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Sommario del 20/01/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Angelus. Il Papa: i cristiani camminino verso l'unità. No stragi di civili, serve coraggio del dialogo
  • Primo tweet del Papa in latino: unità dei cristiani ha bisogno di preghiera, giustizia e bontà
  • Lettera di mons. Di Noia ai lefebvriani: il Papa vi attende, vostro futuro è nell'unità della Chiesa
  • Oggi in Primo Piano

  • Algeria. Emiro Belmoctar: sequestro è di Al Qaida, negoziamo se cessa guerra in Mali
  • Mali. Leader africani chiedono appoggi a Onu, soldati francesi verso nord
  • Ancora violenza in Siria. Mons. Zenari: è una tragedia quotidiana
  • "Sos Villaggi dei bambini" compie 50 anni. I nuovi progetti di assistenza
  • Gli immigrati piccoli imprenditori, scelte per sfidare precarietà e crisi
  • Gemelli: nuovo reparto di terapia intensiva neonatale non apre, mancano fondi regionali
  • Rapporto tra liturgia e spazi sacri nel libro "Ierotopi cristiani, le chiese secondo il magistero"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Usa. Oggi il giuramento privato di Obama, domani la cerimonia pubblica
  • Usa: 26-27 gennaio giornate della colletta annuale per la Chiesa in America Latina
  • Egitto: bambini lavoratori nelle cave di pietra calcarea
  • Grecia. Esplode ordigno in centro commerciale ad Atene, 2 feriti
  • Madagascar: cibo in cambio di lavoro per mantenere le foreste e aiutare la popolazione
  • Maltempo. Europa nella morsa del gelo, almeno 9 i morti
  • Colombia. Mons. Epalza Quintero: cause della violenza siano aiutando famiglie e scuole
  • Portogallo: messaggio dei vescovi per la Settimana dei consacrati
  • Russia. Morti 4 lavoratori in miniera di carbone della Siberia occidentale
  • Nigeria. Almeno 15 cadaveri scoperti in un fiume nel sudest
  • Spagna: consegna del Premio Bravo per le comunicazioni sociali. Caritas locale tra i vincitori
  • Festival del cinema panafricano Fespaco: molti film e giuria di sole donne
  • Il Papa e la Santa Sede



    Angelus. Il Papa: i cristiani camminino verso l'unità. No stragi di civili, serve coraggio del dialogo

    ◊   La preghiera per l’unità dei cristiani e un appello perché cessino “le stragi di civili inermi nel mondo” sono stati i due temi che hanno interessato la riflessione di Benedetto XVI all’Angelus di questa mattina in Piazza San Pietro. Una riflessione ispirata dal Vangelo della domenica incentrato sull’episodio delle nozze di Cana. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    L’ottimo vino che Gesù procura agli sposi in difficoltà, durante il loro banchetto a Cana di Galilea, è un segno di “gioia dell’amore”, ma più ancora simbolo del sangue col quale Cristo sigillerà, tre anni più tardi, “il suo patto nuziale” con l’umanità”. Alle persone radunate nel colonnato del Bernini, trapuntato di ombrelli e battuto dalla pioggia, Benedetto XVI ricorda il significato profondo del primo miracolo di Gesù: sua manifestazione al mondo e insieme segno sponsale verso la Chiesa, da Cristo resa – afferma il Papa – “santa e bella”. E tuttavia, santità e bellezza sono ogni volta una conquista:

    “Questa sposa, formata da esseri umani, è sempre bisognosa di purificazione. E una delle colpe più gravi che deturpano il volto della Chiesa è quella contro la sua unità visibile, in particolare le storiche divisioni che hanno separato i cristiani e che non sono state ancora del tutto superate.

    La Chiesa nel mondo vive, come ogni anno in questo periodo, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, “un momento – ha sottolineato Benedetto XVI – sempre gradito ai credenti e alle comunità”, perché “risveglia il desiderio e l’impegno spirituale per la piena comunione”. Così è stato, ha ricordato il Pontefice, con la veglia da lui vissuta il 29 dicembre scorso con i giovani della comunità di Taizé. E così sarà, ha proseguito, quando venerdì prossimo, 25 gennaio, presiederà i tradizionali Vespri ecumenici di conclusione della Settimana, nella Basilica di San Paolo:

    “Incoraggio tutti a pregare insieme affinché possiamo realizzare ‘Quello che esige il Signore da noi’, come dice quest’anno il tema della Settimana; un tema proposto da alcune comunità cristiane dell’India, che invitano a camminare con decisione verso l’unità visibile tra tutti i cristiani e a superare, come fratelli in Cristo, ogni tipo di ingiusta discriminazione”.

    E dal desiderio di una Chiesa finalmente unita, la preghiera del Papa all’Angelus si dilata a tutto il pianeta, per diventare quasi l’abbraccio di un padre in pena per le troppe guerre fratricide e per gli orrori quotidiani che esse provocano:

    “Nei diversi conflitti purtroppo in atto, cessino le stragi di civili inermi, abbia fine ogni violenza, e si trovi il coraggio del dialogo e del negoziato”.

    Al termine della preghiera mariana, Benedetto XVI ha salutato le persone presenti in sei lingue, oltre all’italiano, invitando tutti a pregare perché i cristiani tornino a essere presto “una cosa sola”. In particolare, in lingua portoghese, il Papa ha invocato la protezione di Maria sulle famiglie affinché, ha detto, in ogni casa cristiana, “rimanga viva la fiamma della fede, dell’amore e dell’armonia”.

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    Primo tweet del Papa in latino: unità dei cristiani ha bisogno di preghiera, giustizia e bontà

    ◊   Poco dopo l’Angelus, sull’account Twitter di Benedetto XVI, @Pontifex_In, è comparso il primo e annunciato tweet in lingua latina: “Unitati integre studentes quid iubet Dominus? Orare semper, iustitiam factitare, amare probitatem, humiles Secum ambulare”. La frase è ispirata alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Questa la traduzione in lingua italiana: “Che cosa ci chiede il Signore per l’unità dei Cristiani? Pregare con costanza, praticare la giustizia, amare la bontà e camminare con Lui”.

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    Lettera di mons. Di Noia ai lefebvriani: il Papa vi attende, vostro futuro è nell'unità della Chiesa

    ◊   I rapporti della Santa Sede con la Fraternità Sacerdotale San Pio X rimangono “aperti e pieni di speranza”. Si apre così la lunga lettera che, in occasione dell’Avvento, l’arcivescovo Joseph Augustine Di Noia, vicepresidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei – l’organismo vaticano preposto alla ricomposizione dello scisma lefebvriano – ha indirizzato per iniziativa personale, e dunque non in veste ufficiale, ai membri della Fraternità francese. Il testo della missiva è consultabile in forma integrale sul sito del “Il Sismografo”, in lingua inglese (al link “ilsismografo.blogspot.it/2013/01/vaticano-full-text-of-advent-letter.html#more) e in lingua francese (al link “ilsismografo.blogspot.it/2013/01/vaticano-texte-integral-de-la-lettre-de.html).

