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Sommario del 22/01/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Dal Papa il segretario generale del Partito comunista del Vietnam, prima volta nella storia
  • Il Papa nomina mons. Viganò neodirettore del Ctv e Angelo Scelzo vicedirettore della Sala Stampa
  • Nomine episcopali in Canada e Italia
  • El Salvador: il Vaticano osservatore del Sistema d’Integrazione Centroamericano
  • La Chiesa celebra 30 anni del Codice di diritto canonico, frutto del Concilio
  • 20 anni del Catechismo: credere in Dio rende liberi
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Al via il secondo mandato di Obama: ora più che mai l’America sia unita
  • Mali, si riunisce il Consiglio di sicurezza Onu. Testimonianza del curato di Bamako
  • Elezioni in Israele. P. Neuhaus: maggioranza dell'elettorato è confusa
  • Siria. Angoscia dell'Onu per morti e distruzione. Migliaia i profughi in Giordania
  • Eritrea. Rientra occupazione dei militari ad Asmara, resta la tensione
  • Rapporto Ilo: disoccupati 4 milioni in più nel 2012. Preoccupazione per i giovani
  • I clochard chiedono il voto: diritto riconosciuto dalla Costituzione ma non dallo Stato
  • Crisi economica e salute mentale: a Roma convegno con dati e soluzioni per i più fragili
  • Mons. Sigalini: per migliorare la società servono cristiani onesti e maturi
  • Assisi. Capitolo generale dei Frati Conventuali per eleggere il successore di San Francesco
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Il card. O’Malley: in 40 anni di aborto, 55 milioni di vite spezzate negli Usa
  • Giordania: anche candidati cristiani alle elezioni parlamentari di domani
  • Mali: il vescovo di Segou preoccupato dal perdurare della guerra
  • Congo. Nuovo appello dei vescovi: rilasciate i tre padri Assunzionisti rapiti a ottobre
  • Costa d'Avorio: i vescovi esortano al perdono e alla riconciliazione nazionale
  • Gabon: dalla Plenaria dei vescovi invito alla riconciliazione
  • Chiesa e abusi: alla Gregoriana incontro di verifica delle attività promosse
  • Messico: in 15 giorni 40 morti, ricatti e minacce anche a sacerdoti e membri della Chiesa
  • Kosovo: "no" della Chiesa cattolica ad ogni forma di violenza e intolleranza
  • Indonesia: terremoto di magnitudo 6 colpisce Aceh
  • Filippine: emergenza aiuti alle donne incinte
  • Brasile: la Campagna di fraternità compie 50 anni
  • Messico: a Durango aumenta il numero delle famiglie povere
  • Irlanda: l’Anno della Fede al centro della Settimana delle scuole cattoliche
  • Il Papa e la Santa Sede



    Dal Papa il segretario generale del Partito comunista del Vietnam, prima volta nella storia

    ◊   Importante udienza quella che si è svolta questa mattina in Vaticano, dove Benedetto XVI ha ricevuto il segretario generale del Comitato Centrale del Partito Comunista del Vietnam, Nguyên Phu Trong, il quale si è poi intrattenuto a colloquio con il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e l’arcivescovo, Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.

    “E’ la prima volta – spiega una nota della Segreteria di Stato – che un Segretario Generale del Partito Comunista del Vietnam incontra il Sommo Pontefice ed alti responsabili della Segreteria di Stato. Nei cordiali colloqui – si legge ancora nel comunicato – sono stati trattati temi di interesse per il Vietnam e la Santa Sede, esprimendo l’auspicio che presto possano essere risolte alcune situazioni pendenti e che possa rafforzarsi la proficua collaborazione esistente”.

    Lo sviluppo dei recenti rapporti tra Vietnam e Santa Sede rappresenta il risultato di un lungo percorso che risale agli Anni ’90. Era, infatti, il 1992 quando per la prima volta una Delegazione della Commissione governativa per gli Affari Religiosi della Repubblica Socialista del Vietnam faceva il proprio ingresso in Vaticano. Ma è nel 2007 che s’interrompe ufficialmente il lungo silenzio diplomatico tra i due Stati, durato un trentennio. Il servizio di Stefano Leszczynski:

    Il lungo processo di riavvicinamento tra Santa Sede e Vietnam, iniziato negli anni Novanta dopo quasi un ventennio di silenzio diplomatico, conosce una svolta nel marzo del 1999, quando la Sala Stampa Vaticana informa che, tra i temi trattati dalla delegazione vaticana e le autorità governative vietnamite ad Hanoi, c’è allo studio anche la possibilità di una ripresa dei rapporti diplomatici tra la Santa Sede e il Vietnam.

    Il 27 maggio del 2000 avviene in Vaticano uno storico incontro tra il Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Socialista del Viêt Nam, signor Nguyên Dy Nien, e l’allora Segretario per i rapporti con gli Stati, mons. Jean-Louis Tauran. Ulteriori passi in avanti verso la normalizzazione dei rapporti tra i due Stati avvengono nel giugno 2001 in seguito ad una nuova visita ad Hanoi della delegazione vaticana. Identici i risultati l’anno successivo, seppure con alcuni progressi in merito alla vita della Chiesa cattolica nel paese ed alla nomina dei vescovi.

    Il 29 novembre del 2002 in Vaticano ancora un incontro al vertice tra il vice primo ministro della Repubblica Socialista del Viêt Nam, il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, e il Segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Tauran.

    Oltre ai temi di politica internazionale, nel colloquio si affrontano questioni relative all’evoluzione economica e sociale in corso nel Vietnam, nonché la necessità di intensificare la cooperazione fra la Chiesa e lo Stato a beneficio dell’intera società vietnamita.

    Il lavoro della delegazione vaticana prosegue con la consueta cadenza e - a cavallo di giugno e luglio del 2005 - avviene in Vaticano la seconda visita una delegazione della Commissione governativa per gli Affari Religiosi della Repubblica Socialista del Vietnam (la prima risaliva al 1992).

    La svolta nei rapporti tra Santa Sede e Vietnam avviene, pur tra mille difficoltà, il 25 gennaio 2007 con lo storico primo incontro in Vaticano tra il primo ministro della Repubblica Socialista del Vietnam, Nguyên Tân Dung, e il Santo Padre Benedetto XVI. Nella nota rilasciata dalla Sala Stampa vaticana si sottolinea come pur in un ambito di progressi verso la normalizzazione dei rapporti bilaterali e di apertura di maggiori spazi di libertà religiosa siano stati affrontati i problemi ancora aperti “cosicché i cattolici possano dare sempre più efficacemente il loro positivo contributo per il bene comune del Paese, la promozione dei valori morali, in particolare nella gioventù, la diffusione di una cultura della solidarietà e l’assistenza caritativa in favore dei ceti più deboli della popolazione. I progressi nei rapporti tra Chiesa cattolica e governo in Vietnam e nei rapporti tra i due stati compiono piccoli ma significativi passi avanti ad ogni viaggio della delegazione vaticana. Nel 2008, viene chiusa la controversia relativa al palazzo della nunziatura apostolica che il governo vietnamita restituisce alla Chiesa cattolica e nello stesso anno rinasce dopo 30 anni di assenza la Caritas vietnamita, bloccata dal 1976 nelle sue attività sociali. Il 24 giugno del 2009 la visita ad Limina dei vescovi vietnamiti conferma il progresso nei rapporti tra Stato e Chiesa in Vietnam, seppure a piccoli passi.

    E’ ancora il 2009 quando tra le notizie di periodiche vessazioni nei confronti dei cattolici vietnamiti, la Chiesa locale celebra il suo Giubileo: 350 anni dalla erezione delle due prime diocesi e i 50 anni della gerarchia cattolica.

    L’11 dicembre dello stesso anno Benedetto XVI riceve in Vaticano il presidente del Vietnam Nguyen Minh-Triet. Evento significativo nelle tappe di riavvicinamento tra i due Stati è stata la nomina il 13 gennaio 2011 da parte di Benedetto XVI del nunzio mons. Leopoldo Girelli come Rappresentante Pontificio non–residente per il Vietnam.

    A partire dal 2009 - e in particolare dal mese di febbraio - prendono il via gli Incontri del Gruppo Congiunto di Lavoro Vietnam-Santa Sede. Il secondo incontro è in Vaticano nel 2010, il terzo nuovamente ad Hanoi nel febbraio dello scorso anno (2013). In tutte e tre le occasioni, passi avanti significativi sono stati compiuti in materia sia di Rapporti Chiesa-Stato, sia di rapporti bilaterali, di libertà religiosa nel paese asiatico. Un quarto incontro è già previsto in Vaticano, anche se con data da definirsi.

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    Il Papa nomina mons. Viganò neodirettore del Ctv e Angelo Scelzo vicedirettore della Sala Stampa

    ◊   Due importanti nomine si segnalano nella cronaca vaticana di oggi. Benedetto XVI ha nominato come nuovo direttore del Centro Televisivo Vaticano e segretario del Consiglio d'Amministrazione del medesimo organismo mons. Dario Edoardo Viganò, docente presso l'Istituto Pastorale "Redemptor hominis" della Pontificia Università Lateranense. Mons. Viganò prende il posto di padre Federico Lombardi, che resta alla guida della Sala Stampa della Santa Sede e della Radio Vaticana.

    Inoltre, Benedetto XVI ha nominato vicedirettore della Sala Stampa della Santa Sede per gli accrediti giornalistici il dott. Angelo Scelzo, finora sottosegretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.

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    Nomine episcopali in Canada e Italia

    ◊   In Canada, Benedetto XVI ha nominato Vescovo di Bathurst il sacerdote Daniel Jodoin, del clero dell’arcidiocesi di Sherbrooke, finora parroco della parrocchia Bon Pasteur di Sherbrooke, direttore dell’ufficio per il Clero e Responsabile del Seminario di Sherbrooke. Mons. Daniel Jodoin è nato il 2 marzo 1957 a Granby, nella diocesi di Saint-Hyacinthe (Canada). Dopo la scuola primaria, ha frequentato quella secondaria nel Séminaire des Pères du Verbe Divin di Granby (1969-1974), passando poi al Collège Jean de Brébeuf di Montréal (1974-1976). Ha terminato gli studi di amministrazione all’Hautes Études Commerciales di Montréal. È stato Novizio presso i Verbiti e vi ha emesso i voti temporanei. Ha seguito il primo ciclo di Teologia al Séminaire Saint-Paul di Ottawa (1983-1986). Dal 1986 al 1990 è stato seminarista della diocesi di Saint-Hyacinthe e ha concluso poi la sua formazione al Seminario di Sherbrooke. È stato ordinato sacerdote il 3 ottobre 1992 per l’arcidiocesi di Sherbrooke. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha svolto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della parrocchia Saint-Joseph di Sherbrooke (1992-1994); Parroco delle parrocchie Saints-Anges de Ham Nord e Notre-Dame de Lourdes e Saint Fortunat di Ham (1994-2000); Amministratore della parrocchia Saint Julien (1999-2000); Amministratore della parrocchia St. François d’Assise (2002-2005); Parroco delle parrocchie Notre-Dame-de-l’Assomption, Sainte-Famille e St-François-d’Assise a Sherbrooke (2005); Parroco della parrocchia Très-Saint-Sacrement di Sherbrooke (2005-2006). Nel biennio 2000-2002 ha conseguito la Licenza in Teologia dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma. Dal 2006 è Parroco della parrocchia Bon Pasteur ed è attualmente Direttore dell’ufficio per il Clero e Responsabile del Seminario di Sherbrooke.

