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Sommario del 21/01/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Presentati al Papa due agnelli benedetti nella festa di Sant'Agnese martire
  • Il Papa ai vescovi calabresi: continuate la lotta contro la ‘ndrangheta, il maligno non dorme
  • Benedetto XVI all’Azione Cattolica: rinnovato slancio per la testimonianza evangelica
  • Il card. Ravasi sugli esercizi spirituali: ho scelto i Salmi perché in essi Dio e l'uomo parlano insieme
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Prosegue l’avanzata francese verso il Nord del Mali: liberate le città di Diabali e Douentza
  • Israele domani al voto. Sembra scontata la riconferma per il premier Netanyahu
  • Colombia. Le Farc annunciano la fine della tregua unilaterale
  • Bologna, neonata abbandonata. Servizio accoglienza alla Vita: serve più informazione
  • Presepi distrutti. Don Mirilli: non è solo disagio giovanile, sfida per Chiesa e famiglie
  • Mons. Pasini: “La grammatica della carità” interpella l’amore di Dio verso i poveri
  • In un libro, la storia della Cappella Musicale Pontificia Sistina
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Mali: riunita la Conferenza episcopale. I vescovi in visita ai feriti dei combattimenti
  • Eritrea: ad Asmara voci di un presunto golpe militare
  • Usa: 40 anni fa la legalizzazione dell’aborto, mobilitati vescovi e movimenti pro-life
  • Assisi: frati da tutto il mondo per eleggere il successore di San Francesco
  • Giordania: la Chiesa prega per tutti i candidati alle elezioni ma non sponsorizza nessuno
  • Myanmar: l’esercito birmano ignora il cessate il fuoco e continua l’assedio ai Kachin
  • Indonesia. A Jakarta emergenza alluvioni: 20 morti, migliaia di sfollati e miliardi di danni
  • Sudan: nel Darfur accordo di pace tra comunità rivali nel Nord
  • Ciad: prime dichiarazioni di mons. Russo rientrato a Doba
  • Kenya: appello dei vescovi alle famiglie perché votino leader onesti e giusti
  • Rwanda: riunione del Comitato permanente dei vescovi
  • Yemen. Il dramma dei bambini lavoratori: sono oltre 1 milione e 300 mila
  • Irlanda: positivo il primo incontro bilaterale tra il premier Enda Kenny e i vescovi
  • Germania: celebrata la Domenica delle famiglie
  • Colombia. Mine antiuomo in 31 dipartimenti su 32. A rischio la vita dei bambini
  • Messico: on line “Veritas Radio”, emittente cattolica del Chiapas
  • Il Papa e la Santa Sede



    Presentati al Papa due agnelli benedetti nella festa di Sant'Agnese martire

    ◊   Per la Chiesa, il 21 gennaio è la memoria liturgica di Sant’Agnese e, da antica tradizione, anche il giorno in cui vengono presentati al Papa gli agnelli benedetti: la loro lana servirà a confezionare i sacri pallii, ovvero le insegne che il 29 giugno di ogni anno il Pontefice impone ai nuovi arcivescovi metropoliti. Anche quest’anno, poco dopo mezzogiorno, la cerimonia ha avuto luogo nel Palazzo apostolico e i due agnelli presentati a Benedetto XVI riportano alla mente il martirio della Santa, cui il Papa aveva dedicato lo scorso anno un ritratto spirituale. La ricorda in questo servizio Alessandro De Carolis:

    Roma, 21 gennaio 305, Stadio di Domiziano, la futura Piazza Navona. La Città eterna si prepara ad assistere a un altro bagno di sangue. Da un paio d’anni, l’imperatore Diocleziano ha deciso di sterminare una volta per tutte i cristiani. La persecuzione è all’insegna della violenza più feroce. Quel 21 gennaio, in catene c’è una ragazzina di 12-13 anni. La sua colpa, oltre al fatto di essere cristiana, è di non voler rinunciare alla sua scelta di fedeltà a Gesù fatta nella castità. I carnefici tentano di tutto per farla cedere, invano. Alla fine, a spezzarle la vita è uno svelto colpo di spada, inferto come si faceva al tempo con gli agnelli. Questa è in sostanza la vicenda di Sant’Agnese, secondo le fonti antiche e al netto di qualche discordanza storiografica. Ciò su cui la Chiesa non ha invece dubbi è sulla straordinaria tempra di fede dimostrata dalla martire, come sottolineò lo scorso anno Benedetto XVI:

    “Martirio – per sant’Agnese – ha voluto dire la generosa e libera accettazione di spendere la propria giovane vita, nella sua totalità e senza riserve, affinché il Vangelo fosse annunziato come verità e bellezza che illuminano l’esistenza. Nel martirio di Agnese, accolto con coraggio nello stadio di Domiziano, splende per sempre la bellezza di appartenere a Cristo senza tentennamenti, affidandosi a Lui”. (Discorso Almo Collegio Capranica, 20 maggio 2012)

    Nel suo martirio, aveva osservato il Papa, “Agnese sigilla anche l’altro elemento decisivo della sua vita, la verginità per Cristo e per la Chiesa”:

    “Il dono totale del martirio è preparato, infatti, dalla scelta consapevole, libera e matura, della verginità, testimonianza della volontà di essere totalmente di Cristo. Se il martirio è un atto eroico finale, la verginità è frutto di una prolungata amicizia con Gesù maturata nell’ascolto costante della sua Parola, nel dialogo della preghiera, nell’incontro eucaristico. Agnese, ancora giovane, aveva imparato che essere discepoli del Signore vuol dire amarlo mettendo in gioco tutta l’esistenza”. (Discorso Almo Collegio Capranica, 20 maggio 2012)

    Il prossimo 29 giugno, Benedetto XVI imporrà i sacri pallii ai nuovi arcivescovi metropoliti. Il rito si svolgerà in un’altra piazza di Roma, anch’essa teatro di martirio: Piazza San Pietro. Tutt’altro che una casualità perché, come affermò il Papa…

    “…questa nostra Città è fondata anche sull’amicizia per Cristo e la testimonianza del suo Vangelo, di molti dei suoi figli e figlie. La loro generosa donazione a Lui e al bene dei fratelli è una componente primaria della fisionomia spirituale di Roma”. (Discorso Almo Collegio Capranica, 20 maggio 2012)

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    Il Papa ai vescovi calabresi: continuate la lotta contro la ‘ndrangheta, il maligno non dorme

    ◊   Il Papa ha ricevuto stamani il primo gruppo di presuli della Conferenza episcopale della Calabria, in visita "ad Limina". Al colloquio era presente anche mons. Luigi Antonio Cantàfora, vescovo di Lamezia Terme. Sergio Centofanti gli ha chiesto di parlarci dell’incontro:

    R. - E’ stato un incontro molto bello, perché abbiamo visto un Papa che sta dentro i problemi della nostra terra di Calabria. Il Santo Padre ha ricordato il suo passaggio nella diocesi di Lamezia, ha ricordato il senso di accoglienza e di ospitalità di questa gente; ma ha ricordato anche le ferite, mettendo tuttavia in evidenza le grandi possibilità che ha la Calabria, attraverso i sentimenti profondi di fede popolare della sua gente, di poter trovare i motivi per una riscossa non solo spirituale, ma anche sociale ed economica.

    D. - Quali sono le sfide, le difficoltà e le speranze che voi avete portato al Papa?

    R. - Certamente gli abbiamo parlato delle importanti risorse che la Calabria offre, sia per quanto riguarda la religione popolare, sia per il senso d’accoglienza. Ma abbiamo posto anche il problema della mafia, che non è l’unico problema della nostra terra purtroppo, e abbiamo avuto dal Papa un grande incoraggiamento, a partire dal Vangelo, perché la fede possa essere lievito e fermento di una nuova generazione di cristiani capaci di dare una spinta a questa società.

    D. - Quindi, il Papa vi ha incoraggiato a proseguire nella vostra battaglia contro la ‘ndrangheta ed i fenomeni mafiosi…

    R. - Il Papa non soltanto ci ha incoraggiato, ma ha detto: “Come il maligno non dorme, noi siamo chiamati a non dormire con la nostra fede”, perché attraverso la nostra fede possiamo realmente trovare i motivi affinché ci sia una rinascita della nostra Chiesa calabrese e del nostro popolo.

    D. - Il Papa ha mostrato preoccupazione anche per la situazione dei giovani, penso alla disoccupazione…

    R. - Certamente, questo è un problema che preoccupa molto il Papa che, tuttavia, ha messo in evidenza che, ad una fede profonda corrisponde una rinascita in tutti i settori, quindi anche nel settore lavoro.

    D. - Quali sono le vostre speranze dopo questo incontro?

    R. - Siamo rimasti molto contenti di questo incontro con il Santo Padre, anche per la familiarità di questo colloquio. Il Papa ci ha incoraggiato a portare avanti il Vangelo, ad arricchire la nostra fede, a dare motivi sempre più profondi al nostro lavoro pastorale attraverso l’evangelizzazione, perché è l’unico modo per vincere le tenebre e quei momenti difficili che possiamo avere.

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    Benedetto XVI all’Azione Cattolica: rinnovato slancio per la testimonianza evangelica

    ◊   Si è aperto oggi pomeriggio, alla Domus Mariae a Roma, il Convegno nazionale degli assistenti di Azione Cattolica sul tema "Assistenti adulti per adulti nella fede" per riflettere proprio sulla figura dell’assistente e sulla sua identità. L’evento si chiuderà il 24 gennaio. Nell’occasione, Benedetto XVI ha indirizzato ai partecipanti un messaggio, a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Il Papa esprime apprezzamento per l’iniziativa “volta ad approfondire, nell’anno della fede, aspetti significativi della missione della Chiesa nel mondo”. Il Pontefice auspica, dunque, che questo Convegno susciti nei partecipanti “rinnovato slancio apostolico per la generosa testimonianza evangelica” e “la saggia guida pastorale nell’associazione e nell’intera comunità”.