    Articolata in una introduzione, due paragrafi dedicati al “Mantenere l’unità nella Chiesa” e al “Posto della Fraternità Sacerdotale nella Chiesa”, e una conclusione, la lettera passa in rassegna le difficoltà del passato alla luce di una costatazione, sottolineata con chiarezza nel finale, e cioè che “Papa Benedetto XVI è estremamente desideroso di superare le tensioni esistenti nella Chiesa e la vostra Fraternità”. Tuttavia, mons. Di Noia rileva inizialmente come, nonostante i passi di dialogo compiuti dalla Chiesa, “il tono e il contenuto” di recenti dichiarazioni di autorevoli membri della Fraternità abbiano suscitato “perplessità circa la reale possibilità di una riconciliazione”. In tali circostanze, afferma mons. Di Noia, appare chiaro che un “nuovo elemento” debba essere introdotto nel confronto, se non si vuole apparire “agli occhi della Chiesa, del grande pubblico e, in fondo di noi stessi, come impegnati in uno scambio cortese ma senza speranza né frutto”.

    Insistendo, alla luce della Scrittura e del magistero ecclesiale, sul dovere del mantenimento dell’unità della Chiesa, mons. Di Noia riconosce che “la vera unità è un dono dello Spirito”, ma anche che “le nostre decisioni e le nostre azioni ci rendono – scrive – in grado di cooperare per l’unità dello Spirito o di agire contro i suggerimenti dello Spirito”. Per questo, il presule fa appello alle virtù dell’umiltà, della mansuetudine, della pazienza e dell’amore che possono aiutare a “riconoscere la bontà” delle posizioni di altri che, pur non condivise, possono essere esaminate “in spirito di apertura e di buona fede”.

    Circa il posto della Fraternità S. Pio X nella Chiesa, mons. Di Noia asserisce che esso risiede nella radice del carisma che fu approvato nel 1970: “formare sacerdoti per il servizio del popolo di Dio”. Dunque, precisa, non viene richiesto alla Comunità francese di abbandonare lo “zelo” che fu del suo fondatore, mons. Lefebvre, tutt’altro, bensì di “rinnovare” la fiamma di quello zelo nel formare uomini al servizio di Cristo. Non è quindi proprio del carisma “il compito di giudicare e correggere la teologia o la disciplina di altri nella Chiesa”, facoltà propria del Pontefice.

    Mons. Di Noia conclude con realismo, ponendosi questa domanda: “Una riconciliazione ecclesiale immediata e totale porrebbe fine al sospetto e alla diffidenza sorte da entrambe le parti? Probabilmente non sarebbe così facile”. Poiché, riconosce poco dopo, le nostre anime “devono prima essere sanate, purificate dall’amarezza e dal risentimento” nati da trent’anni di “amarezze e risentimento” reciproci. “Ma quello che cerchiamo – soggiunge – non è un’opera umana: noi cerchiamo la riconciliazione e la guarigione per grazia di Dio”. “L’unico futuro immaginabile per la Fraternità Sacerdotale – conclude mons. Di Noia – è sul cammino verso la piena comunione con la Santa Sede, l’accettazione di una professione di fede incondizionata nella sua pienezza, e quindi con una vita sacramentale, ecclesiale e pastorale ben ordinata”. Il suggello della lettera, mons. Di Noia lo lascia all’esortazione di S. Paolo ai cristiani di Efeso: vivete “in maniera degna della vocazione che avete ricevuto con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore,
    cercando di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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    Oggi in Primo Piano



    Algeria. Emiro Belmoctar: sequestro è di Al Qaida, negoziamo se cessa guerra in Mali

    ◊   L'emiro Moctar Belmoctar ha rivendicato oggi in un video la paternità del sequestro di ostaggi a In Amenas, nel sud dell’Algeria, a nome della rete di Al Qaida. L'emiro aggiunge afferma di essere pronto "a negoziare con l’Algeria e l'Occidente a condizione che cessi la guerra in Mali". Intanto, è di 23 morti tra gli ostaggi e 32 tra i terroristi il bilancio del blitz effettuato dalle forze speciali algerine nell’impianto di In Amenas, nel sud del Paese, attaccato mercoledì scorso dai terroristi. Il bilancio, ancora provvisorio, fornito da Algeri precisa che gli attentatori erano di sei nazionalità diverse, anche non africani, come di diverse nazionalità sono le vittime. Secondo testimoni, 9 ostaggi giapponesi sarebbero stati giustiziati e l'Inghilterra conferma le sue vittime, mentre una tv locale riferisce di altri 25 corpi ritrovati stamani, ma non è chiaro se fossero già stati contati nella stima. Unanime la condanna internazionale, ma c’è anche indignazione nei Paesi coinvolti per un’operazione che alcuni definiscono inaccettabile. Per un’analisi sulla situazione, Roberta Barbi ha raggiunto telefonicamente l’esperto di Nord Africa, Luciano Ardesi:

    R. – A livello diplomatico, l’Algeria oggi si trova in una bufera. C’è da dire anche che il pozzo In Amenas è un punto strategico delle risorse energetiche del Paese e quindi anche dell’Europa in modo particolare. Gli investitori stranieri chiederanno il rafforzamento delle misure di sicurezza, ma non dovrebbero venir meno l’interesse e gli investimenti.

    D. – La condanna internazionale è stata unanime, espressa in particolar modo dagli Stati Uniti. Sulla dinamica dell’azione condotta dall’esercito algerino restano, però, diversi punti da chiarire…

    R. – Questo sarà poi anche difficile: avere un quadro completo di quello che effettivamente sia accaduto. L’Algeria non è nuova a questo tipo di azioni: meno eclatanti perché non c’erano stranieri coinvolti, ma nella sua lotta al terrorismo l’Algeria ha spesso impiegato le forze speciali e dei blitz che hanno richiesto prezzi molto alti, sia per i terroristi sia per le stesse forze dell’ordine. Il terrorismo, naturalmente, nasce dalle contraddizioni non solo nella società algerina, ma in tutta l’area del Sahara e del Sahel. Però, è anche vero che attraverso l’“industria” dei sequestri e dei riscatti, l’Occidente ha – suo malgrado – dotato di mezzi finanziari piuttosto notevoli i gruppi terroristici.

    D. – Possiamo dunque parlare di una recrudescenza di terrorismo legato all’estremismo di matrice islamica nell’area, o si tratta di un episodio isolato?

    R. – Già dall’inizio degli anni Duemila c’era un nucleo risoluto del terrorismo islamico che era passato dall’Algeria nella zona a sud dell’Algeria, sia nel Sahara algerino che nel Sahara del Mali e del Niger che è meno, o comunque più difficilmente, controllabile. Qui ha prosperato, in questi anni, grazie anche al supporto delle reti di contrabbando, dei contrabbandieri che trafficano droga, esseri umani e anche armi. La novità è che con l’implosione dello Stato del Mali, nel Nord del Paese, è venuta meno qualsiasi forma di controllo in quell’area strategica che s’incunea tra l’Algeria, la Mauritania, il Niger e poi, naturalmente, tutto il resto del Sahara e del Sahel. E quindi in questi mesi, dal colpo di Stato nel Mali, i gruppi hanno potuto richiamare forze nuove provenienti dalla Libia, dove sappiamo che c’erano truppe addestrate da Gheddafi in funzione della destabilizzazione dei Paesi vicini. E tutta questa miscela ha creato questa capacità d’impatto formidabile, i cui risultati li abbiamo sotto gli occhi in questi giorni.

