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Sommario del 10/06/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: le Beatitudini non sono un mero elenco, per capirle bisogna aprire il cuore
  • Venerdì il primo incontro tra Papa Francesco e il primate anglicano Welby
  • Il Papa ricorda Carlo Urbani: morì 10 anni fa di Sars individuandone il virus. Intervista con la madre
  • Udienze e nomine di Papa Francesco
  • Nel segno del dialogo interreligioso: visita del card. Tauran nel Regno Unito
  • Amman, incontro dei media arabi cristiani "a servizio della pace" alla presenza di mons. Celli
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Turchia: nuovi scontri, il premier Erdogan parla di pazienza al limite
  • Tensione in Libano: esplosione sull’autostrada tra Beirut e Damasco
  • Escalation di violenza in Nigeria, Boko Haram continua a colpire
  • Riprende il dialogo tra le due Coree: in settimana il primo vertice dal 2007
  • Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza: in Italia un milione e 800 mila minori in povertà
  • Colonia, concluso il Congresso eucaristico tedesco, 20 mila i partecipanti
  • Celebrato al Cairo il 60.mo dell'Istituto Domenicano di Studi Orientali
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Sri Lanka: attaccata una chiesa cattolica. Profanato il tabernacolo: il miracolo delle ostie
  • Pakistan: ancora abusi contro i cristiani nel Punjab
  • India: nuovo rapporto sui risarcimenti ingiusti ai cristiani dell’Orissa
  • Gran Bretagna: in 45 mila ad Hyde Park per dire no alla fame
  • Francia: rito di riparazione dopo la profanazione della cattedrale di Nantes
  • Mali: negoziati positivi tra Bamako e tuareg
  • Niger: si è insediato a Nyamei il primo vescovo nigerino
  • Messico: don Solalinde contesta la schedatura dei migranti
  • El Salvador. “Difendiamo la nostra acqua”: appello di mons. Escobar
  • Spagna: messaggio dei vescovi per la Giornata del Traffico
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: le Beatitudini non sono un mero elenco, per capirle bisogna aprire il cuore

    ◊   La vera libertà nasce dall’aprire la porta del cuore al Signore: è quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha affermato che la salvezza è vivere nella consolazione dello Spirito Santo, non nella consolazione dello spirito del mondo. Alla Messa - concelebrata dal cardinale Stanislaw Rylko, da mons. Josef Clemens e da mons. George Valiamattam, arcivescovo indiano di Tellicherry - ha preso parte un gruppo di sacerdoti e collaboratori del Pontificio Consiglio per i Laici. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Cos’è la consolazione per un cristiano? Papa Francesco ha iniziato la sua omelia osservando che San Paolo, all'inizio della seconda Lettera ai Corinzi, utilizza numerose volte la parola consolazione. L’Apostolo delle Genti, ha aggiunto, “parla ai cristiani giovani nella fede”, persone che “hanno incominciato da poco la strada di Gesù”. E insiste proprio su questo, anche se “non erano tutti perseguitati”. Erano persone normali, “ma avevano trovato Gesù”. Proprio questo, ha affermato, “è un cambiamento di vita tale che era necessaria una forza speciale di Dio” e questa forza è la consolazione. La consolazione, ha detto ancora, “è la presenza di Dio nel nostro cuore”. Ma, ha avvertito, perché il Signore “sia nel nostro cuore, è necessario aprire la porta”, è necessaria la nostra “conversione”:

    “La salvezza è questo: vivere nella consolazione dello Spirito Santo, non vivere nella consolazione dello spirito del mondo. No, quella non è salvezza, quello è peccato. La salvezza è andare avanti e aprire il cuore, perché venga questa consolazione dello Spirito Santo, che è la salvezza. Ma non si può negoziare un po’ di qua e un po’ di là? Fare un po’ una macedonia, diciamo, no? Un po’ di Spirito Santo, un po’ di spirito del mondo... No! Una cosa o l’altra”.

    Il Signore, ha proseguito, lo dice chiaramente: “Non si possono servire due padroni: o si serve il Signore o si serve lo spirito del mondo”. Non si possono “mischiare”. Ecco allora che, quando siamo aperti allo Spirito del Signore, possiamo capire la “nuova legge che il Signore ci porta”: le Beatitudini, di cui narra il Vangelo odierno. Queste Beatitudini, ha soggiunto, “soltanto si capiscono se uno ha il cuore aperto, si capiscono dalla consolazione dello Spirito Santo”, mentre “non si possono capire con l’intelligenza umana soltanto”:

    “Sono i nuovi comandamenti. Ma se noi non abbiamo il cuore aperto allo Spirito Santo, sembreranno sciocchezze. ‘Ma, guarda, essere poveri, essere miti, essere misericordiosi non sembra una cosa che ci porti al successo’. Se non abbiamo il cuore aperto e se non abbiamo gustato quella consolazione dello Spirito Santo, che è la salvezza, non si capisce questo. Questa è la legge per quelli che sono stati salvati e hanno aperto il loro cuore alla salvezza. Questa è la legge dei liberi, con quella libertà dello Spirito Santo”.

    Uno, ha detto Papa Francesco, “può regolare la sua vita, sistemarla su un elenco di comandamenti o procedimenti”, un elenco “meramente umano”. Ma questo “alla fine non ci porta alla salvezza”, solo il cuore aperto ci porta alla salvezza. Ha così rammentato che tanti erano interessati a “esaminare” la “dottrina nuova e poi litigare con Gesù”. E ciò accadeva perché “avevano il cuore chiuso nelle loro cose”, “cose che Dio voleva cambiare”. Perché, dunque, si chiede il Papa, ci sono persone che “hanno il cuore chiuso alla salvezza?” Perché, è la sua risposta, “abbiamo paura della salvezza. Abbiamo bisogno, ma abbiamo paura”, perché quando viene il Signore “per salvarci dobbiamo dare tutto. E comanda Lui! E di questo abbiamo paura”, perché “vogliamo comandare noi”. E ha aggiunto che, per capire “questi nuovi comandamenti”, abbiamo bisogno della libertà che “nasce dallo Spirito Santo, che ci salva, che ci consola” e “dà la vita”:

    “Possiamo oggi chiedere al Signore la grazia di seguirlo, ma con questa libertà. Perché se noi vogliamo seguirlo con la nostra libertà umana soltanto, alla fine diventeremo ipocriti come quei farisei e sadducei, quelli che litigavano con Lui. L’ipocrisia è questo: non lasciare che lo Spirito cambi il cuore con la sua salvezza. La libertà dello Spirito, che ci dà lo Spirito, anche è una sorta di schiavitù, una ‘schiavitù’ al Signore che ci fa liberi, è un’altra libertà. Invece, la libertà nostra soltanto è una schiavitù, ma non al Signore, ma allo spirito del mondo. Chiediamo la grazia di aprire il nostro cuore alla consolazione dello Spirito Santo, perché questa consolazione, che è la salvezza, ci faccia capire bene questi comandamenti. Così sia!"