    “La presenza di un sacerdote che accompagni, guidi e sostenga il cammino dell’Azione Cattolica nelle sue varie articolazioni – sottolinea un comunicato dell’Associazione - fa parte della storia e della vita dell’Ac, da sempre convinta che solo se si hanno assistenti ‘adulti’ si è in grado di accompagnare realtà associative che hanno come compito la formazione di laici caratterizzati da una fede adulta e pensata, capaci di essere lievito di comunità cristiane in un tempo di frammentazione, attenti a re-imparare a fare discernimento, a trovare spazi per confrontarsi ed assumere decisioni in comune che siano orientate dal Vangelo”.

    Il Convegno degli assistenti Ac – prosegue il comunicato - intende riflettere a partire dal riconoscimento che l’idea di adulto inteso come persona ‘arrivata’, dotata di stabilità, non è più sostenibile. Anche nell’ambito della fede, anzi, soprattutto in esso” – si osserva - la persona adulta, un assistente di Ac ‘adulto’ è chiamato “a porsi in atteggiamento di ricerca, di accoglienza, a compiere dei percorsi, a ridefinire il proprio essere discepolo di Gesù nel mutare delle situazioni, dei contesti, anche in relazione alle diverse accentuazioni dei contenuti della fede che la Chiesa pratica nel suo cammino. Una fede statica – conclude il comunicato - con la presunzione di averla acquisita una volta per sempre, conservata come un oggetto immutabile, difficilmente è vitale”.

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    Il card. Ravasi sugli esercizi spirituali: ho scelto i Salmi perché in essi Dio e l'uomo parlano insieme

    ◊   Ho scelto il Libro dei Salmi perché in esso Dio e l’uomo sono in stretto dialogo. Il cardinale Gianfranco Ravasi spiega così in sintesi l’ispirazione che ha dato origine alle sue meditazioni, con le quali guiderà gli esercizi spirituali della prossima Quaresima in Vaticano. Il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura li predicherà al Papa e alla Curia dal 17 al 23 febbraio, sul tema “Ars orandi, ars credendi. Il volto di Dio e dell’uomo nella preghiera salmica”. Nell’intervista di Fabio Colagrande, il porporato spiega come abbia accolto l’invito di Benedetto XVI:

    R. – Sicuramente, l’impressione è sempre quella di emozione, un po’, anche se in verità devo dire che per me l’aver pensato tra le tante strade possibili a un percorso sulla Parola di Dio, sulla Bibbia rende questo impegno anche più sereno. Devo dire che durante gli auguri che abbiamo rivolto al Papa – come Curia Romana – alle soglie del Natale, nell’incontrarmi Benedetto XVI mi ha sollecitato quasi idealmente ad essere contento di compiere questo atto anche perché – sono le sue parole – “sono curioso di vedere come lei svilupperà un percorso abbastanza lungo che è fatto di ben 17 tappe”. E questa curiosità spirituale, umana, culturale anche è in un certo senso qualcosa che può emozionarmi ma che dall’altra parte suggerisce anche una sorta di dimensione di intimità. Questo dialogo viene fatto all’interno di persone che lavorano, naturalmente, con il Santo Padre e che quindi sono, in un certo senso, anche miei colleghi. E’ un’atmosfera, quindi, da un lato emozionante ma anche, forse, familiare.

    D. – “Ars orandi, ars credendi: il volto di Dio e il volto dell’uomo nella preghiera salmica”: è il tema che lei ha scelto per questi esercizi. Perché ha voluto concentrarsi proprio sui salmi?

    R. – Ho pensato a tante possibilità. Poi, ho pensato che proprio il Salterio avrebbe potuto essere la rappresentazione perfetta del volto di Dio e del volto dell’uomo. Dietrich Bonhöffer, il celebre teologo martire sotto il nazismo, ha una considerazione molto curiosa a questo riguardo. Dice: la Bibbia non è Parola di Dio? E come mai nella Bibbia ci sono i salmi, che sono preghiere e quindi evidentemente parole dell’uomo? Proprio per dimostrare che la rivelazione di Dio non è un soliloquio solitario di Dio nel suo orizzonte dorato, ma è un dialogo e nel dialogo ci dev’essere anche la risposta. E la risposta è, forse, proprio quella che Dio si attende da noi, perché ha messo il sigillo della sua ispirazione. Ecco, per questo motivo – direi – ho scelto per l’Anno della Fede, per parlare della fede, proprio un libro in cui della fede parla Dio, e al tempo stesso anche per l’uomo, che reagisce e risponde con la sua fede.

    D. – Lei, però, introdurrà questi suoi esercizi sul Salterio con una riflessione sui verbi della preghiera: respirare, pensare, lottare, amare. Perché questa introduzione?

    R. – Questa introduzione evidentemente è anche un po’ quasi provocatoria, perché di solito i verbi della preghiera che si usano sono – appunto – orare, lodare, invocare, supplicare… Mentre l’anima profonda della preghiera è molto più complessa, è, prima di tutto, certamente respirare: il respiro dell’anima. Lo afferma già Kirkegaard, il filosofo danese, il quale dice: ma perché noi respiriamo? Perché altrimenti non vivremmo. Ecco, lo stesso vale per la preghiera: è come il respiro dell’anima. Non dimentichiamo mai che proprio nel Salterio, ma proprio nell’esperienza di tutte le grandi culture religiose, c’è una dimensione fisica, corporale del pregare. Poi, pensiamo che cosa significhi per esempio anche il mistero di Dio: qualche volta è una lotta. Noi tutti ricordiamo la celebre lotta che Giacobbe stabilisce con Dio, l’Essere misterioso, lungo il fiume Iabbok, in quella notte. Ebbene, Osea dice che in quella notte, quella scena era la preghiera “invocare pietà”, la preghiera di Giacobbe. Quindi, qualche volte il cercare il mistero – pensiamo alle domande: “Fino a quando, Signore, te ne stai a guardare inerte?” (Salmo 13). Per quattro volte urla questo grido. E possiamo nella stessa maniera riferirci anche al pensare, perché – diceva Wittgenstein, un filosofo – “pregare è pensare al senso della vita”. E, con un gioco di parole in tedesco, un altro filosofo lontano da questioni strettamente religiose, come Heidegger, diceva: “Denken ist danken”, pensare è ringraziare. Perché è la grande scoperta che ti fa felice. Ecco perché allora la preghiera è anche pensiero. E da ultimo, però, bisogna dire che è un incrocio di dialoghi, è un incontro. Di fatti, l’elemento fondamentale è l’incontro e l’abbraccio. E io citerò anche qualche volta testimonianze che non appartengono alla cultura solo religiosa nostra. C’è una bellissima espressione di una mistica musulmana dell’VIII secolo – Rabia – la quale, sotto il cielo stellato di Bassora, la sua città in Iraq, dice: è sera. Sta scendendo la notte. Le stelle brillano in cielo. Ogni innamorato è con la sua amata e io sono qui, sola con Te, o Signore. Cioè, il linguaggio d’amore e il linguaggio della mistica.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   All'Angelus di domenica 20 gennaio Benedetto XVI invita i fedeli all'impegno spirituale per la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.

    I frutti della riconciliazione: intervista esclusiva agli ambasciatori di Francia e Germania in occasione del cinquantesimo anniversario del Trattato dell'Eliseo.

    Nell'informazione internazionale, in primo piano l'economia: l'Eurogruppo alla ricerca di un equilibrio tra austerità e crescita.

    Il tesoro della Germania dei letterati: Veit Probst sul progetto di digitalizzazione dei fondi manoscritti della Biblioteca Palatina.

    Un pronipote per i florilegi: Silvia Guidi sull'uso della lingua latina su Twitter.

    Un cammino condiviso sempre più esteso: Gregory Fairbanks sui rapporti con le comunità ecclesiali di ambito protestante.

    Per dare all'Europa un orizzonte più grande: un articolo di Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio, sulla evangelizzazione nel vecchio continente.

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    Oggi in Primo Piano



    Prosegue l’avanzata francese verso il Nord del Mali: liberate le città di Diabali e Douentza

    ◊   Il ministro della Difesa francese, Le Drian, ha annunciato la ripresa del controllo delle città di Diabali e di Douentza ad ovest e nel centro del Mali, da parte delle forze armate maliane. Diabali era stata conquistata una settimana fa dagli islamisti e parzialmente abbandonata dopo un bombardamento dei jet francesi. Mentre le colonne di soldati francesi continuano ad avanzare via terra verso il nord, occupato da gruppi integralisti da 9 mesi, gli aerei di Parigi effettuano bombardamenti nelle regioni di Gao e di Timbuctù. Per capire il peso della partita che si sta giocando in Mali, Fausta Speranza ha intervistato l’africanista Aldo Pigoli, docente all’Università Cattolica di Milano:

    R. – Da diversi anni, il Mali è al centro di una serie di dinamiche che riguardano lo sviluppo anche di altri Paesi africani: il problema della povertà, della scarsa distribuzione delle risorse all’interno dello Stato e di tutte le difficoltà dello sviluppo in sé. Però, da diversi anni è anche coinvolto in dinamiche riguardanti l’instabilità politico-militare, sia del Paese sia dell’area cosiddetta del Sahel, cioè quell’area che sta a cavallo del deserto del Sahara e tra la fascia nordafricana e quella dell’Africa occidentale, in particolare. In quest’area, da parecchi anni è in corso un vero e proprio conflitto tra forze che si rifanno al più ampio "ombrello" del terrorismo internazionale di matrice fondamentalista islamica, e quindi legata ad al Qaeda, e le forze di sicurezza istituzionali e ancora le forze che a livello internazionale cercano di sostenere il governo del Mali. Riguarda anche altri Paesi dell’area il tentativo di contrastare questi gruppi armati che da diverso tempo generano, appunto, instabilità e conflitti nel Paese.