    In Italia, il Papa ha nominato vescovo di Sora-Aquino-Pontecorvo mons. Gerardo Antonazzo, del clero della diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca, finora vicario generale. Mons. Gerardo Antonazzo è nato il 20 maggio 1956 a Supersano (Lecce). Entrato nel Seminario minore diocesano di Ugento nel 1968, ha frequentato il Ginnasio nel Seminario di Lecce e il triennio del Liceo presso il Seminario minore di Taranto. Nell’ottobre del 1975 è stato inviato al Seminario Romano maggiore dove ha compiuto gli studi filosofico-teologici. Ha ricevuto l’ordinazione presbiterale il 12 settembre 1981 ed è stato incardinato nella diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca. Nel 1984 ha ottenuto la licenza in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha svolto i seguenti incarichi e ministeri: Animatore nel Pontificio Seminario Romano maggiore (1981-1987); Rettore del Seminario Vescovile di Ugento e Delegato Vescovile per la Pastorale familiare (1987-1995); Membro del Consiglio Presbiterale, del Collegio dei Consultori e del Consiglio Pastorale diocesano (dal 1989); Direttore della Scuola Teologica per Operatori Pastorali (dal 1990); Docente di Sacra Scrittura (dal 1990); Vicario Episcopale per il Clero e la Vita Consacrata (1990-1993); Delegato Vescovile per la Pastorale giovanile e Vicario Episcopale per la Pastorale (1994-2003); Parroco di S. Sofia di Corsano (1995-2004); Parroco di S. Andrea Apostolo di Presicce (2004-2010); Vicario generale (dal 2010); Rettore della Basilica-Santuario di Santa Mariade finibus terrae (dal 2012). Dal primo aprile al 15 dicembre 2010 è stato Amministratore diocesano di Ugento-Santa Maria di Leuca. È stato nominato Cappellano d’Onore di Sua Santità il 16 Giugno 2007.

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    El Salvador: il Vaticano osservatore del Sistema d’Integrazione Centroamericano

    ◊   Il Vaticano è diventato il nono osservatore extra-regionale del Sistema d'Integrazione Centroamericano (Sica). La cerimonia ufficiale si è tenuta ieri a San Salvador, presso la sede del Sica. Il Segretario generale del Sica, Juan Daniel Alemán, e il nunzio apostolico in El Salvador, l'arcivescovo Luigi Pezzuto, hanno firmato l'accordo. Alemán ha sottolineato che l'ammissione del Vaticano in qualità di osservatore è stata approvata dai Presidenti delle nazioni dell'America centrale membri del Sica durante il vertice svoltosi a Managua il 13 dicembre scorso. "La Santa Sede diventa parte di quel ristretto gruppo di nazioni amiche che partecipano alle attività e all'avanzamento del processo di integrazione con il fermo desiderio di individuare le aree di interesse comune, definire i meccanismi di cooperazione e contribuire allo sviluppo della nostra regione" ha sottolineato Juan Daniel Alemán, secondo la nota inviata all'agenzia Fides. "L'interesse della comunità internazionale per il Sica dimostra la sua fiducia nel processo di integrazione" ha aggiunto. Mons. Pezzuto ha evidenziato che la Santa Sede e le Chiese cattoliche locali dell’America centrale "hanno le migliori disposizioni verso la cooperazione, in modo che si possa raggiungere, con pieno successo, la meta desiderata, che è l'unione di tutte le nazioni del Centro America". Il Sica è composto da Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Belize, Panama e Repubblica Dominicana. Dispone di sei osservatori regionali (Argentina, Brasile, Cile, Stati Uniti, Messico,Perù) e nove extraregionali (Australia, Germania, Corea del Sud, Spagna, Città del Vaticano, Francia, Italia, Giappone e Taiwan). (R.P.)

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    La Chiesa celebra 30 anni del Codice di diritto canonico, frutto del Concilio

    ◊   “Il Codice: una riforma voluta e richiesta dal Concilio”. Trenta anni dopo la promulgazione del Codice di Diritto Canonico si terrà, venerdì prossimo 25 gennaio, una Giornata di studio promossa dal Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi e dall’Istituto Internazionale di Diritto Canonico e Diritto comparato delle Religioni di Lugano. L’evento, sotto il patrocinio della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI e della Fondazione Giovanni Paolo II, verrà ospitato a Roma nella Sala San Pio X. A illustrare il programma nella Sala Stampa Vaticana è stato oggi il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, insieme con mons. Giuseppe Antonio Scotti, presidente della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Trenta anni dal Codice di Diritto Canonico e 50 anni dal Concilio Vaticano II. Era il 25 gennaio 1959 – ha ricordato il cardinale Coccopalmerio - quando Giovanni XIII nel Monastero di San Paolo fuori le Mura, “con sorpresa di tutti” indiva il Concilio vaticano II, ed avviava della riforma del Codice di diritto canonico:

    “Papa Roncalli, nella sua grande lungimiranza aveva ben chiaro che a guidare la revisione del Codice dovesse essere la nuova ecclesiologia scaturita da un’assise ecumenica e mondiale come quella di un Concilio”.

    A suggellare nella memoria la promulgazione del nuovo Codice, il 15 gennaio 1983, è la foto scelta per il depliant della Giornata di studio. Un’immagine “storica”:

    “Giovanni Paolo II firma con sguardo sorridente: si vede che è soddisfatto, consapevole del valore e della portata di tale firma, sotto lo sguardo attento e compiaciuto del cardinale Ratzinger”.

    Il nuovo Codice – ha spiegato il porporato – da una parte recepisce il Concilio e dall’altra stabilisce nome positive per darne attuazione. E tra le innovazioni conciliari, il cardinale Coccopalmerio ha evidenziato: la collegialità dell’episcopato, “una felice riscoperta”, “la missione propria e attiva dei fedeli laici nella vita della Chiesa”, anche qui “piuttosto una riscoperta”, la concezione di parrocchia, non struttura o territorio ma “comunità di fedeli”, il rilancio ecumenico e “la possibilità di accogliere nei sacramenti della Chiesa cattolica, anche se a precise condizioni, i cristiani non cattolici.” Quindi il porporato ha concluso:

    “Il felice connubio Concilio Vaticano II e Codice di Diritto Canonico ha prodotto frutti di rinnovamento, in molteplici ambiti e a vari livelli, nella vita della Chiesa”.

    Ha fatto eco al cardinale Coccopalmerio, mons. Giuseppe Antonio Scotti, presidente della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, rimandando alla Giornata di studio gli interrogativi di fondo – perché esiste e qual è lo scopo del Diritto canonico? – consapevole che tutte le discipline debbano deve convergere verso “la conoscenza intima del mistero di Cristo”.

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    20 anni del Catechismo: credere in Dio rende liberi

    ◊   La fede cristiana si basa sul credere in Dio come Persona e alla verità della sua Parola accettata liberamente, non sull'accettazione di alcune affermazioni che Lo riguardano. Lo spiega con chiarezza il Catechismo della Chiesa Cattolica, che nel 2013 celebra il 20.mo di pubblicazione. A questo aspetto dedicata l'11.ma puntata del suo ciclo il gesuita, padre Dariusz Kowalczyk:

    Diciamo: “Io credo”, oppure “Io non credo”. Ma come comprendiamo la parola “credere”? Il Catechismo ci dice che “credere” ha “un duplice riferimento: alla persona e alla verità” (CCC 177). Il primato però appartiene sempre alla persona; il nucleo della fede consiste quindi in un’adesione personale dell’uomo a Dio, è non nel ripetere le frasi, magari vere, su Dio. Benedetto XVI scrive con chiarezza: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte” (Deus caritas est, 1). Professiamo la fede "apostolica" e questo vuol dire che la nostra fede è radicata nell’incontro degli Apostoli con Gesù di Nazareth. Quel incontro costituisce il fondamento di nostri incontri personali con Dio che si fa sperimentare attraverso il creato, nei fatti della vita e nei nostri cuori.

    Il secondo riferimento, menzionato dal Catechismo, cioè la verità, vuol dire che la fede è anche “l’assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato” (CCC 150). Professiamo il Credo come l’insieme delle verità rivelate da Dio e custodite dalla Chiesa. Tali verità però non sono filosofia riferita a Dio, ma nascono da un evento concreto, cioè dalla Persona di Gesù Cristo. La fede cristiana costituisce dunque una risposta dell’uomo alla persona di Gesù e alle sue parole e opere (cfr. CCC 142). Quella risposta da un lato esprime la libertà dell’uomo, e dall’altro costituisce un atto di obbedienza (cfr. Rm 1,5). Nel Catechismo leggiamo che “obbedire nella fede è sottomettersi liberamente alla Parola ascoltata” (CCC 144). Quindi, obbedienza a Dio non si oppone alla nostra libertà. Anzi, tale obbedienza, scelta liberamente, permette di essere veramente se stessi. Così come lo possiamo vedere nell’esempio di vita di Vergine Maria.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Sotto la protezione della Vergine Maria: in prima pagina, Alain Besancon sull'infanzia di Gesù nel libro di Benedetto XVI.

    L'Egitto rompe il consenso sull'intervento internazionale in Mali: nell'informazione internazionale, l'allarme dell'Onu per i reclutamenti forzati di bambini nei gruppi in conflitto.

    Protagonista la politica: in cultura, Gaetano Vallini recensisce "Lincoln" di Steven Spielberg, un film eccellente ma che non emoziona, con un articolo di Emilio Ranzato dal titolo "Catastrofi, scandali e debolezze": quando Hollywood inventa i presidenti.

    Autentica per natura: Inos Biffi sulla credibilità della Chiesa.

    Un articolo di Mattia Rossi dal titolo "Parola scolpita nel suono": nel canto gregoriano la totale subordinazione dell'andamento melodico alla Scrittura.

    In cerca del fantasma colorato del mondo: Sandro Barbagallo sulla mostra "Paul Klee e l'Italia".

