Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 19/01/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI a Cor Unum: dalla Chiesa “grande sì” alla dignità umana, no a teoria del “gender”
  • Incoraggiamento del Papa al nuovo Patriarca copto cattolico, che dice: cresce la paura dei cristiani in Egitto
  • Il Papa nomina mons. Gudziak vescovo dell'Eparchia per gli ucraini di rito bizantino in Francia
  • Nomine episcopali in Gabon e Polonia
  • Il cardinale Vegliò: un miliardo di migranti nel mondo, riconoscerne dignità e diritti
  • Mons. Toso: il cammino della pace a cinquant’anni dalla "Pacem in terris"
  • Settimana per l’unità dei cristiani. Padre Puglisi: le divisioni non danno credibilità al Vangelo
  • Contro le armi: editoriale di padre Lombardi
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Algeria: prosegue l'assedio, ribelli minacciano di farsi saltare in aria con gli ostaggi
  • Siria: 60 mila morti dall'inizio del conflitto. L'Onu chiede l'intervento dell'Aja
  • Stop al mercurio: 140 Paesi firmano l'accordo per ridurne l'utilizzo
  • Hein (Cir): nuovo parlamento migliori la legge sul diritto d'asilo per i rifugiati
  • Fisco, natalità, scuola: in vista delle elezioni il Forum delle Famiglie si rivolge alla politica
  • Scout emiliani in azione per far ripartire la speranza nelle zone terremotate
  • Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Alto Egitto: migliaia di estremisti islamici attaccano un villaggio cristiano
  • Centrafrica: premier al lavoro per formare il governo di unità nazionale
  • Africa centrale: all'Assemblea dei vescovi Anno della fede e violenze in Congo
  • Mali: i soldati francesi diventeranno 2.500
  • Francia-Germania: dichiarazione congiunta dei vescovi per i 50 anni del Trattato dell'Eliseo
  • Serbia: iniziate le celebrazioni per il 1700.mo anniversario dell'Editto di Milano
  • Russia. Vigilia dell'Epifania ortodossa: il patriarca Kirill benedice le acque
  • Myanmar: appello dei leader cristiani per la fine degli scontri nel Kachin
  • Pakistan: l’ambasciatore Rehman che difese Asia Bibi sotto processo per blasfemia
  • Pakistan: infarto in carcere per un cristiano condannato a morte per blasfemia
  • Kenya: i vescovi chiedono pace e giustizia a Tana River
  • Costa d'Avorio: 95.ma Plenaria, i vescovi celebrano la memoria del nunzio mons. Madtha
  • Cina: la formazione per affrontare le sfide al sacerdozio
  • Giornata di preghiera per la pace in Terra Santa in tremila città del mondo
  • Card. Bagnasco: "tagliare" la cultura è estremamente dannoso
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI a Cor Unum: dalla Chiesa “grande sì” alla dignità umana, no a teoria del “gender”

    ◊   La Chiesa ribadisce il suo “grande sì” alla dignità umana e al matrimonio fedele tra uomo e donna, rifiutando la filosofia del gender. Lo ha riaffermato Benedetto XVI al termine dell’udienza concessa stamattina ai partecipanti alla plenaria di Cor Unum, il dicastero che amministra la carità del Papa. La testimonianza dell’amore cristiano, ha aggiunto, “può aprire la porta della fede a tante persone”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La deriva segue la scia dell’uomo ipertecnologico, quello per il quale “ciò che è tecnicamente possibile diventa moralmente lecito”. La giusta rotta è invece nell’uomo capace di riconoscere e difendere “l’inalienabile dignità” di ogni persona, non lasciandosi incantare dal “presunto umanesimo” di un certo progresso. È molto netto il Papa nell’indicare la scelta di campo cristiana in un’epoca di pensieri deboli, che spesso diventano ben più forti in quel tipo d’uomo che – afferma – vuole sentirsi “sciolto da ogni legame e da ogni costituzione naturale”. Un uomo dunque “privato della sua anima” e quindi sciolto da una “relazione personale” con Dio. Ma la “visione cristiana”, ha ripetuto Benedetto XVI, “è un grande sì alla dignità della persona”, considerata “singolare e irripetibile” e “ordinata alla relazione e alla socialità”:

    “Perciò la Chiesa ribadisce il suo grande sì alla dignità e bellezza del matrimonio come espressione di fedele e feconda alleanza tra uomo e donna, e il no a filosofie come quella del gender si motiva per il fatto che la reciprocità tra maschile e femminile è espressione della bellezza della natura voluta dal Creatore”.

    Già la storia passata ha mostrato che l’uomo senza rapporto con Dio è stato autore di terribili “idolatrie” – il “culto della nazione, della razza, della classe sociale” – che hanno portato “disuguaglianze e miseria”. E anche oggi, ha messo in guardia, esiste su altri piani la tentazione dell’idolatria:

    “Mi riferisco soprattutto ad una tragica riduzione antropologica che ripropone l’antico materialismo edonista, a cui si aggiunge però un ‘prometeismo tecnologico’. Dal connubio tra una visione materialistica dell’uomo e il grande sviluppo della tecnologia emerge un’antropologia nel suo fondo atea. Essa presuppone che l’uomo si riduca a funzioni autonome, la mente al cervello, la storia umana ad un destino di autorealizzazione”.

    Il Papa ha fatto appello ai cristiani e a ogni persona di buona volontà perché oppongano fede e acume a queste tendenze, che spesso – ha osservato con realismo – indossano l’abito dei “buoni sentimenti”, o si presentano all’insegna di un presunto progresso, o di presunti diritti, o di un presunto umanesimo”:

    “Di fronte a questa riduzione antropologica, quale compito spetta ad ogni cristiano, e in particolare a voi, impegnati in attività caritative, e dunque in rapporto diretto con tanti altri attori sociali? Certamente dobbiamo esercitare una vigilanza critica e, a volte, ricusare finanziamenti e collaborazioni che, direttamente o indirettamente, favoriscano azioni o progetti in contrasto con l’antropologia cristiana”.

    E sottolineando come proprio l’attività solidale portata avanti da Cor Unum possa “aprire la porta della fede a tante persone”, Benedetto XVI aveva indicato:

    “Il cristiano, in particolare chi opera negli organismi di carità, deve lasciarsi orientare dai principi della fede, mediante la quale noi aderiamo al ‘punto di vista di Dio’, al suo progetto su di noi. Questo nuovo sguardo sul mondo e sull’uomo offerto dalla fede fornisce anche il corretto criterio di valutazione delle espressioni di carità, nel contesto attuale”.

    inizio pagina

    Incoraggiamento del Papa al nuovo Patriarca copto cattolico, che dice: cresce la paura dei cristiani in Egitto

    ◊   “Un evento importante per tutta la Chiesa”: così Benedetto XVI definisce l’elezione del Patriarca di Alessandria dei Copti, Sua Beatitudine Isaac Ibrahim Sidrak, nella Lettera apostolica con cui ieri ha accolto la sua richiesta di “Ecclesiastica communio”. Il nuovo Patriarca, nato 57 anni fa a Beni-Chokeir in Egitto, è stato canonicamente eletto il 15 gennaio 2013 al Cairo dal Sinodo della Chiesa copta cattolica. Il servizio di Sergio Centofanti:

    “Sono sicuro – scrive il Papa al Patriarca - che con la forza di Cristo, Vincitore del male e della morte con la sua Risurrezione, e con la collaborazione dei Padri del vostro Sinodo patriarcale, in comunione con il Collegio episcopale, voi avrete l’energia per guidare la Chiesa copta”. “Possa il Signore – è la preghiera del Papa - assisterla nel suo ministero di ‘Padre e Capo’ per annunciare la Parola di Dio, perché sia vissuta e celebrata con devozione secondo le antiche tradizioni spirituali e liturgiche della Chiesa copta! Che tutti i vostri fedeli trovino conforto nella sollecitudine paterna del loro nuovo Patriarca!”. Benedetto XVI rivolge infine il suo saluto fraterno al predecessore dell’attuale Patriarca, il cardinale Antonios Naguib, e ai membri del Sinodo della Chiesa Patriarcale.

    Il Patriarca Ibrahim Isaac Sidrak, intervistato dall’Agenzia Fides, parla delle inquietudini dei cristiani in Egitto: “C'è incertezza, c'è paura – afferma - tutti si chiedono: che sarà di noi, domani? Forse oggi il nostro primo compito è rassicurare, riconciliare. La parola chiave è proprio riconciliazione. Cioè favorire tutto ciò che riflette la pace e l'amore di Cristo”. Il nuovo Patriarca copto cattolico fa grande affidamento sulle nuove prospettive di collaborazione che sembrano aprirsi con la Chiesa copta ortodossa. “La scelta di Tawadros come nuovo Papa dei copti ortodossi” – sottolinea - “è un segno forte che il Signore ci ha dato per invitare i cristiani all'unità. I suoi primi gesti, le sue visite, la sua sensibilità spirituale, suscitano grande speranza” e “questo ci aiuterà a affrontare insieme la situazione confusa che abbiamo davanti”. Il nuovo Patriarca non concorda con le letture che descrivono l'Egitto come un Paese ormai invivibile per i cristiani, ma registra le influenze negative importate dall'Arabia e dai Paesi del Golfo, che rischiano di alterare il volto tradizionale dell'Islam egiziano. “Di queste infiltrazioni” – osserva - “hanno paura non solo i cristiani, ma anche tanti musulmani. Conforta vedere che tanti giovani e tutte le persone con retto giudizio stiano reagendo davanti a tutto questo”. A titolo di esempio, racconta ciò che gli è capitato a Natale: “Quest'anno alcuni predicatori islamisti avevano detto che è peccato fare gli auguri ai cristiani in occasione della solennità natalizia. Io immaginavo che dopo quell'avvertimento, nessun musulmano sarebbe venuto a farci le tradizionali visite di omaggio. E invece ne sono venuti più che negli anni scorsi. Gruppi di giovani, famiglie, associazioni islamiche, si sono presentati perfino alla Messa di Natale. Volevano far vedere che quella era la loro risposta”.