    D. – La partita che si sta giocando in Mali, quanto è importante un po’ per tutto il continente africano?

    R. – Diciamo che significa il successo nel più ampio contesto della sicurezza del continente, anche se poi vanno considerate le aree nelle loro specificità. In questo caso, il Mali – come la fascia del Sahel in generale – è un’area critica perché la capacità dei Paesi dell’area e della comunità internazionale di sostenerli e di aiutarli nel contrastare il terrorismo internazionale e anche le varie componenti dell’instabilità locale, - quindi traffici criminali e le organizzazioni locali che si occupano di questi traffici – sarà determinante non solo nel risolvere la situazione temporaneamente, ma anche nel far vedere che è possibile, nel continente africano, far fronte a queste situazioni di instabilità e debolezze strutturali del sistema.

    D. – Quanto sono forti il fondamentalismo e il terrorismo in Africa? Abbiamo visto la drammatica connessione con i fatti in Algeria: c’è da aspettarsi nuove implicazioni in altre aree?

    R. – Le aree del Mali e dell’Algeria, del Sahel in generale, sono sotto i riflettori della comunità internazionale, in particolar modo degli Stati Uniti e negli ultimi anni anche dell’Unione Europea. Gli Stati Uniti, in particolare, negli ultimi anni, hanno sostenuto fortemente – a livello militare e finanziario – i Paesi dell’area contro il terrorismo internazionale. Evidentemente, ci troviamo nel mezzo di una vera e propria “battaglia” nel senso più ampio del termine, cioè di grande instabilità con attori con interessi diversi che cercano di sfruttare quello che dicevo prima, cioè la grave carenza di capacità dei governi di far fronte alla sicurezza al proprio interno. Quindi, sì, possiamo aspettarci nuove situazioni anche perché questa è un’area con delle criticità strutturali. E’ un’area che deve risolvere i problemi di sviluppo dei propri Paesi e deve far fronte alle dinamiche internazionali, come la sfida ormai globale del terrorismo, che impatta in maniera significativa sulle debolezze di questi Paesi.

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    Israele domani al voto. Sembra scontata la riconferma per il premier Netanyahu

    ◊   Vigilia di elezioni in Israele. Quasi sei milioni di elettori sono chiamati a rinnovare la nuova Knesset composta da 120 deputati. Particolarmente frammentato il panorama politico, ma sembra scontata la rielezione del premier, Nethanyahu, come scontata appare una svolta ancora più verso destra del nuovo parlamento. Il servizio di Benedetta Capelli:

    L’apertura delle urne è prevista per le 7 di domani mattina e fino alle 22 quasi sei milioni di cittadini israeliani, in oltre 10 mila seggi, potranno esprimere il loro voto per la lista e non per i singoli candidati. Trentaquattro i partiti in lizza, contro i 14 dell’ultima tornata elettorale: un incremento che è il riflesso della frammentata realtà politica israeliana. Gli analisti sono tutti concordi nel concedere la vittoria all’attuale premier Netanyahu, alleato del ministro degli Esteri Lieberman che, secondo recenti sondaggi, dovrebbero ottenere oltre 30 seggi. All’interno della coalizione di centro-destra, il Labour ne dovrebbe conquistare invece 18. La novità assoluta è rappresentata da Naftali Bennet, 40.enne uomo d’affari e alfiere dei diritti dei coloni: a novembre ha vinto le primarie del partito "Bait Yehudi". Bennet ha condotto tutta la campagna elettorale ribadendo che non c’è soluzione nel conflitto israelo-palestinese e che la creazione di uno Stato palestinese si tradurrebbe in una seria minaccia per lo Stato ebraico. Guardando a sinistra, il fronte appare molto segmentato. La leader laburista, Shelly Yachimovich, che ha escluso qualsiasi alleanza con Netanyahu, avrebbe solo 16-17 seggi. Fallito poi il tentativo di compattare lo schieramento da parte dell’ex ministro degli Esteri, Tzipi Livni, un tempo popolare leader dei centristi Kadima, oggi alla guida di "Hatnua", partito che dovrebbe raccogliere solo 7-8 seggi. Pochi di più ne dovrebbe conquistare "Yesh Atid", fondato dall’ex anchorman televisivo, Yair Lapid, che ha basato la sua campagna elettorale sulla difesa della laicità contro le richieste degli ultraortodossi. A completare il quadro politico, vi sono anche i partiti ultraortodossi "Shas" ed "Ebrei uniti nella Torah". Dopo il voto, il presidente Shimon Peres affiderà l’incarico a chi ha ottenuto più voti. Entro 28 giorni – più altri 14 eventuali – si dovrà formare il nuovo esecutivo solitamente frutto di accordi di coalizione perché, dalla nascita di Israele, mai nessuna lista ha ottenuto la maggioranza assoluta.

    Sul voto di domani, Benedetta Capelli ha raccolto l’opinione di Maria Grazia Enardu, docente di Relazioni internazionali all’Università di Firenze:

    R. – La vittoria di Netanyahu è scontata. Quello che non è scontato è che sarà una piena vittoria, cioè che il Likud assieme alla lista di Israel Beitenu raggiungano e superino la somma dei due partiti, al momento. Questo non è scontato. Inoltre, va visto come sarà il sorpasso a destra di un nuovo partito che da anni è sulla scena, ma che ora è completamente rinnovato, cioè Bait Yehudi, guidato da un uomo giovane, energico, di grande carisma che è Naftali Bennet e che ha condotto una campagna elettorale molto aggressiva. In questo momento, il partitino di Bennet ha tre seggi: se li moltiplicasse, sarebbe la misura della sconfitta di Netanyahu.
    D. – Secondo lei, Bennet sarà il successore di Netanyahu e nello stesso tempo, con la sua battaglia per la questione dei territori quanto consenso ha raccolto?

    R. – Bennet è molto abile ed è molto intelligente. In questo momento, lui sta cavalcando l’onda a spese della destra di Likud-Netanyahu. Però, è anche capacissimo di spostarsi e al centro e successivamente di riprendersi il Likud. Potrebbe domani essere il nuovo leader di Israele, con idee anche un pochino diverse da quelle che dice di avere ora.

    D. – Secondo lei, però, le idee che invece sta proponendo in questa fase, non possono preoccupare una parte dell’opinione pubblica, ma anche un po’ la comunità internazionale?

    R. – Su questo non c’è dubbio, perché Bennet in questo momento ha detto una cosa anche piuttosto grave, e cioè che non c’è spazio per uno Stato palestinese dentro Israele. Però è anche vero che nella storia della destra di Israele ci sono stati uomini che sono partiti con dichiarazioni altrettanto dure e che poi hanno fatto cose diverse. Per certi versi, l’eccezione è Netanyahu che, a parole, ha detto che avrebbe voluto riprendere il negoziato di pace se Abu Mazen fosse stato credibile, poi nei fatti ha smantellato questa possibilità. Bennet è giovane e spregiudicato: questo, paradossalmente, può essere domani un elemento di rinnovamento.

    D. – Quali sono, secondo lei, i temi più a cuore dell’opinione pubblica israeliana? Lo Stato ebraico è sempre alle prese con una crisi economica importante e poi c’è anche lo spettro dell’Iran…

    R. – Ecco, di Iran in questa campagna elettorale si è parlato molto meno di quanto non avesse fatto Netanyahu nei mesi immediatamente precedenti. Che ci sia una crisi economica più o meno nascosta, non ci sono dubbi. E' anche vero che lo sforzo di difesa di Israele costa una parte di bilancio impressionante, come anche il sostegno dato agli insediamenti. Quindi, questa crisi economica va affrontata: finora Netanyahu l’ha letteralmente messa sotto il tappeto. L’opinione pubblica, inoltre, è preoccupata dal problema della sicurezza, cioè della possibilità di avere uno Stato palestinese che non riesca in qualche modo a controllare.

    D. – In questo voto, secondo lei, c’entra – o c’entrerà – la crisi che ci siamo lasciati alle spalle nella Striscia di Gaza?

    R. – La Striscia di Gaza è ormai praticamente tagliata fuori dal contesto israeliano, se non per quanto riguarda la sicurezza, i razzi che piovono sul Sud di Israele e così via. Un avvio del negoziato di pace dev’essere fatto con tutte e due le componenti: Hamas è al momento apparentemente lontana, Abu Mazen è al momento terribilmente stanco di tentativi andati a vuoto. Il nuovo governo, che sarà sicuramente a guida Netanyahu, potrebbe presentare tesi ancora più oltranziste, per di più durante il periodo della seconda presidenza Obama. Questo non smuoverà gli americani: gli americani non sembrano avere alcuna intenzione di fare un serio sforzo di negoziato, perché sanno che non avrebbe risultati a breve. Però, un governo Netanyahu duro che inglobi eventualmente anche ministri di Naftali Bennet, sarebbe oggetto di una politica abbastanza rigida da parte dell’Europa e di altri Paesi, che intendono spiegare a Israele che va ripreso un percorso di un vero negoziato.

    D. – Come potrà uscire la sinistra dal voto di domani?

    R. – La sinistra in Israele si misurerà guardando letteralmente i seggi di "Meretz", che è l’unico partito di sinistra rimasto. In questo momento ha tre seggi, se ne avrà qualcuno in più la sinistra si riprenderà; se non li avrà, rimarrà allo stato attuale, cioè molto piccolo. I laburisti sono stati più volti definiti dalla leader Shelly Yacimovich un partito di centro: i laburisti non sono più considerabili “sinistra”, se non nel senso più generale del termine, e comunque non ideologico.

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    Colombia. Le Farc annunciano la fine della tregua unilaterale

    ◊   Le Farc, Forze armate rivoluzionarie della Colombia, hanno annunciato la fine della tregua unilaterale, mai accettata da Bogotà. Il governo Santos ha ammesso che i rivoluzionari "in termini generali", hanno rispettato il “cessate il fuoco”, ma anche che c'è il pericolo di nuovi attentati terroristici. I vescovi della Colombia hanno chiesto alle Farc di continuare la tregua. Ma questa decisione segna la fine della trattativa che si sta tenendo a Cuba? Massimiliano Menichetti lo ha chiesto a Niccolò Locatelli, esperto di America Latina per le riviste di Geopolitica Limes e Aspenia online:

    R. – Le trattative di pace andranno avanti a Cuba. Questa fine della tregua dichiarata dalle Farc non altera il livello politico del negoziato. Questo è l’aspetto militare della questione. I due piani sono totalmente separati.

