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Sommario del 16/01/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: anche gli atei vogliono vedere Dio. Appello per l'unità dei cristiani
  • Nuovo tweet di Benedetto XVI: amare è scoprire il volto di Cristo nel povero e nel sofferente
  • Il Papa nomina mons. Joseph Marino nunzio apostolico in Malaysia e in Timor Orientale
  • Mons. Mamberti sulle sentenze della Corte europea dei diritti umani: minacciate libertà religiosa e di coscienza
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Conflitto in Mali, da Germania e Italia apporto logistico alle forze francesi
  • Usa: attesa per l'iniziativa di Obama sul possesso di armi. Restrizioni a New York
  • Tensione in Pakistan dopo il mandato d'arresto contro il premier Ashraf
  • A Diyarbakir i funerali delle tre militanti curde uccise a Parigi
  • Presentato il 43.mo Forum di Davos in calendario dal 23 al 27 gennaio
  • Rapporto Eurispes-Telefono Azzurro: adolescenti in balia di web e cellulari. Adulti assenti
  • Essere rifugiati nella crisi: nasce "RE-Lab" per aiutare nella costruzione d'impresa
  • Lanciata a Roma la Campagna di Libera contro la corruzione
  • Quinta Biennale ArteInsieme: scuole e musei per una cultura senza barriere
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Pakistan. La Corte suprema conferma: Rimsha Masih è innocente
  • Caritas Mali: la crisi rischia di allargarsi. Piano di azione e stanziamenti
  • Cade un elicottero a sud di Londra: 2 morti e 11 feriti
  • Parlamento europeo: via libera alla riforma delle agenzie di rating
  • India: in Orissa lotta al traffico di esseri umani
  • Siria: cristiani tra due fuochi e a rischio estinzione
  • Egitto: estremisti islamici demoliscono una chiesa copta ad al Fayyum
  • Pakistan: la Commissione “Giustizia e Pace” sulle tensioni politiche
  • Indonesia. Sei scuole cattoliche a rischio chiusura a East Java: non insegnano l’islam
  • Haiti: a tre anni dal terremoto i Redentoristi riorganizzano le Missioni popolari
  • Guatemala: mons. Rios Mont invita la comunità a non farsi giustizia da sola
  • Malawi: mancano cibo, acqua e servizi igienici per la popolazione colpita dalle inondazioni
  • Canada: i vescovi solidali con la protesta degli autoctoni
  • Slovenia. Replica dei vescovi alle organizzazioni culturali: distorcono immagine della Chiesa
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: anche gli atei vogliono vedere Dio. Appello per l'unità dei cristiani

    ◊   La grande novità della venuta di Gesù è che il volto di Dio, prima nascosto, è stato reso visibile a tutti, anche a chi non crede. Lo ha affermato Benedetto XVI all’udienza generale di questa mattina in Aula Paolo VI. Il Papa l’ha conclusa invocando da Dio “il grande dono dell’unità” tra tutti i cristiani, nell’imminente Settimana di preghiera che inizia dopodomani. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Chiunque, anche chi non crede, magari solo per curiosità, pure in modo inconsapevole, vorrebbe vedere il volto di Dio. Benedetto XVI ha dedicato la catechesi a questa che potrebbe essere considerata la madre di tutte le ricerche. Una ricerca che l’Antico Testamento documenta da millenni, quando per gli ebrei – ha ricordato il Papa – Dio non si poteva né vedere in volto, né rappresentare, come dimostra in modo plastico la scena di Mosè davanti al roveto ardente. E allora, si è chiesto, cosa voleva dire per un israelita “cercare il volto di Dio”?

    “La domanda è importante: da una parte si vuole dire che Dio non si può ridurre ad un oggetto, come un'immagine che si prende in mano, ma neppure si può mettere qualcosa al posto di Dio; dall’altra parte, però, si afferma che Dio ha un volto, cioè è un ‘Tu’ che può entrare in relazione, che non è chiuso nel suo Cielo a guardare dall’alto l’umanità. Dio è certamente sopra ogni cosa, ma si rivolge a noi, ci ascolta, ci vede, parla, stringe alleanza, è capace di amare”.

    La storia del popolo ebreo è dunque una scoperta graduale della presenza di Dio. Ma è con un’altra scena plastica descritta stavolta nel Nuovo Testamento che, ha affermato Benedetto XVI, avviene “qualcosa di completamente nuovo”:

    “La ricerca del volto di Dio riceve una svolta inimmaginabile, perché questo volto si può ora vedere: è quello di Gesù, del Figlio di Dio che si fa uomo. In Lui trova compimento il cammino di rivelazione di Dio iniziato con la chiamata di Abramo, Lui è la pienezza di questa rivelazione perché è il Figlio di Dio, è insieme ‘mediatore e pienezza di tutta la Rivelazione’, in Lui il contenuto della Rivelazione e il Rivelatore coincidono. Gesù ci mostra il volto di Dio e ci fa conoscere il nome di Dio”.

    Ecco la differenza con l’epoca antica: se a Mosè Dio aveva rivelato non il suo volto ma il nome – cioè, ha detto il Papa, si era “reso invocabile” – con l’Incarnazione diventa visibile a chiunque lo cerchi attraverso Gesù:

    “Egli inaugura in un nuovo modo la presenza di Dio nella storia, perché chi vede Lui, vede il Padre, come dice a Filippo. Il Cristianesimo – afferma san Bernardo – è la ‘religione della Parola di Dio’; non, però, di 'una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente’”.

    Per i cristiani, ha concluso Benedetto XVI, il vedere Dio si realizza nel seguire Cristo. Significa vederlo attraverso i volti di chi ne reca l’impronta più netta, la persona povera e quella che soffre, come sottolineato dal Papa stesso anche in un tweet successivo all’udienza:

    “Il desiderio di conoscere Dio realmente, cioè di vedere il volto di Dio è insito in ogni uomo, anche negli atei. E noi abbiamo forse inconsapevolmente questo desiderio di vedere semplicemente chi Egli è, che cosa è, chi è per noi. Ma questo desiderio si realizza seguendo Cristo (...) L'importante è che seguiamo Cristo non solo nel momento nel quale abbiamo bisogno e quando troviamo uno spazio nelle nostre occupazioni quotidiane, ma con la nostra vita in quanto tale. L'intera esistenza nostra deve essere orientata all’incontro con Gesù Cristo, all’amore verso di Lui; e, in essa, un posto centrale lo deve avere l’amore al prossimo”.

    Al termine delle catechesi e dei saluti nelle varie lingue, Benedetto XVI ha ricordato l’inizio, venerdì prossimo, della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani con questa esortazione:

    “Invito tutti a pregare, chiedendo con insistenza a Dio il grande dono dell’unità tra tutti i discepoli del Signore. La forza inesauribile dello Spirito Santo ci stimoli ad un impegno sincero di ricerca dell'unità, perché possiamo professare tutti insieme che Gesù è il Salvatore del mondo”.

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    Nuovo tweet di Benedetto XVI: amare è scoprire il volto di Cristo nel povero e nel sofferente

    ◊   Il Papa ha lanciato oggi un nuovo tweet, sintetizzando uno dei passi dell’udienza generale: “Se amiamo il nostro prossimo – scrive – scopriremo il volto di Cristo nel povero, nel debole, nel malato e nel sofferente”. L’account Twitter di Benedetto XVI ha superato nelle otto lingue i 2 milioni e mezzo di followers.

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    Il Papa nomina mons. Joseph Marino nunzio apostolico in Malaysia e in Timor Orientale

    ◊   Benedetto XVI ha nominato nunzio apostolico in Malaysia e in Timor Orientale e delegato apostolico in Brunei l’arcivescovo Joseph Marino, finora nunzio apostolico in Bangladesh.

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    Mons. Mamberti sulle sentenze della Corte europea dei diritti umani: minacciate libertà religiosa e di coscienza

    ◊   La Corte europea dei diritti dell'uomo ha reso pubbliche ieri le sentenze in quattro casi relativi alla libertà di coscienza e di religione che riguardano impiegati nel Regno Unito. Si tratta in due casi della possibilità di indossare una piccola croce al collo sul posto di lavoro, e negli altri due del diritto di fare obiezione di coscienza di fronte alla celebrazione di una unione civile tra persone dello stesso sesso e alla consulenza matrimoniale per coppie omosessuali. In un solo caso la Corte ha dato ragione al richiedente. A questo proposito, mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati, ha rilasciato una intervista alla Radio Vaticana. Ascoltiamo il presule al microfono di Olivier Bonnel:

    R. – Ces affaires montrent que les questions relatives à la liberté de conscience …
    Questi casi dimostrano che le questioni relative alla libertà di coscienza e di religione sono complessi, in particolare in una società europea caratterizzata dall’aumento della diversità religiosa e dal relativo inasprimento del laicismo. E’ reale il rischio che il relativismo morale che si impone come nuova norma sociale venga a minare le fondamenta della libertà individuale di coscienza e di religione. La Chiesa desidera difendere le libertà individuali di coscienza e di religione in ogni circostanza, anche di fronte alla “dittatura del relativismo”. Per questo, è necessario illustrare la razionalità della coscienza umana in generale, e dell’agire morale dei cristiani in particolare. Quando si tratta di questioni moralmente controverse, come l’aborto o l’omosessualità, deve essere rispettata la libertà di coscienza. Piuttosto che un ostacolo allo stabilimento di una società tollerante nel suo pluralismo, il rispetto della libertà di coscienza e di religione ne è condizione. Rivolgendosi, la settimana scorsa, al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Benedetto XVI sottolinea che: per salvaguardare effettivamente l’esercizio della libertà religiosa, è quindi essenziale rispettare il diritto all’obiezione di coscienza. Questa “frontiera” della libertà sfiora principi di grande importanza, di carattere etico e religioso, radicati nella stessa dignità della persona umana. Sono come i “muri portanti” di qualsiasi società voglia definirsi veramente libera e democratica. Di conseguenza, vietare l’obiezione di coscienza individuale e istituzionale, in nome della libertà e del pluralismo, aprirebbe al contrario – paradossalmente – le porte all’intolleranza e ad un livellamento forzato. L’erosione della libertà di coscienza testimonia altresì una forma di pessimismo nei riguardi della capacità della coscienza umana a riconoscere quanto è bene e vero, a vantaggio della sola legge positiva che tende a monopolizzare la determinazione della moralità. E’ anche il ruolo della Chiesa ricordare che ogni uomo, qualsiasi sia il suo credo, è dotato dalla sua coscienza della facoltà naturale di distinguere il bene dal male e quindi di agire di conseguenza. In questo risiede la fonte della sua vera libertà.

    D. – Recentemente, la missione della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa ha pubblicato una nota sulla libertà e l’autonomia istituzionale della Chiesa. Vuole illustrarcene il contesto?

    R. – La question de la liberté de l’Eglise dan ses rapports avec les autorités …
    Attualmente, la questione della libertà della Chiesa nei suoi rapporti con le autorità civili è all’esame della Corte europea dei diritti dell’uomo in due casi che riguardano la Chiesa ortodossa di Romania e la Chiesa cattolica. Si tratta dei casi Sidicatul ‘Pastorul cel Bun’ contro la Romania e Fernandez Martinez contro la Spagna. In questa occasione, la Rappresentanza permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa ha redatto una nota sintetica nella quale ha esporto il magistero sulla libertà e l’autonomia istituzionale della Chiesa cattolica.

