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Sommario del 13/06/2013
Il Papa alla Segreteria del Sinodo: porterò a termine l'Enciclica iniziata da Benedetto XVI
◊ Per la nuova evangelizzazione “occorre lasciarci condurre” dallo Spirito Santo “anche se ci porta su strade nuove”. E’ l’esortazione che Papa Francesco rivolge, stamani, nel discorso consegnato ai 25 membri del XIII Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi. Il Papa li ha ricevuti in udienza nella Sala del Concistoro, in Vaticano, e li ha ringraziati per l’elaborazione di quanto emerso nella XIII Assemblea Generale Ordinaria che, tenutasi in ottobre, ha avuto come tema: “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede”. Poi il Papa ha risposto ad alcune domande dei presenti sui possibili temi di un prossimo Sinodo e ha annunciando che porterà a termine una nuova Enciclica. Il servizio di Debora Donnini:
La nuova evangelizzazione: il tema che è stato al centro dell’ultimo Sinodo dei vescovi tenutosi lo scorso ottobre ritorna nel discorso che Papa Francesco ha consegnato ai presenti. “La trasmissione della fede cristiana è lo scopo della nuova evangelizzazione e dell’intera opera evangelizzatrice della Chiesa, che - sottolinea il Papa - esiste proprio per questo”. “L’espressione 'nuova evangelizzazione', poi, mette in luce la consapevolezza sempre più chiara che - prosegue il Papa - anche nei Paesi di antica tradizione cristiana si rende necessario un rinnovato annuncio del Vangelo, per ricondurre ad un incontro con Cristo che trasformi veramente la vita e non sia superficiale, segnato dalla routine”. Papa Francesco, dunque, incoraggia “l’intera comunità ecclesiale ad essere evangelizzatrice, a non aver paura di ‘uscire’ da sé per annunciare, confidando soprattutto nella presenza misericordiosa di Dio che ci guida”.
Il Papa rileva che “le tecniche sono certo importanti, ma neppure le più perfette potrebbero sostituire l’azione discreta ma efficace" dello Spirito Santo. Occorre, dunque, lasciarsi condurre da Lui anche se ci porta su strade nuove; “occorre - prosegue - lasciarsi trasformare da Lui perché il nostro annuncio avvenga con la parola sempre accompagnata da semplicità di vita, da spirito di preghiera, da carità verso tutti, specialmente i piccoli e i poveri, da umiltà e distacco da sé, da santità di vita. Solo così sarà veramente fecondo!”. Il discorso di Papa Francesco si concentra poi sul Sinodo dei Vescovi che, ricorda, è stato “uno dei frutti del Concilio Vaticano II”. E in questi 50 anni si sono potuti sperimentare i benefici di questa istituzione che in modo permanente è posta “al servizio della missione della Chiesa” “come espressione della sua collegialità”. Il Papa lo testimonia anche a partire dalla sua esperienza personale: per aver partecipato a diverse Assemblee sinodali.
Papa Francesco ha dunque consegnato il discorso e poi ci sono state alcune domande dei presenti a cui ha risposto. All’inizio ha annunciato che porterà a termine l’Enciclica che era stata iniziata dal Papa emerito Benedetto XVI. Il Pontefice ha spiegato poi che sull’Esortazione post-sinodale prevede di lavorare riprendendo tutto il Sinodo sulla nuova evangelizzazione che si è tenuto ad ottobre dello scorso anno, ma “in una cornice più larga” che è quella “dell’evangelizzazione in genere”. Il Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi riunito in questi giorni ha riflettuto anche sui temi della prossima Assemblea Generale Ordinaria. Anche sui temi suggeriti ha risposto Papa Francesco. Anzitutto, nel 2015 sono 50 anni dalla Gaudium et Spes da cui si possono prendere temi che riguardano “i rapporti Chiesa-mondo”, la dignità umana, la famiglia, la tecnologia... Il Papa ha rilevato in particolare la serietà dei problemi della famiglia, del fatto che oggi tante persone non si sposano, convivono e il matrimonio diventa “provvisorio”. Ha anche parlato della questione dell’ecologia, in particolare in rapporto alla “ecologia umana”. Sul piano antropologico Papa Francesco evidenzia la problematica della laicità diventata laicismo, della secolarizzazione praticamente. Infine, ha toccato il tema della sinodalità e del suo rapporto con il ministero petrino, intorno a cui ruotano molte attese. Il Papa ha concluso la conversazione con un rinnovato ringraziamento e incoraggiamento all’impegno per rispondere alle nuove sfide.
Il Papa riceve il primo ministro della Slovenia: ribadita l'importanza della libertà religiosa
◊ Papa Francesco ha ricevuto, stamani, in udienza il presidente del governo della Repubblica di Slovenia, Alenka Bratušek. Nel colloquio, informa una nota della Sala Stampa vaticana, “si sono rilevati i buoni rapporti esistenti tra la Santa Sede e la Repubblica di Slovenia ed è stata confermata la comune volontà di proseguire un dialogo costruttivo sui temi bilaterali attinenti alle relazioni tra la comunità ecclesiale e quella civile, con particolare riferimento al contributo storico della Chiesa cattolica nella vita del Paese e all’importanza che la tutela della libertà religiosa riveste oggi per uno sviluppo armonioso della società slovena”. Nel prosieguo del colloquio, si legge ancora nella nota, “ci si è soffermati sulle sfide che il Paese deve affrontare nell’attuale crisi economica e sull’aiuto che la comunità cattolica, in collaborazione con le istituzioni statali, può fornire per il sostegno sociale della popolazione e per l’educazione dei giovani”. Infine, “sono state brevemente passate in rassegna alcune sfide e problematiche di carattere internazionale”.
Il Papa: no alla denigrazione dell’altro, seguiamo la Legge della mitezza
◊ Il Signore ci conceda la grazia di fare attenzione ai commenti che facciamo sugli altri: è quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha pronunciato la sua omelia in spagnolo, essendo presente alla celebrazione il personale delle ambasciate e dei consolati dell’Argentina in Italia e presso la Fao. Era “dal 26 febbraio che non celebravo la Messa in spagnolo”, ha confidato il Papa, “mi ha fatto molto bene” ed ha ringraziato i partecipanti alla Messa per quello che fanno per la Patria. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“La vostra giustizia sia superiore a quella dei farisei”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dall’esortazione rivolta da Gesù ai suoi discepoli. Parole che vengono dopo le Beatitudini e dopo che Gesù ha sottolineato che Lui non viene per dissolvere la Legge, ma per portarla a compimento. La sua, ha osservato, “è una riforma senza rottura, una riforma nella continuità: dal seme fino ad arrivare al frutto”. Colui che “entra nella vita cristiana”, ha poi avvertito, “ha esigenze superiori a quelle degli altri”, “non ha vantaggi superiori”. E Gesù menziona alcune di queste esigenze e tocca in particolare “il tema del rapporto negativo con i fratelli”. Colui che maledice, afferma Gesù, “merita l’inferno”. Se nel proprio cuore c’è “qualcosa di negativo” verso il fratello, ha commentato il Papa, “c’è qualcosa che non funziona e ti devi convertire, devi cambiare”. Ed ha soggiunto che “l’arrabbiatura è un insulto contro il fratello, è già qualcosa che si dà nella linea della morte”, “lo uccide”. Ha quindi osservato che, specie nella tradizione latina, c’è come una “creatività meravigliosa” nell’inventare epiteti. Ma, ha ammonito, “quando questo epiteto è amichevole va bene, il problema è quando c’è l’altro epiteto”, quando c’è “il meccanismo dell’insulto”, “una forma di denigrazione dell’altro”.
“Y no hace falta ir al psicologo...”
“E non c’è bisogno di andare dallo psicologo – ha detto il Papa - per sapere che quando uno denigra l’altro è perché lui stesso non può crescere e ha bisogno che l’altro sia abbassato, per sentirsi un qualcuno”. E’ questo è “un meccanismo brutto”. Gesù, ha evidenziato, “con tutta la semplicità dice”: “Non parlate male l’uno dell’altro. Non denigratevi. Non squalificatevi”. E ciò, ha proseguito, “perché in fondo tutti stiamo camminando sulla stessa strada”, “tutti andiamo su quella strada che ci porterà alla fine”. Quindi, è stata la sua riflessione, “se la cosa non va per una strada fraterna, tutti finiremo male: quello che insulta e l’insultato”. Il Papa ha poi osservato che “se uno non è capace di dominare la lingua, si perde”, e del resto “l’aggressività naturale, quella che ha avuto Caino con Abele, si ripete nell’arco della storia”. Non è che siamo cattivi, ha affermato il Papa, “siamo deboli e peccatori”. Ecco perché è “molto più semplice”, “sistemare una situazione con un insulto, con una calunnia, con una diffamazione che sistemarla con le buone”.
“Yo quisiera pedir al Señor que...”
“Io - ha detto Papa Francesco - vorrei chiedere al Signore che ci dia a tutti la grazia di fare attenzione maggiormente alla lingua, riguardo a quello che diciamo degli altri”. E’ “una piccola penitenza – ha aggiunto - ma dà buoni frutti”. “Delle volte – ha constatato - uno rimane affamato” e pensa: “Che peccato che non ho gustato il frutto di un commento delizioso contro l’altro”. Ma, ha detto, “alla lunga quella fame fruttifica e ci fa bene”. Ecco perché dobbiamo chiedere al Signore questa grazia: adeguare la nostra vita “a questa nuova Legge, che è la Legge della mitezza, la Legge dell’amore, la Legge della pace, e almeno ‘potare’ un po’ la nostra lingua, ‘potare’ un poco i commenti che facciamo verso gli altri o le esplosioni che ci portano all’insulto o alle arrabbiature facili. Che il Signore ci conceda a tutti questa grazia!”. “Vorrei ringraziare il Signore - ha concluso il Papa - anche per la felice coincidenza che l’arcivescovo maggiore degli ucraini”, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, che fu già ausiliare dell'Eparchia di Santa Maria del Patrocinio en Buenos Aires degli Ucraini, “sia a Roma per il Sinodo”. Così, ha detto il Papa, “ha potuto partecipare con noi a questa nostalgia argentina”.
