti dal regime di Damasco sulle zone che sono controllate dalla guerriglia. Su questo specifico aspetto, ci sono molte difficoltà, non ultimo anche il fatto che la Russia ha fatto intendere di essere disponibile a rifornire la Siria di sistemi antimissilistici e antiaerei molto sofisticati – gli S300 – che dovrebbero essere “operati” con il concorso di tecnici russi. La cosa evidentemente implicherebbe una escalation politico militare del conflitto al momento imprevedibile. Sembra quindi che questa ipotesi sia per il momento piuttosto lontana.

    D. – Dalla Russia, l’accusa: Obama mentirebbe sulle armi chimiche, come Bush mentì sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Dobbiamo pensare che scoppi un braccio di ferro veramente ad alto livello?

    R. – Tutto questo prelude evidentemente ad una battaglia politico-diplomatica alle Nazioni Unite in cui è altamente verosimile che la Russia si opponga, probabilmente insieme alla Cina, a qualsiasi ipotesi che possa condurre all’uso della forza nei confronti del regime di Damasco. Dopo quello che è successo in Iraq nel 2003 è decisamente improbabile che una coalizione di volenterosi a partecipazione occidentale - sia nel quadro della Nato, che al di fuori del quadro della Nato – possa procedere. Quindi, io non credo che si vada verso un intervento militare multinazionale al quale potrebbe prendere parte per esempio anche un Paese come il nostro. Magari può succedere qualche cosa che coinvolga la Turchia, anche se la Turchia in questo momento è nelle condizioni che sappiamo e ben difficilmente potrebbe spendersi politicamente nell’aggregazione di una coalizione per andare a risolvere in qualche modo il conflitto in Siria. Erdogan rischia veramente molto se lo fa.


    Due anni di conflitto in Siria hanno mietuto circa 93 mila vite, 6.500 delle quali bambini. Lo ha affermato ieri l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, nello stilare un bilancio da molti ritenuto inferiore alla realtà. Nel frattempo, gli scontri armati nel Paese proseguono intensi, con l’aeroporto di Damasco preso di mira nelle ultime ore dalle forze anti-Assad. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Mentre le cancellerie discutono di “linee rosse” superate o meno, di Conferenze di pace o di forniture di armi agli insorti, arrivano le nuove cifre dell’Onu, forse sottostimate, a restituire le dimensioni di una tragedia che, terribile a dirsi, da quasi un anno a questa parte avanza alla media di 5 mila morti al mese, per un totale di 93 mila uccisioni dallo scoppio delle ostilità nel marzo 2011. Il bilancio è dell’Alto Commissario per i Diritti Umani, Navi Pillay, che parla di livelli di perdite di vite umane “oltraggiosamente alti”. Lo studio dell’Onu documenta i casi di morte dal marzo 2011 all’aprile di quest’anno, evidenziando purtroppo l’uccisione di oltre 6.500 minori. I numeri non sembrano intaccare i piani delle due parti. Ieri, l’aeroporto di Damasco è stato centrato da due colpi di mortaio, provocando il ferimento di un addetto e il ritardo del traffico aereo. Ma secondo gli esperti, la battaglia cruciale sembra svolgersi a Homs – città vicina agli Assad, e l'alta valle della Bekaa libanese, roccaforte degli Hezbollah.

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    Turchia, tensioni smorzate: governo annuncia lo stop del rifacimento del parco Gezi

    ◊   In Turchia, scaduto l’ultimatum imposto dal premier Erdogan ai manifestanti radunati da giorni nel parco Gezi di Istanbul. La polizia non è intervenuta, diversamente da come annunciato. La svolta nella notte, al termine di un incontro ad Ankara tra il capo dell’esecutivo e alcuni rappresentati della protesta. Il servizio è di Eugenio Bonanata:

    Una pausa dopo la forte tensione di questi giorni. Il governo turco congela l’intervento di rifacimento del parco, che prevede il taglio di 600 alberi. Ora, la parola passa al giudice a cui si sono appellati i manifestati, contrari al progetto, e poi al referendum popolare che l’esecutivo si è impegnato a convocare. Una svolta arrivata la scorsa notte, al termine del vertice di Ankara. I media parlano dell’apertura del premier Erdogan il quale ha anche accettato di avviare un’inchiesta sulla dura repressione della polizia, già peraltro criticata dalle istituzioni europee. I manifestanti rispondono con dichiarazioni distensive, senza tuttavia chiarire la questione dello sgombero del parco. E’ una decisione che spetta ai singoli, riferiscono. Oggi pomeriggio, intanto, ci sarà una cerimonia in ricordo delle vittime della protesta. Ieri sera, invece, la polizia ha disperso in modo deciso alcune centinaia di giovani radunatisi pacificamente per le strade di Ankara.