    D. – Qual è il problema in queste due cause?

    R. – Dans ces causes, la Cour européenne doit décider si le pouvoir civil …
    In queste due cause, la Corte europea deve stabilire se il potere civile abbia rispettato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, avendo rifiutato di riconoscere un sindacato professionale di sacerdoti (per quanto riguarda la Romania), e rifiutando di nominare un insegnante di religione che pubblicamente professava posizioni contrarie alla dottrina della Chiesa (nella questione spagnola). Nei due casi, i diritti alla libertà d’associazione e alla libertà d’espressione sono stati invocati per costringere delle comunità religiose ad agire contro il loro statuto canonico e contro il magistero. Inoltre, questi casi mettono in questione la libertà della Chiesa di operare secondo le proprie regole, di non doversi sottoporre ad altre norme civili se non quelle necessarie al rispetto del bene comune e del giusto ordine pubblico. La Chiesa ha sempre dovuto difendersi per tutelare la propria autonomia di fronte al potere civile e alle ideologie. Oggi nei Paesi occidentali diventa importante sapere come la cultura dominante, fortemente caratterizzata dall’individualismo materialista e dal relativismo, possa comprendere e rispettare la natura specifica della Chiesa, che è una comunità fondata sulla fede e sulla ragione.

    D. – Come la Chiesa vive questa situazione?

    R. – L’Eglise est consciente de la difficulté à déterminer, dans une société …
    La Chiesa è consapevole della difficoltà di stabilire, in una società pluralista, i rapporti tra le autorità civili e le diverse comunità religiose rispetto alle esigenze della coesione sociale e del bene comune. In questo contesto, la Santa Sede richiama l’attenzione sulla necessità di conservare la libertà religiosa nella sua dimensione collettiva e sociale. Questa dimensione risponde alla natura essenzialmente sociale tanto della persona quanto del fenomeno religioso in generale. La Chiesa non chiede che le comunità religiose siano delle zone di non-diritto, quanto piuttosto che siano riconosciute come spazi di libertà in virtù del diritto alla libertà religiosa, nel rispetto del giusto ordine pubblico. Questa dottrina non è riservata alla Chiesa cattolica, i criteri che ne derivano sono fondati sulla giustizia e sono quindi di applicazione generale. Inoltre, il principio giuridico di autonomia istituzionale delle comunità religiose è largamente riconosciuto da quegli Stati che rispettino la libertà religiosa, nonché dal diritto internazionale. La stessa Corte europea dei diritti dell’uomo l’ha eunciato regolarmente in diversi casi importanti. Anche altre istituzioni hanno affermato questo principio. E’ il caso dell’Osce (l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) o ancora del Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite rispettivamente nel Documento finale del 19 gennaio 1989 della Conferenza di Vienna, e nell’Osservazione generale no. 22 sul diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione del 30 luglio 1993. E’ utile ricordare e difendere questo principio di autonomia della Chiesa e del potere civile.

    D. – Come si presenta questa Nota?

    R. – La liberté de l’Eglise sera d’autant mieux respectée qu’elle sera …
    La libertà della Chiesa sarà rispettata tanto meglio, quanto sarà ben compresa dalle autorità civili, senza pregiudizio. Sarà quindi necessario spiegare come è concepita la libertà della Chiesa. La Rappresentanza permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa ha quindi redatto una note sintetica che spiega la posizione della Chiesa attorno a quattro principi: la distinzione tra Chiesa e comunità politica; la libertà nei riguardi dello Stato; la libertà in seno alla Chiesa e il rispetto del giusto ordine pubblico. Dopo aver illustrato questi principi, la Nota cita inoltre estratti importanti della Dichiarazione sulla libertà religiosa “Dignitatis Humanae” e della Costituzione pastorale “Gaudium et Spes” del Concilio Vaticano II.


    Nella nota della Rappresentanza permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa si sottolinea innanzitutto che “la Chiesa riconosce la distinzione tra la Chiesa e la comunità politica, ciascuna delle quali ha scopi distinti; la Chiesa non deve essere confusa in alcun modo con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico. La comunità politica deve guardare al bene comune e garantire che, nel mondo, le persone possano vivere una vita tranquilla e pacifica". La distinzione tra Chiesa e comunità politica – spiega la nota - si basa sulle parole di Cristo: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio" (Mt 22, 21). “Nei loro rispettivi campi, la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti l'uno dall'altro e autonomi”. Tuttavia, “non si possono ignorare l'un l'altro” perché “in vari modi, servono gli stessi uomini”. Pertanto, svolgeranno questo servizio in maniera ancora più efficace per il bene di tutti quando “cercheranno ulteriormente tra di loro una sana cooperazione”, secondo le parole del Concilio Vaticano II (cfr Gaudium et spes, n. 76).

    In secondo luogo, prosegue la nota, “la Chiesa non rivendica privilegi, ma il pieno rispetto e la tutela della libertà di compiere la sua missione in una società pluralista. Questa missione e questa libertà, la Chiesa le ha ricevute entrambe da Gesù Cristo e non dallo Stato. Il potere civile deve sempre rispettare e proteggere la libertà e l'indipendenza della Chiesa”.

    Inoltre, “la Chiesa è consapevole del fatto che alcune religioni e ideologie possono opprimere la libertà dei loro fedeli”. A questo proposito, “la Chiesa riconosce il valore fondamentale della libertà umana” e “vede in ogni uomo una creatura dotata di intelligenza e di libera volontà. La Chiesa vede se stessa come uno spazio di libertà e prescrive delle norme per garantire il rispetto di questa libertà. Pertanto, tutti gli atti religiosi, per essere validi, richiedono la libertà di chi li compie”. “Ogni persona – prosegue la nota - ha il diritto di contestare il Magistero o le prescrizioni e le norme della Chiesa. In caso di disaccordo, chiunque può esercitare i ricorsi previsti dal diritto canonico e anche interrompere i rapporti con la Chiesa. Le relazioni all'interno della Chiesa, tuttavia, sono essenzialmente spirituali, non spetta allo Stato entrare in questa sfera e risolvere tali controversie”.

    Infine, per la Chiesa, le comunità religiose non sono aree di "non-diritto", “in cui le leggi dello Stato non si applicano più. La Chiesa riconosce la legittima competenza dell’autorità e delle giurisdizioni civili per assicurare il mantenimento dell'ordine pubblico”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In cerca del volto di Dio: l'udienza generale di Benedetto XVI sul tema della rivelazione.

    La libertà di coscienza è libertà di giudizio sul bene e sul male: l'arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, su una sentenza della Corte di Strasburgo.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, l'intensificarsi delle violenze in Siria.

    Mai stupirsi con Tarantino: in cultura, Gaetano Vallini recensisce "Django Unchained": una scelta controcorrente di raccontare lo schiavismo in America con un western. Ma il risultato stavolta non è brillante.

    Isabella Farinelli sull'India dei Moghul alla British Library: in mostra manoscritti, stampe, statue e dipinti.

    Il vero dramma è la perdita di spiritualità: Stefano Girola su tensione morale, civile e religiosa nell'album del cantautore Massimo Bubola.

    Nell'informazione religiosa, Norbert Hofmann, segretario della Commissione per i rapporti con l'ebraismo, sulla "Nostra aetate", un grande patrimonio da valorizzare.

    Quella terribile fame di Dio: nell'informazione vaticana, intervista di Mario Ponzi al cardinale presidente Robert Sarah alla vigilia della plenaria di Cor Unum.

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    Oggi in Primo Piano



    Conflitto in Mali, da Germania e Italia apporto logistico alle forze francesi

    ◊   La Francia “non persegue nessun interesse” economico in Mali. E’ quanto ha dichiarato oggi il presidente francese Hollande aggiungendo che l’unico interesse di Parigi è la pace. Per sostenere l’impegno francese nell’impedire l’avanzata delle forze ribelli jihadiste, l’Italia fornirà concreto sostegno logistico. La Germania metterà a disposizione della Francia aerei militari da trasporto. Sul conflitto in Mali, dove proseguono gli scontri tra esercito e ribelli islamici, Antonella Palermo ha intervistato Enzo Nucci, corrispondente Rai per l’Africa sub sahariana:

    R. - C’è il rischio che il Mali diventi l’Afghanistan della Francia, che il Paese rimanga impantanato in un conflitto da cui poi sarà difficile uscire. Assisteremo all’ennesimo fallimento: un governo centrale, quello di Bamako, che farà qualche riforma, per guadagnare un minimo di credibilità; un ripiegamento tattico degli estremisti islamici per poi far ripartire questa guerra, fra qualche tempo, in grande stile, come è successo in Afghanistan e precedentemente in Vietnam. E’ una brutta guerra; è una guerra come tutte le guerre, che sappiamo non risolvono i conflitti, ma anzi a volte li esaltano; è una guerra molto difficile, perché il Mali è anche – ricordiamolo – un importante porto strategico di arrivo della cocaina dal Sud America, con un governo centrale, quello di Bamako, che è debolissimo e che è stato abbattuto appunto da un colpo di Stato, proprio perché si è dimostrato incapace e inadatto a fermare la rivolta dei tuareg. Quindi, un’autorità centrale, priva di autorevolezza e di credibilità politica, non riuscirà sicuramente poi a governare un processo di pacificazione in queste zone percorse da sempre da forti segnali di autonomia.

    D. - Rivendicano, per esempio, più autonomia i tuareg ...

    R. - I tuareg è da tempo che chiedono autonomia, anche giustamente, perché i confini di questi Paesi sono stati disegnati da noi occidentali, da noi europei, e spesso l’idea di confine non ha alcun senso per queste popolazioni che sono nomadi e che si spostano da un Paese all’altro. Poi c’è anche la questione economica, purtroppo, come al solito. Ricordiamo che il Mali è il terzo produttore di oro al mondo e questa è quindi una causa. In realtà, però, la vera posta in gioco è la partita che si sta giocando nel confinante Niger.

    D. - Qual è il ruolo del Niger?

    R. - Il Niger è il quinto produttore mondiale di uranio. La Francia ha in questo Paese, in Niger, la presenza d’importanti società, che sono multinazionali, e l’uranio estratto in Niger alimenta 59 centrali nucleari francesi, che provvedono all’80 per cento del fabbisogno dell’energia della Francia. Per assurdo, ricordiamo che il Niger, pur essendo produttore di uranio, ottiene la sua elettricità dai combustibili fossili o importandola dalla Nigeria. In questo Paese confinante, dove sono molto attive le società francesi, va detto che si vive una situazione altrettanto instabile. Anche il Niger ospita basi di terroristi islamici ed è sempre sull’orlo di una crisi. Questo intervento in Mali è un po’ una sveglia che la Francia vuole dare anche al Niger di non cercare altre strade, perché vuole continuare a mantenere il monopolio dell’uranio, che è la vera partita in gioco. E’ una situazione difficile che prevede una risoluzione lunga, sanguinosa e non facile.

    Sulla situazione in Mali, Antonella Palermo ha raccolto la testimonianza di Massitan Konitè, maliana immigrata a Trento da 17 anni, appena rientrata in Italia dal Paese africano:

    R. - La gente era spaventata. Tutti avevano paura. Si parlava solo della guerra. Quando sono arrivata, c’era appena stata un’irruzione in una moschea. Estremisti erano venuti dicendo che erano arrivati dei tuareg a pregare; invece erano degli estremisti, dei ribelli armati, non con fucili, ma con coltelli. Pare che abbiano strangolato quasi tutti quelli che si trovavano lì. È stato il panico per tutti. La gente si è convinta che potevano arrivare non solo al nord del Mali ma ovunque. La figlia di una mia amica viveva a Gao con suo marito. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata insieme.