◊ Ricorrono oggi tre mesi dall’elezione di Papa Francesco, il 13 marzo scorso. Tre mesi vissuti con grande intensità dal nuovo Pontefice all'insegna della dimensione del vescovo che cammina assieme al suo popolo. Per una riflessione su questi primi tre mesi di Papa Francesco, Alessandro Gisotti ha intervistato la giornalista Stefania Falasca, legata a Jorge Mario Bergoglio da un'amicizia di lunga data:
R. – La prima impressione che ho, a tre mesi, è che è come se ci fossimo instradati, fossimo già entrati su una strada dalla quale non si può tornare indietro. Anche lo stesso Papa Francesco ha detto che "tornare indietro" è una tentazione. Quindi, in questi tre mesi, se devo dire qualcosa, è proprio questo: nei suoi gesti, nelle sue parole ripetute, innanzitutto ha tenuto fede al nome da lui assunto, che è così simbolico per la storia della Chiesa, e che è legato appunto alla riforma di vita e ad un cristianesimo vissuto e testimoniato con profonda autenticità. A questo, aggiungo ciò che mi colpisce: lo si vede sempre muoversi con sicurezza e tranquillità, con le quali – con coraggio – sa affrontare temi anche molto spinosi, come ha fatto anche con i forti pronunciamenti in merito alla ricchezza, sia della Chiesa ma anche in generale per quello che concerne i problemi del mondo. Sta dando anche un bell’esempio di vera prudenza cristiana, che è la virtù propria di chi governa. Perché dico questo? Perché contrariamente a quanto qualcuno crede, la prudenza spinge all’azione, la prudenza è una virtù dinamica, diceva San Tommaso …
D. – Già si delinea in modo netto qual è l’idea della Chiesa che ha Papa Francesco …
R. – Papa Bergoglio ha dato un’immagine di ciò che è Chiesa: di ciò che è Chiesa e di ciò che non lo è. Non è Chiesa quella impregnata di spirito mondano e che perciò vive in sé, da sé e per sé, che crede di avere luce propria e quindi autoreferenziale. E’ Chiesa, invece, quella che splende non di luce propria ma di quella di Cristo, e ha preso un’immagine bellissima ricorrendo al paragone che facevano i Padri della Chiesa con la luna: la luna non brilla di luce propria, ma riflette quella del sole. Così è la Chiesa. E questa percezione della Chiesa è quella che si esprime con il Concilio Vaticano II. Io credo che in questo orizzonte siano i possibili i cambiamenti e le riforme che servono per la salvezza delle anime. Diciamo, l’urgenza avvertita è quella di rimanere dentro a questa immagine della Chiesa: questa è la prospettiva. Per cui già siamo immersi dentro l’agire, dentro le parole, dentro i gesti di Papa Francesco.
D. – La testimonianza di vita di Papa Francesco sta già generando molti frutti. Quali quelli che saranno più duraturi?
R. – Sono proprio quelli legati a ciò che serve per la salvezza delle anime. Papa Bergoglio ci sta portando ed accompagnando, giorno per giorno, dentro questo orizzonte, dentro ad un’esperienza vissuta del Vangelo, quotidiana, feriale, che sia di compagnia nella vita degli uomini. E io credo che sia questa la prospettiva che terrà, che sarà più duratura. Lo diceva anche Congar: quello che resta, anche delle riforme riuscite, nella Chiesa, sono sempre quelle che si sono fatte in funzione dei bisogni concreti delle anime.
Nomine episcopali di Papa Francesco
◊ Negli Usa, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Pueblo, presentata da S.E. Mons. Fernando Isern, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.
In Colombia, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Jericó, presentata da S.E. Mons. José Roberto López Londoño, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato nuovo vescovo di Jericó il rev.do padre Noel Antonio Londoño Buitrago, C.SS.R., finora Coordinatore della Conferenza Redentorista dell’America Latina.
In India, Il Santo Padre ha nominato Vescovo della diocesi di Eluru il Rev.do Jaya Rao Polimera, del clero di Warangal, Direttore del Centro diocesano per i giovani.
In India, Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Jullundur S.E. Mons. Franco Mulakkal, finora Vescovo titolare di Cullu ed Ausiliare di Delhi.
Regno Unito. Il card. Tauran: la compassione valore condiviso da cristianesimo ed induismo
◊ “L’induismo ed il cristianesimo hanno un tesoro di valori condivisi tra i quali la compassione può essere uno dei più importanti”: è quanto ha detto il card. Jean-Louis Tauran, visitando stamani il primo tempio tradizionale Hindu d’Europa, il Baps Shri Swaminarayan Mandir che sorge a Neasden, a nord di Londra. Da ieri, e fino a domenica prossima, infatti, il presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso si trova nel Regno Unito in visita ufficiale con l’obiettivo di “affermare e rafforzare le buone relazioni interreligiose in questo Paese” e “dimostrare che l’amicizia tra le religioni è di per sé un presupposto per la costruzione della pace”, come disse Benedetto XVI nel suo discorso alla Curia del Natale 2012. In particolare, l’incontro di stamani si è concentrato sul tema “Cattolici e hindu: la pratica della compassione come contributo alla pace”. “In un momento di crisi sociale ed economica come quello che stiamo attualmente vivendo – ha ribadito il card. Tauran – pensare al concetto di compassione ha una rinnovata importanza”, perché bisogna “riscoprire la rilevanza della compassione nella vita personale e collettiva come mezzo per la conservazione e la promozione della pace”. Quindi, il porporato ha ricordato che “la compassione, quando si trasforma in un interessamento attivo per la sofferenza degli altri, potrebbe essere definita misericordia”, ovvero “l'idea più rappresentativa della percezione cristiana”, tanto da essere spesso richiamata da Papa Francesco nei suoi discorsi. Nelle parole del presidente del dicastero vaticano, poi, non è mancato un ricordo del Mahatma Gandhi: “La compassione – ha detto – trova la sua naturale espressione nella pratica della non-violenza, da cui Ghandi ha tratto ispirazione per la sua vita”. Tuttavia, ha aggiunto il card. Tauran, “la pace può significare qualcosa di più della pratica della non violenza; in ogni caso, si può giustamente dire che la pratica della non-violenza che si fonda su un vero e proprio senso di compassione, è un potente mezzo per garantire la pace nel nostro mondo così conflittuale”. Infine, il porporato ha messo in risalto come il dialogo interreligioso debba servire alla conoscenza ed al rispetto reciproco delle diverse tradizioni religiose, così da “creare per tutti le condizioni di vivere in pace e in libertà”. Dopo l’incontro di stamani, nel tardo pomeriggio di oggi il card. Tauran interverrà ad un evento interreligioso nella Westeminster Cathedral Hall, alla presenza – tra gli altri – del Nunzio apostolico nel Regno Unito, l’arcivescovo Antonio Mennini. (A cura di Isabella Piro)
◊ “Voi rappresentate la molteplicità delle genti di cui parlano gli Atti degli Apostoli nel giorno di Pentecoste. A tutti voi porto il saluto e la benedizione di Papa Francesco, chi mi ha assicurato che è vicino a tutti voi con speciale affetto e stima”, ha detto il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, nell’omelia della Messa celebrata ieri, nella chiesa dedicata a St. Joseph ad Abu Dhabi. Il cardinale ha voluto ricordare in particolare la situazione di migranti: “So che voi appartenete dunque a vari Paesi, alcuni dei quali conosco bene e dove ho passato alcuni anni della mia vita di sacerdote e vescovo, imparando ad apprezzare e conoscere le vostre culture. Oggi voi vivete qui, in una terra che vi permette di lavorare e guadagnare il pane per voi e le vostre famiglie. È un aspetto importante, perché nella vita tutti siamo un po’ migranti. Inoltre, vivete e lavorate in una terra cara all’Islam, una religione con cui noi cristiani condividiamo il principio dell’unico Dio, l’adorazione dell’Altissimo e il valore della preghiera. Qui imparate a praticare la convivenza inter-religiosa fondata sul rispetto reciproco e sulla collaborazione sotto tanti aspetti”. Il card. Filoni ha incoraggiato i fedeli ricordando l’impegno della comunità: “Oggi non si può essere cristiani per la semplice ragione di essere nato in una famiglia cristiana. Ciò vale ancora di più per voi, che vivete in una terra diversa dalla vostra. Ogni giorno dovete rinnovare la scelta della fede, dando a Dio il primo posto, e vincendo le tentazioni provenienti da culture diverse. Le prove a cui venite sottoposti sono a volte numerose. La tentazione di metter da parte la fede è sempre presente e la conversione diventa una risposta a Dio che dev’essere più volte confermata”. Il porporato oggi ha incontrato le suore comboniane e i religiosi che svolgono il servizio pastorale nel vicariato, mentre domani, 14 giugno a Ras Al Khaimah si terrà l’evento centrale del viaggio, ovvero la solenne celebrazione con la consacrazione della nuova chiesa dedicata a Sant'Antonio di Padova. Con la costruzione e la consacrazione ufficiale della nuova chiesa, sale a otto il numero dei luoghi di culto cattolici nei sette Stati della federazione degli Emirati. Il vicariato dell’Arabia del Sud comprende circa 2,5 milioni cattolici di oltre 90 nazionalità, soprattutto asiatiche, provenienti in prevalenza da Filippine, India, Sri Lanka, Bangladesh, Pakistan. (R.P.)