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    Venerdì il primo incontro tra Papa Francesco e il primate anglicano Welby

    ◊   Un incontro per conoscersi personalmente e pregare per la prima volta insieme. Trascorrerà così l’udienza che, venerdì prossimo, Papa Francesco concederà all’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, primate della Chiesa anglicana. In un comunicato del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, si precisa che il capo della Comunione anglicana visiterà la tomba di San Pietro sotto la Basilica e, esaudendo una "sua particolare richiesta", pregherà presso la tomba del Beato Giovanni Paolo II. Philippa Hitchen ha parlato dell’avvenimento con mons. Mark Langham, incaricato dei rapporti con gli anglicani del dicastero vaticano:

    R. – Sarà per loro soprattutto un momento di incontro di cui potranno approfittare per conoscersi un po’ meglio. Quindi, sarà un momento per scambiare informazioni, per conoscere i loro programmi, per incontrarsi come uomini di Dio e leader, tutti e due, di cristiani nel mondo. Sarà quindi un momento di introduzione, penso …

    D. – I loro predecessori – Papa Benedetto e l’arcivescovo Rowan Williams – erano due grandi intellettuali, due grandi teologi. Loro due, adesso – Papa Francesco e l’arcivescovo Welby – sembrano due uomini forse più incentrati sull’aspetto pratico, sulla Chiesa in mezzo alla gente …

    R. – Sì, davvero. Mi ha colpito come sia l’arcivescovo sia il Santo Padre abbiano questa attenzione interessante e molto forte per i poveri e gli emarginati, su quelli che hanno bisogno dell’aiuto della Chiesa. Per loro, la missione della Chiesa è soprattutto andare verso i margini, verso la gente povera, di cambiare la vita. Per loro la fede non è una cosa soltanto privata, ma deve cambiare il mondo, deve cambiare la società. L’arcivescovo Welby ha una grande esperienza del mondo economico: lui lavorava a Londra nel sistema bancario. E quindi, il suo interesse è incentrato sostanzialmente sulla giustizia nel mondo della finanza. Quindi, penso che ci siano grandi temi, grandi argomenti che possano avere in comune.

    D. – Sul piano strettamente teologico, lei è tornato da poco dall’ultima sessione dell’Arcic che si è tenuta in Brasile. Che cosa possiamo aspettarci sul piano teologico: ci sono punti sui quali possono esserci progressi imminenti?

    R. – Non ci saranno grandi sviluppi o sorprese, penso. E’ un momento di riflessione, di approfondimento nel nostro dialogo. Noi abbiamo pensato che abbiamo tanto in comune: una storia, una tradizione, un fondamento teologico in comune. Ma ad un certo momento c’è una differenza: il modo in cui utilizziamo questi fondamenti – la Scrittura, la tradizione comune... Quindi, dobbiamo interrogarci sul modo in cui utilizziamo, leggiamo la Scrittura e la tradizione e chiederci perché noi facciamo cose diverse, considerando che alle origini abbiamo una tradizione comune. Quindi, ci si interroga sui meccanismi secondo i quali prendiamo determinate decisioni, e in cosa differiscono.

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    Il Papa ricorda Carlo Urbani: morì 10 anni fa di Sars individuandone il virus. Intervista con la madre

    ◊   “Ho fatto dei miei sogni la mia vita e il mio lavoro”. Scriveva così Carlo Urbani, il medico italiano che dieci anni fa, all’età di 47 anni, moriva di Sars in Vietnam dopo aver individuato il virus e salvato il Sudest asiatico dalla pandemia. “Non sapremo mai quanti milioni di vite ha salvato”, commentava l’allora segretario generale Onu, Kofi Annan. In occasione del decennale dalla scomparsa, Papa Francesco in un messaggio rende grazie a Dio per il bene operato da Urbani e incoraggia a proseguirne l’opera. “Tutta la vita di Carlo, fin da bambino, fu improntata alla fede e al servizio del prossimo”, ricorda la madre Maria Concetta Scaglione Urbani in questa intervista di Paolo Ondarza:

    R. – Non accetto la parola “morte”: per me Carlo continua a vivere, vedendolo attraverso i suoi figli, coltivandone quei valori che sono eterni e che costituiscono una testimonianza perché altri possano camminare adottandoli. La sua fu una vita attenta agli altri, disponibile a partecipare ad associazioni come l’Unitalsi, campi di lavoro di "Mani Tese". C’è stata sempre questa ricerca di vivere con gli altri e per gli altri.

    D. – L’esemplarità di suo figlio va oltre l’aver dato la vita a 47 anni, cioè è iniziata ben prima…

    R. – Esatto. Sottolineiamo anche un’altra grande virtù che è il suo carisma: il saper coinvolgere gli altri. Gli altri erano i suoi compagni di gioco, i suoi amici, i compagni di scuola…

    D. – Una testimonianza cristiana, che poi si è palesata ancor di più, in particolare dieci anni fa, quando di fronte al dilagare della Sars e di fronte anche alla possibilità di tornare in Italia, lui scelse di restare in Vietnam, ponendo a rischio la sua vita…

    R. – Premesso che è andato in Vietnam con una bimba che aveva solo due mesi, quando poi ha capito l’entità dell’epidemia ha invitato la moglie Giuliana e i tre figli a tornare in Italia. I ragazzi tornarono, ma Giuliana volle restare vicino a lui fino alla fine.

    D. – L’allora segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan, scrisse: “Non sapremo mai quanti milioni di vite ha salvato”. Questo “tutelare la vita” è la sua eredità più grande…

    R. - Infatti, difendere la vita per gli altri. Il sogno di Carlo era quello di aiutare gli altri. Ma aiutare gli altri non in un senso solo di abnegazione, perché lui lo sentiva nel cuore: perché così si arricchiva lui; era il suo cuore che gioiva, era la sua disponibilità. Poi Carlo - riferendosi a quei Paesi nei quali ha riversato tutto il suo amore, la sua professionalità, la sua umanità - aveva chiesto che per tutti fosse difeso il diritto alla dignità e alla salute.

    D. – In questa chiave si può leggere anche il suo impegno contro le speculazioni del mercato dei farmaci…

    R. – Il messaggio di Carlo: “Ho fatto dei miei sogni la mia vita e il mio lavoro”. Allora, ognuno di noi rifletta sul fatto che si sogna fin da ragazzini ed il lavoro è il nostro cammino per il quale possiamo essere utili agli altri, ma soprattutto arricchire anche noi stessi.

    D. – C’è una caratteristica che rende nobile qualunque lavoro di responsabilità come quello che era svolto da suo figlio: il servizio. Per Carlo Urbani, essere medico significava servire…

    R. – Significava servire. Quando a "Medici Senza Frontiere" hanno dato il Nobel per la pace, Carlo mi ha telefonato: “Mamma accendi la televisione! Ci hanno dato lo stesso premio che avevano assegnato a Madre Teresa di Calcutta”. I testimoni debbono servire perché siano di esempio, non per qualcosa che ci deve commuovere e basta. Secondo me, va ricordata la figura di Carlo come testimone di valori che debbono essere coltivati.

    D. – Non morendo, ma, come lei ha giustamente specificato, donando la vita suo figlio ha lasciato una famiglia, ha lasciato lei, ha lasciato la moglie e tre figli…

    R. – Ha lasciato una testimonianza, un impegno nel volontariato che coltivano i fratelli di Carlo, che continua la moglie di Carlo. Con emozione da qualche tempo, il figlio maggiore, Tommaso, parla testimoniando la sua vita accanto al padre. Aveva 16 anni quando Carlo è passato ad altra vita. Tommaso ne continua a parlare come padre. In casa lo ricordiamo come medico, marito, padre e figlio meraviglioso.

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    Udienze e nomine di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: il signor Mariano Palacios Alcocer, Ambasciatore del Messico presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali e il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. E ancora: Mons. Javier Echevarría Rodríguez, Vescovo tit. di Cilibia, Prelato della Prelatura personale dell'Opus Dei; la signora Anna Suchocka, Ambasciatore di Polonia, in visita di congedo; il signor Almir Franco de Sá Barbuda, Ambasciatore del Brasile, in visita di congedo e il signor Alejandro Emilio Valladares Lanza, Ambasciatore di Honduras, in visita di congedo.

    In Sud Africa, Papa Francesco ha nominato Vescovo della diocesi di Polokwane il Rev.do Jeremiah Madimetja Masela, del clero di Polokwane, attuale Amministratore Apostolico della diocesi.

