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Sommario del 10/01/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI incontra la sua diocesi. Mons. Di Tora: Papa vicino ai romani e li incoraggia
  • Altre udienze e nomine
  • Il card. Sandri ai cristiani in Egitto: siate presenza riconoscibile ed efficace del Vangelo
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria. Maltempo sugli sfollati, gravi disagi nei campi. Testimonianza di Caritas Turchia
  • Mali: ripresi gli scontri tra ribelli e militari, emergenza umanitaria
  • Ue, Juncker: disoccupazione “drammatica”, scarso accordo tra i governi
  • Vescovi pro Terra Santa: Europa e Nord America impediscano ingiustizia del Muro israeliano
  • Mons. Chacour: a rischio l'esistenza dei cristiani in Terra Santa
  • Appello del card. Bagnasco da Gerusalemme: i pellegrinaggi incoraggiano i cristiani in Terra Santa
  • "Pura ideologia": così le scuole private di Bologna sul referendum per togliere i fondi
  • Terremoto d'Emilia. Chiese provvisorie e 15 milioni di euro per recuperare quelle storiche
  • Adozioni internazionali in calo in Italia: i dati della Commissione e il parere del Cifa
  • Commissione d'inchiesta: nessuna traccia di uranio impoverito nei poligoni di tiro
  • Più fedeli nei Santuari che nelle chiese. L'opinione di mons. Coda e del prof. Iannaccone
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: a nord di Aleppo una comunità cristiana intrappolata e ridotta allo stremo
  • Libano: per i vescovi maroniti l'afflusso dei profughi siriani può destabilizzare il Paese
  • Iraq: l'arcivescovo di Mosul sul miracolo di Natale e le violenze contro i cristiani
  • I vescovi venezuelani chiedono di chiarire i dubbi sulla salute del presidente Chávez
  • Il card. Gracias lancia una Giornata per l’uguaglianza tra uomo e donna
  • Vietnam: fino a 13 anni di prigione per i cattolici attivisti di Nghe An
  • Lanciato oggi a Dublino l'Anno europeo dei cittadini
  • Il card. Filoni: Pauline Jaricot, fedele a Cristo e lungimirante per l’evangelizzazione
  • Francia: appello dei vescovi a non dimenticare Haiti, a tre anni dal sisma
  • Colombia. Processo di pace: le Farc non prorogheranno la tregua
  • Messico: anche la Chiesa partecipa alla campagna per il disarmo nella capitale
  • Nigeria: il card. Onaiyekan e il presidente Jonathan denunciano le violenze religiose
  • Kenya: nuove stragi nel delta del Tana
  • Sudan: nel Darfur villaggi in fiamme per una miniera d'oro
  • Gabon: a Port-Gentil incontro internazionale di formazione sulla povertà
  • Malaysia. Le Chiese: eserciteremo il diritto costituzionale sull’uso del nome Allah
  • Taiwan: formazione di sacerdoti e seminaristi al centro dell'Assemblea dei vescovi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI incontra la sua diocesi. Mons. Di Tora: Papa vicino ai romani e li incoraggia

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto, stamani, in udienza in Vaticano il cardinale vicario per la diocesi di Roma, Agostino Vallini, con i vescovi ausiliari. Un’udienza che apre le visite ad Limina dei vescovi italiani, che si snoderanno lungo tutto il 2013. All’incontro era anche presente il vescovo ausiliare, mons. Guerino Di Tora, che subito dopo l’udienza con il Papa è stato raggiunto telefonicamente da Alessandro Gisotti:

    R. – Il Papa ha chiesto a ognuno di noi l’attività e la situazione del proprio settore della diocesi. Sono emerse cose generali, come il cambiamento sociale della città, il rapporto con le religioni non cristiane: ci sono tanti nuovi cittadini romani che, ad esempio, sono musulmani. E poi, soprattutto le situazioni di disagio, di povertà. E lì, il Papa è stato molto contento dell’attività caritativa che c’è a Roma.

    D. – C’è qualcosa in particolare, magari sulle situazioni di disagio – anche quelle nuove – che vivono i romani che hanno colpito il Papa?

    R. – Il Papa è stato molto colpito, andando nelle parrocchie – per esempio, a San Patrizio – dove ha potuto constatare come, nelle periferie, questo disagio e questa difficoltà economica, soprattutto da parte delle famiglie, si possa toccare con mano.

    D. – Che cosa le dà come spinta per iniziare questo nuovo anno l'incontro con il Papa?

    R. – Soprattutto, sentire questa profonda comunione con il nostro vescovo Benedetto che è, appunto, vescovo di Roma. E proprio perché è vescovo di Roma, è capo della Chiesa universale. Veramente un senso di grande comunione: questo interesse profondo che sente per la nostra città, per quello che viene fatto nelle comunità. Si è interessato anche dei problemi sanitari, degli ospedali… E’ veramente una compartecipazione che ci fa sentire in piena comunione con lui.

    D. – Una vicinanza con il Papa, che poi ovviamente viene trasmessa dai vescovi e dai sacerdoti nei rispettivi settori della diocesi …

    R. – Sì. Ci ha chiesto di salutare anche i nostri sacerdoti e quindi andando nelle prefetture, nelle parrocchie, porteremo non solo il saluto ma proprio questo spirito di profonda comunione che lui sente.

    D. – Un’udienza, un incontro nel segno del coraggio, all’inizio di questo anno…

    R. – Veramente nel segno del coraggio e dell'andare avanti per animare sia i sacerdoti, sia le comunità parrocchiali in questo Anno della Fede, per poter essere tutti portatori della fede nel proprio ambiente e nella propria situazione di quotidianità.

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Il Papa ha ricevuto stamani la signora Slavica Karačić, ambasciatore di Bosnia ed Erzegovina presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali e Mons. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

    Negli Usa, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Las Cruces, presentata da S.E. Mons. Ricardo Ramírez, C.S.B., in conformità al canone 401 §1 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Vescovo di Las Cruces (U.S.A.) S.E. Mons. Oscar Cantú, finora Vescovo titolare di Dardano ed Ausiliare di San Antonio (U.S.A.).

    In Canada, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Eparchia di Saint-Maron de Montréal dei Maroniti, presentata da S.E. Mons. Joseph Khoury, in conformità al can. 210 § 1 del CCEO.Il Santo Padre ha nominato Vescovo dell’Eparchia di Saint-Maron de Montréal dei Maroniti il Rev.do Padre Marwan Tabet, M.L., finora Consigliere Generale della Congregazione dei Missionari Libanesi e incaricato dell’Ufficio dell’Immigrazione e dello Sviluppo del Patriarcato Maronita.