Caracas: il card. Sarah alla Conferenza regionale della Caritas latinoamericana
◊ Aprire uno spazio di dialogo e riflessione su uno dei temi più rilevanti per l’America Latina e la Chiesa universale: la povertà. Con questo obiettivo, fino al 16 giugno, è in corso a Caracas, in Venezuela, la Conferenza regionale della Caritas latinoamericana. All’incontro, prende parte anche il presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, il card. Robert Sarah: presiedendo la Messa inaugurale, il porporato ha sottolineato la forza della misericordia e della compassione di Dio verso l’uomo. “L’evento – si legge in una nota della stessa Caritas – ha l’obiettivo di mettere in atto una riflessione sull’identità, la spiritualità e la missione della Caritas, così come di promuovere spazi di formazione attraverso due workshop, dedicati rispettivamente agli standard minimi ed alla parità tra uomo e donna”. Inserita nell’ambito della campagna Caritas contro la fame, intitolata “Una famiglia umana, zero povertà”, la riunione vuole mettere in luce anche “l’importanza dell’inclusione sociale e la ricerca di soluzioni che garantiscano quella vita dignitosa che meritano tutti gli esseri umani, grazie al fatto di essere stati creati ad immagine e somiglianza di Dio”. Nei giorni scorsi, presentando alla stampa la campagna contro la fame, mons. Jose Luis Azuaje, vescovo di El Vigia-San Carlos del Zulia e presidente della Caritas America Latina e dei Carabi ha detto: "I poveri non possono aspettare. Il diritto all'alimentazione adeguata ed equilibrata è fondamentale. Questa campagna ha il suo fondamento nella necessità che tutti ci uniamo con un’unica forza per combattere la piaga della fame nel mondo". Da ricordare che il 16 maggio scorso, ricevendo il comitato esecutivo della Caritas Internationalis, il Santo Padre Francesco ha detto: “Stiamo vivendo un’epoca di crisi molto grave. Non è solamente una crisi economica, è un aspetto, non è solamente una crisi culturale, è un altro aspetto, non è solamente una crisi di fede: è una crisi in cui è l’uomo a subire le conseguenze di tale instabilità. Oggi è in pericolo l’uomo, la persona umana, è in pericolo la carne di Cristo. Per noi, ha continuato, ogni persona, ancor di più se è emarginata o malata, è la carne di Cristo". Il lavoro della Caritas soprattutto è rendersi conto di questo. (A cura di Isabella Piro)
Superare la crisi economica mettendo al centro la persona: così, mons. Tomasi all'Ilo
◊ Promuovere le condizioni per una ripresa economica che metta al centro la persona. Così ieri, nella Giornata contro il lavoro minorile, mons. Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu di Ginevra, nel suo intervento alla 102.ma sessione della Conferenza Internazionale sul Lavoro promossa dall’Ilo, Organizzazione Internazionale del Lavoro. Ce ne parla Benedetta Capelli:
E’ un forte appello a considerare il lavoratore come persona e non come un bene di consumo, quello lanciato ieri da mons. Silvano Maria Tomasi in un’ampia riflessione sulla crisi economica e sull’impatto che ha avuto nella vita di giovani e donne. “Il problema della disoccupazione – afferma l’arcivescovo – è molto spesso causato da una visione puramente economica della società che mette in primo piano solo il profitto senza considerare la giustizia sociale”. Da qui il monito verso le scelte della politica, volte a rispondere solo alle esigenze delle imprese e non dei lavoratori; è necessario quindi promuovere le condizioni per “una ripresa basata sull’occupazione ed un nuovo patto sociale in grado di rimettere al centro la persona, seguendo il principio di sussidiarietà”. Evidenziando l’importante ruolo giocato dall’Ilo, mons. Tomasi ribadisce la necessità di “una solidarietà disinteressata ed un ritorno all’etica” per rinnovare il mondo del lavoro.
In apertura del suo discorso, mons. Tomasi ha ricordato i drammatici numeri della crisi: a fine 2012 erano più di 200 milioni le persone senza lavoro; in 5 anni si sono persi 67 milioni di posti. Nel prossimo biennio è prevista una crescita moderata del mercato del lavoro ma non sarà sufficiente per risolvere la crisi. Si è assistito anche ad un deterioramento della qualità del lavoro. “Il lavoro – afferma mons. Tomasi – è l'ambito principale in cui si costruiscono i legami tra la persona, l'economia e l'ambiente”: il primo passo verso l’edificazione delle relazioni sociali ed economiche. Attenzione però al conflitto intergenerazionale che si sta profilando, dato che “la vecchia generazione sta allungando la sua permanenza nel mondo del lavoro, mentre la nuova generazione deve affrontare crescenti difficoltà per entrare nel mercato del lavoro”. A questo proposito un ruolo fondamentale viene assunto dalla famiglia che va aiutata e tutelata con politiche mirate volte anche a favorire la partecipazione delle donne, facilitando la conciliazione tra lavoro e famiglia.
Sottolineando poi lo stringente legame tra l’istruzione ed il lavoro, mons. Tomasi ricorda anche il peso psicologico e l’esclusione sociale che può venire dalla perdita di lavoro. “L'esperienza – afferma - dimostra che il lavoro è la via d'uscita dalla povertà per le famiglie indigenti”, dove manca c’è più insicurezza e meno sviluppo umano e sociale. La Chiesa Cattolica – evidenzia l’arcivescovo – si è sempre occupata della dimensione sociale del lavoro ed è motivo di “grave preoccupazione” la prospettiva che, nei prossimi dieci anni, saranno necessari 45-50 milioni di nuovi posti di lavoro. Inoltre bisogna ricordare che l’innovazione tecnologica sta modificando la capacità di produzione e inevitabilmente cambia anche la possibilità di creare posti di lavoro, infine con l’allargamento delle disuguaglianze, si sta indebolendo il tessuto sociale e politico della nostra società. Dopo aver presentato alcune buone pratiche in Asia ed in America Latina, mons. Tomasi invita ad affrontare la crisi in una prospettiva globale ricordando l’importanza dell’assistenza per lo sviluppo dei Paesi in difficoltà ed il lancio di programmi per rispondere alle esigenze specifiche delle donne, dei giovani e delle persone vulnerabili.
“Il bambino come persona e come paziente”: convegno del dicastero per gli Operatori Sanitari
◊ Saranno oltre 200, in arrivo da 30 Paesi e dai 5 continenti, i partecipanti al Convegno di Studio “Il bambino come persona e come paziente. Approcci terapeutici a confronto”, organizzato dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari-Fondazione Il Buon Samaritano per domani e sabato prossimo presso la Sala S.Pio X a Roma. L’iniziativa organizzata con riferimento all’Anno della Fede e in preparazione alla Giornata dell’Evangelium Vitae che sarà celebrata a Roma e in Vaticano il 15 e 16 giugno prossimi - informa una nota del dicastero - prenderà il via con una Messa Solenne, presieduta dall’arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, e celebrata all’Altare della Cattedra di S. Pietro a partire dalle ore 8,00. Alle ore 9:30, nella Sala S. Pio X, lo stesso capo dicastero terrà il discorso di apertura del Convegno, incentrato sul tema "La cura del bambino come persona". Seguirà la prima sessione generale, intitolata La medicina pediatrica di fronte al disagio e al disturbo infantile e moderata dal dott. Francisco Mele, psicoterapeuta e docente di Sociologia della famiglia. Nel pomeriggio prenderanno il via i lavori di gruppo ai quali parteciperanno esperti, operatori sanitari, cappellani e volontari in arrivo da tutto il mondo. A conclusione del Convegno, nel pomeriggio di sabato 15, si terrà la tavola rotonda: “Cura dei bambini sofferenti come sfida alla Chiesa e alla società: esperienze di alcune conferenze episcopali”. Vi prenderanno parte i rappresentanti delle Chiese Locali dell’Africa, dell’America Settentrionale e dell’America Latina, dell’Asia, dell’Oceania e dell’Europa.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Su strade nuove: il Papa dialoga con i membri del tredicesimo Consiglio ordinario della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi.
Anche la lingua può uccidere: Messa del Pontefice a Santa Marta.
In rilievo, nell'informazione internazionale, il rapporto Onu dedicato ai devastanti effetti della guerra sui bambini.
La mano tesa: in cultura, Giovanni Coco a proposito del presunto incontro tra Pio XII e il segretario del Partito comunista italiano.
Il rango sconfitto: Oddone Camerana su "Lady Anna" di Anthony Trollope.
Riguardo all'emigrazione femminile, Giulia Galeotti recensisce il libro della moldava Lilia Bicec "Miei cari figli".
Un articolo di Silvia Guidi dal titolo "Datemi ancora un minuto": in "A cuore aperto" Elie Wiesel riflette sulla vita, la morte e l'incomprensibile mistero della malattia.
Caritatevoli lezioni: Marco Roncalli sull'epistolario inedito del compositore Johann Simon Mayr.
La via del dialogo e dell'unità: nell'informazione religiosa, il sinodo, a Baghdad, della Chiesa caldea.
Turchia: bulldozer in azione al Gezi Park di Istanbul
◊ Si aggrava la situazione in Turchia. Fonti di stampa riferiscono che un bulldozer ha iniziato a rimuovere le barricate erette dai manifestanti a Gezi Park, a Istanbul. Poco prima il premier Erdogan aveva respinto le critiche rivolte al governo di Ankara per l'uso ''sproporzionato ed eccessivo della forza'', criticando così una risoluzione votata oggi dall'Europarlamento. Un precipitare che arriva dopo l’incontro, ieri, tra Erdogan ed una delegazione della società civile conclusosi con l’ipotesi di un referendum, proposto dall’esecutivo, sul progetto di sviluppo di Gezi Park. Su questo punto Fausta Speranza ha parlato con Federico De Renzi, analista politico che si occupa in particolare di Turchia:
R. - Per quanto riguarda il referendum è molto probabile che si faccia, per quanto gli artisti, gli intellettuali e gli accademici convocati da Erdogan ieri pomeriggio non siano stati consultati su questo. Il fatto di fare un referendum sul parco di Gezi Park non risolverà alcuni problemi essenzialmente rappresentati da politiche non condivise portate avanti dalla Akp ed in particolar modo dal primo ministro Erdogan e soprattutto le dure politiche attuate in questi giorni verso le contestazioni, scoppiate inizialmente ad Istanbul e poi diffusesi in gran parte delle principali città turche, come Smirne, Ankara…
D. – Una protesta che è diventata “movimento anti Erdogan”, ma fino a che punto è contro il partito? Il vertice dell'AKP risulta diviso: c’è la componente moderata, quella “dialogante”, che fa capo al presidente Gul…
R. – Il presidente Gul e lo stesso vice primo ministro Bülent Arinç si sono detti più concilianti, hanno cercato comunque di aprire al dialogo e lo stesso presidente della Repubblica Gul ha affermato che la Turchia risolverà i suoi problemi attraverso la democrazia, anche eventualmente attraverso una consultazione popolare ma poi ha affermato di non ritenere necessario fare un vertice dei leader politici per risolvere la questione. Sicuramente c’è una spaccatura, sicuramente a livello di vertice ci sono due linee che non sono in realtà poi contrastanti: è solo una questione di metodo, secondo me.
D. – Non sono contrastanti sulle politiche, per esempio sulla restrizione sull’alcool o altro ma lo sono soltanto sulle modalità di approccio alla protesta?
R. – Sembra di sì. Per quanto il partito dell’Akp sia tutt’altro che monolitico, ci sono comunque diversi punti di vista interni: non è un partito islamico inteso come partito religioso, ma è un partito di ispirazione religiosa; dentro c’è veramente di tutto. Ci sono sicuramente delle politiche condivise per avere il consenso che ha - pari al 50% della popolazione turca - vuol dire che comunque ha delle politiche condivise da portare avanti.