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    Mali. Leader africani chiedono appoggi a Onu, soldati francesi verso nord

    ◊   “Vinceremo la guerra contro l’internazionale islamica”. Così il presidente ad interim maliano, Dioncounda Traoré, ha parlato alla vigilia della festa delle forze armate, impegnate accanto a quelle internazionali. Intanto, i militari francesi avanzano verso il nord controllato dai ribelli fino alle città di Niono e Sevaré. I leader africani chiedono all’Onu di appoggiare la forza militare africana che sarà composta da tremila uomini. Il trascinarsi a lungo della guerra rappresenta un rischio per il futuro della chiesa nel Paese, è l’allarme lanciato da mons. Augustin Traoré, vescovo di Ségou. Sul ruolo dell’Europa nel conflitto in corso, Eugenio Bonanata ha intervistato il prof. Luigi Bonanate, docente di Relazioni internazionali all’università di Torino:

    R. - Questo in un certo senso corrisponde all’identità dell’Unione Europea, nel senso che l’Unione Europea nasce e ha sempre voluto essere un’istituzione di pace – lo ha confermato anche il Premio Nobel – ma introiettata, cioè ha sempre curato la pace al suo interno. Non si rende conto, però, che una volta costruito questo tipo di pace bisogna guardarsi intorno: non esiste nessuno Stato, nessuna confederazione, e nessuna federazione che possa guardare solo al suo interno.

    D. – Secondo lei, in che modo l’Europa dovrebbe o potrebbe affrontare la minaccia dell’integralismo islamico anche nel futuro?

    R. – In primo luogo, certamente non con le armi. All’Unione Europea si chiede proprio di dimostrare quella sua natura, cioè una presenza civile consapevole, colta, nel senso di sapere come è fatto il mondo. Questi Stati che ci preoccupano tanto adesso sono tutti o quasi tutti ex colonie europee. I problemi del Mali, che sono i problemi della Mauritania, del vicino Niger, del Sudan subito dopo, sopra dell’Algeria, sotto della Nigeria, sono problemi che uno ad uno conoscevamo tutti. Possibile che nessuno abbia mai saputo fare la somma di tutto e dire: qui c’è un grande problema?

    D. – La questione interessa anche l’Italia che ha deciso di appoggiare la Francia, ma con molte polemiche. Una necessità o una scelta?

    R. – È chiaro che quando un Paese che ormai fa parte dell’Unione Europea così stabilmente, come anche l’Italia, si trova a decidere da sola a titolo personale, è chiaro che le polemiche interne sono poi assolutamente inevitabili e vanno messe in conto. Il punto è che l’Italia, semmai doveva, dovrebbe e dovrà, farsi parte dirigente nell’insistere sia presso l’Unione, sia nei confronti degli Stati Uniti – ma vorrei dire anche nei confronti della comunità internazionale – su fatto che non c’è nulla che non riguardi tutti al mondo. Siamo probabilmente usciti dall’età delle due grandi guerre mondiali, ma stiamo entrando in una fase di ristrutturazione della vita internazionale nella quali i problemi sono il benessere, la salute, la liberazione dalla fame, la scolarizzazione, la parità dei sessi. Questi sono i grandi problemi che ci aspettano e che possono produrre delle crisi nel mondo futuro. Bene: l’Unione, la stessa Italia – che sono state anche le culle dei diritti – devono impegnarsi in questo. Perché non si sono mai mosse nell’intervenire se non quando succedono fatti d’arme? Noi siamo abituati a occuparci dei problemi quando scoppia una bomba, che sia metaforica o materiale. Questo è il modo sbagliato di affrontare la realtà. Noi, invece, dobbiamo essere sempre pronti e consapevoli di quello che si sta muovendo nel mondo.

    D. – Il dibattito è aperto in diversi Paesi europei e anche negli Stati Uniti, che hanno bene in mente la situazione afghana…

    R. – Stanno appena scrollandosi di dosso la polvere dell’Iraq, dell’Afghanistan. Obama non mi sembra in questo momento sufficientemente forte per imporre una decisione militare. Naturalmente, non si può mai dire, però non credo che gli Stati Uniti interverranno in modo massiccio. Suppongo faranno quella solita cosa – che del resto hanno fatto sovente – che è quella dei consiglieri militari, degli esperti, della concessione di un po’ di fondi, di mettere al servizio le fonti di intelligence di cui dispongono. Ma, in questo momento, non credo che Obama si senta di fare di più.

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    Ancora violenza in Siria. Mons. Zenari: è una tragedia quotidiana

    ◊   In Siria, almeno dieci persone sono rimaste uccise ieri e altre decine ferite in un raid aereo delle forze del regime su un sobborgo di Damasco. Intanto il ministro degli Esteri siriano è tornato a respingere ogni ipotesi di rimozione del presidente Assad, mentre Parigi annuncia per il 28 gennaio una riunione dell'opposizione siriana. Si continua, dunque, a vivere un clima di violenza, in Siria, come conferma, al microfono di Debora Donnini, il nunzio apostolico a Damasco, mons. Mario Zenari:

    R. – La situazione, purtroppo, da quello che vediamo e sentiamo anche con le nostre orecchie, va di male in peggio. Qui, a Damasco, sono quotidiane le esplosioni che si sentono, i voli aerei dei cacciabombardieri che si levano in volo… In altre parti del Paese è la stessa cosa. Direi che purtroppo è diventata una tragedia quotidiana, le esplosioni, gli attacchi… Purtroppo, la soluzione di questo conflitto sembra farsi sempre più ingarbugliata, con ogni giorno che passa: è molto difficile vedere la fine del tunnel.

    D. – Al dramma della violenza e dei morti, si aggiunge un inverno particolarmente rigido che sta pesando molto sulle persone…

    R. – Questo inverno è incominciato in una maniera più rigida del solito: è caduta abbondante neve, una settimana fa. La gente non sa più come riscaldarsi e come scaldare il cibo. Ho sentito dire che in alcuni posti, ad esempio ad Aleppo, la gente ha anche incominciato a tagliare gli alberi, che è proibito perché in alcune zone della Siria si è al limite del deserto: tagliare una pianta, quindi, è una cosa gravissima. Però, questa povera gente non ha gas né gasolio, non sa come scaldarsi quel po’ di cibo né come scaldare l’acqua e quindi si arriva anche a questo. Guardando la situazione in generale – l’inverno e la penuria di cibo, di medicinali, di coperte e del riscaldamento di casa per tanta gente – io credo che siamo veramente in una situazione di emergenza, di una grave crisi umanitaria e che la comunità internazionale debba agire, prenderne atto e sollecitare le parti in conflitto ad una tregua umanitaria. La gente non può più sostenere questa rigida stagione invernale con scarsità enorme di cibo, di vestiario e di medicinali.

    D. – In che modo la fede sta aiutando i cristiani ad affrontare questa grave situazione?

    R. – I cristiani, qui in Siria, sono cittadini arabi, siriani a pieno titolo e anche loro soffrono le terribili conseguenze di questo sanguinoso e lungo conflitto. Anche loro hanno avuto vittime e feriti, anche loro sono stati sfollati e tanti di loro non hanno lavoro, come tutti, e soffrono la stessa situazione di povertà e di indigenza. Tra le vittime, vorrei ricordare una suora che nell’esplosione di alcuni giorni fa, avvenuta all’università di Aleppo, mentre stava tornando a casa – era già vicina al suo convento – purtroppo non è tornata a casa: si teme che, poveretta, abbia condiviso la sorte delle vittime di questa terribile esplosione.

