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Sommario del 25/01/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI: Medio Oriente, per una pace sicura domani serve dialogo oggi
  • Nel pomeriggio i Vespri presieduti dal Papa nella Basilica di San Paolo fuori le Mura
  • Il Papa incoraggia la marcia pro-life negli Usa: i leader politici proteggano i bambini non nati
  • Motu Proprio: il Papa trasferisce competenze su seminari e catechesi: intervista al card. Piacenza
  • P. Spadaro: il Papa invita i cristiani a dialogare sui social network, senza costruire ghetti
  • Altre udienze, rinunce e nomine
  • Giornata di lotta alla lebbra. Mons. Zimowski: ancora insufficiente prevenzione e accesso alle cure
  • Il libro del card. Bagnasco "La porta stretta". Il card. Bertone: cattolici impegnati secondo il Vangelo
  • Mons. Fisichella: solo alla luce di Cristo si può capire il mistero della vita
  • Oggi su l'"Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • L'Egitto ancora in piazza a due anni dalla caduta di Mubarak
  • Allarme terrorismo in Libia. Anche l'Australia richiama i suoi cittadini nel Paese
  • La Corea del Nord minaccia test nucleari e missilistici a lunga gittata.Usa preoccupati
  • A Davos l'intervento di Draghi: ripresa economica nel 2013
  • Giornata della memoria. Roberto Piperno: "Salvo grazie all'accoglienza delle Suore Bethlemite"
  • Giornata della memoria. Al Teatro Olimpico arte e impegno civile ne "Gli Indifferenti"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Il patriarca Twal: il nuovo governo israeliano non dimentichi la Palestina
  • Egitto: Il vescovo copto cattolico Youhanna Golta sul futuro del Paese
  • India. “Giornata dei martiri”: nel 2012 registrati 135 attacchi contro i cristiani
  • Mali. Denuncia di Msf: a Konna manca da giorni l'assistenza sanitaria
  • Congo: a Kampala in stallo i negoziati sul Nord Kivu
  • Inghilterra: pubblicata la legge sulle nozze gay. I vescovi invitano a scrivere ai parlamentari
  • Aperto anno giudiziario. Lupo: note dolenti sono lentezza processi e carceri affollate
  • Coree: Chiesa cattolica e altre comunità chiedono di stemperare la tensione
  • Usa: al via la colletta per la Chiesa in America Latina
  • Messico: preoccupazione della Chiesa per la violenza che appare anche nelle scuole
  • Varsavia: incontro delle Chiese in Europa su "Fede e religiosità"
  • Vescovi italiani: dal 28 al 31 gennaio i lavori del Consiglilo permanente della Cei
  • Croazia: appello dei vescovi in difesa di matrimonio e famiglia
  • Albania: a Fieri data alle fiamme una chiesa cattolica
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI: Medio Oriente, per una pace sicura domani serve dialogo oggi

    ◊   Un futuro di pace e di giustizia in Terra Santa ha bisogno di un presente di dialogo e di cooperazione. Lo ha affermato questa mattina Benedetto XVI nell’udienza concessa ai membri della Commissione Mista Internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese ortodosse. Anche per questo aspetto, il Papa ha auspicato ulteriori progressi perché il mondo conosca sempre meglio il Vangelo. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Medio Oriente e Africa sono per i cristiani, insieme, terre di antica fede e di irrisolte difficoltà. Benedetto XVI non dimentica mai questo stato di cose e lo ha tenuto ben presente nel ricevere i membri della Commissione Mista Internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese ortodosse, in larga parte provenienti da quelle aree in cui, per l’appunto ha ricordato il Papa, “i cristiani, come individui e comunità, devono affrontare prove dolorose e difficoltà che sono fonte di profonda preoccupazione per noi tutti”:

    “I would like to assure all the faithful…
    Vorrei assicurare tutti i fedeli del Medio Oriente della mia spirituale vicinanza e della mia preghiera perché questa terra, così importante nel piano di salvezza di Dio, possa essere diretta, attraverso un dialogo costruttivo e la cooperazione, a un futuro di giustizia e di pace duratura. Tutti i cristiani hanno bisogno di lavorare insieme nella reciproca accettazione e fiducia a servizio della causa della pace e della giustizia, in fedeltà alla volontà del Signore”.

    In precedenza, Benedetto XVI aveva dedicato una riflessione al lavoro della Commissione mista, giunta al traguardo di dieci anni di complesso confronto teologico, cui nel 2003 diedero vita le autorità ecclesiali delle Chiese Ortodosse Orientali e del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Dieci anni – ha rammentato il Pontefice – trascorsi a vagliare le modalità con cui le Chiese hanno espresso la loro comunione nei primi secoli. Durante gli incontri di questa settimana – in coincidenza con il periodo di preghiera per l’unità dei cristiani che si conclude oggi – a essere esplorata è stata in particolare la comunione e la comunicazione esistente fra le Chiese dei primi cinque secoli di storia cristiana:

    “In acknowledging the progress which has been made…
    Nel riconoscere i progressi che sono stati compiuti, auspico che i rapporti tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali continuino a svilupparsi in un fraterno spirito di collaborazione, in particolare attraverso lo sviluppo di un dialogo teologico in grado di aiutare tutti i seguaci del Signore a crescere nella comunione e a testimoniare davanti al mondo la verità salvifica del Vangelo”.

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    Nel pomeriggio i Vespri presieduti dal Papa nella Basilica di San Paolo fuori le Mura

    ◊   Questo pomeriggio, alle 17,30, a conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, Benedetto XVI presiederà la celebrazione dei Secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo nella Basilica romana di San Paolo fuori le Mura. Alla preghiera partecipano anche i rappresentanti di altre Chiese e comunità ecclesiali, in particolare, per il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, l’arcivescovo ortodosso d’Italia e Malta, Esarca per l’Europa Meridionale, Gennadios Zervos, e per la Comunione anglicana, il reverendo canonico David Richardson, rappresentante dell’arcivescovo di Canterbury presso la Santa Sede e direttore del Centro Anglicano a Roma. Presente anche il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Il tema della Settimana di quest’anno è ispirato a un passo del Libro del profeta Michea: “Quel che esige il Signore da noi”, ovvero “praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente” con Dio.

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    Il Papa incoraggia la marcia pro-life negli Usa: i leader politici proteggano i bambini non nati

    ◊   “Mi unisco a quanti marciano per la vita e prego affinché i leader politici proteggano i bambini non nati e promuovano una cultura della vita”: con questo tweet, Benedetto XVI ha dato oggi il suo sostegno alla Marcia per la vita, in corso a Washington. L'evento avviene nel 40.mo anniversario della sentenza della Corte Suprema “Roe vs Wade” che ha legalizzato l’aborto negli Stati Uniti. Una sentenza a cui il presidente Barack Obama ha ribadito il suo appoggio, in questi giorni. Dal 1973, si calcola che 55 milioni di vite sono state spezzate, un sesto dell'attuale popolazione americana. Alla vigilia della Marcia, si è svolta una celebrazione per la vita nel Santuario nazionale mariano di Washington, a cui hanno preso parte migliaia di fedeli. Sull’impegno per la vita negli Usa, Alessandro Gisotti ha intervistato il cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita:

    R. – Io credo che questa ripresa del “sì” alla vita sia ineluttabile – ci abbiamo sempre sperato e ci lavoriamo sopra ogni giorno – perché corrisponde a due verità. La prima, quella dell’essere umano: l’aborto significa la soppressione di un essere umano, di un’individualità che ha la dignità di persona. La seconda ragione è quella che è venuta maturando sempre più chiaramente a livello socio-politico: è la mancanza di bambini, di nascite sufficienti che provoca la crisi economica nel mondo. L’inverno demografico è tale che provoca, a lungo andare, danni per la crescita economica e sulla stabilizzazione delle economie.

    D. – L’America è una realtà plurale, multietnica, multireligiosa. Colpisce anche che oggi in marcia a Washington ci siano persone di ogni fede, in realtà anche persone che non hanno un’appartenenza religiosa, come a dire che la questione della vita non conosce confini …

    R. – C’è una reazione credo anche di istinto, perché sarebbe peraltro anche una contraddizione palese, vedere che facciamo tanto per proteggere i fiori, la biodiversità delle erbe, delle piante, però lasciamo soccombere o sopprimere violentemente delle nasciture vite umane. Questo mi sembra un assurdo che non può essere sopportato.

    D. – In America colpisce anche quest dato, che c’è un numero molto alto di aborti tra le donne più povere, in particolare afro-americane …

    R. – Lo si constata anche qui in Italia. La domanda di aborto, quando è fatta da immigrati per ragioni economiche, è quella a cui si rimedia “facilmente”, cioè basta l’offerta di un minimo di sostegno che la donna recede, perché ha una sensibilità. Credo che nessuna donna lo faccia volentieri. Se la società adeguatamente assume una posizione positiva, la gran parte di queste tragedie possono essere impedite all’inizio.

    D. – L’invito alla classe politica americana ma non solo è quella di favorire la vita …

    R. – Non per niente si dice che il diritto alla vita è il fondamento; vuol dire che se manca questo riconoscimento, crollano gli altri valori: quelli economici, quelli culturali, gli stessi valori politici …

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    Motu Proprio: il Papa trasferisce competenze su seminari e catechesi: intervista al card. Piacenza

    ◊   Sono state pubblicate oggi due Lettere apostoliche di Benedetto XVI, in forma di Motu Proprio, con cui si trasferiscono la competenza sui Seminari dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica alla Congregazione per il Clero e la competenza sulla Catechesi dalla Congregazione per il Clero al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. I due documenti erano stati annunciati dal Papa lo scorso 27 ottobre, a conclusione dei lavori del Sinodo sulla nuova evangelizzazione.