D. – Erdogan è premier dal 2003 e da allora l’economia va bene. Quindi, in genere viene appoggiato un governo quando l’economia cresce…
R. – Esattamente. Questa è la forza dell’Akp: quella di aver portato la Turchia alla ribalta sulla scena internazionale, da un punto di vista squisitamente economico - cioè con una crescita che è stata nel 2011 del 7,9% del Pil - ma anche da un punto di vista di visibilità: nelle relazioni internazionali, nelle relazioni con l’Unione Europea dalla quale si sta lentamente dissociando, ma soprattutto nelle politiche regionali, macro regionali. Non ultimo va considerato il peso che ha la Turchia nella questione siriana, tra l’altro questo da prima dello scoppio della guerra civile: già nel 2010 infatti era un attore importante, per non parlare dell’Africa, o di altri quadranti in cui la Turchia sta diventando sempre più importante. Tutto questo ovviamente può essere scosso ora dalle questioni di politiche interne che hanno a che fare con le relazioni internazionali, chiamiamola politica estera “tout court”. Tutto può essere rallentato, o essere trasformato da quanto sta avvenendo in questi giorni, in queste due settimane. Però, bene o male, alla base elettorale dell’AKP il consenso è ancora diffuso ed ancora solido.
Denuncia Onu: nel conflitto in Siria, più di 93 mila vittime
◊ Washington e Londra aprono ai ribelli siriani con la revoca di importanti sanzioni economiche per fornire aiuti alle aree liberate. Intanto, dopo gli ultimi attacchi sul Libano, e la minaccia del governo di Beirut di schierare l’esercito, il regime di Assad si impegna a rispettare la sovranità del Paese. Sul terreno prosegue l’avanzata delle truppe governative su Aleppo, mentre l’Onu denuncia: le uccisioni continuano a livelli oltraggiosi, più di 93 mila le vittime dall’inizio del conflitto, 6 mila e 500 sono bambini. Al microfono di Cecilia Seppia il commento di Lorenzo Trombetta, corrispondente da Beirut per "Limes" e l’Ansa.
R. - Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna sono quelli che almeno nella loro retorica, insieme alla Francia, dimostrano un atteggiamento più interventista. Questa nuova affermazione va inserita nel timore che con l’avanzata delle truppe di Assad e quelle Hezbollah - non soltanto nella regione di Homs ma anche in quella meridionale di Darhaa ed in quella settentrionale di Aleppo - il fronte filo Assad possa prendere il sopravvento dal punto di vista militare. Allora, ecco che l’Occidente "si ricorda" che forse questi ribelli andrebbero aiutati.
D. – Intanto, si attende questa conferenza di "Ginevra 2" per trovare una soluzione politica alla crisi. Secondo te, c’è la reale possibilità che avvenga, che si faccia?
R. – No. Se si realizzerà sarà una "passerella" di politici, di ministri e di diplomatici con un bel documento finale in cui si invitano le parti a cessare il fuoco, allo scambio di prigionieri… Di fatto, le parti in conflitto – sia quelle che sono sul terreno, sia quelle che lo sostengono fuori dalla Siria – per adesso non sembrano avere l’interesse a metter fine alla guerra. Certo, l’Occidente cerca un interlocutore unico - vuole quasi un altro Assad con cui parlare - ma questo non c’è: non c’è né sul terreno, che sconfessa ogni giorno di più le opposizioni quelle tradizionali che sono all’estero, che sono in esilio, ma non c’è nemmeno fuori, perché vediamo questa coalizione siriana composta da varie entità che però non riesce veramente a superare le loro divisioni.
D. – C’è poi la questione Libano: da un lato il regime di Assad si impegna a rispettare la sovranità del Paese e dall’altra Beirut ha minacciato una risposta immediata a qualsiasi nuovo attacco. Quindi, su questa linea di confine la situazione è ancora molto tesa ed incerta…
R. – Sì, è una linea di confine che tra l’altro non è mai stata demarcata sul terreno, quello è un confine nominale sulla carta ma le famiglie e la storia di quella regione indicano una completa continuità economica, sociale e culturale. Questo si riflette anche in una situazione di violenze e di conflitto. Damasco non ha mai considerato il rispetto della sovranità libanese come una priorità ed ovviamente questi attacchi li fa in nome di operazioni anti terrorismo. Certo, il Libano dopo quel bombardamento inedito – perché ha colpito la piazza del municipio, di una località in pieno territorio libanese – non poteva stare a guardare. Però, vista anche la situazione istituzionale libanese, dove gli Hezbollah alleati di Damasco e numerosi altri alleati di Damasco in Libano, sono più o meno ancora al governo, è difficile che il Libano prenda veramente una posizione contro il regime siriano.
D. – In tutto questo, l’Onu sta cercando di aumentare la capacità di autodifesa della sua missione nel Paese portando il numero dei caschi blu a circa 1250 unità, ci sarebbe anche l’idea di una forza di pace scandinava. Come possiamo considerare questa decisione?
R. – Da questo punto di vista, forse è l’elemento di maggior concretezza perché sia Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu, sia l’inviato speciale dell’Onu, Lakhdar Brahimi, ieri hanno parlato a più riprese con le autorità svedesi proprio per sondare una disponibilità di Stoccolma che sembra essere concreta. La Svezia chiede di essere al comando di una forza multinazionale panscandinava – insieme a Finlandia, Danimarca e Norvegia – chiede anche il comando della missione Undof, la missione Onu sul Golan. Chiede però – e questo è l’elemento più importante, dirimente – che vengano cambiate le regole di ingaggio: chiedono almeno di poter rispondere a chi gli spara addosso. Questo sarebbe un altro punto inedito, perché nella missione di Undof, che va avanti dal 1974, le regole di ingaggio sono state sempre piuttosto blande.
Elezioni presidenziali domani in Iran: nessun favorito tra i 6 candidati
◊ In Iran si è chiusa stamattina la campagna elettorale per le presidenziali di domani. Non c'e' un chiaro favorito tra i sei candidati che si contenderanno il voto dei 50 milioni di aventi diritto e viene dato per scontato che si arrivi al ballottaggio, il 21 giugno. La selezione dei candidati condotta da parte dei Guardiani della Rivoluzione ha lasciato in lizza molti esponenti considerati vicini all'ayatollah Khamenei. Questo vuol dire che il risultato sarà abbastanza scontato, ma non troppo. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Riccardo Redaelli, docente di Storia e Istituzioni del mondo islamico all'Università Cattolica di Milano:
R. – In Iran le cose non sono mai scontate, ma chiaramente Khamenei non ha voluto correre rischi: non ha voluto candidati forti, non ha voluto candidati riformisti. Il suo obiettivo è quello che, chiunque vinca le elezioni, anche se lui ha dei favoriti, ovviamente, sia comunque qualcuno riferibile alla sua area.
D. – La selezione dei Guardiani ai danni per esempio di Rafsanjani, destinato a stravincere, o l’autoesclusione, dichiarata da Katami, hanno cambiato il volto di questa tornata elettorale. Che ruolo possono svolgere, comunque, esternamente in queste elezioni?
R. – Limitato, perché i riformisti non avevano alcuna chance. Vi è anche una fortissima manipolazione dei risultati elettorali, cosa che non avveniva in passato in Iran. Credo che, forse, più di tutto possa giocare l’astensione da parte del movimento dei riformisti.
D. – Anche perché l’area moderata riformista è stata marginalizzata ed è ben presente la repressione delle manifestazioni che ci sono state nel 2009...
R. – Esattamente. Dalle grandi manifestazioni, dalla sorpresa delle elezioni della campagna elettorale del 2009, è arrivata una lezione per il regime: di non permettere la minima apertura, perché i riformisti sarebbero stati pronti ad occuparla e ad avere visibilità.
D. – Su una cosa non ci sono dubbi: il compito del futuro presidente, chi esso sia, sarà soprattutto quello di intervenire su un’economia piegata dagli effetti delle sanzioni e da squilibri interni. Quindi, comunque, sarà un compito ed un ruolo molto delicato...
R. – Sì, anche se io credo che il prossimo presidente possa giocare più il ruolo di esecutore delle direttive di Khamenei, del leader supremo. L’economia ha degli squilibri enormi, ma questi squilibri enormi sono dovuti sia alle sanzioni, sia alla trasformazione dell’Iran, con la presa del potere economico e politico, non solo militare, da parte dei pasdaran, che sono sempre più l’elemento forte del regime.
D. – L’Iran si sta muovendo su più fronti per imporre il suo ruolo sullo scacchiere internazionale, anche perché continua ad essere un Paese molto importante strategicamente...
R. – E’ un Paese cardine del Medio Oriente, ma io credo che l’Iran di oggi sia un Iran dal punto di vista geopolitico più debole rispetto al passato. Proprio l’avventurismo di Ahmadinejad ha scatenato la reazione dei Paesi arabi del Golfo, dei movimenti sunniti, che cercano di sfidare il ruolo geopolitico iraniano. La potenza iraniana è una potenza derivata più dagli errori commessi dall’America e dall’Occidente che dalla propria forza.
Bambini e conflitti armati: rapporto Onu denuncia minacce senza precedenti
◊ I conflitti creano minacce senza precedenti nella vita dei bambini. Lo afferma il rapporto annuale del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, che denuncia le gravi violazioni nella vita dei più piccoli: bambini reclutati e utilizzati nei conflitti armati, che subiscono violenze sessuali, oppure uccisi e mutilati. Le scuole usate come caserme militari. Lo conferma Andrea Iacomini, portavoce Unicef Italia, al microfono di Elisa Sartarelli:
R. - I bambini nei conflitti armati subiscono davvero delle gravissime violazioni. E questo riguarda i bambini, ma soprattutto le bambine. Non dimentichiamo che proprio le bambine vengono forzatamente reclutate e costrette a violenze sessuali, costrette a matrimoni precoci. Questo è un fenomeno in grandissima evoluzione, purtroppo, in Paesi dove i conflitti sono molto forti: parliamo della Siria, dell’Afghanistan, del Mali, della Repubblica Centroafricana. Ed è un fenomeno che non è soltanto legato alle questioni belliche, ma spesso anche ad una cosa di cui si parla poco: la disperazione, la fame… Per questo, spesso le famiglie, spesso le madri - abbiamo avuto evidenze di questo in Siria - danno in sposa ai gruppi armati le proprie bambine, sperando di trovare delle situazioni migliori; non sapendo - o forse sapendolo - che vanno incontro, invece, a situazioni davvero molto gravi. I bambini arruolati fanno spesso i facchini, le spie, i cuochi… Quando vengono arruolati, vengono costretti a svolgere questo tipo di attività, che non sono soltanto quelle belliche.