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    Iran al voto per le presidenziali. Incertezza sul risultato

    ◊   Iran alle urne oggi per scegliere il successore di Mahmoud Ahmadinejad, giunto al suo secondo mandato alla presidenza della Repubblica Islamica. Oltre 50 milioni gli aventi diritto. I seggi hanno aperto questa mattina alle 8 ed i primi dati sull’affluenza alle urne parlano di una buona partecipazione al voto. Il servizio è di Salvatore Sabatino:

    Dieci ore per scegliere il futuro presidente dell’Iran. Il voto di oggi si presenta come un’incognita, a causa dell’indeterminatezza del risultato. Sei i candidati: cinque appartenenti all’ala conservatrice, facente capo alla guida suprema l’Ajatollah Khamenei, uno solo appartenente all’area riformista, Hassan Rowhani, unico candidato con una reale possibilità di arrivare al secondo turno, perché capace di far convergere su di sé tutti i consensi dell’escluso Rasfanjani. Il ballottaggio appare quasi scontato, visto che nessuno dei partecipanti alla corsa presidenziale dovrebbe superare il 50% dei consensi. Tutto si deciderà in base all’astensionismo: pericolo numero uno per i conservatori, che questa mattina hanno giocato la carta Khamenei per lanciare un appello al voto.

    Saeed Jalili, 47 anni, è il loro candidato più accreditato: vicinissino al leader supremo, è ritenuto il prescelto del direttivo islamico, anche se è privo di una fondata esperienza ai vertici di un esecutivo. Alla comunità internazionale è ben noto per la durezza e l'intransigenza mostrate durante i colloqui con la parte occidentale circa il controverso programma nucleare portato avanti da Teheran. Gli altri protagonisti sono: il sindaco di Teheran, il popolare Mohammad Baqer Qalibaf ed il consigliere diplomatico della Guida, Ali Akbar Velayati. I risultati dovrebbero essere resi noti già domani.

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    Sciopero generale in Grecia dopo la chiusura della tv e radio pubblica

    ◊   Massiccia adesione, ieri, in Grecia allo sciopero generale convocato per protestare contro la decisione del governo di chiudere la televisione pubblica Ert con il conseguente licenziamento di quasi tremila persone. Disagi per i trasporti, Atene è rimasta semiparalizzata. Intanto lunedì il premier Samaras ha fissato un incontro con gli alleati che avevano polemizzato con la sua decisione di chiudere la radio e tv pubblica. Benedetta Capelli ha parlato con Franco Siddi, segretario della Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi), che ieri è arrivato ad Atene per portare la solidarietà dei giornalisti italiani ai colleghi greci:

    R. – Abbiamo portato la solidarietà, perché ci siamo resi conto che non siamo in presenza di una semplice operazione industriale, in cui c’è una crisi e si procede ad una riorganizzazione, ma c’è proprio un’operazione di taglio, cesura, che nega il servizio pubblico radiotelevisivo ai cittadini greci; fa perdere il posto di lavoro a tremila persone, dal giorno alla notte; dal giorno alla notte toglie la televisione nazionale ai greci in casa e ai greci nel mondo; e fa mancare nel panorama delle televisioni nazionali europee, delle 27 lingue della nostra Europa unita, una lingua. Peraltro, il governo greco non ha prodotto ragioni plausibili, se non quelle di dover rispondere agli obblighi della troika europea, che vigila sui conti pubblici. Ma se fosse questo il problema, si riorganizzerebbe l’industria da subito e non fra tre mesi, come si dice. Oggi io ho avuto questa sensazione, sia accendendo la televisione la mattina sia parlando con molti colleghi e con molti cittadini, tutti hanno la sensazione di essere stati defraudati, derubati di qualcosa che appartiene alla loro anima e ai loro beni familiari.

    D. – L’ipotesi, comunque, di una riapertura in un nuovo ente non ha tranquillizzato i giornalisti greci...

    R. – Non tranquillizza, perché queste cose quando si fanno devono essere contemporanee. L’Alitalia, ad esempio, è passata da una notte all’altra da una società all’altra; ha subito una grande ristrutturazione e ha continuato ad operare. Qui invece si è spenta la televisione pubblica, la radiotelevisione pubblica, non c’è più: è spenta; è finita. Qui si è contravvenuto anche all’accordo dell’Ebu, della European Broadcasting Union, che prevede in ogni Paese degli Stati membri un servizio pubblico e radiotelevisivo, senza interruzione.

    D. – C’è, secondo lei, la possibilità di effetto domino anche in altri Paesi in difficoltà economica?

    R. – Qualche paura c’è oggettivamente. Se passa questa idea che si possa agire sulla testa delle persone, sui propri beni civici in qualche modo, senza colpo ferire, senza rendere conto a nessuno, si vanno a scombinare le società, a prescindere dagli altri disastri che si creano.

    D. – C’è un pensiero che i colleghi greci le hanno consegnato?

    R. – Fate sentire questa voce, la voce di coloro che si occupano di beni pubblici fondamentali per la vita delle persone. E sicuramente l’informazione lo è, anche quando è organizzata con mille difetti e con i suoi servizi. Fate in modo che il nostro Paese non proceda su una strada, che è quella di una riduzione della democrazia, della nostra libertà. Aiutateci e non fateci sentire soli. Possiamo spuntarla solo se da tutto il mondo continuano ad arrivare voci così: di solidarietà e di sostegno reale.

