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Sommario del 13/01/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • La società attuale vede Dio come limite e non come amore: così il Papa che battezza 20 bambini e all'Angelus parla di migrazioni come pellegrinaggi
  • Giornata Mondiale del Migrante. Fede e speranza nel cuore di chi arriva: l'impegno della Chiesa
  • Oggi in Primo Piano

  • Grande manifestazione a Parigi per la famiglia. Mons. Podvin: fiducia nel buon senso della gente
  • Tunisia: povertà ed egemonia islamista a due anni dalla rivoluzione dei gelsomini
  • Haiti a tre anni dal sisma: la testimonianza di una volontaria
  • L'Arabia Saudita apre alla presenza delle donne nel Consiglio della Shura
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Sorpresa dell'Autorità d'informazione finanziaria della Santa Sede per il blocco transazioni: il 2012 anno di verifica e adeguamento a norme internazionali
  • Ripresi i raid francesi in Mali mentre proseguono gli scontri a Konna
  • In Egitto la Corte di Cassazione accetta il ricorso per un nuovo processo a Mubarak
  • Attentati in Afghanistan e Pakistan: 7 vittime civili
  • A Firenze incontro “Memorie del Concilio Vaticano II”
  • Corea del Sud: imposte fiscali anche per le comunità religiose
  • A Roma sospesi i servizi del Centro Sant’Alessio, istituto per non vedenti
  • Vietnam: iniziata demolizione di un monastero carmelitano ad Hanoi
  • Italia: firmata l’intesa per i progetti saveriani di intercultura
  • Allarme della Chiesa in Pakistan: Karachi città senza pace
  • Libano: la legge elettorale fa discutere i leader politici cristiani
  • Il Papa e la Santa Sede



    La società attuale vede Dio come limite e non come amore: così il Papa che battezza 20 bambini e all'Angelus parla di migrazioni come pellegrinaggi

    ◊   In una società che considera fuori tempo credere in Gesù, la fede apre all’abbraccio di Dio: così il Papa alla Messa prima di battezzare 20 bambini nella Cappella Sistina. Poi all'Angelus il richiamo alla Giornata del Migrante e del Rifugiato con il pensiero alle migrazioni come a un "pellegrinaggio di fede e di speranza". Il servizio di Fausta Speranza:

    “Dio viene visto come il limite della nostra libertà, un limite da eliminare affinché l'uomo possa essere totalmente se stesso”. Il Papa parla della società attuale in cui – dice - non è facile manifestare apertamente e senza compromessi ciò in cui si crede”.

    “Una società che considera spesso fuori moda e fuori tempo coloro che vivono della fede in Gesù”.

    “Sull’onda di questa mentalità, - avverte il Papa - vi può essere anche tra i cristiani il rischio di intendere il rapporto con Gesù come limitante, come qualcosa che mortifica la propria realizzazione personale”. Di fronte a tutto questo Benedetto XVI spiega che il rapporto con Dio significa la libertà di uscire da se stessi e di amare:

    “Questa visione mostra di non avere capito nulla del rapporto con Dio, perché proprio a mano a mano che si procede nel cammino della fede, si comprende come Gesù eserciti su di noi l’azione liberante dell’amore di Dio, che ci fa uscire dal nostro egoismo, dall’essere ripiegati su noi stessi, per condurci ad una vita piena, in comunione con Dio e aperta agli altri.”

    Ed è proprio il racconto evangelico del Battesimo di Gesù a mostrare “la via di abbassamento e di umiltà, che il Figlio di Dio ha scelto liberamente per aderire al disegno del Padre, per essere obbediente alla sua volontà di amore verso l’uomo in tutto, fino al sacrificio sulla croce”.

    Nel Battesimo – sottolinea il Papa – “si manifesta la presenza viva e operante dello Spirito Santo”. E poi ricorda quello che – dice - “ai nostri occhi potrebbe apparire paradossale”. Gesù senza peccato si è posto tra i peccatori per farsi battezzare, per compiere questo gesto di penitenza.

    “Gesù vuole mettersi dalla parte dei peccatori, facendosi solidale con essi, esprimendo la vicinanza di Dio. Gesù si mostra solidale con noi, con la nostra fatica di convertirci, di lasciare i nostri egoismi, di staccarci dai nostri peccati, per dirci che se lo accettiamo nella nostra vita Egli è capace di risollevarci e condurci all’altezza di Dio Padre”.

    “Questa – afferma il Papa - è l’opera di Dio che Gesù vuole compiere: la missione divina di curare chi è ferito e medicare chi è ammalato, di prendere su di sé il peccato del mondo.” E il Papa ricorda che “nel Battesimo i bambini sono uniti in modo profondo e per sempre con Gesù”:

    “… immersi nel mistero della sua morte, che è fonte di vita, per partecipare alla sua risurrezione, per rinascere ad una vita nuova. Ecco il prodigio che oggi si ripete anche per i vostri bambini: ricevendo il Battesimo essi rinascono come figli di Dio, partecipi della relazione filiale che Gesù ha con il Padre, capaci di rivolgersi a Dio chiamandolo con piena confidenza e fiducia: “Abbà, Padre”.

    “Inseriti in questa relazione e liberati dal peccato originale, - sottolinea Benedetto XVI - essi diventano membra vive dell’unico corpo che è la Chiesa e sono messi in grado di vivere in pienezza la loro vocazione alla santità, così da poter ereditare la vita eterna, ottenutaci dalla Risurrezione di Gesù”. Del dono della fede il Papa dice:

    “È la gioia di riconoscerci figli di Dio, di scoprirci affidati alle sue mani, di sentirci accolti in un abbraccio d’amore, allo stesso modo in cui una mamma sostiene ed abbraccia il suo bambino.”