D. - Nelle zone dove ci sono conflitti, le scuole non sono più dei luoghi sicuri: si riducono le iscrizioni e si rilevano alti tassi di abbandono, soprattutto da parte delle bambine…
R. - Le bambine vengono tolte soprattutto perché queste scuole sono oggetto spesso di raid: vengono sequestrate, entrano le milizie e spesso le bambine vengono portate via oppure sono oggetto di violenze. Ormai il dato riguarda tutti, non riguarda soltanto le bambine: laddove c’è distruzione, le bambine - come i bambini - vanno tutti portati via; laddove c’è ancora qualche zona che funziona c’è il rischio - purtroppo! - di continui ingressi di milizie per violenze, per torture, per situazioni di questo tipo. Noi abbiamo fatto, quindi, un appello molto forte agli Stati in guerra - in particolar modo Siria, Afghanistan e Mali - affinché le scuole, luoghi di pace, vengano preservate dalle barbarie.
D. - Per dare ai bambini un senso di normalità anche in una situazione di guerra, le famiglie dovrebbero poter continuare a vedere come luoghi sicuri le scuole, che invece vengono sempre più spesso attaccate o usate come caserme militari. Come si può fermare questo fenomeno?
R. - Innanzitutto facendo appello alle parti in conflitto, affinché questi luoghi vengano preservati da bombardamenti. Ma naturalmente questo non basta! Allora si sta cercando - parliamo della Siria e dell’Afghanistan - di creare dei luoghi altrettanto sicuri, dove i bambini possano continuare a studiare, perché questo è un dato fondamentale. Durante un conflitto i bambini devono poter proseguire ad andare fra i banchi, devono poter proseguire ad avere un senso di normalità. L’Unicef lavora alacremente per cercare di realizzare delle scuole nei campi profughi, laddove ci sono appunto dei campi profughi: non dimentichiamo che in ogni campo profughi in Giordania, in Iraq, in Libano, in Turchia sono allestiti degli spazi per le scuole; nelle zone dove purtroppo c’è il conflitto, si cercano dei luoghi alternativi. Non c’è dubbio che queste siano zone pericolose! Le scuole bombardate, dove viene ucciso il personale, dove tutte le persone sono in fuga sono dei luoghi non sicuri. Non dimentichiamoci che spesso vi si nascondono le opposte fazioni per fuggire agli attacchi o ai controlli. Quello che l’Unicef auspica è che certi luoghi, che rappresentano la normalità, vengano preservati: almeno questi! Certo è difficile: se pensiamo che la Siria è ormai completamente dilaniata da questo conflitto da 800 giorni e che città come Aleppo sono state completamente distrutte, è difficile pensare che le scuole siano immuni da questo. Però noi, con questo Rapporto, facciamo proprio appello a questo. E’ l’ennesimo crimine contro l’umanità che si sta perpetrando! Le scuole ancora sono colpite… Questo è davvero molto grave!
La dimensione spirituale del dialogo tra ebrei e cristiani al centro di un incontro a Castelgandolfo
◊ E’ un momento di svolta qualitativa nel dialogo ebraico-cristiano. Lo testimoniano i tre giorni di dialogo organizzati dal Centro per il Dialogo Interreligioso del Movimento dei Focolari e che hanno impegnato, dal 10 giugno ad oggi, 27 partecipanti, tra ebrei e cristiani provenienti da Usa, Argentina, Uruguay e Italia, e che ieri hanno incontrato Papa Francesco durante l'udienza generale in Piazza San Pietro. Servizio di Francesca Sabatinelli:
Essere pronti ad imparare gli uni dagli altri per essere persone migliori, disponibili ad essere trasformati dal dialogo per potersi aiutare reciprocamente. Questo mettersi in gioco è uno dei risultati raggiunti dai partecipanti ai tre giorni di seminario al Centro Mariapoli di Castelgandolfo. Un appuntamento che li ha impegnati tutti attorno al tema dell'"Imitatio Dei" e che ha rinsaldato un percorso di dialogo iniziato da Chiara Lubich sin dal 1977, quando le fu consegnato il Premio Templeton per il progresso della Religione. A novembre di quello stesso anno veniva aperto il primo focolare in Israele. “Vogliamo imparare dagli altri, per uno scambio che non sia solo di idee ma di spirito'', è stata l’indicazione del Rabbino Tsvi Blanchard di New York:
R. – An idea is: “You believe this, I believe that. I think some of what you believe …
L’idea è: “Tu credi questo, io credo quello. Penso che alcune cose del tuo Credo siano giuste, alcune sbagliate. Ma tu non mi tocchi, con il tuo Credo”. Quando invece c’è uno scambio spirituale, quello che dirai verrà dal tuo cuore ed entrerà nel mio cuore. E non mi posso allontanare da questo, senza essere cambiato”. Ecco: a questo nuovo livello di dialogo siamo riusciti ad ottenere proprio questo. Questo rappresenta un rischio, perché molte persone hanno paura del dialogo, perché in definitiva vogliono rimanere le persone che erano; temono che gli altri possano cambiarli. Invece, noi non abbiamo paura. Pensiamo che stiamo ragionando questa cosa insieme; siamo stati insieme e abbiamo parlato come se fossimo in grado di trovare una risposta, insieme. E io vi assicuro che non sarò la stessa persona, quando andrò via. Le posizioni precedenti erano: “Io sono ebreo e rimarrò ebreo, non darmi fastidio. Tu sei cristiano, rimani cristiano”, e via dicendo. Il punto non è: essere cristiano o ebreo; il punto è: l’essere umano, l’aspetto spirituale, e il cosa possiamo fare insieme.
D. – Quindi, è un risultato importante che è stato raggiunto anche in questi giorni di incontro che avete avuto. Ci sono ancora problemi aperti?
R. – Of course! This is the first time that we have had this level of dialogue. …
Certo! Questa è stata la prima volta in cui il dialogo si è svolto a questo livello. Non sappiamo nemmeno se sarà possibile farlo una seconda volta … Quello che sappiamo è che abbiamo raggiunto un livello così profondo come non l’avevamo mai raggiunto prima; non sappiamo quanto impegno costerà mantenere questo livello, ma comunque ci proveremo. La differenza sta nel fatto che alla fine, dopo quattro tornate di dialogo – che sono andate molto bene, caratterizzate dal rispetto e dalla considerazione vicendevoli – abbiamo deciso: bene, però vogliamo fare di più; vogliamo essere qualcosa di più che buoni vicini: vogliamo essere persone che si vogliono bene.
D. – A cosa serve tutto questo lavoro?
R. – It’s like asking the question: “What’s the purpose of loving?”. …
E’ come chiedere: “Per quale motivo si ama?”. Siamo fatti per camminare sulla strada della vita insieme, non separatamente. Se attraversi la vita da solo, non solo soffrirai di più, ma non raggiungerai la più profonda comprensione, come se invece vivessi la tua vita insieme a persone a cui vuoi bene e di cui ti prendi cura. La mia esperienza è stata questa: quando rifletto su questa faccenda da solo, non ne comprendo la profondità come quando ne parlo con qualcun altro, e quando parlo con qualcun altro ho un rapporto di affetto e fiducia e mi accorgo che, in un modo o nell’altro, sarò capace di progredire. Noi non abbiamo le risposte che stiamo cercando: abbiamo le domande, e conosciamo i passi da fare per andare avanti; ma questi passi li possiamo fare soltanto se sappiamo che c’è qualcuno che ti ama e si occupa di te, e tu stesso ami e ti occupi di qualcuno. Così andiamo avanti, insieme. Ed è per questo che abbiamo ottenuto questi risultati .
Per Amelia Uelmen, cristiana, docente alla Fordham University di New York: affinché si possa raggiungere il reciproco rispetto, il dialogo deve essere continuativo:
R. – Penso che finché ci sono persone capaci di aprire il cuore, di "camminare nelle scarpe degli altri", questa può essere la base della società, per la pace, per il nostro lavoro quotidiano, per portare avanti la costruzione del bene comune. Io vedo questo lavoro come fondamento per un futuro di pace, di speranza per l’umanità, perché sono proprio queste capacità di costruzione del mondo sui valori che abbiamo in comune, che portano alla speranza in un mondo che ha tanto bisogno di questa intesa.
D. – E’ stato detto che c’è stata una svolta, in questi tre giorni: ma è stato superato qualche ostacolo?
R. – Penso che sia stato il fatto di andare a parlare l’uno con l’altro, di lasciare entrare la nostra vita in quella dell’altro. La svolta è che davvero, al di là del solo rapporto di rispetto, forse anche di ammirazione, si sta intraprendendo questo cammino in comune in cui ci sentiamo parte dello stesso progetto.
Congresso Cisl: ridurre le tasse a favore dei lavoratori
◊ Tagliare il cuneo fiscale, tra i più alti dei Paesi industrializzati. Lo chiede il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, nella seconda giornata del congresso della Cisl a Roma. Anche i sindacati chiedono di ridurre le tasse, ma a beneficio dei lavoratori. Alessandro Guarasci:
Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi chiede di investire tutte le risorse disponibili sul lavoro. E questo deve avvenire in primo luogo attraverso una riduzione delle imposte che gravano sulle attività produttive. Un passo fondamentale per avere una crescita dei almeno il due per cento del Pil:
“Ritrovare la crescita per essere capaci di generare nuovi posti di lavoro, credo che sia la priorità assoluta”.
Secondo la leader della Cgil, Susanna Camusso, gli aiuti alle imprese non possono essere a pioggia:
“Abbiamo sempre detto che c’è una parte delle imprese che ha investito, ha fatto ricerca, ha qualità, che ha continuato a difendersi: concentriamo le risorse su quella parte del sistema delle imprese”.
Per Camusso è poi indispensabile che il governo avvii un confronto con i sindacati, prima di varare il cosiddetto “Decreto del fare”, che appunto dovrebbe ridurre la disoccupazione. La riforma fiscale è fondamentale anche per Luigi Angeletti, segretario della Uil, ma una riforma che non sia solo un’operazione di giustizia sociale e che abbia piuttosto lo scopo di redistribuire la ricchezza. Il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, rilancia: “Le aziende rinuncino agli utili per creare occupazione”. Fatto sta, dice Gardini, che negli ultimi cinque anni le coop hanno creato circa 100 mila posti di lavoro.