    D. - Che cosa le ha raccontato?

    R. - Lei mi ha detto che queste persone sono arrivate prima cercando di entrare come fanno gli stranieri di solito, che cercano prima di tutto abitazioni in affitto. Questi però erano disposti a pagare più del solito per avere un riparo. Una volta che uno o due vengono accolti in casa, questi cominciano a maltrattare la gente, a partire dal capo di famiglia imponendo le loro regole, altrimenti uccidono tutti. Sono stata lì due mesi e vivevamo tutti con la paura, con terrore. Si diceva che fermavano gli autobus di linea che venivano anche da Gao o dal Niger. Li fermavano in campagna e facevano scendere tutti i passeggeri e loro salivano al loro posto. In questo modo avevano la possibilità di arrivare anche in città. Avevamo tutti paura, chiudevamo le porte. Dicono che in città facevano irruzione nelle case. Se eri un militare o figlio di militare ti uccidevano subito. Le donne dovevano essere vestite in un certo modo, dovevano indossare il burka. Anche gli uomini dovevano seguire delle regole dure altrimenti, venivano tagliate le mani i piedi, le orecchie...

    D. - Come sono stati accolti i soldati francesi?

    R. - Bene. Con gioia, con grandissima speranza. Eravamo felici di vederli arrivare. Li ho visti arrivare attraverso la televisione non di persona, ma quando abbiamo visti questi soldati, è tornata in tutti la speranza.

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    Usa: attesa per l'iniziativa di Obama sul possesso di armi. Restrizioni a New York

    ◊   Ad un mese dalla strage della scuola elementare di Sandy Hook, lo Stato di New York è stato il primo ad approvare una legge restrittiva sul controllo delle armi. Grande attesa per la proposta che Barack Obama presenterà oggi all'intera nazione, ma la potente lobby delle armi non è pronta ad alcun compromesso e promette lotta in Parlamento. In mattinata, intanto, si è anche diffusa la notizia dell’uccisione di due persone e il ferimento di una terza da parte di un uomo, in un parcheggio di un college del Kentucky. Da Washington, Francesca Baronio:

    Lo Stato di New York inasprisce la legge sul controllo delle armi. Ampliata la lista di armi d’assalto messe al bando, ridotta la capacità dei caricatori in vendita, ma anche maggior controllo sul profilo degli acquirenti. La legge, fortemente voluta dal governatore democratico Andrew Cuomo ricacalca le linee guida della riforma nazionale affidata al vicepresidente Joe Biden, che sarà presentata oggi da Barack Obama. Con ogni probabilità, sarà reintrodotto il bando alle armi d’assalto, che è stato in vigore sino al 2004, e saranno proposti controlli più severi sugli acquisti. Secondo un sondaggio di ABC e Washington Post, la maggioranza degli americani è favorevole ad una legislazione più rigida. Ma l’annuncio di misure restrittive ha fatto da traino alle vendite del settore che per il New York Times, sono aumentate quasi del 60% rispetto a dicembre 2011. Certo è che per Obama si apre un’altra grande battaglia. La potente lobby delle armi, la Nra, continua ad incrementare il numero d’iscritti e appellandosi al Secondo emendamento promette guerra al Congresso.

    Per un commento sull'iniziatia di Obama, Massimiliano Menichetti ha intervistato Gregory Alegi, docente di Storia e istituzioni dell’America del Nord, alla Luiss di Roma:

    R. – Lo Stato di New York è ormai da molti anni su posizioni più restrittive rispetto al resto degli Stati Uniti. Se guardiamo il contenuto di queste norme, sono quelle che da un punto di vista europeo definiremmo di buon senso, perché evidentemente c’è una differenza tra il possesso di armi da difesa personale – le pistole – e le armi d’assalto con caricatori ad alta capacità, che a noi sembrano difficili da giustificare. Diciamo che la decisione di New York non sorprende né rispetto alla tradizione dello Stato, che da almeno 20 anni è su una strada di restrizione del possesso delle armi, né in termini di contenuti, perché è stato fatto un provvedimento ad armi che il cittadino non ha nessun bisogno di possedere.

    D. – La proposta del presidente Barack Obama, restrittiva, incontra il “no” della cosiddetta lobby delle armi, che annuncia battaglia in Parlamento. In America, c’è consapevolezza di voler cambiare qualcosa che è stato così fino adesso, oppure si sta ragionando sulla scia emotiva di quanto accaduto a Newtown?

    R. – Indubbiamente l’emozione, lo shock di Newtown gioca un ruolo importante. Sotto altri aspetti, si tratta in realtà di un ritorno al passato. Ricordiamoci che fino al 2004 era in vigore una limitazione sulle armi d’assalto che, scaduto il termine, non è stata rinnovata. Le limitazioni c’erano e in larga parte si tratterebbe di ripristinarle. Da un punto di vista politico, la difficoltà che incontra il presidente Obama è quella di un presidente che non ha la maggioranza parlamentare. Il partito democratico, tendenzialmente più favorevole ad una qualche forma di controllo, ha la maggioranza solo in Senato, mentre la Camera è repubblicana e due terzi dei deputati, nel complesso, ha ricevuto l’endorsement, l’approvazione massima, il voto A, dalla "National Right of Association" (Nra), quindi dalla lobby dei proprietari di armi. Questo ci fa capire che quali che siano le limitazioni che Obama intende proporre al Paese, la difficoltà sarà farle approvare soprattutto dalla Camera. Se passano la Camera, il Senato non avrà alcun problema a ratificarle. Tanto che sui giornali americani si specula sul fatto che il presidente possa sottoporre il disegno di legge prima al Senato, dove incontrerebbe minori difficoltà, in modo da mettere la Camera spalle al muro e mettere i repubblicani nel ruolo dei cattivi. Anche perché il presidente sa bene che nei sondaggi una maggioranza, sia pur non enorme, dei cittadini, dopo Newtown, è sfavorevole a restrizioni.

    D. – Secondo alcuni osservatori, questa azione diretta di Obama, in un certo qual modo, andrebbe a comprimere un Congresso già indebolito...

    R. – Indubbiamente, negli Stati Uniti la tendenza degli ultimi 15 anni è quella di una cattiva immagine della politica, per motivi diversi, ma con risultati sostanzialmente non diversi da quelli che vediamo anche noi in Italia. Quindi, il tentativo di caratterizzare soprattutto la Camera come forza contraria agli interessi profondi del Paese è una strategia che potrebbe funzionare e se funzionasse darebbe a Obama una carta in più per il resto del suo mandato. Attualmente, tutti i provvedimenti più ampi, più riformatori, più innovatori di Obama si scontrano con una Camera sostanzialmente contraria.

    D. – Per capire il volto del popolo statunitense, la domanda per un europeo può essere: come sia possibile che armi d’assalto siano vendibili, comprabili, cedibili...

    R. – C’è un emendamento alla Costituzione che tutela il diritto di possedere e portare armi. Questo è un emendamento nato subito dopo la ratifica, quindi alla fine del ‘700, ed era legato al fatto che i coloni americani erano contrari agli eserciti permanenti. Avendo visto un esercito, quello del re inglese, come oppressore, non volevano che la nuova Repubblica potesse dotarsi di un esercito come polizia interna. Quindi, la soluzione è: la milizia saremo noi, pronti a intervenire a difendere la libertà, l’indipendenza, se ce ne fosse bisogno. E’ evidente a tutti che negli ultimi 220 anni lo scenario è profondamente cambiato. Questa tutela costituzionale, quindi, del diritto di portare armi, per quanto faccia parte della storia stessa della nazione, deve necessariamente essere rivista alla luce della realtà odierna. In una società come quella di oggi, l’arma d’assalto non si giustifica.

    D. – Il popolo americano, secondo lei, è consapevole di un passaggio anche istituzionale profondo che si andrebbe a compiere?

    R. – Sì e no, perché la geografia politica degli Stati Uniti è molto diversa da quella alla quale noi siamo abituati a pensare. L’America libera, progressista, della traiettoria roosveltiana, kennedyana, che ha affascinato tanto l’Europa, è ormai soltanto un ricordo. Sono almeno 30 anni che c’è questa inversione di polarità, a favore di un conservatorismo e di una chiusura, che indubbiamente hanno cambiato molti atteggiamenti. Basti pensare che l’Nra, appunto l’associazione dei proprietari di armi, ha detto che la soluzione alla strage era quella di armare i docenti. Questa è una cosa che in Europa nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di pensare, prima ancora di dire.

    D. – L’utilizzo, il possesso di così tante armi negli Stati Uniti, è anche espressione di un forte disagio, che invece chiamerebbe in causa il rafforzarsi di alcune politiche sociali, sanitarie a favore del cittadino...

    R. – Da un punto di vista europeo, credo non si possa sfuggire a questa sua conclusione. La difficoltà è proprio quella di immergersi nel clima degli Stati Uniti di oggi, dove questi temi non sono sentiti come molto forti. Possiamo vederci un po’ tutte le contraddizioni dell’America di oggi, che si rende conto, perché lo sperimenta, perché lo vive, dell’utilità di certe soluzioni, ma quando poi vengono prospettate tende invece a richiudersi e a rifiutarle.

    D. – Ma il perché di questa contraddizione qual è?

    R. – C’è un ritorno a quella che era una matrice iniziale, chiamiamo una lettura errata della sussidiarietà. Mi fido della mia comunità, di quello che mi è vicino, di quello che conosco, e invece non ho alcuna fiducia in ciò che è lontano da me, come un governo centrale. Questa potrebbe essere una lettura, un richiudersi nella propria piccola comunità.

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    Tensione in Pakistan dopo il mandato d'arresto contro il premier Ashraf

    ◊   Il Pakistan nel caos dopo il mandato d’arresto emesso dalla Corte Suprema nei confronti del primo ministro, Raja Pervez Ashraf, con l’accusa di aver intascato tangenti ai tempi in cui ricopriva la carica di ministro dell’Economia. Sulle conseguenze interne e internazionali di un eventuale caduta del governo di Islamabad, Giancarlo La Vella ha intervistato Elisa Giunchi, docente di Storia e Istituzioni dei Paesi islamici all’Università di Milano:

    R. – Anche in presenza delle eventuali dimissioni di Ashraf, comunque il governo potrebbe rimanere in carica fino alla fine del suo mandato e si potrebbe quindi arrivare fino alle elezioni. Ma la grande instabilità, quello che sta accadendo ci ricordano quali siano le insoddisfazioni nel Paese, le insoddisfazioni della classe media verso un governo percepito come corrotto, inefficiente, distante dai bisogni reali della gente e soprattutto, l’ostilità da parte dell’uomo comune che vive una situazione di grandissima difficoltà economica, di instabilità politica.

    D. – Il Pakistan è sempre stato un’area strategica per il terrorismo internazionale. Una crisi istituzionale, anche nel caso in cui dovesse coinvolgere ad esempio il presidente Ali Zardari, può dare più spazio a gruppi eversivi, primo tra tutti al Qaeda?