    “Il cammino della fede che oggi comincia per questi bambini – aggiunge il Papa - si fonda su una certezza, sull’esperienza che non vi è niente di più grande che conoscere Cristo e comunicare agli altri l’amicizia con Lui; solo in questa amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana e possiamo sperimentare ciò che è bello e ciò che libera” “Chi ha fatto questa esperienza – confida il Papa - non è disposto a rinunciare alla propria fede per nulla al mondo. Ai padrini e madrine, “l’importante compito di sostenere e aiutare l’opera educativa dei genitori, affiancandoli nella trasmissione delle verità della fede e nella testimonianza dei valori del Vangelo, nel far crescere questi bambini in un’amicizia sempre più profonda con il Signore”. “L’acqua con la quale questi bambini sono segnati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, - assicura il Papa - li immergerà in quella “fonte” di vita che è Dio stesso e che li renderà suoi veri figli”.

    All’Angelus il Papa ricorda che “Gesù è l’uomo nuovo che vuole vivere da figlio di Dio, cioè nell’amore; l’uomo che, di fronte al male del mondo, sceglie la via dell’umiltà e della responsabilità, sceglie non di salvare se stesso ma di offrire la propria vita per la verità e la giustizia”. “Essere cristiani – dice il Papa - significa vivere così, ma questo genere di vita – aggiunge - comporta una rinascita: rinascere dall’alto, da Dio, dalla Grazia”. Poi il pensiero ai battesimi del giorno e non solo:

    “Ho avuto la gioia di battezzare un folto gruppo di bambini che sono nati negli ultimi tre o quattro mesi. In questo momento vorrei estendere la mia preghiera e la mia benedizione a tutti i neonati; ma soprattutto invitare tutti a fare memoria del nostro Battesimo, di quella rinascita spirituale che ci ha aperto la via della vita eterna”.

    E il riferimento preciso all’Anno della fede:
    “Possa ogni cristiano, in quest’Anno della fede, riscoprire la bellezza di essere rinato dall’alto, dall’amore di Dio, e vivere come suo vero figlio”.

    Dopo la preghiera mariana, il pensiero alla Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato e il riferimento alle migrazioni come un “pellegrinaggio di fede e di speranza”.

    “Chi lascia la propria terra lo fa perché spera in un futuro migliore, ma lo fa anche perché si fida di Dio che guida i passi dell’uomo, come Abramo. E così i migranti sono portatori di fede e di speranza nel mondo. A ciascuno di loro rivolgo oggi il mio saluto, con una speciale preghiera e benedizione”.

    Un saluto particolare alle comunità cattoliche di migranti presenti a Roma.

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    Giornata Mondiale del Migrante. Fede e speranza nel cuore di chi arriva: l'impegno della Chiesa

    ◊   Ricorre questa domenica la 99.esima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Il tema scelto dal Papa quest’anno è: ”Migranti: pellegrinaggio di fede e di speranza”. Fede e speranza, scrive Benedetto XVI, riempiono spesso, infatti, il bagaglio di quanti emigrano. Nel messaggio si ricorda poi il dovere di accogliere e integrare i nuovi arrivati nelle comunità civili ed ecclesiali riconoscendo i valori di cui essi sono portatori. Adriana Masotti ne ha parlato con Oliviero Forti, responsabile ufficio immigrazione di Caritas italiana:

    R. – Io posso dire dell’esperienza della Caritas, che è un’esperienza che si gioca sul campo, e ricordo, in questa sede, le immagini degli sbarchi a Lampedusa dello scorso anno ma anche degli anni precedenti, quando incrociando gli occhi di questi migranti che arrivavano, si poteva veramente percepire la speranza di poter avere una vita migliore. Si fuggiva, infatti, da guerre, da situazioni di grande precarietà economica, esistenziale e, quindi, la speranza è certamente il motore che spinge queste persone. Quello che, però, noi dobbiamo sempre avere molto presente è che questa speranza rischia anche da noi di non trovare più quello sfogo che meriterebbe. Per cui, noi dobbiamo sentirci personalmente responsabili, in molti casi, di restituire speranza a queste persone che facilmente la perdono, perché non trovano quello che speravano.

    D. – Pellegrinaggio dunque di speranza. E per quanto riguarda la fede?

    R. – La fede, anche questa è la molla, per certi versi, o quantomeno è l’elemento che sostiene l’esistenza di queste persone. Io credo che senza fede non si possa affrontare tutto quello che spesso queste persone sono costrette ad affrontare. Ora, l’immigrazione non è solo quella che noi conosciamo attraverso le immagini e i telegiornali, gli sbarchi drammatici, le traversate drammatiche, ma è anche questo: ogni esperienza di emigrazione è un’esperienza che prova le persone e credo che se in tanti arrivano e riescono a fare quei viaggi probabilmente è perché hanno una profonda fede.

    D. - Di fronte all’immigrazione ci sono diversi livelli di intervento. C’è il primo soccorso quando è necessario, c’è l’impegno per l’integrazione. C’è anche l’impegno per dare risposte alle esigenze spirituali delle persone che arrivano ed è su questo che la Chiesa si vuole anche impegnare di più. Questo è il richiamo di questa giornata…

    R. – Certamente, l’impegno della Chiesa è ormai ultradecennale e penso, anche con grande responsabilità, la Chiesa ha – mi passi il termine – investito e vuole investire nel futuro, in questa grande opportunità, perché poi, se vogliamo dirla tutta, si tratta di milioni di persone che fanno ormai parte della nostra società e sorprende, in un periodo in cui in Italia siamo in piena campagna elettorale, che il tema dell’immigrazione sembra non comparire nelle agende di chi ha deciso di rappresentarci e di governare il nostro Paese. L’invito è che anche l’immigrazione diventi un tema tra quelli principali.

    D. - La Chiesa vuole impegnarsi di più per integrare i cristiani cattolici che arrivano e dialogare con i cristiani di altre denominazioni. Ma ci sono anche i non cristiani e sappiamo che tra gli immigrati molti sono musulmani…

    R. – La Chiesa in primis ha dimostrato in questi anni di dare spazio e di non fare nessuna differenza tra chi è portatore di altre fedi rispetto alla fede cristiana. Io penso anche ai nostri servizi; mai, che ricordi, c’è stata qualche tipo di differenziazione nell’erogazione di servizi per il solo fatto di appartenere ad un’altra fede religiosa. E’ evidente che, per i cristiani che arrivano, noi abbiamo però la responsabilità di sostenerli e di accompagnarli nei percorsi di fede.