    D. – Quindi, la decisione del governo Santos di non accettare la tregua, che ha comportato la revoca da parte delle Farc, è soltanto una mossa tattica di Bogotà?

    R. – Il governo sa di avere a che fare oggi con una guerriglia che è molto più debole di quanto era dieci o quindici anni fa, anche sul piano militare. Quindi ritiene di non dover concedere molto in corso d’opera. Questo eventuale cessate il fuoco non avrebbe portato grandissimi benefici sul piano politico e della trattativa. Facendo così invece il governo dimostra di essere politicamente più forte, perché rifiuta un’offerta, e lancia alle Farc il segnale del fatto che non è una trattativa tra due soggetti di pari livello e ha più armi a sua disposizione.

    D. – Cosa cambia tra questo negoziato e quello poi fallito tra il ’98 e il 2002?

    R. – Sono due le grosse novità: da una parte c’è la forza militare delle stesse Farc, che si è enormemente ridotta - ricordiamo che le Farc sono nate nel ’64, hanno contato anche 25 mila militanti e ora questo numero è sceso enormemente sotto i diecimila - dall’altra parte, la grande novità di questo round di trattative è la presenza, nel ruolo rispettivamente di Paese garante e Paese accompagnatore, di Cuba e del Venezuela, che affiancano rispettivamente la Norvegia e il Cile. Quindi c’è un dato regionale di cui bisogna tenere conto in questo caso.

    D. – Come cambia, in riferimento a queste trattative, a questi negoziati, lo scacchiere regionale dell’area?

    R. – Si può aggiungere un elemento al giudizio storico sia sul ruolo di Fidel Castro a Cuba sia sul ruolo di Hugo Chavez in Venezuela. Questi due Paesi infatti sono sempre stati considerati – Cuba naturalmente dalla rivoluzione castrista del ’59 e il Venezuela da quando nel ’99 è entrato in carica Chavez – Paesi antisistema, fonti di minaccia, non soltanto per la democrazia, ovviamente nel loro Paese, ma anche in tutta la regione, e nel caso di Cuba, se vogliamo, anche a livello mondiale, perché con Castro hanno portato avanti una politica che prevedeva aiuti economici e militari a tutta una serie di guerriglie, non però quella colombiana. Lo stesso Venezuela ha avuto negli anni scorsi un progetto teso a sostituire la prevalenza degli Stati Uniti in America Latina, progetto che poi in realtà non è mai andato a buon fine. La loro presenza, in questo ruolo di mediatori, però, può indicare la loro volontà di essere visti non soltanto come forze antisistema. Questo, per quanto riguarda loro due. Naturalmente, poi, il Venezuela è più interessato alla vicenda, perché condivide una frontiera di oltre duemila chilometri con la Colombia, ospita 200 mila rifugiati colombiani, in fuga dal conflitto. Quindi, una soluzione del conflitto in Colombia aiuterebbe enormemente anche l’economia e la politica venezuelana.

    D. – Il cessate il fuoco, insieme alla questione del traffico della droga, ai diritti civili, ai risarcimenti, alla questione territoriale, è uno dei punti centrali del tavolo delle trattative...

    R. – Un conto è il cessate il fuoco durante le trattative, che è quello che è stato dichiarato concluso ieri dalle Farc; un conto invece è la fine totale e completa delle violenze, che è uno dei punti del negoziato e che storicamente è uno dei punti che ha causato il fallimento delle precedenti trattative tra il governo di Bogotà e le guerriglie. In particolare, perché da una parte le Farc, anche quando avevano siglato precedenti accordi, non hanno poi smobilitato completamente il loro apparato militare, dall’altra perché l’esercito o una serie di guerriglie paramilitari di destra in Colombia ha fatto delle Farc il suo bersaglio preferito, proprio nei momenti in cui c’erano queste trattative ed erano stati appena siglati questi accordi. Il tema delle armi, dunque, è uno dei più importanti se vogliamo ed è stato causa dei fallimenti precedenti. Naturalmente, per arrivare ad una pace duratura sarà fondamentale garantire agli ex componenti di questa guerriglia un loro, per quanto possibile, pacifico reinserimento nella vita politica della Colombia. Naturalmente alla base di questo c’è la garanzia della loro sicurezza.

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    Bologna, neonata abbandonata. Servizio accoglienza alla Vita: serve più informazione

    ◊   Maria Grazia è il nome che all’ospedale Sant’Orsola-Malpighi di Bologna hanno dato alla neonata abbandonata sabato in un cassonetto. La piccola, fa sapere il policlinico, ''è in buone condizioni di salute. Dal reparto di terapia intensiva neonatale, dove è ancora ricoverata a scopo precauzionale, a breve verrà trasferita nella degenza ordinaria e i servizi sociali del comune di Bologna sono intervenuti per la presa in carico. Per fare in modo che i neonati non vengano abbandonati in luoghi come i cassonetti, bisognerebbe fare più informazione: lo sottolinea, al microfono di Debora Donnini, Maria Vittoria Gualandi, presidente del Servizio di accoglienza alla Vita di Bologna:

    R. – Bisognerebbe fare molta informazione anche attraverso la televisione, facendo sapere che le mamme possono benissimo partorire in ospedale e lasciare il bambino – la legge lo consente – e darlo in adozione. Ci sono anche progetti di vita dati dai Sav (Servizi di Aiuto alla Vita) e dai Cav (Centri di aiuto alla Vita), che aiutano la mamma a tenere il bambino e anche al mantenimento fino al primo anno. Bisognerebbe assolutamente fare questo tipo di informazione.

    D. – Nei centri di aiuto alla vita c’è, dunque, la possibilità di avere un aiuto economico per le madri che si trovano in difficoltà e per aiutarle a non abortire?

    R. – Certo, ma non solo questo. Noi abbiamo anche 10 appartamenti di accoglienza situati a Bologna, in normalii condomini, dove accogliamo mamme con bambini, anche bambini appena nati, o madri che aspettano un bambino e non sanno dove andare. Lavoriamo con i Servizi pubblici di Bologna. Oltre che l’aiuto economico, diamo anche accoglienza. Abbiamo avuto molti casi di madri che hanno avuto bambini e sono venute da noi verso il quarto o quinto mese, quando cominciava a vedersi, e hanno trascorso la gravidanza nei nostri appartamenti nell’assoluto anonimato e poi hanno partorito e hanno lasciato il bambino in adozione.

    D. – Da quando ci sono i Cav e i Servizi di aiuto alla vit,a a Bologna quante madri sono state aiutate?

    R. – Noi ci siamo da 30 anni, abbiamo 10 appartamenti: sono decine e decine. Adesso abbiamo quasi 30 bambini, 11 mamme e cinque famiglie. Ci sono moltissimi casi di extra-comunitarie, ma anche di italiane. Poi, col “Guardaroba” seguiamo mille famiglie, col Banco alimentare 140 famiglie. Se vengono a parlare con noi nel Segretariato si tratta di centinaia di famiglie l’anno. Il Sav ha quattro dipendenti e 80 volontari.

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    Presepi distrutti. Don Mirilli: non è solo disagio giovanile, sfida per Chiesa e famiglie

    ◊   Sono centinaia i presepi distrutti e vandalizzati nelle scorse settimane in Italia, soprattutto da parte di adolescenti. La notizia a cui ha dato risalto il settimanale del Corriere della Sera, “Sette” è il sintomo di un profondo disagio giovanile. Ma non solo. Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione di don Maurizio Mirilli, direttore della Pastorale Giovanile del Vicariato di Roma:

    R. - Mi conferma, nelle mie convinzioni, della mala-educazione: non è solo una questione formale di dire parolacce, o non dirle, ma dell’assenza - purtroppo - di un’educazione non solo al rispetto civile, delle regole, ma anche un’assenza di educazione verso i valori religiosi. Questi ragazzi, molto spesso, vivono proprio l’assenza educativa, perché magari c’è l’assenza soprattutto paterna, del padre terreno e, ovviamente, a maggior ragione l’assenza del Padre celeste, perché non sono abituati a confrontarsi con il calore familiare. In fondo cos’è il presepe, se non ciò che ci fa vivere quel calore familiare, di un Dio che si fa vicino, che ci viene incontro, che si fa bambino? Tutto questo, evidentemente, in questi ragazzi, in questi giovani non c’è, non è un’esperienza che loro vivono.

    D. - Qui colpisce proprio questo: non sono stati vandalizzati alberi di Natale, ma le statue del presepe e in particolare proprio il Bambino Gesù. Si sente l’assenza del padre nel distruggere un bambino, un figlio…

    R. - L’assenza del padre e l’assenza anche della sacralità: quando non c’è un padre che ti accompagna, evidentemente non c’è nemmeno l’idea di che cosa ci sia di sacro nella vita. Considerano la loro stessa vita poco sacra - anzi forse per niente - e si sentono rifiutati come bambini, come ragazzi, dalle loro famiglie. Allora, distruggere quel bambino è, secondo me, anche esprimere questo disagio e questi ragazzi non sanno che - e secondo me andrebbero educati in questo senso - sono accolti, c’è un Padre celeste che li accoglie, che si è fatto bambino proprio per accoglierli. Loro forse non riescono a comprenderlo perché non c’è nessuno che glielo spiega.

    D. - Questa è dunque una grande sfida per la Chiesa e in particolare per chi, come lei, è impegnato nella pastorale giovanile...

    R. - E’ una sfida, perché non ci possiamo più accontentare di stare solo con i nostri ragazzi della parrocchia… ce ne sono tantissimi altri che purtroppo si trovano in queste situazioni, che sono per strada e vanno a fare queste cose. Noi dobbiamo cercare di incontrare ed intercettare questi ragazzi, cercando di fargli capire che c’è una compagnia affidabile - come dice Papa Benedetto XVI - c’è la Chiesa, c’è una paternità che possono sperimentare, anche là dove la paternità biologica, quella fisica del loro papà non c’è. C’è un Padre celeste che si occupa di loro. Hanno bisogno di tanto amore e hanno bisogno, secondo me, di vedere qualche adulto - a maggior ragione noi sacerdoti, educatori - che si spende per loro.