    Intanto, l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, torna a chiedere l’intervento della Corte penale internazionale dell'Aja (Cpi), per giudicare i crimini contro l’umanità commessi in questa guerra civile. Richiesta questa che ha ricevuto dure critiche da parte del governo siriano. Secondo l’ultimo bilancio delle Nazioni Unite, si contano complessivamente, dal marzo 2011, 60 mila morti, in media cinquemila al mese. Cecilia Seppia ha chiesto l'opinione di padre Gonzalo Ruiz, vicario generale dell’Istituto del Verbo Incarnato, che in Siria ha diverse missioni:

    R. – In queste ultime settimane, l’offensiva è stata molto forte. Anche l’accerchiamento di Aleppo, per esempio, dove si trovano molti dei nostri missionari, si fa sempre più serrato, più duro, i bombardamenti più pesanti, anche sulle zone cristiane della città. La gente è veramente molto delusa, anche se conserva ancora la speranza di ricevere aiuto, che questa guerra sia fermata. Perché si potrebbe davvero fermare la guerra con interventi più decisi.

    D. – Difficile la situazione dei cristiani, come diceva lei. I quartieri cristiani di Damasco e di Aleppo vengono costantemente bombardati. E’ così?

    R. – Sì, è così. Il più grande quartiere cristiano di Aleppo è stato bombardato soltanto in questi ultimi giorni, quelle bombe esplose tre giorni fa all’Università di Aleppo che confina proprio con il quartiere cristiano… Ci sono molte, molte vittime tra i cristiani – sono stati colpiti i conventi di religiosi e di religiose – e ci sono tanti, tanti feriti. Per due giorni, i nostri sacerdoti non hanno fatto che assistere i feriti, dando l’unzione degli infermi, ascoltando le confessioni e portando un po’ di conforto. Però, insomma, la situazione è molto delicata anche per i cristiani che si sentono sempre meno protetti.

    D. – Duramente colpita tutta la popolazione civile. In particolare, ci arrivano notizie veramente drammatiche per quanto riguarda i bambini: 30-40 bambini che muoiono ogni giorno sotto le bombe…

    R. – E’ vero che stanno colpendo i centri della vita della città. Colpiscono i mercati, l’università, le scuole e lì è sempre pieno di gente e ci sono anche tanti bambini. Per esempio, una delle bombe che tre giorni fa ha colpito Aleppo è caduta proprio sulla rotatoria di accesso all’Università, in un orario in cui era pieno di gente, di taxi, di bus, di pullman che portano gli studenti, e dunque ha fatto una strage veramente impressionante che ha lasciato anche tanti orfani.

    D. – C’è anche l’emergenza profughi: che cosa si può fare per loro, per sostenerli? O cosa state già facendo?

    R. – Un altro problema grosso, adesso, è la mancanza di gas e di riscaldamento. Questi giorni sono molto freddi e dunque la gente veramente soffre molto il freddo e anche la fame. Noi stiamo cercando di aiutare i profughi dei quali si dice che ad Aleppo siano quasi un milione. Tramite i nostri sacerdoti, tramite il vescovo latino, mons. Giuseppe Nazzaro, abbiamo aperto un sito web in ci si trova il modo di poter aiutare, che si chiama “SOS cristiani in Siria”. Lì ci sono le notizie che danno i nostri Padri, le nostre suore, ma è indicato anche il modo concreto per aiutare. Nel loro piccolo, sono riusciti ad aprire anche qualche piccola possibilità di lavoro, perché c’è tanto da fare: riescono a dare un piccolo compenso alle persone che hanno famiglie numerose, che sono rimaste senza lavoro, che veramente patiscono la fame. Dunque, qualsiasi aiuto è benvenuto.

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    "Sos Villaggi dei bambini" compie 50 anni. I nuovi progetti di assistenza

    ◊   Cinquant’anni di attività a favore dei bambini privi di cure familiari o a rischio di perderle. "Sos Villaggi dei Bambini" raggiunge nel 2013 un traguardo importante, preparandosi ad affrontare le nuove sfide a sostegno dell’infanzia e delle famiglie in stato di necessità. Lorenzo Pirovano ha intervistato Elena Cranchi, responsabile comunicazione della Onlus:

    R. – Il nostro grande lavoro, quest’anno, sarà approfittare di questa celebrazione per ricordare l’importanza dell’accoglienza in quello che noi costruiamo, che è un ambiente familiare, come pure l’importanza del lavoro con la famiglia, per riuscire a ricompattarla, e poi evidentemente l’attivazione di una serie di servizi che possono essere di supporto alle famiglie per prevenire quello che chiamiamo l’abbandono, o comunque una situazione che poi porta per forze di cose alla rottura di equilibri.

    D. – Quali sono gli obiettivi che avete raggiunto in questi 50 anni?

    R. – Abbiamo raggiunto traguardi molto importanti, tra cui partecipare all’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. Poi, abbiamo ovviamente creato nuovi servizi a sostegno dell’infanzia e delle famiglie. I numeri che abbiamo toccato sono numeri importanti: ci prendiamo cura di più di 628 tra bambini e ragazzi e il nostro successo, evidentemente, diventa significativo nel momento in cui i bambini e i ragazzi riescono a tornare a vivere con la loro famiglia. Il cuore dell’associazione è dare accoglienza ai bambini e ai ragazzi privi di cure familiari, e lavorare con i genitori dei bambini.

    D. – Come sono cambiate le esigenze e le difficoltà delle famiglie?

    R. – Sicuramente, la crisi economica può amplificare o esasperare un disagio familiare. In Italia abbiamo notato come effettivamente uno stato di povertà, che costringe molte famiglie a dover necessariamente ritrovare degli equilibri o a dover recuperare una fiducia che magari è già in bilico per altre ragioni, i problemi vengono sicuramente amplificati. Tutto questo, poi, accanto ad un welfare che sta via via scomparendo. Mentre prima avevamo tantissime richieste che venivano mosse dai Servizi sociali per accogliere i bambini nei villaggi Sos, oggi le richieste da parte dei servizi sociali sono più basse: mancano effettivamente i soldi che possano permettere alle strutture pubbliche e di conseguenza al privato sociale di accogliere i bambini.

    D. – Quali sono i progetti futuri di "Sos Villaggi dei Bambini"?

    R. – Aumentare i servizi, continuare a fare il rafforzamento familiare, sensibilizzare, mantenere in vita tutti i servizi che fino ad oggi noi abbiamo dato al territorio. Sicuramente, a Torino, oltre ad occuparci dell’asilo nido, apriremo anche il nostro intervento sulle comunità e sui centri di accoglienza per donne vittime di violenza, con i loro bambini.