    Secondo il nuovo Patriarca copto cattolico, nell'Egitto degli ultimi anni la tentazione settaria ha rischiato di contagiare anche i cristiani, spingendoli a volte a crearsi un mondo parallelo chiuso in se stesso: “Penso alla scelta di creare circoli sportivi 'per cristiani' nelle strutture ecclesiastiche. O a certi leader cristiani che hanno ammonito di non avere contatti con i musulmani, perché poteva essere pericoloso. Ma in questo modo - fa notare - “si perde la libertà e l'apertura che è propria dei discepoli di Cristo, i quali non hanno paura di perdere la fede per colpa degli altri. Il mio motto come vescovo di Minya era la frase di San Paolo: Dove c'è lo spirito del Signore c'è libertà”.

    inizio pagina

    Il Papa nomina mons. Gudziak vescovo dell'Eparchia per gli ucraini di rito bizantino in Francia

    ◊   Il Papa ha elevato l’Esarcato apostolico per i fedeli ucraini di rito bizantino residenti in Francia al rango di Eparchia, assegnando alla nuova Circoscrizione il titolo di “Saint Wladimir-Le-Grand de Paris des Byzantins-Ukrainiens” ed ha nominato primo vescovo eparchiale l’attuale esarca, mons. Borys Gudziak, trasferendolo dalla sede titolare vescovile di Carcabia. Mons. Borys Gudziak è nato a Syracuse (Stati Uniti) il 24 novembre 1960 da genitori greco-cattolici ucraini. Terminati gli studi pre-universitari presso la Christian Brothers Academy, si è laureato all’Università di Syracuse, ottenendo il diploma in filosofia e in biologia (1980). Entrato nel Collegio di Santa Sofia a Roma, come alunno dell’Arcieparchia di Lviv, ha frequentato la Pontificia Università Urbaniana e nel 1983 si è laureato in teologia. Nel 1992 si è trasferito stabilmente a Lviv, dove ha fondato l’Istituto di Storia della Chiesa (ISC), diventandone preside nell’ottobre 2002. Il cardinale Myroslav Ivan Lubachivsky, allora arcivescovo maggiore di Lviv degli Ucraini, lo nominò nel 1993 presidente della Commissione per il Rinnovamento dell’Accademia Teologica di Lviv. Negli anni 1994-95 ha frequentato il Pontificio Istituto Orientale, approfondendo in particolare la sintesi neopatristica del teologo ortodosso Georgij Florovskyi. Nel 1995 è stato nominato vicerettore e nell’anno 2000 rettore dell’Accademia Teologica, successivamente divenuta Università Cattolica Ucraina. È stato ordinato sacerdote il 26 novembre 1998 nella Chiesa di San Giorgio, incardinandosi nell’Arcieparchia di Lviv degli Ucraini. È autore di oltre 50 studi sulla storia della Chiesa, sulla formazione teologica e su diversi temi di attualità culturale. Il 21 luglio 2012 è stato nominato esarca apostolico per i bizantini ucraini residenti in Francia ed è stato consacrato il 26 agosto 2012. Ma quali sono le sfide per questa nuova Eparchia? Laura Ieraci lo ha chiesto allo stesso mons. Borys Gudziak:

    R. – Tanti dei nostri fedeli adesso si trovano in uno status irregolare, non hanno documenti e, dunque, sono emarginati e hanno la paura e l’ansia di essere espulsi. Non abbiamo le infrastrutture necessarie e non abbiamo clero a sufficienza perché il numero dei fedeli è cresciuto di dieci, cento volte negli ultimi quindici anni. Le sfide, dunque, sono grandi. Tanti, però, cercano la Chiesa, perché sono in difficoltà e vedono che solo la Chiesa tende loro la mano. Abbiamo una grandissima opportunità che, speriamo, con l’aiuto del Signore, non sprecheremo.

    inizio pagina

    Nomine episcopali in Gabon e Polonia

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in udienza il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

    In Gabon, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Mouila presentata per raggiunti limiti di età da mons. Dominique Bonnet, C.S.Sp. Al suo posto, il Pontefice ha nominato mons. Mathieu Madega Lebouakehan, trasferendolo dalla diocesi di Port-Gentil. Lo stesso presule è stato nominato amministratore apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis della diocesi di Port-Gentil.

    In Polonia, Benedetto XVI ha nominato ausiliare di Siedlce mons. Piotr Sawczuk, del clero di Siedlce, finora vicario generale e cancelliere della Curia della medesima diocesi, assegnandogli la sede titolare di Ottana. Mons. Piotr Sawczuk è nato il 29 gennaio 1962 a Puczyce (parrocchia di Kornica), diocesi di Siedlce. Dopo la maturità, nel 1981 è stato ammesso al Seminario maggiore e il 6 giugno 1987 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale per la diocesi di Siedlce. Per due anni è stato Vicario parrocchiale a Wisznice. Negli anni 1989-1996 ha studiato Diritto canonico presso l’Università Cardinale Stefan Wyszyński a Warszawa, dove nel 1996 ha conseguito il Dottorato in Diritto penale canonico, sostenendo la tesi: "Communicatio in sacris". Dal 1993 è giudice del Tribunale diocesano. Dal 1996 al 2003 è stato Notaio della Curia diocesana e negli anni 1996-2011 è stato Docente nell’Istituto Teologico di Siedlce. Attualmente svolge i seguenti incarichi: Docente nel Seminario maggiore di Siedlce (dal 1996), Cancelliere della Curia diocesana (dal 2003), Vicario generale (dal 2009) e Presidente della Commissione del Sinodo diocesano (dal 2012). Dal 2003 è Canonico onorario, e dal 2009 Canonico "de numero" del Capitolo cattedrale di Siedlce. Nel 2010 è stato annoverato tra i Cappellani di Sua Santità.

    inizio pagina

    Il cardinale Vegliò: un miliardo di migranti nel mondo, riconoscerne dignità e diritti

    ◊   “Per la Chiesa cattolica, la migrazione è questione umana e morale fondamentale”: così il cardinale Antonio Maria Vegliò è intervenuto, stamani a Parigi, all’incontro su “I cattolici e le migrazioni”. Il presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei migranti e degli itineranti ha ribadito, in particolare, l’importanza di guardare alle migrazioni nell’ottica della conversione, della comunione e della solidarietà. L’incontro è stato organizzato dal Centro di informazioni e studi sulle migrazioni internazionali, dal Servizio nazionale della pastorale dei migranti e dalla diocesi di Parigi. Il servizio di Isabella Piro:

    Innanzitutto, i dati: oggi, dice il cardinale Vegliò, il fenomeno migratorio “è impressionante” in termini numerici. Secondo il Rapporto mondiale 2011 sulle migrazioni, redatto dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni, i migranti internazionali sono circa 214 milioni, quelli nazionali quasi 740 milioni: in totale, un miliardo di persone, pari ad un settimo della popolazione mondiale. Il che significa, come afferma il porporato, che “la mobilità umana è divenuta una caratteristica strutturale del mondo moderno”.

    Ma in questo contesto, chiede il cardinale Vegliò, qual è il ruolo della Chiesa? La risposta è semplice: “la Chiesa si preoccupa della salvezza dell’umanità” e di conseguenza “per la Chiesa cattolica la migrazione non è solo un problema politico, ma una questione umana e morale fondamentale”, perché "i migranti non sono solo numeri per la Chiesa, ma nostri fratelli e sorelle, il nostro prossimo”. Ed “essere il nostro prossimo - continua il porporato - non dipende dal luogo di nascita del migrante né dai documenti che possiede”. "La fede cristiana - ribadisce il cardinale - chiede ai credenti di non considerare gli immigrati come delle merci, ma come degli esseri umani che hanno diritto a una considerazione complessiva dei loro bisogni e dei loro contributi specifici ed economici, sociali e culturali".

    In questo dibattito, “la Chiesa contribuisce con la sua fede e i suoi principi morali” ed il suo ruolo si basa “sul rispetto della dignità della persona umana”. In un’ottica di comunione, il porporato richiama quindi “un sistema migratorio giusto che permetta ai migranti di realizzare le loro aspirazioni fondamentali e servire il bene comune”. “I processi di integrazione – evidenzia ancora il porporato – non richiedono solo opportunità politiche, sociali ed economiche, ma anche la costruzione di un senso di comunità, di valori condivisi, di una comunione tra fratelli”.

    Di qui, nell’ottica della solidarietà, l’invito a “sviluppare una cultura dell’accoglienza globale”, “dell’integrazione autentica” e l’appello a proteggere – secondo “la fede, incontro con il Cristo vivente” – “la giustizia, la dignità umana e la solidarietà”. Anche perché, incalza il porporato, “per la Chiesa, i diritti umani sono radicati nella persona” e questo è “un approccio che si differenzia radicalmente dalle moderne correnti di pensiero, per le quali i diritti dell’uomo sono concepiti in termini di opinione pubblica o di riconoscimento legale”. Essere solidali, allora, significa “promuovere il riconoscimento effettivo dei diritti dei migranti e superare tutte le discriminazioni basate sull’etnia, la cultura e la religione”.

    Come un “avvocato risoluto e attento”, continua il cardinale Vegliò, la Chiesa è chiamata a difendere il diritto delle persone “a spostarsi liberamente all’interno del proprio Paese” o a lasciarlo a causa “della povertà, dell’insicurezza e delle persecuzioni”, nel pieno diritto di “vivere con dignità”. Non solo: la Chiesa ha anche “la responsabilità di fare in modo che l’opinione pubblica sia correttamente informata sulle cause che generano le migrazioni”; essa, inoltre, deve “opporsi al razzismo, alla discriminazione e alla xenofobia, ovunque si manifestino”.

    Infine, nell’ottica della conversione, il cardinale Vegliò ricorda che oggi le migrazioni non riguardano solo i cattolici: ci sono immigrati che provengono da Paesi di altra o di nessuna fede e ci sono emigrati cristiani che vanno in Paesi di tradizione diversa. Ed è per questo che il fenomeno migratorio deve essere visto come un’opportunità non solo di evangelizzazione, ma anche di nuova evangelizzazione nei confronti di coloro che “hanno perduto il senso vivo del cristianesimo”. Perché i migranti, conclude il porporato, sono “i protagonisti della proclamazione del Vangelo nel mondo moderno”, “il lievito nel pane della cultura e della società contemporanea”.

    inizio pagina

    Mons. Toso: il cammino della pace a cinquant’anni dalla "Pacem in terris"

    ◊   “Bisogna riconoscere che nella Pacem in terris si trova l’elenco più completo dei diritti e dei doveri delle varie encicliche sociali. Ciò che è stato recepito dal magistero sociale successivo è la loro impostazione teologica e antropologica”. E’ l’inizio della riflessione che mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, ha offerto questa mattina a Bologna a quanti hanno partecipato all’incontro su “La pace oggi, a 50 anni dalla Pacem in terris”. All’evento che ha aperto la scuola sociopolitica diocesana c’era per noi Luca Tentori:

    Compie mezzo secolo di vita l’Enciclica di Giovanni XXIII, ma quel 1963 sembra lontano anni luce. L’Unione Sovietica non esiste più, l’America è un altro Paese e parlare di Terzo mondo non ha più senso. A cambiare non è stata solo la geografia, ma anche l’economia, la finanza e l’ordine mondiale. A cinquant’anni da quel messaggio di pace al mondo, mons. Toso, cosa è rimasto delle intuizioni e delle speranze di Giovanni XXIII?

    R. – Molto. Innanzitutto, l’affermazione che pilastro fondamentale della convivenza sociale è la persona e non gli Stati, non le etnie, non le religioni, non le ideologie, non l’ordinamento giuridico, per quanto importanti essi siano. E poi va tenuto presente che per Giovanni XXIII la pace è frutto di un impegno corale e comunitario dell’umanità, che non emargina Dio ma, invece, costruisce un ordine sociale più giusto e più pacifico in comunione con Lui.