    D. – I giornalisti stanno comunque continuando a trasmettere in streaming?

    R. – In streaming e sperano di poterlo fare ancora. Temono che da un momento all’altro qualcuno decida di staccare la corrente. E’ un segno di visibilità, un attaccamento al lavoro, un amore per la loro azienda, per il loro Paese da parte dei colleghi. Ma la cosa straordinaria su tutte, credo sia quella della partecipazione spontanea dei cittadini di questo Paese ad un’azione che è di protesta e allo stesso tempo di manifestazione di un’angoscia pubblica. La gente spontaneamente si è radunata per tutto il giorno davanti alla sede dell’Ert dando vita ad una dimostrazione con altre 50, forse 100 mila persone. Vuol dire che anche chi non sa nulla o quasi del servizio pubblico, dei suoi meccanismi e delle sue competizioni interne - diciamo così - o politiche, ha percepito che gli si stava sottraendo un pezzo d’anima, un pezzo della propria carne.

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    Sinodo della Chiesa caldea. Mons. Warduni: abbiamo bisogno di pace e riconciliazione

    ◊   Si è tenuto nei giorni scorsi a Baghdad il primo Sinodo della Chiesa caldea presieduto dal nuovo Patriarca, Sua Beatitudine Mar Louis Raphael I Sako. All’attenzione dei 14 vescovi partecipanti, molti temi tra cui la riorganizzazione amministrativa della Chiesa stessa, il rapporto con le altre appartenenze religiose, la mancanza di lavoro e di sicurezza in Iraq. Al termine dei lavori, il Patriarca ha invitato tutti gli esponenti religiosi e politici ad un ricevimento quale momento simbolico di pacificazione nazionale. Sull’esperienza vissuta durante il Sinodo sentiamo, al microfono di Adriana Masotti, mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad.

    R. - E' stato un momento felice e pieno di gioia, perché da lungo tempo non ci ritrovavamo tutti insieme, come è stato questa volta. E’ stato un momento di dialogo sincero e aperto, con tanta libertà. L’obiettivo era il bene della Chiesa e la Chiesa caldea ha veramente bisogno perché ha sofferto veramente tanto, tanto, tanto.

    D. - I vescovi caldei, tra l’altro, hanno auspicato anche la ripresa del cammino ecumenico tra tutte le Chiese presenti in Iraq. Su questo punto cosa è emerso?

    R. - Certamente è un argomento molto caro a tutti quanti. Dobbiamo essere aperti a tutti e in dialogo con tutte le Chiese e poi con le altre comunità cristiane. Noi abbiamo voluto insistere specialmente sul rapporto con la Chiesa antica, quella dell’Oriente: questo perché noi abbiamo la stessa liturgia, la stessa lingua, le stesse tradizioni. Ma è importante anche il dialogo con le altre religioni, come l’islam che rappresenta la maggioranza assoluta in Iraq. E’ questo dialogo e questa unità che noi aspettiamo, auspichiamo e cerchiamo di vivere come possiamo.

    D. - Durante i lavori del Sinodo si è parlato anche dell’emergenza lavoro e della diaspora dei cristiani iracheni. Due problemi legati, in qualche modo…

    R. - Penso che in tutto il Medio Oriente, ma in modo speciale da noi, c’è mancanza di sicurezza e poi mancanza del lavoro. Molti dicono: chi garantisce la nostra vita, la vita dei nostri figli, il loro futuro, il loro lavoro? Ciascuno di noi ha dato quindi il proprio parere, cercando di analizzare questo problema e se fosse possibile fare qualcosa, sia attraverso il nostro governo che attraverso gli altri governi, per cercare di far ritrovare la pace all’Iraq. Poi chiediamo al nostro governo di trovare un lavoro per i nostri figli.

    D. - C’è preoccupazione da parte della comunità internazionale per l’Iraq che non è ancora pacificato. So che al termine del Sinodo, il Patriarca ha invitato a un ricevimento tutti gli esponenti politici e religiosi del Paese, come simbolo di riconciliazione…

    R. - Certo: è stato alla fine del Sinodo e i capi delle comunità e delle Chiese orientali irachene erano tutti presenti. Noi diciamo a tutti quanti di pregare per la pace, come facciamo ormai da tanti anni, e invitiamo specialmente le altre nazioni a non vendere le armi: così facendo mettiamo benzina sul fuoco! Perciò dobbiamo avere una coscienza retta per poter fare il bene
    di tutti.