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    Nel segno del dialogo interreligioso: visita del card. Tauran nel Regno Unito

    ◊   Affermare e rafforzare le relazioni interreligiose: con questo obiettivo, inizia oggi pomeriggio la visita nel Regno Unito del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del dicastero per il Dialogo Interreligioso. Durante la visita, che durerà sino al 16 giugno e riguarderà le città di Londra e Birmingham, il porporato incontrerà le comunità Sikh, Giainista e Induista del Paese e farà visita ai loro principali luoghi di culto. Tre gli eventi in programma, a partire da domani, che vedranno gli interventi del cardinale Tauran assieme ai leader delle altre religioni, incentrati in particolare sul tema della pace e della non violenza. Sempre domani, inoltre, il porporato parteciperà all’incontro di preghiera interreligioso “Insieme in preghiera per la pace”, nella Cattedrale di Westminster. La visita si concluderà con la Messa, presieduta dal cardinale Tauran, nella Cattedrale londinese di Westminster, domenica prossima. (A.G.)

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    Amman, incontro dei media arabi cristiani "a servizio della pace" alla presenza di mons. Celli

    ◊   Usare i media per costruire ponti di pace può essere un argomento decisivo in aree come il Medio oriente. Con questa idea di fondo si apre oggi ad Amman, in Giordania, un Seminario per vescovi, sacerdoti e laici sul tema “I media arabi cristiani al servizio della giustizia, della pace e dei diritti umani”, che vedrà la partecipazioni di esperti delle varie Chiese locali. Tra le personalità di spicco, il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, e l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Philippa Hitchen lo ha intervistato:

    R. – Ritengo che la comunicazione nella Chiesa non abbia solamente una funzione di trasmissione di notizie o di creazione di legami, ma abbia una dimensione ancora più profonda che è quella “comunionale”. Nella Chiesa, la comunicazione ha una funzione di comunione ecclesiale. Allora, direi che l’esigenza di dover annunciare Gesù nel mondo di oggi ci aiuta a superare quelle distinzioni che possiamo avere legate ai rispettivi riti o alle tradizioni ecclesiali. Il problema è vedere come insieme siamo capaci di stabilire un dialogo rispettoso con gli uomini e le donne di oggi, che possono essere anche non cristiani – lei immagini in questo contesto mediorientale. La Chiesa sente veramente il bisogno di essere se stessa e nello stesso tempo di assumere una dimensione di annuncio, di proposta. Così come diceva Papa Benedetto XVI: un dialogo rispettoso con la verità degli altri e anche – diciamo così – con le dimensioni religiose degli altri. Allora, credo che nel cammino che stiamo facendo nel mondo di oggi ci debba essere, da un lato, una grande consapevolezza di ciò che siamo: sappiamo che apparteniamo a Gesù Cristo, che siamo una sola cosa con Lui, ma nello stesso tempo è proprio in Gesù Cristo che dobbiamo essere aperti a tutto. E’ molto bello ciò che diceva alcuni giorni fa Papa Francesco, quando rispondeva ad alcune domande postegli dai rappresentanti dei vari movimenti laicali, ricevuti alla vigilia di Pentecoste: parlava di una cultura dell’amicizia, di una cultura dell’incontro. Il che vuol dire una Chiesa che non è arroccata su se stessa o in se stessa, quasi – direi – dovendosi difendere da chissà quali attacchi, ma una Chiesa che si apre, una Chiesa che sa dialogare con il mondo.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Dio ama come una madre: all’Angelus Papa Francesco parla del mese dedicato al Cuore di Gesù simbolo della misericordia. E in due distinti messaggi rilancia l’importanza della Messa domenicale e dei dieci comandamenti.

    Gli elementi chiave per l’accesso ai farmaci: l’intervento pronunciato a Ginevra dall’arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite e Istituzioni specializzate, alla XXIII Sessione Ordinaria del Consiglio dei Diritti dell’Uomo.

    E l'occhio del fotografo divenne ottimista: Gaetano Vallini recensisce la mostra «Genesi» di Sebastião Salgado, inaugurata a Roma, intervistandone anche l’autore.

    Silvia Guidi a colloquio con Andreij Končalovskij, che ha diretto la Bisbetica domata alla sesta edizione del Napoli Teatro Festival Italia.

    Marcello Filotei sul Ballo di Verdi, diretto da Antonio Pappano a Santa Cecilia a Roma.

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    Oggi in Primo Piano



    Turchia: nuovi scontri, il premier Erdogan parla di pazienza al limite

    ◊   In Turchia, è stata una notte di tensione con nuovi scontri ad Ankara tra polizia e manifestanti anti-governativi; 13 gli arresti ad Adana, nel Sud del Paese, per i messaggi diffusi su twitter che avrebbero incitato alla violenza. E mentre da Gezi Park i manifestanti fanno appello alla comunità internazionale, il premier Erdogan ha parlato di "pazienza al limite". Emanuela Campanile ha raccolto in proposito il commento di Germano Dottori, docente di studi strategici alla Luiss-Guido Carli di Roma:

    R. – E’ molto difficile che Erdogan possa andare fino in fondo su questa strada perché credo che ci siano opposizioni interne allo stesso partito di governo, l’Akp. In particolare, se Erdogan è disponibile e intenzionato a reprimere con la forza queste proteste, sulla lunghezza d’onda completamente opposta è il presidente Gul, che si sta proponendo sempre più nettamente come un rivale per la guida dell’Akp. Credo che questo poi sarà il vero risultato finale. Probabilmente, da quanto sta accadendo ad Ankara, Istanbul, Smirne, le altri grandi città della Turchia, condurrà a un cambiamento degli equilibri interni all’Akp. Non credo che l’Akp perderà il potere, non credo neanche che in Turchia possa verificarsi una situazione di carattere rivoluzionario ma qualcosa cambierà dentro il maggiore partito politico turco.

    D. – Però è anche ambivalente l’atteggiamento di Erdogan, il quale prima chiede un intervento internazionale contro il regime di Damasco e poi cerca di dominare la situazione nel suo Paese con il "pugno di ferro"?

    R. – Io credo che tra le due cose ci sia una connessione perché, a mio avviso, sono proprio il fallimento del tentativo di Erdogan di provocare un intervento militare, umanitario, contro il regime di Damasco, e uno sviluppo ulteriore che si è verificato negli ultimi mesi e cioè la riappacificazione con Israele promossa dal presidente americano Obama, ad aver messo in crisi questo disegno di fare della Turchia il Paese leader del mondo musulmano sunnita. A quel punto, in crisi il processo islamico in campo internazionale, a mio avviso, Erdogan ha puntato sull’islamizzazione interna. E’ lì che ha suscitato resistenze e proteste. Quindi, al di là dell’ambiguità e della duplicità che peraltro sono spesso una caratteristica intrinseca della politica, io credo che ci sia un rapporto tra i due fenomeni di questo tipo: fallimento della politica internazionale in senso islamico, tentativo di riproporlo all’interno e forti resistenze conseguenti nell’opinione pubblica.

    D. – Un piccolo accenno storico per chiudere: dalla caduta dell’impero ottomano secondo lei la Turchia ha avuto difficoltà a trovare una propria identità, una nuova identità?

    R. – Diciamo che la Turchia ad opera di Atatürk ha avuto un cambio di identità che a quanto pare ha preso abbastanza in profondità al punto che il tentativo adesso di tornare indietro, in realtà, sta suscitando resistenze e questo è un passo veramente interessante. In qualche modo, è anche un test per la validità o non validità delle teorie sostenute da Samuel Huntington, il quale proprio della Turchia aveva fatto un caso emblematico della persistenza dei valori politico-religiosi, anche rispetto al tentativo di modificare la cultura fondamentale di un Paese. Vedremo quello che succede.