Degenera lite in strada a Roma: un morto e un ferito. Intervista con il prof. Cantelmi
◊ Ha suscitato scalpore l’ennesimo episodio di violenza in città: ieri a Roma, nel quartiere di San Basilio, una lite tra automobilisti è degenerata in tragedia con l’accoltellamento di un ragazzo e l’uccisione dell’aggressore a colpi di pistola da parte di una guardia giurata, padre del giovane. I parenti della vittima hanno poi assalito l’ambulanza per impedire i soccorsi del figlio dell’omicida, picchiando tre sanitari, uno dei quali ha riportato la frattura della spalla. Un episodio inaccettabile per il neosindaco Ignazio Marino. Ma come interpretare tanta ferocia? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Tonino Cantelmi, presidente dell’Associazione Italiana Psichiatri e psicologi cattolici:
R. – Non c’è dubbio: tanti indicatori ci dicono che l’aggressività, la rabbia, la modalità conflittuale di risolvere i nostri rapporti sia in incremento. Questo incremento lo osserviamo, per esempio, attraverso forme drammatiche e feroci come il cyber-bullismo, oppure attraverso una sostanziale incapacità dell’uomo di oggi di risolvere i conflitti se non ricorrendo a cortocircuiti aggressivi davvero imprevedibili. C’è una sostanziale mancanza di empatia, come dice Bauman; si è rotta una capacità di legami reali a favore di legami virtuali che creano una sostanziale difficoltà a guardarci negli occhi, a litigare ma poi anche a stringerci la mano.
D. – Lei crede che l’insoddisfazione che si respira anche per altri motivi – pensiamo alla crisi economica, alla sfiducia nella politica – in qualche modo possa contribuire a questa aggressività?
R. – Io credo che la mancanza di punti di riferimento, il crollo di quasi tutte le istituzioni fa sì che ci sia un individualismo esasperato che non ha più confronti con qualcosa che vada al di là del singolo. Insomma, stiamo esaltando in maniera eccessiva l’elefantiasi del nostro io …
D. – Aumento dell’individualismo, che va di pari passo con l’incremento dell’utilizzo di Internet per relazionarsi?
R. – La tecnologia digitale e la sua rivoluzione stanno sconvolgendo i nostri rapporti, forse più di quanto immaginiamo. I nostri bambini vivono in un mondo di videogiochi decisamente troppo aggressivo per loro: si abituano fin da piccoli a gestire gli avatar e con un click ricominciare daccapo. Questo diminuisce un po' il senso della responsabilità del nostro agire, tant’è che quando i piccoli bulli vengono interrogati in genere dicono: “Ma, noi non ci siamo resi conto di quello che stavamo facendo, non pensavamo di fare tanto male, non pensavamo di fare soffrire così l’altro”.
D. – Siamo avviati verso una società di rapporti sempre meno empatici: ma si può invertire la rotta?
R. – Ma … questo sta a noi! Qui c’è un grosso problema generazionale: i genitori di oggi sono degli adulti con comportamenti adolescenziali che vogliono bene ai loro figli ma non sono capaci di trasmettere loro lezioni di vita, valori, punti di vista … Insomma, siamo genitori a volte silenziosi, vigliacchi, che ci nascondiamo, cerchiamo di non vedere quello che invece dovremmo vedere. E questo, ovviamente, viene amplificato ed esaltato da una tecnologia decisamente pervasiva.
D. – Il tema rientra nell’ambito dell’emergenza educativa, più volte sottolineata dalla Chiesa negli ultimi tempi …
R. – E direi che la Chiesa è la realtà che maggiormente si è interrogata su questo, denunciando soprattutto il silenzio degli adulti. I bambini e gli adolescenti anziché ribellarsi agli adulti, come forse facemmo noi, tendono ad essere indifferenti, e quindi si creano due mondi: quello degli adulti – un mondo a volte ripiegato su se stesso, narcisista, involuto – e quello dei bambini e degli adolescenti che viaggia per conto proprio.
D. – Parlare di assenza, di carenza di comunicazione reale non vuol dire però demonizzare la comunicazione virtuale, ovvero quello dei social network …
R. – Direi che anche su questo forse la parola più interessante l’ha detta Benedetto XVI parlando di porte nuove che si aprono per l’evangelizzazione; ma in altri termini, il discorso è questo: la socializzazione virtuale è un fatto ineludibile, nessuno può pensare di fermarla. Il punto fondamentale è che dev’essere accompagnata da una capacità di socializzazione reale che sia altrettanto efficace e altrettanto affascinante.
D. – Per chiudere: come far sfogare questa aggressività in maniera non violenta?
R. – Probabilmente, abbiamo bisogno di adulti coraggiosi che abbiano voglia di mettersi in gioco e che, soprattutto, abbiano voglia di trasmettere alle nuove generazioni una visione della vita. Insomma, bisogna fare in modo che non sia Google a dare le risposte ai giovani, ma che siamo ancora noi adulti, a darle.
Grande attesa a Carpi per la Beatificazione di Odoardo Focherini
◊ Odoardo Focherini: padre di famiglia, giornalista, cristiano impegnato nella Chiesa italiana degli anni ’30 e ’40 del secolo scorso sarà beatificato, sabato prossimo, nella sua Carpi nella Celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto per la Congregazione delle Cause dei Santi. Focherini, nato nel 1907, morì martire a soli 37 anni nel 1944 nel campo di concentramento di Hersbruck: fu deportato per aver salvato un centinaio di ebrei. Luca Tentori ha sentito per noi un suo compagno di prigionia che oggi vive a Bologna:
Ha 86 anni, Franco Varini, ma i ricordi della sua giovinezza sono precisi e puntali con date, ore e nomi. Perché la storia violenta, che a lui non ha fatto sconti, lascia impressi i ricordi per tutta una vita. Fu prigioniero nel campo di concentramento di Fossoli, in Emilia, all’età di 17 anni perché una spia lo denunciò come partigiano. Qui nel luglio 1944 conobbe Odoardo Focherini:
"Era un tipo molto silenzioso e molto gioviale. Molto attento soprattutto a coloro che avevano momenti di tristezza. Per questo ho sempre avuto l’impressione che fosse un sacerdote, perché bastava che io mi sedessi un attimo su una panca un po’ sconsolato - e lo ero veramente - che subito arrivava l’abbraccio di Odoardo. Quest’uomo mi prese sotto la sua protezione e di fatto sono diventato suo figlio".
E in quei mesi, come spesso accade nel cammino cristiano, l’intreccio tra due grandi vite di fede: Odoardo Focherini e Teresio Olivelli, altro imponente figura di cattolico italiano del Novecento. Quest’ultimo si salvò miracolosamente dalla fucilazione e fu nascosto e sfamato nello stesso campo di Fossoli da Focherini:
"Quest’uomo che ha sette figli a casa, che ha fatto espatriare più di cento persone, per cui è un super condannato, riesce comunque nel campo a compiere l’atto di eroismo più grande che si possa compiere: si fa carico di un condannato a morte. E qui c’è tutta la grandezza di Odoardo Focherini, perché se un altro avesse 'venduto' Teresio Olivelli, diciamoci la verità, sarebbe stato liberato".
Ma il 5 agosto 1944 tutti i prigionieri rimasti nel campo furono trasferiti a Bolzano e Olivelli senza coperture fu catturato dalle SS. Lo rividero sfigurato dalle percosse qualche giorno dopo:
"Corsi subito a cercare Odoardo che era lì. Odoardo mi mise una mano sulla spalla e cominciai a parlare e Odoardo a piangere. Odoardo Focherini ha fatto l’impossibile. Abbiamo vissuto un primo periodo poi insieme a Flossenbürg. Poi lì ci siamo divisi: lui è finito a Hersbruck, dove è morto malamente e io sono finito a Dachau, e la mia storia è continuata successivamente e a portarmi dietro con certezza non solo il ricordo ma il sorriso di Odoardo che dall’alto dice: “Dai topolino (il soprannome che mi dette Odoardo e che mi è rimasto per tutta la vita). Topolino forza, ce la dobbiamo fare” e ce l’abbiamo fatta"!
“Non mi sentivo un eroe, ma un ragazzo di 17 anni che non voleva morire, ha concluso Franco Varini a microfoni spenti. Sono "sull’altra sponda" rispetto alla Chiesa, ma ho voluto testimoniare al suo processo di Beatificazione perché era un uomo giusto, per me, un Santo”.
Lotta alla fame: una sfida vinta da 38 Paesi
◊ Dalla Repubblica Dominicana all’Angola: sono 38, per lo più latinoamericani e africani, i Paesi che hanno vinto con due anni di anticipo la cosiddetta “Sfida fame zero” lanciata lo scorso anno dal segretario generale del Palazzo di Vetro, Ban Ki-moon. Un programma che include obiettivi come evitare ritardi nella crescita dei bambini, garantire la sostenibilità del sistema alimentare, evitare lo spreco di viveri e aumentarne la produzione. “Questi Paesi stanno aprendo la strada verso un futuro migliore. Sono la prova che, con una forte volontà politica, con coordinamento e cooperazione è possibile ottenere riduzioni rapide e durature della fame” ha detto il direttore generale della Fao (organizzazione dell’Onu per l’agricoltura e l’alimentazione), il brasiliano José Graziano da Silva. I Paesi con cui la Fao si è congratulata sono quelli che hanno raggiunto con due anni di anticipo il primo degli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Mdg) in scadenza nel 2015, quello di dimezzare la percentuale di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno e che soffrono la fame. Fra questi, Brasile, Cile, Repubblica Dominicana, Honduras, Panamá, Uruguay, Algeria, Angola, Camerun, Malawi, Niger, Nigeria, Togo, Cambogia, Fiji, Maldive e Indonesia. A questi se ne aggiungono altri 18 che, inoltre, hanno anche rispettato quanto previsto dal Vertice mondiale sull’alimentazione, ovvero dimezzare il numero delle persone denutrite dal 1996. Fra questi, Gibuti, Ghana, Sao Tomé e Príncipe, Cuba, Guyana, Nicaragua, Perú, San Vincent e le Grenadine, Venezuela, Turkmenistan, Thailandia e Vietnam. Graziano da Silva ha ricordato che “a livello mondiale la fame si è ridotta nell’ultimo decennio, ma 870 milioni di persone sono ancora denutrite e altri milioni di esseri umani ne soffrono le conseguenze”. In questo contesto, la Fao ritiene che l’agricoltura possa e debba giocare un ruolo di primo piano nella lotta alla fame: oltre il 70% dei poveri nel mondo vive nelle zone rurali e aumentare la produttività agricola comporterebbe un maggiore e diretto accesso al cibo. (R.P.)