    R. – Io credo che la crisi sarà contenuta: solo l’anno scorso la Corte Suprema aveva costretto alle dimissioni il premier precedente, Gilani, che si era rifiutato di aprire un’inchiesta per corruzione relativa a Zardari, senza che il governo crollasse. Il Paese rimane in uno stato di quasi-implosione … ma non credo che sia questo evento che possa far precipitare la situazione nel Paese. Questa crisi è vista con particolare preoccupazione da Washington proprio perché al Qaeda continua ad operare nel Nord-Ovest del Paese, in Kashmir e in Afghanistan, con una qualche forma di connivenza da parte dei settori dell’esercito e dei servizi segreti pakistani. Certo, da più parti si è detto che dietro all’ordine di arresto della Corte Suprema potrebbero esserci le forze armate che sarebbero interessate a governare da dietro le quinte e quindi ad evitare che il Partito popolare pakistano, attualmente al governo, cerchi di erodere il potere delle forze armate, in particolare il controllo che le forze armate esercitano tuttora su due settori vitali, che sono quello della politica regionale, in particolare nei confronti dell’Afghanistan e del nucleare. E quindi, il timore è che se le forze armate riuscissero non ad andare al potere direttamente, perché probabilmente non lo vogliono fare, ma anche solo a controllare un governo provvisorio di tecnocrati o di gruppi affiliati ad al Qaeda o simpatizzanti per al Qaeda, possano consolidare la propria presenza e la propria attività nel Nordovest del Paese.

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    A Diyarbakir i funerali delle tre militanti curde uccise a Parigi

    ◊   Si tengono oggi a Diyarbakir, la capitale del Kurdistan turco i funerali delle tre militanti curde legate al Pkk, ritrovate morte giovedì scorso a Parigi. Ieri nei pressi della capitale francese, prima del rimpatrio, in tanti, provenienti da Italia, Austria, Germania e Gran Bretagna, hanno reso omaggio alle salme. Nel frattempo, stanno continuando i raid turchi contro obiettivi curdi nel Nord dell'Iraq. Diversi analisti hanno collegato l'assassinio con le trattative avviate per una soluzione politica del conflitto del Kurdistan turco dal governo di Ankara con Ocalan, il leader del Pkk detenuto nell'isola carcere turca di Imrali. Del negoziato e della questione curda Fausta Speranza ha parlato con il prof. Raffaele Marchetti, docente di relazioni internazionali all’Università Luiss di Roma:

    R. - Naturalmente da parte di Ankara l’interesse è di tipo politico ma anche economico. Sappiamo che, ad esempio, nel territorio curdo in Iraq c’è un’intensa crescita economica. Da questo punto di vista il governo turco potrebbe sfruttare molto - in termini economici - questo tipo di accordo. Quello che il governo turco può o cerca è naturalmente la risoluzione della questione militare, e quindi l’immediata consegna delle armi e il cessate il fuoco.

    D. - Invece Ankara quali concessioni potrebbe fare?

    R. - Concessioni in termini di autonomia, che sono quelle che oggi i partiti e i gruppi curdi cercano. È stata in qualche modo abbandonata la vecchia aspirazione all’indipendenza, e quindi si cercano misure meno repressive nei confronti dei partiti e delle associazioni curde, si cercano ad esempio riconoscimenti della lingua curda, e quindi un suo uso maggiore nell’educazione nelle scuole pubbliche turche, e si cerca anche un riconoscimento in qualche modo politico.

    D. - Ci ricordava che la questione curda non è soltanto questione turca ma è di tutta l’area. Dunque, che cosa ipotizzare circa i possibili sviluppi dopo questo negoziato che riguarda strettamente la Turchia?

    R. - Naturalmente se questo tipo di colloquio sfociasse in un processo di pacificazione, avrebbe degli effetti positivi su tutta l’area e permetterebbe alla Turchia di avere una capacità di intervento oltre confine, come in Siria, in Iraq - naturalmente la parte iraniana è molto più complessa - e quindi in qualche modo agevolerebbe quella politica di proiezione internazionale che la Turchia ormai persegue da molti anni. Certamente, questo sarebbe un fattore che permetterebbe di stabilizzare, o quanto meno di ridurre, l’instabilità Mediorientale.

    D. - Ricordiamo i Paesi che sono toccati dalla questione curda?

    R. - In primis naturalmente la Turchia, poi l’Iraq, la Siria e l’Iran, anche se in parte minore.

    D. - Una parola sulla vicenda dell’uccisione delle tre militanti curde avvenuta a Parigi una settimana fa…

    R. - È naturalmente un assassinio di prim’ordine che crea dei problemi alla trattativa in corso tra il governo turco e le parti curde. Naturalmente, non si sa chi ci sia dietro, ma possiamo immaginare che gli attori dietro questo tipo di assassinio siano coloro che sono contrari alla trattativa di pace; quindi parti all’interno sia della compagine turca, sia all’interno di quella curda più estremiste, nazionaliste o militanti. Queste sono parti che probabilmente non vedono di buon occhio questo tipo di trattative. Poi ci sono anche illazioni sul coinvolgimento di altri attori, come ad esempio i siriani, che certamente non hanno interesse riguardo il fatto che la questione curda venga risolta dalla Turchia.

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    Presentato il 43.mo Forum di Davos in calendario dal 23 al 27 gennaio

    ◊   E' stata presentata oggi in Svizzera la 43.ma edizione del Forum di Davos, che si terrà la prossima settimana, dal 23 al 27 gennaio. Tra i temi al centro dell'incontro, che vedrà discutere dozzine di capi di Stato e di governo di tutto il mondo, la gli scenari della crisi economica e le situazioni di crisi in Medio Oriente e Nord Africa, con numerose personalità istituzionali in arrivo dalle due aree, tra cui i premier di Israele, Egitto, Libia, Tunisia e Marocco. Da Ginevra, Silvana Bassetti:

    Il primo ministro italiano Monti terrà il discorso di apertura del Forum e, assieme al collega russo Medvedev, l'omologo britannico Cameron e alla cancelliera tedesca Angela Merkel, sarà tra i prestigiosi ospiti della 43.ma edizione del World economic Forum (Wef), l'appuntamento che ogni anno riunisce nella località alpina svizzera di Davos esponenti di spicco del mondo economico e politico per dibattere delle grandi sfide globali. Dal 23 al 27 gennaio, più di 2.500 ospiti di oltre 100 Paesi dibatteranno del tema ''Resilient Dynamism'', ovvero del dinamismo della capacità di ripresa.

    "Essere resiliente è essere in grado di adattarsi al contesto in continuo movimento, resistere agli shock improvvisi e riprendersi", ha affermato il fondatore e presidente del Forum, Klaus Schwab. "In futuro inoltre, la crescita richiederà maggiore dinamismo'', ha aggiunto. Per dibatterne la settimana prossima a Davos, sono stati invitati quasi 50 tra capi di Stato e primi ministri di ogni continente e oltre 1.500 presidenti e amministratori delegati delle più grandi imprese. Presenti inoltre responsabili di organizzazioni internazionali, come il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde ed il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. Per quanto riguarda gli assenti, spicca il presidente francese François Hollande e la mancanza di rappresentanti di primo piano dagli Stati Uniti e dalla Cina. L'obiettivo del Forum di Davos - ha ricordato Schwab - non è di adottare dichiarazioni finali o decisioni. Davos è invece un laboratorio di idee.

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    Rapporto Eurispes-Telefono Azzurro: adolescenti in balia di web e cellulari. Adulti assenti

    ◊   Bambini e ragazzi sempre più immersi nella Rete, alle prese con cellulari e smathphone, ma anche con le lusinghe del gioco d’azzardo. Presentato stamani a Roma il Rapporto 2012 sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, curato da Eurispes e Telefono Azzurro, focalizzato quest’anno sull’impatto dei nuovi media nelle scelte e nei comportamenti, di vita dei giovanissimi in famiglia, a scuola, nella società. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Un adolescente su quattro, tra i 12 e i 18 anni, ha ricevuto sms, mms e video a sfondo sessuale. Lo chiamano "sexting", va di moda. Un dato più che raddoppiato in un anno e al 30% dei ragazzini ha fatto piacere farlo, un altro 30% lo ha trovato divertente. Un adolescente su quattro ha inoltre subito episodi on line di cyber-bullismo: foto imbarazzanti, video spiacevoli, pettegolezzi e falsità. E se nella Rete c’è di tutto, è un luogo comune, oltre il 30% di bambini e ragazzi vi cerca immagini pornografiche, un altro 30% corpi palestrati, ma anche inneggiamenti alla violenza e all’odio razziale (13,1%) e al compimento di altri reati (12,1%) e perfino informazioni su anoressia (9,9%) e suicidio (4,9%). E poi c’è la dipendenza dal web: il 70% dichiara di averla provata almeno una volta. Del resto, il 16% vi naviga per oltre 4 ore al giorno, il 22,8% da due a 4 ore. E poi c’è il cellulare: altre 4 ore e più di consumo quotidiano per il 40% degli adolescenti, mentre la Tv il 20% la guarda da 2 a 4 ore al giorno. L’infanzia tentata anche dal gioco d’azzardo: un bambino su quattro, tra 7 e gli 11 anni gioca on line, alle lotterie, al gratta e vinci, al bingo, alle slot machine e perfino al videopoker. Gli adolescenti giocano molto anche nelle sale giochi e sul web prediligono le scommesse sportive. Genitori e adulti quasi sempre assenti, solo pochissimi mettono filtri alla rete, controllano, conoscono le password dei ragazzi. Ernesto Caffo, neuropsichiatra infantile, presidente e fondatore di Telefono Azzurro:

    R. – Questo Rapporto ci dà una lettura dei problemi che stanno emergendo sempre di più. Da una parte, è la presenza crescente dei ragazzi nella rete, che sovente li porta a una vita quotidiana di collettività con i coetanei, talvolta vissuta in modo compulsivo. Dall’altra parte, sono i fenomeni come il gioco d’azzardo – che entra nella rete, spesso senza controllo – con tutti i rischi che questo può comportare e molte volte questi ragazzi, anzi quasi sempre, svolgono attività, anche talvolta improprie nella Rete, da soli, senza un accompagnamento degli adulti e senza una scuola attenta a prepararli a questo rapporto con il mondo virtuale.

    D. – Dove sono gli adulti, dove sono i genitori nella vita di questi nostri ragazzi? Mi chiedo anche dov’è lo Stato, nel caso del gioco d’azzardo?

    R. – Diciamo che, l’infanzia molte volte non è presente nelle politiche dello Stato e d’altra parte, spesso, la famiglia si sente inadeguata di fronte all’ingresso dei ragazzi nel mondo delle nuove tecnologie. Sono impreparate e vedono, molte volte, la Rete come qualcosa che non appartiene a loro. I ragazzi, ad esempio, affrontano la violenza tra coetanei fra di loro, e i problemi legati a tutta quella serie di situazioni improprie, anche di adescamento – che avvengono nella rete – talvolta, vengono segnalati dai ragazzi direttamente agli organi di Polizia. E la scuola, in tutto questo percorso, pur avendo oggi tante tecnologie a disposizione purtroppo non sa usarle in modo pieno, perché gli insegnanti non sono ancora preparati a questo tipo di sfida.

    D. – Dott. Caffo, annualmente escono questi rapporti con tante osservazioni critiche, che poi scompaiono dai giornali nel giro di qualche giorno. Forse, proprio i media dovrebbero prendersi carico di responsabilizzare i genitori e gli adulti per tutto l’anno…

    R. – E’ necessario che ci sia una forte attenzione del mondo della comunicazione per il futuro dei nostri ragazzi, anche perché, ad esempio in questa fase elettorale si parla di tante cose, ma non si parla mai di nuove generazioni, non si parla mai dello sviluppo delle capacità dei nostri giovani, che poi saranno coloro che guideranno il Paese nel futuro. E come se i bambini attirassero la cronaca soltanto quando qualcosa di drammatico li coinvolge. Credo che dobbiamo far sì invece che stabilmente ci sia una riflessione su questo versante. Credo che gli sforzi del mondo associativo, della società civile, debbano in qualche modo unirsi a quello dei media, perché questi elementi formativi possano stimolare gli adulti ad avere maggior impegno per la tutela dei bambini.