    L'ultimo dei documenti conciliari: un convegno sul Vaticano II e il Codice di Diritto canonico del 1983.

    Ferma volontà di collaborazione: nell'informazione religiosa, Mark Langham, del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, sui nuovi frutti del difficile dialogo dei cattolici con anglicani e metodisti.

    Nell'informazione vaticana, intervista di Mario Ponzi all'arcivescovo Claudio Maria Celli alla vigilia della presentazione del messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali.

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    Oggi in Primo Piano



    Al via il secondo mandato di Obama: ora più che mai l’America sia unita

    ◊   Bagno di folla a Washington per la cerimonia di inaugurazione del secondo mandato di Barack Obama. Circa 800 mila persone hanno partecipato all’evento, nel giorno in cui l’America festeggiava Martin Luther King. Nel suo discorso inaugurale, durato poco meno di 20 minuti, Obama ha messo l’accento sui valori fondanti dell’America: libertà ed eguaglianza. Il presidente ha quindi dichiarato che è finito un decennio di guerre e che gli Stati Uniti sosterranno la democrazia in ogni luogo, dall’Africa al Medio Oriente. Da Washington, il servizio di Francesca Baronio:

    Con l’ancora nella Costituzione, il presidente Obama guarda avanti e apre il suo secondo mandato nel segno dell’uguaglianza. "L’America è il Paese delle opportunità" e Obama ha chiesto all’America di agire per trasportare nell’oggi i valori del passato. Le sfide per i prossimi 4 anni sono, dunque, tese a garantire uguali diritti per tutti. In primis l’economia: la ripresa c'è e deve essere rispettosa delle classi meno abbienti. Giusto quindi occuparsi del bilancio, anche rivedendo la spesa sanitaria, ma senza smantellare l’impegno nei confronti dei cittadini. Parti fondamentali del discorso anche l’accoglienza degli immigrati e la nuova attenzione ai cambiamenti climatici. Infine, la politica estera: l’America sarà sempre il guardiano della democrazia del mondo ma l’epoca delle guerre è finita, una pace durevole non necessità di una guerra perenne. E per finire una citazione di Martin Luther King “Portiamo luce e libertà ad un futuro incerto”.

    Per un commento sul discorso di Obama, Alessandro Gisotti ha intervistato l’americanista de “La Stampa”, Alberto Simoni:

    R. – Secondo me, la cosa che resta è proprio quel parlare sempre dei padri fondatori e della necessità di rendere attuale il loro messaggio, cioè di dargli una realizzazione pratica. Questa è la sfida della generazione di Obama.

    D. – Sicuramente è un discorso che guarda più all’interno che all’esterno. C’è anche questa voglia di ripartire dell’America in un modo diverso...

    R. – Sicuramente. Ha detto che ci siamo lasciati alle spalle il periodo più difficile ed ora è la crescita il tema chiave. E’ un discorso rivolto ai problemi che hanno gli americani oggi: la classe media che fatica, il numero sempre crescente di poveri, il grande divario che c’è tra i sempre più poveri e i sempre più ricchi. Sono tutte questioni che Obama pone in un’ottica particolare: nella riduzione di questo gap sta la sua missione. Ecco quindi l’appello sottotraccia ai repubblicani a collaborare, perché da soli non si va da nessuna parte. E’ un passaggio che si può leggere appunto in un duplice senso: da un punto di vista della politica estera, ma anche all’interno. Gli americani non possono fare tutto da soli. La responsabilità è fondamentale, per poter trainare tutto il Paese.

    D. – Il presidente ha toccato alcuni temi come gay, immigrazione e riscaldamento globale. Su questo si è visto un Obama meno unificatore, più polarizzatore...

    R. – Sicuramente sì. Non per niente, l’ex presidente Jimmy Carter ha definito il discorso di Obama quello più progressista che abbia mai sentito. E’ chiaro che Obama ieri è stato molto specifico. Ha toccato temi che scaldano soprattutto il cuore di una parte dell’America e di gran parte del suo elettorato. E’ chiaro che parlare di diritti degli omosessuali, parlare di questi temi, non contribuisce certamente a rendere più morbido il terreno di confronto con i repubblicani. La stessa questione del clima non trova un terreno comune nell’approccio negli Stati Uniti. E’ probabile che ci saranno degli scontri, ma è anche vero che i presidenti americani, nel secondo mandato, ormai liberi da scadenze elettorali, non più obbligati a ricercare la rielezione, possono veramente mettere in pratica quella che è sempre stata in origine la loro vera visione del Paese. Non dimentichiamoci che nel 2008, Barack Obama veniva dipinto come un candidato estremamente “liberal” da una parte del mondo repubblicano. In questi primi quattro anni, queste sue tendenze si sono un po’ mitigate, anche per ragioni elettorali, per la sua capacità di cercare un compromesso. Adesso i temi che Obama pone agli americani sono molto, molto netti.

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    Mali, si riunisce il Consiglio di sicurezza Onu. Testimonianza del curato di Bamako

    ◊   Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si riunisce oggi, su richiesta della Francia per discutere della situazione in Mali. Nel Paese continua l’avanzata delle truppe locali e dell’esercito francese, dopo la riconquista delle città di Konna e Diabali, che erano state occupate dagli islamisti. Ma come vive questa situazione la popolazione locale? Nell’intervista di Davide Maggiore, risponde da Bamako don Timothée Diallo, curato della cattedrale e responsabile delle comunicazioni dell’arcidiocesi:

    R. – La prise de cettes deux villes…
    La presa di queste due città ci ha molto preoccupato, perché se i francesi non fossero venuti a soccorrerci penso che gli islamisti adesso sarebbero a Bamako. La gente è molto preoccupata, non si sapeva cosa stesse accadendo. Con l’arrivo dei francesi la gente è fiduciosa. Qui a Bamako, la situazione è normale, la gente vive normalmente, non ci sono problemi per il momento, anche se ci sono molti controlli, ci sono molte pattuglie in città, giorno e notte, soprattutto la notte. Questo ci rassicura molto perché si parla di infiltrazioni: ci sono alcune persone, alcuni islamisti, che sono stati arrestati in città dalle forze dell’ordine.

    D. – Avete anche informazioni sulle città del nord?

    R. – On est loin de villes du nord…
    Siamo lontani dalle città del nord per sapere quello che succede effettivamente, perché la comunicazione è interrotta, non ci sono reti. Quello che è certo è che le città di Diabali e di Konna sono state liberate e questo ci ha molto sollevati.

    D. – Molte persone sono sfollate e molti di loro sono adesso a Bamako. La Chiesa, insieme alle organizzazioni internazionali, cosa fa per assistere questi rifugiati?

    R. – Beaucoup, beaucoup de gens ont fui le nord…
    Molte persone sono fuggite dal nord con l’arrivo degli islamisti, sia musulmani che cristiani. Per esempio, per quanto riguarda gli studenti, la Chiesa li ha accolti: alcuni studenti sono venuti dalla scuola cattolica di Gao a Bamako, che li ha accolti. Inoltre, ci sono molti rifugiati: fin dallo scorso mese di aprile, avevamo aperto un centro di accoglienza per dare loro un alloggio. Poi, riguardo alla sicurezza alimentare, la Chiesa ha fatto censimenti a livello dei quartieri e ha portato un po’ di riso a tutti i profughi che sono stati censiti nei quartieri, quindi abbiamo potuto dare riso ai rifugiati e agli sfollati di altri luoghi.

    D. - Vuole dire qualcosa a coloro che ci ascoltano?

    R. – On demande la prière…
    Chiediamo la preghiera, bisogna pregare molto per il Mali. Stiamo attraversando una situazione molto difficile. Nelle nostre chiese, tutti i giorni preghiamo per la pace, perché la pace ritorni. A coloro che ci ascoltano chiedo di unirsi a noi nella preghiera perché possiamo trovare una stabilità, soprattutto politicamente: a livello dello Stato, i politici non vanno d’accordo. Bisogna assolutamente che tutti possano vivere nella tolleranza. C’è stata una crescita degli islamisti in tutto il Paese e penso sia stata la mancanza di tolleranza ad aver causato tutti questi problemi.

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    Elezioni in Israele. P. Neuhaus: maggioranza dell'elettorato è confusa

    ◊   In Israele, è giornata di elezioni. Cinque milioni e 600 mila aventi diritto sono attesi alle urne per il rinnovo della Knesset, il parlamento israeliano. Il favorito dai pronostici elettorali è il premier uscente, Netanyahu. Nonostante le percentuali di affluenza alle urne siano dato in lieve aumento rispetto alla tornata del 2009, il quadro politico israeliano si presenta piuttosto frammentato. Lo conferma, al microfono di Antonella Palermo, il vicario del Patriarcato latino di Gerusalemme per la pastorale dei cattolici di lingua ebraica, padre David Neuhaus:

    R. – Io credo che la maggioranza degli israeliani siano un po’ confusi e temo che tantissimi di loro non andranno a votare, perché sentono che non c’è nessuno che possa apportare quei miglioramenti alla situazione che essi auspicano per il nostro Paese e per il futuro. Il linguaggio politico dei nostri capi forse poteva avere senso in passato, ma oggi credo che il popolo si renda conto che i nostri capi non sono adeguati alla realtà nella quale viviamo, né dal punto di vista sociale né nella ricerca della sicurezza per il Paese, della pace, di un accordo con i nostri vicini, primo tra questi il popolo palestinese.

    D. – Netanyahu sembra il favorito…

    R. – Secondo i giornali che lui ha, sarà ancora una volta il nostro primo ministro. Forse, Netanyahu veramente è il favorito per la maggioranza dei cittadini. Ma quanti voti prenderanno i partiti marginali? Votare per loro è un voto per l’opposizione…

    D. – Quanto peserà, secondo lei, il fattore religioso in questo voto?

    R. – Intanto, parliamo degli ebrei e anche fra loro non c’è unità. Ci sono interessi molto diversi. Gli ultraortodossi non sono d’accordo con i religiosi-nazionalisti e anche gli ebrei che sono di origine nordafricana e del mondo arabo osservano un altro tipo di religiosità. C’è la tendenza di guardare soltanto quelli che sono fortemente nazionalisti, ma questo non corrisponde a tutta la realtà degli ebrei religiosi, che anche loro sono in crisi e in divisione.

    D. – Quindi, lei come vede questo spostamento a destra del baricentro della politica israeliana?

    R. – Credo che molto più importante dello spostamento a destra sia la crisi ideologica. Netanyahu è un uomo della destra, certamente. Ha un’ideologia ma fa parte anche degli uomini molto ricchi che controllano questo Paese. Quindi, credo che anche il business giocherà un ruolo molto importante nella formazione della politica per il futuro. Credo che nei prossimi anni Israele, con i nostri capi in prima fila, debba formulare una visione di Israele per l'oggi e i ldomani. Loro parlano molto di Israele del passato, ma la società è molto cambiata, e il nostro discorso politico non corrisponde più alla realtà.