    In Irlanda, il Papa ha nominato Vescovo di Limerick il Rev.do Sac. Brendan Leahy, del clero dell'arcidiocesi di Dublin, finora Professore di Teologia sistematica al Collegio di San Patrizio a Maynooth.
    Il Sinodo della Chiesa Arcivescovile Maggiore Siro-Malabarese riunito a Mount Saint Thomas (Kerala – India), avendo ricevuto il Previo Assenso Pontificio, ha canonicamente eletto il Rev.do Sac. George Madathikandathil, Parroco di St. Mary’s Church, Arakuzha, all’ufficio di Vescovo Eparchiale di Kothamangalam dei Siro-Malabaresi (India). Il neo-eletto Vescovo succede a S.E.R. Mons. George Punnakottil, la cui rinuncia al governo pastorale della medesima Eparchia era stata accettata dal Sinodo in conformità al CCEO can. 210 § 1.

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    Il card. Sandri ai cristiani in Egitto: siate presenza riconoscibile ed efficace del Vangelo

    ◊   “Voi siete coloro che hanno offerto la disponibilità personale a servire la Chiesa e hanno ricevuto il compito ecclesiale di impegnarsi, in fedele e costruttiva cooperazione con i Pastori, perché la vita della comunità cattolica in Egitto sappia annunciare con efficacia il Figlio di Dio attraverso la vita sacramentale, la catechesi, la carità, specie nell’assistenza e nell’educazione, e nel servizio concreto e quotidiano”: è quanto ha affermato ieri sera il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, incontrando al Cairo i responsabili delle attività apostoliche in Egitto. “Senz’altro state sperimentando il deserto della presente situazione tanto difficile” da detto il porporato, sottolineando la necessità di “non dimenticare la secolare tradizione dell’Egitto, i vertici di religiosità e cultura che ha conosciuto e che deve confermare nel presente e nel futuro: una cultura sempre aperta alla Rivelazione di Dio”. In mezzo a tale deserto, i cristiani debbono essere “oasi per chi si incontra quotidianamente”, continuando a essere “presenza riconoscibile ed efficace del Vangelo di Cristo”. La Beata Teresa di Calcutta e il Beato Charles de Foucault sono stati ricordati dal cardinale Sandri come esempi da seguire, “due ardenti testimoni radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede”. Nella conclusione del suo intervento, il cardinale ha voluto affidare ai presenti le finalità dell’Anno della Fede, particolarmente importanti nel contesto religioso in cui si trova l’Egitto ora, e ha richiamato un passo dell’Esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente sugli istituti di educazione cattolica nel Paese che “essendo degli inestimabili strumenti di cultura per la formazione dei giovani alla conoscenza, dimostrano in modo evidente il fatto che esiste, in Medio Oriente, la possibilità di vivere nel rispetto e nella collaborazione, attraverso un’educazione alla tolleranza e una ricerca continua di qualità umana”. Nella mattinata di ieri il cardinale Sandri aveva celebrato una Messa per il bicentenario della nascita della Beata Maria Troiani, fondatrice delle Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria. Nell’omelia, il porporato ha sottolineato l’urgenza di “far sentire alle regioni orientali la sollecitudine della Chiesa” soprattutto in Siria e Iraq, Paesi “tanto feriti per la violenza degli uomini, ma per grazia di Dio immersi certamente nella ferita aperta del costato di Cristo”. Ricordando la “Madre Bianca”, che dal 1859 “riscattò e educò tantissime schiave nere, aprendole anche alla fede cristiana”, il cardinale Sandri ha nuovamente citato l’Esortazione pontificia Ecclesia in Medio Oriente, nella parte in cui afferma l’impegno della Chiesa Cattolica nel “promuovere la dignità personale della donna e la sua uguaglianza con l’uomo”. Oggi il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali si reca a Sharm el-Sheik per l’inaugurazione della nuova chiesa dedicata alla Madonna della Pace. Domani il il rientro a Roma. (L.P.)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il lavoro e le generazioni sparite: in prima pagina, Luca M. Possati sul drammatico aumento della disoccupazione tra i giovani europei.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, la sempre più critica situazione dei civili sudanesi stremati dai continui combattimenti.

    Il multiforme inganno: in cultura, Giulia Galeotti recensisce il romanzo di Valerio Massimo Manfredi “Il mio nome è Nessuno. Il giuramento”.


    Interpreto l’istinto, ergo sum: Robert Spaemann sul concetto di “naturale”.

    Un articolo di Nicoletta Pietravalle dal titolo “Manierista stravagante”: Rosso Fiorentino al centro di una mostra alla Morgan Library di New York.

    I due testi introduttivi - rispettivamente di José Abrego de Lacy e di Francesco Bianchini e Stefano Romanello - al volume “Non mi vergogno del Vangelo, potenza di Dio”, che raccoglie studi in onore del gesuita Jean-Noel Aletti in occasione del suo settantesimo compleanno.

    Affacciati alla finestra: Simona Verrazzo su un’esposizione itinerante da Lugano a Losanna.

    In difesa della Costituzione: nell’informazione religiosa, l’appello della Conferenza episcopale del Venezuela.

    Rio de Janeiro capitale dell’accoglienza: nell’informazione vaticana, intervista di Gianluca Biccini all’arcivescovo Orani Joao Tempesta sui preparativi della giornata mondiale della gioventù in programma a luglio.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria. Maltempo sugli sfollati, gravi disagi nei campi. Testimonianza di Caritas Turchia

    ◊   Pioggia e neve stanno sferzando da giorni il Medio Oriente, rendendo ancor più critica la situazione delle decine di migliaia di sfollati che cercano scampo dal conflitto in Siria. Mentre i combattimenti tra truppe di Damasco e ribelli continuano anche oggi a mietere vittime, la tempesta di neve abbattutasi di recente sulle tende dei rifugiati del campo Zaatari in Giordania sta causando disagi insostenibili. Disagi si registrano anche in Turchia, Paese coinvolto nell’accoglienza degli sfollati siriani. Antonella Palermo ne ha parlato con Chiara Rambaldi, volontaria Caritas in Turchia:

    R. – Un numero non ufficiale, in questo momento, parla di circa 230 mila persone. La maggior parte sono donne, bambini e famiglie. Una parte vive nei campi, dislocati in diverse città, allestiti e gestiti direttamente dal governo turco. Una parte, invece, vive fuori dai campi. Noi, come Caritas Turchia, abbiamo scelto di concentrarci sulle persone che si trovano fuori dai campi, in questo momento, perché hanno meno possibilità di ricevere assistenza.

    D. – In che condizioni vivono queste persone?

    R. – Le difficoltà che fronteggiano sono quelle di chiunque scappa da una situazione di conflitto con bambini, non avendo più né un lavoro, né la scuola. Oltretutto, ora è inverno, quindi sono anche regioni dove il tempo è abbastanza inclemente.

    D. – Quali sono allora i servizi che voi prestate per sostenere queste persone?

    R. – Supporto per le spese mediche che devono affrontare, perché è frequente il bisogno di medicine, di operazioni chirurgiche, di terapie. Distribuzione di generi alimentari, coperte, scarpe e oggetti che gli aiutino a proteggersi dal freddo. Si tratta di visitare le famiglie, parlare con loro, vederle una per una, capire quali sono i loro bisogni, la loro situazione e cosa può essere fatto. Direi che la situazione più difficile, ovviamente, è quella delle famiglie numerose – con molti bambini – che interrompono i loro percorsi di studi, delle persone anziane che ovviamente faticano a lasciare la propria casa e ad affrontare lo stress di un viaggio verso la Turchia, estremamente complicato e pericoloso. O delle donne da sole che non sanno cosa ne è stato dei loro consorti. Questo è il tipo di situazione.