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    Tensione in Libano: esplosione sull’autostrada tra Beirut e Damasco

    ◊   Un'esplosione si è verificata nella valle libanese della Bekaa, nei pressi di Tanayel, lungo l'autostrada internazionale Beirut-Damasco. Fonti di stampa locali sostengono che il bersaglio doveva essere un convoglio di miliziani del movimento sciita Hezbollah. Ieri, a Beirut, durante una manifestazione di protesta contro il coinvolgimento proprio di Hezbollah in Siria, un giovane attivista era stato ucciso durante gli scontri di fronte all’ambasciata iraniana. Della tensione in Libano in relazione al conflitto siriano, Fausta Speranza ha parlato con Francesca Maria Corrao, docente di mondo arabo all’Università Luiss:

    R. – E’ da un po’ di tempo che la situazione di tensione tende ad aggravarsi, nel Nord del Paese, dove ci sono stati scontri perché nella città di Tripoli ci sono i sunniti che sostengono i ribelli contro Assad, invece gli sciiti sostengono Assad. Noi abbiamo una visione un po’ a macchia di leopardo, perché le informazioni sono discontinue. Tuttavia, dobbiamo ricordare che il Libano è uno Stato che in epoca ottomana faceva parte della Siria, dunque i due Paesi hanno una lunga storia di non-confini, confini che poi sono stati imposti alla fine del colonialismo. Anche all’interno del Paese, i partiti nascono come emanazione dei gruppi etnici e religiosi e dunque questo tipo di configurazione risponde a ideologie che si rifanno a una spiritualità spesso manipolata dalla politica.

    D. – Il coinvolgimento più diretto con il conflitto siriano è quello dell’impegno di Hezbollah. Ma c’è tutta una popolazione: secondo lei, come la popolazione libanese sta vivendo questo conflitto alle porte?

    R. – Di fatto, a guardare i giornali libanesi, si vede che la popolazione sta cercando di aiutare i deboli e di sostenere il tessuto sociale. Adesso noi, ad esempio, leggiamo sul giornale di un bombardamento, ma gli effetti poi del bombardamento sono quelli che gestisce la società civile, con aiuti alimentari, con ospitalità, con sostegni anche da parte della mezzaluna rossa e delle altre organizzazioni che aiutano la società civile. Questo è il dramma. Cioè: noi leggiamo di una bomba, di alcuni terroristi, di palazzi caduti ma non immaginiamo che cosa significhi in termini di spostamenti di persone e di difficoltà per la vita normale, che non è tale da due anni ed è sempre più drammatica.

    D. – Diciamo anche che il Libano è un Paese piccolo e di grande ricchezza culturale, ma è anche frutto dell’integrazione di diverse realtà culturali. Quindi, da questo punto di vista è anche a rischio di instabilità …

    R. – Di fatto, il problema è proprio questo: il Libano ha vissuto una guerra civile decennale dalla quale è nato, appunto, Hezbollah e la militarizzazione dei gruppi sciiti. Quindi, è chiaro che la ricchezza culturale, religiosa, etnica del Libano in una fase di crisi può trasformarsi in una pericolosissima bomba esplosiva. Mentre, invece, il Libano è un Paese che nei secoli ha saputo dimostrare la capacità di gestire, appunto, le diversità.


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    Escalation di violenza in Nigeria, Boko Haram continua a colpire

    ◊   In Nigeria, a Maiduguri, teatro in passato di assalti sanguinosi del gruppo islamico Boko Haram, alcuni sospetti militanti hanno ucciso venerdì almeno 13 persone. L’attacco, secondo quanto riferiscono i testimoni, era mirato a colpire presunti informatori delle forze dell’ordine. Il Paese africano da tempo è stretto nella morsa della violenza e non si riesce ad intravedere soluzioni durature. Di quanto sta accadendo in Nigeria, Benedetta Capelli ha parlato con Davide Matteucci, collaboratore della rivista “Africa Affari”:

    R. – Si può dire che in Nigeria, ormai, è in atto una vera e propria insurrezione, nel Nord del Paese, contro il governo centrale. E’ un’insurrezione che ha una matrice islamista estremista, che vede nei Boko Haram – la setta che è nata all’inizio del 2002 – il principale attore, ma la matrice religiosa deve essere considerata secondaria rispetto a quella della divisione del potere e delle risorse. Questo si spiega con la particolare divisione etnica e religiosa che caratterizza la Nigeria, ma soprattutto nella contrapposizione che vede il Sud, molto ricco di risorse petrolifere, con un Nord invece più povero e arido.

    D. – Molti esperti chiedono non soltanto una soluzione militare, ma anche una soluzione che affronti il grave sottosviluppo del Nord. E’ giusta questa lettura?

    R. – E’ sicuramente giusta. In questo momento, in Nigeria, l’amministrazione centrale ha optato per una doppia strategia. Da un lato, alla fine di aprile è stato predisposto un comitato per la ricerca di una soluzione pacifica e per l’avvio di negoziati con i Boko Haram. Dall’altro, a metà maggio, il presidente Jonathan ha dichiarato lo stato d’emergenza nei tre Stati settentrionali considerati le roccaforti dei Boko Haram, inviando truppe speciali che già si sono rese protagoniste di numerosi massacri anche tra i civili, aumentando la capacità del gruppo terrorista di reclutare consenso sul territorio. Sotto l’altro aspetto, invece, sulla via del negoziato, si è ipotizzata un’amnistia, un rilascio dei prigionieri che però non ha sortito ancora alcun effetto, non si è arrivati ad un accordo tra le parti.

    D. – Nigeria, Mali, Sudan: sono tutti scenari nei quali si registrano attacchi di islamisti. C’è un filo rosso che sta legando questa strategia, oppure è qualcosa che nasce proprio all’interno di ogni Paese e quindi si diversifica?

    R. – I due fattori si sovrappongono, in qualche modo: la situazione del Mali è una ricaduta nel caos generato dalla caduta del regime di Gheddafi, sfruttando il fattore endogeno della ribellione Tuareg contro il governo centrale, che è sempre stata latente. In Nigeria, i Boko Haram hanno sicuramente un’agenda nazionale: i loro collegamenti con al Qaeda nel Maghreb islamico sono comunque provati. In questo discorso si possono considerare anche i gruppi terroristi presenti in Somalia. Anche lì, il fattore scatenante è locale ma sicuramente poi tutti questi gruppi che abbiamo nominato hanno collegamenti uno con l’altro, tant’è vero che i componenti degli stessi Boko Haram sono stati trovati in Mali a combattere con le milizie islamiche presenti in quel territorio. Per quanto riguarda la Nigeria, più che i Boko Haram, va considerata l’attività di questo nuovo gruppo Ansaru: questi, a differenza dei Boko Haram, hanno un’agenda più internazionale, sono più direttamente legati ad Al Qaeda.