    D. – Il voto dei cattolici dove si orienterà, secondo lei?

    R. – I cattolici nella maggioranza assoluta sono arabi: voteranno come gli arabi in Israele. Ci sono tre partiti che sono ideologicamente legati alla popolazione araba. Poi, ci sono tantissimi cattolici che non sono arabi: in maggioranza, non sono cittadini e quindi non hanno diritto di voto perché sono immigrati. Ma c’è il timore che tantissimi arabi – musulmani e cristiani, cattolici e altri – non andranno a votare perché non vedono nessuna ragione di votare.

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    Siria. Angoscia dell'Onu per morti e distruzione. Migliaia i profughi in Giordania

    ◊   In Siria, dopo le stragi di ieri nella provincia di Hama e a Damasco, l’Onu esprime “angoscia” per morti e distruzione nel Paese, mentre continuano senza sosta i combattimenti tra lealisti e ribelli. Intanto, si riaccendono le polemiche sulla presenza di armi chimiche detenute dal regime. Secondo la stampa turca, il governo di Assad non potrebbe usarle senza l’accordo della Russia. Tra l’altro, Mosca sta provvedendo al rimpatrio di 81 dei suoi cittadini. Resta poi gravissima l’emergenza umanitaria, oltre 12 mila profughi sono ammassati in queste ore al confine con la Giordania. Cecilia Seppia ha sentito la dottoressa Fausta Micheletta, di Medici senza frontiere (Msf) appena rientrata dalla Siria:

    R. – Per quello che ho visto, e che mi ha scioccato sia da un punto di vista umano che professionale, è che la maggior parte dei feriti che ho assistito erano feriti civili, quindi vittime di bombardamenti sulle città e bisognosi di un’assistenza sanitaria che in questo momento è difficile da avere nel Paese.

    D. – Quando i feriti arrivano da voi in che condizioni sono?

    R. – In genere i feriti, nella mia esperienza, arrivano tutti insieme. Nel senso che il primo bombardamento è quello che crea più vittime, perché trova la popolazione per strada, perché la trova “impreparata”, anche se sono preparati perché sono mesi che vengono bombardati. Quindi, in genere il flusso è l’arrivo da 4 a 12-15 feriti, tutti insieme. Quello che mi ha colpito è che in genere arrivano famiglie intere che vengono colpite, perché magari durante il corso di un bombardamento crolla un tetto del palazzo e quindi hanno ferite da trauma al chiuso, oppure perché sono per strada e vengono colpite dai frammenti di bomba o di mortaio che erano sul suolo.

    D. – Tra gli altri problemi che in questo momento la popolazione sta affrontando, c’è l’emergenza freddo, la fame… Insomma, i bisogni sanitari stanno crescendo: voi come li state fronteggiando?

    R. – Da un punto di vista sanitario, oltre ad essere presenti in ospedali del nord, nordest della Siria, offriamo un supporto logistico. Per esempio, l’ospedale nel quale ho lavorato io forniva supporto logistico ai piccoli ospedali da campo gestiti dal personale sanitario locale e nelle città più vicine al fronte. Supporto logistico vuol dire invio di materiale medico: dalle garze, ai farmaci, a tutto quello che è necessario per stabilizzare il paziente e permettere il trasferimento verso il nostro ospedale. O anche un supporto che può essere legato alla fornitura di coperte perché, come accennava, è particolarmente freddo e oltre a essere freddo non c’è elettricità e non ci sono riscaldamenti.

    D. – Tra l’altro voi lavorate solo in zone controllate dai ribelli e ci sono molte persone che non riuscite a raggiungere…

    R. – Questo ci tengo a sottolinearlo, nel senso che Msf lavora nel nord del Paese, perché nonostante fin dall’inizio sia stata chiesta l’autorizzazione al governo siriano per una nostra presenza ufficiale nel Paese, l’autorizzazione non è stata mai concessa. Quindi, siamo in grado di assistere la popolazione civile soltanto nelle aree controllate dai ribelli e purtroppo non ancora nelle aree controllate dai governativi, dove pure sicuramente c’è bisogno di assistenza sanitaria alla popolazione.

    D. – Qual è la percezione che ha la gente nei confronti della comunità internazionale, ma anche delle ong come Msf, che operano sul terreno?

    R. – Nell’immaginario della popolazione locale, c’è paura nei confronti della presenza di un ospedale. Per esempio, nella comunità che ospita il nostro ospedale è vietato fare fotografie perché l’ospedale viene considerato un target, ovvero un obiettivo dei bombardamenti e quindi nelle zone di fronte, la maggior parte degli ospedali da campo sono nei sotterranei dei palazzi, per essere sicuri nel caso di un bombardamento, e quindi alla difficoltà di una guerra si aggiunge anche la paura da parte della popolazione civile di essere accolta e curata all’interno di un ospedale. Sicuramente, c’è bisogno che tutta la comunità internazionale intensifichi il bisogno sia della popolazione all’interno della Siria, sia della popolazione che dalla Siria è scappata.

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    Eritrea. Rientra occupazione dei militari ad Asmara, resta la tensione

    ◊   Eritrea. Sembra rientrata ad Asmara l’azione dei circa 200 soldati che ieri avevano occupato l’aeroporto, la Banca Centrale Eritrea e soprattutto il Ministero dell’informazione, sede della televisione pubblica. L’esecutivo, secondo fonti dell’opposizione, avrebbe accettato molte delle richieste fatte dagli ammutinati, tra le quali la liberazione di detenuti politici. Sulla situazione, Massimiliano Menichetti ha raggiunto telefonicamente un cittadino eritreo, al quale, per motivi di sicurezza, garantiamo l’anonimato:

    R. – Adesso, la situazione è calma, però è molto anomala. Non possiamo dire che sia tutto finito, che sia tutto calmo: bisognerà vedere quale reazione avrà, adesso, il governo. Potremo valutare completamente solo tra alcuni giorni…

    D. – Come ha vissuto la popolazione quanto è accaduto?

    R. – La popolazione ad Asmara è rimasta in casa. Non hanno nemmeno sentito tutto questo: non sono stati coinvolti. La popolazione è tranquilla.

    D. – Liberazione di prigionieri politici, rispetto della Costituzione: che cosa è stato ottenuto dagli ammutinati?

    R. – Per il momento, non ci sono riscontri. Si dice che una loro delegazione sia andata nell’ufficio del presidente per un colloquio e che abbiamo ottenuto qualcosa. Però, dobbiamo aspettare per avere notizie certe e non strumentali.

    D. – Si è parlato anche di colpo di Stato …

    R. – Non è un colpo di Stato. Questi sono militari non ben coordinati che hanno compiuto un’azione isolata. Duecento persone non possono cambiare il governo.

    D. – Qual è la situazione dell’Eritrea in questo momento?

    R. – Difficile: politicamente, economicamente, socialmente. Poi, è isolata in senso politico, diplomatico…

    D. – C’è chi dice che uno dei nodi più grandi sia proprio l’applicazione della Costituzione

    R. – Soprattutto. La Costituzione del 1997 non è stata attuata, quindi non c’è Costituzione nel Paese.

    D. – Qual è l’augurio che lei fa all’Eritrea?

    R. – Forse, tanti eritrei hanno pensato, sperato in un cambiamento: non radicale, ma a qualche cambiamento, almeno. Così come sta, il Paese non può andare avanti. Ma l’augurio è soprattutto la giustizia e la pace.

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    Rapporto Ilo: disoccupati 4 milioni in più nel 2012. Preoccupazione per i giovani

    ◊   Cresce nel mondo il numero dei disoccupati: nel 2012 sono stati 4 milioni in più. Il dato è contenuto nell’ultimo rapporto dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo), presentato oggi. La tendenza proseguirà anche per il 2013, portando i senza lavoro a 200 milioni. Particolarmente preoccupante la situazione dei giovani. Per l’Ilo, inoltre, incertezze e politiche incoerenti dei governi hanno incrementato la crisi. Il servizio di Adriana Masotti:

    Dopo una pausa di due anni, nel 2012 la disoccupazione mondiale è tornata a salire superando la cifra di 197 milioni con un tasso pari a 5,9%. Nonostante una moderata ripresa della crescita della produzione, nel 2013 i disoccupati dovrebbero superare quota 200 milioni: sono le stime dell’Ilo che nel suo Rapporto sulle "Tendenze globali dell'occupazione" calcola 67 milioni gli impieghi in meno nel mondo dall’inizio della crisi. Sono 74 milioni invece i giovani senza lavoro. In crescita quelli che vivono una disoccupazione di lunga durata e gli scoraggiati che rinunciano alla stessa ricerca. L’Ilo sottolinea anche un preoccupante divario tra le competenze di chi cerca un impiego e le qualifiche richieste dai nuovi lavori e raccomanda perciò interventi strutturali nel campo della formazione, misure per favorire l'attività d'impresa e rapporti più stretti tra educazione e mondo del lavoro.

    Per il direttore generale dell’Organizzazione, Guy Ryder, la lotta alla disoccupazione giovanile deve essere la ''priorità tra le priorità''. Ai livelli attuali, afferma, si tratta di un ''dramma umano di dimensioni inaccettabili'' e un possibile pericolo per la stabilità sociale.” Un quarto dell'aumento di disoccupati registrato nel 2012 appartiene alle cosiddette economie avanzate, il resto si è concentrato in particolare nell'Estremo Oriente, nell'Asia del Sud e nell'Africa subsahariana'', contagiate dalla crisi europea. Le regioni che sono riuscite ad evitare un aumento della disoccupazione, evidenzia il Rapporto, hanno spesso registrato un peggioramento della qualità del lavoro, della sua sicurezza e un aumento del numero di lavoratori sotto o molto vicini alla soglia di povertà.

    Ad aggravare l'impatto negativo degli squilibri macroeconomici sull'occupazione sono state per l’Ilo le misure di austerità adottate da molti Paesi per risanare i conti, che hanno aumentato i rischi recessivi, e l’indecisione e incoerenza con cui le istituzioni politiche hanno affrontato la crisi. Incrementare crescita e occupazione, le parole d’ordine per il futuro: per questo l’Ilo raccomanda ai governi l'adozione di misure a sostegno del reddito e riforme del sistema finanziario, che "restituiscano alle banche la loro funzione propria di sostenere gli investimenti e fornire credito".