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    Don Colombo: sentenza Usa sul Dna umano "un grande passo per la tutela umana"

    ◊   I genetisti italiani esprimono soddisfazione dopo il "no" ai brevetti del Dna umano, deciso dalla Corte suprema degli Stati Uniti. Secondo la sentenza, è possibile brevettare materiale genetico prodotto sinteticamente, mentre non è possibile farlo con i geni estratti dal corpo umano isolando il Dna. Alessandro Guarasci ha chiesto un commento a don Roberto Colombo, docente della Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Cattolica di Milano:

    R. – La persona umana trascende il suo genoma e non è riducibile ad esso. Nessun organo, tessuto o cellula del nostro corpo può diventare oggetto di un brevetto, né può venire sfruttata commercialmente. La sentenza è un passo molto importante, di grandissimo valore etico e giuridico per la tutela dei diritti umani di fronte a talune pretese di esclusività delle aziende ed anche degli istituti di ricerca applicata alla bio-medicina, su alcune parti del patrimonio genetico di ciascun uomo e di tutta l’umanità. Con questa sentenza, non viene compromessa la possibilità di sviluppare nuovi test genetici che possono aiutare la diagnosi e suggerire terapie più promettenti per i pazienti affetti da alcune malattie, ma si intende solo sottolineare che queste prospettive diagnostiche e terapeutiche non passano attraverso la strada di una brevettabilità delle sequenze del genoma umano.

    D. – Questo, secondo lei, apre comunque anche nuove possibilità di cura?

    R. – Non si tratta di un passaggio immediato, né facile, né breve, dalla diagnosi alla terapia genetica. Di certo, la conoscenza dei difetti genetici può suggerire alcune strade per un eventuale intervento terapeutico.

    D. – Secondo lei, perché questo verdetto della Corte suprema degli Stati Uniti poi potrà avere effetti anche a livello internazionale? Perché guardare in modo particolare agli Stati Uniti?

    R. – Perché è proprio negli Stati Uniti che l’industria ha sviluppato un numero enorme di domande di brevetti – che già a partire dagli anni Duemila superavano i tre milioni di domande presentate – e proprio perché gli investimenti compiuti negli Stati Uniti sono stati enormi che occorreva fare chiarezza a proposito di che cosa è lecito fare delle sequenze conosciute e conoscibili del Dna umano, e che cosa invece deve rimanere patrimonio pubblico, di tutti, di ciascun uomo e di tutta l’umanità.

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    Convegno alla Gregoriana sui migranti: il Mediterraneo torni ad essere spazio di dialogo

    ◊   Il Mediterraneo torni ad essere, come in passato, un luogo di dialogo e non una barriera tra i popoli che abitano lungo le sue coste. È uno degli auspici emersi dal colloquio su rifugiati e migrazioni promosso, ieri, dal centro Astalli, presso la Pontificia Università Gregoriana e intitolato “Il mare unisce, la terra non divida”. Ce ne parla Davide Maggiore:

    Le storie dei migranti che attraversano il Mediterraneo interpellano ognuno di noi, ci invitano ad andare oltre l’ottica dell’emergenza e a guardare le necessità umane di chi approda sulle coste europee. La dignità fondamentale di queste persone, infatti, viene spesso negata, come ha ricordato di recente anche Papa Francesco, definendo la tratta degli esseri umani “la schiavitù più estesa” del ventunesimo secolo. Ascoltiamo sul tema il ministro italiano dell’integrazione, Cécile Kyenge:

    “Per quanto riguarda la tratta, attraverso la società civile, attraverso il contributo di ogni persona, bisogna cercare di includere le persone, di dare la possibilità ad ognuna di loro di cominciare un percorso di integrazione. La cosa che non va mai dimenticata è la speranza. Molte volte una persona che arriva sul territorio ha perso la speranza: è alla ricerca di un modo di vivere, di una nuova convivenza, ha bisogno di aiuto e difficilmente riesce ad esprimerlo. E quando non riesce ad esprimerlo, per la disperazione, finisce tante volte nelle mani sbagliate. Noi dobbiamo riuscire a dare la speranza alle persone”.

    In questo contesto, i cristiani, “devono essere promotori di una vera e propria cultura dell’accoglienza” come spiega padre Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso:

    “L’accoglienza è essenziale, perché attraverso di essa noi possiamo manifestare il rispetto della comune natura umana, il senso della fraternità e anche l’esigenza della solidarietà. Questo mi fa ricordare Papa Paolo VI, quando disse che la mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli è causa profonda di sottosviluppo”.

    Nell’elaborare “una cultura che permetta a tutti di vivere nella cordialità e nella sicurezza”, ha notato ancora padre Ayuso, può giocare un ruolo fondamentale un dialogo interreligioso che coinvolga i migranti:

    “Il dialogo tra credenti è essenziale ed è compito di ogni cristiano. Attraverso il dialogo, si possono aiutare queste persone ad inserirsi nel tessuto sociale e culturale del Paese che li ospita, accettandone ovviamente le leggi civili. Il dialogo, però, deve essere un dialogo sincero, nel quale si evitino ogni tipo di fraintendimento e confusione”.

    Il dialogo, prosegue padre Ayuso:

    “… deve essere centrato su quei valori comuni, che ci uniscono, cercando, a partire dalle nostre differenze religiose, di mettere al centro l’essere umano fatto ad immagine e somiglianza di Dio, perché tutti portiamo in noi l’alito vitale di Dio. Ogni vita umana – come ci dice la Bibbia – sta sotto la particolare protezione di Dio. Questa è la ragione più profonda dell’inviolabilità della dignità umana contro ogni tentazione di valutare la persona secondo altri criteri”.