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    Mons. Pasini: “La grammatica della carità” interpella l’amore di Dio verso i poveri

    ◊   “La grammatica della carità” è il titolo del libro di mons. Giuseppe Pasini, pubblicato in occasione dell’80.mo compleanno di questo sacerdote, tra i fondatori e poi direttore per dieci anni della Caritas Italiana. Il volume, presentato stamani a Roma, raccoglie gli editoriali di mons. Pasini usciti sulla rivista "Italia Caritas" dal 1986 al 1996. Presenti all’incontro, assieme all’autore, mons. Giampietro Dal Toso, segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum e Michel Roy, segretario generale di Caritas Internationalis. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Dieci anni di scritti, ispirati dall’attività sociale ed ecclesiale non solo italiana, ma aperta ai grandi temi che attraversano il mondo intero. Il volume offre uno spaccato originale del pensiero caritativo che evolve dall’assistenza alla condivisione, come spiega mons. Pasini:

    R. – Credo che la base sia l’intuizione che ha dato a noi Paolo VI, che consideriamo il fondatore della Caritas italiana: lui l’ha voluta tenacemente. La carità non è un problema di qualche gruppo di volontari o di persone solidali, ma è un problema radicale della Chiesa come tale. Cioè, la Chiesa non è Chiesa se non è testimone dell’amore di Dio verso i poveri. Allora, Paolo VI ha sciolto la Pontificia Opera dell’assistenza e ha chiesto ai vescovi italiani di creare la Caritas come organismo promotore delle Caritas in tutte le diocesi e possibilmente in tutte le parrocchie. Cioè, farsi carico in prima persona, non delegare a qualcuno. Portare avanti una cultura rinnovata ma evangelica di carità. E amore verso i poveri non vuol dire semplicemente assistenza: c’è bisogno anche di questa, in alcuni momenti. Ma vuol dire – dice il Concilio – aiutare i poveri ad uscire dallo stato di povertà e di dipendenza per avere una loro autonomia, per recuperare la loro dignità e diventare a loro volta soggetti nella società civile.

    D. – Mons. Pasini, lei crede ci sia il rischio che viene paventato di una assimilazione dell’azione caritativa della Chiesa ad altre forme assistenziali, di aiuto allo sviluppo, di promozione umana?

    R. – Il rischio c’è e per questo ancora Paolo VI ha evidenziato che la funzione della Caritas non è quella di creare opere, ma quella di educare la gente a capire che la carità essenzialmente nasce dalla carità di Dio. E che quando noi parliamo anche di forme promozionali facciamo riferimento necessario alla carità di Dio, che è carità di liberazione: si è liberati dal peccato, ma Gesù ci ha liberati anche dalle malattie, dall’insignificanza, dall’emarginazione… E quindi, può darsi che arriviamo agli stessi effetti esterni, ma le radici che sostengono la carità della Chiesa sono radici evangeliche.

    Ma che cosa distingue l’azione caritativa della Chiesa dall’azione solidale di tanti altri organismi? Risponde il dr. Michel Roy:

    R. – Sul terreno, possiamo fare quasi le stesse cose, no? Infatti, non siamo gli unici ad amare i poveri. Ma per quanto riguarda la visione della persona umana ci possono essere differenze. Per noi, è centrale la natura completa della persona umana: non si può prendere in conto solamente ciò che manca al povero, non solamente i suoi bisogni perché il povero ha anche delle capacità, dei talenti donati da Dio e in questi è la soluzione ai suoi problemi. Abbiamo una visione della persona e della comunità cristiana che può essere diversa.

    D. – Ci sono difficoltà nel rapportarsi nell’azione pratica con altri organismi?

    R. – In linea di massima, no. Ma negli ambiti relativi alla vita, in particolare, quando si entra nel campo della prevenzione dell’Aids, per esempio, un campo nel quale la famiglia Caritas è molto impegnata, sì, qui ci sono delle differenze. Ci confrontiamo anche sulla questione dell’aborto e su quella che passa sotto il nome di "salute riproduttiva", che è un’espressione che nasconde aspetti con i quali non siamo d’accordo. Ma è comunque importante la collaborazione che possiamo avere con altre organizzazioni, per promuovere la nostra visione dell’uomo e della vita.


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    In un libro, la storia della Cappella Musicale Pontificia Sistina

    ◊   La storia della Cappella Musicale Pontificia Sistina attraverso i suoi sei direttori: da Giuseppe Baini, nominato nel 1830, all’attuale don Massimo Palombella. E’ quanto racconta Marcello Filotei, critico musicale dell’Osservatore Romano nel libro “La solita solfa”. Più che ritratti, squarci di storia fatta di luci e ombre. “Indispensabile è che la Cappella resti” - scrive nella prefazione il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura - “un segno forte nell’orizzonte non sempre luminoso dell’arte contemporanea”. Ma perché la scelta dei direttori come filo conduttore? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Marcello Filotei:

    R. – Perché danno un taglio particolare alla storia di questa istituzione: quindi da Baini, che fu il primo ad essere indicato proprio con questo titolo di direttore, fino all’attuale direttore, Palombella. E poi, come ho cercato di sintetizzare nel titolo, è sempre la solita solfa, cioè ce n’è uno che vuole recuperare la tradizione in un modo che ritiene originale e giusto, e l’altro che la vuole recuperare in un altro modo e spesso anche introdurre novità del linguaggio contemporaneo.

    D. – Quali sono i requisiti per diventare direttore della Cappella?

    R. – Deve essere un musicista esperto di musica liturgica, in grado di gestire sia un repertorio enorme sia anche la parte compositiva: infatti, una delle caratteristiche dei direttore della Cappella Sistina è ampliare il repertorio.

    D. – C’è qualcosa che hanno in comune, questi direttori?

    R. – Sì: intanto, la consapevolezza di essere in un posto unico e poi soprattutto la percezione esatta del fatto che devono essere l’eccellenza per quanto riguarda la polifonia romana del Cinquecento e del Seicento. Il problema è come: da questo non se ne uscirà mai.

    D. – Perché questa Cappella è stata la più famosa, la più importante?

    R. – Perché nella sua storia entra Palestrina, che ha scritto gli offertori per tutte le domeniche liturgiche, patrimonio che possiede solamente la Cappella Sistina. E poi, ovviamente, anche il patrimonio di esecuzione vocale che si è portato avanti nei secoli: è uno sviluppo che ha avuto esclusivamente questa Cappella. Poi, ci sono stati momenti di eccellenza assoluta: tra questi, il periodo in cui è stata diretta da Perosi … Ma la cosa importante è la sua eredità: nei fondi della Cappella Sistina ci sono opere che non ci sono in nessuna altra parte del mondo.

    D. – Oggi la Cappella Sistina cosa canta, e come?

    R. – Oggi la Cappella Sistina sta affrontando un riavvicinamento ad una lettura – se vogliamo – filologica della polifonia romana e del Seicento, e quindi senza molti ornamenti … Al tempo stesso, anche grazie alle direttive di questo Pontificato, è stata aperta una strada verso la musica di oggi: si sono introdotti in repertorio brani del Novecento e si è aperta anche una serie di collaborazioni …

    D. – Cito le parole dell’attuale direttore sulla Cappella Sistina... parla di essere un punto di riferimento internazionale che esprima con il suo operare la cattolicità della Chiesa …

    R. – Certo: questa è proprio la mission della Cappella Sistina, ed è appunto quello che sta cercando di fare Palombella, invitando altri cori ma anche andando a cantare assieme ad altri cori. Questo non significa in nessun modo perdere la propria identità: significa solamente acquisire le grandi cose che sono state fatte da molti cori degni di attenzione.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Mali: riunita la Conferenza episcopale. I vescovi in visita ai feriti dei combattimenti

    ◊   “I vescovi hanno fatto visita ai feriti dei combattimenti ricoverati negli ospedali di Bamako per offrire un conforto morale e spirituale” dice all’agenzia Fides don Edmond Dembele, segretario generale della Conferenza episcopale del Mali, che da ieri è riunita per discutere della situazione socio-politica del Paese e, in particolare, dell’emergenza umanitaria. “I vescovi intendono valutare quello che la Chiesa può ulteriormente offrire agli sfollati e ai feriti, al di là di quanto sta già facendo” sottolinea don Dembele. Nelle ultime settimane, a causa dei combattimenti tra le truppe francesi e maliane e i ribelli jihadisti, diverse migliaia di abitanti hanno dovuto abbandonare le proprie case. “Non conosco le cifre esatte, ma per quanto riguarda i maliani rifugiati nei Paesi vicini, si parla di 200.000-300.000 persone in più rispetto a quelle che già da tempo si erano rifugiate all’estero prima dell’avvio delle ultime operazioni militari. Nel sud del Mali gli sfollati che si sono aggiunti a quelli arrivati in precedenza sono decine di migliaia” dice don Dembele. “Un rappresentante della Caritas dovrebbe essere ascoltato dai vescovi sulla situazione umanitaria nel Paese” aggiunge il segretario generale della Conferenza episcopale. “Al termine della riunione i vescovi dovrebbero diffondere un messaggio ai fedeli cattolici e una dichiarazione finale che sintetizza la loro riflessione sulla situazione del Paese” conclude don Dembele. (R.P.)