    D. – Il giudizio sulla guerra della Pacem in terris è ancora attuale?

    R. – Rimane sempre inquietante e provocante la netta affermazione di Giovanni XXIII secondo la quale la guerra, nel nostro tempo, non possa essere pensata e utilizzata come strumento di giustizia. Una tale affermazione rappresenta uno spartiacque che sospinge ad abbandonare la teoria della “guerra giusta”, con l’eccezione della guerra – preciserà la riflessione successiva – di pura difesa in presenza di un’aggressione in atto.

    D. – Che rapporto c’è tra sviluppo, crisi alimentare e pace?

    R. – Lo sviluppo integrale e sostenibile di tutti gli Stati, di tutte le persone e di tutta la persona è un obiettivo fondamentale e una priorità assoluta. Finché lo sviluppo rimarrà insoddisfacente, persisterà la fame e non ci sarà la pace sulla terra.

    D. – Uno dei cambiamenti più importati è stato quello della globalizzazione con le sue conquiste e le sue sfide. Qualche seme di questo era già stato colto da Giovanni XXIII?

    R. – Per Giovanni XXIII, la questione sociale appariva questione mondiale. Questa mostrava già chiaramente la sproporzione tra le esigenze obiettive del bene comune universale e le istituzioni allora esistenti sul piano internazionale. Il metodo della "lettura dei segni dei tempi" è lanciato proprio dalla Pacem in terris, a partire dalla consapevolezza che la realtà della pace è già seminata da Dio nel cuore e nelle aspirazioni umane.

    D. – Il bene comune universale, secondo la Pacem in terris, doveva essere il criterio dei poteri pubblici mondiali. A che punto siamo di questo cammino?

    R. – Nonostante gli aspetti positivi della globalizzazione, sembra che non si siano ancora trovate vie efficaci per giungere alla riforma delle attuali istituzioni internazionali. Il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha soprattutto illustrato le ragioni del bene comune e della giustizia sociale, richiedenti una tale riforma, indicando la metodologia dei piccoli passi e lasciando ai responsabili dei popoli e ai giuristi il compito di precisarne le vie concrete.

    inizio pagina

    Settimana per l’unità dei cristiani. Padre Puglisi: le divisioni non danno credibilità al Vangelo

    ◊   Secondo giorno, oggi, della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Quest’anno l’appuntamento si svolge su un tema tratto da una frase del profeta Michea: “Quel che il Signore esige da noi”. Ce ne spiega il significato padre James Puglisi, direttore del Centro Pro Unione, al microfono di Philippa Hitchen:

    R. – In primo luogo, il profeta dà al popolo il messaggio che il Signore è stanco di vedere riti vuoti e sentire i profumi di inutili sacrifici, perché Dio vuole soltanto una cosa: che noi camminiamo con Lui, umilmente: questo vuol dire riconoscere chi è il Creatore e chi è la creatura. In secondo luogo, Michea vuol far capire che i rapporti fra di noi sono veramente giusti se ci rispettiamo l’un l’altro come creature che hanno la propria vita, la propria vitalità data dal Creatore. Quindi, da questo camminare insieme con Dio deriva il vivere in pace e l’operare la giustizia. Questo cammino dell’unità significa che noi dobbiamo dare testimonianza concreta di questo dono di riconciliazione che abbiamo ricevuto da Dio per mezzo della Croce di Gesù Cristo. Dobbiamo vivere la pace donata da Dio, dobbiamo viverla nei nostri rapporti, soprattutto come cristiani, perché se non diamo questa testimonianza e siamo divisi nessuno può credere nel messaggio di Gesù, che è venuto per proclamare l’amore di Dio, l’unicità di Dio. L’Antico Testamento dice: “Ascolta, Israele. Il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno”. Gesù è il suo profeta, suo Figlio, e lo Spirito Santo è lo Spirito di amore che tutti i cristiani sono chiamati a testimoniare traendo vita dalla sua forza.

    Sta avendo una buona accoglienza il recente “Manuale di ecumenismo” pubblicato dalla Editrice Queriniana. Philippa Hitchen ha intervistato l’autrice del volume, la prof.ssa Teresa Francesca Rossi, direttore associato del Centro Pro Unione:

    R. – Il Manuale di ecumenismo, pubblicato il 18 ottobre del 2012 dalla Casa Editrice Queriniana, nasce dall’esigenza di produrre uno strumento in lingua italiana aggiornato. Vi è già molta letteratura pregevolissima in italiano, ma produrre un manuale completo, esaustivo, credo veicoli un messaggio importante: che l’ecumenismo è una necessità della Chiesa. Vi è, quindi, una necessità nella Chiesa e, questa necessità ha bisogno di uno strumento. Ora, dunque, vi è uno strumento che indirizza l’ecumenismo a diversi livelli di lettura, sia per un pubblico specialistico che per un pubblico più ampio.

    D. – Un manuale accompagnato anche da cd-rom. Quindi è molto pratico ed anche multimediale...

    R. – Sì, devo riconoscere che l’idea del cd-rom è venuta al direttore del Centro Pro Unione, padre James Puglisi, professore anch’egli di ecumenismo. Lui ha captato questa esigenza di avere anche uno strumento adeguato. Il cd-rom è diverso dal manuale. Il materiale che vi si trova è complementare, ne segue la struttura, ma presenta una varietà di strumenti: esercizi, video e mappe. Sono molto grata anche al responsabile per il settore multimediale del Centro Pro Unione, Espedito Neto, che ha tradotto in linguaggio multimediale alcuni testi e grafici - un po’ tristi e in bianco e nero - che io avevo prodotto.

    D. – Quindi è destinato non solo agli specialisti, ma anche ai più giovani che affrontano, forse per la prima volta, il discorso dell’ecumenismo...

    R. – Sì, ad esempio, quest’attenzione si è posta in particolare nella struttura, che presenta quattro moduli e diverse sezioni, in modo che il testo possa essere letto velocemente, anche soltanto in alcune sue parti. Il volume è quasi di 500 pagine, quindi è decisamente uno strumento accademico, ma il linguaggio che ho utilizzato intenzionalmente è un linguaggio abbastanza semplice, proprio per facilitare la lettura dei neofiti.

    D. – Questa Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è un momento importante anche per cercare di focalizzare di nuovo l’attenzione su questo aspetto della nostra fede...

    R. – Sì, credo che dovremo cominciare proprio dalla consapevolezza che il movimento ecumenico – è vero – comincia con le società bibliche, comincia con le società missionarie, ma in verità comincia come movimento di preghiera. Ricordiamo che già nel 1740 il predicatore evangelico Jonathan Edwards chiedeva un giorno di digiuno e di preghiera per l’unità delle Chiese. E, come dicono alcuni storici, le Chiese hanno sempre acconsentito a pregare insieme. E questo è molto. Per me in particolare è un’occasione privilegiata proprio perché lavoro al Centro Pro Unione dei Frati francescani dell’Atonement, fondati dal padre della Settimana per l’unità dei cristiani, padre Paul Wattson.

    inizio pagina

    Contro le armi: editoriale di padre Lombardi

    ◊   Già nel suo primo Messaggio per la Giornata mondiale della pace, Benedetto XVI denunciava con forza “un aumento preoccupante delle spese militari” e un commercio delle armi “sempre prospero”, mentre continua a ristagnare “nella palude di una quasi generale indifferenza” il processo relativo al disarmo. Va accolta, dunque, con favore l’iniziativa del presidente Obama per una legge restrittiva sulla vendita delle armi. Ma il cammino è ancora lungo. Ascoltiamo in proposito il nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per Octava Dies, il Settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

    Le iniziative annunciate dall’amministrazione americana per la limitazione e il controllo della diffusione e dell’uso delle armi sono certamente un passo nella giusta direzione. Si valuta che gli americani posseggano oggi circa 300 milioni di armi da fuoco. Nessuno può illudersi che basti limitarne il numero e l’uso per impedire in futuro stragi orrende come quella di Newtown, che ha scosso la coscienza americana e mondiale e altre, sia di bimbi sia di adulti. Ma molto peggio sarebbe accontentarsi delle parole. E se le stragi sono fatte da persone squilibrate o stravolte dall’odio, non c’è dubbio che vengano fatte con le armi. 47 leaders religiosi di varie confessioni e religioni hanno rivolto un appello ai deputati americani per limitare le armi da fuoco che “stanno facendo pagare alla società un prezzo inaccettabile in termini di stragi e di morti insensate”. Sono con loro.

    Ma mentre la società americana è impegnata in questo dibattito di doverosa crescita civile e morale, non possiamo non allargare lo sguardo per ricordare che le armi, in tutto il mondo, saranno anche in parte strumento di legittima difesa, ma sicuramente sono ovunque lo strumento principale per portare minacce, violenza e morte. Perciò bisogna ripetere senza stancarsi mai gli appelli per il disarmo, per contrastare la produzione, il commercio, il contrabbando delle armi di ogni tipo, alimentati da indegni interessi economici o di potere. Se si raggiungono dei risultati, come le adesioni alle convenzioni internazionali, il bando delle mine antiuomo e di altre forme di armi micidiali, la riduzione del numero immenso e spropositato delle testate nucleari…ben vengano! Ma le armi sono e saranno sempre troppe. Come diceva il Papa volando verso il Libano, tutti siamo sconvolti dalle stragi in Siria, ma le armi continuano ad arrivarvi. La pace nasce dal cuore, ma sarà più facile raggiungerla se avremo meno armi in mano.

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il punto di vista di Dio: nel discorso a Cor Unum il Papa mette in guardia da ideologie manipolatrici.

    Lettera di Benedetto XVI per la concessione della comunione ecclesiastica inviata al patriarca d'Alessandria dei copti.

    Afghanistan, India e la situazione interna: nell'informazione internazionale, Gabriele Nicolò sulla tre sfide del Pakistan.

    Trentadue specialisti per 44.000 metri quadrati: in cultura, Antonio Paolucci illustra la nuova "Guida generale della Città del Vaticano", strumento di studio e compagna di viaggio.

    Non è una questione di gusto: Roberto Cecchi, architetto e sottosegretario italiano ai Beni culturali, riguardo al dibattito sull'adeguamento delle chiese alla riforma liturgica.

    Gianpaolo Romanato sul beato vescovo di Treviso Longhin, pastore infaticabile.

    Un articolo di Silvia Guidi dal titolo "Insolito Galileo": a teatro un testo che non sfrutta pretesti ideologici ma racconta episodi meno conosciuti della vita dello scienziato.

    L'uomo di fronte alla "sovrabbondanza divina": Marco Tibaldi su verità e amore nel filosofo russo Pavel Florenskij.