Turchia: la violenza risparmia le Chiese dove si prega per il Paese
◊ È stata una notte di scontri molto violenti, forse i più duri dallo scoppio delle proteste antigovernative tredici giorni fa. Dopo otto ore di guerriglia con i manifestanti la polizia turca ha ripreso il controllo di Piazza Taksim a Istanbul. La violenza delle manifestazioni e della repressione tuttavia non ha toccato i luoghi di culto cattolici situati nei pressi di piazza Taksim, come la cattedrale dello Spirito Santo, la chiesa di Sant’Antonio e quella di santa Maria Draperis. Le chiese sono state rispettate e tenute fuori dalle proteste come testimoniato all'agenzia Sir dai loro parroci e rappresentanti. Nella cattedrale dello Spirito Santo “molti giovani entrano con le mascherine per proteggersi dai gas lacrimogeni abbassate. Si fermano per un po’ all’interno - racconta il parroco, il salesiano Nicola Masedu - qualcuno recita delle preghiere, altri sostano solo per riprendere fiato, far riposare gli occhi arrossati dai gas e poi tornare a manifestare. Lo fanno in silenzio e con grande rispetto del luogo”. Stessa cosa nella chiesa di Santa Maria Draperis, una delle più antiche parrocchie della città. “Qui - dice padre Ruben Tierrablanca - molti giovani vengono a pregare lasciando le loro mascherine antigas appese all’inferriata esterna. Non è mai successo nulla che potesse colpire la sensibilità dei fedeli cristiani”. “Candele accese a sant’Antonio”, nella chiesa omonima, rivela il parroco padre Anton Bulai, “molti giovani che vanno a piazza Taksim passano per la nostra chiesa, accendono un cero a Sant’Antonio. Come frati francescani, in questo momento delicato per il Paese preghiamo per il bene e pace nella nazione”. (R.P.)
Londra: il primate anglicano Welby cita Benedetto XVI ai banchieri della City
◊ Un appello ai banchieri della City perché imitino il buon Samaritano, si pongano nel loro lavoro l’interrogativo “chi è il mio vicino” e sappiano dare “un limite” alla ricerca del profitto ponendosi come “obiettivo il bene comune” in modo che dalla ricchezza “nessuno sia escluso”. È stato lanciato dall’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, ieri sera, sotto la cupola della cattedrale di st. Paul’s, a una platea di oltre 2mila persone tra cui anche molti politici, accademici e esperti di economia. Per sostenere il suo appello, l’arcivescovo Welby - che domani per la prima volta incontrerà Papa Francesco - ha fatto riecheggiare nella cattedrale le parole di Benedetto XVI contenute nella enciclica “Caritas in veritate”: “Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l‘appello del bene comune”. Justin Welby è un esperto di economia avendo lavorato per 11 anni come manager nell’industria petrolifera, prima di essere ordinato sacerdote con una tesi a metà tra l’economia e la finanza. Scelto lo scorso febbraio come 150° arcivescovo di Canterbury, con Papa Francesco che incontrerà domani a Roma condivide la passione per la giustizia sociale e la lotta contro la povertà. Ieri sera, Welby ha chiesto al sistema finanziario di fare un esame di coscienza, dicendo che i manager della finanza devono operare con “la paura dell’inferno e la speranza del paradiso se vogliono riparare la reputazione della City e diventare migliori cittadini”. Riprendendo proprio la dottrina sociale cattolica, della quale ha detto più volte di essere un grande ammiratore, il Primate anglicano ha spiegato che “le banche, come gli individui, devono chiedersi "Chi è il mio vicino?’, proprio come ha fatto il buon Samaritano nella parabola del Vangelo”. Parlando del crescente divario tra ricchi e poveri, aumentato in continuazione negli ultimi 40 anni, il primate anglicano ha spiegato che “vediamo profonde differenze in termini di ricchezza ma si tratta di differenze che possono essere eliminate”. Per farlo però occorrono “buone banche”. Proprio questo era il tema dell’intervento del Primate Welby che ha spiegato che per “buone banche” intendiamo non “banche perfette” perché “alla fine nessun essere umano è in se stesso perfettamente buono”, ma “banche potenzialmente buone”, ovvero che siano motivate dalla virtù e non soltanto dai bonus finanziari o dai limiti della legge. (R.P.)
Italia: Messaggio dei vescovi per la Giornata del creato
◊ “Gratuità”, “reciprocità”, “riparazione del male”: “Tre prospettive da sviluppare nelle nostre comunità”. A proporle è il Messaggio della Cei per la Giornata per la custodia del creato, che sarà celebrata il prossimo 1° settembre sul tema “La famiglia educa alla custodia del creato”. “Come la famiglia può diventare una scuola per la custodia del creato e la pratica di questo valore?”, chiede il documento preparatorio per la 47ª Settimana Sociale, in programma a Torino dal 12 al 15 settembre su “La famiglia, speranza e futuro della società italiana”: “Come vescovi che hanno a cuore la pastorale sociale e l’ecumenismo - si legge nel messaggio diffuso oggi - indichiamo tre prospettive da sviluppare nelle nostre comunità: la cultura della custodia che si apprende in famiglia si fonda, infatti, sulla gratuità, sulla reciprocità, sulla riparazione del male”. “La famiglia - ricordano i vescovi - è maestra della gratuità del dono”, che sgorga dalla “gratitudine a Dio” che si esprime “nella preghiera a tavola prima dei pasti, nella gioia della condivisione fraterna, nella cura per la casa, la parsimonia nell’uso dell’acqua, la lotta contro lo spreco, l’impegno a favore del territorio. Viviamo in un giardino, affidato alle nostre mani”. “È in famiglia che la diversità, invece che fonte di invidia e di gelosia, può essere vista fin da piccoli come ricchezza”, osservano i vescovi: “Già nella differenza sessuale della coppia sponsale che genera la famiglia - scrivono - c’è lo spazio per costruire la comunione nella reciprocità. La purificazione delle competizioni fra il maschile e il femminile fonda la vera ecologia umana. Non l’invidia, ma la reciprocità, l’unità nella differenza, il riconoscersi l’uno dono per l’altro”. In famiglia, infine, “si impara anche a riparare il male compiuto da noi stessi e dagli altri, attraverso il perdono, la conversione, il dono di sé. Si apprende l’amore per la verità, il rispetto della legge naturale, la custodia dell’ecologia sociale e umana insieme a quella ambientale”. Da qui, dunque, “può venire un serio e tenace impegno a riparare i danni provocati dalle catastrofi naturali e a compiere scelte di pace e di rifiuto della violenza e delle sue logiche”. Anche “il profumo della domenica”, si impara in famiglia: “È soprattutto nel giorno del Signore - si legge nel messaggio - che la famiglia si fa scuola per custodire il creato. Si tratta di una frontiera decisiva, su cui siamo attesi, come famiglie che vivono scelte alternative”. (R.P.)
India. Sterilizzazioni forzate: 4,6 milioni di donne non possono più avere figli
◊ Una decina di tavoli allineati uno accanto all'altro, con lenzuola macchiate di sangue; medici e infermieri senza camici, a volte senza mascherine protettive; gli strumenti di lavoro sciacquati solo con acqua calda. È in simili condizioni che - solo nel 2012 - 4,6 milioni di donne in India sono state costrette a essere sterilizzate, secondo le politiche per il controllo delle nascite applicate dal governo nel Paese. Nell'ambito di questo progetto la vasectomia, al contrario del legamento delle tube, rappresenta appena il 4% delle sterilizzazioni praticate. La maggior parte delle sterilizzazioni forzate coinvolge le donne degli Stati indiani più poveri. Al primo posto - riferisce l'agenzia AsiaNews - c'è il Bihar, che ha il Pil più basso del Paese e il tasso di analfabetismo più alto. Spesso il legamento delle tube viene accettato ma con l'inganno: gli operatori locali che si occupano delle campagne per il controllo delle nascite girano per i villaggi e propongono alle donne di essere operate in cambio di 10 dollari, circa una settimana di salario per una famiglia povera. In teoria la scelta è libera: in pratica non viene spiegato loro che non potranno più avere figli, e molte acconsentono solo per l'estrema povertà in cui vivono. "L'ho fatto per disperazione - racconta Devi, 25 anni, mentre giace sul pavimento della clinica del Bihar dove è stata operata -. Siamo molto poveri e abbiamo bisogno di soldi. Gli ufficiali sanitari sono venuti a casa, ci hanno detto che sarebbe stato meglio così". Il ministero della Salute del Bihar ha l'obiettivo annuale di sterilizzare 650mila donne e 12mila uomini. Per il 2013 vuole costruire più di 12mila campi per la sterilizzazione femminile. Le donne sono "protagoniste" di queste campagne per via della cultura ancora patriarcale e maschio-centrica dell'India. "Gli uomini - afferma Sona Sharma, direttore congiunto del gruppo per i diritti umani Population Foundation of India - temono di perdere la loro virilità o di diventare deboli se sottoposti all'operazione. In quanto capifamiglia, decidono loro". Secondo dati delle Nazioni Unite, il 49% delle coppie in India cerca di controllare le nascite. Di questo gruppo, circa 3/4 lo fanno sterilizzando la moglie. L'India è stato il primo Paese al mondo a introdurre politiche che avevano il chiaro obiettivo di ridurre la popolazione, per contrastare la fame diffusa dopo l'indipendenza. Era il 1952. Oggi il Paese esegue il 37% di sterilizzazioni femminili di tutto il mondo, anche più della Cina (34%). In modo paradossale, le massicce campagne di sterilizzazione non hanno sortito gli effetti desiderati: anche se la popolazione è cresciuta del 17,6% nell'ultimo decennio - il 4% in meno rispetto alla decade precedente - ogni anno nascono in media 18 milioni di bambini in più. Su scala mondiale, un neonato su cinque viene dall'India. (R.P.)
Israele dà il via ad altre 675 unità abitative illegali in Cisgiordania
◊ Il governo israeliano approva altri 675 nuove unità abitative a Itamar, insediamento situato a circa 10 km a sud di Nablus (West Bank). A confermarlo è il quotidiano israeliano "Yediot Ahronot". Il piano di costruzione, che aumenta del 100% l'espansione della colonia, è stato approvato dall'ex ministro della Difesa Ehud Barak prima delle elezioni parlamentari. Il problema degli insediamenti illegali in Cisgiordania - riporta l'agenzia AsiaNews - è in queste settimane al centro di un dibattito fra l'esecutivo conservatore guidato da Benjamin Netanyahu e il segretario di Stato statunitense che in questi mesi sta tentando una ripresa del dialogo fra Israele e l'Autorità palestinese. Invece di congelare la costruzione delle colonie, fondamentale per una ripresa dei negoziati, il governo va avanti con una politica di demolizioni, confische e appropriazione di territori palestinesi. Nei giorni scorsi i militari israeliani hanno espulso dalle loro abitazioni otto famiglie (53 persone) del villaggio all'insediamento di Atarot (West Bank). Secondo Peace Now, movimento israeliano per i diritti umani e il dialogo israelo-palestinese, "Netanyahu ha deciso di cambiare le regole e rovina ogni possibilità di far rivivere i colloqui. Il governo è diventato dipendente dalla costruzione di insediamenti al di fuori del territorio israeliano. Toccherà alla popolazione di Israele pagare il costo diplomatico e finanziario di queste politiche". Nonostante le pressioni dell'Onu e della comunità internazionale sulla fine dell'occupazione, le colonie illegali fioriscono da decenni nella West Bank e attorno a Gerusalemme est. Almeno 500mila coloni israeliani vivono in più di 100 insediamenti costruiti dopo l'occupazione del 1967. (R.P.)