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    Eritrea: ad Asmara voci di un presunto golpe militare

    ◊   Un centinaio di militari, sotto il comando del generale Philipos Weldeyohanes avrebbero preso il controllo del ministero dell’Informazione e della televisione di Stato ad Asmara. Lo riferiscono fonti locali secondo cui nella capitale eritrea sarebbe in corso un tentativo di rovescire il regime del presidente Isaias Afewerki, che governa il Paese con pugno di ferro dalla sua indipendenza nel 1993. “Per il momento quello che sappiamo è che il direttore della televisione, Asmelah Abreha, su richiesta dei militari, ha letto un comunicato in cui si chiedeva l’emendamento della Costituzione del 1997 e la liberazione di tutti i prigionieri politici detenuti nelle carceri. Subito dopo, la televisione ha sospeso le programmazioni” dicono all'agenzia Misna fonti missionarie informate sui fatti, che chiedono di rimanere anonime per sicurezza. In città, la situazione appare tranquilla e almeno per il momento, non risulterebbero movimenti insoliti di tank e mezzi militari. A contribuire alla confusione e alla mancanza di conferme su quanto stia accadendo ad Asmara in queste ore, il sistema di rigida censura imposto dal governo sull’informazione interna. L’Eritrea è sulla lista nera della associazioni per i diritti umani per violazioni dei diritti e arresti arbitrari di oppositori e giornalisti. Dal Paese ogni anno sono migliaia le persone che tentano la fuga pur di sottrarsi alle durissime condizioni di vita e a una leva militare obbligatoria che può durare oltre trent’anni. Nei mesi scorsi, a fare scalpore sulle pagine della stampa africana e internazionale era stata la fuga dell’intera nazionale di calcio che ha chiesto asilo politico in Uganda e del Ministro dell’Informazione, Ali Abdu, che avrebbe chiesto asilo in Canada. (R.P.)

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    Usa: 40 anni fa la legalizzazione dell’aborto, mobilitati vescovi e movimenti pro-life

    ◊   Ricorre, domani, il 40.mo anniversario della sentenza “Roe vs Wade” della Corte Suprema che, nel 1973, ha introdotto l’aborto negli Stati Uniti. Da quella “tragica decisione”, si legge sul sito web dell’episcopato americano, “più di 55 milioni vite di bambini sono state perdute a causa dell’aborto”. Per sensibilizzare gli americani sul tema della vita, i vescovi hanno indetto una Novena di preghiera e penitenza, in corso dal 19 gennaio e che si concluderà domenica prossima. Intanto, i movimenti pro-life sono mobilitati per la Marcia per la vita che si terrà, a Washington, il 25 gennaio. Attese decine di migliaia di persone. Jeanne Monahan, presidente del comitato organizzatore della Marcia, ha dichiarato all’agenzia “Catholic News Service” che la gente è molto coinvolta sul tema e vuole far sentire la propria voce in difesa della vita. Il giorno prima della grande marcia, si terrà una Veglia nel santuario nazionale dell’Immacolata Concezione di Washington. La celebrazione sarà presieduta dal cardinale arcivescovo di Boston, Sean P. O’ Malley. La Veglia si concluderà con una Messa il giorno dopo, celebrata dal vescovo di Dallas, Kevin J. Farrell. In tutte le diocesi americane, del resto, si terranno in questi giorni momenti di preghiera ed eventi per sensibilizzare la popolazione e i leader politici contro l’aborto. Particolarmente significativa sarà, il 26 gennaio, la “Walk for Life” a San Francisco. Un evento che l’anno scorso ha registrato la partecipazione di 40 mila persone per la difesa della vita, sin dal concepimento. (A.G.)

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    Assisi: frati da tutto il mondo per eleggere il successore di San Francesco

    ◊   Si è aperta sabato scorso nella Basilica di San Francesco d'Assisi il 200° capitolo generale dei Frati Minori Conventuali. Sono circa 99 i religiosi, provenienti da 5 continenti, che si riuniranno fino al 17 febbraio per eleggere il successore di San Francesco. Un appuntamento che si ripete ogni sei anni, durante il quale si fa il punto, si progetta il nuovo sessenio sullo stato dell’Ordine e vengono eletti il Ministro generale e i membri del Consiglio Generale. "Si tratta - è detto in una nota della sala stampa del Sacro Convento di Assisi - dell'appuntamento più importante della famiglia francescana che permetterà ai frati che si ritrovano attorno alla tomba del suo fondatore di attingere energia e forza per progettare il loro cammino futuro. Accolti dal Custode del Sacro Convento di Assisi, padre Giusppe Piemontese, dal vescovo di Assisi, mons. Domenico Sorrentino, e dal sindaco di Assisi, Claudio Ricci i capitolari rimarranno nella città umbra per circa un mese". “Siamo presenti in 65 nazioni. - Ha dichiarato l'attuale Ministro Generale, padre Marco Tasca - in alcuni Paesi l’Ordine è appena nato, mentre in altri vi sono tradizioni secolari. La nostra Famiglia religiosa è composta da 4.300 frati, in alcune nazioni ci sono centinaia di frati e in altre invece poche decine”. Tasca ha definito "molto positivo e incoraggiante il dato relativo ad un consistente sviluppo numerico di frati in alcuni continenti come Asia, Africa e America Latina". L’Ordine dei Frati Minori Conventuali ha alle spalle 800 anni di storia. La data di fondazione risale al 1209 e corrisponde alla approvazione orale che il Papa Innocenzo III concesse a San Francesco quando si presentò a Roma con i suoi primi 12 compagni che aveva raccolto attorno a sè nel tugurio abbandonato di Rivotorto da Assisi. Il primo Capitolo Generale avvenne ad Assisi e fu denominato dai biografi di allora il Capitolo delle Stuoie dove fu eletto come primo successore fra Elia, uno dei primi compagni di San Francesco e artefice della progettazione e realizzazione del Complesso monumentale che custodisce le spoglie del Santo Patrono d'Italia. (R.P.)

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    Giordania: la Chiesa prega per tutti i candidati alle elezioni ma non sponsorizza nessuno

    ◊   La Chiesa cattolica in Giordania offre le sue preghiere per tutti i candidati, ma non ne sostiene nessuno in particolare. Così l'arcivescovo Maroun Lahham, vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme, sintetizza per l'agenzia Fides l'approccio della compagine ecclesiale davanti alle elezioni parlamentari giordane in programma il 23 gennaio. “Il Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal” ricorda l'arcivescovo Lahham “ha già rivolto ai cristiani un messaggio ufficiale, invitandoli a recarsi a votare. Ovviamente andrò a votare anch'io. Negli ultimi giorni ci sono venuti a trovare diversi candidati, anche musulmani. A tutti abbiamo promesso le nostre preghiere e benedizioni. Ma la Chiesa non fa campagna per candidati particolari”. I cittadini giordani chiamati alle urne sono quasi 2 milioni e 300mila. A disputarsi i 150 seggi della Camera bassa del Parlamento saranno 1.425 candidati, tra cui 191 donne. Nove dei seggi in palio sono riservati a candidati cristiani. E candidati appartenenti a varie realtà ecclesiali sono disseminati anche in diverse liste. Le elezioni sono state boicottate dal Fronte di azione islamica, la formazione legata ai Fratelli Musulmani che rappresenta la principale forza d'opposizione. Tra i candidati abbondano i supporter della monarchia hashemita e uomini d'affari. Secondo mons. Lahham “c'è attesa di vedere se il nuovo Parlamento sarà davvero in grado di iniziare le riforme di cui il Paese ha bisogno”. L'arcivescovo giudica significativo il fatto che il Primo Ministro sarà nominato per la prima volta dai gruppi di candidati che avranno ottenuto la maggioranza, e non dal re. Anche la nuova severità mostrata nei confronti della compravendita dei voti è per mons. Lahham un segnale eloquente. Nel contempo, in ogni valutazione sulle possibili evoluzioni del quadro politico, conviene tenere conto di alcuni fattori determinanti per il profilo del Paese: “Il richiamo più forte per l'aggregazione del consenso politico” fa notare l'arcivescovo “rimane quello tribale. Si sceglie di votare per qualche membro in vista della propria tribù. Le dinamiche dei clan tribali e familiari pesano molto. Anche oggi i giornali raccontano la storia di una candidata costretta al divorzio dal marito, dopo che lei aveva rifiutato di ritirarsi dalle elezioni per favorire un candidato appartenente alla famiglia di lui”. (R.P.)

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    Myanmar: l’esercito birmano ignora il cessate il fuoco e continua l’assedio ai Kachin

    ◊   Continua l'offensiva dell'esercito birmano contro le milizie ribelli Kachin, nell'omonimo Stato a nord del Myanmar, al confine con la Cina. Lo scorso 18 gennaio il presidente Thein Sein ha ordinato il cessate il fuoco, invitando i militari a interrompere l'attacco all'area di La Ja Yang, poco distante la frontiera cinese. Al contempo, il capo di Stato ha negato il proposito di conquista di Laiza, dove peraltro si susseguono forti esplosioni. Tuttavia, fonti dell'agenzia AsiaNews riferiscono che i soldati continuano la loro avanzata, lanciando bombe e granate che finiscono per coinvolgere anche i civili. In queste ore l'esercito birmano, mira a conquistare avamposti strategici attorno a Laiza, considerata il quartier generale e roccaforte del Kachin Indipendence Army (Kia), in attesa di sferrare l'assalto finale. La scorsa settimana Human Rights Watch (Hrw) ha accusato i militari di "bombardare in maniera indiscriminata" la cittadina, dove vi sono numerose vittime fra la popolazione civile. Finora le trattative non hanno dato alcun esito, sebbene il presidente Thein Sein abbia aperto a nuovi colloqui di pace. Una richiesta rispedita al mittente dai leader Kachin, secondo cui non è possibile intavolare trattative se non vi sono "gesti di buona volontà" dal fronte governativo, fra i quali una reale interruzione dei bombardamenti. Fonti di AsiaNews nello Stato Kachin, anonime per sicurezza, parlano di "pesanti attacchi" dell'esercito birmano a Lagat Bum e Hka Ya, postazione strategica per la difesa di Laiza, dove si susseguono lanci di granate e mortai. Scontri si ripetono anche a Shwe Gu, nei pressi del fiume Irrawaddy, dove i soldati hanno circondato i duemila civili che abitano la zona. Intanto a Yangon ha preso il via una marcia di pace lanciata dai giovani, alla quale hanno aderito anche gruppi di monaci buddisti, che intendono raggiungere Laiza e chiedere la fine dei combattimenti. L'organizzazione Kachin Kio (Kachin Indipendence Organisation), braccio "politico" del Kia, è il solo gruppo "ribelle" birmano a non aver sottoscritto un accordo di pace con il presidente Thein Sein e il governo "riformista". Le violenze sono riprese nel giugno 2011, dopo circa 17 anni di relativa calma. Alla base dello scontro, il rifiuto opposto dai leader Kachin di abbandonare una "postazione strategica", che sorge accanto a un importante impianto idroelettrico, frutto di un accordo congiunto fra Cina e Myanmar. Per gli esperti è proprio lo scontro coi Kachin, il "problema dei problemi" - nel lungo periodo - che dovrà affrontare e risolvere il governo centrale in un'ottica di "democratizzazione". (R.P.)