    D. – Se è evidente, o almeno dovrebbe esserlo, che c’è un diritto a emigrare, a scegliere per sé un futuro migliore, c’è anche il diritto a non emigrare. Il Papa nel suo messaggio ne parla. Questo vuol dire però aiutare le persone nei loro Paesi a trovare uno sviluppo…

    R. – Abbiamo molto presente il tema e su questo stiamo cercando di investire, però nella consapevolezza che se non c’è da parte dei singoli governi una volontà, non solo dichiarata, ma anche fattiva di far sì che ci sia sviluppo in quei Paesi da dove provengono tante persone, è evidente che rischiamo di fare solo chiacchiere. Quindi, su questo, c’è bisogno realmente di grandi investimenti perché solo in questo modo potremmo far sì che l’immigrazione diventi semplicemente una scelta individuale e non una costrizione.

    D. - E’ abbastanza evidente che lo sguardo della Chiesa sull’immigrazione è positivo, e questo è un stimolo importante anche per i governi e le società?

    R. – E’ uno stimolo e anche una grande sfida. Posso assicurare, infatti, che ritenere, come noi facciamo, l’immigrazione una risorsa e una ricchezza non significa automaticamente trovare poi anche le nostre stesse comunità preparate ad affrontare il tema secondo questi canoni. Questa è una grande sfida che tra le altre ci siamo posti. Evidentemente se non superiamo quelle reticenze anche culturali che ormai da tanti anni caratterizzano i tessuti sociali dove l’immigrazione ormai è una realtà, tutto il lavoro diventa estremamente difficile. Però, è chiaro che siamo noi per primi consapevoli che ci vorranno decenni perché il tema sia da considerarsi maturo all’interno delle società.

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    Oggi in Primo Piano



    Grande manifestazione a Parigi per la famiglia. Mons. Podvin: fiducia nel buon senso della gente

    ◊   Imponente manifestazione a Parigi in difesa della famiglia e del matrimonio tra un uomo e una donna. L’evento, che unisce le più varie componenti della società francese del mondo laico, politico e religioso, vuole lanciare un messaggio forte al presidente socialista Hollande deciso a varare il progetto di legge che vuole introdurre nel Paese le nozze gay con diritto all’adozione, il cosiddetto “matrimonio per tutti”. Una decisione che - ha detto il ministro della Giustizia francese - produrrà “un cambiamento di civiltà”. Sui timori e le speranze della Chiesa, Manuella Affejee ha sentito il portavoce della Conferenza episcopale francese, mons. Bernard Podvin:

    R. – Je ne sui s pas inquiet, parce que je suis confiant dans le bon sens de …
    Non sono preoccupato, perché ho fiducia nel buon senso dell’opinione pubblica. La questione ha un forte impatto sui valori della società e le persone di buon senso sanno che la famiglia è una cosa che riguarda noi tutti, al di là dell’appartenenza o dei diversi orientamenti politici e religiosi; è ovvio che la Chiesa prenda una posizione esplicita: come potrebbe rimanere indifferente di fronte a questo movimento popolare? Ma non è lei l’organizzatrice di questo evento; i vescovi, in tutta libertà e con l’aiuto della preghiera, hanno scelto se partecipare o meno. Tutti i vescovi sono in piena comunione con le affermazioni del cardinale Ving-Trois a Lourdes, per ribadire la loro opposizione al cosiddetto matrimonio per tutti, allo stesso tempo con un modo, peraltro legittimo, di manifestarla che è assolutamente personale. Ecco, tutto questo non mi preoccupa: confido nel buon senso della gente. L’ora è grave ed è necessario guardare all’essenziale e l’essenziale ci fa chiedere: cosa faremo, domani, della famiglia? Cosa ne sarà un domani dei bambini? Questa cosa riguarda noi tutti e chiaramente, i cattolici in modo particolare.

    D. – In questi giorni sulla questione si sono accese molte polemiche …

    R. – En tout cas, de la part de l’Eglise catholique il n’y a aucun désir de polémique …
    Sicuramente da parte della Chiesa cattolica non c’è alcun desiderio di far polemica. In effetti, ci sono stati degli episodi assolutamente deplorevoli, con un grande spreco di energia, contro il segretario generale dell’Educazione cattolica. Egli aveva scritto un testo che io ho trovato molto chiaro e molto rispettoso del perimetro della tutela dell’educazione; ho incontrato, peraltro, numerosi giovani che non hanno potuto che sorridere davanti a questa polemica perché francamente come si può immaginare che un dibattito così importante non tocchi tutti? E come pensare che i giovani, le famiglie non si sentano coinvolti in questo dibattito? Una volta stabilito che si rispettano determinate regole – per quanto riguarda l’istruzione – e quelle della Repubblica in quanto Stato laico, si può dire che questa polemica è stata veramente inutile. Posso dire che da parte della Chiesa e di de Labarre c’è stato il desiderio di non fomentare assolutamente questa polemica. Il signor de Labarre ha tenuto un comportamento assolutamente dignitoso e si è spiegato in termini molto chiari. Noi crediamo che ormai si debba andare oltre, ben al di là di questo. Le sfide della famiglia e della società sono troppo grandi perché si rimanga incastrati nella polemica. Mi permetto di ricordare che oggi la stessa opinione pubblica richiama ad urgenze molto più serie, come la disoccupazione, il debito, la situazione degli anziani: sono argomenti seri sui quali i francesi vorrebbero che fossero spese le energie del Paese. Trovo quindi ancor più deplorevole che ci si divida su riforme della società che non sono rivendicate, in termini di priorità, che dal 7 per cento dei francesi …

    D. – Quale deve essere, secondo lei, il messaggio di questa manifestazione?

    R. – Les temps sont très préoccupants, nous avons à témoigner d’une espérance …
    I tempi sono difficili; dobbiamo testimoniare una speranza e ricordare a questa nostra società che in futuro sarà molto più fragile e che dovrà essere molto attenta ai suoi valori fondanti. La famiglia è insostituibile, lo dicono tutti gli antropologi. La Santa Sede ha ribadito il suo sostegno alla Chiesa in Francia per quanto riguarda la sua posizione in materia. Devo dire che i cattolici francesi sono colpiti dal sostegno che Roma ha voluto dare alla Chiesa in Francia. Andremo a toccare l’essenziale per l’avvenire dell’uomo: se vogliamo rispettare le generazioni future, dobbiamo preservarle. E spero fortemente che dopo questa manifestazione e con l’analisi che si farà di questa giornata, il buon senso possa prevalere.