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    Gli immigrati piccoli imprenditori, scelte per sfidare precarietà e crisi

    ◊   4,2 milioni sono il totale degli stranieri in Italia nel 2011, secondo l’Istat. E più di 314 mila sono quelli che decidono di aprire un negozio o una partita iva per mettersi in proprio e sfidare così la perdita di lavoro. Ma con la crisi economica molti di loro non ce la fanno più e decidono così di tornare nel Paese d’origine o emigrare in Europa del nord: sono 800 mila, secondo l’Istituto di statistica, in testa romeni e cinesi. Maria Cristina Montagnaro ha parlato di questo nuovo fenomeno con José Luis Rhy-Sausi, direttore del Cespi, il Centro studi di politica internazionale:

    R. - Penso si tratti effettivamente di due fenomeni. Da una parte, certamente, c’è l’impatto della crisi, come del resto per tutti i piccoli imprenditori in Italia e in molti Paesi europei. Ma, dall’altra, va considerato anche l’attrattiva che alcuni di questi Paesi di origine del migrante stanno mostrando per favorire investimenti, per favorire iniziative di tipo economico. E va considerato che anche in alcuni casi, in alcuni Paesi di origine del migrante, esistono opportunità dove l’investimento è più fruttifero.

    D. - Quali sono i settori trainanti dell’imprenditoria immigrata?

    R. - Fondamentalmente, il commercio. Poi, l’imprenditoria è molto forte anche nel settore dell’edilizia. In misura molto minore, questa l’imprenditoria è però pure presente nel settore manifatturiero e altri servizi, come nel commercio alimentare, nella ristorazione, nei call-center e in altri servizi di questo tipo.

    D . – Qual è la dimensione del fenomeno dell’imprenditoria migrante femminile?

    R. – Circa un terzo delle imprese è al femminile. E’ molto forte e soprattutto è in aumento. Il caso più frequente è quello di donne che lavoravano nell’assistenza alle persone e che poi decidono di lavorare in proprio. Quindi, i settori sono comunque il commercio e i servizi alla persona, resi a livello imprenditoriale e non a livello di dipendenza.

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    Gemelli: nuovo reparto di terapia intensiva neonatale non apre, mancano fondi regionali

    ◊   Circa due anni fa, la Regione Lazio ha stanziato due milioni di euro per la realizzazione, presso il Policlinico Gemelli, di un nuovo reparto di terapia intensiva neonatale, con molti posti letto in più rispetto all’attuale. Tuttavia, pur all'avanguardia nel suo genere, il reparto non è ancora operativo, con le apparecchiature che giacciono ancora imballate. A spiegarne il perché è Giovanna Astorino, presidente dell’Associazione "Genitin", che si occupa di sostenere e dare ospitalità alle famiglie di bambini nati prematuramente, intervistata da Eliana Astorri:

    R. – Non è operativo per colpa di una cattiva gestione della Sanità dal punto di vista regionale. Non è sicuramente imputabile al Policlinico Gemelli, che anzi ha fatto di tutto e ha precorso veramente i tempi. Questo reparto non è stato finanziato solo con due milioni di euro, quella è stata la somma che il Policlinico Gemelli ha già speso di tasca sua per costruire il reparto. A mancare sono gli altri finanziamenti che la Regione aveva promesso di dare, non appena il reparto fosse pronto dal punto di vista di gestione. Senza i fondi della Regione non si possono gestire le postazioni di terapia intensiva che annovera un reparto all’avanguardia sicuramente in Italia, se non anche in Europa. Ci sono macchinari che purtroppo, nonostante siano di assoluta eccellenza, oggi come oggi sono impacchettati, messi in un corridoio, inutilizzati e lasciati praticamente all’usura del tempo. E’ uno spreco, una cattiva gestione politica, amministrativa, di un’eccellenza dal punto di vista sanitario.

    D. – L’attuale reparto può ospitare otto bambini?

    R. – Sì, l’attuale reparto può ospitare otto bambini e le assicuro che l'attuale situazione è abbastanza pesante. L'Associazione Genitin nasce da un’esperienza mia personale. Quando mio figlio per la prima volta entrò in ospedale aveva solo 24 settimane e mi fecero firmare un foglio con il quale dovevo prendere atto che se Francesco nasceva quella notte non avrebbe avuto la postazione di terapia intensiva. E così anche la seconda volta, quando rientrai a 30 settimane, accadde la stessa cosa. Il che significava che mio figlio non avrebbe avuto possibilità di sopravvivere, se non fosse stato attaccato subito alla macchina.

    D. – E allora pensa che ci sia qualcosa che si possa fare per far partire questo reparto?

    R. – Sì, basterebbe un minimo di volontà. Si potrebbe iniziare con fondi di entità minore, con due o tre milioni di euro, anziché quelli che erano stati previsti – la somma doveva essere di 10-12 milioni – per aprire con un numero di posti pur minore rispetto a quanto previsto per legge, in base al rapporto assistenza-bambini. Comunque, pur con un rapporto minore, il reparto permetterebbe di aiutare, di tutelare quello che è un diritto di queste creature e dei loro genitori.

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    Rapporto tra liturgia e spazi sacri nel libro "Ierotopi cristiani, le chiese secondo il magistero"

    ◊   Non sempre l’architettura o l’arredo di una chiesa rispondono appieno alle indicazioni della Chiesa. Su questo aspetto ha indagato – in un saggio dal titolo "Ierotopi cristiani, le chiese secondo il magistero”, edito dalla Libreria Editrice Vaticana – mons. Tiziano Ghirelli, direttore dell’Ufficio diocesano beni culturali e nuova edilizia del Culto e del Museo Diocesano di Reggio Emilia, nonché membro del Comitato scientifico dell’Osservatorio Nazionale sull’Architettura dei Luoghi per la Liturgia. Fabio Colagrande lo ha intervistato:

    R. – Nel muovermi sul territorio della mia diocesi, ma anche nazionale e non solo, mi sono trovato tante volte in certe soluzioni che poco hanno a che fare con la liturgia cattolica e mi sono chiesto: perché questo avviene? Per chi su mandato del proprio vescovo opera in ambito dei beni culturali, che hanno una destinazione soprattutto culturale, è naturale interrogarsi se altrove – in altri Paesi del mondo – si vivano gli stessi problemi e le stesse condizioni, e come eventualmente siano affrontate, risolte le diverse problematiche. Di qui, una verifica su cosa gli episcopati delle diverse nazioni hanno prodotto negli ultimi decenni in ambito di luoghi per la celebrazione liturgica: ecco perché "ierotopi".

    D. – Possiamo cercare in sintesi di dire quali siano state le novità conciliari in campo liturgico e quindi anche per quanto riguarda l’architettura sacra?

    R. – La vera novità credo sia data dalla nuova impostazione anche ecclesiologica, dello spazio architettonico per la liturgia, cioè il popolo di Dio radunato, l’assemblea liturgica come soggetto celebrante. Che il sacramento del Battesimo rendesse tutti i fedeli "sacerdoti", ovvero "atti al culto", è una verità da sempre affermata. Ma il Vaticano II lo ha sottolineato con una ridondanza – credo – significativa, dando di conseguenza all’assemblea liturgica, gerarchicamente ordinata, un ruolo di rinnovata forza come non si verificava, forse, da molti secoli in ambito cattolico.