    Con il Motu Proprio “Ministrorum institutio”, Benedetto XVI - valutando la rilevanza della formazione sacerdotale e il fatto che essa include sia quella da impartire “ai futuri ministri del Signore” che quella permanente - affida alla Congregazione per il Clero “la promozione e il governo di tutto ciò che riguarda la formazione, la vita e il ministero dei presbiteri e dei diaconi: dalla pastorale vocazionale e la selezione dei candidati ai sacri Ordini, inclusa la loro formazione umana, spirituale, dottrinale e pastorale nei Seminari e negli appositi centri per i diaconi permanenti, fino alla loro formazione permanente, incluse le condizioni di vita e le modalità di esercizio del ministero e la loro previdenza e assistenza sociale”. Con questo Motu Proprio, la Congregazione per l’Educazione Cattolica, (dei Seminari e degli Istituti di Studi) cambia il nome in Congregazione per l’Educazione Cattolica (degli Istituti di Studi) ed è competente per l’ordinamento degli studi accademici di filosofia e di teologia, sentita la Congregazione per il Clero, per quanto di rispettiva competenza, mentre la Congregazione per il Clero assume “quelle materie che riguardano i presbiteri e i diaconi del clero secolare in ordine sia alle loro persone, sia al loro ministero pastorale, sia a ciò che è loro necessario per l’esercizio di tale ministero, ed in tutte queste questioni offre ai vescovi l’aiuto opportuno” e “assiste i vescovi perché nelle loro Chiese siano coltivate col massimo impegno le vocazioni ai ministeri sacri e nei seminari, da istituire e dirigere a norma del diritto, gli alunni siano adeguatamente educati con una solida formazione sia umana e spirituale, sia dottrinale e pastorale. Vigila attentamente perché la convivenza ed il governo dei seminari rispondano pienamente alle esigenze dell'educazione sacerdotale ed i superiori e docenti contribuiscano, quanto più è possibile, con l'esempio della vita e la retta dottrina alla formazione della personalità dei ministri sacri. Ad essa spetta, inoltre, di erigere i seminari interdiocesani e di approvare i loro statuti”. La Pontificia Opera delle Vocazioni Sacerdotali è trasferita presso la Congregazione per il Clero e la Commissione interdicasteriale “Per una distribuzione più equa dei sacerdoti nel mondo” è soppressa.

    Con il Motu Proprio “Fides per doctrinam”, il Papa trasferisce la competenza sulla Catechesi dalla Congregazione per il Clero al nuovo Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. La competenza sulla Catechesi riguarda: “la cura e promozione della formazione religiosa dei fedeli”; la facoltà di emanare norme opportune perché “l’insegnamento della Catechesi sia impartito in modo conveniente secondo la costante tradizione della Chiesa”; il compito di “vigilare perché la formazione catechetica sia condotta correttamente secondo le indicazioni espresse dal Magistero”; la facoltà di concedere la “prescritta approvazione della Sede apostolica per i catechismi e gli altri scritti relativi all’istruzione catechetica, con il consenso della Congregazione per la Dottrina della Fede” e, infine, il compito di assistere gli uffici catechistici delle Conferenze episcopali seguendo e coordinando le loro attività. Le nuove disposizioni completano quelle contenute nel Motu Proprio “Ubicumque et semper” con il quale il Santo Padre aveva creato nel 2010 il nuovo Dicastero per l’evangelizzazione assegnandogli anche il compito di promuovere l’uso del “Catechismo della Chiesa Cattolica” del 1992, “quale formulazione essenziale e completa del contenuto della fede per gli uomini del nostro tempo”. Questo in linea con gli insegnamenti conciliari e con il Magistero di Paolo VI e Giovanni Paolo sullo stretto nesso tra processo di evangelizzazione e insegnamento catechetico (cfr l’Esortazione apostolica “Evangelii Nuntiandi” del 1976 e il II Sinodo dei vescovi sulla Catechesi del 1985). “La fede – spiega il Papa - ha bisogno di essere sostenuta per mezzo di una dottrina capace di illuminare la mente e il cuore dei credenti” ed “è compito particolare della Chiesa mantenere vivo ed efficace l’annuncio di Cristo anche attraverso l’esposizione della dottrina che deve nutrire la fede”.

    Come nuovo responsabile dei seminari, il cardinale Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero, ha rivolto – al microfono di Roberto Piermarini – il suo saluto ai seminaristi:

    R. – Anzitutto vorrei esternare un sentimento di gratitudine, perché proprio mentre il mondo sembra affannarsi per emarginare Dio dalla società, i seminaristi, con il loro sì a Lui, testimoniano che Cristo è presente nella società, che la Chiesa è viva e che Dio ama ogni uomo. Quindi, questo è un sentimento di gratitudine che sento di dover esprimere. Poi vorrei dire che non c’è nulla di più prezioso per la Chiesa di impegnarsi nella preparazione dei futuri sacerdoti, cioè di coloro che Dio ha scelto, perché immersi nell’oceano del suo amore possano poi rendere presente in mezzo agli uomini il Buon Pastore. Dovranno diventare per gli uomini il misericordioso abbraccio di Cristo. Ecco, perché ognuno, anche chi è lontano, porta il marchio di Dio e quindi, evidentemente, ha sempre una sete di infinito, una sete di grande, di bello, di buono. Noi dobbiamo formare le persone, e i seminaristi sono giovani pieni di entusiasmo: noi non dobbiamo deluderli e dobbiamo aiutarli a diventare per gli uomini proprio questo misericordioso abbraccio di Cristo. Vorrei dire loro che la nostra Congregazione farà tutto quello che la carità pastorale suggerirà per accompagnare, per promuovere le vocazioni sacerdotali e la vita buona nei seminari. Chiedo preghiere da parte dei seminaristi per poter aiutare la loro causa, aiutando i loro vescovi, e assicuro loro la mia preghiera, la preghiera di tutti gli officiali che sono impegnati in Congregazione. E faccio un augurio: che la Madre di Gesù formi in ogni seminarista l’immagine di suo Figlio.

    D. – Quale significato ha il trasferimento della competenza sui seminari?

    R. – Credo sia un segno dell’attenzione del Santo Padre per i sacerdoti per la loro formazione integrale che va dalla pastorale vocazionale, dal discernimento, fino alla formazione seminaristica, la formazione permanente: tutto in armonica continuità con uno sguardo sinottico, uno sguardo sinfonico. Già il decreto “Optatam totius” del Vaticano II al numero uno, che è il documento sui seminari diceva: l’auspicato rinnovamento di tutta la Chiesa dipende in gran parte dal ministero sacerdotale. Credo che a 50 anni dal Vaticano II, questo sia un altro passo sulla linea della fedeltà al dettato del Concilio. C’è stato, poi, tutto un magistero successivo al Concilio che è andato nello stesso senso, ovviamente, e mi riferisco soprattutto a Giovanni Paolo II e alla Esortazione apostolica post-sinodale “Pastores dabo vobis”, che dice che è di particolare importanza avvertire e rispettare l’intrinseco legame che esiste tra formazione precedente all’ordinazione e formazione successiva. Infatti, già da quegli anni, si parlava della convenienza di accorpare queste competenze. L’esperienza e il servizio che la Congregazione per il Clero quotidianamente compie a riguardo dei sacerdoti. Ci occupiamo, infatti, della loro vita, del loro ministero, della loro formazione permanente e anche di tutti i contenziosi che qualche volta nella vita possono accadere. Questa esperienza, certo, costituisce una miniera di conoscenze che a loro volta costituiscono una sorta di “tom tom” per indicare le strade da percorrere nella formazione iniziale, alla luce di quello che avviene, delle esigenze che emergono lungo l’espletamento del ministero.

    D. – Quale connessione ha la decisione del Santo Padre con la Nuova Evangelizzazione e l’Anno della Fede?

    R. – Certamente se pensiamo al ruolo insostituibile e direi anche insurrogabile che i sacerdoti hanno nell’opera della nuova evangelizzazione, vediamo che l’Anno della Fede, nel 50.mo del Vaticano II, è una tappa di impulso alla nuova evangelizzazione. La scelta va sulla linea del decreto, che ho citato prima, del Vaticano II, “Optatam totius”, del magistero successivo e penso alla “Pastores dabo vobis” e delle esigenze dei tempi.

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    P. Spadaro: il Papa invita i cristiani a dialogare sui social network, senza costruire ghetti

    ◊   Ha destato ampia eco a livello internazionale, il Messaggio di Benedetto XVI per la 47.ma Giornata delle Comunicazioni Sociali, pubblicati ieri. Nel documento, il Papa sottolinea l'opportunità offerta oggi ai cristiani dai Social Network che, afferma, possono essere strumento di evangelizzazione e fattore di sviluppo umano. Alessandro Gisotti ne ha parlato con padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica:

    R. – Questo messaggio in modo particolare ha un valore speciale, perché affronta il tema dell’ambiente digitale come un mondo ordinario di esperienza, un ambiente, uno spazio, un luogo di esperienza ordinaria, quindi non un mondo parallelo, puramente virtuale – come scrive il Papa – ma parte della realtà quotidiana di molte persone. Quindi, l’idea dello spazio digitale come inautentico, alienato, falso, apparente, di fatto viene ad essere messo da parte come idea-chiave di interpretazione di questo luogo, ma è un’estensione del nostro spazio vitale e quotidiano che richiede responsabilità – come scrive il Papa – e dedizione alla verità. Quindi la rete è una realtà che sempre più interessa l’esistenza del credente e incide sulla sua capacità di comprensione della realtà della fede, del modo di viverla.

    D. –C’è un passaggio in cui il Papa indica la possibilità di un’insidia, di un pericolo: quella del rumore. Poi, invece, parla di una luce gentile, citando Newmann, la luce gentile della fede. Ecco, anche qui – per citare un ultimo tweet del Papa – il cristiano è chiamato ad andare controcorrente, anche nel continente digitale?

    R. – Ma … il cristiano è chiamato a vivere la sua esperienza di vita esattamente come avviene nel mondo fisico, diremmo. Proprio questo mi sembra che il Papa intenda fare, cioè evitare una sorta di schizofrenia per cui il mondo digitale è qualcosa di diverso, in cui quasi la morale è diversa dal mondo fisico: no. La persona è sempre la stessa, la sua è una unità profonda. In modo particolare, poi, il Papa parla non tanto in generale di rete, quanto proprio dei network sociali, perché stanno plasmando il modo in cui l’uomo comunica. Direi che l’uomo in cui l’uomo vive nell’ambiente digitale è esattamente il modo in cui l’uomo è chiamato a vivere nel suo ambiente ordinario di vita.

    D. – Peraltro, il Papa non si rivolge esclusivamente ai credenti, ai cristiani: in questo messaggio, in più parti chiede un impegno di chi conta sul dialogo ragionato. In questo vediamo proprio la cifra dell’uomo Ratzinger, oltre che del Pontefice …

    R. – Esattamente. Qui il Papa afferma due cose molto importanti: la prima è che i network sociali possono aiutare a costruire la Chiesa, perché hanno un impatto molto forte sulle relazioni delle persone, e quindi quando i cristiani si ritrovano in isolamento, a volte i network sociali sono molto utili per tenere le relazioni di comunione. D’altra parte, è il Papa stesso ha invitare tutti noi ad evitare uno dei problemi di fondo che sta emergendo nella rete, cioè che si creino e si potenzino dei gruppi autoreferenziali non in dialogo con le altre persone che dialogano in rete. Quindi, la costruzione di ghetti. Ecco, questo è il grande rischio che Benedetto XVI offre alla nostra attenzione. Cioè, l’invito a non costruire isole e ad essere coinvolti in maniera interattiva nei dubbi e nelle domande degli uomini di oggi. Intanto, è interessante il verbo che il Papa ha usato quando è entrato in Twitter: non ha parlato di essere presente, o di sbarcare o di approdare; il Papa ha usato il verbo unirsi, cioè: “Io mi unisco a voi”. Il Papa si unisce ad una conversazione che è in corso e questo è un atteggiamento molto, molto importante di accompagnamento dell’uomo nelle sue dinamiche di conoscenza e di relazione.