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    Mali: ripresi gli scontri tra ribelli e militari, emergenza umanitaria

    ◊   In Mali, sono ripresi gli scontri armati tra ribelli islamici e militari di Bamako. La nuova situazione fa seguito al rinvio dell’incontro, promosso dal presidente del Burkina Faso, Compaoré, mediatore ufficiale della Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale, per porre fine al conflitto nel Nord del Paese. All'incontro dovevano partecipare delegazioni ufficiali del gruppo Ansar Dine e del Movimento nazionale di liberazione dell'Azawad, due dei gruppi che si oppongono all'esercito maliano con l’obiettivo di islamizzare il Paese. Sempre più grave la situazione umanitaria, sulla quale operano, sotto l’egida dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati, varie organizzazioni umanitarie, tra le quali Intersos. Giancarlo La Vella ha intervistato Federica Biondi, responsabile dell’Ong per la Mauritania e il Mali:

    R. – La crisi sta producendo effetti interni ed esterni al Mali, ossia le persone si spostano internamente nello stesso Nord del Mali, dal Nord Mali affluiscono al Sud oppure vanno nei Paesi limitrofi: in Mauritania, in Niger e Burkina Faso.

    D. – Di che cosa c’è bisogno in questo momento, e qual è il tipo di intervento che voi offrite?

    R. – Hanno bisogno di tutto! Sono persone arrivate con i loro pochi averi e che hanno bisogno di essere assistiti dal punto di vista alimentare, di ricevere acqua, cure mediche, un riparo dove abitare e poi ricostituire le normali condizioni di vita.

    D. – In che modo la popolazione civile è stata coinvolta in questo scontro frontale tra ribelli e governo?

    R. – La popolazione civile ha reagito decidendo di rimanere sul posto o di spostarsi, perché teme per la sicurezza. Quindi, le persone decidono o di trovare rifugio all’interno del Mali stesso nelle zone controllate dal governo, nel Sud, o nei Paesi limitrofi. Teniamo conto che questa è una crisi ricorrente: i rifugiati che noi accogliamo in questo momento in Mauritania sono gli stessi o i discendenti di quelli che sono stati accolti, sempre dall’Alto Commissariato, negli anni Novanta e anche prima a causa di una crisi simile.

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    Ue, Juncker: disoccupazione “drammatica”, scarso accordo tra i governi

    ◊   In Europa, la situazione della disoccupazione è “drammatica”: sono parole del presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, al Parlamento dell'Ue. Juncker lamenta che i leader europei non riescono a trovare pieno accordo sui passi da fare indicati dagli altri tre presidenti: Draghi alla Bce, Van Rompuy al Consiglio europeo, Barroso alla Commissione. In ballo, ci sono i passi previsti in tema di governance economica, a partire dall’unione bancaria. Fausta Speranza ne ha parlato con Giampiero Gramaglia, direttore di EurActiv, network on line in diverse lingue sulle questioni europee:

    R. – Speriamo che sia l’anno dell’uscita dalla crisi. Lo spera tutta l’Unione Europea, le sue istituzioni, e lo sperano soprattutto tutti i cittadini. Tra l’altro, il 2013 è l’Anno europeo dei cittadini, anno della cittadinanza europea, per cui si prevede tutta una serie di eventi, con il crescente coinvolgimento dei cittadini e la crescente conoscenza dei diritti che i cittadini europei in quanto tali hanno. Ma in attesa che si esca dalla crisi - dalle ultime indicazioni Juncker all’Eurogruppo e Draghi alla Banca centrale europea parlano della fine dell’anno, forse l’inizio del 2014 - ci sono una serie di fatti concreti che devono accadere nel 2013. Abbiamo gli sviluppi dei percorsi verso una maggiore integrazione economica. La via scelta è stata quella di creare un’unione bancaria che quest’anno verrà definita, entrerà in vigore e sarà operativa davvero dall’anno prossimo. E poi, una serie ulteriore di integrazioni fino a tutto il 2014, salvo poi passare al completamento dell’unione economica, che però richiederà più anni per realizzarlo.

    D. – In definitiva, da questa Unione Europea ci aspettiamo più politica per gestire meglio l’economia. Concretamente, ci sono nel 2013 i passi previsti per fare questo?

    R. – Direi che ci aspettiamo tutti dall’Unione Europea più risultati nel riportare l’economia su un ritmo di crescita che ci aiuti a recuperare i punti non solo di Pil, ma anche di qualità della vita, e magari anche di convinzione europea, perduti nella lunga "notte" – che speriamo si avvicini all’alba – della crisi finanziaria. Ci sono i presupposti perché ciò avvenga, presupposti di decisioni già prese o di appuntamenti già presi per arrivare alle decisioni. Abbiamo avuto una fase, negli ultimi mesi del 2012, in cui l’Unione Europea si è ammalata – potremmo dire – di “pareggite”, cioè finiva tutte le riunioni con un rinvio, con un pareggio. Non era un fallimento, ma non era neanche una decisione: non è la prima volta che all’Unione Europea succede, va incontro a queste fasi di abulia decisionale. Mi pare che alla fine del 2012 le cose siano un po’ migliorate e magari anche i governi avranno qualche elemento di coraggio in più nel prendere decisioni.

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    Vescovi pro Terra Santa: Europa e Nord America impediscano ingiustizia del Muro israeliano

    ◊   I governi d’Europa e del Nord America impediscano l’“ingiustizia” del muro costruito da Israele nei Territori palestinesi. Lo chiedono a una voce i vescovi dei due continenti che in questi giorni, in veste di membri del Coordinamento Terra Santa, hanno visitato numerose comunità cattoliche mediorientali per portare come ogni anno sostegno e solidarietà. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    C’è chi unisce nel segno della solidarietà – come dimostra il lavoro della Caritas giordana o del Catholic Relief Service di Gaza – e chi divide in nome di una sicurezza mai “sazia”, come dimostra la barriera di cemento che Israele continua a innalzare tra sé e i territori e le popolazioni circostanti. Contro questa “ingiustizia” prendono posizione i vescovi della delegazione pro Terra Santa assicurando che, di ritorno dalla loro visita, si faranno portavoce presso i “rispettivi governi” perché impediscano l’“invasione della barriera di sicurezza”. Nel comunicato, i presuli fanno anche il punto delle visite che li hanno portati tra Gaza e Betlemme, Beit Jala, Madaba e Zarqa. Davanti a loro, scrivono, i segni della guerra civile in Siria – attraverso “il gran numero di rifugiati” – o le testimonianze “commoventi “di “donne religiose impegnate nell’assistenza ai lavoratori migranti, alle vittime della tratta e ai prigionieri”, o ancora quelli che più generalmente “lottano contro l'oppressione e l’insicurezza nei Paesi che compongono la Terra Santa”.