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    I clochard chiedono il voto: diritto riconosciuto dalla Costituzione ma non dallo Stato

    ◊   Sono in 20 mila, forse ancor di più, a chiedere di poter votare alle prossime politiche. Sono i "barboni" italiani che, per il fatto di essere senza fissa dimora e senza documenti validi, sono esclusi dalle liste elettorali. Un appello alla politica perché “esca dai Palazzi e scenda in strada a guardare la realtà” è stato lanciato da Wainer Molteni, fondatore dei primo sindacato dei senza fissa dimora “Clochard alla riscossa”, e lui stesso per diversi anni barbone per le vie di Milano. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

    R. – Quando perdi la residenza, quindi vieni sfrattato, perdi ogni tipo di diritto, perché la residenza viene congelata nonostante, secondo la Costituzione, i sentatetto non dovrebbero esistere. Invece, i senzatetto ci sono e si vedono negati tutti i diritti fondamentali della Costituzione, a partire da quello alla salute, a quello anche solo di entrare nelle liste per l’assistenza sociale nazionale, al diritto di voto. Quindi, il vero “nessuno” è il senzatetto.

    D. – Per quanto riguarda il voto, questa da parte vostra vuole essere una provocazione?

    R. – Se la Costituzione italiana mi dà diritto ad avere una residenza, ad avere un lavoro, ad avere una casa, ad esprimere il mio diritto al voto, non vedo perché un Stato, che dovrebbe essere garante della Costituzione, mi vieta - soltanto perché io sto affrontando un momento di difficoltà - tutti questi diritti. È un paradosso, non dovrebbe essere così. Io chiedo il rispetto della Costituzione italiana.

    D. – Il profilo dei senzatetto, delle persone in seria difficoltà, come sta cambiando?

    R. – E’ cambiato soprattutto negli ultimi anni. Togliamo lo stereotipo del vecchio “avvinazzato” sulla panchina, che aspetta il passaggio del cittadino che allunga qualche euro. Il clochard d’oggi non è una scelta di libertà, ma è una condizione, uno status sociale, in cui sempre più persone si vanno a ritrovare. La figura del clochard è cambiata: dal vagabondo con lo zaino sulle spalle e la chitarra, si è passati all’anziano che non ce la fa neanche ad arrivare non dico alla quarta settimana, ma alla seconda. Oppure, c’è il padre separato, che deve versare il 90% di alimenti dal proprio stipendio e – nonostante faccia due lavori – continua a dormire in macchina o in rifugi di fortuna, della Caritas o altri di enti. Questi sono i nuovi poveri: persone acculturate, che hanno bisogno di un appiglio con cui potersi tirar fuori da soli. Questi sono i nuovi poveri.

    D. – Ci sono associazioni che da sempre si battono perché queste persone godano dei diritti a tutto tondo. In questa battaglia per il voto – che però è semplicemente un grimaldello per l’accesso a tutto il resto – siete sostenuti?

    R. – Siamo sostenuti da tanta brava gente, indipendentemente dall’associazione a cui fanno riferimento, o dal partito politico da cui provengono. Noi cerchiamo di far capire che un nuovo modo di fare sociale è l’autodeterminazione: non più il classico assistenzialismo basato su un piatto di pasta, o una carezza e un sorriso. Il cittadino in difficoltà chiede un appiglio e questo deve essere garantito dalle istituzioni.

    D. – Negli altri Paesi europei, ad esempio in caso di elezioni, cosa accade?

    R. – Accade che il cittadino senza dimora può votare, ha diritto a votare. Io faccio riferimento alla Francia, ma sono molti altri i Paesi europei – praticamente tutti – a garantire questo diritto. In Francia, esiste una via che sulla toponomastica non esiste – e questo succede anche in alcuni comuni in Italia, faccio prima di tutto riferimento a Bologna – che garantisce il diritto ad “esistere”, perché fornisce una residenza, perché garantisce un diritto fondamentale, ovvero quello all’esistenza.

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    Crisi economica e salute mentale: a Roma convegno con dati e soluzioni per i più fragili

    ◊   Cosa cambia nella popolazione e nei servizi di salute mentale a causa della crisi economica e quali le soluzioni che questo momento di difficoltà può suggerire? Questo quesito è al centro del Convegno scientifico organizzato a Roma dalla Società italiana di Epidemiologia Psichiatrica (Siep) e dall'Istituto superiore di sanità. Ma c'è una relazione effettiva tra disagio mentale e crisi e in che termini? Gabriella Ceraso lo ha chiesto al presidente della Siep, Francesco Amaddeo:

    R. – Non abbiamo studi pubblicati, almeno in Italia, ma ci sono studi pubblicati in Europa che dimostrano che dal 2008 è aumentato il numero dei suicidi nell’area euro. La depressione aumenta, ma aumentano anche le patologie come l’ansia e il panico, consumo alcolici e di sostanze e anche il gioco d’azzardo. In Italia, abbiamo la percezione degli operatori che vedono sempre più utenti che portano negli ambulatori problemi legati al lavoro, alla precarietà.

    D. – Quindi, questo significa richieste di antidepressivi, di antipsicotici o no?

    R. – Non necessariamente richieste di farmaci, ma richieste di supporto. In tutti i servizi si fa supporto psicologico. I servizi offrono anche l’assistenza diurna nei Centri di salute mentale, le attività riabilitative… Oggi, quasi tutti i servizi italiani collaborano, per esempio, con la cooperazione sociale.

    D. – Fare rete è dunque fondamentale?

    R. – Sì. Questo è quello che i servizi o già fanno o devono imparare a fare, perché se si riducono le risorse, in alcuni casi queste possono essere supplite dalla cooperazione, dall’auto-aiuto.

    D. – Come si sta reagendo? Perché c’è una spending review in atto…

    R. – Mettendo in campo interventi di provata efficacia, interventi appropriati: questo è il modo migliore. Questo vale ancora di più per la salute mentale, perché c’è un’area grigia tra l’appropriatezza e la non appropriatezza ed è necessario che quest’area grigia sia chiarita dagli studi. Infatti, continuare a fare interventi di cui non si sia provata l’efficacia, potrebbe significare sprecare risorse. Ancora di più, bisogna fare attenzione all’etica delle scelte.

    D. – Nulla oggi fa pensare che non si chiederanno altri sacrifici, anche a livello di servizi. Quali sono le sue urgenze e, se ci sono, quali le priorità?

    R. – Noi prevediamo, come società scientifica, che dalla crisi possa nascere un’opportunità: i servizi possono ripensare al loro modo di operare, mettendo in campo una maggiore appropriatezza, una maggiore qualità delle prestazioni che vengono offerte. Infatti, è ormai dimostrato da molti studi europei che se si offrono prestazioni di qualità, si riesce poi nel giro di qualche anno anche a ridurre i costi.

    D. – Siamo vicini alle elezioni, tutti stanno facendo le loro richieste e avanzando un’agenda di priorità. Se lei dovesse segnalare a chi ci guida quali siano le priorità nel vostro settore, dovesse fare delle raccomandazioni?

    R. – Sicuramente, investire di più nella salute mentale è una delle cose fondamentali. In Italia, noi abbiamo un’incidenza della spesa per la salute mentale che rappresenta il 3% della spesa sanitaria. Nell’area dei 27 Paesi europei, è intorno al 5%, mentre in Inghilterra è di circa il 10 %. Però, non è soltanto una questione di soldi: noi abbiamo bisogno che le istituzioni siano attente nella pianificazione dei servizi. Esistono le conoscenze scientifiche, da una parte: tutta questa formazione però non viene acquisita a livello decisionale.

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    Mons. Sigalini: per migliorare la società servono cristiani onesti e maturi

    ◊   “Assistenti adulti per adulti nella fede”: è il tema del Convegno nazionale degli assistenti dell’Azione Cattolica, iniziato ieri a Roma per concludersi giovedì prossimo. Per una riflessione sul tema dell’assise e la sfida dell'essere operatori pastorali oggi, Alessandro Gisotti ha intervistato mons. Domenico Sigalini, assistente generale dell’Azione Cattolica:

    R. – Un prete si misura con la maturità della sua fede e per come aiuta i laici a diventare adulti nella fede. Non si cercano elucubrazioni o discorsi astratti, si parla invece di ritrovare quella unità di persona che nasce dal pensare alla sua vita come una risposta generosa a una vocazione. Non è un affastellamento di impegni: è il dramma che abbiamo un po’ tutti noi che lavoriamo nella pastorale. Dove sta il segreto di questa maturità? Perché per noi, maturità non vuol dire sapere tante cose, avere tante lauree: è soprattutto vedere se c’è questa unità e dignità che ti rende contento e felice di essere cristiano e di essere corresponsabile nella vita della Chiesa. Questo è l’obiettivo che ci stiamo ponendo in questi giorni.

    D. – Un obiettivo al tempo stesso semplice e quanto mai avvincente, anche difficile per i tempi che viviamo: rendere ragione della propria fede, della propria speranza…

    R. – Esatto. E di fatto, questo rendere ragione parte anche da alcune nostre difficoltà, perché noi non siamo mica dei pezzi di ferro... Anche per noi la fede è una risposta generosa a un invito di Dio, a una vocazione… Quindi, si tratta di discernere nella nostra vita cosa Dio voglia da noi e quindi rispondere con grande generosità, pur dentro le difficoltà della nostra società.

    D. – In un messaggio che vi ha indirizzato per l’apertura del Convegno, il Papa ha auspicato che proprio da queste giornate ci sia un rinnovato slancio apostolico per la generosa testimonianza evangelica…

    R. – La quale testimonianza, sicuramente, può essere fatta di parole, ma soprattutto è fatta del comportamento della vita: dello stile, dell’onestà... Ccon tutto il movimento che c’è adesso in politica, noi ci stiamo domandando: c’è la possibilità di essere cristiani onesti all’interno di queste strutture, di essere persone che annuncino dei valori, ma che li mettano anche in pratica? E’ una maturità che sta molto sulla concretezza, molto sul popolare, perché noi non siamo gli specialisti. La nostra è un’associazione di fedeli laici – papà, mamme, bambini, ragazzi – che vogliono vivere fino in fondo la loro fede ed essere propositivi per tutti.

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    Assisi. Capitolo generale dei Frati Conventuali per eleggere il successore di San Francesco

    ◊   Novantanove Frati Minori Conventuali, provenienti dai cinque continenti, in rappresentanza di 65 nazioni sono riuniti fino al 17 febbraio ad Assisi per eleggere il successore di San Francesco nel 200.mo Capitolo generale. L’appuntamento, che si ripete ogni sei anni, compie otto secoli di storia. Attualmente, la famiglia è guidata da padre Marco Tasca: l’elezione del nuovo ministro generale avverrà il prossimo 29 gennaio. Sul significato del Capitolo generale, Paolo Ondarza ha intervistato il direttore della Sala Stampa del Sacro Convento, padre Enzo Fortunato:

    R. – Un momento direi tra i più forti della Famiglia francescana conventuale: 99 frati si ritrovano ogni sei anni – provenienti da cinque continenti, 65 nazioni – non solo per fare una verifica del sessennio trascorso, ma anche per eleggere il ministro generale, il successore di San Francesco, e programmare il prossimo sessennio. La cosa importante è che questi capitolari si ritroveranno “a tu per tu” con San Francesco.