    D. – Da ultimo: con questo messaggio, ancor più, con la sua presenza, con questo suo unirsi in prima persona alla comunità di Twitter, il Papa chiede a tutti i cristiani di non essere tiepidi, di annunciare da sopra ai tetti la speranza che è in loro – anche dai tetti che si trovano in internet, nelle reti sociali …

    R. – Assolutamente sì! Di fatto, i due pilastri del mondo digitale, della comunicazione via internet sono la trasmissione di un messaggio attraverso relazioni di amicizia – come si suol dire a volte – ma comunque attraverso delle relazioni. Quindi, la comunicazione di un messaggio e le relazioni. E, a pensarci bene, in fondo la Chiesa stessa si fonda sull’annuncio del Vangelo – l’annuncio di un messaggio – e su relazioni che sono relazioni di comunione. La rete è un ambiente che ha molti rischi, evidentemente, che pone molte sfide ma che può essere estremamente favorevole all’annuncio del Vangelo.

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    Altre udienze, rinunce e nomine

    ◊   Il Papa ha ricevuto stamani il cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e il Sig. Nikolay Sadchikov, Ambasciatore della Federazione Russa, in visita di congedo.

    Nelle Filippine, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Kalookan, presentata da S.E. Mons. Deogratias Iñiguez, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

    Sempre nelle Filippine, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di San Pablo, presentata da S.E. Mons. Leo M. Drona, S.D.B., in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Vescovo di San Pablo S.E. Mons. Buenaventura M. Famadico, trasferendolo dalla sede di Gumaca.

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    Giornata di lotta alla lebbra. Mons. Zimowski: ancora insufficiente prevenzione e accesso alle cure

    ◊   L’esempio di San Damiano, della Beata Madre Teresa di Calcutta, di altri santi e persone di buona volontà ci sostenga nel portare aiuto ai malati di lebbra. E’ l’appello rivolto dal presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, l’arcivescovo Zygmunt Zimowski, nel Messaggio per la 60.ma Giornata mondiale di lotta alla lebbra, che ricorre domenica 27 gennaio. Il servizio di Debora Donnini:

    E’ considerata una delle malattie più antiche del mondo, se non curata può portare alla morte, e comunque provoca sofferenze, esclusione sociale, povertà. La lebbra nel 2011 ha contagiato ancora 200mila persone, fra adulti e bambini, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. E molti casi sono stati diagnosticati già in stato avanzato. Lo ricorda mons. Zimowski nel messaggio per la Giornata mondiale di lotta contro questa malattia. Nonostante l’impegno di realtà come l’Oms e le Fondazioni Raul Follereau, è dunque ancora “insufficiente” la possibilità di accesso alle strutture diagnostiche, carente la prevenzione e le azioni igienico-sanitarie mirate, rileva l’arcivescovo. Ma la lebbra, se curata, non provoca la morte così come in larga misura altre malattie dimenticate - come la dengue, la malattia del sonno e la leishmaniosi - che invece continuano a stroncare ogni anno migliaia di vite o creano gravi invalidità nei Paesi più poveri. India, Africa sub-Sahariana e Sud America: le aree più colpite dal morbo di Hansen.

    La Giornata mondiale di lotta alla lebbra costituisce quindi - scrive mons. Zimowski - “una preziosa occasione per rilanciare l’impegno in favore di quanti sono colpiti” dal batterio e a promuovere il reinserimento sociale di chi ne porta i segni. Per i cattolici anche alla luce dell’Anno della fede, l’invito del presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale degli Operatori Sanitari è quello di rendere questa Giornata un’occasione propizia “per essere ciascuno buon samaritano verso l’altro”, lasciandosi ispirare, ad esempio, da san Damiano, santa Marianna Cope che operarono nell’isola di Molokai o dal beato Jan Beyzym che lavorò in Madagascar. E ancora dalla beata Madre Teresa di Calcutta o Raul Follereau di cui quest’anno ricorre il 110mo anniversario della nascita. Ma anche chi ha contratto la malattia è chiamato a cooperare per una società più giusta, sostiene mons. Zimowski ricordando che “come cristiano chi è stato colpito dalla lebbra ha inoltre la possibilità di vivere la propria condizione in una prospettiva di fede ‘trovandone il senso mediante l’unione con Gesù, che ha sofferto con infinito amore’”. Il cristiano - conclude - ha infatti la certezza che niente potrà separarlo dall’amore di Dio, in Cristo Gesù.

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    Il libro del card. Bagnasco "La porta stretta". Il card. Bertone: cattolici impegnati secondo il Vangelo

    ◊   Una lettura lucida e partecipe delle questioni che affliggono il nostro tempo alla luce del magistero della Chiesa. Di ciò tratta "La porta stretta", il libro del cardinale Angelo Bagnasco, edito da Cantagalli e presentato ieri sera a Roma. Vi sono raccolte le prolusioni del presidente della Conferenza episcopale italiana alle Assemblee e alle riunioni del Consiglio permanente dei vescovi, dal 2007 al 2012. Gremita la platea che ha seguito l’evento, con rappresentanti politici,della società civile e tanta gente comune. Centrale l’intervento del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone: "La raccolta testimonia - ha detto - l’impegno nello scoprire e proporre all’attenzione della comunità una via stretta di scrupoloso rispetto della giustizia e della verità avendo come stella polare il Vangelo e la carità pastorale”. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    “Ho accettato l’idea di un libro sulle mie prolusioni perché non sono frutto di una riflessione solitaria, ma la voce di una Chiesa che, a cominciare dai suoi pastori, ascolta ancor prima di parlare”. Emozionato e grato per una platea attenta e numerosa, il cardinale Angelo Bagnasco ha presentato così la sua riflessione su un quinquennio d’attualità segnato dalla crisi più dura dal dopoguerra. Lo stile del libro è mite e al tempo stesso coraggioso e persuasivo, dicono gli interlocutori dal palco, e il contenuto è uno stare dentro il vissuto, ma senza ingerenze, sottolinea l’autore:

    “Se la Chiesa ascolta Dio la sua parola allora diventa profetica, cioè non si limita a scorgere la cronaca, a interpretare i frammenti di polemiche sempre possibili, ma a cogliere la verità interna e l’esito ultimo della vicenda umana e sociale. Per questo, la Chiesa sa di sfidare taluni miti dominanti e parlare, se necessario, con umiltà ma con convinzione, fuori dal coro”.

    E’ un percorso impegnativo, quello proposto dal libro ai credenti che si confrontano con la modernità: la questione antropologica è centrale e la barra è ferma sui valori non negoziabili. Così, nel libro si parla di sostegno alla famiglia, di scuola da valorizzare, di integrazione degli immigrati, della vita da rispettare in ogni sua fase, del lavoro da creare e mantenere. Il porporato segue la crisi in corso e non si stanca di chiedere una partecipazione coerente dei cattolici all’agone politico. Uno stile che ben si addice al titolo del libro, spiega il segretario di Stato vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone nel suo intervento:

    “Tra il portone spalancato della distrazione e della latitanza - volto a raccogliere il plauso di chi si attende dai pastori della Chiesa poco più di una rituale benedizione che anestetizzi le coscienze - e la porta dell’ingerenza miope, che mira ad acquisire qualche vantaggio immediato, cercando di vincere tante piccole battaglie di Pirro, c’è la porta stretta di una responsabile presenza nella società e nella cultura italiana, che intende solo servire la verità e promuovere la collaborazione in uno spirito di ordinata concordia che, nella fedeltà al Vangelo, si offre a tutti quale stimolo e proposta alta, quale terreno fertile di confronto e di dialogo rispettoso, senza sconti facili e senza zone franche dal giudizio e dal discernimento”.

    Gli interventi del presidente della Cei, prosegue il segretario di Stato, devono inoltre passare per la porta stretta rappresentata dalla necessità di porre una parola autorevole anche su questioni che attengono all’ordine sociale e politico, quando sono in gioco i valori fondanti della convivenza civile:

    “Si profila la porta stretta dell’esortazione e del discernimento, perché prevalgano in tutti le istanze veritative, il senso del bene comune e la forza di porre sempre al di sopra degli interessi personali o di fazione, quelli dell’intera compagine sociale”.

    In tal modo, con coraggio e con rispetto non si rinuncia, sostiene il cardinale Bertone, a prendere posizione per quanti si impegnano concretamente in vista dei veri interessi della comunità e dell’essere umano, nell’integralità dei suoi diritti e dei suoi doveri: personali, familiari e sociali. Quindi, il riferimento alle imminenti elezioni su cui concorda anche, parlando con i giornalisti, il cardinale Bagnasco:

    “La forma più concreta per cambiare o migliorare la società è la partecipazione al voto col quale esprimere il proprio discernimento che confermi l’affidabilità dei programmi e delle persone che li sostengono”.

    Tante le domande dei giornalisti al cardinale Angelo Bagnasco, a margine della presentazione del suo libro. "Ai giovani dico di lottare per costruire un mondo migliore per tutti” e “ai cattolici che sono nelle liste elettorali di esser se stessi fino in fondo”: queste le affermazioni del presidente della Cei, che poi si è soffermato su come la fede possa aiutare a contrastare lo scoraggiamento nei confronti della cosa pubblica e sulle richieste da fare al mondo politico di oggi:

    R. - La fede invita a non scoraggiarsi mai, a guardare al futuro sempre con fiducia, il che vuol dire anche con partecipazione di tutti e di ciascuno dentro a un orizzonte che dev'essere chiaramente antropologico ed etico, perché questo è l'orizzonte di base per affrontare qualunque problema. In secondo luogo, evidenziando quelle che ormai sono chiaramente le priorità sotto gli occhi di tutti e cioè il problema del lavoro, la famiglia e anche la riforma dello Stato.

    D. - Cosa chiedere ai partiti politici?

    R. - Un grande senso di responsabilità e di verità: responsabilità per una partecipazione onesta e generosa, naturalmente. E di verità per non eludere i veri problemi, che sono quelli di base, di ordine antropologico. Su questo ceppo vitale tutti gli altri problemi, che sono gravi, trovano ispirazione, linfa e quindi prospettiva.

    D. - La Chiesa non si schiera?

    R. - Come sempre la Chiesa, come ricorda anche il Santo Padre, non fa politica in modo diretto ma deve ricordare - come ricorda anche il Concilio Vaticano II - a tutte le coscienze i valori morali, imprescindibili e quella visione antropologica che pone l'uomo al centro della politica. Ma se l'uomo non è visto nella sua verità integrale, gli altri problemi non saranno mai risolti alla radice.