    L'ecumenismo è uno scambio di doni: Gabriel Quicke, del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, sui positivi risultati emersi dal confronto fra la Santa Sede e le Chiese ortodosse orientali.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Algeria: prosegue l'assedio, ribelli minacciano di farsi saltare in aria con gli ostaggi

    ◊   Cresce la preoccupazione per la sorte degli ostaggi in Algeria, ancora nelle mani dei ribelli islamici, in seguito al raid nell’impianto di gas di In Amena. Fonti locali riferiscono del ritrovamento di almeno 15 corpi carbonizzati all’interno della struttura, mentre prosegue l’assedio dei soldati algerini. Il servizio è di Eugenio Bonanata:

    Ancora notizie confuse che non permettono di ricostruire con esattezza il bilancio di quanto avvenuto. E’ sconosciuta l’identità delle vittime ritrovate stamattina nei pressi della struttura, dove le forze speciali algerine – ormai da più di 72 ore – assediano il commando jihadista, che ha minato l'area e minaccia di farsi saltare in aria in caso di blitz. Poca chiarezza sul numero degli ostaggi: sarebbero sette, secondo portavoce dei ribelli che ha condannato l’attacco francese in Mali, chiedendo la liberazione di due detenuti negli Stati Uniti.

    Finora, le autorità di Algeri hanno riferito di almeno 12 ostaggi, algerini e stranieri, rimasti uccisi, così come 18 miliziani. In mattinata, molte le dichiarazioni da parte delle cancellerie occidentali. Tra gli ostaggi non ci sarebbero francesi, ma Parigi ricorda la morte di un connazionale. Confermata anche la morte di un americano, il segretario alla Difesa statunitense, Panetta, ha garantito che “saranno prese tutte le misure necessarie”. Mancano all’appello sei norvegesi, liberi invece due romeni. L’Onu ha definito “atroce” l’attacco terroristico, che secondo la stampa mauritana sarebbe stato condotto da un commando di 40 uomini arrivato dal Niger.

    inizio pagina

    Siria: 60 mila morti dall'inizio del conflitto. L'Onu chiede l'intervento dell'Aja

    ◊   Proseguono i combattimenti in Siria tra esercito e insorti: altre 100 vittime nelle ultime 24 ore. Bombardati anche i quartieri cristiani di Damasco e Aleppo. Intanto, l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, torna a chiedere l’intervento della Corte penale internazionale dell'Aja (Cpi), per giudicare i crimini contro l’umanità commessi in questa guerra civile. Richiesta questa che ha ricevuto dure critiche da parte del governo siriano. Secondo l’ultimo bilancio delle Nazioni Unite, si contano complessivamente, dal marzo 2011, 60 mila morti, in media cinquemila al mese. Cecilia Seppia ha chiesto l'opinione di padre Gonzalo Ruiz, vicario generale dell’Istituto del Verbo Incarnato, che in Siria ha diverse missioni:

    R. – In queste ultime settimane, l’offensiva è stata molto forte. Anche l’accerchiamento di Aleppo, per esempio, dove si trovano molti dei nostri missionari, si fa sempre più serrato, più duro, i bombardamenti più pesanti, anche sulle zone cristiane della città. La gente è veramente molto delusa, anche se conserva ancora la speranza di ricevere aiuto, che questa guerra sia fermata. Perché si potrebbe davvero fermare la guerra con interventi più decisi.

    D. – Difficile la situazione dei cristiani, come diceva lei. I quartieri cristiani di Damasco e di Aleppo vengono costantemente bombardati. E’ così?

    R. – Sì, è così. Il più grande quartiere cristiano di Aleppo è stato bombardato soltanto in questi ultimi giorni, quelle bombe esplose tre giorni fa all’Università di Aleppo che confina proprio con il quartiere cristiano… Ci sono molte, molte vittime tra i cristiani – sono stati colpiti i conventi di religiosi e di religiose – e ci sono tanti, tanti feriti. Per due giorni, i nostri sacerdoti non hanno fatto che assistere i feriti, dando l’unzione degli infermi, ascoltando le confessioni e portando un po’ di conforto. Però, insomma, la situazione è molto delicata anche per i cristiani che si sentono sempre meno protetti.

    D. – Duramente colpita tutta la popolazione civile. In particolare, ci arrivano notizie veramente drammatiche per quanto riguarda i bambini: 30-40 bambini che muoiono ogni giorno sotto le bombe…

    R. – E’ vero che stanno colpendo i centri della vita della città. Colpiscono i mercati, l’università, le scuole e lì è sempre pieno di gente e ci sono anche tanti bambini. Per esempio, una delle bombe che tre giorni fa ha colpito Aleppo è caduta proprio sulla rotatoria di accesso all’Università, in un orario in cui era pieno di gente, di taxi, di bus, di pullman che portano gli studenti, e dunque ha fatto una strage veramente impressionante che ha lasciato anche tanti orfani.

    D. – C’è anche l’emergenza profughi: che cosa si può fare per loro, per sostenerli? O cosa state già facendo?

    R. – Un altro problema grosso, adesso, è la mancanza di gas e di riscaldamento. Questi giorni sono molto freddi e dunque la gente veramente soffre molto il freddo e anche la fame. Noi stiamo cercando di aiutare i profughi dei quali si dice che ad Aleppo siano quasi un milione. Tramite i nostri sacerdoti, tramite il vescovo latino, mons. Giuseppe Nazzaro, abbiamo aperto un sito web in ci si trova il modo di poter aiutare, che si chiama “SOS cristiani in Siria”. Lì ci sono le notizie che danno i nostri Padri, le nostre suore, ma è indicato anche il modo concreto per aiutare. Nel loro piccolo, sono riusciti ad aprire anche qualche piccola possibilità di lavoro, perché c’è tanto da fare: riescono a dare un piccolo compenso alle persone che hanno famiglie numerose, che sono rimaste senza lavoro, che veramente patiscono la fame. Dunque, qualsiasi aiuto è benvenuto.

    inizio pagina

    Stop al mercurio: 140 Paesi firmano l'accordo per ridurne l'utilizzo

    ◊   Raggiunto nella notte a Ginevra l’accordo sul testo di una Convenzione internazionale sul mercurio, che consentirà di diminuire, a livello mondiale, le emissioni di questo metallo pesante, molto tossico per la salute e per l'ambiente. Ad annunciarlo il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente e la Svizzera, che, insieme alla Norvegia, ha avviato questo processo dieci anni fa. Hanno firmato il documento oltre 140 Paesi. Sull’importanza dell’accordo, Salvatore Sabatino ha intervistato Nicola Pirrone, direttore dell’Istituto sull'inquinamento atmosferico del Consiglio Nazionale delle Ricerche:

    R. – L’importanza maggiore sta nel fatto che questo accordo pone l’accento su un problema ormai annoso come quello dell’impatto dell’incremento da mercurio sulla salute dell’uomo e sugli ecosistemi. Il maggiore risultato di questa negoziazione è proprio aver accettato l’esistenza del problema, che qualcosa andava fatto. Le decisioni sono state abbastanza importanti.

    D. - L’accordo consentirà di diminuire a livello mondiale le emissioni di mercurio molto tossiche per la salute e per l’ambiente. Ma quali sono i danni che questo metallo pesante può provocare?

    R. – I danni sono tanti. Al sistema nervoso centrale e anche al sistema cardio-circolatorio, alla funzionalità di molti organi, come i reni. Tutto questo riguarda soprattutto quelle popolazioni maggiormente esposte, che utilizzano mercurio nelle varie lavorazioni artigianali; in questi casi può provocare danni irreversibili.

    D. – C’è poi un altro problema che è quello dello smaltimento del mercurio, che è ancora da affrontare seriamente…

    R. – Questo è uno dei problemi più importanti, perché il mercurio è stato già eliminato da molti processi industriali, come la produzione da soda caustica e molti impianti hanno sostituito le particelle al mercurio con altre tecnologie e, quindi, questo ha determinato una produzione di mercurio disponibile, che in qualche modo va ricollocato in depositi ad hoc.

    D. - Quali sono gli oggetti in cui è presente questo metallo pesante?

    R. – Molti. Questo metallo pesante è l’unico che a temperatura ambiente è allo stato liquido e presenta caratteristiche di conducibilità elettrica molto elevate e quindi è stato impiegato in molti beni di largo consumo, come i beni elettronici; è utilizzato anche nella farmacopea, quindi in molti farmaci, che prima o poi vanno a finire nei rifiuti. Sappiamo che i rifiuti possono andare a finire negli inceneritori o nelle discariche e in ogni caso diventa un problema da gestire.

    D. - E’ molto utilizzato anche nell’ambito dell’odontoiatria. Lì c’è un contatto diretto……

    R. - Questo è stato uno dei temi in discussione nell’ambito della negoziazione che si è conclusa questa notte. Sì, c’è un impatto diretto, viene utilizzato come amalgama nelle otturazioni dentarie e l’impatto è diretto: il mercurio gassoso viene rilasciato in bocca e penetra facilmente tutte le barriere fino ad arrivare al cervello.

    D. – Lei dirige un centro che coordina, tra le altre cose, anche un programma di osservazione a scala globale sul mercurio. Quali sono le vostre principali attività?

    R. – Noi lavoriamo sulle problematiche di mercurio ormai da oltre 15 anni. Abbiamo costituito questo centro di riferimento nazionale attraverso un accordo tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche e il Ministero dell’ambiente per candidare l’Italia ad essere uno dei Paesi guida nella implementazione del futuro trattato internazionale sul mercurio. Stiamo realizzando un sistema di osservazione a scala globale, che misura le concentrazioni in atmosfera e nelle precipitazioni. Questo sta avvenendo grazie a un grosso progetto finanziato dalla Commissione europea e coinvolge circa 40 Paesi in tutto il mondo. Il nostro istituto ha l’onere e l’onore di coordinare questo grande programma internazionale che sta ponendo le basi per l’implementazione del futuro trattato. Come sappiamo, infatti, nei trattati occorre verificare l’efficacia delle misure di riduzione dell’emissione, se poi effettivamente determinano una riduzione delle concentrazioni nell’ambiente e, quindi, poi l’impatto sulla catena alimentare e sulla salute dell’uomo.

    inizio pagina

    Hein (Cir): nuovo parlamento migliori la legge sul diritto d'asilo per i rifugiati

    ◊   Dalla nuova legislatura italiana ci si aspetta una svolta nel diritto di asilo. E’ l’appello lanciato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, appoggiato dal Consiglio italiano rifugiati (Cir): entrambi chiedono di includere il tema dell’asilo nelle agende di tutte le forze politiche. Sono migliaia i rifugiati che in Italia sono costretti a vivere in condizioni non dignitose. “E’ evidente che la questione debba ormai essere riorganizzata in modo strutturale”, spiega Christopher Hein, direttore del Cir, che chiede di superare la gestione emergenziale che negli anni ha “contribuito a sperperare risorse pubbliche e rendere l’integrazione dei rifugiati sempre più complessa”. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

    R. – Qualche progresso in questi ultimi anni è stato fatto per garantire una migliore protezione dei rifugiati richiedenti asilo in Italia, questo non è da sottovalutare. Innanzitutto, bisogna dire, ciò è avvenuto grazie alla necessità di convertire la normativa comunitaria in legge nazionale. Quindi, abbiamo adesso quello che non avevamo dieci anni fa, una base per partire. Tra i nodi sui quali adesso vogliamo veramente spingere le varie forze politiche in campo a impegnarsi, già durante la campagna elettorale, ma anche dopo, c’è innanzitutto la necessità di un programma per favorire l’integrazione per chi in Italia è stato accolto come rifugiato. In questo momento, purtroppo, bisogna dire che non c’è alcuna possibilità per fare il primo passo verso l’accesso al mercato del lavoro, verso un alloggio autonomo. Un altro aspetto è quello dell’accoglienza. E’ stato ampiamente documentato quante persone che avrebbero il diritto di avere un posto in una struttura di accoglienza si trovano letteralmente per strada. Questi sono temi da affrontare organicamente. Per questo vogliamo, di nuovo, spingere verso una legge organica, una legge chiara, su tutti gli aspetti che riguardano questo fondamentale diritto costituzionale ad ottenere asilo. Speriamo che, con un nuovo governo, un nuovo parlamento, ci sia una maggiore sensibilità su questo tema.