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    Giornata del donatore di sangue: l'impegno dell'Ospedale "Bambino Gesù"

    ◊   Questa mattina, in occasione della Giornata Mondiale del Donatore di Sangue, il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha visitato l’Ospedale Bambino Gesù, presso la sede del Gianicolo. Il ministro ha incontrato alcuni piccoli pazienti ricoverati al Mita, il Modulo Interdisciplinare di Terapie Avanzate del Dipartimento di Onco-ematologia pediatrica. I bambini con patologie oncologiche o sottoposti a interventi cardiochirurgici sono, infatti, tra i principali beneficiari delle trasfusioni di sangue effettuate al "Bambino Gesù". Il servizio di Elisa Sartarelli:

    L’Ospedale Bambino Gesù è il principale centro di raccolta di sangue nel Lazio: oltre 16mila sacche di sangue sono state raccolte nel 2012 da circa 15 mila donatori. 10 mila sacche hanno coperto il fabbisogno interno dell’ospedale, mentre le restanti 6 mila sono servite per le emergenze della regione Lazio. L’obiettivo per il 2013 è di superare le 20 mila unità. Così il ministro Beatrice Lorenzin ha commentato la visita all’Ospedale Bambino Gesù:

    "E’ stata sicuramente molto costruttiva ed importante perché questo ospedale – come è risaputo - è un’eccellenza assoluta in Italia per il trattamento delle malattie rare e delle malattie rare che colpiscono i bambini. È un’eccellenza nei trapianti e, in una giornata come questa in cui si ricorda la donazione del sangue, è assolutamente importante. Ricordiamo: 1700 donatori in Italia, gratuiti, che fanno un servizio incredibile che io mi sento di ringraziare e continuare a sollecitare. Abbiamo quasi raggiunto l’autosufficienza e grazie a queste donazioni si possono salvare tanti bambini e tante vite umane".

    I bambini della Ludoteca hanno realizzato alcuni disegni che il presidente dell’Ospedale Giuseppe Profiti ha donato al ministro. Nel disegno di una bambina si legge: “Il tuo sangue può far fiorire altre vite: donalo!”. Donare il sangue è un gesto che va incoraggiato soprattutto nei giovani” ha affermato Sergio Rutella, responsabile del Servizio Immunotrasfusionale dell’ospedale.

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    Un anno fa la morte di Chiara Corbella, in migliaia al Santuario del Divino Amore

    ◊   “Chiara è tutti noi”: così don Fabio Rosini, direttore del servizio vocazioni della diocesi di Roma, ha ricordato ad un anno dalla sua scomparsa la giovane mamma romana di 28 anni, nel corso della Messa, ieri, nel Santuario del Divino Amore. Migliaia di persone hanno preso parte alla celebrazione ed hanno ricordato Chiara Corbella nel suo sorriso gioioso. Tra i presenti anche il marito Enrico ed il figlio Francesco di due anni, nato poco dopo la scoperta della malattia di Chiara e la sua decisione di sospendere le cure. Si trattava della terza gravidanza: Maria Grazia Letizia e Davide Giovanni erano, infatti, morti poco dopo la nascita a causa di gravi malformazioni. Benedetta Capelli ha intervistato il marito Enrico Petrillo:

    R. – Per me è stata una giornata felice, una bella giornata. I giorni precedenti sono stati più tristi. Ieri, poi, è arrivata la grazia ed è stata una bella giornata, nel vedere i tanti frutti di questo albero, ancora tanto piccolo forse. Siamo, infatti, probabilmente, solo all’inizio. Non so davvero cosa pensare. Vedo tanti frutti e questo mi riempie il cuore di gioia. Sono venute tante persone dal Nord e da tutta Italia: hanno preso treni, pullman… Questo mi commuove tanto.

    D. – E cosa ti dicono di Chiara? Cosa ti raccontano? Perché si sono sentiti così spinti a venire a questa celebrazione?

    R. – Credo che quello che li spinga – secondo la mia opinione – sia il fatto che si sentano tanto amati. Nella mia storia, Chiara ed io abbiamo accolto i bimbi che Dio ci donava e, forse, anche loro si sentono accolti da noi. Sicuramente poi il sorriso di Chiara e la gioia che ti trasmette… Riflettevamo sul fatto che fosse necessario che Chiara morisse per darci la testimonianza che si può morire felici. Certe cose si sanno, ma se si ha un esempio vivo, di qualcuno che c’è passato, allora forse questo rende la vita più facile. E forse anche questo è il messaggio che non può non toccarti.

    D. – Don Fabio Rosini ha detto nella sua omelia che Chiara è di tutti…

    R. – Chiara è di tutti anche per me. Ci sono delle cose che sono mie e che mi tengo mie. Il messaggio di Chiara, però, è talmente bello anche per me… La cosa bella è lavorare nella vigna del Signore e, quindi, tu non sei geloso quando vedi gli altri fratelli che vengono toccati, come lo sei stato tu prima, dal Signore. Sei contento, quindi io sono contento.