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    Mons. Fisichella: solo alla luce di Cristo si può capire il mistero della vita

    ◊   La Parola deve diffondersi tra le genti, tra le strade delle nostre città, e lì trovare lo spazio dell'accoglienza che porta salvezza e gioia. Questo è il messaggio conclusivo della lettura teologica, sulla “Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione ‘Dei Verbum’. Piacque a Dio... rivelare se stesso", che si è svolta ieri sera a Roma nella sala della Conciliazione del Palazzo Lateranense. All’incontro, promosso dalla diocesi di Roma, hanno partecipato tra gli altri, l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, e Anna Maria Tarantola, presidente della Rai. Ma oggi in che modo si può trasmettere agli altri la bellezza del Verbo di Dio? Ascoltiamo mons. Fisichella al microfono di Marina Tomarro:

    R. – Innanzitutto bisogna conoscere. Non c’è comunicazione vera se non c’è una conoscenza diretta. Qui, però, stiamo parlando della Parola di Dio e quindi ci vuole una frequentazione quotidiana. Ci vuole soprattutto l’ascolto. E’ necessario che sia la Parola di Dio a provocare la mia mente e il mio cuore. Noi dimentichiamo spesso la dimensione del silenzio: sono convinto, infatti, che la prima forma e la prima fonte della comunicazione sia il silenzio. Ritengo poi che, nel momento in cui siamo posti dinanzi a una nuova cultura mediatica e quindi a tanti strumenti che si moltiplicano velocemente per la trasmissione della fede, l’orizzonte privilegiato e fondamentale sia quello dell’incontro personale.

    D. – Nella sua relazione lei ha detto che la scienza non può fare a meno della fede, che cosa vuol dire?

    R. – Significa che se non abbiamo un pensiero forte, anche la fede conseguentemente è debole. La fede ha bisogno anche della ricerca scientifica, in modo particolare per quanto riguarda una comprensione più diretta non solo della Parola di Dio, quindi del testo sacro, ma direi anche di tutte quelle dimensioni del progresso scientifico che ci consentono anche di conoscere meglio la nostra storia e quindi di arricchire sempre di più il nostro patrimonio culturale.

    D. - Di fronte alla crisi di questa società, secondo lei, perché oggi c’è questo desiderio di riscoprire la Sacra Scrittura?

    R. – Perché l’uomo da sempre è alla ricerca del senso della propria vita e nella Sacra Scrittura Dio ci fa comprendere quanto importante sia conoscere noi stessi e noi possiamo conoscere pienamente noi stessi se conosciamo Lui. C’è un rapporto costante, un rapporto dinamico. Se ho desiderio di conoscere in profondità me stesso, ho bisogno di prendere l’enigmaticità della mia esistenza e di porla alla luce del mistero di Cristo. Ecco perché la Sacra Scrittura è importante, perché passo dopo passo mi consente di compiere un cammino con la mia stessa esperienza personale.

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    Oggi su l'"Osservatore Romano"

    ◊   Dall'unione tra i cristiani spinta per la pace in Medio Oriente: il Papa alla Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali.

    I due motu proprio promulgati oggi dal Papa: "Fides per doctrinam" e "Ministrorum institutio". Con un commento dell'arcivescovo Rino Fisichella e un'intervista di Mario Ponzi al cardinale Mauro Piacenza.

    Nell'identità dei cristiani l'imperativo dell'amore reciproco: nell'informazione religiosa, il vescovo Brian Farrell, segretario del Pontificio consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, sulla formazione ecumenica di ciascun fedele quale parte integrante della vocazione alla piena unità.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, le critiche di Merkel a Tokyo: Berlino agita lo spettro della guerra valutaria.

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    Oggi in Primo Piano



    L'Egitto ancora in piazza a due anni dalla caduta di Mubarak

    ◊   Giornata carica di tensione in Egitto a due anni dalla caduta del presidente Mubarak. Si segnalano lanci di lacrimogeni e tafferugli intorno a piazza Tahrir, cuore della rivolta del 2011. Sedici i feriti acertati. Ce ne parla Benedetta Capelli:

    “Pane, libertà, giustizia sociale”: è lo slogan che due anni fa migliaia di egiziani scandivano in Piazza Tahir. Giorni e notti con le televisioni di tutto il mondo a trasmettere immagini di giovani accampati nel cuore del Cairo, determinati a far cadere il trentennale regime di Hosni Mubarak. A due anni di distanza, lo stesso slogan viene ancora ripetuto: segno che la volontà di cambiamento è ancora forte e presente. Ieri, il presidente Morsi ha chiesto di celebrare l’anniversario in modo “pacifico e civile”, i Fratelli Musulmani, formazione dalla quale proviene il capo dello Stato, hanno deciso di non prendere parte alle manifestazioni. Nel mirino di chi protesta c’è proprio Morsi, colpevole di aver tradito i principi di democrazia e libertà – ispiratori della Primavera araba – attraverso misure di tipo estremista, accentrando gran parte del potere su di sé e cambiando la Costituzione. In questo clima di confusione politica, è anche grave la situazione economica, con il crollo degli investimenti esteri, il calo del turismo e il congelamento delle misure – per il rischio di rivolte popolari – varate per far fronte al prestito di 4,8 miliardi di dollari erogato dal Fondo monetario internazionale (Fmi). L'opinione di Paolo Gonzaga, giornalista esperto di questioni egiziane:

    "L’Egitto non è riuscito a riprendere stabilità e non ha varato una Costituzione immediatamente, come si sarebbe dovuto fare, e tutto questo ha portato il Paese alla bancarotta. L’Egitto oggi ha 15 miliardi di dollari in valuta estera nelle proprie casse, e basta... Il bilancio positivo, invece, è quello della mentalità: in Egitto, nessuno si sarebbe immaginato che Mubarak potesse essere cacciato da una rivolta popolare. Oggi, la gente parla di politica e sono nati tanti giornali e quotidiani indipendenti. In qualche modo, in Egitto si è respirato in questi due anni un’aria di maggiore libertà".

    Ma oggi, il clima è aggravato pure dalla sentenza, prevista per domani, sulla strage di Port Said, costata la vita a oltre 70 persone circa un anno fa. Allora, gravi disordini scoppiarono durante una partita e pesanti accuse furono formulate all’indirizzo della polizia che non sarebbe prontamente intervenuta e anzi avrebbe provocato gli incidenti. Ad Alessandria d’Egitto, in segno di protesta, un gruppo di ultras ha bloccato i binari della metropolitana.

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    Allarme terrorismo in Libia. Anche l'Australia richiama i suoi cittadini nel Paese

    ◊   Allarme terrorismo in Libia. Anche Germania, Olanda, Australia, dopo la Gran Bretagna, hanno esortato i propri cittadini a lasciare la città di Bengasi. Londra parla di “minaccia specifica, imminente” per gli occidentali, ipotizzando rapimenti e uccisioni. Dal canto suo, il governo libico ha definito le notizie infondate, ma ha deciso di rafforzare la sicurezza dei suoi impianti petroliferi dopo l’attentato al sito gasiero di In Amenas e le operazioni militari in Mali. Come giudicare questo allarme? Cecilia Seppia ne ha parlato con Federico Cresti, docente di Storia dell’Africa all’Università di Catania:

    R. – Penso ci sia una possibilità di una recrudescenza dell’instabilità. Inoltre, a me sembra che di fronte a questa instabilità permanente, gli Stati che in qualche modo hanno appoggiato il cambiamento di regime abbiano solo fatto finta che tutto fosse regolare e tranquillo… Che poi ci possano essere gruppi dell’islamismo radicale, che in questa situazione si possano muovere, toccando gli interessi delle nazioni europee, è possibile.

    D. – In effetti, le ultime notizie ci portano a dire che il dopo-Gheddafi è ancora pieno di incognite, pericoli…

    R. – Problemi fondamentali nella Libia orientale, nella vecchia Cirenaica, sono di diverso tipo. Uno sicuramente è una vecchia tendenza – che si è dimostrata anche in richieste recenti di gruppi politici e di personalità politiche della Libia orientale – di una federazione: cioè, maggiore autonomia alle regioni, in particolare alla Cirenaica, perché possiede una gran parte delle risorse petrolifere. Secondo tema importantissimo per l’instabilità è il fatto che rimangono gruppi armati, soprattutto di giovani, dopo la rivoluzione, che cercano di affermare il loro diritto a una parte dei redditi petroliferi. Questi gruppi armati difficilmente lasceranno le armi, perché non avranno la garanzia di un inserimento, in diversi modi, nell’amministrazione dello Stato, le forze armate la polizia e cose del genere. Per il momento, tuttavia, sono ancora una forza rispetto la quale il governo deve muoversi e dovrà trovare una soluzione.

    D. – Ci sono stati diversi attacchi in Libia per gli occidentali, l’ultimo contro l’ambasciata Usa a Bengasi in cui morì l’ambasciatore Stevens. Secondo lei, ci può essere una qualche correlazione con il nuovo allarme terrorismo?

    R. – Non so se si tratti di un’unica organizzazione, su questo ci sono notizie abbastanza discordanti. Potrebbe essere possibile. Quello che è strano è che una parte di questi movimenti così radicali sono, sembra, finanziati dall’Arabia Saudita e il gioco diventa difficile da interpretare proprio per questi interventi esterni. L’Arabia Saudita che interessi avrebbe a sostenere questa instabilità per un futuro riassetto delle forze, anche internazionali, intorno alla Libia, rispetto per esempio all’Egitto? Sono tutti dubbi e io ho i dubbi di chiunque legga le notizie su quello che sta accadendo oggi in Libia.

    D. – Da una parte, il governo libico ha smentito che ci sia questo allarme per gli occidentali nel Paese, dall’altra ha voluto rafforzare le misure di sicurezza nei suoi impianti petroliferi dopo l’attentato al sito gasiero di In Amenas e dopo l’intervento militare in Mali. Perché questa decisione?

    R. – Fondamentalmente, senza il petrolio la Libia non esiste più. Dunque, il controllo del petrolio, risorsa assolutamente essenziale, è l’unica possibilità per il governo di dimostrare una legittimità, una capacità di fare. Se poi in questo quadro ci possa essere un legame con quello che è accaduto a In Amenas è da chiarire. Anche il governo algerino ha rafforzato le misure di sicurezza nei siti di estrazione e di passaggio dei prodotti petroliferi… Dunque, è una situazione un po’ generale per i Paesi vicini.