    D. – Un aspetto fondamentale sono i finanziamenti. Il Cir ha già denunciato che anche su quello ci sono stati drastici tagli…

    R. – C’è stata la decisione del governo di cancellare un’altra volta il fondo dell'8 per mille di diretta gestione dello Stato, deviando integralmente i fondi alla Protezione civile, quando la legge prevede anche l’assistenza ai rifugiati. Ho parlato della mancanza di un fondo nazionale per l’integrazione: avevamo questo fondo, ma è stato cancellato e noi pensiamo eventualmente anche ad azioni legali.

    D. - Spesso, anche i media enfatizzano l’allarme rifugiati, l’allarme arrivi. Ricordiamo che in Italia la percentuale di rifugiati è veramente molto esigua rispetto anche ad altri Paesi europei…

    R. – Sì e vorrei di nuovo sottolineare che, se mettiamo a confronto le statistiche di asilo in Italia con Paesi paragonabili nell’Unione Europea – come la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, ma anche con Paesi ben più piccoli, come la Svizzera, l’Olanda e la Svezia – vediamo che l’Italia accoglie un numero non molto elevato di richiedenti asilo e rifugiati. E’ vero che le modalità di arrivo sui barconi a Lampedusa, attraversando il mare, le tragedie del mare, evocano uno scenario catastrofico, ma dal punto di vista quantitativo non ha alcun paragone con altri Paesi in Europa. Persino nel 2011, che in Italia sono arrivati 37 mila richiedenti asilo, l’Italia non è stata al primo posto in Europa, ma c’era la Germania e a seguire la Francia.

    inizio pagina

    Fisco, natalità, scuola: in vista delle elezioni il Forum delle Famiglie si rivolge alla politica

    ◊   Una Piattaforma valoriale e operativa da sottoporre ai candidati alle prossime elezioni politiche. E’ stata presentata stamani, in conferenza stampa a Roma, dal Forum delle Famiglie. Contiene sette proposte che vanno dal fisco alla scuola, dalla promozione della vita al welfare. I candidati che le condivideranno potranno disporre di un logo “Io corro per la famiglia” a conferma della propria adesione. Per saperne di più, Adriana Masotti ha intervistato Roberto Bolsonaro, vicepresidente del Forum:

    R. – Noi chiediamo sette "sì" al mondo della politica. Sono sette sì che riguardano aspetti fondamentali, non solo per la famiglia italiana, ma proprio per tutta l’Italia. Noi partiamo da alcuni concetti che sono: cosa serve all’Italia per avere un futuro, cosa serve all’Italia perché ci sia effettivamente un progetto che va avanti e che non si ferma? Tutto questo deve passare necessariamente per la famiglia. Allora, prima di tutto chiediamo l’equità fiscale. L’equità fiscale è fondamentale. Noi viviamo in un mondo in cui la famiglia è vessata, paga troppe imposte e non si tiene conto del carico familiare. Quindi, chiediamo con forza l’applicazione di strumenti adeguati quali il "fattore famiglia". Il fattore famiglia è un mezzo corretto di applicare la fiscalità in base alla capacità contributiva delle famiglie stesse. Poi, chiediamo la cittadinanza della famiglia, cioè che la famiglia sia riconosciuta come soggetto sociale e sia il centro di tutte le azioni della politica. La politica, in qualsiasi modo si muove, deve tener conto che c’è una famiglia che, nel bene oppure nel male, ne paga oppure ne ha le conseguenze. Ancora, un sì al sostegno della vita, della natalità e delle famiglie giovani. Quindi, favorire la nascita di nuove famiglie, andare incontro alle esigenze delle famiglie stesse con un sì deciso alla vita, fin dal momento del concepimento. Inoltre, lo sviluppo del lavoro: conciliare famiglia e lavoro diventa sempre più difficile e questo va a scapito non solo delle relazioni familiari, ma anche della qualità stessa dell’educazione dei nostri figli, della cura che la famiglia deve avere per i propri componenti. Sì alla libertà di educare, alla scuola per tutti, all’importanza che la scuola sia libera e ci sia la possibilità di scelta da parte delle famiglie su quale tipo di scuola frequentare in maniera reale e positiva. Sì a un Paese sussidiario, solidale e accogliente. Questo riguarda anche tutte le situazioni difficili di immigrazione che si sono create. La famiglia è al centro di questo perché sia le famiglie italiane che le famiglie di immigrati devono sentirsi integrati in un sistema Paese.

    D. – Voi vi riservate di verificare, dopo qualche mese, che cosa i politici che siederanno al parlamento, avranno realizzato in concreto di ciò che si sono impegnati a promuovere. Però da subito i candidati potranno apporre sul materiale di propaganda un logo…

    R. – Questo logo, “Io corro per la famiglia”, non è un marchio di qualità, nel senso che noi non garantiamo per nessuno, è un marchio di adesione. Loro aderiscono a un pensiero. Dicono sì, condividiamo questi sette punti e corriamo per quei sette punti. Poi, se si impegnano a correre, andremo a verificare se hanno corso e che cosa in realtà hanno fatto o meno. Lo abbiamo fatto con le Regioni, con risultati veramente incredibili, nel senso che siamo riusciti a fotografare una situazione e capire effettivamente chi ha raccontato favole o chi si è impegnato su questo.

    inizio pagina

    Scout emiliani in azione per far ripartire la speranza nelle zone terremotate

    ◊   Ragazzi e capi scout sono rimasti senza una sede a causa del terremoto che ha colpito l’Emilia Romagna, sette mesi fa. Il sisma ha distrutto case, piazze, centri storici di interi comuni e nove sono i gruppi scout che hanno perso la loro casa. Per ridare un’abitazione a lupetti e coccinelle l’Agesci ha dato via al progetto "Un euro per una sede", lo spiega Matteo Spanò, presidente del Comitato nazionale dell’associazione, al microfono di Maria Cristina Montagnaro:

    R. - Molti gruppi - oltre 1500 ragazzi - si sono trovati momentaneamente senza un luogo, una sede dove poter svolgere le proprie attività. Allora l’associazione ha lanciato un’operazione di raccolta fondi che ha permesso il montaggio di container e di strutture dove i ragazzi si possano ritrovare per continuare le loro attività.

    D. - Chi volesse sapere di più su questo progetto “Un euro per una sede” che cosa deve fare?

    R. - Basta andare all’interno del sito dell’associazione dove c’è un link con la spiegazione dell’operazione, le foto dei lavori in corso di tutte le sedi che abbiamo costruito, e quelle dei ragazzi che le abitano. C’è anche la possibilità - per chi vuole - di poter dare un contributo.

    D. - Ricordiamo quanto è importante per gli scout e per le loro guide avere una sede dove incontrarsi...

    R. - Un luogo di incontro è fondamentale e determinante; un luogo che possa permettere anche l’autonomia nella gestione, la capacità di progettare, di sognare all’interno di questi luoghi. È un momento fondamentale nella creazione del progetto e di un’identità.

    D. - Quanti ragazzi avete educato finora?

    R. - L’Agesci compie 30 anni nel 2014. Abbiamo all’incirca 180 mila associati all’anno. Quindi - come lei vede - abbiamo segnato un pezzo di storia anche dei giovani italiani in un momento in cui a volte sembra non esserci la speranza. Ecco noi vediamo che i giovani ancora vogliono e cercano questi aspetti: la voglia di impegnarsi, di dedicare tempo agli altri, di sognare, di costruire. Noi li vediamo molto belli i giovani d’oggi.

    D. - Qual è la dimensione dello scoutismo tra i giovani?

    R. - Noi in questi anni siamo stazionari come crescita a livello associativo: siamo circa 180 mila.

    D. - Quali sono i valori fondanti dell’associazionismo cattolico e del guidismo?

    R. - Il valore fondante nella nostra scelta dello scoutismo come strumento è quello di continuare a offrire ai nostri ragazzi una proposta di valori cristiani e di appartenenza al mondo della Chiesa. Lo strumento dello scoutismo ci permette - secondo noi - di esprimere questa nostra vocazione ad esser parte piena consapevole del percorso della Chiesa e della cristianità. I valori dell’essere - in qualche maniera - attenti a tutti, alle altre persone, il valore del servizio, della collettività, dell’impegno, della partecipazione e del coraggio. Ecco, uno dei temi importanti per noi in questi anni sarà proprio il coraggio. Noi crediamo che in questo momento, in cui molte volte ci viene tolta la speranza, la capacità di progettare e di avere coraggio di sporcarsi le mani fa parte dei nostri valori fondanti.

    inizio pagina

    Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella seconda Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo delle nozze di Cana. Durante la festa viene a mancare il vino e Maria invita Gesù a intervenire. L’acqua è cambiata in vino. Il maestro di tavola, sorpreso, dice allo sposo:

    «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».