    D. – Eppure, lei lo sottolinea, è mancata forse una comprensione, una traduzione di questi dettami del Concilio…

    R. – La sensazione è spesso quella di una grande approssimazione nella disposizione dei luoghi per il culto e, parallelamente, di una certa superficialità e forse anche di dilettantismo. Lo si nota in tanta sciatteria, userei proprio ancora il termine approssimazione. Paolo VI parlava di "paccottiglia": lo si nota a volte anche nella scarsa qualità della musica, dei canti per la liturgia. Lo si nota nella poca emozione che si può trarre da tante celebrazioni liturgiche. Le chiese sono un’anticipazione visibile della bellezza del Paradiso. Il nostro incedere verso l’altare è un camminare verso la parusia, il nostro canto dovrebbe essere l’eco del canto degli angeli. Ma quante volte riusciamo a fare questa esperienza sensibile nelle celebrazioni alle quali partecipiamo? Di qui, anche la forte tentazione delle giovani generazioni di fedeli di cercare quanto istintivamente sentono mancare in consolanti e nostalgiche riproposizioni di linguaggi del passato, forse. Ma in tal modo, non solo il problema non è affrontato, ma addirittura – mi sentirei di dire – dissacrato in un rifiuto del presente che è quello che il Signore stesso ci da da vivere.

    D. – Manca una buona formazione liturgica?

    R. – La riforma liturgica, probabilmente, è stata colta solo nei suoi aspetti formali, superficiali, un po’ esterni. Probabilmente, andrebbe rivisto il nostro modo di intendere la liturgia che è l’atto fondamentale che ci fa cristiani, di rivolgerci al Signore sapendo che le nostre preghiere arrivano fino a Lui per il tramite del Cristo.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Usa. Oggi il giuramento privato di Obama, domani la cerimonia pubblica

    ◊   Secondo quanto previsto dalla Costituzione americana, inizia il 20 gennaio, cioè oggi, il secondo mandato della durata di quattro anni del presidente Barack Obama. Il presidente, quindi, giurerà alle 12 ora locale, nella "Blue Room" della Casa Bianca, di fronte al giudice capo della Corte Suprema, ma essendo oggi domenica, la cerimonia avverrà in forma privata per ripetersi poi domani dinanzi alla facciata del Campidoglio in forma pubblica, alla quale si attendono ben 800 mila persone – meno della metà, comunque, di quelle intervenute in occasione del suo primo giuramento: una folla oceanica stimata in due milioni di persone. Per la cerimonia di oggi, Obama ha scelto di utilizzare una Bibbia della famiglia della moglie Michelle, mentre per domani ne saranno utilizzate due: quella che fu del presidente Lincoln e già usata quattro anni fa, e quella che Martin Luther King portava sempre con sé in viaggio. Anche il vicepresidente Joe Biden, in conformità a quanto prevede il protocollo quando la data del 20 gennaio cade di domenica, giurerà oggi in una cerimonia separata che avrà luogo al Naval Observatory. (R.B.)

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    Usa: 26-27 gennaio giornate della colletta annuale per la Chiesa in America Latina

    ◊   Si svolgerà il 26 e 27 gennaio prossimi la tradizionale colletta annuale promossa dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) per la Chiesa in America Latina (Cla). La raccolta, che si tiene ormai da 47 anni, serve a finanziare progetti di evangelizzazione, formazione, catechesi e programmi di discernimento vocazionale promossi dalle diocesi sudamericane. Un impegno che ha costantemente portato consistenti frutti in territori caratterizzati, per la loro vastità, dalla necessità di ingenti risorse pastorali. Al centro della campagna di quest’anno, vi sarà la pastorale giovanile. In vista della colletta, il vescovo ausiliare di Seattle, Eusebio Elizondo, presidente del Sottocomitato per l’America Latina della Usccb si è appellato in particolare alla generosità dei fedeli ispanici negli Stati Uniti. Per loro, afferma, questa “iniziativa è un’opportunità per mostrare solidarietà con la Chiesa dei loro Paesi di origine e per sostenere i giovani di tutto il continente”. Tra i destinatari dei fondi raccolti con la colletta, ha precisato il presule, il Centro de Capacitaçâo da Juventude in Brasile e diversi programmi di pastorale giovanile. Nel corso del 2012, la raccolta ha consentito di finanziare 417 progetti per un totale di 6,5 milioni di dollari. Il Sottocomitato per l’America Latina ha anche assegnato dei fondi speciali per la ricostruzione delle chiese e di altre strutture religiose danneggiate da calamità naturali, come ad esempio i terremoti ad Haiti e in Cile nel 2010 e il recente uragano Sandy che, oltre agli Stati Uniti, ha travolto anche in questo caso Haiti e Cuba. (L.Z.)

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    Egitto: bambini lavoratori nelle cave di pietra calcarea

    ◊   La regione di al-Minya si estende sulle rive orientali e occidentali del Nilo, in Egitto. Si tratta di una regione dove non c’è lavoro e la maggior parte della popolazione vive in condizioni di povertà. Quasi tutti, compresi i bambini, lavorano nelle cave di pietra calcarea. Nel Paese africano – riferisce l'agenzia Fides – il lavoro minorile è illegale, ma quando mancano i soldi le famiglie sono costrette a mandare i propri figli a lavorare nelle cave per poter sopravvivere. Le condizioni di lavoro sono estremamente pericolose, non ci sono misure di sicurezza e i lavoratori non hanno diritti. I piccoli lavorano sei giorni alla settimana, dalle 5 della mattina, per circa 10 ore al giorno con una paga che dipende da quanto producono. Con il supporto dell’Associazione internazionale "Christian Aids", 15 mila dei 25 mila lavoratori stanno ricevendo formazione sui loro diritti, sulla sicurezza e sulla salute sul lavoro. Inoltre, per evitare che i bambini lavorino, l’Associazione sta concedendo microcrediti alle donne, affinchè possano aprire una attività commerciale e aumentare il reddito mensile. (R.P.)

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    Grecia. Esplode ordigno in centro commerciale ad Atene, 2 feriti

    ◊   Un ordigno è esploso oggi all’interno di un centro commerciale nella parte nord di Atene, in Grecia, ferendo lievemente due guardie giurate in servizio. In base a quanto riferito dalle agenzie, l'ordigno è stato lasciato in un cestino della spazzatura vicino a una filiale della Banca nazionale in un grande centro commerciale nel sobborgo di Maroussi, ha riferito la polizia. Personale della Sicurezza aveva già fatto evacuare l'edificio dopo essere stata avvertita dalla polizia di due telefonate minatorie a un giornale poco prima dell'esplosione. Lo scoppio di oggi - affermano fonti di stampa - fa seguito a una serie di attacchi contro organizzazioni, giornalisti e figure politiche avvenuto nelle ultime settimane, alcune delle quali rivendicate da gruppi in collera per la crisi finanziaria della Grecia. (R.B.)