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    La Corea del Nord minaccia test nucleari e missilistici a lunga gittata.Usa preoccupati

    ◊   “Un test nucleare di alto livello” e test missilistici a lungo raggio, avendo come target gli Stati Uniti. Questo l’annuncio della Corea del Nord, che alza il tiro dopo il rafforzamento delle sanzioni di martedì disposte dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, sulla scia al razzo/satellite lanciato a dicembre. Pyongyang, insomma, inverte lo schema precedente di deterrenza difensiva, prendendo direttamente di mira gli Usa, definiti su una nota ufficiale del governo un “nemico giurato”. Da parte sua, Washington parla di “inutili provocazioni” e il numero uno del Pentagono, Leon Panetta, non nasconde di essere molto preoccupato. Salvatore Sabatino ha intervistato Rosella Ideo, docente di Storia Politica e Diplomatica dell’Asia Orientale presso l’Università di Trieste:

    R. – L’escalation della tensione va vista un po’ nel quadro generale dell’Asia orientale, e soprattutto nella transizione – piuttosto delicata – dei Kim: Kim Jong-un, il terzo di questa dinastia “rossa”, sta cercando di avere il più possibile un’immagine di fermezza nei confronti del suo popolo. I nordcoreani, malgrado tutte le promesse – fatte già un anno fa – di miglioramento delle loro condizioni di vita, vivono ancora in maniera molto disagiata.

    D. – Kim Jong-un vuole farsi conoscere anche a livello internazionale …

    R. – Esattamente. In più, in quest’ultimo periodo ci sono state le elezioni negli Stati Uniti d’America, in Corea del Sud, in Giappone, e in questi ultimi due Paesi sono emersi come leader due conservatori; e poi, soprattutto, in Cina c’è la nuova dirigenza, con Xi Jinping.

    D. – A proposito di Cina, era l’ultimo grande alleato di Pyongyang, ma in Consiglio di Sicurezza ha votato a favore delle nuove sanzioni. La Corea del Nord, da parte sua, ha reagito molto male. Cosa vuol dire, in termini strategici, questa presa di distanza di Pechino?

    R. – Vuol dire questo: collaborazione con gli Stati Uniti. C’è appunto – ovviamente – questa volontà della Cina di collaborare con l’amministrazione Obama. Poi, c'è la volontà di dare un avvertimento alla Corea del Nord di non tirare troppo la corda, perché effettivamente potrebbe chiudere il rubinetto di tutti gli aiuti che sta dando da anni al Paese …

    D. – Questo avvicinamento di Pechino a Washington ha qualcosa a che fare con la crisi economica e con il fatto che la Cina abbia acquistato la maggior parte del debito americano?

    R. – Tutt’al più vuol dire che la complementarietà tra Washington e Pechino è sempre maggiore. E’ chiaro che gli Stati Uniti hanno espresso più volte la loro volontà non solo di ritornare in Asia, rispetto al periodo di Bush, ma di avere un ruolo pilota in Asia. E la Cina, dal canto suo, cerca di riaffermare la sua centralità in Asia orientale.

    D. – L’isolamento di Pyongyang, a questo punto, è diventato praticamente totale. Questo quanto influisce poi sulla popolazione? Ricordiamo che la Corea del Nord è uno dei Paesi più poveri del mondo …

    R. – Guardi, il dramma è proprio questo. Qui si parla sempre di geopolitica, di rapporti internazionali ma il dramma è proprio che ci sono 23 milioni di nordcoreani che hanno tirato la cinghia per tanti anni. In realtà, dalla metà degli anni Novanta la denutrizione ha colpito intere generazioni di nordcoreani, nel corpo e nello spirito. Quindi, ci sono dei problemi che andrebbero affrontati in maniera molto decisa da parte della comunità internazionale …

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    A Davos l'intervento di Draghi: ripresa economica nel 2013

    ◊   Al Forum Economico Internazionale, in corso a Davos, stamani l’atteso intervento del governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi. Crisi, euro e ripresa, i temi al centro del suo discorso. Ce ne parla Giancarlo La Vella:

    Intervento ad ampio raggio quello di Draghi, tra ottimismo e perplessità sul futuro economico europeo. Il governatore della Bce vede una ripresa nella seconda parte di quest’anno, mentre il 2012 - ha sottolineato - sarà ricordato come l'anno di rilancio dell’euro. Ma la ripresa - ha detto - comporta che i governi continuino sulla strada dei progressi realizzati grazie a riforme importanti. E su questo aspetto Draghi paventa le difficoltà nel consolidamento fiscale e nei cambiamenti strutturali, necessari a creare crescita e posti di lavoro. Poi parla di necessari tagli ai costi di governo, calo delle tasse, e aumento della spesa pubblica, laddove nell’urgenza della crisi si è puntato solo sull’aspetto tributario e sulla riduzione delle uscite. Ma in che termini si può parlare di ripresa nel 2013, così come auspicato da Draghi? Lo abbiamo chiesto all’economista Francesco Carlà:

    "In estate, la politica della Bce aveva essenzialmente due obiettivi: salvare l’Euro e le banche da gravi problemi finanziari; mentre il secondo era quello anche di iniettare liquidità nei sistemi economici continentali e, quindi, ottenere una ripresa dell’economia. Io direi che la prima parte della missione è in buono stato; per la seconda, probabilmente, la ripresa dipenderà anche molto da quanto erano cadute le economie, in particolare quelle mediterranee, e quindi capire quale possibilità c’è che, da quel livello di crisi, possa scaturire un po’ di ripresa nel secondo semestre del 2013".

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    Giornata della memoria. Roberto Piperno: "Salvo grazie all'accoglienza delle Suore Bethlemite"

    ◊   Scampato al rastrellamento nel ghetto ebraico di Roma del 16 ottobre 1943, Roberto Piperno trovò un accoglienza premurosa tra le mura del convento delle suore Bethlemite di piazza Sabazio a Roma fino alla liberazione. In occasione della Giornata della memoria che ricorre domenica 27 gennaio, Paolo Ondarza ha raccolto la sua testimonianza:

    R. – Mio padre aveva capito che la situazione era molto difficile, quindi ce ne andammo da casa: andammo a casa di suoi amici. Ad un certo punto, visto che la situazione non sembrava sicura, si cercò un’altra soluzione. Ci spostammo: mia madre, mia sorella, mia nonna materna e quella paterna ed io, che ero un bambino di cinque anni, ci spostammo in un monastero che non era lontano da dove abitavano questi amici; a casa loro, invece, rimasero mio padre e mio nonno. Io passai sei mesi in questo monastero delle suore Bethlemite di piazza Sabazio. Naturalmente, noi non eravamo neanche dichiarati come ebrei: soltanto la madre superiora era a conoscenza di questa nostra identità ebraica. Per fortuna, questo amico di mio padre riuscì a procurarci carte di identità false, per cui io non mi chiamavo più Roberto Piperno, ma Roberto Pistolesi ed ero un napoletano venuto a Roma con la famiglia …

    D. – Cosa significava per voi essere costretti, da un lato, a rinunciare al vostro nome e quindi alla vostra identità, ma all’interno del convento essere comunque accolti e protetti?

    R. – Dopo tanti anni il ricordo delle suore è dolce: erano così gentili con noi, specialmente con me. Dovetti imparare le preghiere cattoliche, andavo in chiesa tutte le domeniche con mia madre e le mie nonne, dovevamo farci vedere come se fossimo cattolici. Quindi, c’era uno sdoppiamento della personalità. Però, questo non ci pesava perché le suore con noi si comportavano in maniera splendida … Ce n’era una, in particolare, suor Rita – adesso è morta – che portava me e mia sorella, più grande di me di tre anni, nel giardinetto del convento …

    D. – Ci furono mai dei controlli nel convento?

    R. – Per fortuna, non ci fu mai nessun controllo effettivo. So tra l’altro che le suore, Bethlemite avevano ospitato anche altri ebrei in altri luoghi del monastero, ma questo io l’ho scoperto soltanto molto dopo. Le suore ci avevano permesso di sopravvivere e di essere trattati in maniera umana. Loro avevano anche un istituto scolastico di scuola elementare: per qualche giorno, mia sorella ed io andammo là; poi, siccome avrebbe potuto essere pericoloso perché avremmo potuto essere identificati, mia madre non ci permise più di andare a scuola.

    D. – Lei ricorda l’umanità e l’affetto di suor Rita, in particolare, che addirittura le consentì di uscire fuori, un giorno: fuori dal convento …

    R. – Esatto. Sì, fu un episodio per me indimenticabile, perché venne da mia madre e le disse: “Senta, io devo andare a fare degli acquisti: Roberto può venire con me, così fa due passi?”. E così uscii: me lo ricorderò sempre, perché è stata l’unica volta che sono uscito.

    D. – In quegli anni di paura, pure in una condizione comunque di nascondimento, questi singoli episodi le consentivano comunque di ricevere calore umano …

    R. - … sì, sì, da tutte le suore!

    D. – Sorrisi e calore umano di cui un bambino, in particolare, ha bisogno …

    R. - … certo, a cinque anni … a cinque anni … tanto più dal momento che tua madre ti dice continuamente: ricordati che tu non ti chiami Roberto Piperno ma Roberto Pistolesi, ricordati che devi stare zitto, ricordati che non devi parlare con nessuno … Sono cose che poi lasciano una traccia per tutto il resto della tua esistenza!

    D. – Suo padre e suo nonno, poi, furono trasferiti a San Giovanni …

    R. – Andammo tutti, anche noi: ci trasferimmo tutti a San Giovanni, perché mio padre voleva in qualche modo ricostituire la famiglia, e sembrava che a San Giovanni avremmo potuto farlo. Arrivammo là, ma proprio nel giorno in cui arrivammo, la notte precedente i nazisti erano entrati in San Paolo e avevano portato via tanta gente, specialmente politici che si trovavano là. E quindi, il giorno dopo per timore tornammo tutti indietro: noi tornammo dalle Suore Bethlemite e mio padre e mio nonno tornarono dai loro amici.

    D. – La sua condizione di sopravvissuto le permette di raccontare, di tramandare la memoria di quanto accaduto, ma anche – nello specifico – di raccontare che il calore umano ha continuato ad esserci in quegli anni, nonostante tutto …

    R. – Esatto. L’esperienza con queste suore ha significato proprio questo: la loro l’umanità contro le persecuzioni naziste.