    “La nostra fede – dicono – è stata arricchita dalla forza e dal coraggio delle persone che abbiamo incontrato” e questo ci ispira “a promuovere una pace giusta”. Per questo, i vescovi del Coordinamento rivolgono un appello ai cristiani d’Occidente e “alle persone di buona volontà in tutto il mondo” perché sostengano “il lavoro svolto in questa regione per costruire un futuro migliore”. Futuro, constatano, che è già presente nell’investimento della Chiesa per l'istruzione. “In nessun luogo questo è più evidente che nell'Università di Betlemme, dove – raccontano – siamo stati colpiti dalle storie degli studenti, e l'Università americana di Madaba in Giordania”. Nel 2009, ricordano i presuli, Benedetto XVI aveva “rivolto un appello al personale e agli studenti della regione ad essere costruttori di una società giusta e pacifica composta di persone di varia estrazione religiosa ed etnica”.

    In Terra Santa, dove la popolazione cristiana è in fase “decrescente”, i vescovi europei e nordamericani assicurano “sostegno concreto per i più vulnerabili”, nonché il “massimo impegno per convincere i nostri rispettivi governi – scrivono – a riconoscere le cause che sono alla radice della sofferenza in questa terra e ad intensificare i loro sforzi per una pace giusta”. Esortando i cristiani “a venire in pellegrinaggio in Terra Santa”, i presuli del Coordinamento concludono facendo eco all’appello del Papa lanciato di recente nel suo discorso al Corpo diplomatico presso la Santa Sede perché, con “il sostegno della comunità internazionale”, israeliani e i palestinesi “si impegnino per una coesistenza pacifica nel contesto di due Stati sovrani, in cui il rispetto per la giustizia e le legittime aspirazioni dei due popoli siano preservati e garantiti”.

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    Mons. Chacour: a rischio l'esistenza dei cristiani in Terra Santa

    ◊   I vescovi europei e nord-americani, nella loro missione in Terra Santa, hanno toccato con mano le difficoltà delle comunità cristiane locali. La nostra inviata Veronica Scarisbrick ne ha parlato con l’arcivescovo greco-melkita Elias Chacour:

    R. – We had a continued crisis...
    La crisi è continua da quando siamo diventati una minoranza, cioè dalla creazione dello Stato d’Israele. E in quanto minoranza abbiamo problemi che minacciano l’esistenza stessa dei palestinesi cristiani e la loro presenza in Terra Santa.

    D. – Può menzionarne alcuni?

    R. – Yes, I can...
    Certo. Le faccio un esempio molto semplice. Abbiamo le nostre scuole cristiane in Israele. Il Ministero dell’Istruzione versa i sussidi per i bambini di qualsiasi scuola, ma è stata fatta un’eccezione per le scuole cristiane. Non solo ci danno meno della metà dei sussidi, ma continuano a ridurli sempre più. Rischiamo, quindi, di chiudere le nostre scuole. E le nostre scuole non sono semplicemente “scuole”: sono luoghi dove cristiani, musulmani, drusi e ragazzi di altri confessioni imparano a vivere insieme. Questo potrebbe non essere più possibile e ci addolora molto.

    D. – Per i cristiani di tutto il mondo la Terra Santa continua a rimanere un luogo importante...

    R. – The Holy Places are extremely important...
    I Luoghi Santi sono estremamente importanti e sono grato per tutti quei cristiani che se ne prendono cura. Ma è giunto il momento di chiedersi quale possa essere il significato dei Luoghi Santi se non ci sono più cristiani; qual è l’importanza delle pietre sante di questa terra se non ci sono più pietre vive? Rivolgo un appello ai cristiani perché vengano qui in pellegrinaggio. Venite, ma dopo aver visitato le reliquie, le pietre, le antichità, incontrate anche le comunità cristiane locali! Saranno felici di riceverli, di condividere un pasto con loro; non chiederanno denaro, ma amicizia e solidarietà. Penso che lo meritino.


    Sui rapporti ecumenici in Terra Santa ascoltiamo mons. William Shomali, vescovo ausiliare del Patriarcato latino di Gerusalemme, al microfono di Veronica Scarisbrick:

    D. - Lei è l’ausiliare di Gerusalemme: a livello ecumenico qual è la situazione qui?

    R. - Facciamo sforzi seri con i nostri fratelli ortodossi, ma anche anglicani e luterani, per convivere insieme, radunarci e discutere insieme i problemi che riguardano le nostre Chiese. Lo facciamo ogni due mesi, nel Patriarcato ortodosso: ci sono i vescovi e i patriarchi che vengono e discutono. Incominciamo i nostri incontri con la preghiera. Questo prima non accadeva, iniziavamo senza preghiera, ma adesso abbiamo insistito perché se i vescovi si incontrano deve esserci qualcosa che unisce: la preghiera.

    D. - Per quanto riguarda la celebrazione della Pasqua nello stesso giorno?

    R. - Abbiamo unificato il calendario nelle nostre parrocchie in Israele, Giordania, Cipro e gran parte delle parrocchie palestinesi. Questo è un passo avanti, anche se non è soddisfacente, perché le varie comunità cristiane di Gerusalemme e Betlemme non hanno accolto questa decisione; ma è comunque un passo in avanti che abbiamo fatto per soddisfare i bisogni della gente. E’ la gente che ha fatto pressione sul clero per unificare la festa di Pasqua. In questo modo, abbiamo unificato, almeno in parte, il Tempo di Quaresima e il Tempo pasquale: si tratta di 100 giorni che ci vedono celebrare insieme.

    D. - … ma non a Gerusalemme e Betlemme…

    R. - Fatta eccezione per Gerusalemme e Betlemme, a causa dello status quo dei luoghi santi, ma anche per l’afflusso di pellegrini che vengono a celebrare la Pasqua con noi. Abbiamo cercato di essere attenti anche alle esigenze dei pellegrini.

    D. – Quale rapporto avete con i musulmani e gli ebrei?

    R. - Eccetto una minoranza di fondamentalisti, possiamo dire che siamo molto rispettati da musulmani ed ebrei e, anche a livello dei diversi governi, i cristiani hanno la piena libertà della pratica religiosa. Sentiamo questo rispetto sia da parte dei leader palestinesi sia dai leader israeliani: i cristiani sono i benvenuti, sono cittadini in piena regola e sono cittadini rispettosi delle leggi civili. Noi non abbiamo problemi come cristiani - a livello dei diversi governi - ma abbiamo bisogno anche di avere la libertà di coscienza, di conversione, un diritto che non è ancora concesso ai cristiani nei Paesi arabi.