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    Riprende il dialogo tra le due Coree: in settimana il primo vertice dal 2007

    ◊   Segnali di speranza per i difficili rapporti tra le due Coree. Pyongyang e Seul hanno raggiunto oggi un’intesa per la ripresa dei colloqui di pace ad alto livello, fissando un vertice che si terrà mercoledì e giovedì prossimi in Corea del Sud. Si tratta del primo incontro intergovernativo dal 2007 e le due delegazioni saranno composte da 5 funzionari. Sul tavolo anche la riapertura del complesso industriale di Kaesong e il possibile via libera ai ricongiungimenti familiari. In merito all’intesa Eugenio Bonanata ha raccolto il commento di Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo:

    R. - È una novità importante, perché indubbiamente - dopo mesi di duro confronto in cui la Corea del Nord minacciava di attaccare la Corea del Sud, addirittura di attaccare gli Stati Uniti - oggi ci si ritrova ad un tavolo negoziale. Corea del Nord e Corea del Sud che ricominciano a parlarsi, a confrontarsi dopo che di fatto sembrava di essere sull’orlo di un nuovo conflitto. È anche vero che non è la prima volta che, nel corso di questi anni, si sia proceduto con un processo altalenante: minacce e poi nuovamente negoziati. Come ho avuto modo di dire altre volte, in realtà l’atomica nordcoreana più che un’arma militare è un’arma politica che il regime tende a mettere su un piatto, soprattutto per cercare di avere una contropartita di tipo economico. L’obiettivo è ottenere aiuti per un Paese stremato, che soffre la fame e che peraltro non ha più grandi alleati. Neppure la Cina, cha a suo tempo sosteneva il regime della Corea del Nord, oggi si trova invece in tutt’altre posizioni.

    D. - Durante i colloqui, le due Coree parleranno tra l’altro di questioni umanitarie e di progetti economici comuni. Questo avvalora l’ipotesi della mossa politica da parte di Pyongyang?

    R. - Assolutamente sì, anche perché ricordiamo che la minaccia nucleare nordcoreana nei confronti degli Stati Uniti - che posseggono alcune migliaia di testate nucleari, basate su missili, bombardieri, sottomarini e quant’altro - è una minaccia tutto sommato visibile, anche se drammatica, perché stiamo parlando di armi nucleari. In realtà è anche il nuovo leader nordcoreano - un giovane di 30 anni - che si trova a dover fare questa scelta politica di alzare la voce per cercare poi in realtà di trovare un accordo con forze che altrimenti lo isolerebbero totalmente.

    D. - Il fatto da sottolineare è comunque la posizione della Cina. In queste ore Pechino insieme a Washington ha ribadito la necessità che la Corea del Nord dovrebbe essere denuclearizzata. Quindi, ancora una volta una posizione chiara da parte della Cina…

    R. - Sì. Questo è molto molto importante perché Pechino ha assunto un atteggiamento di estrema collaborazione sul piano internazionale, essendo stato il partner più importante non solo politicamente, ma anche economicamente della Corea del Nord. Avere questo atteggiamento ha una grande influenza sulle posizioni politiche nordcoreane. Quindi, questo certamente aiuterà in un processo del genere. Vedremo se poi effettivamente la Corea del Nord arriverà ad un disarmo nucleare. Questo credo che sia un processo un po’ più complesso, un po’ più difficile.

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    Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza: in Italia un milione e 800 mila minori in povertà

    ◊   In Italia oltre 1.822.000 minori, il 17,6% del totale, vivono in una situazione di povertà relativa. Sono, inoltre, più di 723 mila quelli in povertà assoluta. Questi alcuni dei dati ricordati stamani durante la presentazione della Relazione annuale del Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Vincenzo Spadafora, illustrata alla presenza del presidente del Senato, Pietro Grasso, e del ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Nella classifica del benessere di bambini e adolescenti l’Italia, in base ad una recente indagine dell’Unicef, occupa il 22.mo posto su 29 Paesi definiti ricchi. L’11% dei giovani, tra i 15 e i 19 anni, non sono iscritti a scuola, non lavorano e non frequentano corsi di formazione. Il dato più allarmante riguarda l’indigenza infantile. In Italia il 17,6% dei bambini – ha ricordato il presidente del Senato Pietro Grasso - è sotto la soglia di povertà:

    “Non siamo più di fronte ad un ‘disagio sociale’; dobbiamo parlare di una vera e propria ‘questione sociale’ da porre al centro dell’attenzione e dell’opinione pubblica”.

    Finora – ha aggiunto il Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Vincenzo Spadafora – le politiche adottate sono fallite. In questi anni si è assistito a tagli continui da parte di tutti i governi:

    “La classe dirigente politica del nostro Paese deve cambiare atteggiamento nei confronti dei temi dell’infanzia e dell’adolescenza. Deve avviare un nuovo corso altrimenti noi non solo consegneremo alle nuove generazioni un Paese disintegrato socialmente ma soprattutto noi avremo emarginato, tenuto ai margini, una parte importante del capitale umano del nostro Paese".

    Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, si è soffermata infine su alcuni dati positivi legati alla condizione dell’infanzia in Italia:

    “In positivo vedo il più basso tasso di mortalità infantile d’Europa che dimostra che sul piano sanitario abbiamo lavorato bene ed ancora l’eccellenza della nostra scuola d’infanzia e, in generale, l’ulteriore aumento della scolarizzazione della popolazione italiana che denota l’attenzione al profilo della formazione e della cultura”.

    In Italia, in particolare, la scuola per l’infanzia, fa registrare il sesto tasso di iscrizione prescolare, alla pari con la Norvegia. E’ invece 22.mo il tasso di iscrizione negli istituti per l’istruzione superiore. Gli studenti italiani, infine, sono al 24.mo posto sui 29 Paesi presi in esame dall’indagine Unicef, per il rendimento scolastico.

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    Colonia, concluso il Congresso eucaristico tedesco, 20 mila i partecipanti

    ◊   A Colonia, il Congresso eucaristico nazionale è stato suggellato da una Messa nello stadio della città che ha visto la partecipazione di circa 20 mila fedeli, tra i quali 1.200 chierichetti e 1.000 ragazzi che si stanno preparando alla prima comunione. Anche Papa Francesco è stato virtualmente presente con un messaggio letto dal suo inviato speciale per l’occasione, il cardinale Paul Josef Cordes, e che è stato accolto con grande entusiasmo dai partecipanti. Caloroso anche il saluto del presidente della Conferenza episcopale tedesca, l’arcivescovo Robert Zollitsch, e del cardinale Joachim Meisner, arcivescovo della città che ha ospitato l’iniziativa. Entrambi hanno ringraziato i fedeli per la loro partecipazione attiva alle diverse manifestazioni e hanno espresso la speranza che tutti possano riportare nelle rispettive diocesi la propria fede, rinfrescata e riconfermata.

    Con la Messa, si chiudono cinque giorni di incontri, discussioni e preghiera, ma anche di occasioni di stare amichevolmente insieme: credenti e non, incoraggiati e richiamati dal ricco programma dell’evento a riavvicinarsi alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli. Grande la soddisfazione degli organizzatori che hanno contato 45 mila partecipanti all’evento. Molto buona anche l’atmosfera durante le catechesi e nelle discussioni aperte con i vescovi tedeschi, che sono affluiti numerosi e da tutte le parti della Germania per cogliere l’occasione di scambiare opinioni e punti di vista con i partecipanti al Congresso. Sempre costante nelle preghiere, la grande alluvione che ha colpito soprattutto le regioni del sudest della Germania, sottolineata dall’assenza dei rispettivi vescovi.

    Il Congresso eucaristico, il primo sul suolo tedesco dal 1960, è visto dagli organizzatori anche come un tassello nel loro progetto di dialogo, istituito nella Chiesa tedesca a partire dall’anno 2010, quando la Chiesa universale ha vissuto il grave scandalo degli abusi sessuali del quale si è occupato molte volte Benedetto XVI e, come suo Successore, Papa Francesco. Ora, i vescovi, tornando nelle loro diocesi, vorranno sfruttare l’energia positiva dell’incontro della fede, per continuare il loro dialogo con tutte le persone che sono interessate alla fede o che cercano un modo nuovo di confrontarsi con la Chiesa. (A cura di Christine Seuss)

    A Colonia ha partecipato al Congresso anche un gruppo di italiani. Christine Seuss ha raccolto alcune loro impressioni:

    R. – Siamo venuti qui a Colonia con la nostra comunità. Facciamo parte del Cammino neocatecumenale. Siamo in Germania da diverso tempo e da qualche anno, a Mainz, frequentiamo una comunità del Cammino neocatecumenale.