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    Giornata della memoria. Al Teatro Olimpico arte e impegno civile ne "Gli Indifferenti"

    ◊   La Giornata della memoria del prossimo 27 gennaio ha fornito lo spunto per lo spettacolo “Gli indifferenti, andato in scena ieri al Teatro Olimpico di Roma. Tra brani teatrali e la riproposizione di pezzi musicali che fecero da sfondo ai drammatici eventi della prima metà del Novecento, l’attore
    Fabrizio Gifuni, assieme al mezzosoprano Monica Bacelli e alla pianista Luisa Prayer, hanno offerto una lettura dell’azione e anche dell’inerzia di tanti intellettuali dell’epoca, mentre l'Europa vedeva il dilagare del nazifascismo e dei suoi orrori. Antonella Palermo ne ha parlato con lo stesso Gifuni:

    R. – E’ stato un lavoro molto appassionante e anche abbastanza lungo, perché il materiale era ponderoso. Io, insieme a Luisa Prayer a Monica Bacelli – che sono una grande pianista e una grande cantante – da una parte, abbiamo fatto un recupero di tutto il repertorio musicale composto ed eseguito in quegli anni, dalle composizioni ai grandi compositori dell’epoca fino alle canzoni popolari. Dall’altra, un lavoro basato su documenti storici – telegrammi, articoli di giornali, diari e tanti altri materiali – per capire quale fu questa posizione di giornalisti, scrittori, musicisti, mentre in Italia e in Europa si produceva una catastrofe delle coscienze prima ancora che politica.

    D. - L’indifferenza come sottile insidia per l’animo umano in tutti i tempi…

    R. – Sì, in questo senso, pagine straordinarie sono state scritte da Gramsci in “Odio gli indifferenti”, pagine di una lucidità e di una profondità eccezionale. Sono parole che è bello riascoltare ancora oggi, per capire proprio come attraverso l’indifferenza, attraverso una forma di abulia e di abdicazione alla propria volontà, anche per sfinimento – alcune volte per comodità, altre volte perché non si riesce più a tenere il filo del discorso, proprio in quel momento – altre mani si occupano della cosa pubblica al nostro posto.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Il patriarca Twal: il nuovo governo israeliano non dimentichi la Palestina

    ◊   Dalle elezioni in Giordania a quelle in Israele, fino alla questione dei profughi siriani e l’auspicio di pace per la Terra Santa. Questi alcuni dei temi affrontati dal patriarca Latino di Gerusalemme, l’arcivescovo Fouad Twal, in un’ampia intervista pubblicata sul sito del Patriarcato Latino e ripresa dall’agenzia AsiaNews. “Rispettiamo in pieno la libertà del popolo israeliano di scegliere i leader politici in cui credono, affidando loro la guida del Paese – ha detto mons. Twal - auspicando che l’alleanza già anticipata tra il Likud-Beiteinu (di destra) capeggiato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu e il nuovo movimento centrista Yesh Atid di Yair Lapid, sia un passo in avanti verso una maggiore intesa, verso una soluzione di pace. Ai nuovi leader politici, mons. Twal ricorda due tematiche imprescindibili con cui dovranno avere a che fare: “da un lato, afferma - ricordo che esiste uno Stato che si chiama Palestina e, dall'altro, che vi è un popolo palestinese i cui diritti devono essere rispetati". “All’inizio di questo nuovo anno - aggiunge - ripeto il nostro auspicio e le nostre preghiere per una vera pace, che sia figlia della giustizia e del rispetto reciproco. A proposito della Giordania ha poi affermato: “abbiamo sempre detto che il regime giordano ha avviato delle riforme prima e durante la Primavera araba. Esso ha saputo contenere le manifestazioni, che avrebbero potuto degenerare e volgere al peggio. Poi la richiesta ai Fratelli Musulmani, che hanno boicottato il voto di cambiare e ripensare la loro politica, pensando a tutti i cittadini che con fiducia si sono recati alle urne. Infine uno sguardo sulla crisi siriana e in particolare la questione dei profughi ammassati in queste ore proprio al confine con la Giordania. “Bisogna dire che la Giordania – ha dichiarato mons. Twal- deve fronteggiare carenze in tema di elettricità, acqua potabile e carburante. Il costo della vita cresce sempre più. La nazione sta accogliendo sempre più rifugiati che, dal nord, cominciano a muoversi verso il sud”. Infine un ringraziamento all’esercito giordano, che ha messo a disposizione dei rifugiati tutte le infrastrutture necessarie. La situazione in Siria – conclude il patriarca - è per noi “fonte di afflizione e, in una lettera di solidarietà scritta ad AsiaNews lancio un appello a tutti gli uomini di buona volontà in seno alla comunità internazionale, perché si dia corso a un sincero dialogo di pace”. (C.S.)

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    Egitto: Il vescovo copto cattolico Youhanna Golta sul futuro del Paese

    ◊   “Il futuro dell'Egitto? In questo momento non lo conosce nessuno. Neanche il Presidente Morsi”. Nel secondo anniversario della Rivoluzione del 25 gennaio 2013, mentre si ha notizia di nuovi scontri di piazza tra polizia e manifestanti anti-governativi, il vescovo copto-cattolico Youhanna Golta delinea per l'agenzia Fides i contorni del delicato momento vissuto dal grande Paese nord-africano. Secondo Anba Golta, “se il governo e i Fratelli Musulmani proveranno a reprimere le manifestazioni di dissenso indette in questi giorni, in Egitto tornerà l'incubo della guerra civile”. Il vescovo Golta, in qualità di rappresentante delle Chiese cattoliche presenti in Egitto, ha preso parte all'Assemblea costituente chiamata a scrivere la nuova Carta costituzionale. Oggi conferma a Fides le ragioni che hanno portato lui e gli altri rappresentanti cristiani a ritirarsi da quell'organismo: “I lavori erano iniziati bene, ma a un certo punto è diventato evidente che i Fratelli Musulmani e i salafiti volevano imporre una Costituzione islamista. Abbiamo discusso con i loro responsabili, ma non sentivano ragioni. Abbiamo capito che la nostra funzione era solamente decorativa, e siamo andati via”. Negli ultimi giorni i rappresentanti cristiani si sono ufficialmente ritirati anche dal cosiddetto “dialogo nazionale” convocato dal Presidente Morsi per tentare di riaprire i contatti con le parti sociali e i gruppi d'opposizione. “Per dialogare - nota Anba Youhanna - c'è bisogno di qualcuno che sappia ascoltare le ragioni dell'altro. Anche il Partito 'Egitto Forte', fondato dall'ex esponente dei Fratelli Musulmani Abdel Moneim Abul Fotouh, si è ritirato dal dialogo nazionale. E noi rimaniamo in contatto anche con i rappresentanti dell'Università di Al-Azhar. Solo una minoranza del popolo ha appoggiato con il proprio voto, al referendum, l'entrata in vigore della nuova Costituzione”. Secondo il vescovo Golta, nel Paese nordafricano si sta giocando una partita geo-politica decisiva non solo per l'area mediorientale. “L'Egitto non è il Mali. Si trova all'incrocio di Europa, Asia e Africa. Ci vivono più di dieci milioni di cristiani. La sua economia si regge sul turismo e sul commercio. Per questo non può accettare di diventare un Paese islamista. Ma ci sono strategie internazionali che progettano anche una divisione dell'Egitto. E a pagare il prezzo sarebbe il popolo. Io – prosegue Anba Golta – voglio bene ai miei fratelli e alle mie sorelle musulmani. Ho dedicato anche i miei studi e il mio dottorato alla cultura islamica. Ma per tutti noi la scommessa aperta è se si va verso un Paese fanatico o verso un Paese civile”. Per il vescovo Golta, il nodo di fondo è il rapporto tra politica e religione: “Chi vuole essere religioso, non può pretendere di obbligare per legge la gente a pregare, a non bere alcolici e a seguire tutte le pratiche legate alla sua religione. Nei Paesi arabi, solo separando religione e politica si potrà avere democrazia. (R.P.)

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    India. “Giornata dei martiri”: nel 2012 registrati 135 attacchi contro i cristiani

    ◊   Nell’anno 2012 sono stati censiti ufficialmente 135 attacchi contro fedeli cristiani in India: lo afferma un nuovo Rapporto inviato all’agenzia Fides dal “Consiglio globale dei cristiani indiani” (Gcic), rilasciato ieri, in occasione della “Giornata de Martiri”. La Giornata è stata proclamata da gruppi e comunità cristiane nel Paese, nell’anniversario del massacro del Pastore protestante Graham Staines, arso vivo da estremisti indù, con i suoi due figli, nel 1999. Secondo il Rapporto, presentato dal vescovo Sampath Kumar, della Chiesa Metodista, a guidare la tragica classifica degli Stati indiani dove le persecuzioni sono più accese è il Karnataka (India centrale) con 41 casi di attacchi. Seguono l’Orissa con 16, il Tamil Nadu con 15 casi, il Madhya Pradesh con 14. In Chhattisgarh gli episodi censiti sono 7, ma spiccano, fra gli altri, anche Kashmir e Kerala, ognuno con 5 casi. Il vescovo, illustrando il Rapporto, ha ricordato che “il sangue dei martiri è il seme dei cristiani” secondo Tertulliano, affermando che “i fedeli uccisi sono oggi alla presenza del Signore”. “La persecuzione – ha rimarcato – ci permette di partecipare alle sofferenze di Cristo; in secondo luogo, di condurre una vita purificata; in terzo luogo di annunciare il Vangelo di Cristo”. Il vescovo, esortando i fedeli a “essere forti nella persecuzioni”, ha ringraziato quanti si impegnano a difesa dei cristiani. Ha poi ribadito che il suo scopo nello scrivere il libro “Burnt Alive” – dedicato alla memoria del Pastore Graham Staines – è quello di “diffondere un messaggio di perdono”. Ieri, nel diffondere il Rapporto, oltre 600 leader cristiani, provenienti da diverse parti dell’India, hanno celebrato a Bangalore, capitale del Karanataka, la “Giornata dei Martiri”, avviata fin dal 1999. Molti di loro hanno riportato testimonianze di cristiani perseguitati e hanno narrato particolari di attacchi contro le comunità cristiane. Fra le iniziative lanciate, la donazione di sangue, che può essere “un modo pratico per aiutare i fedeli in difficoltà”, ha ribadito Sayan George, presidente del “Consiglio globale dei cristiani indiani”. (R.P.)

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    Mali. Denuncia di Msf: a Konna manca da giorni l'assistenza sanitaria

    ◊   In Mali l’organizzazione Medici senza Frontiere è riuscita finalmente ad entrare, dopo giorni di richieste disattese, nella zona più vicina ai combattimenti. Due medici e due infermieri sono arrivati ieri a Konna, una città a circa 70 chilometri a nord di Mopti, nell’area critica che si trova tra il nord e il sud del Mali, dove nelle scorse settimane si sono verificati violenti scontri. L‘équipe sta valutando i bisogni medici e umanitari nella zona e ha già fatto un sopralluogo nel principale Centro di salute della città. "Ci riferiscono che gli abitanti non hanno accesso all‘assistenza medica da diversi giorni. Le strutture sanitarie sono vuote, non ci sono né pazienti né personale sanitario", dichiara Dario Bertetto, capo missione di Msf in Mali. L‘équipe - riferisce l'agenzia Sir - ha iniziato a fornire assistenza sanitaria di base e sta attivando alcune cliniche mobili per capire lo stato di salute della popolazione. Più a nord, a Douentza, l’organizzazione continua a lavorare nell’ospedale della città. Il personale medico è rimasto in ospedale 24 ore su 24 nonostante i bombardamenti, effettuando circa 450 visite durante la scorsa settimana. Al momento, la priorità è aumentare l’assistenza per i feriti e gli interventi chirurgici, come i parti cesarei. L’Onu ha registrato 340.000 maliani sfollati o rifugiati nei Paesi vicini. Altre 6.000 persone sono fuggite dall’11 gennaio, rifugiandosi in Mauritania e in Niger. (R.P.)