    Su questa festa ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente emerito di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:

    Comincia il tempo ordinario: per ora quattro domeniche, che verranno interrotte con l’arrivo della Quaresima. Si apre lo scenario della vita pubblica di Gesù, ora predicatore itinerante, con la sua partecipazione alle nozze di Cana. L’attenzione non è focalizzata sugli sposi, ma su Gesù: a lui si rivolge la madre per segnalare il rischio di una festa rovinata. Ai servi parla due volte Gesù, trovando pronta obbedienza, per un’azione all’apparenza assurda e ridicola. Con un’arte speciale scrive Giovanni: nella metafora sponsale, nelle sei anfore di pietra vuote che traboccheranno di vino buono, nella gioia del capotavola un po’ brillo, nell’invito della Madre ad eseguire quanto viene detto, nell’obbedienza dei servi alla Parola, ci sono segni di un cambio di paradigma. L’antica alleanza e le sue risorse sono incapaci di donare gioia di vita: ma se lo sposo definitivo si siede a tavola e si fa carico della nostra debolezza, tutto cambia. Il primo miracolo Gesù l’ha fatto perché la gioia, la nostra gioia di vita, continui, non si interrompa. È questo il primo segno, e la fede scintilla: una fede che si unisce all’amore, una gioia che è grazia e rivelazione. Che Cristo trasformi la fatica in gioia, il servizio in vino buono, il timore in allegria.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Alto Egitto: migliaia di estremisti islamici attaccano un villaggio cristiano

    ◊   Ancora attacchi contro la minoranza copta nell'Alto Egitto. Un migliaio di musulmani ha assaltato il villaggio a maggioranza cristiana di el- Marashda (provincia di Quena, Alto Egitto). Aizzati dalle autorità religiose locali, gli estremisti hanno incendiato abitazioni e negozi e tentato di demolire la locale chiesa. L'assalto, avvenuto ieri, è stato interrotto dall'arrivo delle forze dell'ordine, che ha arrestato 10 musulmani. Da ieri sera - riferisce l'agenzia AsiaNews - una folla di radicali islamici blocca l'accesso alla città, per impedire alla polizia di portare via gli arrestati. Le forze dell'ordine hanno risposto al blocco sparando gas lacrimogeni. Per sicurezza le autorità hanno ordinato alla popolazione cristiana di non uscire dalla proprie abitazioni e la locale parrocchia ha annullato le celebrazioni per l'epifania copta-ortodossa. Anba Kyrollos, vescovo copto ortodosso di Nag Hammadi, spiega che il gruppo di estremisti, fra cui molti salafiti, ha attaccato il villaggio per vendicarsi di un cristiani accusato di aver abusato di una bambina musulmana di 6 anni. Le voci sul caso di pedofilia erano emerse nei giorni scorsi, scatenando la tensione fra le due comunità, ma le indagini della polizia hanno scagionato l'uomo. La bambina non ha subito alcun tipo di violenza. I salafiti hanno attaccato lo stesso il villaggio cristiano, nonostante il verdetto dei medici legali. Fonti locali dichiarano che i rappresentanti della comunità cristiana e musulmana, si sono incontrati questa mattina per una riconciliazione. Tuttavia la polizia continua a presidiare l'abitato per paura di attentati. Quello di ieri è il secondo attacco in meno di una settimana. Lo scorso 15 gennaio, centinaia di islamisti hanno demolito un edificio di proprietà della chiesa copta ortodossa di S. Giorgio a Taymah nella diocesi di al Fayyum (Egitto centrale a 133 km a sud del Cairo). Dopo la caduta del presidente Mubarak e la salita al potere dei Fratelli musulmani e dei salafiti, gli attacchi contro chiese ed edifici cristiani sono aumentati. Nelle aree più povere del Paese, ma anche nella capitale, i tagli alla sicurezza hanno colpito l'esercito e la polizia che sono impotenti di fronte a questi assalti fomentati dai salafiti. Con il loro denaro e le loro promesse, gli estremisti spingono gli abitanti a cacciare i cristiani per impadronirsi delle loro terre, sfruttando l'assenza di una legge chiara che regola la costruzione di edifici religiosi. (R.P.)

    inizio pagina

    Centrafrica: premier al lavoro per formare il governo di unità nazionale

    ◊   “Le consultazioni inizieranno presto. Occorre tempo per formare un governo capace di far fronte a questo periodo difficile” ha affermato Nicolas Tiangaye, il Premier nominato della Repubblica Centrafricana. La nomina di Tiangaye è frutto dell’accordo firmato l’11 gennaio a Libreville (Gabon) dal Presidente François Bozizé, dai rappresentanti politici del Paese e da quelli dell’alleanza ribelle Seleka, al fine di risolvere la grave crisi politico-militare che ha visto le truppe di Seleka conquistare più della metà del territorio nazionale e avvicinarsi alla capitale, Bangui. Il Premier nominato, uno dei leader dell’opposizione civile, ha il compito di formare un governo di unità nazionale, che dovrà preparare nuove elezioni entro 12 mesi. Gli accordi prevedono che il Presidente Bozizé rimanga in carica fino alla scadenza del suo mandato nel 2016 (ma non potrà licenziare il Premier della transizione), il cessate il fuoco e il ritiro delle truppe straniere presenti nel Paese, ad eccezione di quelle delle Forze Africane di Interposizione (Fomac). A questo proposito Seleka ha chiesto il ritiro immediato dei militati sudafricani inviati in aiuto delle truppe di Bozizé e di quelli ugandesi, da tempo presenti nel sud-est del Paese per dare la caccia ai guerriglieri dell’Lra (Esercito di Resistenza del Signore). Seleka afferma che il Capo dello Stato avrebbe fatto appello anche ai soldati ugandesi per far fronte all’offensiva ribelle. Seleka chiede inoltre 7 posti di ministro nel governo di unità nazionale e la liberazione di centinaia di prigionieri. (R.P.)

    inizio pagina

    Africa centrale: all'Assemblea dei vescovi Anno della fede e violenze in Congo

    ◊   La celebrazione dell’Anno della fede, indetto da Benedetto XVI per commemorare i 50 anni del Concilio Vaticano II, e la ricerca di una soluzione per la Repubblica Democratica del Congo, devastata dalle violenze dei ribelli dell’M23: su questi temi si è chiusa l’Assemblea dell’Aceac, l’Associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa Centrale. L’incontro, svoltosi a Muyinga, in Burundi, ha avuto la durata di tre giorni ed ha visto confrontarsi i vescovi di Burundi, Repubblica democratica del Congo e Rwanda. “La celebrazione dell’Anno della fede – si legge nella nota diffusa al termine dei lavori – rappresenta un kairos, ovvero un tempo di grazia, un momento favorevole per approfondire la fede e indirizzarsi sulla via della santità”. In questo contesto, guardando “alla situazione precaria di guerra e all’insicurezza crescente nella Repubblica Democratica del Congo”, l’Aceac ha stabilito di “celebrare azioni pastorali comuni, compiendo visite di solidarietà alle vittime del conflitto armato” ed in particolare “nei campi degli sfollati nella Repubblica Democratica del Congo e nei campi dei rifugiati in Burundi e Tanzania”. Non solo: i vescovi dell’Africa Centrale vogliono anche “intensificare l’educazione alla pace nei rispettivi Paesi, dando un segnale forte di riconciliazione e perdono attraverso la promozione di alcune attività religiose”. Di qui, l’invito a celebrare Sante Messe a cui possano prendere parte “membri di comunità di frontiera”, così come ad organizzare “pellegrinaggi e momenti di preghiera con la partecipazione congiunta di fedeli dei diversi Paesi dell’Aceac che vivono situazioni di guerra”. In particolare, si legge ancora nella nota, saranno coinvolte le diocesi di Goma, Bukavu, Uvira, Ciangugu, Nyundu, Bubanza e Bujumbura. Ribadendo quindi che, “nonostante i Paesi dell’Aceac siano in guerra, le loro Chiese non lo sono affatto”, i presuli dell’Africa Centrale intendono associare alla loro azione pastorale anche l’Amecea, ovvero la Conferenza delle Chiese dell’Africa Orientale. Questo perché si punta alla realizzazione di un “ambizioso progetto”, ossia “istituire una piattaforma comune per la promozione della pace, della giustizia e della riconciliazione, a partire dalle Commissioni episcopali Giustizia e pace delle rispettive regioni”. Infine, la nota si conclude con un invito a “reagire collegialmente, nella Chiesa-famiglia di Dio, al disprezzo cui viene esposta la dignità della persona umana attraverso i degradanti atti di guerra perpetrati nella Repubblica Democratica del Congo, che seminano odio e discordia nelle popolazioni”. (I.P.)

    inizio pagina

    Mali: i soldati francesi diventeranno 2.500

    ◊   In Mali proseguono le operazioni militari contro i ribelli che hanno occupato il nord. Sul terreno ci sono 2000 soldati francesi che secondo Parigi potrebbero arrivare a 2500. L’Eliseo auspica l’intervento delle truppe africane nel giro di qualche settimana, mentre oggi – ad Abdjan, in Costa d’Avorio – la questione è al centro della vertice della Cedeao, la Comunità economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest. Il presidente ivoriano Ouattara ha lanciato un appello alla comunità internazionale chiedendo maggiore mobilitazione al fianco delle truppe francesi.

    inizio pagina

    Francia-Germania: dichiarazione congiunta dei vescovi per i 50 anni del Trattato dell'Eliseo

    ◊   Le Conferenze episcopali di Francia e di Germania hanno pubblicato una dichiarazione congiunta in occasione del 50° anniversario del Trattato dell'Eliseo, firmato il 22 gennaio 1963 dal Generale Charles de Gaulle e dal Cancelliere Konrad Adenauer, che suggellò la riconciliazione fra le due nazioni nemiche durante la Seconda Guerra Mondiale. L'8 luglio 1962, i due Capi di Stato avevano assistito ad una messa di riconciliazione nella cattedrale francese di Reims. La dichiarazione ribadisce l'amicizia fra i popoli e lancia un appello alla comprensione, pensando alla pace conquistata a caro prezzo, rispetto al presente e al futuro dell'Europa. "Il Trattato dell'Eliseo fu contemporaneamente il vertice della riconciliazione di due nazioni nemiche e il punto di partenza di un approfondimento di quei rapporti di amicizia attraverso contatti politici e sociali a tutti i livelli. Noi vescovi accogliamo tutto ciò che si è realizzato e sviluppato nel quadro di questo Trattato di amicizia. Oggi l'amicizia franco-tedesca appare evidente e i responsabili politici e i cittadini non hanno più, nel quotidiano, consapevolezza del carattere eccezionale di tali relazioni. E pertanto, l'amicizia tra i nostri Paesi e i nostri popoli è oggi più che mai decisiva per superare la crisi annuale e dar forma al futuro dell'Europa. La crisi ha rivelato comportamenti irresponsabili a diversi livelli e pone la solidarietà fra i Paesi europei a dura prova. La solidarietà e la responsabilità devono essere più strettamente legate per il futuro dell'Europa". Konrad Adenauer e Charles de Gaulle, alla Messa di riconciliazione nella cattedrale di Reims, simboleggiano la consapevolezza che la politica si costruisce su basi che essa non può edificare da se stessa. L'amore dei nemici è una esigenza evangelica forte, che i due uomini di Stato sono riusciti a concretizzare. Da allora, l'Unione Europea ha portato ai suoi popoli pace e prosperità. Ma con la crisi economica noi vediamo riemergere il disprezzo e la sfiducia fra i popoli europei, il rifiuto dello straniero, il rifiuto della solidarietà. L'economia globale e la commistione culturale e religiosa fanno nascere altri nemici. Un po' ovunque in Europa fioriscono movimenti populisti che diffondono il ripiegamento su se stessi. La crisi economica rivela così una crisi morale, dove il senso della vita non passa più dal legame con l'altro né dall'esigenza della giustizia". "La Francia e la Germania possono e devono trarre dalla storia della loro riconciliazione e della loro amicizia la forza per trarre le conseguenze dei problemi attuali. Esse possono anche trarre l'ispirazione per aiutare l'Unione Europea a mettere in opera strutture politiche solide a lungo termine ed una vera economia sociale di mercato. Esse possono operare perché il rispetto della dignità umana, la preoccupazione del bene comune e i principi di solidarietà e sussidiarietà guidino sempre l'integrazione europea". Il 50° anniversario del Trattato dell'Eliseo offre alla Chiesa "l'occasione di ricordare, in particolar modo alle giovani generazioni, che la riconciliazione non è una parola vuota, ma un cammino reale".