    D. – Come avete vissuto questi giorni?

    R. – Questi giorni sono stati molti importanti per noi, soprattutto il contatto con le persone. Siamo stati presso una famiglia che ci ha ospitato per dormire, per pernottare, e siamo stati molto bene.

    D. - Cosa vi ha impressionato di più di questa giornata?

    R. – La missione cittadina che abbiamo fatto: passare con la comunità per le strade, cantando e dando le nostre testimonianze sui miracoli che Gesù ha fatto nella nostra vita. E’ stato il momento più emozionante per noi.

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    Celebrato al Cairo il 60.mo dell'Istituto Domenicano di Studi Orientali

    ◊   E' stato celebrato, ieri al Cairo, il 60.mo anniversario dell’Istituto Domenicano di Studi Orientali, importantissimo centro culturale con sede nella capitale egiziana che promuove il dialogo e l’incontro delle culture. Alla cerimonia ufficiale hanno partecipato il nuovo patriarca copto ortodosso d’Egitto, Tawadros, e il grande imam di al-Azhar. Al microfono di Elisa Sartarelli, il direttore dell’Istituto, padre Jean Jacques Pérennès:

    R. – L’Istituto Domenicano di Studi Orientali è stato creato ufficialmente nel 1953. Tuttavia, già dagli anni '40, alcuni padri domenicani studiavano l’islam. Alla fine degli anni ’40 fu fatta poi la domanda da parte della Santa Sede di creare un centro di studio a livello culturale. Si vedeva, infatti, che, a livello religioso, c’era la difficoltà di parlare insieme. Avendo però, a livello culturale, molte cose in comune, l’ordine domenicano ha accettato questa domanda della Santa Sede, e abbiamo creato, 60 anni fa, questo centro di studio dell’islam, dove troviamo un gruppo di 10, 12 domenicani, preparati in lingua araba, avendo seguito dottorati al riguardo, un gruppo di ricercatori, una biblioteca molto importante e diverse attività. Siamo riusciti, durante questi anni, a creare un clima di amicizia, che oggi ci aiuta molto.

    D. – Molto importante per gli studi islamici è la biblioteca dell’Istituto. Quanti volumi ci sono e quanti studenti dell’Università di Al-Azhar la frequentano?

    R. – Abbiamo 155 mila volumi ed anche molte riviste. Gli studenti registrati quest’anno sono un po’ più di quattromila, ma non significa che frequentino tutti i giorni. Non c’è posto. Ogni giorno ne abbiamo 15, 18, 20 o a volte 25 di loro. Sono ricercatori, a livello di master e dottorato. Significa quindi che queste persone fanno una ricerca molto approfondita. Molti vengono dall’Università al-Azhar, ma anche da altre università del Cairo. Abbiamo anche dei professori che vengono da fuori - diversi dall’Italia e anche da Francia e Stati Uniti – che sanno che noi abbiamo questa bellissima biblioteca, dove possono trovare documenti che cercano per il loro lavoro.

    D. – Un dialogo tra cattolici e musulmani che va avanti da 60 anni. Quali sono i progetti per il futuro?

    R. – Il progetto è quello di continuare a lavorare insieme in questo clima di fiducia. Questa è una sfida oggi, perché dopo la "Primavera Araba", da quando sono arrivati i Fratelli Musulmani al governo, c’è un po’ di paura, alcuni hanno paura del futuro. Noi vogliamo pensare che sia possibile continuare a lavorare insieme, a vivere insieme, a sviluppare una vera fiducia.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Sri Lanka: attaccata una chiesa cattolica. Profanato il tabernacolo: il miracolo delle ostie

    ◊   Cresce l'intolleranza religiosa in Sri Lanka: un gruppo di ignoti ha attaccato la chiesa cattolica St. Francis Xavier ad Angulana, nell'arcidiocesi di Colombo. I vandali - riporta l'agenzia AsiaNews - hanno distrutto un'antica statua della Vergine, per poi accanirsi sul tabernacolo: lo hanno staccato dall'altare tentando di dare fuoco all'eucarestia. Il fatto è avvenuto il 5 giugno scorso intorno alle 10 di sera, ma al momento la polizia non ha ancora individuato i colpevoli. Da diversi mesi in Sri Lanka avvengono attacchi contro le minoranze religiose, in particolare cristiana e islamica. In genere si tratta di aggressioni architettate da gruppi di estremisti buddisti (il Bodu Bala Sena o il Sinhala Ravaya), che lottano per proteggere la popolazione buddista e singalese (la maggioranza, ndr) e la sua religione. Simili attacchi sono una novità per il Paese, dove di rado avvengono attacchi di matrice religiosa. Tra i fedeli dell'arcidiocesi c'è molto risentimento per quanto avvenuto. Secondo molti però, proprio durante l'attacco è avvenuto un piccolo miracolo, che ha rinfrancato il loro spirito e rinvigorito la loro fede. Sebbene il tabernacolo sia stato trovato del tutto imbevuto di cherosene - per gli agenti sono stati versati almeno 30 litri - le ostie consacrate non hanno preso fuoco e sono rimaste intatte. "Questo - raccontano alcuni fedeli ad AsiaNews - è un miracolo forte, attraverso il quale Gesù dà un messaggio alla nostra società e a chi compie simili attacchi: nessuno può distruggere Cristo e il suo amore. Perché egli è morto, ha rinunciato alla sua vita per noi e poi è risorto. Nessuno può fargli nulla". (R.P.)

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    Pakistan: ancora abusi contro i cristiani nel Punjab

    ◊   Ai cristiani viene negata loro la dignità di esseri umani: è la denuncia che giunge all’agenzia Fides dal distretto di Kasur, nella provincia del Punjab, distretto già noto per il caso di stupro, tuttora impunito, della 15enne cristiana Fouzia Bibi. L’organizzazione non governativa “Lead” (Legal Evangelical Association Development”), ha segnalato a Fides un altro episodio in cui i cristiani di Kasur subiscono abusi e maltrattamenti da parte dei musulmani. Nei giorni scorsi alcuni musulmani locali hanno abusato, deriso, percosso e umiliato pubblicamente uomini e donne cristiane, lavoratori agricoli o pastori. Come riferito all'agenzia Fides, a scatenare la violenza fisica e psicologica, un banale sconfinamento di alcune greggi del cristiano Shoukat Masih, nelle terre di alcuni musulmani. Gli animali sono stati sequestrati e quando i fedeli sono andati a reclamarli, sono iniziate le percosse. Il 2 giugno alcuni uomini musulmani sono penetrati nella casa di una famiglia cristiana, percuotendo le tre donne Arshad Bibi, Sajida e Saruyia, spogliandole e poi costringendole a girare nude per le strade, mentre venivano derise e molestate, sotto gli occhi di tutti gli abitanti del villaggio, che non sono intervenuti. Lo stesso umiliante trattamento è stato riservato a due anziani cristiani, genitori di Shoukat Masih. Espressa la volontà di denunciare il fatto, “alcuni funzionari di polizia anche hanno fatto irruzione a casa nostra insieme a proprietari musulmani e ci hanno minacciato di coinvolgerci in una causa penale” racconta Shoukat Masih. I fedeli si sono rivolti al rev. Saleem Gill all’Ong “Lead”, guidata dall’avvocato Mushtaq Gill per chiedere assistenza legale. E’ stato così possibile registrare una denuncia ufficiale (“First Inforamtion Report”) sull’accaduto. Altre famiglia cristiane del luogo hanno raccontato di aver subito abusi e maltrattamenti dai proprietari terrieri musulmani, che sono loro datori di lavoro. (R.P.)