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    Congo: a Kampala in stallo i negoziati sul Nord Kivu

    ◊   Nessun incontro diretto tra il governo di Kinshasa e la ribellione del Movimento del 23 marzo (M23) e persino il rischio che il mediatore ugandese sospenda i negoziati a causa di “divergenze persistenti”: ripresi da pochi giorni i colloqui di Kampala stanno attraversando una fase di stallo che potrebbe tradursi in un blocco totale. Lo riferisce l’emittente locale ‘Radio Okapi’, spiegando che sono “le rivendicazioni politiche dell’M23” a ipotecare il proseguimento dei negoziati sponsorizzati dai Paesi della regione dei Grandi Laghi. In particolare - riferisce l'agenzia Misna - il gruppo ribelle nato lo scorso aprile nella provincia del Nord Kivu (est) continua a chiedere l’annullamento delle elezioni generali del novembre 2011, lo scioglimento del Senato e delle assemblee provinciali, le dimissioni dei governatori e la creazione di un Consiglio nazionale di transizione che governerà il Paese fino a un nuovo voto. L’M23 denuncia “brogli su vasta scala” durante l’ultima tornata elettorale ed evidenzia il malfunzionamento della Commissione elettorale nazionale indipendente (ceni) e della Corte suprema di giustizia. La delegazione governativa respinge le rivendicazioni politiche formulate dai ribelli, definendole “un grande scherzo”. Alla luce delle crescenti divergenze, mercoledì il ministro ugandese della Difesa, Crispus Kiyonga, ha avuto colloqui separati con i rappresentanti delle due parti contendenti. La decisione di Kiyonga, che sembra chiudere la porta a tematiche di discussione che rimettano in causa la legittimità del presidente congolese Joseph Kabila, è stata fortemente criticata da una parte delle ribellione che lo ha accusato di “parzialità” e ne chiede la sostituzione. Ma gli stessi miliziani appaiono divisi sul da farsi, tra quelli propensi a continuare a partecipare ai colloqui di Kampala e quelli favorevoli a un ritiro. I negoziati sono cominciati il 9 dicembre per poi essere sospesi durante le festività di fine anno. Dalla ripresa, il 5 gennaio, l’M23 ha concesso un cessate-il-fuoco unilaterale e, il 16, le due parti hanno finalmente approvato l’ordine del giorno dei lavori che prevede di procedere a una revisione dell’accordo di pace firmato il 23 marzo 2009 (tra Kinshasa e l’allora ribellione del Congresso nazionale di difesa del popolo, antenata dell’M23, ndr), di valutare una serie di questioni di sicurezza, sociali, politiche ed economiche ma anche l’adozione di un piano di uscita dalla crisi. Intanto dai Capi di stato maggiore dei Paesi dei Grandi Laghi e dell’Africa australe sono arrivate pesanti critiche ai caschi blu della locale missione Onu (Monusco), dispiegata da tempo nell’est del Congo, e una proposta che coinvolge direttamente l’Unione Africana (Ua). “Raccomandiamo all’Africa di prendere il testimone dalla Monusco. Le Forze africane possono fare meglio rispetto a forze internazionali che vengono da fuori e non sanno quello che fanno. La Monusco ha fallito nel suo compito di proteggere i congolesi” si legge in una dichiarazione a firma del Capo di stato maggiore ugandese Aronda Nyakairima. Della possibilità di dispiegare una forza internazionale neutrale nella provincia del Nord Kivu, per monitorare l’instabile confine tra Congo e Rwanda, si discuterà al XX vertice dell’Unione Africana che si apre oggi ad Addis Abeba. (R.P.)

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    Inghilterra: pubblicata la legge sulle nozze gay. I vescovi invitano a scrivere ai parlamentari

    ◊   Il governo di David Cameron ha pubblicato oggi la tanto attesa legge sui matrimoni gay. Il “bill”, così si chiama in inglese, verrà discusso dal Parlamento martedì 5 febbraio e verrà poi esaminato in commissione dai deputati prima di ritornare a Westminster per il voto definitivo, un processo che potrebbe durare dai 2 ai 9 mesi. Contro la legalizzazione delle unioni omosessuali la Chiesa cattolica, insieme a quella anglicana e ad altre religioni, ha condotto una lunga campagna, della quale l’ultima iniziativa è l’invito rivolto ai cattolici a scrivere ai propri parlamentari perché la legge, così si legge sul sito della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, “cambierà in modo fondamentale il significato del matrimonio”. “Vi chiediamo di difendere il matrimonio, una definizione che ha giocato un ruolo fondamentale nella società per secoli”, dicono i vescovi ai cinque milioni di cattolici chiedendo loro di completare una cartolina con tutti i dettagli del parlamentare della zona che li rappresenta e di imbucarla. Le cartoline stanno arrivando in questo momento in tutte le parrocchie, pronte per essere completate durante le Messe del fine settimana. Nella “postcard”, i cattolici chiedono ai parlamentari di votare contro una legge che non era presente in nessuno dei manifesti elettorali dei diversi partiti. Anche il Movimento per la vita ha invitato i suoi sostenitori a contattare subito i deputati che li rappresentano chiedendo loro di partecipare alla seduta del 5 febbraio, durante la quale la legge verrà discussa, e di votare contro. “Chiediamo ai parlamentari di non essere distratti dalle dichiarazioni del governo che le Chiese e gli obiettori di coscienza saranno tutelati dalla legge”, spiega Paul Tally, portavoce della “Società per la protezione dei bambini non nati”, una delle più importanti organizzazioni del movimento per la vita. “Sia pareri legali che precedenti sentenze suggeriscono che tali garanzie verranno probabilmente considerate discriminatorie dalle corti”. In alcune dichiarazioni rilasciate al programma “Today” del canale 4 della Bbc il ministro della cultura Maria Miller ha escluso la eventualità che insegnanti di scuole religiose possano rischiare azioni disciplinari se si rifiutano di promuovere i matrimoni gay nelle scuole, ma questa è la preoccupazione della Chiesa cattolica. Dopo la sentenza della Corte europea dei diritti umani che ha stabilito che un terapista sessuale e un funzionario civile non potevano invocare l’obiezione di coscienza per giustificare la loro decisione di non aiutare coppie gay o di non celebrare matrimoni omosessuali rimane aperta la possibilità che un individuo ricorra al tribunale europeo usando la legge sui diritti umani per promuovere i matrimoni tra omosessuali. (R.P.)

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    Aperto anno giudiziario. Lupo: note dolenti sono lentezza processi e carceri affollate

    ◊   Sulla giustizia, il parlamento che uscirà dalle elezioni dovrà impegnarsi in sforzi convergenti e contributi responsabili alla ricerca di intese, nonostante il giro di boa che c’è stato con la riforma Severino e le norme anticorruzione. E' l'auspicio del primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, durante la cerimonia di apertura dell’anno giudiziario, avvenuta stamattina alla presenza del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e del premier, Mario Monti. Note dolenti, ribadisce l’alto magistrato, restano la lentezza dei processi e il sovraffollamento carcerario - 900 giorni per un processo penale di appello e oltre 5 milioni processi civili pendenti-fattori che incidono negativamente,aggiunge il ministro della Giustizia, Paola Severino, anche sulla capacità di crescita del Paese. Un decalogo di priorità le suggerisce alla politica il vicepresidente del Csm, Vietti, che al primo posto pone la riforma delle misure alternative e della prescrizione, mentre per il pg Ciani occorre meglio regolamentare l’accesso delle toghe in politica per evitare strumentalizzazioni. (G. C.)

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    Coree: Chiesa cattolica e altre comunità chiedono di stemperare la tensione

    ◊   Nell’atmosfera di alta tensione fra Corea del Nord e Corea del Sud, “la Chiesa cattolica e le altre comunità religiose auspicano un cambio di rotta, per stemperare gli attriti e avviare una nuova era di cooperazione e collaborazione bilaterale”: è quanto riferisce all’agenzia Fides padre John Bosco Byeon, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) in Corea del Sud. Intervenendo sul momento critico nei rapporti fra i due Paesi, dovuti soprattutto al controverso programma nucleare di Pyongyang, padre Byeon ribadisce l’attesa di tutta la comunità civile ed ecclesiale per l’insediamento a Seul della nuova presidente, appena eletta, che avverrà il 25 febbraio prossimo. Il nuovo capo di Stato, Park Geun-hye, ha promesso un forte cambiamento rispetto al passato. Con il precedente governo di Lee Myung Bak, infatti, i rapporti con il Nord si sono notevolmente irrigiditi. Per l’agenda della nuova Presidente, tale questione sarà una priorità. Il direttore delle Pontificie Opere Missionarie riferisce che “le comunità religiose, in particolare leader cristiani e buddisti, stavano organizzando una nuova sessione di incontri con i leader religiosi del Nord. Ma ora tali iniziative di dialogo sono bloccate. La Chiesa cattolica – prosegue - riafferma la necessità di distinguere i due piani: quello politico da quello degli aiuti umanitari”. Fra l’altro – coclude padre Byeon, “l’unica chiesa cattolica ancora esistente a Pyongyang ha bisogno di restauro e sarebbe un bel segno per noi, nell’Anno della Fede, poter contribuire a quest’opera”. (C.S.)

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    Usa: al via la colletta per la Chiesa in America Latina

    ◊   Si svolgerà domani e domenica la tradizionale colletta annuale promossa dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) per la Chiesa in America latina. La raccolta serve a finanziare progetti di evangelizzazione, formazione, catechesi e programmi di discernimento vocazionale promossi dalle diocesi sudamericane. Al centro della campagna di quest’anno, il tema della pastorale giovanile. Il vescovo ausiliare di Seattle, mons. Eusebio Elizondo, presidente del Sottocomitato per l’America latina della Usccb, - riferisce l'agenzia Sir - si appella in particolare alla generosità dei fedeli ispanici negli Stati Uniti. Per loro, spiega a Radio Vaticana, questa “iniziativa è un’opportunità per mostrare solidarietà con la Chiesa dei loro Paesi di origine e per sostenere i giovani di tutto il continente”. Tra i destinatari dei fondi raccolti con la colletta, ricorda il presule, il Centro de Capacitaçâo da Juventude in Brasile e diversi programmi di pastorale giovanile. Nel corso del 2012, la raccolta ha consentito di finanziare 417 progetti per un totale di 6,5 milioni di dollari. Il Sottocomitato per l’America latina ha anche assegnato dei fondi speciali per la ricostruzione delle chiese e di altre strutture religiose danneggiate da calamità naturali, come i terremoti ad Haiti e in Cile nel 2010 e il recente uragano Sandy che, oltre agli Stati Uniti, ha travolto anche Haiti e Cuba. (R.P.)