Terra Santa: ordinati due sacerdoti del Seminario "Redemptoris Mater" di Galilea
◊ Domenica scorsa il patriarca mons. Fouad Twal ha ordinato due nuovi presbiteri per il patriarcato Latino di Gerusalemme, provenienti dal Seminario “Redemptoris Mater” della Galilea: Carlos Ceballos Medina, originario della Bolivia, e Cristian David Carreño Hinestrosa, originario della Colombia. I due sacerdoti novelli hanno esercitato il loro ministero diaconale rispettivamente nelle parrocchie latine di Smakieh (Giordania) e di Bir Zeit (Palestina). Da poco sono stati nominati vicari parrocchiali di Sweifieh (Amman) e di Fuhais, in Giordania. Al rito di Ordinazione, che avuto luogo nel Centro Internazionale “Domus Galilaeae”, hanno concelebrato mons. Elias Chacour, arcivescovo greco-cattolico della Galilea; mons. Yousef Jules Zrey, vescovo greco-cattolico di Gerusalemme e mons. Ignace Boutros Abd-el-Ahad, patriarca emerito siro-cattolico. La liturgia, in lingua araba, è stata celebrata in un clima di grande gioia e gratitudine al Signore. All’inizio della celebrazione, don Francesco Giosuè Voltaggio, rettore del Seminario, ha salutato i presenti: oltre ai formatori del seminario, don Rino Rossi e l’équipe responsabile del Cammino neocatecumenale in Terra Santa, i due padrini dei due sacerdoti, don Louis Hazboun e don Vito Vacca, il rettore del Seminario Patriarcale di Bet Jala, don Adib Zoomot, accompagnato da alcuni seminaristi, il Cancelliere del patriarcato, don George Ayoub, e vari parroci della Terra Santa, sacerdoti latini e greco-cattolici e greco-ortodossi, religiosi e religiose, membri di vari movimenti ecclesiali, alcune autorità civili e circa cinquecento fedeli della Terra Santa. Alla celebrazione hanno partecipato anche alcuni familiari dei due presbiteri e una rappresentanza dei fratelli delle comunità neocatecumenali in cui è nata la loro vocazione. Incardinati nel patriarcato Latino di Gerusalemme, i due sacerdoti sono nello stesso tempo diocesani, a servizio della chiesa locale, e missionari, disposti a essere inviati dal patriarca alle chiese in necessità del Medio Oriente e del mondo intero. Mons. Fouad Twal, infatti, ha voluto erigere tale seminario, affinché la chiesa madre di Gerusalemme dia il suo prezioso contributo alla missione universale della Chiesa. Nell’omelia, il patriarca Twal ha evidenziato le caratteristiche essenziali del presbitero: essere servo della Parola di Dio, in collaborazione con il vescovo, annunciando il Vangelo a tutte le genti; essere servo dei sacramenti della salvezza, del culto divino e della preghiera; essere pastore del popolo di Dio e custode dell’amore e dell’unità nella bellezza. “La presenza dei seminaristi provenienti da tutte le parti del mondo in Galilea e in Terra Santa - ha affermato il patriarca - ci dà la dimensione mondiale della nostra Chiesa, nella quale il nostro amore non conosce confini. A questo proposito basta ricordare il numero dei seminari “Redemptoris Mater”, per vivere questa dimensione mondiale”. Infine, egli ha rivolto il seguente augurio: “Ringrazio e faccio gli auguri anche al Cammino Neocatecumenale che dona alla Terra Santa i primi due presbiteri che lavoreranno nella chiesa di Gerusalemme. Da Gerusalemme è partita l’evangelizzazione e qui in Galilea ci fu il primo incontro tra il Maestro e gli Apostoli. Da qui, dopo l’incontro con il Risorto, gli Apostoli partirono in tutto il mondo. Da qui, oggi, parte anche la missione dei nostri fratelli presbiteri, il padre Cristian e il padre Carlos. Coraggio, dunque, con fede e zelo sappiate che non siete soli nel combattimento, perché tutta Gerusalemme con i suoi presbiteri e le sue suore - ha concluso il patriarca - è con voi con la preghiera, insieme con tutti i seminari del Cammino in tutto il mondo”. (R.P.)
Colombia: appello della Chiesa per la riforma sanitaria
◊ Il cardinale colombiano Ruben Salazar Gomez ha rivolto un pressante appello alle autorità del governo e al Congresso perché la riforma sanitaria, attualmente in discussione sia effettuata in modo dignitoso, completo e trasparente, al fine di portare cambiamenti reali a beneficio della comunità. "La salute è considerata come una questione economica, l’unico criterio preso in considerazione è il guadagno. Si è perso completamente il senso che essa è un diritto della persona che dovrebbe essere curato e tutelato dallo Stato", ha detto il cardinale Salazar in un comunicato, inviato alla agenzia Fides. Nel documento si denuncia che gli interessi economici privati e la corruzione sono diventati un 'cancro' nel sistema sanitario. Il cardinale auspica che nella riforma del sistema sanitario prevalga "un profondo cambiamento etico per mettere al di sopra di qualsiasi interesse il bene della persona umana, in modo preferenziale i più poveri". In Colombia il servizio sanitario è in gran parte in mano a privati e renderlo completamente a carico dello Stato risulta difficilmente possibile. È in discussione un sistema misto, pubblico – privato, che prenda in considerazione le possibilità economiche di ogni cittadino. Nel frattempo sono i più poveri a pagare le forti limitazioni dell’attuale sistema. (R.P.)
Zambia. La Chiesa: una nuova Costituzione al servizio della promozione umana
◊ “Anche se non possiamo mangiarla, una buona Costituzione ci garantisce che ci sia cibo sulle nostre tavole, medicine nei nostri ospedali e un’educazione di qualità nelle nostre scuole” ha affermato padre Cleophas Lungu, Segretario generale della Conferenza episcopale dello Zambia, durante un incontro delle organizzazioni non governative impegnate nel seguire il processo di revisione costituzionale. Padre Lungu ha voluto così sottolineare che per la Chiesa cattolica la nuova Costituzione non deve essere fine a se stessa, ma deve essere un ulteriore passo per la promozione umana, specialmente dei più poveri. “Lo Zambia non può più permettersi di vedere sperperate ulteriori risorse nazionali. Sì, noi vediamo la nuova Costituzione come uno strumento di sviluppo sociale, economico e politico”. Per questo motivo, il Segretario generale della Conferenza episcopale ha espresso apprezzamento per l’accordo raggiunto dalle organizzazioni della società civile (con le quali collabora la Chiesa cattolica) per stabilire gli standard minimi che la nuova Costituzione dovrà rispettare, che saranno poi trasmessi al comitato incaricato di redigerla. “Dobbiamo rimanere vigilanti e in allerta” ha aggiunto padre Lungu. “Le esperienze passate hanno dimostrato che non possiamo affidare l’intero processo di revisione costituzionale nelle mani dei politici. Ricordatevi che gli eventi malvagi accadono quando le persone buone rimangono in silenzio”. Lo Zambia ha rivisto la sua Costituzione quattro volte dal 1964, anno dell'indipendenza dalla Gran Bretagna, perché i successivi governi hanno rimodellato la Carta Costituzionale per mettere a tacere i partiti di opposizione e mantenersi al potere. Quella in discussione, se approvata, diventerebbe la quinta Costituzione del Paese in mezzo secolo di indipendenza. (R.P.)
Europa: il 24 giugno al via la “Settimana della speranza”, promossa dalla Comece
◊ Dal 24 al 27 giugno si terrà a Bruxelles, in Belgio, la “Settimana della Speranza”, organizzata dalla Comece (Commissione degli Episcopati della Comunità Europea) per commemorare il 10.mo anniversario dell’Esortazione Apostolica “Ecclesia in Europa”, siglata da Giovanni Paolo II il 28 giugno 2003. “L’iniziativa – si legge in una nota della Comece – mira a ridare speranza in un momento molto difficile in cui la visione dei ‘padri fondatori’ viene eclissata dalle conseguenze drammatiche della crisi economica e dagli spettri crescenti del nazionalismo, del populismo e della xenofobia”. Durante la Settimana, si alterneranno momenti di preghiera nella Cappella dell’Europa e numerosi dibattiti, tra cui uno dedicato a don Pino Puglisi, il sacerdote siciliano ucciso dalla mafia e beatificato il 25 maggio scorso. L’iniziativa si concluderà con una “Messa per l’Europa” presieduta del nunzio apostolico presso l’Unione Europea, mons. Alain Lebeaupin, nella Chiesa di Notre-Dame di Sablon. (I.P.)
Germania: i vescovi lanciano un appello per le vittime delle inondazioni in Nord Europa
◊ Il portavoce della Conferenza episcopale, l’arcivescovo Robert Zollitsch, lancia un appello per la raccolta di fondi in favore delle persone colpite dalle recenti alluvioni in Germania. Come riferiscono i notiziari tedeschi, migliaia di persone hanno perso le proprie abitazioni a causa delle alluvioni che hanno colpito vaste aree della Germania. Aziende e scuole giacciono sommerse e molti edifici pubblici o della Chiesa sono chiusi. Molti sono coloro che si trovano in stato di bisogno. Molte azioni di aiuto sono state già avviate sia da parte istituzionale che di natura privata. Le associazioni ecclesiali e laiche hanno promesso anche aiuti finanziari. Tra le iniziative di solidarietà con le persone colpite rientra anche la preghiera svolta durante il Congresso eucaristico di Colonia. In ragione dell’emergenza destinata a durare ancora molte settimane la Conferenza episcopale lancia un nuovo appello alla generosità e alla solidarietà. La richiesta di offerte riguarda non soltanto le persone colpite in Germania, ma anche le vittime delle inondazioni in Slovacchia, repubblica Ceca e Ungheria. (A cura di Stefano Leszczynski)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 164