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    Madagascar: cibo in cambio di lavoro per mantenere le foreste e aiutare la popolazione

    ◊   Uno dei migliori ecosistemi del mondo è quello che comprende le aride foreste del sud del Madagascar. Purtroppo, però, queste sono sempre più a rischio dato che gli abitanti della regione, aggravata dalla insicurezza alimentare a causa della sicittà, stanno deforestando l’intera zona. Infatti – riporta l'agenzia Fides – tagliano gli alberi per dare spazio alla coltivazione e alla produzione di legna da ardere. Per cercare di limitare questo rapido processo di deforestazione e per fare fronte all’insicurezza alimentare cronica, il Programma alimentare mondiale (Pam), insieme con il World Wildlife Fund (Wwf), sta provvedendo a piantare 1.000 ettari di alberi attraverso un progetto definito “cibo in cambio di lavoro”, da cui trarranno beneficio 60 mila persone. Gli abitanti di alcune piccole città hanno accolto favorevolmente questa proposta, consapevoli del fatto che una volta tagliati gli alberi ci sarebbero voluti altri 15 anni per la ricrescita e nessun giovamento per l’ambiente e per la loro sicurezza alimentare. Secondo le statistiche del Pam, da novembre 2012 circa 676 mila malgasci sono a rischio. Il progetto offre 2.4 kg di mais e fagioli in cambio di 5 ore di lavoro di rimboschimento. Tutti quelli che hanno aderito stanno piantando un tipo di albero utile sia per la costruzione che per la produzione di carbone. Nel villaggio di Anjanahasoa, vicino al Parco nazionale Andohahela, gli abitanti si sono organizzati per rimboschire la foresta andata distrutta da un incendio. Ogni famiglia pianterà 30 alberelli all’anno. A causa della deforestazione, la regione è diventata più secca e il terreno meno fertile. Anche se sarà difficile arrestare il fenomeno, il progetto del Pam tende a rallentarlo e a proteggere i mezzi di sussistenza da esso minacciati. Prima della crisi politica del 2009, che ha danneggiato l’economia malgascia, molti agricoltori della regione si erano trasferiti in città per cercare lavoro. Purtroppo, sono ancora tanti i disoccupati. (R.P.)

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    Maltempo. Europa nella morsa del gelo, almeno 9 i morti

    ◊   L’Europa nella morsa del gelo: almeno 9 persone sono morte negli ultimi giorni a causa dell’eccezionale ondata di freddo e neve che sta colpendo in particolare la parte occidentale del continente. Sei le vittime in Francia, la maggior parte nel dipartimento di Lozere, ai piedi del Massiccio centrale, ma è allarme in altri 23 dipartimenti dove si attendono nevicate copiose. Traffico aereo in tilt, tanto che l’aviazione civile francese ha chiesto alle compagnie di ridurre del 40% il numero dei voli sugli scali parigini per la giornata di oggi. Due le vittime in Spagna, a Cartagena, travolte e uccise dal crollo di un muretto nel porto, mentre un morto e due feriti si contano anche in Portogallo, dove pioggia e vento continuano a imperversare causando disagi nei trasporti stradali e nella distribuzione dell’energia elettrica: un anziano è stato scaraventato via dal vento ad Abrantes e due giovani sono rimasti coinvolti nel crollo di un camino ad Agualva. Problemi al traffico aereo e ferroviario anche in Gran Bretagna: nell’Irlanda del Nord diverse abitazioni sono rimaste senza corrente, mentre in Scozia quattro alpinisti sono morti e uno è rimasto ferito in stato di shock, a causa di una valanga mentre scalavano il Bidean nam Bian. (R.B.)

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    Colombia. Mons. Epalza Quintero: cause della violenza siano aiutando famiglie e scuole

    ◊   Il vescovo della diocesi colombiana di Buenaventura, mons. Héctor Epalza Quintero, ha invitato le autorità a risolvere il problema della violenza che affligge il Paese non usando palliativi, ma con un "investimento sociale". I ripetuti atti di violenza causano preoccupazione, paura e terrore nella popolazione di Buenaventura, e nonostante negli ultimi giorni siano arrivati altri elementi delle forze dell'ordine, il vescovo sottolinea che ciò non è sufficiente, perché in questa regione continuano estorsioni, minacce e scontri, con luoghi vietati perfino alla polizia. “La Chiesa lavora per l'annuncio e la denuncia, per poter vivere in pace", ha detto il presule, secondo quanto riporta la nota inviata all’agenzia Fides dalla Conferenza episcopale della Colombia. Mons. Epalza Quintero esorta quindi la popolazione di Buenaventura a difendere la vita, ricordando che “questo compito inizia in famiglia, che è la prima scuola, e dove non deve esserci la violenza. Dobbiamo essere operatori di vita, rispettosi delle persone, delle diversità e dell'ambiente”. Dall'inizio del 2013 solo a Buenaventura ci sono già stati 23 morti, di cui 10 nel massacro perpetrato il 12 gennaio scorso in una zona rurale. Secondo dati raccolti da Fides, è ancora aperta la lotta tra le bande criminali per il controllo di Buenaventura, il principale porto della Colombia, considerato strategico dai narcotrafficanti. (R.P.)

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    Portogallo: messaggio dei vescovi per la Settimana dei consacrati

    ◊   “Pellegrini nella fede, apostoli nell’evangelizzazione del mondo”: si intitola così il messaggio che la Commissione episcopale portoghese per le vocazioni ha pubblicato in occasione della Settimana dei consacrati, in programma dal 27 gennaio al 3 febbraio. Suddiviso in tre parti, il documento descrive i consacrati come “pellegrini della fede”, “apostoli della forza e della bellezza della fede” e persone “spinte dall’amore di Cristo ad evangelizzare”. “Tra tutti i cristiani – si legge nel messaggio – i consacrati vivono esplicitamente la totalità della vita come un pellegrinaggio della fede, un segno della trasformazione operata dal battesimo, una testimonianza di grazia della comunione con Dio”. Di qui, la sottolineatura forte del fatto che “la vera fede è una risposta continua ad un dono ricevuto, che implica tutte le dimensioni della vita e che deve crescere sempre”. In quest’ottica, i vescovi portoghesi ricordano quanto scritto da Benedetto XVI nella Lettera apostolica Porta Fidei, ovvero che “i consacrati non possono considerare la fede come un presupposto ovvio della loro vita quotidiana”, poiché un simile atteggiamento li porterebbe a “decentrarsi da Dio e ad investire così tanto nelle opere umane da trascurare l’opera di Dio, che consiste nel credere in Lui. Veri catechisti aperti ai fedeli, attraverso i quali si può riscoprire una fede professata, celebrata, vissuta e pregata – scrive ancora la Chiesa di Lisbona – i consacrati sono, nella Chiesa, coloro nei quali si spera di incontrare la forma più visibile di testimonianza evangelica”, poiché “la forza e la bellezza della fede si possono vedere solo quando quest’ultima viene vissuta radicalmente nel Vangelo”. Per questo, i presuli lusofoni chiedono ai consacrati di “addentrarsi profondamente nel mistero della fede, unica ragion d’essere della loro vocazione e della loro vita”. Il messaggio si sofferma quindi sulla necessità di evangelizzare il mondo, compito che non è esclusivo dei consacrati ma riguarda tutti i cristiani: “Si può annunciare la Buona Novella – si legge nel documento – con la preghiera, la catechesi, l’insegnamento, la pratica della carità, la missio ad gentes”. Tuttavia, “più che le parole – evidenzia la Conferenza episcopale portoghese – il veicolo principale di trasmissione della fede è la testimonianza, poiché il contatto con i veri credenti è il percorso migliore per giungere all’incontro personale con Cristo”. Infine, il documento ricorda che “il Portogallo deve molto della sua identità all’azione incessante dei consacrati che hanno impregnato con il Vangelo la storia del Paese”, contribuendo “alla diffusione della fede cristiana, al progresso dei valori umani fondamentali, alla crescita spirituale e allo sviluppo culturale” dell’intera nazione. Ed è per questo che la Chiesa portoghese ringrazia i consacrati per il loro operato e prega affinché siano “cristiani felici di credere e piedi di entusiasmo nel comunicare la fede”. (I.P.)