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    Indonesia. A Jakarta emergenza alluvioni: 20 morti, migliaia di sfollati e miliardi di danni

    ◊   A Jakarta si contano i danni provocati dalle devastanti alluvioni dei giorni scorsi, che hanno causato - secondo le stime aggiornate - un totale di 20 morti. Jusuf Wanandi, capo dell'Associazione degli imprenditori e degli uomini d'affari (Apkindo) della capitale, riferisce che le perdite nel commercio, per ciascuno dei quattro giorni di emergenza, ammontano a 500 miliardi di rupie (poco più di 50 milioni di dollari). Moltissimi i negozi e le attività costrette a chiudere, mentre circa 20mila persone sono rimaste senza casa e hanno trovato rifugio nei centri di accoglienza temporanea. Il presidente Susilo Bambang Yudhoyono ha garantito che l'amministrazione di Central Jakarta stanzierà almeno 2mila miliardi di rupie (oltre 200 milioni di dollari) nei prossimi mesi, nell'opera di prevenzione contro nuove catastrofi naturali. Il governatorato della capitale indonesiana ha avviato le operazioni di pulizia della città, dopo giorni di emergenza assoluta. La situazione resta ancora critica e i danni maggiori si registrano nel commercio, con intere zone della capitale tuttora paralizzate. La National Disaster Mitigation Agency (Bnpb) comunica che vi sono almeno 8mila abitanti che hanno contratto infezioni o malattie dovute alle epidemie originate dalle inondazioni. Almeno 41 chilometri quadrati dell'area metropolitana di Jakarta, poco meno del 10% del totale, sono stati sommersi dalle acque; 74 quartieri, per un totale di 31 sotto-distretti e cinque municipalità della capitale sono stati colpiti e sono oltre 97mila le case che hanno riportato danni. L'emergenza ha interessato anche diverse zone abitate da comunità cattoliche, con i fedeli in prima fila - pur costituendo una piccola minoranza - nelle operazioni di soccorso e aiuto alla popolazione. Fra le aree che hanno subito le maggiori devastazioni vi è il distretto amministrativo di Pluit, a North Jakarta. Il vice-governatore (cristiano) di Jakarta Basuki Tjahaja Purnama, meglio conosciuto col soprannome di Ahok, ha confermato "i danni ingenti" nell'area causati da un vero e proprio "muro di acqua". Dopo ore di incertezza, padre Andreas Gunawan della parrocchia di Stella Maris a Pluit ha risposto all'appello dei fedeli, abbandonando la chiesa e trovando rifugio ai piani alti dell'edificio. Fra le chiese affette dal disastro vi è anche la S. Cristoforo a Grogol, West Jakarta, dove "l'acqua ha raggiunto l'altare". In un'altra parrocchia della zona, la Teluk Gong, il sacerdote ha "aperto" le porte dell'edificio per fornire un "riparo temporaneo" agli sfollati. Intanto decine di enti e associazioni cattoliche della capitale continuano le attività di raccolta e consegna di aiuti e generi di prima necessità alle vittime dell'alluvione. "È la fede in Cristo - spiega una donna - che mi spinge a fare del bene agli altri". (R.P.)

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    Sudan: nel Darfur accordo di pace tra comunità rivali nel Nord

    ◊   I capi tradizionali delle comunità Abbala e Beni Hussein, protagoniste di scontri armati che nell’ultimo mese avrebbero provocato circa un centinaio di vittime nel nord del Darfur, hanno firmato un accordo per il cessate-il-fuoco. Lo riferisce l’emittente locale Radio Dabanga secondo cui alla cerimonia, nella località di Saraf Omra, era presente il governatore del Nord Darfur Osman Kibir. Oltre alla tregua, l’intesa prevede lo svolgersi di una conferenza di riconciliazione a partire dal 15 febbraio e la riapertura di tutte le strade e vie di comunicazione bloccate dal conflitto e dai posti di blocco eretti dalle due parti. Una commissione congiunta, composta da esponenti delle due tribù, sarà incaricata di valutare i danni materiali e determinare un bilancio definitivo delle vittime delle violenze. L’organismo - riferisce l'agenzia Misna - dovrà inoltre determinare i responsabili di crimini e aggressioni. Le due tribù hanno acconsentito inoltre ad interrompere le ricerche di oro nella miniera contesa di Jebel Amer, fino a quando non saranno disposti meccanismi di sicurezza. Nonostante la firma dell’accordo – riferiscono fonti sul posto – la situazione rimane tesa e non tutte le strade bloccate sono state riaperte al pubblico. A migliaia di chilometri di distanza, nella capitale qatariota di Doha, intanto, si sono aperti oggi colloqui di pace tra il governo sudanese e i ribelli di una fazione dissidente del Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (Jem). Teatro di una ribellione armata contro Khartoum e di una grave crisi umanitaria, la regione del Darfur sta lentamente cercando di ritrovare un po’ di stabilità in un contesto nazionale scombussolato dalla recente indipendenza del Sud e da una grave crisi economica. (R.P.)

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    Ciad: prime dichiarazioni di mons. Russo rientrato a Doba

    ◊   “Bisogna adesso più che mai continuare il dialogo. La Chiesa è in Ciad anche per questo. Evangelizzazione e promozione umana vanno di pari passo. Quando una delle due parti rinuncia al dialogo, assume un atteggiamento autoreferenziale e dittatoriale, è lì che nasce il problema” dice il vescovo di Doba, mons. Michele Russo, in un’intervista inviata all’agenzia Fides da padre Alfonso M. Bruno, dei Francescani dell’Immacolata. Mons. Russo è tornato in Ciad l’8 gennaio, dopo essere stato espulso dal governo di quel Paese il 12 ottobre 2012, dopo che una sua omelia, tradotta in lingua gambay, era stata trasmessa da una radio locale. Mons. Russo afferma che prevede di incontrare presto il Primo Ministro e il Ministro della Comunicazione. “Ci tengo a chiarire - sottolinea il vescovo - la faccenda della traduzione della mia omelia, ritrasmessa dalla radio diocesana. La nostra emittente, ‘La Voix du paisan’, gestita con competenza dai Francescani dell’Immacolata, aveva ricevuto un richiamo formale, ma non è mai stata sospesa dal governo, così come qualche media in Italia ha dichiarato. Il direttore è padre Clemente Bonou che non poteva valutare le sfumature della lingua gambay, essendo lui di nazionalità beninese. Il traduttore ci avrà pur messo qualcosa di suo, ma non capisco perché il ministero della comunicazione non abbia voluto la registrazione della mia omelia e si sia solo basato sulla traduzione di un prete ciadiano”. Nella sua omelia mons. Russo aveva criticato la gestione dei proventi del petrolio estratto in Ciad. “Il Ciad ha tutte le carte in regola per essere un Paese sviluppato. Conta solo undici milioni di abitanti! Basterebbe per soli venti giorni recuperare i proventi del suo petrolio per costruire tutte le infrastrutture che mancano” ribadisce il vescovo. “Le compagnie petrolifere hanno costruito qualche ospedale senza medici né attrezzature, e uno stadio da calcio a Doba, dove non c’è nemmeno il pallone da gioco! Oltre ad essere iniquo, il contratto sullo sfruttamento del petrolio è decaduto! Venne studiato per trecento pozzi di petrolio. Oggi ne sono attivi duemila”. “In questo Anno della Fede - conclude mons. Russo - confidiamo che con l’opera di evangelizzazione e di moralizzazione della società, attraverso l’istruzione e l’esempio della carità, si possa elevare l’insieme del Ciad, un Paese che amo, per il quale sono contento di spendermi, senza temere qualsiasi forma di ricatto o di ritorsione. La mia azione pastorale è in comunione con il resto dell’episcopato per un’opera pacifica e costruttiva, dove la Chiesa cattolica è in prima linea per lo sviluppo ed apprezzata anche dai non cristiani”. (R.P.)

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    Kenya: appello dei vescovi alle famiglie perché votino leader onesti e giusti

    ◊   “Le famiglie sono la spina dorsale di ogni nazione”: parte da questa considerazione l’appello lanciato da mons. Salesius Mugambi - vescovo di Meru, in Kenya, e presidente dell’Ufficio nazionale della Famiglia presso la Conferenza episcopale locale – in vista delle prossime elezioni nazionali. Il 4 marzo, infatti, i cittadini kenioti saranno chiamati alle urne per le consultazioni presidenziali e generali. “Dalle famiglie – spiega mons. Mugambi – derivano insegnanti, dottori, genitori, politici, infermieri, agenti di sicurezza, sacerdoti e religiosi, tutti responsabili del benessere dei cittadini in una nazione”. Per questo, il presule esorta le famiglie “a votare responsabilmente per futuri governanti che amino il Paese e guidino la popolazione con onestà, integrità e giustizia”. Mons. Mugambi invita, poi, i fedeli a “distaccarsi dalle fazioni tribali ed a cercare candidati che guidino e proteggano ogni cittadino del Kenya, a prescindere dalla tribù d’origine”, poiché ciò che occorre sono “politici le cui capacità e competenze portino benefici a tutta la popolazione in tutte le regioni del Paese”. In quest’ottica, il vescovo di Meru esorta “tutti i genitori, in questo periodo cruciale, a giocare l’importantissimo ruolo di guida dei figli, specialmente quelli più giovani, per evitare che accettino la compravendita dei voti durante la campagna elettorale”, poiché ciò “potrebbe portare ad episodi di violenza, distruzione, perdita di vite umane e di mezzi di sussistenza”. Convinto del fatto che “non è questo ciò che i keniani vogliono vedere o provare”, mons. Mugambi lancia infine un appello affinché si eviti la violenza e si voti “pacificamente, saggiamente e responsabilmente”. (A cura di Isabella Piro)