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    Essere rifugiati nella crisi: nasce "RE-Lab" per aiutare nella costruzione d'impresa

    ◊   Trovare un lavoro, un alloggio, in un momento di crisi come quello che si sta vivendo in Italia, è impossibile per chiunque, ancor di più per gli stranieri e, tra loro, soprattutto per i rifugiati. La maggior parte è disoccupata, gli altri sono impiegati in lavori che non riflettono l’esperienza pregressa o il titolo di studio. Il progetto "RE-Lab" intende supportare queste persone aiutandole in progetti di micro-impresa, tenendo anche conto che, in controtendenza con gli altri dati, la partecipazione di stranieri ad attività indipendenti quest’anno è cresciuta: oltre il 57% dei titolari di imprese in Italia sono infatti stranieri (Dossier Statistico Immigrazione 2012 Caritas Migrantes). Francesca Sabatinelli ha intervistato Giampietro Pizzo, presidente di Microfinanza e sviluppo, associazione partner del progetto "RE-Lab", promosso da Ilo, Cir, Micro Progress Onlus, Comune di Venezia e diretto a titolari di protezione internazionale:

    R. – I rifugiati, titolari di protezione internazionale, sono doppiamente in difficoltà dal punto di vista della possibilità di costruire un progetto non solo di lavoro, ma di vita. Oggi, la condizione economica e sociale di crisi rende estremamente difficile l’accesso al mercato del lavoro. Sono in difficoltà perché, all’interno delle stesse comunità straniere, queste persone si ritrovano spesso prive di un capitale sociale, di una struttura di relazioni e di accompagnamento nel nuovo luogo in cui vivono e dove possono cercare una forma di autonomia. Allora, lavorare sulla capacità di costruire un percorso di autonomia e di affermazione individuale diventa fondamentale. L’idea è, in un tempo relativamente breve, di identificare queste persone, formarle, accompagnarle, finanziarle, per permettere loro di avviare un progetto d’impresa e fare in modo che, soprattutto durante la fase più critica, più difficile, di inizio, di start-up dell’impresa, possano essere accompagnate e assistite.

    D. – Sicuramente, un progetto estremamente interessante e soprattutto di grande aiuto. Però, non possiamo non calcolare che è un progetto che si scontra con dinamiche istituzionali in Italia, che sono tra le peggiori in Europa per quanto riguarda l’accoglienza dei rifugiati…

    R. – Quello che noi vorremmo fare è costruire in maniera molto pratica, concreta, condizioni di diversa cooperazione e collaborazione istituzionale. Non è tutto nero e non è tutto impossibile. Esistono operatori territoriali competenti, esistono istituzioni finanziarie di credito specializzate nel riuscire a risolvere i problemi di accesso al credito di persone considerate non "bancabili". Esistono enti locali che da anni lavorano su questi temi. Sicuramente, la situazione non è facile, non partiamo da una situazione di vantaggio ma, probabilmente, a partire da questa esperienza concreta, da questa sfida che vogliamo assumere, vogliamo misurare come sia possibile modificare comportamenti, assumere diverse responsabilità e, soprattutto, risolvere incomprensioni fondamentali.

    D. – Quante persone coinvolgerà il progetto e quali sono i tempi?

    R. – Il progetto mira ad identificare inizialmente un numero limitato di persone, tra 90 e 120, che saranno selezionate e che quindi accederanno ad un percorso formativo molto operativo. Non si tratta semplicemente di dare un’infarinatura, ma di portare queste persone a formulare un progetto di impresa che potrebbe essere anche di tipo cooperativo, o di inserimento in strutture esistenti. Alla fine di questo percorso formativo, si arriverà a formulare almeno 20 business-plan, e questi 20 business-plan saranno accompagnati nel momento più difficile che è quello della valutazione del loro finanziamento presso istituzioni finanziarie. Il progetto mette comunque a disposizione una dotazione di capitale economico di base che consenta quindi a queste imprese di fare leva anche tra i fondi propri e il credito richiesto.

    D. – Tra gli immigrati c’è un tasso di disoccupazione spaventoso, ma c’è anche un tasso di sottoccupazione: ci sono persone che sono estremamente qualificate, ma che in Italia non riescono assolutamente a dar vita a questa loro professionalità…

    R. – Non c’è dubbio. La situazione dalla quale partiamo è una situazione drammatica. Il 50% degli stranieri in Italia oggi ha problemi occupazionali e la sottoccupazione. Il non rispetto delle condizioni minime di lavoro, l’informalità, l’illegalità sono una piaga per quanto riguarda moltissimi stranieri nel nostro Paese. E’ evidente che il nostro progetto non ha l’ambizione di dare una risposta strutturale, però quello che vorremmo fare è costruire un metodo: verificare se attraverso questa strada sia possibile costruire una buona pratica da proporre poi a molti altri enti locali, a molte altre istituzioni e, in primis – direi – ai Ministeri competenti, che in questo caso sono coinvolti direttamente nel progetto: il Ministero degli Interni e il Ministero del Lavoro. Il problema è costruire buone pratiche davvero, che costruiscano quindi anche una base di riflessione per modificare le policy e quindi probabilmente per definire anche percorsi diversi di azione che coinvolgano i territori. In questo momento, da un punto di vista lavorativo è fondamentale dimostrare che gli stranieri e i rifugiati sono una risorsa per l’Italia e quindi non sono un problema.

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    Lanciata a Roma la Campagna di Libera contro la corruzione

    ◊   La sottoscrizione da parte di tutti i candidati alle prossime elezioni politiche, di cinque impegni stringenti contro la corruzione, una delle cause principali in Italia della disoccupazione, della crisi economica, degli sprechi e delle ineguaglianze sociali. E’ l'obiettivo di “Senza corruzione. Riparte il Futuro”, la campagna lanciata oggi a Roma dall’Associazione Libera e dal Gruppo Abele. Secondo gli organizzatori, questo è il momento di far valere il diritto di ogni cittadino a conoscere chi andrà in parlamento e a chiedere, a quello che sarà il nuovo governo, un impegno più efficace nella lotta a ogni tipo di corruzione. Adriana Masotti ne ha parlato con Francesca Rispoli, coordinatrice nazionale di Libera:

    R. – La corruzione incide moltissimo. C’è un dato che viene divulgato spesso, che ci parla di 60 miliardi di euro persi l’anno, che vuol dire mille euro per ogni cittadino. In realtà, noi sappiamo che questo dato è sottostimato e che sono molti di più, purtroppo, i miliardi di euro che si perdono in corruzione, perché oltre a quelli che vengono spesi per le tangenti – e quindi proprio per la parte "concreta" della corruzione – vi sono tutti quelli che non vengono guadagnati perché la corruzione blocca il Pil.

    D. – La vostra campagna prevede cinque impegni che dovrebbero essere sottoscritti da chi vuole rappresentarci. Quali sono?

    R. – Il primo impegno è quello di pubblicare il proprio curriculum vitae, evidenziando quindi anche la storia personale del candidato. Il secondo, è pubblicare la storia di eventuali precedenti penali e processuali. Ancora, l’impegno a pubblicare la propria situazione reddituale e patrimoniale, quindi per la trasparenza massima anche dei redditi, e poi rendere noti eventuali conflitti d’interesse. Da ultimo, l’impegno concreto che chiediamo è di rendere attiva, nei primi cento giorni di governo, la modifica dell’articolo 416 ter. L’articolo è quello relativo al voto di scambio: oggi prevede che possa essere colpito e sanzionato soltanto il voto di scambio che venga effettuato tramite passaggio di denaro, mentre invece noi chiediamo che possa essere prevista anche la dicitura “altra utilità”. Siccome molto spesso i voti vengono venduti per appalti, per posti di lavoro, ecc…, questo è quanto dovrebbe prevedere la legge per poter colpire con maggiore precisione il voto di scambio.

    D. – In pratica, questa campagna come funziona? Voi vi rivolgete direttamente ai candidati o agli elettori?

    R. – Noi ci rivolgiamo a tutti: ci rivolgiamo alla cittadinanza e in questa fase anche ai candidati. E’ importante dire ai candidati che ci sono tanti cittadini che hanno l’attenzione molto alta su questo tema, quindi il fatto di sottoscrivere la piattaforma da parte dei cittadini – e abbiamo già raccolto oltre cinquemila firme appena è partita la petizione – farà anche da strumento di pressione nei riguardi dei candidati: cioè, farà capire loro che il tema della corruzione sta a cuore a tantissimi cittadini.

    D. - E’ una raccolta che avviene tramite Internet?

    R. – Si, esatto, attraverso la piattaforma “riparteilfuturo.it” su cui si possono trovare anche i primi firmatari e alcuni testimonial d’eccellenza che vogliono incarnare il senso della lotta contro la corruzione: dal mondo della letteratura a quello dell’arte a quello della musica.

    D. – Un impegno, immagino, che non si fermerà a elezioni fatte ma andrà oltre…

    R. – Sicuramente. La legge approvata a novembre, la legge 190, purtroppo è una legge "monca", nel senso che non colpisce appieno questo fenomeno per cui sicuramente la modifica, quello del 416 ter, è solamente una prima tessera di un mosaico più complesso, di quelle tante modifiche necessarie per riuscire a combattere la corruzione e quindi l’autoriciclaggio, il conflitto di interessi, lo scudo fiscale, evasione fiscale… Sono purtroppo molti i fenomeni che ci parlano di corruzione e di sottrazione di ricchezza al nostro Paese.


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    Quinta Biennale ArteInsieme: scuole e musei per una cultura senza barriere

    ◊   Migliorare l’accessibilità al patrimonio culturale da parte di persone disabili e favorire nei giovani la crescita di una coscienza più attenta alla questione della diversità. Sono gli obiettivi della Biennale Arteinsieme 2013, che il Museo tattile Omero di Ancona, in collaborazione con i Ministeri della Pubblica istruzione e dei Beni culturali, ha presentato ieri a Roma. La quinta edizione coinvolge scuole e Musei in una serie di iniziative. Gabriella Ceraso ne ha parlato con Andrea Socrati responsabile progetti del Museo di Ancona:

    R. – Praticamente, la prima cose è sensibilizzare, perché non c’è vera integrazione finché non c’è conoscenza e consapevolezza della problematica. Questo avviene soltanto facendo crescere questa consapevolezza nei giovani che saranno i futuri decisori. Quindi, la scuola per noi diventa fondamentale. Dopodiché, naturalmente, serve anche una maggiore sensibilità da parte delle istituzioni per fare in modo che tutti abbiano le stesse opportunità di partecipare alla vita sociale, in questo caso culturale. E’ anche per questo che poi ci rivolgiamo anche ai musei.

    D. – Ai musei, esattamente, che cosa chiedete?

    R. – Chiediamo nel periodo di tutti gli eventi di Arteinsieme, quindi nel periodo di maggio-giugno 2013, di aprire le collezioni anche alla fruizione del pubblico disabile. Quindi: riflettere e trovare strategie e percorsi, naturalmente guidati: ad esempio, per persone non vedenti, persone con minorazione uditiva, quelle che solitamente non vanno al museo perché non ne hanno effettivamente la possibilità.