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    Russia. Morti 4 lavoratori in miniera di carbone della Siberia occidentale

    ◊   Almeno 4 minatori sono morti – ma altri 4 risultano dispersi – a causa delle esalazioni di metano fuoriuscite dalla miniera di carbone di Kuznetsk Basin, nella Siberia occidentale, Russia, dove lavoravano. Mentre 69 di loro sono riusciti a fuggire, sono state interrotte le ricerche di coloro i quali mancano all’appello a causa dell’innalzarsi del livello di metano nell’aria della miniera che è una delle più ricche di carbone al mondo. Sul livello di sicurezza delle miniere russe, molto basso, la denuncia era arrivata dallo stesso presidente, Vladimir Putin, che già lo scorso anno aveva annunciato investimenti miliardari nel settore e aveva invitato gli operatori a migliorarne le condizioni. (R.B.)

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    Nigeria. Almeno 15 cadaveri scoperti in un fiume nel sudest

    ◊   La polizia nigeriana ha reso noto oggi che alcuni pescatori all’opera in un fiume dello Stato sudorientale di Anambra hanno avvistato ieri una serie di corpi maschili galleggianti nell’acqua. I cadaveri sarebbero almeno 15, fra 30 e 40 secondo alcuni testimoni, ma ancora non è stato fornito alcun bilancio ufficiale. Le indagini si stanno orientando sull’origine di questi cadaveri, non essendosi registrate violenze nell’area di recente. Al contrario, teatro spesso di azioni sanguinose è il nord della Nigeria: ieri quattro persone che erano al seguito del leader religioso musulmano Alhaji Ado Bayero sono rimaste uccise in un attentato contro il convoglio in cui viaggiava, a Kano, l’emiro, rimasto illeso. (R.B.)

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    Spagna: consegna del Premio Bravo per le comunicazioni sociali. Caritas locale tra i vincitori

    ◊   “Riconoscere, da parte della Chiesa, il lavoro meritorio di tutti i professionisti della comunicazione nei diversi mass media che si sono distinti nel servizio alla dignità dell’uomo, dei diritti umani e dei valori evangelici”: è questa la motivazione con cui la Commissione episcopale per le Comunicazioni sociali della Chiesa spagnola assegna, ogni anno, il Premio Bravo. In particolare, per il 2013, i vescovi hanno deciso di assegnare un premio speciale alla Caritas spagnola. per la sezione ‘musica’, i vincitori sono risultati mons. Pablo Colino e Valentí Miserach, rispettivamente maestro di Cappella emerito della Basilica di San Pietro e maestro del coro di Santa Maria Maggiore a Roma. Interessante, inoltre, il fatto che la giuria – composta da vescovi, giornalisti e docenti universitari – abbia deciso di premiare il programma religioso di Cope Teruel, emittente della Conferenza episcopale locale, realizzato da giovani e adolescenti in ambito diocesano. La cerimonia di consegna del Premio Bravo si terrà il 23 gennaio, alle ore 12, a Madrid, presso la sede della Cee. (I.P.)

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    Festival del cinema panafricano Fespaco: molti film e giuria di sole donne

    ◊   Un'edizione "faraonica" con 169 film di 35 Paesi, di cui 101 in competizione in sette categorie, e ben 19 lungometraggi: così la stampa africana e internazionale ha annunciato la selezione ufficiale della 23.ma edizione del Festival panafricano del cinema di Ouagadougou (Fespaco) che si terrà dal 23 febbraio al 2 marzo nella capitale del Burkina Faso. Tema centrale della biennale - riferisce l'agenzia Misna - sarà "il cinema africano e la politica pubblica in Africa", dibattuto nel corso di 27 colloqui che metteranno a confronto dirigenti politici e professionisti del cinema. La limitata produzione e distribuzione di film africani - meno del 3% sul mercato internazionale - viene imputata dagli operatori del settore all'assenza di politiche nazionali. Ma quest'anno sul Fespaco si allunga l'ombra del conflitto in corso nel confinante Mali. "Esprimiamo tutta la nostra solidarietà con il popolo maliano. Faremo in modo che i registi maliani possano essere presenti. L'Africa ha una cultura di tolleranza. E' l'unica risposta che il Fespaco può dare all'integrismo religioso", ha dichiarato Michel Ouédraogo, delegato generale del Festival nato nel 1969. Dal canto loro, le autorità burkinabè hanno garantito che "la sicurezza del Fespaco sarà pienamente assicurata. In passato, abbiamo già dovuto far fronte a contesti difficili, tra cui tre colpi di Stato", ha detto Joseph Paré, ambasciatore del Burkina Faso in Francia. Al di là delle incognite, la 23.ma edizione è quella delle novità, a cominciare dalla giuria del Festival, esclusivamente femminile per sottolineare il ruolo cruciale delle donne nella produzione cinematografica e televisiva del continente, ma soprattutto nella vita quotidiana. "E' semplicemente una giustizia che abbiamo voluto rendere alla donna cineasta fortemente attiva nel cinema africano", ha spiegato Ouédraogo. Nonostante la crisi economica e finanziaria globale, al Fespaco verrà anche assegnato un premio speciale per "La pace e la sicurezza" sostenuto dall'Unione Europea e dai Paesi della zona Africa Caraibi Pacifico (Acp), nell'ambito della campagna dell'Unione Africana "Agiamo per la pace". Saranno ricompensate, con premi che ammontano a circa 12 mila euro, le migliori produzioni cinematografiche africane che "promuovono una cultura di pace, raccontano di iniziative e meccanismi tradizionali di prevenzione, gestione e risoluzione dei conflitti". Inoltre, Bruxelles ha annunciato un aumento del suo contributo per questa edizione e per la prossima, nel 2015, con un finanziamento di 1,4 milioni di euro. Ospite d'onore a Ouagadougou sarà il Gabon, "che nel 2012 ha celebrato i 50 anni del suo cinema, una data coincisa con le indipendenze africane per un Paese che ha segnato la nascita del cinema continentale", ha affermato Ardiouma Soma, delegato artistico e responsabile della programmazione del Fespaco, promettendo "un viaggio nel cuore dell'Africa, delle sulle contraddizioni, di un'Africa che ride, piange, cambia e fa fronte a difficoltà". Tra i 19 lungometraggi in lizza per il prestigioso Stallone d'oro di Yennenga, c'è molta attesa per l'opera prima di Ibrahima Touré, "Toiles d'araignée", adattamento del romanzo scritto in carcere da Ibrahima Ly mentre il Mali era governato da una giunta militare. Vincitore dell'edizione 2011, il Marocco sarà rappresentato da tre registi e la vicina Algeria da due. Ma la produzione cinematografica dell'Africa lusofona potrebbe farsi notare grazie a due film selezionati per l'Angola, uno per il Mozambico e un altro per la Guinea Bissau. Il Paese organizzatore avrà soltanto un lungometraggio in competizione e il Senegal, altro peso massimo del cinema africano, due. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 20

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.