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    Tunisia: povertà ed egemonia islamista a due anni dalla rivoluzione dei gelsomini

    ◊   La Tunisia ricorda il secondo anniversario della fuga del presidente Ben Ali, avvenuta il 14 gennaio 2011 al culmine delle proteste che diedero inizio alla cosiddetta primavera araba. Purtroppo, alla vigilia della ricorrenza, si registra un attentato incendiario contro un mausoleo sufi nella città di Sidi Bou Said, nel nord, secondo alcuni da collegare a un altro attacco avvenuto nei giorni scorsi a Marsa contro un altro luogo di culto. A due anni dalla rivoluzione restano ancora molte problematiche nel Paese: la crisi economica, la disoccupazione fuori controllo e lo stallo sulla nuova Costituzione. Per un’analisi della situazione Marco Guerra ha intervistato Luciano Ardesi, esperto di Nord Africa:

    R. - Siamo tornati in qualche modo alle cause che due anni fa provocarono la rivolta popolare nel Paese, in modo particolare a cominciare dal Sud. La situazione sociale è molto tesa, la disoccupazione non è stata assolutamente assorbita, il malcontento ha continuato a serpeggiare, tanto più che il governo stesso in queste ultime settimane, in questi mesi, ha dimostrato di non sapere sempre padroneggiare la situazione con misure adeguate alle aspettative popolari.

    D. – In Tunisia si è innescata la primavera araba e sempre in Tunisia si è verificata la prima affermazione di un partito islamista. Che connessione c’è tra questi due eventi?

    R. – La rivolta è stata provocata dal malcontento economico e sociale, oltre che dalla frustrazione e dalla mancanza di libertà. I fondamentalisti non hanno giocato nessun ruolo nel cominciare la rivolta. Si sono dimostrati l’unica forza politica organizzata. Il regime di Bel Ali aveva completamente distrutto il sistema politico e aveva impedito l’emergere di una società civile. La Tunisia ha vissuto questo vuoto che solo e soltanto i movimenti fondamentalisti hanno saputo riempire e sono quelli che, anche in questi mesi, sono i più strutturati e meglio organizzati e quindi hanno saputo imporre la propria egemonia, non solo sul piano politico ma anche sul piano culturale.

    D. – Si può parlare di un Paese spaccato tra le spinte islamiste e le correnti laiche?

    R. – Io credo che il confronto sia ancora in corso e non si possa concludere con un’affermazione definitiva. Il Paese è diviso in due e ci sono correnti diverse ma, come dicevo prima, per il momento, il partito fondamentalista ha in mano l’egemonia culturale. C’è una forte resistenza, naturalmente, dei movimenti laici, in modo particolare delle donne. Va detto però che già durante il regime di Ben Ali, la Tunisia non era più quella che avevamo conosciuto subito dopo l’indipendenza, con una forte impronta alla laicità. Già negli ultimi anni e prima della rivolta popolare, la posizione delle donne si era indebolita. Dal punto di vista culturale, la presa del potere da parte del partito Ennahda non fa certo ben sperare in un miglioramento della situazione.

    D. – A soffiare sul malcontento è ancora la situazione economica. La Tunisia e il Maghreb non riescono a trovare una via di sviluppo e un modello, come invece è successo per altre economie del Terzo Mondo…

    R. – La Tunisia soffre di un limite strutturale, c’è la povertà delle risorse naturali, anche se ci sono quelle del petrolio, ma sono in via di esaurimento. L’economia tunisina si poggia fondamentalmente sul fatto di aver ricevuto investimenti da parte dell’Occidente, in modo particolare dell’Europa, e di avere un forte contributo, in termini di valuta estera, dal turismo. La rivolta e i disordini che sono nati, l’instabilità che da allora si è prodotta, non hanno certo favorito lo sviluppo sia degli investimenti stranieri che del turismo. A questo si deve aggiungere la situazione generale. La Tunisia e il Maghreb rimangono un’isola nel Mediterraneo. Non ci sono scambi tra i diversi Paesi maghrebini, non creano correnti commerciali e correnti di investimento e quindi sono singolarmente confrontati all’economia mondiale, la quale è molto più forte delle singole economie tunisine e maghrebine. Questo costituisce il vero e grosso handicap della Tunisia.

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    Haiti a tre anni dal sisma: la testimonianza di una volontaria

    ◊   Haiti ieri ha ricordato le vittime del sisma che ha colpito l’isola il 12 gennaio del 2010. Da allora molte cose sono cambiate grazie alla solidarietà internazionale e alla determinazione della popolazione che ha reagito dinanzi alle difficoltà. Restano però molti i problemi da risolvere soprattutto nella lotta alla malnutrizione e nella sicurezza alimentare ma sono tanti i volontari presenti che aiutano. Tra di loro c’è Fiammetta Cappellini di Avsi, Associazione Volontari per il Servizio Internazionale, raggiunta telefonicamente ad Haiti da Benedetta Capelli:

    R. - Sicuramente è cambiato molto nel corso di questi tre anni. C’è stato un enorme lavoro di accompagnamento della popolazione, di risposta all’emergenza e al volto di Haiti. Oggi tutto è estremamente differente rispetto all’immediato post catastrofe, per fortuna, perché sono stati momenti realmente drammatici per tutti quanti e durissimi per un lungo periodo. All’indomani del terremoto abbiamo contato tra i 250mila e i 320mila morti, a seconda delle differenti fonti, e un numero di sfollati superiore al milione, vicino al milione mezzo. A tre anni dal terremoto ci sono ancora 300mila persone che non hanno trovato una sistemazione definitiva e che vivono in alloggi di fortuna. E’ un numero ancora altissimo ma dice già il grande lavoro che è stato fatto in favore dei terremotati. Purtroppo, Haiti era un Paese molto difficile, molto povero e complesso, con equilibri fragili già prima del terremoto. Una catastrofe di questo tipo ha aumentato questa fragilità e tanti problemi non sono ancora risolti. Haiti resta un Paese poverissimo con una disoccupazione molto alta e con una percentuale della popolazione che vive sotto una soglia di povertà veramente altissima: si parla del 75 per cento della popolazione.