    D. – Un anno in cui Chiara non è più al tuo fianco. Che anno è stato? Un anno importante pure per tuo figlio Francesco?

    R. – Sì, Francesco ha avuto momenti tanto difficili, fra la fatica del cambiamento di casa e un malessere di fondo, cui lui, per la sua età, non era in grado di dare alcuna spiegazione. Tante le notti completamente in bianco. E’ stata una fatica disumana per me, sia nel metabolizzare ciò che era successo a Chiara sia nel vivere la quotidianità: il lavoro e la gestione di Francesco. Insomma, è stato un anno difficile. Nello stesso tempo, però, non posso negare che sia stato anche bello, con tante grazie. E’ stato un anno pieno, come spero lo sarà tutta la vita.

    D. – Ancora nella sua omelia don Fabio Rosini ha aggiunto: “Lei ci ha insegnato a vivere secondo il segreto del dolore”…

    R. – Sicuramente c’è un mistero grande nel dolore e solo se lo provi e se lo vivi con il Signore prende un significato, prende senso. Quello che abbiamo scoperto è che se il dolore lo vivi con Cristo e, in un certo senso, ti fai simile a Lui, il tuo dolore si trasforma in perfetta letizia. Di fondo, questa è la pace che non ci ha mai abbandonato in questi anni e che, se vuoi, continua ad essere viva nel mio cuore, per grazia non per merito, ma per grazia! Credo che sia un grande miracolo.

    D. – Qual è stata la cosa che più ti ha colpito e che porterai dentro di te della giornata di ieri?

    R. – Ieri abbiamo proiettato un video, che abbiamo fatto vedere, nel momento delle testimonianza. Abbiamo, però, aggiunto una parte finale, dove c’erano Francesco e Chiara. Era il 5 giugno, una settimana prima che Chiara andasse da Gesù. Eravamo al mare, a Santa Severa, al castello. Chiara, in spiaggia, cantava a Francesco: “La nostra festa non deve finire, non deve finire e non finirà”. Ci siamo salutati praticamente con quel video di Chiara che, credo, abbia spaccato i cuori di tutti.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Colombia: la Chiesa chiede rispetto dei diritti del cittadino in vista della riforma sanitaria

    ◊   Il cardinale colombiano, Ruben Salazar Gomez, ha rivolto un pressante appello alle autorità del governo e al Congresso del suo Paese perché la riforma sanitaria attualmente in discussione sia effettuata in modo dignitoso, completo e trasparente, al fine di portare cambiamenti reali a beneficio della comunità. "La salute – ha affermato il porporato in un comunicato inviato all’agenzia Fides – è considerata come una questione economica, l’unico criterio preso in considerazione è il guadagno. Si è perso completamente il senso che essa è un diritto della persona che dovrebbe essere curato e tutelato dallo Stato". Nel documento, si denuncia che gli interessi economici privati e la corruzione sono diventati un "cancro" nel sistema sanitario. Il cardinale auspica che nella riforma del sistema sanitario prevalga "un profondo cambiamento etico per mettere al di sopra di qualsiasi interesse il bene della persona umana, in modo preferenziale i più poveri". In Colombia, il servizio sanitario è in gran parte in mano a privati e renderlo completamente a carico dello Stato risulta difficilmente possibile. È in discussione un sistema misto, pubblico-privato, che prenda in considerazione le possibilità economiche di ogni cittadino. Nel frattempo, sono i più poveri a pagare le forti limitazioni dell’attuale sistema. (E. B.)

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    Appello dei vescovi irlandesi per il G8: la solidarietà sia principio-guida dell’incontro