    D. – Ci si ritroverà “a tu per tu” con San Francesco sia perché si è al cospetto della tomba del “Poverello di Assisi”, ma anche perché quest’anno il capitolo è giunto alla sua 200.ma elezione, ad 800 anni dal primo Capitolo…

    R. – Sono trascorsi 800 anni di storia: pensiamo a quel primo momento, nel 1209, quando San Francesco, con i primi 12 compagni, si ritrovò davanti al Papa che approvò il primo momento fondativo. Benedetto XVI ha ricordato una cosa bellissima: la Regola francescana sa di perennità, perché è innervata dal Vangelo ed il Vangelo è perenne, è una parola eterna, fresca, viva.

    D. – Punti fermi, dunque, il Vangelo e la Regola di San Francesco: entrambi vanno calati nei contesti in cui voi vi trovate, 65 nazioni…

    R. – Io penso, solo per dare uno sguardo all’Italia, a quello che i Francescani Conventuali stanno vivendo: accanto ai carcerati, con i tossicodipendenti o a coloro che soffrono di alcolismo. Oppure, penso a chi, come noi, si occupa di comunicazione. Direi che il carisma francescano abbraccia, davvero, un po’ i colori della vita. Credo che nel carisma francescano ci siano realtà molto, molto forti, che toccano il cuore di ogni uomo e di ogni cultura. Penso alla fraternità: l’uomo ha un bisogno forte di essere accolto, ascoltato ed incoraggiato e la fraternità è una risposta a questo anelito profondo del cuore umano. Penso anche alla dimensione della pace: Gesù è la nostra pace e ci dà la possibilità di portare una parola di amore dove c’è odio. Il cuore dell’uomo desidera, ovunque si trovi, la pace. Francesco è una risposta a questo.

    D. – Questa risposta sarà poi quella che dovrà essere “presentata” all’uomo contemporaneo da chi succederà a San Francesco, ovvero, da chi sarà eletto da questo Capitolo generale…

    R. – Sicuramente. È molto positivo e incoraggiante – ha constatato l’attuale ministro generale – il dato relativo ad un consistente sviluppo numerico di frati, in alcuni continenti come Asia, Africa ed America Latina. Si guarda a questi continenti non solo come possibilità vocazionali, quindi di crescita numerica dei frati, ma anche come sfide che da queste culture giungono a noi. Stiamo parlando di territori martoriati dalla povertà, da disuguaglianze, da persecuzioni. Penso ai tanti cristiani perseguitati: i Francescani li accolgono, li difendono e fanno di tutto per far sì che il martirio e la fatica diventino seme di nuove vocazioni, di cristiani che rispondono al Vangelo.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Il card. O’Malley: in 40 anni di aborto, 55 milioni di vite spezzate negli Usa

    ◊   Ricorre oggi negli Stati Uniti il 40.mo anniversario della legalizzazione dell’aborto, avvenuta tramite la sentenza della Corte Suprema “Roe vs Wade” del 22 gennaio 1973. In occasione di questa triste ricorrenza, i vescovi americani hanno promosso una Novena di preghiera e penitenza che, già da alcuni giorni, sta coinvolgendo tutte le diocesi del Paese. “Il male inflitto dall’aborto – sottolinea in un comunicato il cardinale Sean P. O’Malley – è inimmaginabile, ma Gesù può offrirci conforto e rinnovamento”. Il presidente della Commissione Pro-Life dell’episcopato americano sottolinea dunque che, negli ultimi 40 anni, sono state spezzate le vite di 55 milioni di bambini. E, nonostante questa tragedia – osserva – in molti nella società continuano a relegare l’aborto ad una “questione di scelta personale”. Il porporato invita dunque i cattolici americani a pregare affinché ci sia una conversione dei parlamentari che sostengono l’aborto. “La nostra speranza – afferma l’arcivescovo di Boston – è che la nostra difesa della vita e della libertà religiosa”, inneschi “un rinnovamento di amore e impegno per il vero bene di tutti”. Ed esorta i fedeli ad impegnarsi per vincere la cultura della morte e per costruire una civiltà degna dell’uomo creato a immagine di Dio. Intanto, i movimenti pro-life sono mobilitati per la "Marcia per la vita" che si terrà, a Washington, venerdì prossimo. Attese decine di migliaia di persone. Il giorno prima della grande marcia, si terrà una Veglia nel santuario nazionale dell’Immacolata Concezione di Washington. La celebrazione sarà presieduta proprio dal cardinale Sean P. O’ Malley. (A.G.)

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    Giordania: anche candidati cristiani alle elezioni parlamentari di domani

    ◊   Sono più di quaranta i cristiani che si presentano come candidati alle elezioni parlamentari per il rinnovo della Camera bassa, in programma domani in Giordania. Lo conferma all'agenzia Fides padre Rifat Bader, direttore del Catholic Centre for Studies and Media. Secondo padre Bader, nei profili dei candidati cristiani e nei temi da loro messi a fuoco nella campagna elettorale, si ritrovano i tratti variegati e le preoccupazioni che connotano le comunità ecclesiali presenti nel Regno Hashemita. La maggior parte di loro - riferisce l'agenzia Fides - concorre per i nove seggi (su 150) che il sistema delle quote garantisce alle minoranze cristiane (altri gruppi minoritari titolari di seggi “riservati” sono i circassi, i ceceni e i beduini). Ma sono numerosi anche i cristiani che si presentano come candidati nelle circoscrizioni territoriali o in collegamento con liste nazionali. Tra questi figurano ex parlamentari come il protestante Ghazi Musharbash – che nei suoi interventi ha insistito sulla necessità di preservare i cristiani da ogni strisciante discriminazione politica e sociale - o Wadih Zawaideh, che ha studiato al Seminario del Patriarcato latino di Gerusalemme. Nel parlamento sciolto, la prima donna giordana ad essere eletta deputata era stata la cristiana Salma Rabadi. Alle elezioni di domani tra i candidati figura anche Boshra Haddad, fino ad ora direttrice di una scuola del Patriarcato latino. Al seggio riservato ai cristiani per l'area di Amman concorre il palestinese Shoukri Odeh. Mentre l'avvocato Amir Kakish, nei suoi interventi, ha toccato anche l'argomento delicato e controverso del cambio di religione. Al di là dei casi individuali, secondo padre Rifat Bader le elezioni di domani sono un test importante per decifrare il futuro della Giordania nell'agitato contesto mediorientale. “Il boicottaggio delle elezioni da parte dei Fratelli Musulmani” nota il direttore del Catholic Centre for Studies and Media “costituisce un limite grave, perchè il Parlamento deve rappresentare tutte le realtà presenti nel Paese. In ogni caso, queste elezioni rappresentano un primo passo verso l'emergere di una autentica vita democratica. Le liste che avranno più voti potranno per la prima volta esercitare un peso nella nomina del Primo Ministro e del futuro governo. E alle prossime elezioni protrebbero presentarsi veri e propri Partiti, con programmi ben definiti. In questo modo” conclude padre Bader “anche la Giordania troverà la sua via per realizzare la primavera araba. Una via graduale, non rivoluzionaria, che cambia le cose lentamente”. Dal canto suo l'arcivescovo Maroun Lahham, vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme, afferma che la Chiesa cattolica in Giordania offre le sue preghiere per tutti i candidati, ma non ne sostiene nessuno in particolare. “Il Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal” - ricorda l'arcivescovo Lahham - “ha già rivolto ai cristiani un messaggio ufficiale, invitandoli a recarsi a votare. Ovviamente andrò a votare anch'io. Negli ultimi giorni ci sono venuti a trovare diversi candidati, anche musulmani. A tutti abbiamo promesso le nostre preghiere e benedizioni. Ma la Chiesa non fa campagna per candidati particolari”. (R.P.)

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    Mali: il vescovo di Segou preoccupato dal perdurare della guerra

    ◊   Se la guerra in Mali si trascina per troppo tempo, la Chiesa cattolica nel Paese sarà in pericolo, perché anche se le chiese non sono state finora toccate, i fedeli avranno sempre più paura di frequentarle. Ad affermarlo, in un’intervista all’agenzia cattolica africana Cisa è il vescovo di Segou, mons. Augustin Traore, la cui diocesi si trova nel territorio attraversato dai ribelli islamisti di Ansar Eddine, a 90 chilometri a nord di Diabaly . “La gente si sta nascondendo nelle case e non ha coraggio di uscire e finché non cessano le ostilità nessuno potrà capire cosa è successo”, ha detto il presule. Il suo timore è che nei combattimenti tra i jihadisti e l’esercito maliano sostenuto dalle forze francesi, possano essere distrutte le chiese. Intanto continua la fuga dei civili dalle zone minacciate dagli islamisti. Solo gli sfollati interni sarebbero più di 230.000. Tra le organizzazioni caritative presenti sul posto oltre alla Caritas, il Catholic Relief Service, l’organizzazione caritativa dei vescovi statunitensi. La Chiesa cattolica in Mali è presente con sei diocesi e rappresenta meno del 2% della popolazione, in maggioranza musulmana. Nell’intervista mons. Traoré ha affermato che i rapporti con la i musulmani sono rimasti “buoni a livello locale” e non sono stati finora turbati dall’insurrezione. Le comunità religiose di tutte le confessioni – ha detto - sono determinate a mantenere la laicità dello Stato. (L.Z.)

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    Congo. Nuovo appello dei vescovi: rilasciate i tre padri Assunzionisti rapiti a ottobre

    ◊   “I tre Padri Assunzionisti che sono stati rapiti lo scorso ottobre sono ancora nelle mani dei loro sequestratori. La Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco) e in particolare, la diocesi di Beni-Butembo, continua a chiedere la loro liberazione. Questi preti non hanno fatto nulla per meritare una sorte simile. Coloro che li detengono si ravvedano e li rilascino per servire Dio”. È questo l’appello lanciato dai vescovi della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), tramite un messaggio pubblicato sul sito della locale Conferenza episcopale e ripreso dall'agenzia Fides, per la liberazione dei tre sacerdoti assunzionisti: Jean-Pierre Ndulani, Anselme Wasikundi e Edmond Bamutute. Sono stati rapiti la sera del 19 ottobre mentre si trovavano nella parrocchia di Notre-Dame des Pauvres di Mbau, a 22 km da Beni e a 70 km dalla sede episcopale di Butembo (est della Rdc). Da allora non si hanno più notizie certe su di loro. (R.P.)