    inizio pagina

    Serbia: iniziate le celebrazioni per il 1700.mo anniversario dell'Editto di Milano

    ◊   In Serbia le celebrazioni per il millesettecentesimo anniversario dell’Editto di Milano sono cominciate giovedì sera al Teatro nazionale di Niš (l’antica Naissus, dove nacque Costantino i) con un concerto del coro del monastero di Sretenje. Erano presenti, fra gli altri, il Patriarca della Chiesa ortodossa serba, Irinej, numerosi vescovi, il capo dello Stato, Tomislav Nikolić, il primo ministro Ivica Dačić, l’ambasciatore italiano a Belgrado, Armando Varricchio, e il suo collega russo Alexander Chepurin. Nel suo intervento - riferisce L'Osservatore Romano - Nikolić ha sottolineato come la Serbia segua ancora i principi dell’Editto di Milano, garantendo a tutti piena libertà religiosa. Un messaggio dunque ancora valido attraverso i secoli quello lanciato nel 313 da Costantino, imperatore d’Occidente, e da Licinio, imperatore d’Oriente, con l’obiettivo di porre fine a tutte le persecuzioni religiose e proclamare la neutralità dell’impero nei confronti di qualsiasi fede. Il 2 dicembre scorso il vescovo di Niš, Jovan, aveva celebrato la divina liturgia nella chiesa dei santi Costantino ed Elena, conclusa con un ringraziamento a tutti i partecipanti al progetto, intitolato «La Parola di Dio alla città di Costantino», lanciato dalla diocesi ortodossa e dalla Società biblica serba. In occasione del rito sono state distribuite ai fedeli più di novecento copie della sacra Scrittura. Due mesi prima, il 4 ottobre 2012, era stata la metropolia di Zagabria-Lubiana (entità sotto la giurisdizione della Chiesa ortodossa serba) a celebrare la divina liturgia in vista del 1700° anniversario dell’Editto di Milano. Le iniziative per il «Giubileo di Costantino» (che la Chiesa ortodossa considera santo e “simile agli apostoli”) hanno compreso anche una serie di conferenze: quella dal titolo «L’Editto di Milano (313-2013): una base per la libertà di religione o di credo?», a maggio, a Novi Sad, ha radunato teologi e storici di differenti confessioni. Le celebrazioni si concluderanno a ottobre. In settembre è prevista la visita del cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola. (I.P.)

    inizio pagina

    Russia. Vigilia dell'Epifania ortodossa: il patriarca Kirill benedice le acque

    ◊   Con la sacra liturgia e l'Ufficio della Benedizione delle acque, celebrati ieri dal patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill, si è aperta ufficialmente l'Epifania ortodossa. La Chiesa russo-ortodossa segue il calendario giuliano, "in ritardo" di 13 giorni rispetto a quello gregoriano in uso dalla Chiesa cattolica, per questo la festività cade il 19 gennaio. Tutta la vigilia è caratterizzata, come per il Natale, dal digiuno "fino all'apparizione della prima stella". Durante la giornata si ricorda il martirio di Giovanni Battista, che battezzò Gesù nel Giordano. Per la Chiesa ortodossa il 19 gennaio si celebra il battesimo del Signore. Per l'esattezza, la festività si chiama Kreshenie, battesimo - appunto - in russo. E' in quel momento, che avviene la Teofania: quando Cristo si rivela come Figlio all'interno della Trinità, insieme alla voce del Padre e alla colomba dello Spirito Santo. Durante la liturgia della Vigilia e poi anche in quella del giorno successivo, i fedeli portano a casa un po' dell'acqua benedetta. In legame con l'acqua, in Russia si compie in questi giorni uno dei riti più sentiti: si tratta del tradizionale bagno nelle acque ghiacciate. Nonostante le temperature polari che caratterizzano questo periodo dell'anno, almeno 800mila russi sono pronti a tuffarsi tra la notte scorsa e oggi, nelle buche a forma di croce scavate appositamente in tutto il Paese. Secondo i dati del ministero delle Emergenze, citato dall'agenzia Interfax, solo a Mosca saranno 52 i punti attrezzati, dove i più temerari potranno immergersi, contando sull'assistenza di medici e bagnini. In tutta la Federazione, invece, saranno oltre 2.500 i siti per la tradizionale immersione. Le autorità ribadiscono che il rischio maggiore e' legato al mix di alcol e temperature gelide e avvertono di non fare il bagno in luoghi dove non e' presente personale medico. Secondo la tradizione, in questo giorno le acque di fiumi e laghi vengono benedette e santificate. In passato la gente faceva nel ghiaccio un grande buco, chiamato "giordano". Attorno a questo si teneva una processione con una croce. Si pensava che l'acqua del "giordano" avesse poteri curativi e respingesse i mali. A memoria di questo potere "curativo" delle acque, ancora oggi i russi, credenti o meno, fanno il bagno nell'acqua gelida sotto gli occhi increduli di curiosi e giornalisti. (R.P.)

    inizio pagina

    Myanmar: appello dei leader cristiani per la fine degli scontri nel Kachin

    ◊   Di fronte al nuovo intensificarsi del conflitto armato tra le forze governative e i separatisti dell’Esercito per l’indipendenza del Kachin, in corso nel nord del Myanmar al confine con la Cina da ormai un anno e mezzo, le Chiese cristiane birmane hanno rivolto un pressante appello per la pace. In una nota congiunta il presidente della Conferenza episcopale birmana, mons. John Hsane Hgyi, e il presidente del Consiglio delle Chiese del Myanmar (MCC), il pastore protestante Yin Yin Maw, chiedono la fine scontri sul terreno e dei bombardamenti aerei governativi per permettere l’accesso nella regione di osservatori internazionali. “La pace è possibile - sottolinea la nota, citata dall’agenzia Ucan. Tutte le parti coinvolte dovrebbero ritornare al tavolo dei negoziati, se necessario, anche con l’aiuto di facilitatori neutrali”. L’intervento dei leader cristiani birmani interviene dopo un mese di intensi combattimenti che hanno causato finora più di 100.000 sfollati. Un intervento giudicato da alcuni tardivo, ma che il segretario generale del Mcc Shwe Lin giustifica con la necessità di fare arrivare ai belligeranti un messaggio ponderato al momento opportuno. La guerra nello Stato di Kachin continua nonostante le aperture avviate dal regime militare birmano dopo decenni di dittatura. Un anno fa a suscitare qualche speranza era stata anche la firma di un accordo di pace tra l’esecutivo e un altro gruppo ribelle, attivo nelle regioni meridionali abitate in prevalenza dall’etnia Karen. (L.Z.)

    inizio pagina

    Pakistan: l’ambasciatore Rehman che difese Asia Bibi sotto processo per blasfemia

    ◊   Sherry Rehman, parlamentare musulmana del Pakistan People’s Party e oggi ambasciatore pakistano negli Stati Uniti, sarà processata per blasfemia: lo ha deciso la Corte Suprema, con un clamoroso pronunciamento che riapre il dibattito sulla legge sulla blasfemia in Pakistan. La donna - riferisce l'agenzia Fides - fu denunciata nel febbraio 2011 da Faheem Akhtar Gull, commerciante di Multan, che la accusava di aver commesso blasfemia durante un talk-show su Dunya Tv. Nel dibattito televisivo, la Rehman aveva difeso Asia Bibi e aveva spiegato la sua proposta, presentata al Parlamento pakistano, di revisione della legge sulla blasfemia, al fine di prevenirne gli abusi. Ma, dopo le polemiche seguite agli omicidi di Salman Taseer e di Shahbaz Bhatti, la Rehman, in pericolo di vita, aveva ritirato la mozione. La polizia di Multan l’aveva scagionata, un tribunale di Lahore aveva respinto la denuncia di Akhtar Gull e la vicenda sembrava conclusa. Ora invece, nel ricorso presentato alla Corte Suprema, i giudici hanno dichiarato l'ammissibilità delle accuse. Il collegio dei giudici Anwar Zaheer Jamali e Ejaz Afzal Khan ha accolto il ricorso, imponendo al Capo della Polizia di Multan, Amir Zulifqar, di registrare ufficialmente il caso di blasfemia (con un First Information Report) un caso sulla base dell’articolo 295c del Codice penale, che punisce con la pena capitale o il carcere a vita il vilipendio al Profeta Maometto. La donna sarà dunque processata. Fonti di Fides notano che gli estremisti intendono far passare l’idea di definire “blasfemo”, e dunque di poter incriminare, chiunque si opponga o metta in discussione la legge sulla blasfemia. Sherry Rehman, prima dell’incarico diplomatico, era Presidente del “Jinnah Institute” di Karachi, istituto di ricerca formato da intellettuali musulmani liberali, promotore dei diritti umani e della legalità, intitolato al fondatore del Pakistan, Ali Jinnah. In un Rapporto inviato a Fides, e pubblicato un anno fa, l’Istituto notava che Asia Bibi era stata giudicata da un tribunale “sotto evidenti pressioni di islamici estremisti”, e “per una vendetta personale”. Inoltre metteva in luce una palese irregolarità procedurale: nelle indagini e negli interrogatori preliminari, condotti dalla polizia dopo la denuncia, Asia Bibi non ha avuto un avvocato, per questo tutto il processo potrebbe essere invalidato. Il Jinnah Institute riferisce che, sin dal principio, la vicenda giudiziaria di Asia Bibi è stata viziata da irregolarità e strumentalizzazioni. Un altro rapporto dell’istituto, intitolato “A Question of Faith”, nota l’aumento costante della violenza contro le minoranze religiose in Pakistan, affermando che i cristiani “sono le prime vittime delle persecuzioni”. Una questione, si afferma, che il governo deve affrontare per garantire la libertà, la democrazia e lo stato di diritto nel Paese. (R.P.)