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    Appello del card. Bagnasco da Gerusalemme: i pellegrinaggi incoraggiano i cristiani in Terra Santa

    ◊   “In questo Anno della fede, venite in Terra Santa per godere la grazia particolare di questi luoghi, per incoraggiare la presenza dei cristiani e sperimentare la gioia della fede. Sarà un dono ricevuto e al tempo stesso donato.” Questo l’appello lanciato ieri dal cardinale Angelo Bagnasco nella Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Il servizio di Stefania Sboarina del Franciscan Media Center:

    “Siamo venuti qui per vedere e capire che cosa è avvenuto in questo luogo, come fecero Pietro e Giovanni”. Davanti all’Edicola che custodisce il luogo della Resurrezione di Cristo è il cardinale Angelo Bagnasco a presiedere, ieri, la Messa Solenne che viene solitamente celebrata dai Francescani, all’alba di ogni mattina, nella Basilica del Santo Sepolcro.

    L’arcivescovo di Genova accompagna in pellegrinaggio un gruppo di sacerdoti: è il clero giovane della sua Chiesa, 27 sacerdoti e 2 diaconi, che stanno vivendo in Terra Santa in una settimana di fraternità e di aggiornamento. Il cardinale Bagnasco:

    “E’ un momento di grande commozione che ci porta e ci ha donato la grazia di un rinnovamento della fede e della gioia cristiana. Nell’Anno della fede non potevamo mancare questo ritorno all’origine, al grembo della vita cristiana”.

    Dal luogo in cui è avvenuto l’evento che fonda la nostra fede, il presidente della Conferenza episcopale italiana incoraggia tutti i cristiani, sacerdoti e laici, a fare un pellegrinaggio in Terra Santa, in questo Anno della fede, per sperimentarne la grazia particolare di questi luoghi, che - afferma il porporato - è un dono ricevuto e donato al tempo stesso:

    “Se possibile, venire in Terra Santa proprio per attingere da questi luoghi la grazia che è legata esclusivamente a questo posto. E anche per incoraggiare, con la propria presenza, la presenza dei cristiani qui in Terra Santa, ma anche per imparare da loro che cosa significa la fedeltà ai luoghi santi, alla vita cristiana, a una testimonianza di gioia, la gioia appunto della fede. Quindi è un donare ed è un ricevere molto”.

    Con tutte le sue difficoltà, con tutte le sue contraddizioni, Gerusalemme è un "mistero". Il cardinale Bagnasco spiega in quale modo questo mistero provochi la nostra "fede":

    "Lo provoca verso l’unità, un’unità ancora desiderata, ancora non piena tra le diverse confessioni cristiane, ma che resta un imperativo che il Signore Gesù ci ha donato, proprio perché il suo corpo ritrovi quell’unità di cui Lui è il capo e noi siamo le membra. La presenza di tante confessioni cristiane o altro ci deve richiamare fortemente a questa responsabilità, a questo cammino di unità e di comunione attorno a Cristo".

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    "Pura ideologia": così le scuole private di Bologna sul referendum per togliere i fondi

    ◊   Le Associazioni cattoliche di Bologna e di tutta l’Emilia Romagna sono mobilitate contro il referendum indetto per il 26 maggio prossimo per abolire i finanziamenti alle scuole private. Il sindaco del capoluogo Merola definisce un’”ossessione ideologica” la consultazione popolare, paventando il rischio che migliaia di bambini non trovino più posto nelle scuole. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    La questione riguarda 27 istituti privati, in principal modo cattolici, che assicurano un posto a 1725 bambini. Per ognuno di questi bimbi il comune eroga agli istituti 600 euro, contro i 6900 che stanzia per ogni ragazzo nelle scuole comunali. Il referendum promosso dall’Associazione Articolo 33 e supportato da Sel mira a far saltare il finanziamento. Se le scuole private dovessero chiudere per le casse del comune ci sarebbe un esborso anche di 10 milioni di euro. Ma le motivazioni del referendun sono anche ideologiche, dice il presidente della Federazione Scuole Materne di Bologna Rossano Rossi.

    R. – E’ dal 1994, da quando si è attivato un sistema di convenzione tra l’ente locale e le nostre scuole, che questo gruppo di persone politicamente schierate, in modo molto ideologico, fin dall’inizio ha cercato di mettere in crisi questo sistema, con vari ricorsi al Tar e così via. Tutti i ricorsi sono falliti. Adesso giocano la carta del referendum per tentare di mettere in crisi questo sistema.

    D. - La vostra organizzazione sta pensando anche di fare un’azione di sensibilizzazione nei confronti della cittadinanza?

    R. – Quello che cercheremo di fare è soprattutto raccogliere attorno a questa idea della sussidiarietà la condivisione di diverse estrazioni culturali. Abbiamo sicuramente amministratori del partito democratico, di altre categorie, anche di tipo culturale, che hanno storie politiche diverse, che su questi temi sono perfettamente in sintonia con noi. Non si deve buttare a mare un sistema che dal’94 a oggi è riuscito a dare quasi il cento per cento di risposta alle famiglie.

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    Terremoto d'Emilia. Chiese provvisorie e 15 milioni di euro per recuperare quelle storiche

    ◊   In Emilia Romagna, a sette mesi dal terremoto l’emergenza rimane quella delle fabbriche distrutte e della mancanza di lavoro e di case per tante famiglie. In un lento ritorno alla normalità, le chiese locali si impegnano con le Caritas parrocchiali e nel garantire luoghi dignitosi per la vita liturgica e pastorale. Il servizio di Luca Tentori:

    Aperte per terremoto. Succede alle rare chiese ancora agibili nel vasto cratere del sisma emiliano che nel maggio scorso ha sconvolto un terzo della regione. I tendoni provvisori adibiti a luoghi di culto si sono moltiplicati nell’emergenza, ma ora i fedeli tornano a chiedere e visitare numerosi chiese più dignitose, in muratura, o per lo meno non di plastica. I disagi delle tensostrutture sono molteplici con il passare dei mesi e non garantiscono una serena vita liturgica e di preghiera. In questi giorni, nella diocesi di Bologna sono partiti tre nuovi cantieri per garantire edifici di culto provvisori alle popolose parrocchie di Crevalcore, Penzale e Renazzo. A breve i lavori partiranno anche a Sant’Agostino e Mirabello. Qui gli interventi di recupero o ricostruzione saranno molto lunghi perché le chiese sono distrutte o gravemente lesionate.

    E proprio una delle principali preoccupazioni dell’arcivescovo di Bologna, il cardinale Carlo Caffarra, è stata fin da subito quella di garantire luoghi di preghiera alle sue comunità. Di pari passo all’impegno delle Caritas per le famiglie senza casa e senza lavoro, la chiesa bolognese è subito scesa in campo offrendo alle comunità progetti di chiese provvisorie realizzati in estate. Sono edifici confortevoli, esteticamente gradevoli, a risparmio energetico, pensati per dignitose celebrazioni liturgiche e che cominceranno a entrare in funzione, probabilmente, per le festività pasquali. Il cammino per la realizzazione non è stato semplice, tant’è che nei mesi scorsi il cardinale Caffarra è sceso in campo in prima persona con un vero e proprio “grido di dolore” per gli innumerevoli rallentamenti burocratici e amministrativi che lambivano la stessa libertà di culto.