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    Costa d'Avorio: i vescovi esortano al perdono e alla riconciliazione nazionale

    ◊   Aprire il cuore “allo Spirito dell’amore, dell’unità, della verità, del perdono e della pace di Dio”: questa la via maestra per la riconciliazione e per ricostruire il tessuto sociale ivoriano indebolito da anni di violenze politiche. E’ quanto affermano i vescovi della Costa d’Avorio nel messaggio pubblicato domenica, al termine della loro 95.ma assemblea plenaria a Korhogo. Un appello rivolto ai leader politici e religiosi, ma anche alla società civile ivoriana, impegnata in un delicato processo di pacificazione dopo la grave crisi in cui era ripiombato il Paese in seguito alla sconfitta elettorale di Laurent Gbagbo e alla vittoria dell’attuale presidente Alassane Ouattara nell’ottobre 2010. Per raggiungere la riconciliazione nazionale – scrivono i presuli ivoriani - occorre “scegliere la verità e agire nella verità”. Essa passa attraverso la costruzione di uno Stato di diritto; il rifiuto di qualsiasi violenza; il coinvolgimento di tutti e la soluzione definitiva della questione agraria. La costruzione di uno Stato di diritto – sottolinea in particolare il messaggio - non può prescindere dalla “promozione nella società ivoriana di una politica che abbia realmente come visione il bene comune e l’unità nazionale”. Questo significa fiducia reciproca; apertura al dialogo; non considerare l’avversario come “un nemico da abbattere, ma piuttosto come un partner” e il riconoscimento delle proprie responsabilità da parte dei leader politici. Di qui l’appello a porre fine alle perquisizioni violente e illegali e agli arresti arbitrari; la condanna degli attacchi armati, ma anche della diffusione notizie false. Ai militanti dei partiti i vescovi chiedono di “rifiutare la divisione ideologica o geopolitica del Paese” che è uno e “indivisibile”. Uno stato di diritto - aggiungono – è chiamato a garantire i diritti e la sicurezza di tutti i cittadini che devono a loro volta sostenere lo Stato. Quindi il richiamo al senso di responsabilità rivolto agli intellettuali, ai leader religiosi e tribali invitati a non schierarsi. Dopo avere stigmatizzato la violenza come mezzo per affermare i propri diritti e raggiungere il potere, il messaggio evidenzia poi l’importanza di coinvolgere tutti nella riconciliazione. Citando Benedetto XVI nell’“Africae munus”, i presuli ricordano che tale processo ha come obiettivo principale di riunire tutti gli ivoriani “armonizzando le differenze”. Questa comunione significa accettare tali differenze e il contraddittorio sui media, chiamati a loro volta a contribuire alla lotta contro qualsiasi “esclusione o promozione arbitraria basata sull’appartenenza". Il messaggio si sofferma infine sulla questione agraria che ha contribuito ad alimentare la conflittualità sociale nel Paese. I vescovi esprimono in proposito apprezzamento per l’impegno del Governo per una soluzione definitiva al problema che possa favorire un clima di pace durevole. In conclusione, l’appello a tutti gli ivoriani a “investire positivamente nel presente per garantire il futuro del Paese. Il destino della nostra nazione – affermano – è nelle nostre mani”. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Gabon: dalla Plenaria dei vescovi invito alla riconciliazione

    ◊   “Riconciliarsi con Dio e gli uni con gli altri”: è questo l’invito lanciato ai fedeli dalla Conferenza episcopale del Gabon, al termine della Plenaria ordinaria. Inaugurata il 15 gennaio, l’Assemblea si è conclusa ieri, domenica 20 gennaio, con una Messa solenne nella cattedrale di Nostra Signora dell’Assunzione, a Libreville, presieduta da mons. Jan Romeo Pawlowski, nunzio apostolico in Gabon e Congo. Nel messaggio diffuso al termine dei lavori, i presuli del Paese hanno richiamato ai fedeli l’importanza di accostarsi “continuamente al sacramento dell’Eucaristia e di impegnarsi quotidianamente per cambiare la società”. “Il mondo di oggi – hanno detto i vescovi – ha più bisogno di testimoni che di maestri; per questo, esortiamo tutti a dare innanzitutto testimonianza della fede, divenendo protagonisti della giustizia, della riconciliazione e della pace in Gabon, nelle comunità ecclesiali, familiari e professionali”. Di qui, l’appello reiterato ai cittadini: “Non abbiate paura di impegnarvi nella vita culturale, economica, sociale e politica, nel momento in cui occorre prendere decisioni per orientare il presente e preparare l’avvenire del Paese”. Tanti e diversi i temi affrontati nel corso della Plenaria: dalla riflessione sulla riunione nazionale delle Commissioni Giustizia e pace, tenutasi a maggio 2012, al bilancio sul terzo Congresso panafricano dei laici cattolici, svoltosi a Yaoundé lo scorso settembre. Centrale anche la presentazione dell’Anno della fede e della Lettera apostolica di indizione, Porta fidei, di Benedetto XVI: a parlarne, in particolare, è stato mons. Patricj Nguéma Edou, vicario generale dell’arcidiocesi di Libreville. Quanto all’omelia pronunciata da mons. Pawlowski nella Messa conclusiva, in essa si è fatto riferimento alla necessità di “costruire un mondo di pace e di rispetto dei diritti umani fondamentali, di protezione della vita e della dignità umana”. “Oggi si ha l’impressione – ha detto il nunzio apostolico – che la nostra società sia invasa da malfattori, perché il bene ed il positivo vengono emarginati”. Di qui, l’esortazione del presule ad investire sull’educazione dei bambini. Infine, mons. Pawlowski ha invitato i fedeli ad affidarsi alla Vergine Maria “per un futuro più degno e più umano” e per evitare il rischio che “il mondo precipiti nel disastro”. (I.P.)

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    Chiesa e abusi: alla Gregoriana incontro di verifica delle attività promosse

    ◊   Resta immutato l’impegno preso dalla Chiesa cattolica di contrastare il fenomeno degli abusi sessuali e così, ad un anno di distanza dal Simposio internazionale per vescovi cattolici e superiori religiosi, si terrà alla Pontificia Università Gregoriana il 5 febbraio un incontro dal titolo “In cammino verso la Guarigione e il Rinnovamento”. “Non sarà - si legge in un comunicato diffuso dalla Gregoriana e ripreso dall'agenzia Sir - una nuova conferenza, quanto un’esposizione e una verifica delle attività promosse durante questi ultimi mesi”. In primo luogo saranno presentati gli Atti del Simposio, tradotti ormai in numerose lingue (polacco, italiano, ungherese, tedesco, inglese, spagnolo, croato, ucraino) e presto disponibili in ulteriori edizioni (francese, portoghese, slovacco, romeno). Saranno poi esposte le prime attività del Centro per la protezione dei minori (Ccp). Tra esse la prima conferenza annuale, svoltasi a Freising lo scorso autunno, sul tema “Communication and Empowerment: Victims of Child Sexual Abuse”, durante la quale hanno assunto particolare importanza le relazioni e i dibattiti sull’abuso di minori con handicap nelle istituzioni. Si illustreranno inoltre i dati evidenziati durante le prime visite ai partner del Ccp in America Latina, Africa, Asia ed Europa. Particolare rilievo assumerà anche la presentazione del programma di e-learning elaborato dal Centro al fine di offrire una formazione alla prevenzione, individuazione e gestione di casi di abuso, e l’organizzazione di corsi di training per la formazione degli operatori in numerose diocesi. L’incontro sarà preceduta da una conferenza stampa durante la quale sarà possibile interloquire con padre Hans Zollner, presidente del Comitato direttivo del Centro per la protezione dei minori, Hubert Liebhart, direttore del Ccp, e il reverendo Robert W. Oliver, nuovo promotore di giustizia della Congregazione per la dottrina della fede. (R.P.)

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    Messico: in 15 giorni 40 morti, ricatti e minacce anche a sacerdoti e membri della Chiesa

    ◊   Il vescovo della diocesi di Netzahualcoyotl, mons. Luis Hector Morales Sánchez, ha denunciato che i sacerdoti che lavorano nella parte orientale dello Stato di Mexico sono stati minacciati di morte da membri della criminalità organizzata. Almeno 10 parroci della diocesi di Netzahualcoyotl, che comprende anche i comuni di Ixtapaluca mexiquenses e Los Reyes La Paz, hanno dovuto dare soldi alle organizzazioni criminali per evitare di essere uccisi. In alcune dichiarazioni alla stampa, raccolte dall’agenzia Fides, il vescovo ha detto che ci sono anche una serie di ministri della Chiesa cattolica che hanno ricevuto minacce telefoniche, a cui però non hanno dato importanza. "Per fortuna, ringraziando Dio, non ci sono da piangere morti e violenza, piuttosto c'è una violenza psicologica, attraverso l'estorsione. Sono pochi i sacerdoti che hanno dato del denaro, altri sono stati in grado di gestire la situazione. Per fortuna abbiamo avuto il sostegno delle autorità in questi casi difficili" ha detto il vescovo. Le autorità dello Stato di Mexico hanno espresso preoccupazione per l'ondata di omicidi nelle ultime due settimane: quasi 40 morti nella capitale e nella periferia. Per il Procuratore di questo Stato, Miguel Angel Contreras, c'è un rapporto fra l'aumento della violenza e la presenza crescente di bande criminali, i "cartelli" La Familia Michoacana, Los Zetas e un nuovo gruppo chiamato Guerreros Unidos. Le autorità della capitale invece non concordano con questa ipotesi. Secondo i dati del governo del Presidente Enrique Peña Nieto, la violenza della criminalità ha lasciato più di 70.000 morti durante il governo (2006-2012) del suo predecessore, Felipe Calderón. (R.P.)