    inizio pagina

    Pakistan: infarto in carcere per un cristiano condannato a morte per blasfemia

    ◊   Younis Masih, cristiano pakistano, condannato a morte per blasfemia, in carcere da oltre 7 anni, ha subìto un grave attacco cardiaco l'8 gennaio scorso e si trova in serio pericolo di vita. Un gruppo di avvocati cristiani ha presentato istanza di ricorso all’Alta Corte di Lahore, per avviare il processo di appello. Younis Masih è stato condannato a morte nel 2007 da un tribunale di primo grado. Come riferiscono fonti dell'agenzia Fides, il suo è uno dei numerosi casi di presunti blasfemi, condannati a morte con giudizi sommari e processi alquanto superficiali o pilotati, come quello che riguarda la cristiana Asia Bibi. Younis Masih aveva 27 anni quando fu arrestato per supposta blasfemia il 10 settembre 2005. Una folla inferocita di 400 uomini, armati di bastoni e mattoni, attaccarono e saccheggiarono le case del quartiere di Chungi Amer Sidhu, a Lahore, dove Younis Masih viveva. Sua moglie, Meena, fu percossa violentemente, e oltre 100 famiglie cristiane fuggirono dalla zona per salvarsi. Fu accusato di blasfemia dopo un alterco con un vicino di casa musulmano a cui aveva chiesto di abbassare il volume della musica che proveniva dalla sua abitazione. Younis è stato picchiato quasi fino alla morte, poi le moschee della zona hanno iniziato a istigare i musulmani locali, accusando Younis di aver pronunciato commenti sprezzanti nei confronti del Profeta Maometto. La polizia, su pressione della folla, ha registrato una denuncia a suo carico e lo ha arrestato. Dopo circa un anno e mezzo, il cristiano è stato condannato a morte per blasfema da un tribunale di primo grado a Lahore, in un processo celebrato in prigione, a porte chiuse, per motivi di sicurezza. Per mancanza di mezzi economici, la famiglia non ha potuto presentare ricorso. Oggi se ne sta occupando l’Ong di ispirazione cristiana “Lead” (“Legal Evangelical Association Development”), che si dedica alla promozione sociale e all’aiuto dei cristiani in Pakistan. (R.P.)

    inizio pagina

    Kenya: i vescovi chiedono pace e giustizia a Tana River

    ◊   “Siamo addolorati e scioccati dalle violenze e i morti in questa parte del Paese, ma siamo ancor più sorpresi del fatto che, nonostante una massiccia presenza di agenti e forze di sicurezza dispiegati per prevenire questi episodi e gli incontri per la pace e la riconciliazione, nulla sia cambiato”: a scriverlo sono i vescovi del Kenya di ritorno da un sopralluogo nella zona di Tana River, teatro di violenze che negli ultimi cinque mesi hanno causato circa 200 vittime. In una nota della commissione giustizia e pace della Conferenza episcopale (Cjpc) inoltrata all'agenzia Misna al termine della visita, i vescovi rivolgono un appello alle popolazioni, sottolineando che “la violenza genera violenza” e che bisogna fermare “la spirale delle vendette, prima che queste coinvolgano l’intera regione”. Il distretto di Tana River, nella provincia meridionale costiera del Paese, è stato più volte in passato epicentro di attacchi e scontri tra le comunità rivali Pokoma, per lo più agricoltori, e Orma, nomadi e allevatori, per il controllo dei terreni e delle fonti idriche. Fonti di stampa e interlocutori locali tuttavia, ipotizzano che la recrudescenza nelle ostilità dallo scorso settembre ad oggi, possa essere alimentata da politici locali e interessi di società straniere per lo sfruttamento dei terreni agricoli della zona. A conferma di questa lettura, i vescovi chiedono alle autorità di “indagare circa i collegamenti tra il conflitto e possibili interessi di forze straniere o di pochi individui” assicurando alla giustizia “tutti coloro che risulteranno coinvolti in omicidi e distruzione di proprietà”. Nel documento, firmato tra gli altri dai vescovi di Malindi e Mombasa, Emanuel Barbara e Boniface Lele, si chiede al governo di Nairobi una “investigazione indipendente per valutare le accuse di omesso soccorso nei confronti delle forze di polizia” e di affrontare “i fattori strutturali del conflitto e l’incertezza associata al sistema di distribuzione delle terre e alla scarsa presenza di forze di sicurezza”. (R.P.)

    inizio pagina

    Costa d'Avorio: 95.ma Plenaria, i vescovi celebrano la memoria del nunzio mons. Madtha

    ◊   Si concluderà domani la 95.ma Assemblea plenaria della Conferenza episcopale della Costa d’Avorio, apertasi martedì a Korhogo, al collegio Santa Elisabetta. Mons. Alexis Touabli, vescovo della diocesi di Agboville, ha definito l’assise - apertasi con una celebrazione eucaristica in memoria del nunzio apostolico, mons. Ambrose Madtha, scomparso l’8 dicembre dello scorso anno in un incidente d’auto - una settimana di grazia, una settimana santa per fare esperienza di comunione fraterna. I vescovi in questi giorni, riferisce il portale abidjan.net, stanno discutendo della realtà della Chiesa ivoriana e della vita del Paese. Commentando le attività dello scorso anno, il presule ha rilevato che esse sono segno di una Chiesa viva, che cammina. I vescovi sono stati accolti a Korhogo dalle autorità civili, e il prefetto, Daouada Ouattara, ha assicurato il sostegno del presidente della repubblica ivoriana e del governo. Alla Chiesa Ouattara ha chiesto di proseguire i suoi sforzi perchè la pace si consolidi in tutto il territorio nazionale per una Costa d’Avorio riconciliata. (T.C.)

    inizio pagina

    Cina: la formazione per affrontare le sfide al sacerdozio

    ◊   “Con una approfondita spiritualità e consapevolezza della vocazione sacerdotale, possiamo affrontare le sfide che la società odierna ci mette davanti, come la ‘mania’ della rete (internet, social network), le crisi affettive”. Con questa convinzione una decina di sacerdoti della provincia dell’He Bei ha partecipato al corso di formazione che ha avuto per argomento le sfide al celibato. Il corso si è svolto dal 14 al 19 gennaio, organizzato dal Seminario maggiore dell’He Bei e dall’Istituto dello Studio Culturale di Faith. Secondo le informazioni che Faith ha inviato all’agenzia Fides, oggi la vocazione sacerdotale, la vita consacrata e soprattutto il celibato, sono minacciati dalla società su diversi fronti. Secondo l’organizzatore del corso, “il nostro modo di affrontare la crisi consiste nella prevenzione e nello scambio reciproco, tra sacerdoti e seminaristi. Lo scambio è uno dei metodi migliori, in quanto tra noi comprendiamo meglio i nostri problemi. Inoltre abbiamo suggerito ai partecipanti 4 impegni da realizzare: approfondire la consapevolezza della preziosità della vocazione sacerdotale e del celibato, tenendo caro questo dono che Cristo ci ha dato; di fronte alle tentazioni del mondo, dobbiamo arricchirci interiormente per sviluppare un profondo rapporto intimo e personale con Dio; dobbiamo apprendere come gestire le relazioni pubbliche nel modo migliore; dobbiamo essere in grado di individuare le situazioni che possono essere pericolose ed anche essere capaci di autodifesa”. Negli ultimi dieci anni l’Istituto dello Studio Culturale di Faith ha già organizzato 5 corsi simili, sempre in collaborazione con istituti religiosi, diocesi o seminari, coinvolgendo vescovi, sacerdoti, suore e laici cattolici. (R.P.)

    inizio pagina

    Giornata di preghiera per la pace in Terra Santa in tremila città del mondo

    ◊   Oltre 3mila città celebreranno la quinta Giornata d'intercessione per la pace in Terra Santa che si terrà il 27 gennaio 2013. All'iniziativa hanno aderito 500 comunità in più rispetto al 2012. In tutto il mondo sacerdoti, religiosi e laici garantiranno una catena di 24 ore di preghiera. Dal 2008 la Giornata si celebra l'ultima domenica del mese di gennaio e quest'anno coincide con la « Giornata internazionale della memoria delle vittime della Shoa e per la prevenzione dei crimini contro l'umanità ». Essa si celebra - riferisce l'agenzia AsiaNews - il giorno della liberazione del campo di sterminio d'Auschwitz-Birkenau, avvenuta il 27 gennaio 1945. Nella sua omelia del 1° Gennaio, Giornata mondiale della pace, mons. Fuad Twal, Patriarca latino di Gerusalemme, ha affermato: "La pace tra i popoli può nascere e crescere solo se esiste prima in ogni uomo, in ogni famiglia, in ogni comunità religiosa, in ogni popolo". "Penso - ha aggiunto il prelato - che tutti i mezzi per raggiungere la pace debbano passare per la giustizia e il dialogo, e mai attraverso la violenza. Il percorso è pieno di insidie, ma ci guida la speranza e il canto degli angeli ci rassicura". (R.P.)

    inizio pagina

    Card. Bagnasco: "tagliare" la cultura è estremamente dannoso

    ◊   “Quando, per ragioni di economia o di finanza, si viene a trascurare e tagliare la cultura” si fa “un’operazione che non solo è senza frutto, ma estremamente dannosa perché lo sviluppo di un popolo non è solo l’economia diretta ma è l’anima con cui il popolo stesso affronta i vari problemi di ordine anche economico, finanziario, lavorativo”. Per questo, “tagliare le fonti dell’anima di una nazione significa fare un’operazione miope”. Così l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, è intervenuto ieri sera a margine della presentazione del volume “La Cattedrale di San Lorenzo a Genova” pubblicato da Franco Cosimo Panini Editore per la collana 'Mirabilia Italia’. “In fondo - ha domandato il cardinale - la manifestazione di stasera e l’opera realizzata cosa produce? Forse nulla, da un punto di vista numerico” ma rappresenta molto da “un punto di vista sostanziale, della capacità di incontrarsi delle persone, di avere consapevolezza della propria storia e dei talenti di ieri e di oggi e tutto questo è un patrimonio impagabile che è determinante per affrontare i problemi pratici”. Il cardinale ha quindi affermato che “il pericolo, il rischio soprattutto ai giorni nostri, è quello di vedere le chiese, i monumenti religiosi e gli edifici sacri con l’occhio solamente tecnico e di ridurli ad un museo”. Questa, ha aggiunto, “è un’operazione miope ed ingiusta perché un’opera d’arte esprime qualcosa di vivo, la fede, da mantenere”. Tali monumenti, ha aggiunto il card. Bagnasco, “sono vestigia del passato ma non sono vestigia morte, sono vive”. Parlando della cattedrale di San Lorenzo, il cardinale ha quindi affermato che “la nostra cattedrale è un’armonia di stili e di forme, è un monumento che non solo ha espresso la fede di un popolo ma continua ad esprimere la fede e la cultura di un popolo che non deve essere assolutamente dimenticato”. Per questo, ha concluso, “se Genova si allontana dalla sua cattedrale perde la propria anima”. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 19

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.