    A dicembre 2012, la Regione Emilia Romagna ha approvato un programma di interventi immediati per la riapertura delle chiese con finanziamenti pari a 15 milioni di euro. I 64 edifici coinvolti nel progetto appartengono alle sei diocesi colpite dal sisma e sono tra quelle che necessitano di meno interventi. Il patrimonio ecclesiale è stato quello più duramente colpito in questa fetta di pianura padana dove mancano all’appello della geografia, della storia e delle coscienze chiese e campanili. I numeri dei danni in regione raccontato da soli il sisma: 782 edifici coinvolti di cui 421 chiese, 112 campanili, 123 case canoniche, 46 scuole, 47 opere parrocchiali e 33 immobili dedicati ad altre finalità.

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    Adozioni internazionali in calo in Italia: i dati della Commissione e il parere del Cifa

    ◊   Diminuiscono le adozioni internazionali in Italia: 3.106 bambini in meno nel 2012, il 22,8%, rispetto al 2011. In calo del 21,7% anche le coppie. I dati sono della commissione governativa per le adozioni internazionali. La Federazione russa, tra i Paesi di provenienza, resta in testa, ma a breve le cose potrebbero cambiare. Il Cremlino infatti tra molte proteste, ha vietato per legge le adozioni di orfani russi da parte di cittadini Usa. Per un commento, a partire dai nuovi dati della Commissione Gabriella Ceraso ha intervistato la vicepresidente Daniela Bacchetta:

    R. – Nel corso degli anni precedenti, abbiamo sempre mantenuto i numeri – e anzi, siamo anche saliti! – delle adozioni. Mentre per tutti gli altri Paesi, Stati Uniti in testa, il picco c’è stato negli anni 2004-2005, per poi avere discese abbastanza consistenti. La stessa cosa vale per la Francia. Questo perché c’è una cultura diversa dell’adozione: un grande ricorso all’adozione indipendente ha fatto sì che sostanzialmente venisse accettata, socialmente e umanamente dalle famiglie, solo l’adozione di bambini piccoli. In Italia, invece, proprio per effetto di questo fatto che culturalmente è molto forte - l’adozione qui è seguita dagli enti, ormai avviene da 12 anni, con la consapevolezza che ci sono bambini che hanno bisogno di adozione anche se hanno più di tre anni e possono essere adozioni positive - ebbene, ciò ha fatto sì che crescesse la disponibilità all’adozione e ci ha di fatto portato avanti rispetto ad altri Paesi.

    D. – Quest’anno, invece, la tendenza si inverte: diminuiscono le coppie che vogliono adottare e diminuiscono anche i bambini che arrivano in Italia. Questo come lo spiega?

    R. – I numeri di quest’anno risentono di un calo soprattutto per le riorganizzazioni o per le difficoltà operative dei Paesi in cui andiamo ad adottare. Noi abbiamo visto la sostanziale tenuta, salvo pochi numeri, della Federazione russa – il calo è veramente minimo – e invece un grosso calo della Colombia, Paese nel quale nel 2012 c’è stata da una parte una campagne mediatica abbastanza negativa contro le adozioni internazionali, che quindi ha pesato. Dall’altra parte, c'è stata una revisione di una parte notevole, di più di mille fascicoli di adottabilità, che ha comportato dei rallentamenti. La stessa cosa possiamo dire a proposito della diminuzione che abbiamo constatato in Vietnam e in India, entrambi Paesi che hanno varato nuove normative che hanno inciso sulle procedure. Certamente, in molti Paesi – soprattutto quelli dell’Est europeo e diversi Paesi del Sudamerica – l’incremento, il rafforzamento delle politiche per la tutela della famiglia, dell’infanzia in vista dell'aumento delle adozioni nazionali comporta una riduzione del numero dei minori per i quali la soluzione dell’adozione internazionale potrebbe essere effettivamente la soluzione migliore. Siamo nell’ambito di un’evoluzione del mondo, che sempre più vede l’adozione internazionale come uno strumento meno necessario.

    D. – Esclude che in Italia anche problemi economici relativi agli eccessivi costi per le adozioni internazionali possano essere tra le cause della diminuzione?

    R. – No. Ripeto, sicuramente c’è un’incidenza, ma non credo che sia ancora così rilevante.

    Mette l’accento sulla situazione delle famiglie italiane, e sulla scarsa attenzione del governo alle politiche a loro sostegno, Gianfranco Arnoletti, presidente dell’Ong Cifa-da trent’anni specialista in adozioni- che, al microfono di Gabriella Ceraso, dà la sua lettura dei dati della Commissione:

    R. – Li leggo con preoccupazione, nel senso che avere un figlio oggi in Italia è una cosa che non viene assolutamente incentivata e incontra una serie di difficoltà proprio legate all’aspetto economico, che credo sia la cosa più banale che posso dirle. L’adozione internazionale, per scelta del nostro legislatore, ha un costo, mentre non c’e l’ha l’adozione nazionale, che è invece un fatto pubblico e non un fatto privato. Se non ci sarà un’inversione di tendenza, per cui avere un figlio sia equivalente in qualunque modo si esplichi, probabilmente il nostro governo, e il governo che ci sarà, non dimostrerà di avere attenzione verso la famiglia.

    D. – In generale, quanto grava su una coppia?

    R. – Considerato quello che rimborsa lo Stato, grava sui 15 mila euro.

    D. – E quanto ci vuole come tempo?

    R. – Un anno e mezzo.

    D. – In più, con la possibilità di assentarsi dal proprio luogo di lavoro...

    R. – Sì, che è la parte più delicata. Assentarsi dal lavoro per fare un’adozione internazionale – quindi un mese – mette in crisi il rapporto di lavoro con il datore di lavoro. Questa è la parte più rilevante che noto e che riflette una politica della famiglia, che dire modesta è una semplificazione.

    D. – Secondo la Commissione, il calo delle adozioni è dovuto a particolari problematiche che ci sono nei Paesi di provenienza come la Colombia, il Vietnam e l’India...

    R. – E’ un dato sicuramente non contestabile. Potrebbero, però, arrivare molti più bambini da altri Paesi. Alcuni Paesi stanno sollecitando a presentare più domande, ma noi non abbiamo le coppie. Il calo grosso non è stato delle adozioni quest’anno: è stato negli ultimi due anni il calo delle domande di adozione. Io credo che la famiglia abbia un grosso desiderio ancora oggi di avere figli, ma bisogna metterla nelle condizioni di poterlo fare.

    D. – Parliamo della Russia. E’ stata presa questa decisione: c’è una legge per cui gli orfani russi non potranno andare in America. Alle spalle c’è una situazione sia di attesa da parte delle famiglie statunitensi, che già avevano avviato la pratica e che non sanno cosa succederà, sia dei bambini che erano in partenza e sono stati bloccati. Dal vostro punto di vista, questo com’è valutabile?

    R. – Con tutto il rispetto per la sovranità dei Paesi, si perde di vista quale sia il diritto dei bambini. Se uno avesse agito per modificare il diritto di un bambino, avrebbe avuto un senso. Invece, in realtà, questa decisione è stata presa per ritorsione, per rapporti diplomatici che sono andati in modo negativo con gli Stati Uniti d’America. Il problema è che, in quel momento, con una decisione del genere, il diritto dei bambini che si trovano negli istituti e che stanno aspettando l’adozione non è stato preso assolutamente in considerazione.