    ◊   “Il valore della solidarietà sia il principio guida nelle decisioni che i leader mondiali saranno chiamati a prendere”: è quanto la Chiesa cattolica di Dublino chiede al G8, in programma a Enniskillen, in Irlanda del Nord, il 17 e 18 giugno. Nel comunicato diffuso al termine del loro incontro generale estivo, i presuli irlandesi ribadiscono come “per contrastare la diffusa sofferenza causata dalla povertà, dalla disuguaglianza e dall'esclusione sociale, la solidarietà è necessaria per ricostruire la fiducia, ripristinare i rapporti e dare speranza per una vera crescita”. I vescovi, si legge ancora nel documento, “uniscono la loro voce a quanti chiedono maggiore trasparenza in materia di finanza e fiscalità e ribadiscono che la tutela dei diritti dei più poveri e dei più vulnerabili non è solo una questione di carità, ma è soprattutto una questione di giustizia”. Non solo: nel documento finale, i presuli ricordano anche le azioni portate avanti da Trócaire, l'agenzia di sviluppo all'estero della Conferenza episcopale irlandese, e la campagna “If” promossa da gruppo di Chiese ed associazioni per chiedere al G8 “una distribuzione più giusta ed equa delle risorse”. “Preghiamo - esorta il documento - perché il prossimo vertice del G8 sia un’esperienza proficua e produttiva, che avvicina alla pace e alla prosperità in tutto il mondo”. Altro punto affrontato dall’incontro episcopale è stato quello del conflitto in Siria: invitando tutti i fedeli a “pregare per la pace” nel Paese, la Chiesa irlandese esorta “la comunità internazionale ad assicurare il ritorno della pace in Siria, evitando ulteriore spargimento di sangue di persone innocenti e la crescente destabilizzazione della regione”. Tra gli altri argomenti all’ordine del giorno, anche l’imminente Giornata mondiale della Gioventù, in programma Rio de Janeiro dal 23 al 28 luglio, ed alla quale parteciperanno 165 pellegrini irlandesi. Per coloro che non potranno recarsi in Brasile, i vescovi di Dublino stanno comunque organizzando incontri ed eventi speciali a livello diocesano. Centrale, poi, l’appello alla difesa della vita, ribadito dai presuli anche in vista della Giornata dell’Evangelium Vitae – l’Enciclica siglata da Giovanni Paolo II nel 1995 - in programma sabato 15 e domenica 16 giugno in Piazza San Pietro, alla presenza di Papa Francesco. Infine, i vescovi irlandesi hanno annunciato, per il prossimo 28 settembre, una conferenza sul tema “Il matrimonio nel cuore della Chiesa”. L’evento, che si terrà a Maynooth, si pone l’obiettivo di esplorare la visione del matrimonio e della famiglia nella teologia e nella spiritualità cattolica attuale. (I.P.)

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    Consiglio delle istituzioni religiose di Terra Santa condanna dissacrazione del cimitero di Jaffa

    ◊   Alcune tombe del cimitero cristiano ortodosso di Jaffa sono state danneggiate con scritte intimidatorie tracciate in ebraico, probabilmente nella notte tra mercoledì 12 e giovedì 13 giugno. Anche cinque automobili parcheggiate nei paraggi del cimitero hanno subito danneggiamenti. I vandali – secondo quanto riporta l’agenzia Fides – hanno tracciato sulle lapidi funerarie di diverse tombe le scritte “vendetta” e “il prezzo da pagare”, formula con cui dai primi mesi del 2012 vengono “firmate” le azioni vandaliche ai danni di luoghi di culto cristiani e musulmani perpetrate da gruppi di coloni estremisti come ritorsione davanti allo smantellamento di insediamenti ebraici illegali. In un comunicato, il Consiglio delle Istituzioni religiose della Terra Santa – che comprende il Gran Rabbinato d'Israele e il Ministero dell'Autorità palestinese per gli Affari religiosi, oltre a rappresentanti e leader delle diverse comunità religiose – ha espresso indignazione per l'attacco al cimitero. Proprio mercoledì scorso, il funzionario di polizia, Galit Ziv, aveva riferito davanti a una commissione parlamentare che nel 2012 sono state arrestate 200 persone a partire dalle inchieste aperte sugli atti vandalici firmati “il prezzo da pagare”. La polizia – ha detto la Ziv – tratta le azioni intimidatorie attribuite a gruppi estremisti di coloni come “crimini nazionalistici” ideologicamente motivati. (E. B.)

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    Etiopia: ratificato il Trattato dei Paesi del bacino del Nilo

    ◊   Il governo di Addis Abeba ha ratificato il Trattato dei Paesi del bacino del Nilo, che contesta il diritto di veto dell’Egitto e del Sudan su tutti i progetti relativi alle acque del Nilo. La notizia è riportata dall’Agenzia Misna e secondo alcuni osservatori è destinata ad alimentare le crescenti tensioni tra Il Cairo e Addis Abeba sul progetto della "Diga del Rinascimento", un colosso idroelettrico per cui l’Etiopia ha disposto e avviato i lavori di modifica del corso del Nilo Azzurro. L’accordo quadro di cooperazione firmato nel 2010 da sei dei dieci membri dell’Iniziativa del Bacino del Nilo – che riunisce i Paesi rivieraschi sulle sponde del fiume – prevede una revisione in senso più equo sullo sfruttamento delle acque del Nilo. Il Trattato – che riunisce inoltre Burundi, Kenya, Rwanda, Tanzania e Uganda – prevede l’abolizione di accordi di epoca coloniale tutt’ora in vigore, che permettono a Egitto e Sudan lo sfruttamento di circa il 90% delle acque del più grande fiume d’Africa. L’approvazione del Trattato da parte del parlamento di Addis Abeba introduce, di fatto, l’accordo nel diritto nazionale. La ratifica, sottolinea la stampa egiziana, avviene in un momento in cui le tensioni con il Cairo – che teme che i lavori sul versante etiopico del Nilo azzurro possano ridurre la portata d’acqua del fiume vitale per l’economia – sono alle stelle. Nei giorni scorsi, il presidente egiziano, Mohammed Morsi, aveva dichiarato che “tutte le opzioni sono al vaglio” e che l’Egitto “non ammetterà la perdita di una sola goccia della sua acqua”. Secondo l’Istituto egiziano di programmazione nazionale, l’Egitto avrà bisogno entro il 2050 di 21 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno in più, rispetto ai 55 milioni che attualmente rispondono al fabbisogno nazionale. (E. B.)