    D. – Raccogliendo testimonianze di persone che lavorano ad Haiti, molti ci raccontano che la popolazione si sta un po’ abituando a questa situazione di emergenza e sembra accontentarsi di poco e forse bisognerebbe far fare uno scatto di orgoglio, di dignità. Tu ritrovi nella tua esperienza questa indicazione oppure puoi raccontarci qualcosa di diverso?

    R. – In parte io confermo questo sentimento però è complesso valutarlo. All’indomani del terremoto si è detto molto bene, si è espressa ammirazione per questa capacità di resistenza della popolazione haitiana, della loro capacità di reagire, di cercare di adattarsi a quella che ormai era la nuova situazione, trovando strategie per sopravvivere. Adesso, a distanza di tempo la vediamo più negativamente. Io, però, trovo che la popolazione haitiana sia molto orgogliosa e quello che noi vediamo nell’implementazione delle nostre attività è che la prima richiesta è questa: dateci lavoro così che noi possiamo avere le risorse per rispondere alle necessità delle nostre famiglie. Trovo che questa sia una manifestazione di un grande orgoglio, di autostima, di desiderio di farcela. Purtroppo dare un lavoro a queste persone per noi è ancora una sfida molto difficile da risolvere.

    D. – In Italia, tre anni fa, le immagini che vennero da Haiti furono scioccanti però l’opinione pubblica fu molto colpita dalla tua storia personale e dal fatto che sei rimasta ad Haiti, mandando in Italia il tuo bambino Alessandro. Oggi a distanza di questi tre anni rifaresti la stessa scelta?

    R. – Sicuramente. Io non avevo alcuna possibilità di tenere il mio bambino qui con me in quel contesto. Come mamma non potevo pensare che questo fosse il bene del mio bambino. Ugualmente i nostri progetti, il nostro staff avevano bisogno che io restassi ed ero contenta di potermi rendere utile, di vedere che le nostre competenze erano realmente proficue per la gente. Quindi non è stata per me un’esperienza negativa, è stato duro come mamma, come genitore, separarmi dal mio bambino ma ho visto lui sereno, vicino a persone che gli hanno voluto bene e che l’hanno fatto crescere bene in questi mesi di lontananza. Rifarei assolutamente la stessa cosa.

    D. - Oggi sei un po’ haitiana anche tu… Sei sposata e tuo marito è haitiano, hai una famiglia, ma che cosa ti spinge a restare in un contesto difficile come quello che hai descritto, quello di Haiti?

    R. – L’impressione è che qui si viva una vita vera legata ai valori più veri e che appoggiare questa popolazione sia veramente costruire il futuro, dare una possibilità di futuro a un popolo che chiede principalmente questo. Pensare di poter dare un contributo, seppure molto piccolo, anche a prezzo di sacrifici, per me resta una motivazione fortissima.

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    L'Arabia Saudita apre alla presenza delle donne nel Consiglio della Shura

    ◊   Si registrano pareri discordanti sull’apertura alle donne in Arabia Saudita all’interno del Consiglio della Shura, l’organo consultivo in grado di proporre - e non varare - provvedimenti, finora aperto solo agli uomini. Saranno 30 le donne che vi prenderanno parte – costituiranno il 20% dell’assemblea - entreranno da un ingresso separato e saranno coperte dal velo. Pur apprezzando il cambiamento, molti esperti hanno espresso rammarico perché sul fronte dei diritti concessi alle donne si poteva fare di più. Benedetta Capelli ha chiesto un parere a Renzo Guolo, docente di Sociologia dell'islam all’università di Padova:

    R. – E’ un passo simbolico, un primo passo di apertura che segue già ad alcune aperture fatte negli anni scorsi, quando i regnanti dell’Arabia Saudita si sono resi conto che non potevano tenere troppo schiacciato il pedale sul freno della libertà, anche quella femminile, perché questo avrebbe potuto esporre il regno a conseguenze che si sono viste anche in altri Paesi. Quindi, è stata una sorta di mossa preventiva per evitare che i processi della cosiddetta primavera araba investissero anche l’Arabia Saudita.

    D. – La condizione femminile in Arabia Saudita presenta aspetti molto problematici, anche se, come diceva lei, negli ultimi anni qualche passo in più è stato fatto. Sta crescendo, però, anche una coscienza diversa all’interno del Paese. Su Twitter dopo questa apertura da parte del re, in realtà molti hanno espresso disagio perché si poteva fare qualcosa di più…

    R. – E’ chiaro. La libertà femminile è appena agli inizi, questo è indubbio. C’è una serie di problematiche che abbiamo visto negli anni scorsi, pensiamo solo al permesso di guidare la macchina o ai diritti legati a una concezione molto rigida della sharia, che penalizza la donna. E’ chiaro che le aperture sono ancora troppo poco profonde, ma si tratta di un segnale. Bisogna capire se all’interno delle élite - perché purtroppo bisogna parlare di élite – delle donne che ruotano intorno agli ambienti della monarchia saudita, come è avvenuto nel passato sempre dall’interno, si può immaginare una forte spinta, una forte pressione che possa indurre a ulteriori passi in avanti rispetto alla condizione femminile.