    D. – La sensibilizzazione alle scuole: a ciascun tipo di età e di scuola voi chiedere una partecipazione specifica…

    R. – Sì: partiamo dai più piccoli, che naturalmente coinvolgiamo attraverso il progetto che abbiamo definito “Totem sensoriale”. Si tratta di adottare un monumento della propria città e su questo realizzare degli ausili che possano essere utili anche ai compagni non vedenti, per conoscere quel monumento architettonico. Allo stesso tempo, agli alunni delle scuole medie e superiori chiediamo di adoperare la propria creatività, dopo una riflessione sul tema della diversità intesa come ricchezza, per produrre a loro volta opere d’arte che possano essere fruite anche in maniera diversa dal solito. Devo dire che per l'arte visiva abbiamo un testimonial d’eccezione in Michelangelo Pistoletto, e abbiamo un tema che è il “Terzo paradiso”, proposto proprio da Michelangelo Pistoletto, che riguarda questa terza possibilità di un mondo più aperto e più solidale. I ragazzi delle Accademie, delle Belle Arti e dei Licei artistici sono chiamati a realizzare delle opere su questo tema. Per quanto riguarda la parte musicale, anche qui abbiamo un testimonial molto importante, che è Nicola Piovani, il quale gentilmente ha fornito un brano incompiuto: i Licei musicali e i Conservatori sono chiamati a realizzare il finale di questo brano. E’ un po’ una metafora dell’umanità, nella quale c’è un nucleo comune e poi ci sono tutte le diversità.

    D. – Quanto è diffusa in Italia, a livello museale, questo genere di sensibilità?

    R. – Diciamo che fortunatamente molte possibilità si sono aperte e si stanno aprendo. Anche gli stessi Musei Vaticani hanno un percorso accessibile molto interessante. L’unico problema è che spesso le iniziative nascono e terminano perché poi, magari, non si ha la forza di sorreggerle. Questo è un altro problema che invece dovremmo risolvere.

    D. – Per trasmettere l’arte a chi non può vederla o sentirla in altro modo, ci sono tante strade…

    R. – Ci sono tante strade. Però, per rendere un museo accessibile servono due cose principali: una è proprio far toccare delle opere, perché il canale percettivo tattile è il canale principale della conoscenza della realtà della persona non vedente. La seconda cosa è avere persone che sappiano poi spiegare l’opera e accogliere la persona non vedente. Queste sono le due priorità che, come vede, costano ben poco.

    D. – Quanto ci vorrà perché questa nostra cultura cambi?

    R. – Noi vogliamo essere ottimisti e quindi speriamo che si continui su questa strada già aperta e speriamo si riesca a rendere stabile questo processo di apertura e di pari opportunità e solidarietà nei confronti dei pubblici diversi.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Pakistan. La Corte suprema conferma: Rimsha Masih è innocente

    ◊   La Corte suprema pakistana ha respinto il ricorso contro la sentenza emessa dall'Alta corte di Islamabad, confermando il proscioglimento della 14enne cristiana Rimsha Masih dall'accusa di blasfemia. Il verdetto è giunto ieri, durante la prima udienza, ed è un segnale ulteriore della ferma convinzione dei giudici circa l'innocenza della minorenne. Affetta da un disturbo mentale, la ragazza è stata arrestata in base alla "legge nera" nell'agosto scorso, poi rilasciata su cauzione e scagionata durante il processo. Raggiunto al telefono dall'agenzia AsiaNews il ministro federale Paul Bhatti, impegnato in una serie di conferenze negli Stati Uniti, non nasconde la propria "soddisfazione" per l'esito del processo, a conferma che "Rimsha Masih è innocente". Bhatti, consigliere speciale del premier per l'Armonia nazionale, conferma ad AsiaNews la "soddisfazione" anche della comunità cristiana perché "la giustizia ha fatto il suo corso" e ancora una volta si è dimostrato in aula che "Rimsha Masih è innocente". Sono state giornate di "stress e tensione", spiega il ministro cattolico, ma "alla fine la giustizia ha prevalso ancora una volta e abbiamo avuto un verdetto positivo". Invece di far fuggire la ragazza assieme alla famiglia, conclude, si è affrontato "l'iter processuale e ora siamo soddisfatti". L'appello al massimo organismo giuridico è stato presentato dai legali di Malik Ummad, il grande accusatore di Rimsha Masih, che avrebbe "visto" la giovane bruciare pagine del Corano; egli ha avvertito l'imam Khalid Jadoon Chishti, il quale ha sporto denuncia alla polizia. Gli avvocati dell'accusa avrebbero voluto riaprire il caso - nel quale ora è imputato proprio il leader religioso per il reato di blasfemia e calunnia - per ottenere la condanna della minorenne cristiana. Tuttavia, i giudici hanno ribadito ancora una volta la sua innocenza. Il collegio era composto dal capo della Corte suprema Iftikhar Muhmmad Chaudhary, insieme ai colleghi Sh. Azmat Saeed e Gulzar Ahmad. Ai magistrati è bastata una sola udienza per confermare l'innocenza della giovane, difesa dall'avvocato Abdul Hameed Rana, insieme agli assistenti Akmal Bhatti e Tahir Naveed Chaudhary. Quest'ultimo ha definito la sentenza un "segnale positivo" per l'immagine del Pakistan in seno alla comunità internazionale, perché "c'è davvero la possibilità per tutti di ottenere giustizia". Il 7 settembre scorso i giudici del tribunale di Islamabad hanno ordinato il rilascio su cauzione della ragazza, arrestata ad agosto con l'accusa di blasfemia, perché avrebbe profanato il Corano. In realtà si è trattato di un'accusa montata ad arte dall'imam Khalid Jadoon Chishti, che ha agito col proposito di creare risentimento verso i cristiani e requisirne le proprietà. A distanza di poco più di due mesi, il 20 novembre, l'Alta corte di Islamabad ha prosciolto la 14enne cattolica, perché il fatto non sussiste. Intervistata in esclusiva da AsiaNews alla vigilia di Natale, la ragazza - che si trova in un luogo sicuro, assistita dagli attivisti cattolici di All Pakistan Minorities Alliance (Apma) - ha lanciato un appello a favore di Asia Bibi e di tutte le altre vittime cristiane di blasfemia. (R.P.)

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    Caritas Mali: la crisi rischia di allargarsi. Piano di azione e stanziamenti

    ◊   Dopo l’offensiva dei gruppi ribelli e l’intervento militare francese, giunto al quinto giorno di raid aerei, si aggrava la situazione umanitaria in Mali, da mesi teatro di violenze diffuse e massicci spostamenti di popolazione. La Caritas del Mali - informa una nota di Caritas italiana - sta monitorando la situazione al fine di far fronte ai nuovi bisogni che stanno emergendo dall’intensificarsi del conflitto. A tal fine ha già predisposto un piano comune con Caritas Niger, Burkina Faso e Senegal per far fronte in modo esteso alla crisi. Le azioni più urgenti e immediate sono la distribuzione di kit igienico-sanitari, coperte, tende e kit di trattamento dell’acqua. Caritas italiana, anche attraverso proprio personale presente nell’area del Sahel, segue l’evolversi della situazione ed ha partecipato alla predisposizione del piano di interventi. Come ricorda Théodore Togo, segretario nazionale di Caritas Mali, nel Paese vi erano da tempo varie minacce alla pace: la mancata demilitarizzazione dei gruppi armati nel Nord, la crisi alimentare ed economica, l’aumento delle disparità sociali, la crisi in Libia che ha provocato l’afflusso di armi in Mali e da ultimo il colpo di stato militare del 22 marzo 2012, a cui è seguita l’istituzione di un governo di transizione. Caritas italiana ha stanziato un primo contributo di 60.000 euro e sostiene da tempo le azioni di aiuto che Caritas Mali ha in atto sin dall’inizio del conflitto. Oltre 40.000 persone hanno già beneficiato di assistenza alimentare attraverso la distribuzione gratuita, la vendita a prezzi sovvenzionati di beni alimentari, attività di “food for work” (cibo in cambio di lavoro). Il piano di intervento ha previsto anche il sostegno all’agricoltura a vantaggio di oltre 1.400 famiglie e 47 organizzazioni locali di agricoltori. A fine dicembre erano già oltre 400.000 i profughi, che da marzo 2012 erano fuggiti dal Nord del paese verso il Sud, nelle aree di Mopti, Ségou, Bamako, Sikasso, Koulikoro, Kayes sotto il controllo del governo di transizione e verso i Paesi limitrofi in particolare in Burkina Faso e Niger. “A seguito dell’acuirsi del conflitto - si legge nella nota - negli ultimi giorni il numero di persone in fuga sta aumentando e vi sono già ulteriori vittime civili. La situazione è aggravata dalla distruzione delle infrastrutture sanitarie, scolastiche e amministrative, dalla mancanza di carburante per fornire le stazioni di depurazione dell’acqua, dalle crescenti difficoltà di approvvigionamento di viveri e articoli per l’igiene. Per evitare infiltrazioni dei ribelli al Sud, tutte le strade sono bloccate”. (R.P.)

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    Cade un elicottero a sud di Londra: 2 morti e 11 feriti

    ◊   E’ di due morti e 11 feriti il bilancio provvisorio dello schianto di un elicottero avvenuto stamani a Londra. Il velivolo, per la nebbia, ha urtato una gru e poi è precipitato nel centro della città in prossimità della nuova ambasciata americana e della sede dei servizi segreti britannici ma la polizia ha precisato che non si è trattato di un atto terroristico. Nella zona i vigili hanno domato le fiamme ma le strade sono bloccate, restano chiuse le stazioni della Metro e anche gli uffici ed i negozi. (B.C.)

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    Parlamento europeo: via libera alla riforma delle agenzie di rating

    ◊   Il Parlamento Europeo ha approvato con 579 sì, 58 no e 60 astenuti il provvedimento che dà il via libera alla riforma delle agenzie di rating. Sostanzialmente la norma ne riduce il potere, limitando il fenomeno dell’over-reliance, ossia il completo affidamento alle valutazioni delle agenzie. Si introduce anche un calendario prestabilito per i giudizi sui debiti sovrani, si conferma poi la responsabilità civile per le valutazioni sbagliate e si disegna un percorso perché in futuro siano le stesse istituzioni europee a dare una valutazione dei debiti sovrani. Inoltre si stabilisce un iter per fare in modo che, entro il 2020, si elimini ogni obbligo di affidamento al rating. Soddisfazione è stata espressa dal vice presidente del Parlamento europeo, Roberta Angelilli, per la quale si tratta di “norme più chiare sulla trasparenza, sulla concorrenza e sui conflitti d'interesse delle agenzie di rating. “Una novità importante - ha sottolineato – è l'introduzione della responsabilità civile, con sanzioni pecuniarie a carico delle agenzie di rating in caso di valutazioni fuorvianti che, nel recente passato, hanno condizionato l'instabilità finanziaria, favorendo di fatto aggressioni speculative sui debiti sovrani di alcuni stati membri”. (B.C.)