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    Commissione d'inchiesta: nessuna traccia di uranio impoverito nei poligoni di tiro

    ◊   Ad oggi, non sono stati acquisiti elementi che possano determinare la presenza di tracce di uranio impoverito nelle are dei poligoni di tiro italiani. Lo stabilisce la relazione presentata ieri dalla Commissione parlamentare d’inchiesta nella quale si legge anche che è impossibile asserire o escludere con certezza la sussistenza di un nesso causale tra l’esposizione all’uranio impoverito e l’insorgere di patologie tumorali. La Commissione, tra le richieste, sollecita la chiusura dei poligoni militari di Capo Teulada e Capo Frasca e la riconversione di quello di Salto di Quirra, tutti in Sardegna. Francesca Sabatinelli ha intervistato il senatore Giampiero Scanu, membro della Commissione d'inchiesta:

    R. – Il fatto che non sia stata rinvenuta la presenza dell’uranio impoverito non esclude che l’uranio impoverito possa essere stato utilizzato. Il problema vero è indagare intorno a quella che viene conosciuta come la sindrome di Quirra, cioè stabilire se effettivamente esistano ragioni causali, funzionali fra la presunta presenza di una quantità di ammalati per tumore, in maniera maggiore rispetto a quella statisticamente rilevata altrove, e quei territori. Tutto può essere risolto quando finalmente sarà fatta un’indagine epidemiologica. La Commissione aveva chiesto, ormai un anno fa, alla regione sarda e all’Istituto superiore di sanità di svolgerla. A distanza di un anno c’è stato detto che per risibili ragioni di rispetto della privacy non hanno potuto neppure iniziare. Si tratta di evitare atteggiamenti sconsiderati sia nella creazione dell’allarme sociale, ma anche in un negazionismo che è stato praticato negli anni, e che ha generato, secondo me legittimamente, tutta una serie di preoccupazioni, perché ancora, di fatto, non è stato possibile individuare questo meccanismo perverso, che eventualmente esiste e agisce in territori particolarmente esposti a certe attività.

    D. – Parlate nella vostra relazione finale della necessità di adottare un principio di multifattorialità causale. Cosa significa?

    R. – Quando si parla di eventuale "causalità multifattoriale" ci si riferisce alla necessità di non fermare l’attenzione alla sola presenza dell’uranio impoverito. Viceversa, estenderla alla valutazione di tutto ciò che può avere impattato rispetto alla salute umana a causa delle attività molteplici, e non tutte regolarmente valutate e censite, che si sono svolte negli anni. Mi riferisco ad esempio ai fumi, alle polveri, a possibili inquinamenti delle falde acquifere, mi riferisco alla dimostrata presenza di scariche che hanno interessato, e interessano, decine e decine di ettari. Si tratta, dunque, di mettere in fila tutti questi elementi, stabilirne con assoluta precisione, assoluto rigore, la pericolosità e intervenire di conseguenza. Certo, se c’è chi da una parte agita fantasmi che terrorizzano e provocano anche danno economico a quelle popolazioni e, dall’altra, invece c’è chi ostinatamente nega anche la presenza di un po’ di pulviscolo, a quel punto la verità non si acclarerà mai.

    D. – Cosa intende fare adesso la Commissione, per quanto riguarda i tre siti di Salto di Quirra, Capo Frasca e Capo Teulada?

    R. – Del poligono di Quirra si è chiesta ed è già avvenuto - anche questo è significativo – l’immediata interruzione di attività ritenute tali da provocare nocumento sia alla salute umana che a quella animale e alla salubrità dell’ambiente. Il fatto che alcune attività non si svolgano più vuol dire che erano ritenute capaci di determinare questo tipo di problema. Poi, si chiede di riconvertire il poligono, rendendolo funzionale ad una utilizzazione nell’ambito del cosiddetto dual system, il che significa realizzare interventi anche di carattere industriale per la produzione di strumenti o manufatti, che possano essere usati sia in ambito militare che in ambito civile, per il poligono di Capo Teulada e di Capo Frasca. La Commissione ha ribadito la richiesta di una chiusura.

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    Più fedeli nei Santuari che nelle chiese. L'opinione di mons. Coda e del prof. Iannaccone

    ◊   Santuari pieni, chiese vuote. Sembra questo il panorama che emerge da alcune ricerche che, da una parte, mettono in luce il crescente numero di persone che si reca nei Santuari e, dall’altra, parlano di minore partecipazione alla vita parrocchiale. Per riflettere su questo aspetto, Fausta Speranza ha intervistato il teologo mons. Piero Coda, preside dell'Istituto Universitario Sophia di Loppiano:

    R. - È un fenomeno che va attentamente decifrato. Porta con sé un messaggio importante da capire e al quale rispondere da parte della comunità cristiana. L’aspetto senz’altro positivo è che questo pellegrinare verso i santuari, verso i luoghi del silenzio e del raccoglimento, manifesta il risveglio di un’intensa esigenza religiosa. Secolarismo dilagante e la tendenza alla massificazione e all’uniformazione risvegliano il senso spirituale profondo. Per cui, mi pare che ci sia una crescita di questa esigenza interiore che certamente si colloca in una dimensione di verticalità, perché il cuore dell’uomo - come diceva Agostino - è fatto per Dio, quindi cerca assolutamente il contatto con Dio, anche se non possiamo tralasciare che vi possano essere semplicemente delle esigenze che vanno nel senso della solitudine del ritrovare se stessi. Ma più profondamente è proprio la questione di fondo: ritrovare l’incontro con Dio.

    D. - Ognuno, come diceva lei, tende chiaramente al rapporto con Dio e l’incontro con Cristo è la cosa più importante. Però, per il cristianesimo quanto è importante non perdere la dimensione comunitaria?

    R. - Certamente, questo va anche a detrimento di un’esperienza dell’originalità cristiana, che è un fatto comunitario e che vive la solitudine, il momento necessario della preghiera per un ritorno alla vita di tutti i giorni allo scopo di lievitare la massa della società con il lievito del Vangelo. E dunque, questa realtà ci interpella anche e ci chiede quanto le nostre comunità cristiane riescano di fatto a coniugare questi due orizzonti, quello verticale con l’incontro con Dio - che si rende presente in Gesù vivo al cuore della comunità cristiana - e quello della capacità di immettere il lievito dell’incontro con Dio in Cristo nella pasta della società umana. Quindi, sembra una provocazione che viene posta alle nostre comunità parrocchiali e diocesane perché siano veramente se stesse, fino in fondo. Nella fede cristiana, c’è un fatto fondamentale che viene illustrato dal Nuovo Testamento, sia nel messaggio di Gesù, sia nella Catechesi apostolica, come ad esempio nella della Lettera di Paolo agli Ebrei, cioè il fatto che la presenza di Dio - che si è realizzata definitivamente in Gesù, il Cristo - è una presenza che si fa "dentro" l’esperienza della comunità. Il Tempio di Gerusalemme lascia lo spazio al Corpo di Cristo. Il Corpo di Cristo è la comunità dei discepoli radunati nel nome di Cristo, comunità all’interno della quale Cristo - come dice il Concilio Vaticano II - si rende presente in molti modi: l’annuncio della sua Parola, l’Eucaristia, la comunione stessa dei fratelli e delle sorelle uniti nel nome di Cristo. E quindi, questa dimensione comunitaria è una dimensione fondamentale che getta le sue radici in un rapporto profondo con quella comunione trascendente e assoluta che è la vita della Trinità, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Quindi, la comunità cristiana, come insegna il Concilio Vaticano II, è il Sacramento, cioè il segno, lo strumento dell’unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano. Occorre quindi riscoprire questa profonda verità e soprattutto occorre, direi, farne esperienza. È una grande sfida che la comunità sappia irradiare la presenza di Cristo, incarnarla nella complessità anche difficile e contraddittoria della nostra società e del nostro mondo. E’ una grande prospettiva e significa attualizzare fino in fondo la grande lezione del Concilio Vaticano II.