    D. - Nel passato queste aperture avevano irritato i leader religiosi wahabiti?

    R. – Sì e anche su questo non saranno troppo d’accordo. Dobbiamo pensare che il clero wahabita è molto restio a qualsiasi possibilità di aprire la strada delle libertà femminili. Ma è evidente che il re in questa fase si pone con un ruolo di mediazione tra la necessità di mantenere una certa legittimità religiosa, che è conferita dagli ulama, e le pressioni che vengono all’interno in particolare dagli ambienti legati alla monarchia, per aprire un po’ più complessivamente il sistema. E’ chiaro che non potendoci essere una vera e propria apertura politica nel senso di pluralismo politico effettivo, questo tipo di apertura arriva sul terreno dei diritti anche se è, ancora una volta, in modo troppo limitato, ma simbolicamente è un segno. E’ un solco che andrà approfondito se i movimenti all’interno dell’Arabia Saudita avranno la forza per camminare rapidamente su questo solco appena tracciato.

    D. – Soltanto qualche giorno fa, invece, le Nazioni Unite hanno espresso sconcerto per l’uccisione di una babysitter cingalese accusata di infanticidio ma ai tempi dei fatti era minorenne. Dunque due anime che si esprimono in questo modo all’interno del Paese…

    R. – Sì, sicuramente, ci sono due anime. Il problema è vedere quale delle due riuscirà a vincere dopo questa lunga fase di transizione.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Sorpresa dell'Autorità d'informazione finanziaria della Santa Sede per il blocco transazioni: il 2012 anno di verifica e adeguamento a norme internazionali

    ◊   Sorpresa dell'Autorità d'informazione finanziaria della Santa Sede per il blocco transazioni che ha colpito il Vaticano: è stata espressa, in un’intervista al Corriere della Sera dal direttore René Bruelhart che spiega che il 2012 è stato l’anno della verifica e dell’adeguamento a norme internazionali. La Banca d’Italia ha bloccato tutti i bancomat e le carte di credito della Deutsche Bank in Vaticano, escludendo, di fatto, lo Stato da tutto il circuito dei pagamenti elettronici e delle carte di credito. La motivazione sostenuta da Bankitalia è l’assenza di prove dell’esistenza di un effettivo regime antiriciclaggio nello Stato della Città del Vaticano, alla quale Bruelhart risponde ricordando che la Santa Sede ha superato a luglio il terzo round di valutazione del Comitato Moneyval del Consiglio d’Europa con 9 raccomandazioni superate su 16 e non è stata, quindi, sottoposta ad alcuna procedura o misura speciale di monitoraggio antiriciclaggio né da parte di Moneyval né da parte di altri organismi internazionali.
    Il 2012 è stato l’anno della verifica e dell’adeguamento della legislazione vaticana alla normativa internazionale e comunitaria in materia di riciclaggio e finanziamento del terrorismo e “il risultato – ha detto ancora il responsabile dell’Aif – è che l’assemblea plenaria di Moneyval la ha approvata in tutte le sue parti, reputando soddisfacente e credibile il percorso di adeguamento agli standard internazionali”. Una giurisdizione, infatti, viene sottoposta a monitoraggio qualora riceva almeno 10 votazioni insufficienti su 16 raccomandazioni cruciali, mentre la Santa Sede, come detto, ne ha ricevute 9 positive.
    La Santa Sede, comunque, - conclude Bruelhart – adotterà, nei prossimi mesi, ulteriori misure perché il contrasto al riciclaggio è sempre in progress”. (A cura di Roberta Barbi)

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    Ripresi i raid francesi in Mali mentre proseguono gli scontri a Konna

    ◊   Sono ripresi stamattina per il terzo giorno consecutivo i raid francesi in Mali contro gli estremisti islamici che controllano il nord del Paese, dopo averne bloccato l'avanzata via terra. Le vittime si contano a decine tra cui, pare, uno dei capi degli integralisti. Intanto, in diretta tv, il presidente maliano Traoré ha riferito un bilancio di almeno 11 morti, tra cui un militare francese, e una sessantina di feriti. In poche ore la Francia è rimasta coinvolta in due conflitti: in Somalia, infatti, il blitz per la liberazione dell’agente dei servizi segreti Denis Allex, da quattro anni in mano ai ribelli somali, è tragicamente fallito, causando anche 8 vittime civili. Allex, inoltre, secondo quanto affermato dal presidente Hollande, probabilmente sarebbe stato assassinato. Londra, infine, si prepara a fornire supporto logistico a Parigi in Mali, sulla cui situazione la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale ha convocato un vertice per mercoledì prossimo, e anche alcuni Stati africani, tra cui il Senegal e il Benin, hanno deciso l'invio di soldati nel Mali. (A cura di Roberta Barbi)

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    In Egitto la Corte di Cassazione accetta il ricorso per un nuovo processo a Mubarak

    ◊   L’ex raìs egiziano Hosni Mubarak e il suo ex ministro dell’Interno, Habib El Adly, saranno sottoposti a nuovo processo: lo ha stabilito la Corte di Cassazione in Egitto, rinviando a un nuovo processo anche i sei ex generali del ministero dell’Interno che in primo grado erano stati assolti e i due figli di Mubarak, accusati di corruzione e abuso di potere, che invece erano stati condannati all’ergastolo. Il verdetto è stato letto in diretta tv. La difesa di Mubarak si aspettava la riapertura del procedimento e ora punta al proscioglimento per l’ex raìs dall’accusa di aver ordinato di sparare sulla folla durante la rivoluzione del 2011 che portò al rovesciamento del suo governo. Intanto al Cairo, uomini a volto coperto hanno lanciato moltov e sparato contro i manifestanti accampati davanti al palazzo presidenziale di Morsi per chiedere l’annullamento della Costituzione egiziana basata sui principi della Sharìa islamica: il bilancio è di 23 feriti tra civili e poliziotti. (R.B.)

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    Attentati in Afghanistan e Pakistan: 7 vittime civili

    ◊   Sette civili sono rimasti uccisi oggi nell’esplosione di una moschea a Wardak, in Afghanistan, a sudovest di Kabul, al termine di uno scontro tra militanti talebani e militari della Nato e afghani. Lo ha reso noto il portavoce del governatore della provincia, specificando che non è ancora chiara la dinamica dei fatti. Due attentati sono avvenuti oggi anche in Pakistan: il più grave nel Waziristan settentrionale, dove 14 soldati sono morti e 21 sono rimasti feriti nell'urto accidentale del mezzo su cui viaggiavano con una bomba lungo la strada tra Miranshan e Razmak. Anche nel territorio tribale della Kurram Agency, sempre al confine con l’Afghanistan, un ordigno rudimentale è esploso al passaggio di un minibus, ferendo almeno nove persone. Intanto, il primo ministro pakistano Raja Pervez Ashraf è arrivato a Quetta, capoluogo del Baluchistan teatro di ben tre attentati nella giornata di venerdì che hanno lasciato sul campo 104 persone, tra cui 86 sciiti, dove la locale comunità sciita Hazara da giorni attua una protesta contro la sepoltura dei corpi delle vittime. (R.B.)