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    India: nuovo rapporto sui risarcimenti ingiusti ai cristiani dell’Orissa

    ◊   I cristiani dell’Orissa che hanno subito la violenza e massacri nel 2008 sono vittime di una seconda ingiustizia: i risarcimenti finora stanziati dalle istituzioni sono del tutto inadeguati. Lo denuncia un nuovo Rapporto inviato all’agenzia Fides dalla Chiesa dell’Orissa. Il Rapporto dal titolo “Risarcimenti ingiusti: valutazione del danno alla proprietà privata durante le violenze contro i cristiani a Kandhamal” è stato realizzato da un gruppo di organizzazioni della società civile come il “Centre for Sustainable Use of Social and Natural Resources”, di Bhubaneswar e la “Housing and Land Rights Network” che lo hanno presentato con il sostegno delle Chiese cristiane e della Croce Rossa dell’India. Il Rapporto, inviato a Fides, presenta una valutazione dettagliata valutazione dell’impatto per determinare la reale entità dei danni subiti (in termini di vite umane e di case )in seguito alle violenze anticristiane avvenute in Kandhamal. Nei “pogrom” del 2008 oltre 400 villaggi furono “ripuliti” di tutti i cristiani: più di 5.600 case e 296 chiese sono state bruciate, i morti furono 100 (ma il governo ne riconosce solo 56), migliaia i feriti, diverse donne violentate (fra cui una suora), 56.000 uomini, donne e bambini restarono senza casa. Sono “del tutto insufficienti”, nota il Rapporto, i risarcimenti offerti dal governo dell’Orissa per le persone uccise e per le abitazioni distrutte, nonchè per tutti i beni presenti nelle case (anche documenti, come i certificati scolastici, certificati di proprietà, etc), per la perdita di bestiame e attrezzature agricole. Il Rapporto enumera i beni distrutti e tiene conto anche del cosiddetto “impatto di sfratto”, indicatore che valuta le perdite subite per lo spostamento forzato delle famiglie: le perdite, dice lo studio, “sono immense”. Il testo, con l’appoggio della società civile e della Chiese dell’Orissa, chiede al governo di accettare la nuova valutazione e di stanziare indennizzi adeguati, garantendo “piena riparazione” alle persone che hanno visto la loro vita sconvolta dopo le violenze. Si chiede, in particolare, sostegno finanziario per garantire l’istruzione ai bambini il cui percorso di formazione è stato bruscamente interrotto e si invita il governo dell’Orissa a mettere in atto una “strategia a lungo termine” per proteggere e promuovere la laicità, i diritti umani, l’armonia fra le diverse comunità. (R.P.)

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    Gran Bretagna: in 45 mila ad Hyde Park per dire no alla fame

    ◊   Sono scesi su Londra, da tutta la Gran Bretagna, in 45mila per ricordare ai grandi del mondo che la fame è lo scandalo più grande della nostra epoca. Sabato scorso, ad Hyde park, si è svolta la manifestazione organizzata dalla campagna “If” (Enough food for everyone, Sufficiente cibo per tutti) alla quale hanno preso parte personalità famose come David Beckham e Bill Gates insieme a leader religiosi come il primate cattolico Vincent Nichols e quello anglicano Justin Welby. Lo scopo - riferisce l'agenzia Sir - era di ricordare ai capi di Stato, che si riuniranno a Enniskillen, in Nord Irlanda, il prossimo 17 e 18 giugno, che occorre fare di più per quella persona ogni otto che ogni giorno nel mondo muore di fame. Proprio mentre si svolgeva l’evento il Primo Ministro britannico David Cameron prometteva, durante la riunione del “Nutrition for Growth event” (“Evento Nutrizione per la crescita”) 2,7 miliardi di sterline per combattere la malnutrizione tra adesso e il 2020. Un primo passo avanti, non ancora sufficiente, secondo i sostenitori della campagna “If” che, sempre al mattino di sabato, si sono riuniti nella Westminster central hall, il grande edificio a pochi passi dal parlamento, per una funzione ecumenica durante la quale ha parlato il primate cattolico Vincent Nichols e alla quale ha mandato un messaggio l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby. Il Primate Nichols ha ricordato l’impegno di Papa Francesco per la povertà. (R.P.)

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    Francia: rito di riparazione dopo la profanazione della cattedrale di Nantes

    ◊   Rito di riparazione nella cattedrale di Nantes e ieri mattina si sono potute regolarmente celebrare le messe domenicali. E’ quanto si apprende dal comunicato diffuso tramite l'agenzia Sir, dal vescovo di Nantes mons. Jean-Paul James che esprime indignazione e profonda tristezza a nome della comunità cattolica dopo gli atti vandalici che sono stati compiuti nella notte tra venerdì e sabato nella cattedrale di Saint-Pierre a Nantes in Francia. Dei vandali sono riusciti ad introdursi nella notte all’interno della cattedrale attraverso dei ponteggi ed hanno profanato l’altare e oggetti sacri presenti nell’edificio. Sabato pomeriggio il vescovo e il rettore della cattedrale padre Michel Leroy hanno celebrato un rito di riparazione e da ieri sono riprese regolarmente le celebrazioni domenicali. “Il nostro Paese garantisce, per legge, il rispetto dei culti, delle religioni e dei fedeli. La libertà religiosa è anche il nostro bene comune. Confidiamo nella giustizia perché faccia luce sugli autori e sulle circostanze di questa profanazione”, fa sapere il vescovo al Sir. Al di là dell’emozione, che suscitano questi atti odiosi, facciamo appello a tutti perché con responsabilità non esasperino le tensioni sottolinea Mons. James, che ribadisce che in questo clima, i cristiani si rifiutano a entrare nella spirale della violenza, concludendo che l’odio si vince con l’amore. (F.B.)

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    Mali: negoziati positivi tra Bamako e tuareg

    ◊   Bilancio positivo per le prime 48 ore di negoziati no stop tra governo maliano e gruppi ribelli tuareg che occupano il capoluogo settentrionale di Kidal. Secondo quanto riferisce l’agenzia Misna il mediatore dell’Africa occidentale, il presidente del Burkina Faso Blaise Compaoré, si è detto ottimista sulla possibilità che un accordo venga raggiunto entro oggi. “L’obiettivo è trovare una soluzione durevole alla grave crisi maliana. La sicurezza è vitale per tenere un voto libero e trasparente” ha dichiarato Compaoré, chiedendo alle due parti di cessare ogni ostilità sul terreno. La delegazione di Bamako, guidata dall’emissario per il nord Tiébilé Dramé, e quella in rappresentanza dei tuareg sono impegnate nella valutazione di una bozza d’accordo per risolvere la crisi maliana, in atto dal gennaio 2012. Le due parti devono presentare eventuali correzioni e controproposte al mediatore regionale con l’obiettivo di cessare le ostilità nella regione contesa di Kidal in vista delle elezioni presidenziali in programma il prossimo 28 luglio. Ai colloqui di Bamako partecipano il Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla), ma anche esponenti dell’Alto consiglio per l’Unità dell’Azawad (Hcua), un’altra organizzazione tuareg che si oppone al ritorno a Kidal dell’amministrazione centrale e dell’esercito maliano. La scorsa settimana la ripresa degli scontri sul terreno tra gruppi armati ed esercito regolare, aveva fatto temere un abbandono dei colloqui di pace, la cui apertura è invece solo slittata di alcune ore. Mentre sono in corso i colloqui, un rapporto del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, consegnato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ha evidenziato che la situazione sul terreno rimane molto fluida a causa di scontri sporadici alimentati dai gruppi armati e attacchi messi a segno nelle tre regioni del nord del Mali. Per il Segretario Generale Onu l’avanzata delle truppe regolari di Bamako verso Kidal e i combattimenti con i ribelli della scorsa settimana hanno riacceso nuove tensioni e aggravato l’instabilità regionale. Entro il mese di luglio le Nazioni Unite dovrebbero dispiegare una missione di peacekeeping in Mali (Minusma) chiamata a monitorare il voto e a vigilare sulla sicurezza della vasta regione desertica. (F.B.)