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    Rwanda: riunione del Comitato permanente dei vescovi

    ◊   È stata una riunione ad ampio spettro quella tenutasi a Kigali, dal Compitato permanente della Conferenza episcopale del Rwanda (Cepr). Obiettivo principale dell’incontro era la preparazione dell’Assemblea ordinaria dei vescovi, prevista dal 5 all’8 marzo prossimi. Tuttavia, su indicazioni di mons. Smaragde Mbonyintege, presidente della Cepr, nel corso dei lavori sono stati affrontati anche altri temi, particolarmente urgenti per la Chiesa e la popolazione locale. Innanzitutto, informa una nota, “i vescovi hanno esaminato la questione degli statuti delle diocesi, che devono essere conformi alla nuova legge riguardante l’organizzazione ed il funzionamento degli enti religiosi, e ne hanno ribadito l’urgenza dell’attuazione”. All’ordine del giorno, anche “il problema dei tetti in amianto proibiti dal governo”. Nello specifico, i presuli rwandesi hanno considerato che “la data del giugno 2013 come limite massimo” per la dismissione di tali coperture “non potrà essere rispettata, poiché lo smantellamento di questo tipo di tetti richiede mezzi introvabili nell’immediato”. Di qui, la richiesta dei presuli di un incontro con il Ministro delle Infrastrutture per discutere la questione, che tocca da vicino le Chiese, i presbiteri, le scuole e gli edifici sanitari. Inoltre, il Comitato permanente della Cepr “ha esaminato con molta preoccupazione le tasse imposte sui terreni della Chiesa, ritenute molto elevate, poiché le strutture erette su tali terreni sono a carattere sociale e di interesse comune”. Per questo, i presuli hanno intenzione di “discutere la questione con l’autorità governativa”. Infine, l’incontro ha tracciato un primo bilancio sull’Anno della fede, attualmente in corso e indetto da Benedetto XVI per commemorare i 50 anni del Concilio Vaticano II, ed ha stabilito il tema della prossima Assemblea ordinaria della Cepr, ovvero la situazione finanziaria della Chiesa locale. (I.P.)

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    Yemen. Il dramma dei bambini lavoratori: sono oltre 1 milione e 300 mila

    ◊   Nello Yemen sono stati registrati oltre 1 milione e 300 mila bambini lavoratori. E’ quanto emerso dal primo Studio nazionale sul lavoro minorile effettuato nel Paese asiatico. Si tratta di circa il 17% di tutti i minori. Tra questi, 469 mila della fascia di età compresa tra 5 ed 11 anni sono soprattutto bambine. La ricerca definisce “lavoratori” tutti i minori di 14 anni che sono in qualche modo sfruttati, e quelli tra 14 e 17 anni che lavorano oltre 30 ore alla settimana, o che sono coinvolti in qualsiasi attività pericolosa. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro - riferisce l'agenzia Fides - la povertà è il fattore chiave che scatena e alimenta questo fenomeno, come pure la mancanza di lavoro per i laureati e il sempre crescente numero di giovani. Il 42,5% della popolazione del Paese asiatico ha meno di 15 anni. (R.P.)

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    Irlanda: positivo il primo incontro bilaterale tra il premier Enda Kenny e i vescovi

    ◊   Il Premier irlandese Enda Kenny ha ricevuto venerdì scorso a Dublino, insieme ad altri membri dell’Esecutivo, una delegazione di vescovi per il suo primo incontro bilaterale con l’episcopato del Paese dall’inizio del suo mandato. La delegazione era guidata dal Presidente della Conferenza episcopale, card. Seán Brady, arcivescovo di Armagh. Al centro dei colloqui, durati tre ore, i rapporti tra Stato e Chiesa in Irlanda con riferimento a diversi temi di interesse comune. Tra gli argomenti affrontati vi sono stati in particolare: quello della tutela della vita, tornata alla ribalta con la recente riapertura del dibattito sulla possibile revisione della legge sull’aborto in Irlanda; la protezione dei minori dopo lo scandalo degli abusi; le strategie per affrontare il disagio mentale nella società irlandese con un’attenzione particolare al preoccupante aumento dei suicidi; la scuola; l’attuale congiuntura economica; il problema della giustizia sociale e in particolare della povertà. Altri temi hanno poi riguardato i rapporti diplomatici con la Santa Sede, le nuove recenti tensioni politiche in Irlanda del Nord e l’attuale presidenza irlandese dell’Unione europea. Il colloquio, ha reso noto un comunicato della Conferenza episcopale, si è svolto in un clima “cordiale e costruttivo”. Soddisfatto dell’esito dell’incontro il cardinale Brady che ha sottolineato l’importanza di questi appuntamenti regolari tra vescovi e Governo: “E’ nell’interesse del bene comune della nostra società – ha detto il Primate irlandese – avere un luogo istituzionale di dialogo in cui la Chiesa cattolica - insieme ad altre comunità religiose – possa stabilire un rapporto trasparente e rispettoso di collaborazione con lo Stato su temi di interesse comune. E’ altrettanto importante – ha aggiunto il card. Brady - potere approfondire questi temi di persona”. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Germania: celebrata la Domenica delle famiglie

    ◊   La Chiesa cattolica tedesca ha celebrato ieri la Domenica delle famiglie. La ricorrenza - riporta l'agenzia Sir - è stata introdotta in Germania nel 1976 per richiamare l’attenzione della Chiesa e della società sui compiti e le finalità del matrimonio e della famiglia. Nell’edizione di quest’anno è stato evidenziato, in particolare, l’aspetto della famiglia quale luogo di fede. “Le famiglie sono piccole comunità di persone alla ricerca comune del giusto orientamento della propria vita”, ha detto mons. Franz-Peter Tebartz-van Elst, presidente della Commissione della Conferenza episcopale tedesca (Dbk) per il matrimonio e la famiglia. “Le famiglie hanno il compito di creare un luogo in cui la fede personale venga vissuta, conservata e messa alla prova. In tal modo, la famiglia diviene anche un’importante comunità di fede, una ‘piccola Chiesa’”, ha proseguito il vescovo. Un compito, ha ammesso, “spesso non facile” ma, anziché criticare i tempi difficili e la perdita della cultura cristiana della famiglia, “occorre chiedersi come sostenere le famiglie” e fare in modo che “esse si sentano accettate e comprese”. “Anche in considerazione di queste domande”, ha concluso mons. Tebartz-van Elst”, la Domenica delle famiglie intende rappresentare “un’occasione e uno spunto per un nuovo impegno”. Dal canto suo il presidente della Conferenza episcopale mons. Robert Zollitsch, ha sottolineato che “la qualità della relazione di coppia è molto importante ai fini della disponibilità a fondare una famiglia con figli. Ciò viene praticamente ignorato nelle discussioni sulla diminuzione del tasso di natalità”, ha detto. L’arcivescovo di Friburgo ha evidenziato “l’enorme importanza sociale del matrimonio” e ha criticato che “l’alto prezzo umano, psichico ma anche finanziario del fallimento di un matrimonio viene quasi ignorato dall’opinione pubblica”. Occorre perciò “cambiare mentalità”, ossia imparare a “comunicare con rispetto reciproco, perdonarsi a vicenda, andare nella stessa direzione”. Mons. Zollitsch ha inoltre ricordato l’esistenza di numerosi Centri di consulenza ecclesiastici per il matrimonio e la famiglia. (R.P.)

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    Colombia. Mine antiuomo in 31 dipartimenti su 32. A rischio la vita dei bambini

    ◊   Nel 2012 in Colombia sono morti 13 bambini e altri 52 sono rimasti feriti a causa delle mine antiuomo. Secondo un documento del Programma Presidenziale per l’Azione Integrale contro le Mine Antiuomo, nel 2012 a morire sono stati 12 bambini e una bambina, tra i feriti 20 bambine e 32 bambini. Dalle statistiche che vanno dal 1990 al 2012 risulta che i dipartimenti dove si registra il maggior numero di bambini e adolescenti vittime di questo flagello sono quelli di Antioquia, Cauca e Nariño, al confine con l’Ecuador. Le ultime vittime sono stati 3 bambini che il 13 gennaio sono caduti in un campo minato nel municipio di Briceño. Uno di loro è morto, gli altri 2 sono stati portati in un ospedale della città di Medellín dai militari dell’Esercito. Tra il 1990 e il 2012, in Colombia, il numero totale delle vittime è stato di 10.160, di cui 3.877 civili e 6.283 delle Forze pubbliche. Il Paese latinoamericano è il secondo al mondo, dopo l’Afghanistan, per le mine antiuomo che sono state disseminate in 31 dei 32 dipartimenti civili della Colombia. (R.P.)

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    Messico: on line “Veritas Radio”, emittente cattolica del Chiapas

    ◊   Veritas Radio, una stazione radiofonica cattolica a San Cristobal de las Casas, nello Stato messicano del Chiapas, è riuscita ad ottenere l'autorizzazione legale della Commissione Federale delle Telecomunicazioni (Cofetel) per l'installazione degli impianti ed il funzionamento. Non è facile riuscire ad avere tale permesso, anche se dal 19 dicembre 2012 sono 23 le emittenti che in tutto il Messico hanno ricevuto l’autorizzazione a trasmettere in modulazione di frequenza (FM). Secondo la nota pervenuta all’agenzia Fides, Veritas Radio intende trasmettere "contenuti umanisti, arte, musica, voci e pensieri nuovi di altissimo livello". Il segnale della stazione sarà trasmesso anche via Internet. La sua sede si trova nel cuore della città di San Cristobal de las Casas. Nel novembre 2012, quando venne inaugurata la sede della nuova radio, il vescovo della città, mons. Felipe Arizmendi, esortò i membri e i lavoratori dell’emittente ad "essere fedeli comunicatori della verità che è Cristo, perché la verità ci renderà liberi". In questa zona del Messico la radio è sempre stata uno strumento molto efficace per arrivare capillarmente alla popolazione. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 21

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.