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    A Firenze incontro “Memorie del Concilio Vaticano II”

    ◊   Nella cornice della Sala Luca Giordano di Palazzo Medici Riccardi a Firenze, si è tenuto l’incontro “Memorie del Concilio Vaticano II”, organizzato dalla Fondazione Giovanni Paolo II e patrocinato dalla Provincia di Firenze. L’appuntamento è stato l’occasione, venerdì scorso, per la presentazione dei volumi “Storia del Concilio” (Ed. Lindau) di Riccardo Burigana e “I vescovi della Toscana al Concilio Vaticano II” (Ed. Fondazione Giovanni Paolo II) di Riccardo e Renato Burigana. Il volume a cura dei fratelli Burigana – ricorda il Sir - contiene una serie di testi che raccontano l’importanza della presenza dei vescovi della Toscana al Concilio Vaticano II: lettere pastorali, lettere dal Concilio, commenti e note manoscritte - alcune delle quali inedite - di mons. Carlo Baldini, vescovo di Chiusi-Pienza, relative alla prima sessione conciliare, dell’anno 1962. (A.L.)

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    Corea del Sud: imposte fiscali anche per le comunità religiose

    ◊   Tasse e imposte per i redditi e per gli introiti acquisiti dalle diverse comunità religiose e dai loro rappresentanti. E’ quanto prevede la nuova legge fiscale che sarà varata alla fine di gennaio dal governo della Corea del Sud, guidato dalla nuova presidente Park Geun-hye, del Partito conservatore Saenuri. La possibilità di imporre prevedere tasse per le comunità religiose e di abolire il vigente regime di esenzione fiscale era stata già ventilata dall’esecutivo precedente. La tassazione, secondo diversi esponenti politici sudcoreani, potrebbe contribuire a migliorare la trasparenza nella gestione finanziaria delle fondazioni religiose. Con l’introduzione di queste misure si potrebbe rispettare, in questo ambito, anche il principio di uguaglianza e di equità. Chiese protestanti ed evangeliche – sottolineano fonti di Fides - sono divenute vere e proprie imprese, gestendo mass-media, negozi, beni immobili, investimenti azionari. In base ad un recente sondaggio effettuato dal “Korean Institute for Religious Freedom” il 65%, su un campione di oltre 1.000 persone, si è detto favorevole ad applicare le imposte alle comunità religiose. Il “Consiglio Nazionale delle Chiese in Corea”, che rappresenta le Chiese protestanti con 21 mila comunità ed oltre 6,4 milioni di fedeli, ha discusso la questione in un recente seminario: un regime di tassazione – è stato ribadito - potrebbe aiutare le Chiese a mantenere la trasparenza. Alcuni leader religiosi hanno espresso una netta contrarietà. Altri rappresentanti della Chiesa cattolica e protestante e l’Ordine Jogye, il più grande gruppo buddista del Paese, si sono detti disposti ad “onorare i propri obblighi fiscali”. (A.L.)

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    A Roma sospesi i servizi del Centro Sant’Alessio, istituto per non vedenti

    ◊   Sono sospesi da lunedì 7 gennaio i servizi di assistenza per oltre 200 non vedenti assistiti al Centro regionale Sant’Alessio Margherita di Savoia, in via Odescalchi, a Roma. Circa 180 operatori rimangono senza lavoro. Lo rende noto il commissario straordinario Alessandro Matteini in una lettera inviata al presidente della Regione Lazio, al direttore regionale per le Politiche sociale e famiglia e al prefetto di Roma, firmata anche dal direttore generale del Sant’Alessio Gianfranco Rinaldi. Al centro della crisi, le mancate erogazioni da parte della Regione, che mantiene il Centro con una spesa annuale di 1,5 milioni di euro, pari a circa 81mila ore di servizi e prestazioni erogate. Il commissario Matteini – sottolinea la rivista diocesana Roma Sette - conferma la “passività cronica” della struttura, non avendo ancora ricevuto il saldo dell’annualità 2011 e dell’intero 2012. In gioco c’è la possibilità di continuare a prestare assistenza sia in forma domiciliare che diurna ai 119 utenti provenienti da Roma ma anche ai tanti che arrivano da tutta la regione. In tutto sono circa 200 le famiglie coinvolte. “Un assistito su 5 – sottolinea Augusto Bisozzi, coordinatore regionale per le Ipab per la Funzione pubblica della Uil - è un bambino. La Regione non paga e i finanziamenti non arrivano”. (A.L.)

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    Vietnam: iniziata demolizione di un monastero carmelitano ad Hanoi