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    India: in Orissa lotta al traffico di esseri umani

    ◊   Una lotta decisa al traffico di esseri umani, che colpisce soprattutto le comunità più povere in Orissa, come quelle cristiane; iniziative per garantire la sicurezza alimentare alla popolazione: sono le attività promosse per l’Anno della Fede da una rete di apostolato formata dalle congregazioni religiose presenti nello stato di Orissa. Come riferito all’agenzia Fides, il network accoglie altre confessioni cristiane, Ong, gruppi di auto-aiuto, team diocesani di assistenza sociale, studenti. La rete ha individuato due emergenze che si registrano nella società dell’Orissa, Stato dell’India orientale, teatro dei massacri anticristiani nel 2008. La prima è la tratta di esseri umani, che colpisce soprattutto donne e bambini; la seconda è l’insicurezza alimentare: le famiglie non hanno la certezza del sostentamento minimo quotidiano, necessario alla sopravvivenza. Fra i religiosi cattolici impegnati nella rete, vi sono, fra gli altri, i francescani Cappuccini, i Verbiti, le Suore Clarisse Francescane, le Suore dello Spirito Santo. Il team è guidato da padre Nithiya Sagayam, responsabile della Centro “Giustizia e Pace” dei Cappuccini e segretario dell’Ufficio per lo Sviluppo Umano nella Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (Fabc). Il francescano ha rimarcato a Fides “l’opzione per poveri” come “tema speciale per le comunità che in Orissa vivono l’Anno di Fede”. I poveri sono soprattutto i tribali, i dalit, gli abitanti delle aree rurali e degli slum. “Una delle forme moderne di schiavitù, cioè la tratta di esseri umana sta uccidendo il tessuto della società in Orissa e distruggendo lo sviluppo economico, sociale e culturale del popolo”, afferma la rete in una nota inviata a Fides. Sono diffusi la vendita di bambini, la prostituzione minorile, il lavoro minorile, il lavoro forzato, il traffico di persone, il traffico d’organi. I trafficanti reclutano, trasferiscono e trattengono le persone tramite minacce, ricatti, rapimento, inganno, abuso di potere o di vulnerabilità. Per rispondere con efficacia a queste violazioni dei diritti umani, “abbiamo bisogno di costruire un movimento, attraverso una fitta rete di funzionari governativi, avvocati, funzionari di polizia, leader religiosi, animatori sociali, insegnanti” rimarca a Fides padre Nithiya. La rete propone un testo con “I 10 comandamenti contro il traffico di esseri umani”, da diffondere capillarmente, attraverso un volantino, in villaggi, istituzioni, parrocchie, templi, scuole e altri luoghi pubblici, dandolo ai capi dei villaggi e alla gente comune, offrendo una guida utile a proteggere tutte le potenziali vittime della tratta. Un rapporto sul problema sarò inviato nei prossimi mesi alle autorità politiche e giudiziarie, proponendo un piano di azione concreto. I religiosi hanno anche avviato iniziative di assistenza, cooperazione e formazione per garantire la sicurezza alimentare alla popolazione dell’Orissa. (R.P.)

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    Siria: cristiani tra due fuochi e a rischio estinzione

    ◊   Cristiani tra due fuochi e a rischio estinzione in Siria, dove si sta verificando quanto già avvenuto in Iraq. È un panorama a tinte fosche quello che il parroco della chiesa siro-ortodossa di Betlemme, padre Butros Nimeh, descrive all'agenzia Sir riportando le notizie che giungono dai suoi confratelli che ancora restano nel Paese di Bashar al-Assad. “Le notizie - dice - che arrivano dalla Siria sono brutte. Il popolo soffre, i cristiani locali soffrono non solo per la guerra ma anche per la loro fede. Sta accadendo la stessa cosa di altri Paesi arabi dove vediamo i fondamentalisti islamici fronteggiare e sconfiggere con la forza i governi locali”. Per il parroco “si tratta di un conflitto economico e politico dai connotati religiosi. La religione viene usata come detonatore di tensioni e di violenza. Guardiamo cosa è accaduto in Iraq negli ultimi venti anni. In queste due decadi oltre un milione di cristiani hanno lasciato quel Paese. La stessa cosa, adesso, si sta verificando in Siria. Siamo tra due fuochi”. I fuochi sono gli sciiti e i sunniti che, per padre Nimeh, “fanno capo a Iran e Arabia saudita”. Invece “i cristiani sono contrari alla guerra. Vogliamo che si depongano le armi e si dialoghi per il bene del Paese”. Purtroppo il rischio è che “con un governo saldamente in mano ai fondamentalisti islamici non ci sarà libertà e libertà religiosa in particolare. E a preoccuparsi non sono solo i cristiani ma anche tutti quei fedeli siriani musulmani moderati e aperti al dialogo e alla tolleranza”. (R.P.)

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    Egitto: estremisti islamici demoliscono una chiesa copta ad al Fayyum

    ◊   Centinaia di islamisti ha demolito un edificio di proprietà della chiesa copta ortodossa di S. Giorgio a Taymah nella diocesi di al Fayyum (Egitto centrale a 133 km a sud del Cairo). Secondo l'agenzia di stampa egiziana Mcdirect il fatto è avvenuto ieri pomeriggio. Al momento sono sconosciuti i motivi dell'assalto. I due edifici, una sala per le riunioni e un centro per gli eventi parrocchiali erano in costruzione. Padre Rafic Greiche portavoce della Chiesa cattolica egiziana, sottolinea che tali fatti sono ormai diventati comuni nell'Egitto governato dai Fratelli musulmani. "Questa settimana - afferma - altri tre edifici sono stati attaccati in altre zone dell'Egitto". Secondo il sacerdote "tali fatti accadono nelle aree rurali e sono spesso legati a diatribe fra la comunità copta e quella musulmana. L'odio religioso è solo un pretesto. A ciò si aggiunge il clima di impunità e insicurezza, che in questi anni ha permesso a molti famiglie legate alla criminalità di agire indisturbati". Dopo la caduta del presidente Mubarak e la salita al potere dei Fratelli musulmani e dei salafiti, gli attacchi contro chiese ed edifici cristiani sono aumentati. Nelle aree più povere del Paese, ma anche nella capitale, i tagli alla sicurezza hanno colpito l'esercito e la polizia che sono impotenti di fronte a questi assalti fomentati dai salafiti. Con il loro denaro e le loro promesse, gli estremisti spingono gli abitanti a cacciare i cristiani per impadronirsi delle loro terre, sfruttando l'assenza di una legge chiara che regola la costruzione di edifici religiosi. Il 7 luglio 2011 un centinaio di estremisti armati di bastoni e spranghe ha occupato uno spazio situato a pochi metri dalla chiesa di S. Mina a Shubra al-Kheima, nel cuore del Cairo. Come nel caso di Taymah sul luogo era in costruzione un nuovo centro di incontri della parrocchia. Nell'indifferenza della polizia, gli islamisti hanno presidiato il luogo per più di 24 ore e issato uno striscione con la scritta "Moschea Ebad al-Rahman". Un altro caso è quello avvenuto nel maggio 2011 a Merinab (Aswan - Alto Egitto) dove oltre 3mila musulmani incitati dall'iman locale hanno incendiato la piccola chiesa copta del villaggio accusando i cristiani di averla costruita senza il permesso delle autorità. (R.P.)

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    Pakistan: la Commissione “Giustizia e Pace” sulle tensioni politiche

    ◊   “La situazione è fluida e muta ogni giorno. L’ordine di arresto del Premier, emesso dalla Corte Suprema, ha aggiunto tensione sulla scena politica. E la grande manifestazione anti-corruzione rischia di far sprofondare il Paese nell’anarchia. Chiediamo di dare una chance alla democrazia in questo paese”: è l’analisi di padre Yousaf Emmanuel, direttore nazionale della Commissione “Giustizia e Pace” dei vescovi cattolici. In un colloquio con l’agenzia Fides, padre Emmanuel espone il suo punto di vista sulla crisi politica in Pakistan: “Non credo alla teoria della cospirazione contro il Premier. Si tratta di una coincidenza, il caso a suo carico andava avanti già da tempo. Anche perché il sistema giudiziario non ha interessi a destabilizzare il Paese”. Il provvedimento è arrivato mentre un grande movimento “anti-corruzione” marciava su Islamabd, guidato dal leader Tahirul Qadri. Il giudizio di padre Emmanuel non è tenero: “Qadri è un leader con la sua agenda, è stato in Canada diversi anni, ora è riapparso. Ci chiediamo: dov’era mentre la popolazione pakistana soffriva ? Qadri non è un nome nuovo: era qui con l’ex dittatore Musharraf, ora credo sia stato messo lì da qualcun altro. I manifestanti, che continuano il sit in, staranno a Islamabad ancora un paio di giorni, ma ogni giorno aggiungono nuove richieste di riforme”. “La modalità con cui si pongono tali questioni non è quella giusta: non può essere la piazza. La corruzione è un problema serio, tutti la critichiamo e ci sono movimenti nella società civile che da anni la combattono. Come Commissione “Giustizia e Pace” abbiamo avviato programmi di sensibilizzazione contro la corruzione, che va combattuta con l’educazione e la formazione delle coscienze dei cittadini”. Il direttore prosegue: “Nel Paese esiste una Costituzione e tutti dobbiamo seguirla, piuttosto che agitare le masse. Questo tipo di lotta potrebbe portare all’anarchia nel Paese, e non è un bene. Il movimento di Qadri ha coagulato migliaia di persone perché c’è crisi economica, malessere sociale. Alla gente mancano elettricità, acqua, gas, c’è molto scontento sociale. Mentre molti cercano di sfruttare questo malcontento per il proprio tornaconto elettorale, in questo momento di tensione e incertezza, non possiamo che dire: diamo una chance alla democrazia in Pakistan. Speriamo che tutto si risolva pacificamente. Chiediamo elezioni pacifiche e trasparenti che, data la scadenza del Parlamento, sono previste a marzo. Speriamo che siano rispettate le procedure democratiche e costituzionali, e che non accada qualcosa di grave. Le riforme sono necessarie, per aiutare davvero la gente nei suoi bisogni primari. Ma si possono promuovere tramite una via democratica, senza rischi di tornare alla Legge marziale”. In conclusione padre Yousaf rimarca: “Nel movimento di Qadri c’è anche l’uso della religione. Qadri è leader di una sua organizzazione caritativa di ispirazione islamica, la “Tehreek-e-Minhajul Quran”. Come cristiani crediamo che politica e religione debbano essere tenute ben distinte”. (R.P.)

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    Indonesia. Sei scuole cattoliche a rischio chiusura a East Java: non insegnano l’islam

    ◊   Le autorità di Blitar, città della provincia di East Java, minacciano di chiudere sei scuole cattoliche se "entro il 19 gennaio" non provvederanno ad allestire corsi di religione islamica e lettura del Corano per gli studenti musulmani. I vertici dell'amministrazione locale prendono spunto dalla normativa regionale 8/2012, in base alla quale tutti gli alunni di fede musulmana in Indonesia devono poter ricevere l'insegnamento dell'islam in classe. Un provvedimento che, al momento dell'emanazione, ha tratto spunto dalla Legge sull'educazione nazionale, nel settore specifico che regolamenta la materia religiosa. Le sei scuole cattoliche di Blitar a rischio chiusura sono: il Catholic Diponegoro High School, la Catholic Vocational Training High School, la Saint Mary KG, la Saint Mary Elementary School, lo Yos Sudarso Catholic Elementary e lo Yos Sudarso Catholic Junior High School. Esse hanno ricevuto l'ingiunzione dell'amministrazione comunale negli ultimi giorni del 2012; tuttavia, finora i dirigenti scolastici non hanno voluto ottemperare al provvedimento che scade il 19 gennaio, come conferma il commissario capo del dipartimento locale del ministero degli Affari religiosi. Finora nessuno dei dirigenti scolastici ha voluto rilasciare dichiarazioni ufficiali in merito alla vicenda, perché la materia è "sensibile" e prima di prendere una posizione sono previsti incontri specifici con la leadership cattolica. Fonti interne agli istituti ricordano però che il curriculum di insegnamento è da lungo tempo riconosciuto come valido e "accettato senza alcuna lamentela" anche da parte degli stessi studenti musulmani e delle loro famiglie. E mai nessuno, finora, si è "lamentato per questioni di carattere religioso". In realtà, secondo una prassi consolidata da decenni, in Indonesia le scuole private cattoliche e cristiane non sono obbligate a organizzare corsi di religione islamica e momenti di lettura del Corano, come avviene nelle scuole statali. Di contro, esse provvedono a fornire seminari e lezioni sulla religione cristiana e sul catechismo. Gli studenti musulmani che frequentano gli istituti, invece, ricevono gli insegnamento previsti dall'islam durante appositi corsi, promossi dalla comunità islamica di appartenenza. (R.P.)