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    Messico: preoccupazione della Chiesa per la violenza che appare anche nelle scuole

    ◊   Il vescovo della diocesi di Aguascalientes, mons. José María de la Torre Martín, e il difensore civico, Omar Williams Lopez Ovalle, hanno lanciato un appello alla società per fermare la violenza e la discriminazione, due fattori che in questo momento minacciano l'unità della famiglia e l'integrità sociale. Nel corso di un incontro tenutosi negli uffici della diocesi, entrambi hanno espresso profonda preoccupazione per gli atti di violenza che accadono all'interno delle famiglie ad Aguascalientes, così come per la violenza che si manifesta in varie forme di discriminazione nella società. Lopez Ovalle ha anche evidenziato l'aumento dei casi di abuso nelle scuole, fenomeno conosciuto come "bullismo", denunciato alla Cedh (Comisión Estatal de los Derechos Humanos). "L'anno scorso la Commissione ha ricevuto 62 denunce da parte dei genitori i cui figli erano stati sottoposti ad atti di violenza nelle scuole, e quest’anno le denunce sono ancora più frequenti" ha detto Lopez Ovalle al vescovo, sottolineando come questo fenomeno sociale causi ai minori depressione, frustrazione e tristezza. "La violenza la troviamo anche quando sono discriminate le donne, gli anziani e i poveri – hanno concordato entrambi -. Per questi gruppi, chiamati dal governo ‘gruppi vulnerabili’, le opportunità nella società sono ridotte". Secondo la nota inviata all'agenzia Fides, l'incontro è avvenuto anche perché quest'anno ricorre il 25° anniversario della creazione della Commissione di Stato per i diritti dell'uomo (Cedh), la prima organizzazione del suo genere nel Paese. Per la ricorrenza sono in programma diversi eventi, in collaborazione con le istituzioni, tra cui la Chiesa cattolica. (R.P.)

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    Varsavia: incontro delle Chiese in Europa su "Fede e religiosità"

    ◊   “Fede e religiosità in un’Europa che cambia. I nuovi movimenti cristiani in Europa: sfide o opportunità?”. Di questo parleranno i membri del Comitato congiunto della Conferenza delle Chiese europee (Kek) e del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee) che si riunirà a Varsavia dal 4 al 6 febbraio su invito dell’arcivescovo di Przemyśl, mons. Józef Michalik, presidente della Conferenza episcopale polacca e vice-presidente del Ccee. Il Comitato, istituito nel 1972, è l’istanza più elevata del dialogo fra i responsabili delle Chiese cristiane in Europa rappresentate dalla Kek e per la parte cattolica dal Ccee. Si riunisce di solito annualmente: le due delegazione sono guidate dai rispettivi presidenti, dal card. Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest per il Ccee e dal metropolita Emmanuel di Francia del Patriarcato ecumenico per la Kek. Il tema principale dell’incontro - si legge in un comunicato diffuso oggi e ripreso dall'agenzia Sir - “vuole essere un’occasione per le due realtà ecclesiali di riflettere insieme sui cambiamenti in corso nell’uomo europeo nel suo rapporto con Dio e nella sua esperienza religiosa, particolarmente evidenti nell’aumento dei movimenti evangelici e pentecostali in Europa”. Con l’aiuto di esperti si affronterà “in modo particolare il rapporto, a volte difficile, tra Chiese 'storiche’ e nuove comunità, la cui presenza in Europa apre a nuove sfide e opportunità”. Sono previsti gli interventi tra gli altri di Eileen Barker della London School of Economics, del card. Angelo Bagnasco, vice-presidente Ccee e del metropolita Joseph del Patriarcato ortodosso di Romania. Nel corso dell’incontro, i partecipanti saranno informati sulla situazione religiosa ed ecumenica in Polonia. I lavori si concluderanno il 6 febbraio con una visita al Museo dell’Insurrezione, preceduta da due comunicazioni su “L’Anno della fede, il 50° anniversario del Concilio Vaticano II, il Sinodo per la nuova evangelizzazione” e “Il ruolo della Kek nell’Europa che cambia”. L’incontro - fanno sapere dal Ccee - è a porte chiuse ma il 6 febbraio è in programma una conferenza stampa presso la sede della Caritas polacca. (R.P.)

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    Vescovi italiani: dal 28 al 31 gennaio i lavori del Consiglilo permanente della Cei

    ◊   “L’approfondimento del recente Motu proprio Intima Ecclesiae natura”, che sottolinea le responsabilità dei Pastori rispetto alle molteplici forme di carità che coinvolgono la comunità cristiana”. È uno dei punti all’ordine del giorno del Consiglio episcopale permanente, che si riunisce a Roma, presso la sede della Cei, dal 28 al 31 gennaio. Lo si apprende dal comunicato diffuso oggi dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana. I lavori, si legge nella nota ripresa dall'agenzia Sir , saranno aperti lunedì pomeriggio, dalla prolusione del cardinale presidente Angelo Bagnasco. In questi giorni, riferisce il comunicato, “vi sarà l’esame e l’approvazione di una Nota pastorale - curata dalla Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali e dalla Commissione episcopale per la famiglia e la vita - sul valore e la missione dell’oratorio. I vescovi guardano a questa realtà come a una delle proposte più significative, ricca di tradizione e, nello stesso tempo, capace di garantire un continuo rinnovamento per rispondere alle odierne esigenze educative”. “Con la finalità di riproporre una più incisiva azione pastorale nell’ambito della catechesi e della formazione dei catechisti - si legge ancora nel comunicato - verrà presentata e discussa una proposta organica di indice per un testo di orientamenti per la catechesi”. Tra le altre tematiche che interesseranno il Consiglio episcopale permanente: “Una comunicazione sugli ultimi sviluppi della legislazione italiana in materia di Imu ed Enti ecclesiastici, nonché sulle prospettive di evoluzione anche in riferimento alla dimensione europea”. L’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali fa sapere, infine, che la conferenza stampa di presentazione del comunicato finale con mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, si terrà il 1° febbraio, alle ore 12, a Roma, presso la Sala Marconi della Radio Vaticana. (R.P.)

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    Croazia: appello dei vescovi in difesa di matrimonio e famiglia

    ◊   Rispetto per la persona come essere umano e rispetto per i valori della sessualità, del matrimonio e della famiglia: è quanto chiede alle autorità civili la Conferenza episcopale della Croazia, al termine della 53.ma Settimana teologica–pastorale, conclusasi a Zagabria. In una nota, in particolare, i presuli lanciano un appello al dialogo con i rappresentanti politici per quanto riguarda l’inserimento, nei programmi scolastici, dell'educazione sessuale obbligatoria, in base alla quale ai ragazzi verrebbero spiegati, tra le altre cose, la teoria del genere e l’uso dei contraccettivi. Nel “rispetto dei diritti costituzionali e della libertà, per i genitori, di prendere decisioni indipendenti sull’educazione dei figli”, così come “nello spirito di una sana democrazia”, i presuli croati chiedono ai politici di “rivedere le loro decisioni”, di “fare autocritica”, di “dimostrare una volontà di cooperazione con le famiglie” e di “rispettare il dettato costituzionale”. Al contempo, anche i genitori vengono esortati ad “garantire ai propri figli il diritto di uno sviluppo pieno e completo della loro personalità” e ad avere “uno spirito di sincera collaborazione con tutte le parti interessate dal dibattito, così da rendere possibile una più completa realizzazione del bene comune di tutti i cittadini della Croazia”. La Chiesa di Zagabria definisce, inoltre, l’introduzione dell’educazione sessuale obbligatoria nei programmi scolastici “una grossa violazione delle procedure democratiche”, poiché si tratta di una decisione “non ispirata da autentici valori umani, bensì soggiogata dalle tentazioni di un ordine politico unilaterale”. “L’unilateralismo nell’approccio di tale questione – continuano i vescovi – ha anche creato un’atmosfera intollerabile di esclusione ed intolleranza nella società croata e ciò danneggia tutti, specialmente il normale funzionamento del sistema educativo nel suo insieme”. Per questo, la Conferenza episcopale ritiene che “il conflitto tra Stato e Chiesa sia stato maliziosamente e tendenziosamente intensificato”, con la conseguenza di una “inaccettabile diminuzione del bene comune e della giustizia, a causa di una politica limitata che si identifica con lo Stato stesso”. Infine, i partecipanti alla 53.ma Settimana teologica-pastorale auspicano nuove condizioni per “stabilire ed intraprendere il dialogo e la cooperazione necessari per definire un nuovo programma di educazione sanitaria”. La speranza, conclude la nota, è che si passi “attraverso tutte le fasi necessarie, democratiche e trasparenti, dello sviluppo e dell’attuazione di tale programma, nel pieno rispetto dei diritti costituzionali e della libertà dei genitori e dei loro figli”. (I.P.)

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    Albania: a Fieri data alle fiamme una chiesa cattolica

    ◊   È un giovane uomo il responsabile dell’incendio che ha colpito la chiesa appartenete alla custodia dei Frati minori a Fieri, nella parte meridionale dell’Albania, il 20 gennaio. “L’intera chiesa è annerita dal fumo, coperta di cenere e le sue finestre sono state completamente distrutte”, racconta padre Jaroslav Mária Cár, superiore della missione dei Frati minori dell’Albania. La polizia ha già individuato il colpevole, ma le ragioni del suo gesto rimangono sconosciute. “Vi chiediamo di pregare per i missionari slovacchi in Albania e per la comunità locale dei fedeli, affinché l’accaduto non li scoraggi ma, al contrario, contribuisca a rafforzare la loro fede nella provvidenza di Dio”, ha dichiarato il superiore della custodia dei Francescani slovacchi a Fieri, padre Tomás Lesnák, esprimendo l’auspicio che le persone di buona volontà offrano il loro sostegno e aiuto per la ricostruzione dell’interno distrutto della chiesa. L’ordine dei Frati minori conventuali - riferisce l'agenzia Sir - è presente nel Paese dal 2007. I religiosi in Albania vivono e lavorano in un ambiente quasi interamente musulmano, incentrando la loro attività sull’evangelizzazione e la pastorale per i cattolici locali. Il loro convento di San Massimiliano Kolbe a Fieri è stato fondato nel 2011. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 25

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.