    ◊   Il terreno e il Carmelo al numero civico 72 di via Nguyễn Thái Học sono di proprietà dell'arcidiocesi di Hanoi" e la curia "non ha mai devoluto oppure 'offerto' nessuno dei suoi 95 edifici della città, utilizzati oggi dallo Stato". È quanto afferma l’arcivescovo Pierre Nguyen Van Nhon, nella missiva inviata al Primo ministro Nguyễn Tấn Dũng e ai vertici dell'amministrazione cittadina, pubblicata sul sito dell'arcidiocesi. Le autorità hanno iniziato il 3 gennaio scorso l'opera di demolizione del monastero carmelitano, per costruire al suo posto un ospedale di cinque piani. Tuttavia, fonti cattoliche dell'arcidiocesi -hanno ipotizzato lo studio di "progetti" che interesserebbero la zona, "ben diversi" dalla realizzazione di un nosocomio a servizio della città. Chiesa e monastero si trovano al numero 72 di via Nguyễn Thái Học, ad Hanoi, da oltre cento anni. Nel tentativo di fermare questo nuovo attacco contro la comunità cattolica, l'arcivescovo Pierre Nguyen Van Nhon ha subito inviato un appello urgente al premier. Si tratta della quinta petizione rivolta ai vertici di governo, che finora non hanno fornito gli esiti sperati. Nella lettera, ripresa dall’agenzia AsiaNews, l’arcivescovo ricorda che "la missione essenziale della Chiesa è di essere al servizio degli uomini" e, in tutta la sua storia, l'arcidiocesi di Hanoi ha dato "il suo sostegno caloroso e il suo contributo agli sforzi" volti a "rispondere ai bisogni sanitari della cittadinanza". Al riguardo, rammenta che "quattro dei 10 ospedali della città di Hanoi usano locali appartenenti alla Chiesa". Mons. Nguyen Van Nhon non manca di "protestare vivacemente" contro la "demolizione illegale" del monastero carmelitano, per tre ragioni ben specifiche: lo Stato dispone "a sufficienza" di terreni o di mezzi per "ristrutturare un edificio" ed adibirlo alla funzione di ospedale; per i cattolici il Carmelo "è un luogo sacro e storico"; il monastero e la chiesa annessa devono essere usati "con finalità di culto" dai fedeli della parrocchia di San Domenico. Il prelato si rivolge ai fedeli, chiedendo loro di "unirsi nella preghiera" in difesa dei "diritti legittimi". (A.L.)

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    Italia: firmata l’intesa per i progetti saveriani di intercultura

    ◊   Un impegno comune per promuovere e diffondere un’educazione interculturale e interreligiosa, nelle aule scolastiche ma non solo: lo prevede un protocollo di intesa sottoscritto dal ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca con il Centro saveriano di animazione missionaria – Cem mondialità. Sottoscritto venerdì scorso a Roma, l’intesa ha validità biennale ed è destinata a favorire iniziative e programmi a livello sia locale che nazionale. Il Cem mondialità – ricorda l’agenzia Misna - è frutto del lavoro di decine di professionisti che si occupano di educazione in ambiti disciplinari diversi, dalla musica alla letteratura, dalla danza ai nuovi media, dalla comunicazione al dialogo interreligioso. Il minimo comune denominatore di questo impegno, che assume la forma di corsi di formazione, collane di testi e convegni, è la cultura del dialogo, della pace, della solidarietà, dei diritti umani e dell’ambiente. L’attuazione dell’intesa sarà monitorata da un comitato istituito presso la direzione generale per lo studente, l’integrazione, la partecipazione e la comunicazione del ministero e sarà composto da tre rappresentanti per ciascuna delle parti firmatarie. (A.L.)

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    Allarme della Chiesa in Pakistan: Karachi città senza pace

    ◊   Una violenza generalizzata attanaglia Karachi, metropoli portuale del Pakistan: urge cercare mezzi e strategie per fermarla, anche perché in città “operano attivamente i talebani”. E’ quanto riferisce la Chiesa cattolica locale. “Sono molto triste e preoccupato” - sottolinea all’Agenzia Fides mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi - perché ogni giorno, sono almeno 10 le persone uccise in città. “Ho visitato molte famiglie colpite da questa assurda violenza – aggiunge - e le ho benedette”, assicurando il sostegno della Chiesa.La Chiesa locale, attraverso la Commissione “Giustizia e Pace” ha consegnato 50.000 rupie (525 dollari Usa) a cinque famiglie cristiane che di recente hanno perso i loro cari. L’Arcivescovo ha dato mandato alla Commissione di seguire le famiglie, sostenerle e garantire l’istruzione dei più piccoli. Secondo i dati diffusi dalle autorità, nei primi otto mesi del 2012 sono state uccise 1.725 persone in quella che è stata definita “una guerra di strada”. “Karachi è una città senza pace e la popolazione vive nell’incubo della violenza”: “Gruppi terroristici - spiega Noel Alfonce, coordinatore diocesano della Commissione ‘Giustizia e Pace’- scorazzano liberamente”. “Ogni giorni in alcune zone della città si registrano omicidi e violenze”. Il governo sembra impotente e non riesce a fermare i gruppi fondamentalisti e terroristi”. “Gli scontri fra i partiti politici e le loro ali terroristiche – aggiunge - giocano un ruolo fondamentale nella guerra di sangue in corso a Karachi. Inoltre, le fazioni di talebani hanno iniziato a operare attivamente in città”. In particolare violenze mirate si sono registrate recentemente a Essa Nagri, quartiere dove vivono circa 50mila cristiani. A Essa Nagri, solo a settembre 2012 cinque giovani cristiani sono stati uccisi con armi da fuoco da terroristi non identificati. (A.L.)

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    Libano: la legge elettorale fa discutere i leader politici cristiani

    ◊   In Libano diversi leader politici cristiani partecipano al dibattito sulla legge elettorale, con cui si terranno le elezioni legislative in programma per la prossima primavera. In una riunione svoltasi venerdì a Bkerké, alla presenza del Patriarca maronita Béchara Boutros Raï - rende noto l’agenzia Fides - i rappresentanti delle quattro principali formazioni politiche cristiane hanno ribadito unanimemente la “necessità di pervenire a una legge elettorale che assicuri la migliore rappresentanza per tutte le comunità libanesi”. Una formula generica che rappresenta, di fatto, un passo indietro rispetto al consenso espresso domenica scorsa dagli stessi raggruppamenti (Corrente Patriottica Libera, Forze Libanesi, Kataëb et Marada) nei confronti della proposta di legge formulata dal cosiddetto “Rassemblement ortodosso”. La controversa proposta di riforma in questione prevede di trasformare il Libano in un distretto elettorale dove ogni cittadino vota solo per membri appartenenti alla propria confessione religiosa. Tale prospettiva era stata appoggiata dalle formazioni cristiane presenti al summit di domenica scorsa, ma poi aveva suscitato stroncature radicali da parte di parlamentari cristiani indipendenti e dello stesso Presidente libanese, il cristiano maronita Michel Sleiman. (A.L.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 13

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.