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    Haiti: a tre anni dal terremoto i Redentoristi riorganizzano le Missioni popolari

    ◊   Padre Jeffrey Rolle e padre João Pedro Fernandes, consultori generali dei Redentoristi, hanno visitato Haiti a 3 anni dal terremoto che ha distrutto gran parte dell’isola e delle loro strutture. Riportiamo di seguito la testimonianza pervenuta all’Agenzia Fides. “Arrivando alla nostra casa e parrocchia di san Gerardo a Port-Au-Prince, si resta colpiti dai segni visibili del terribile sisma del 12 gennaio 2010: della grande chiesa resta solo qualche muro (un capannone funge provvisoriamente da tempio); la scuola, completamente distrutta, funziona per mezzo di strutture provvisorie; il ‘monastero’ (la prima residenza dei Redentoristi ad Haiti) attende ancora di essere ricostruito. Tuttavia molti giovani vengono tutti giorni a studiare accanto a questi edifici semidistrutti, forse grazie alla tranquillità e all’ombra offerta da molti alberi. Questa può essere sicuramente l’immagine di Haiti, malgrado la devastazione del sisma, la povertà e la cattiva politica che rallenta ancora di più la ricostruzione. Gli Haitiani sono persone dignitose che lottano per andare avanti e per sognare un futuro migliore. La popolazione vede l’impegno dei Redentoristi che hanno sempre molto da offrire per dare alla gente motivazione e speranza. La maggior parte dei Confratelli ha una grande vitalità missionaria. Una esperienza speciale è la predicazione delle Missioni popolari nel quadro della Famiglia Alfonsiana. I Redentoristi lavorano in collaborazione con le Compagne di Gesù (congregazione autoctona di suore, fondata da padre Josef Claessens, Redentorista di origine belga) e la Santa Famiglia, movimento laico di animazione missionaria nelle parrocchie (fondata anch’essa da Josef Claessens negli anni ’70). E’ un servizio molto apprezzato dalla Chiesa di Haiti”. I due consultori generali sottolineano inoltre che una presenza 'ad gentes' comincia a consolidarsi nell’isola della Guadalupa, vicino ad Haiti, ed è in atto una collaborazione con la Provincia redentorista di San Juan (comprendente Porto Rico e Repubblica Dominicana) per un progetto di assistenza pastorale agli immigrati haitiani nella Repubblica Dominicana, nella città di Paraíso. “La Regione è abbastanza giovane: l’età media è di 35 anni!” sottolineano, rilevando che sia “un segno di grande speranza” che allo stesso tempo comporta la necessità di consolidare il cammino della formazione e la preparazione dei formatori. A seguito del sisma, la Congregazione si è impegnata in molti modi per Haiti, e 9 dei 19 giovani continuano ancora i loro studi fuori Haiti: 5 in Colombia, 2 a Baltimora (USA) e 2 a Sant’Anne de Beaupré (Canada). (R.P.)

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    Guatemala: mons. Rios Mont invita la comunità a non farsi giustizia da sola

    ◊   Mons. Mario Enrique Rios Mont, amministratore apostolico del vicariato apostolico di Izabal, in Guatemala, ha fermamente condannato il comportamento della comunità di Puerto Barrios, che ha linciato due ladri sorpresi a rubare dopo che erano stati arrestati per furto e il giorno dopo rimessi in libertà. "Questo atteggiamento è contrario alla legge di Dio che dice chiaramente non uccidere" si legge nel testo del vescovo, pervenuto all’agenzia Fides. "Il vicariato è impegnato nella Missione continentale permanente – prosegue - quindi speriamo che questo tempo sia opportunità di pentimento e di conversione per una migliore qualità della vita personale, familiare e sociale. Non si può avere una vita degna uccidendo il fratello". Più avanti mons. Rios precisa: "Chiediamo alle autorità competenti di procedere con le necessarie indagini e di amministrare la giustizia”. Quindi continua: “invitiamo tutte le comunità del vicariato: Castellas, Garifunas e Q'eqchies, ad astenersi dal farsi giustizia per proprio conto. Come Chiesa dobbiamo cercare la via del dialogo per risolvere i problemi”. Secondo la stampa locale, la vicenda risale alla fine dell’anno 2012: due persone erano state fermate dalla comunità di Puerto Barrios e consegnate alla polizia per aver rubato nella zona. Per motivi sconosciuti, queste persone il giorno dopo giravano liberamente. Nonostante gli avvertimenti della comunità, hanno commesso di nuovo il reato, malmenando un commerciante del posto, così la folla si è fatta giustizia da sola. (R.P.)

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    Malawi: mancano cibo, acqua e servizi igienici per la popolazione colpita dalle inondazioni

    ◊   A Mwambo, nel distretto di Zomba,in Malawi, 641 famiglie sono rimaste senza casa e le loro piantagioni di mais sono andate distrutte a causa dello straripamento del fiume Phalombe, dovuto alle piogge torrenziali che stanno colpendo il Paese da qualche settimana. I villaggi più gravemente colpiti sono quelli che vanno dal Group Village Heads Magoli e Kathebwe, lungo il confine tra i distretti di Zomba e Phalombe, a pochi chilometri di distanza dal lago Chilwa. Circa 268 ettari di campi di mais e peperoncino sono stati spazzati via dalle acque che hanno distrutto una diga costruita lo scorso anno dagli abitanti della zona per prevenire le inondazioni. Se dovesse continuare a piovere potrebbe cedere anche la parte restante della diga. Gli sfollati hanno trovato riparo presso la Step to Jesus Church di Zomba. Servono urgentemente aiuti di ogni genere per le vittime. Mancano servizi igienici, acqua potabile, vestiti, biancheria e generi alimentari. Le piogge hanno gravemente danneggiato diverse aree del Malawi, dove finora sono morte 3 persone oltre a circa 5 mila che hanno perso tutto. Il governo ha lanciato una operazione di soccorso verso i distretti colpiti distribuendo generi alimentari, coperte e teli di plastica. (R.P.)

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    Canada: i vescovi solidali con la protesta degli autoctoni

    ◊   I vescovi del Canada sono solidali con i leader delle Prime Nazioni che da più di un mese protestano con manifestazioni e blocchi stradali per ottenere il riconoscimento dei loro diritti e un maggiore controllo sulle risorse naturali del Paese. Nonostante le promesse dei vari governi che si sono succeduti a Ottawa, i popoli autoctoni canadesi (più di un milione di persone se si comprendono i meticci e gli Inuit), sono ancora emarginati e discriminati. Tra le Prime Nazioni si registra il più alto tasso di povertà, al quale sono collegati il basso tasso di scolarità, il difficile accesso alla casa e all’assistenza sanitaria e altri indicatori sociali negativi come l’alcolismo e l’alto tasso di suicidi, sintomo di un forte malessere sociale. Dopo settimane di proteste, l’11 gennaio, una ventina di rappresentanti dell’Assemblea delle Prime Nazioni (Anp), hanno potuto finalmente incontrare il Premier conservatore Steven Harper per aprire un primo tavolo di dialogo. Un’iniziativa fortemente auspicata e incoraggiata dai vescovi che, in un lettera inviata nei giorni scorsi al Premier e al leader dell’Anp Shawn A-in-chut Atleo, avevano espresso l’auspicio che esso potesse sbloccare lo stallo, dando ragione alle istanze dei nativi canadesi. “Le attuali preoccupazioni in materia di educazione, alloggio, acqua potabile e accesso alle cure sanitarie, insieme all’occupazione delle terre, sono cruciali e urgenti per le Prime Nazioni”, sottolineava la missiva firmata da mons. Richard Smith, arcivescovo di Edmonton e presidente della Conferenza episcopale. “Le manifestazioni organizzate dai membri delle Prime Nazioni in diversi località del Paese non ci dicono soltanto quanto necessario fosse questo incontro: esse sono un segnale incoraggiante della ritrovata volontà dei popoli autoctoni di giocare un ruolo determinante per risolvere i loro problemi e le loro frustrazioni”. Secondo i vescovi canadesi “è sommamente importante che gli autoctoni e i loro capi continuino ad impegnarsi per diventare protagonisti attivi e responsabili del proprio sviluppo culturale”. Da anni la Chiesa in Canada è impegnata per i diritti delle Prime Nazioni, ammettendo anche le proprie responsabilità storiche nei loro confronti. Nel 1998 la Conferenza episcopale ha istituito un Consiglio cattolico autoctono per la riconciliazione, la solidarietà e la comunione proprio allo scopo di promuovere la riconciliazione con i nativi del Canada e di raccogliere aiuti a loro favore. Inoltre Il 12 dicembre di ogni anno la Chiesa locale celebra la Giornata di preghiera per i popoli autoctoni. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Slovenia. Replica dei vescovi alle organizzazioni culturali: distorcono immagine della Chiesa

    ◊   Una “lettera di forti contenuti ideologici, scritta in modo tendenzioso” che “distorce l’immagine della democrazia nella Repubblica di Slovenia, come anche il ruolo della Chiesa cattolica e le sue prese di posizione circa le questioni sociali”. Con una ferma presa di posizione la Conferenza episcopale slovena (Ces) ha respinto ieri quanto affermato dalla Coordinazione delle organizzazioni culturali slovene che, con l’Associazione degli scrittori sloveni e alcune organizzazioni culturali, ha indirizzato il 3 gennaio scorso una lettera aperta al pubblico internazionale in cui, “prendendo come argomento le misure di risparmio attuate dal Governo, cercano di diffamare il Governo sloveno e la Chiesa cattolica”. In particolare - riporta l'agenzia Sir - le associazioni accusano l’attuale Governo di sostenere le scuole private a scapito di quelle pubbliche e che “la difficile situazione nel Paese è dovuta anche alla corruzione economica presente nella Chiesa, nonché al suo coinvolgimento in politica”. La replica della Ces non si è fatta attendere: “La Ces - si legge in una nota firmata dal suo presidente, nonché arcivescovo metropolita di Ljubljana, mons. Anton Stres - respinge decisamente tali insinuazioni sul suo coinvolgimento in politica. Circa gli avvenimenti che succedono nella società, i vescovi prendono le posizioni conformi ai modi della dottrina sociale della Chiesa e alla sua missione in campo etico e sociale, conforme al ruolo che le spetta nella società”. Sul sostegno alle scuole private i vescovi ricordano che “la Chiesa in Slovenia ha quattro scuole medie superiori (l’equivalente del 2% della popolazione degli studenti) e una scuola elementare (il 0,08% della popolazione dei bambini). In questa sede ribadiamo che le misure di austerità adottate dal Governo toccano in eguale maniera le scuole pubbliche e private e sono proprio quest’ultime a essere ulteriormente depenalizzate, dato che vengono supportate materialmente in modo minore a quelle pubbliche”. Per la Ces le affermazioni contenute nella lettera aperta delle organizzazioni culturali “non sono conformi alla verità e inducono in errore sia l’opinione pubblica nazionale che quella estera e, per questo motivo, il vertice della Chiesa si dissocia decisamente da tali affermazioni”. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 16

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.