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    Kosovo: "no" della Chiesa cattolica ad ogni forma di violenza e intolleranza

    ◊   “Denunciamo con forza ogni forma di violenza e intolleranza, chiedendo la fine degli estremismi da entrambe le parti”. A parlare all'agenzia Sir Europa da Pristina è don Lush Gjergji, vicario generale dell’Amministrazione apostolica di Prizren, all’indomani delle tensioni che hanno coinvolto la città di Mitrovica e diverse municipalità del Kosovo dove alcuni cimiteri ortodossi sono stati oggetto di atti di vandalismo. Episodi definiti “inaccettabili” dalla presidente del Kosovo, Atifete Jahjaga. Manifestazioni di protesta si sono svolte anche a Gjakova (Dakovica in serbo) nei pressi di un monastero ortodosso, presidiato dalla forze della Nato. Questi episodi, secondo don Gjergji, “si legano alla ripresa dei negoziati tra Serbia e Kosovo, avvenuta a Bruxelles il 17 gennaio scorso, e mirano a destabilizzare la situazione”. I premier serbo, Ivica Dacic, e kosovaro, Hashim Thaci, si sono incontrati sotto l’egida dell’Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Catherine Ashton. I colloqui continuano anche se il governo di Belgrado non riconosce l’indipendenza dell’ex provincia proclamata unilateralmente da Pristina nel 2008. “Dei passi avanti ci sono stati e la nostra speranza - continua don Lush - è che le cose non possano precipitare perché la gente è stanca della guerra e dei conflitti. Per questo preghiamo perché possano continuare il dialogo”. Tensioni si sono verificate ieri anche a Presevo, una valle nel sud della Serbia, vicino al confine con il Kosovo. Qui la maggioranza albanese ha protestato per la rimozione di un monumento eretto (senza autorizzazione) in ricordo dei caduti dell’Esercito di liberazione di Preševo, Medveđa e Bujanovac, una formazione albanese (definita terroristica da Belgrado) che dal 1999 al 2001 ha combattuto contro l’esercito serbo nel tentativo di ricongiungersi con il Kosovo. Un episodio che si ricollega anche alle proteste avvenute in Kosovo. Nonostante le difficoltà però, don Gjergji invita a non dimenticare quanto di positivo si sta facendo sul cammino di dialogo e integrazione: “Proprio ieri - racconta - si è tenuto a Pristina, presso la sede della Chiesa cattolica (i cattolici sono circa il 5% dei due milioni di kosovari), il primo incontro della Commissione interreligiosa del Kosovo. Un cammino iniziato un anno e mezzo fa con i contatti tra i vertici della Chiesa cattolica, della Chiesa ortodossa e della comunità islamica. L’avvio dei lavori della Commissione permanente, che si riunirà ogni due o tre mesi, rappresenta un passo importante per il futuro di questa terra: l’obiettivo è capire cosa fare e come procedere per favorire un autentico dialogo interreligioso ed ecumenico in Kosovo”. (R.P.)

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    Indonesia: terremoto di magnitudo 6 colpisce Aceh

    ◊   Un forte terremoto di magnitudo 6 ha colpito l'isola di Aceh, nella zona occidentale dell'arcipelago indonesiano, causando almeno un morto e 50 feriti. Le notizie che giungono dalla zona teatro del sisma sono ancora frammentarie, ma dalle prime informazioni pare che il numero delle vittime sia destinato a crescere nelle prossime ore. La terra - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha cominciato a tremare verso le 5.22 del mattino ora locale, seminando il panico in molti villaggi a nord dell'isola di Sumatra. Il Dipartimento per la meteorologia e la geofisica ha smentito l'ipotesi di uno tsunami conseguente al terremoto; al sisma principale è seguita qualche minuto più tardi una scossa di assestamento di magnitudo 4,7. Epicentro del terremoto un'area distante 15 km a sud-ovest della città di Banda Aceh - capoluogo della provincia di Aceh, la sola in Indonesia in cui vige la Sharia - ad una profondità di 37 km, nel sottosuolo. La vittima e i feriti sono in gran parte bambini e anziani del villaggio di Geumpang, nel sotto-distretto di Tangse, reggenza di Pidie. Gli abitanti sono stati sorpresi nel sonno e, colti dal panico, non sono riusciti a mettersi in salvo assieme ai figli. Danni si sono verificati in tre diversi sotto-distretti della reggenza di Pidie, ma il bilancio fornito dalla polizia di Aceh è tuttora provvisorio, in attesa di una stima più approfondita delle squadre di soccorso. Fra le aree più colpite Mane, Geumpang e Glumpang Tiga. Apriyadi, capo della Protezione civile locale, ha dichiarato all'agenzia Afp che "la vittima è una bambina di otto anni del distretto di Pidie, uccisa da un armadio caduto a causa del terremoto". L'arcipelago indonesiano è formato da migliaia di isole e atolli immersi nell'Oceano Pacifico, in un'area detta dagli scienziati come "Anello di fuoco". Essa è caratterizzata da un'intensa attività tellurica e vulcanica, causata dalla collisione delle diverse placche continentali. Nella memoria della gente è ancora vivo il ricordo del devastante terremoto e del successo tsunami che ha colpito la regione nel dicembre 2004, con epicentro al largo dell'isola di Aceh, causando centinaia di migliaia di vittime in tutta l'Asia. Il 30 ottobre 2009, un altro forte sisma aveva colpito l'area di Padang provocando circa 700 morti. Oltre 180 abitazioni erano state rase al suolo. (R.P.)

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    Filippine: emergenza aiuti alle donne incinte

    ◊   A Mindanao, nelle Filippine, le strutture del sistema sanitario locale e, nello specifico i servizi di assistenza neonatale, sono in difficoltà a causa del tifone che nel mese scorso si è abbattuto sull’isola. Le strutture medico-assistenziali hanno subito seri danni e molte di queste sono andate distrutte. Secondo una stima del Ministero della Sanità su un totale di 369 villaggi 146 sono stati gravemente danneggiati insieme ai 4 ospedali del governo. Il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) che è presente nell’isola con due missioni mediche presso le province di Davao e Compostela Valley, supporta gli sforzi del governo per tutelare la salute delle donne incinte. Come riporta l’agenzia Fides, l’Unfpa ha, inoltre, stimato che sono 8.356 le donne in gravidanza che necessitano di assistenza medica e psicosociale. È infine intervenuta anche la Commissione Internazionale della Croce Rossa (ICrc) che partecipa agli aiuti umanitari, istituendo un’unità di assistenza sanitaria con base a Davao. Le persone colpite dal tifone sono oltre 6 milioni. (R.C.)

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    Brasile: la Campagna di fraternità compie 50 anni

    ◊   Compie mezzo secolo, ma non lo dimostra, la Campagna di Fraternità, ovvero l’annuale iniziativa di solidarietà promossa dalla Conferenza episcopale del Brasile nel periodo di Quaresima. Per il 2013, l’evento avrà inizio il 13 febbraio, mercoledì delle Ceneri, ed avrà come tema “Fraternità e gioventù”, con un sottotitolo, “Eccomi, manda me!”, tratto da un versetto del profeta Isaia (6, 8). “Uno degli obiettivi della Campagna – spiega il segretario esecutivo dell’iniziativa, padre Luiz Carlos Dias – è quello di fare da collegamento tra la Chiesa, i fedeli e la società”. “La Campagna di fraternità – aggiunge – è la Chiesa a servizio della società, è un’evangelizzazione che oltrepassa la frontiera della Chiesa, così che la Chiesa stessa possa compiere la sua missione, ovvero evangelizzare, in una forma molto ampia”. L’iniziativa, conclude padre Dias, “dimostra chiaramente di essere uno strumento importante per i fedeli che vivono intensamente la Quaresima, poiché è in grado di far seguire alle preghiere e alle riflessioni anche gesti concreti di conversione e trasformazione della realtà, in vista del mistero pasquale di Cristo”. La storia della Campagna ha inizio nel 1961, quando tre sacerdoti responsabili della Caritas del Brasile idearono una raccolta fondi per le attività di assistenza dell’organizzazione, così da renderla finanziariamente autonoma. L’iniziativa venne chiamata proprio “Campagna di fraternità” e realizzata nella Quaresima del 1962 nella diocesi di Natal, con il sostegno di altre tre diocesi. L’anno successivo, ben sedici diocesi del nord-est del Brasile aderirono al progetto. Infine, sulla scia del Concilio Vaticano II, la Campagna venne lanciato a livello nazionale, nel 1964. In vista del 50.mo anniversario dell’iniziativa, una Messa solenne verrà celebrata a Natal il 15 febbraio, alle ore 20.00, nella Cattedrale locale. (A cura di Isabella Piro)

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    Messico: a Durango aumenta il numero delle famiglie povere

    ◊   A Durango, nello Stato più povero del nord del Messico, su 10 famiglie la metà soffre la fame. Sono 203.000 le famiglie che vivono in condizioni di povertà alimentare e che non riescono a procurarsi i mezzi di sostentamento. La causa dell’aumento della povertà alimentare, riferiscono gli uffici locali per lo Sviluppo Sociale, è da attribuire alla forte siccità che ha colpito la regione durante il 2012. Nel corso di quest’anno, secondo una stima della Commissione Nazionale di Valutazione delle Politiche per lo Sviluppo Sociale (Coneval), il numero delle famiglie che vive in condizioni di povertà alimentare è aumentato raggiungendo il 48%. Alla mancanza di piogge - come riporta l’Agenzia Fides - si aggiunge l’aumento dei prezzi dei generi alimentari che complica ancora di più la situazione. A causa della siccità, infine, sono stati distrutti centomila ettari di terreno con la perdita di raccolti di mais e fagioli. (R.C.)

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    Irlanda: l’Anno della Fede al centro della Settimana delle scuole cattoliche

    ◊   “Scuole cattoliche nella comunità di fede: condividere la Buona Novella”: è questo il tema scelto dalla Conferenza episcopale irlandese per l’annuale Settimana delle scuole cattoliche, che quest’anno avrà luogo dal 27 gennaio al 3 febbraio. All’origine della scelta del tema, informa una nota, c’è l’Anno della fede, indetto da Benedetto XVI per commemorare i 50 anni del Concilio Vaticano II e i 20 anni del Catechismo della Chiesa cattolica. “L’Anno della fede – scrivono i vescovi – è un’opportunità, per le scuole cattoliche, per impegnarsi a rafforzare e ribadire la propria identità”. Tre, quindi, gli obiettivi principali dell’iniziativa: “Innanzitutto, incoraggiare le scuole a raccogliersi in preghiera per rendere grazie del dono della fede; secondo, esortare gli studenti a riflettere sulla testimonianza della vita cristiana, guardando anche all’esempio dei Santi; infine, invitare le scuole a guardare a Cristo, poiché la fede ha il suo inizio e la sua fine nel Figlio di Dio”. “L’obiettivo principale dell’educazione cattolica – ricordano ancora i vescovi irlandesi – è la crescita integrale dell’individuo”, e “nelle scuole cattoliche, gli studenti sono incoraggiati a crescere in comunione con Cristo e gli con gli altri, quindi non soli, come individui, ma con l’aiuto reciproco dell’intera comunità scolastica”. In vista della Settimana, la Chiesa di Dublino ha preparato materiale informativo e dossier di approfondimento non solo per i Centri educativi, ma anche per le famiglie e le parrocchie, ovvero per tutti gli attori impegnati “nel lavoro cruciale di alimentare la fede degli studenti cattolici”. (I.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 22

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.