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    Niger: si è insediato a Nyamei il primo vescovo nigerino

    ◊   Una zucca-calebasse tenuta da due mani, una bibbia aperta e lo sfondo giallo del Sahel. E’ il simbolo che ha scelto come emblema episcopale mons. Laurent Lompo, nuovo Vescovo ausiliare di Niamey in Niger. Questo quanto è stato diramato dal padre missionario Mauro Armanino, che ha inviato all’agenzia Fides la seguente testimonianza sull’insediamento avvenuto ieri, di mons. Djalwana Laurent Lompo, vescovo ausiliare di Niamey. “C'è più gioia a dare che a ricevere” è il motto che ha scelto il nuovo vescovo ausiliare della diocesi di Niamey. Ha chiesto il dono della semplicità, come appunto la zucca/calebasse vuole significare. Era alta la tensione e la paura che succedesse qualcosa in questa festa della Chiesa cattolica del Niger. Gli ultimi attentati di appena una settimana fa creavano timori non infondati. C'è stato un buon servizio d'ordine attorno e all'interno del Palazzo dello sport dove si è svolta la cerimonia alla presenza di circa 3.500 fedeli. Secondo quanto riferisce l’agenzia Fides l'arcivescovo di Niamey, Mons. Michel Cartatéguy ha presieduto la cerimonia alla quale hanno partecipato la maggior parte dei vescovi del Burkina Faso. In tre ore si è vissuto parte del cammino che la Chiesa cattolica del Niger ha compiuto in questi 80 anni di esistenza visibile. I canti, le danze, i simboli e soprattutto il clima di unità hanno trasformato la celebrazione in un evento di vita per tutti. Persino l'acustica ha funzionato a dovere. Il nuovo eletto mons. Laurent Lompo è originario della popolazione Gourmanché ed è anche il primo vescovo nigerino cattolico. La maggior parte del popolo Gurmanché, è diviso tra Burkina Faso e Niger. Persino alcuni migranti liberiani hanno preso parte alla festa. L'avvenimento è degno di nota in un Paese come il Niger dove su 19 milioni circa di persone, i cattolici non sono più di 25mila. I nigerini sono circa 5mila. Gli altri sono originari dei Paesi limitrofi. La presenza della Chiesa cattolica è quella della “natte”, cioè della stuoia, una presenza sobria, umile e attenta all'ascolto. (F.B.)

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    Messico: don Solalinde contesta la schedatura dei migranti

    ◊   "E' un atto degradante ed imbarazzante per i nostri fratelli centroamericani schedarli appena attraversano il confine meridionale del Messico", ha denunciato don Alejandro Solalinde, responsabile della “Casa del Migrante” a Ciudad Ixtepec e molto conosciuto per le sue azioni a favore dei migranti. Secondo don Solalinde questa decisione dimostra che il Messico è diventato un membro in più del sistema di sicurezza degli Stati Uniti attraverso l'Istituto nazionale di Migrazione, strumento essenziale usato dagli Usa per ottenere informazioni sui migranti. Secondo quanto riporta una nota inviata all'agenzia Fides, il giornale Millennium ha annunciato che verrà installato un sistema che registra l’iride, le impronte digitali e il volto di tutti coloro che attraversano il confine meridionale del Messico. Si stima che ogni anno sono circa 300mila i centroamericani "irregolari" che passano attraverso quell’area. Don Solalinde ha spiegato alla stampa che questo progetto risponde alle necessità degli Stati Uniti, non del Messico, perché "noi non abbiamo il terrorismo, e quello che vogliono loro, è impedire gli ingressi dal nostro confine". Il sacerdote ha poi aggiunto che “per ora si tratta solo di identificare i migranti, ma poi ci verrà chiesto di fermarli e questo diventa un grosso problema, perché le prigioni sono sature e senza infrastrutture adeguate". Don Solalinde ha concluso affermando che "è una vera vergogna" attuare una disposizione degli Stati Uniti, mentre i messicani non riescono ad elaborare una politica di migrazione anche perché il problema non è una priorità nell'agenda nazionale. (R.P.)

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    El Salvador. “Difendiamo la nostra acqua”: appello di mons. Escobar

    ◊   L'arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis Escobar, ha suggerito ieri, nella sua consueta conferenza stampa della domenica, che si dovrebbe fare appello alle organizzazioni internazionali per contrastare la minaccia posta alle acque salvadoregni da parte di una miniera d'oro nel Guatemala. Si teme infatti che la miniera di Cerro Blanco di Jutiapa (Guatemala) nei pressi della frontiera con El Salvador, potrebbe contaminare il lago Güija e il fiume Lempa, il più esteso del Paese. Le Organizzazioni ambientaliste salvadoregni hanno dato da tempo l'allarme su questa situazione. La nota inviata all'agenzia Fides riferisce che mons. Escobar ha rivolto un appello perché il governo e deputati salvadoregni intervengano per risolvere in modo definitivo il problema, benché ha riconosciuto che il dialogo è già stato avviato. Mons. Escobar ha sottolineato che non si tratta solo di un problema del Guatemala in quanto “ci riguarda perché noi beviamo proprio quell'acqua”. "Non è possibile che pur d'ottener un beneficio economico si deve far ammalare un’intera nazione, se non ha già causato delle morti. Questo non è possibile nel secolo in cui viviamo, è una aberrazione giuridica e sociale che non possiamo permettere". (R.P.)

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    Spagna: messaggio dei vescovi per la Giornata del Traffico

    ◊   “Quale luce ti guida? La fede ti responsabilizza al volante”: è questo il tema scelto dai vescovi spagnoli per la Giornata della responsabilità nel traffico che ricorre il 7 luglio, nella memoria liturgica di San Cristoforo, patrono dei trasportatori. Nel messaggio scritto per l’occasione, a firma di mons. Ciriaco Benavente Mateos, presidente della Commissione episcopale delle Migrazioni, i vescovi evidenziano come “per molte persone, l’automobile sia una sorta di piccolo santuario”, spesso pieno di simboli religiosi. In quest’ottica, i presuli esortano i guidatori a seguire “la luce della fede”, anche perché “la nuova evangelizzazione richiede che tutti trasmettano o comunichino la fede, offrendo il proprio aiuto, la propria esperienza come credenti e come membri della Chiesa”. Ma la Chiesa spagnola sottolinea anche la necessità di essere responsabili quando si è al volante: senza voler essere “moralisti guastafeste”, i vescovi iberici ricordano che “ciascuno è responsabile della propria vita davanti a Dio che gliela ha donata” e che quindi “la vita umana è sacra”. I presuli, inoltre, esprimono soddisfazione per il calo degli incidenti stradali che si registra di anno in anno, dovuto anche al miglioramento della rete viaria; quindi ricordano il discorso rivolto da Paolo VI agli autotrasportatori della Spagna, nel settembre del 1978: “La prudenza e il rispetto delle norme che regolano il traffico sono virtù che dovrebbero figurare sulla patente di guida”. Infine, la Chiesa di Madrid affida tutti gli autotrasportatori a Santa Maria del Cammino. (I.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 161

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.