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    Bangladesh: per i sindacati del tessile le nuove tutele per i lavoratori sono inadeguate

    ◊   In Bangladesh i sindacati bocciano le modifiche alla legge che regolamenta l’impiego nelle fabbriche di abbigliamento. Le associazioni dei lavoratori – riferisce l’agenzia Misna – le considerano inadeguate a migliorare condizioni di lavoro e benefici economici. Gli emendamenti in discussione sono stati sollecitati dal disastro di aprile a Dhaka, in cui, per il crollo di un edificio in parte occupato da aziende del settore, sono morti 1.129 lavoratori. L’incidente è stato il peggiore del genere nella storia del Bangladesh, la cui economia è fortemente dipendente dall’industria tessile che introduce nel Paese molta valuta straniera. Un’industria che conta tre milioni di addetti, ma in cui i lavoratori hanno avuto finora poche tutele, a partire da quelle sindacali, dato che la nascita di rappresentanze dei lavoratori non soltanto è ostacolata dal governo, ma anche sottoposta al veto dei proprietari delle manifatture. Una situazione che sembrava andare verso una liberalizzazione, ma che negli emendamenti in discussione alla legge prefigurava la nascita di comitati di partecipazione guidati dai datori di lavoro. Un provvedimento definito “vergognoso” dal leader sindacale, Wajedul Islam. “Come sindacati nazionali del settore – ha specificato – abbiamo chiesto al governo e al parlamento di procedere con le modifiche necessarie per portare le leggi sul lavoro al livello internazionale”. Sotto accusa anche il doppio standard di trattamento nei confronti dei lavoratori del tessile, dell’abbigliamento e degli accessori, con la distinzione tra chi è impiegato in aziende che producono per il mercato interno e quelle la cui produzione è destinata all’esportazione. (E. B.)

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    I salesiani celebrano 50 anni di presenza a Taiwan

    ◊   La Famiglia Salesiana di Taiwan celebra 50 anni di presenza nel Paese. Tutta la comunità locale ha partecipato ad un ricco programma di festeggiamenti per commemorare l’arrivo dei primi salesiani nel Paese, avvenuto mezzo secolo fa, esattamente il 7-8 giugno 1963. Le celebrazioni - riferisce l’agenzia salesiana Ans - hanno riguardato in particolare l’unico salesiano pioniere superstite, l’86enne don John Ma Yeong Ding, che era anche il capo spedizione dei cinque salesiani che avviarono la prima comunità sull’isola, nella città di Tainan. La Famiglia Salesiana locale ha organizzato vari appuntamenti durante tutto il 2013 per celebrare il 50.mo anniversario di presenza salesiana. L’inizio dei festeggiamenti si è avuto nel gennaio scorso, in occasione della festa di Don Bosco, a Taipei. (A.G.)

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    Canada: l’Organizzazione cattolica per la vita respinge il progetto di legge sull’eutanasia

    ◊   “Non dobbiamo dare a nessuno, meno che mai ai medici, il potere di uccidere”: è un incipit molto chiaro quello usato dall’Organizzazione cattolica per la vita e la famiglia del Canada (Colf) in una dichiarazione ufficiale in cui respinge il progetto di legge, attualmente in esame in Québec, a favore dell’eutanasia. Due, in particolare, i punti sottolineati dalla Colf: il progetto di legge tenta di “camuffare l’eutanasia come la formula ‘aiuto medico a morire’". Ma l’aiuto medico a morire, continua la nota, "non è altro che eutanasia" e, nel Codice penale del Canada, essa è “definita un delitto”, perché “non c’è nulla di umano o di compassionevole nell’uccidere un’altra persona”. Al contrario, l’Organizzazione insiste sull’importanza delle cure palliative: “Per i malati terminali, l'unica risposta umana alla sofferenza fisica, psicologica ed esistenziale è quella delle cure palliative, che non dovrebbero mai includere l'eutanasia”. Al secondo punto, il documento sottolinea che “nei Paesi in cui l’eutanasia è stata legalizzata, si è assistito ad una crescente perdita di valore della vita umana e, in nome dell’efficienza, persone particolarmente vulnerabili sono state incoraggiate a chiedere aiuto per morire”. Di qui, l’esortazione della Colf a tutelare e proteggere le persone più deboli, poiché si tratta di “dignità, compassione e solidarietà”, con l’obiettivo di salvaguardare “la fiducia reciproca, fondamento delle relazioni interpersonali autentiche”. Infine, ribadendo la necessità di evitare “l’accanimento terapeutico”, l’Organizzazione per la vita esorta i cristiani a ricordare gli insegnamenti evangelici sul non uccidere e sulla sacralità della vita umana. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 165

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