    Per parlare di senso religioso, di Santuari e chiese anche sul piano della comunicazione e su quello dei mass media, Fausta Speranza ha intervistato lo studioso di storia del cristianesimo e della comunicazione religiosa, Mario Arturo Iannaccone:

    R. – Sicuramente, ci sono i Santuari pieni e questo non da adesso. In realtà, le statistiche dicono che il fenomeno non si è mai arrestato, è sempre stato presente nel corso del ’900. Il Santuario ha questa caratteristica che rimanda all’essenziale: rimanda al silenzio, alla preghiera, al rapporto personale con Dio. E nei Santuari la comunicazione è più semplice, la comunicazione fra il presbitero e il fedele. Invece, nelle chiese cittadine, nelle chiese normalmente frequentate, a volte - non sempre - la comunicazione è più difficile, c’è un problema di trasmissione fra il magistero pontificio e il popolo. Manca chiarezza, semplicità. La sfida sarebbe quella di riportare la dimensione verticale, la semplicità di comunicazione che si verifica nel santuario, anche nelle chiese delle comunità cittadine.

    D. – A volte anche gli orari nelle chiese possono essere un ostacolo? Alcune chiese, soprattutto del centro, sono spesso chiuse durante il giorno in alcuni orari… Forse i santuari offrono una disponibilità maggiore?

    R. – Assolutamente, sì. Questo, certo, è anche legato alla scarsità di sacerdoti in questo momento in alcune aree e quindi ci sono chiese chiuse durante il pomeriggio oppure che vengono aperte alle 18.30, alle 19.00. Invece, il Santuario, che è quasi sempre pieno anche la sera, è aperto, le porte del Santuario sono spalancate.

    D. - Il fenomeno c’è: santuari pieni e chiese vuote. Ma c’è anche un fenomeno mediatico?

    R. – Bisogna un po’ distinguere fra la comunicazione della Chiesa e la comunicazione sulla Chiesa. Nella comunicazione sulla Chiesa, spesso viene spettacolarizzato il fenomeno del Santuario dell’apparizione, anche quella che magari non è riconosciuta.

    D. – Sembra quasi, a volte, che si parli di Chiesa solo come istituzione e non come popolo di Dio, mentre il Santuario è quasi un’“isola felice” di spiritualità avulsa dalle istituzioni: è vero che passa un po’ questo messaggio?

    R. - Sì, è vero, passa questo messaggio ed è sbagliato, perché in realtà la Chiesa e il popolo sono i laici, la chiesetta di città, la chiesetta del paese. Non è solo il grande santuario, non è solo luogo dove la potenza del divino si è manifestata con un miracolo o in altro modo. Quindi, passa la Chiesa quando è coinvolta in uno scandalo - perché questo fa gioco soprattutto a certi media, a certi operatori delle comunicazioni - mentre la Chiesa quotidiana, la Chiesa del singolo prete o del gruppo che fa carità, rischia di sparire, oppure di emergere soltanto quando diventa un evento importante. Sì, passa questo messaggio e andrebbe corretto certamente con i mezzi che sono oggi a disposizione. Io so che ci sono molte buone opere di evangelizzazione in questo momento, che passano anche attraverso Internet e attraverso una serie di conferenze, di riviste... Mi sembra che qualcosa si stia muovendo.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: a nord di Aleppo una comunità cristiana intrappolata e ridotta allo stremo

    ◊   Circa mille fedeli cristiani, fra greco-ortodossi e cattolici latini, sono intrappolati nel piccolo villaggio di Yaakoubieh, tutto cristiano, a nord di Aleppo. Ridotti allo stremo, senza cibo, senza elettricità, in mancanza dei beni di prima necessità, si trovano nel bel mezzo di pesanti combattimenti fra forze lealiste e gruppi di opposizione. Sono impossibilitati a lasciare il villaggio e “sono in condizioni disastrose, dove rischiano l’estinzione”. E’ l’allarme lanciato, tramite l’agenzia Fides, dal frate francescano padre François Kouseiffi, parroco della chiesa di San Francesco ad Hamra (Beirut), che si occupa della cura e dell’assistenza di circa 500 rifugiati siriani. I profughi hanno riferito a padre Kouseiffi la tragica situazione del villaggio di Yaakoubieh, da cui molti provengono, e dove restano molti dei loro parenti. Prima della guerra nel villaggio vivevano circa 3.000 cristiani fra armeni, ortodossi e cattolici, ora sono quasi tutti fuggiti. Nel villaggio ci sono tuttora delle suore francescane che, riferisce il frate, condividono la sorte dei civili. “La situazione è molto grave. I fedeli sono intrappolati. Stiamo cercando in tutti i modi di aiutarli a venire in Libano. Nei giorni scorsi alcuni nostri emissari sono partiti per recarsi là, ma il tragitto è pericolosissimo e, dopo oltre una giornata di viaggio via terra, sono giunti ad Aleppo. I contatti i con i cristiani rimasti sono sporadici. Hanno lanciato l’allarme per la loro sopravvivenza. Rischiano di morire nel silenzio generale”. I cristiani siriani pagano il prezzo della destabilizzazione del Paese e soffrono come gli altri cittadini siriani ma, come le altre minoranze, sono i gruppi più vulnerabili. Sui circa quattro milioni di rifugiati siriani, i cristiani siriani sono circa 500mila, dei quali 25mila si trovano in Libano. Nei giorni scorsi, ricorda padre Kouseiffi, “l’ondata di gelo ha reso le loro condizioni molto più difficili: siamo in piena emergenza umanitaria. Raccontano il loro dramma, le loro speranze, e sognano un futuro migliore per il loro Paese”. (R.P.)

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    Libano: per i vescovi maroniti l'afflusso dei profughi siriani può destabilizzare il Paese

    ◊   L'ospitalità verso i profughi che fuggono dalla Siria dilaniata dalla guerra è un atto meritorio che va incentivato. Ma con l'aumento inarrestabile del numero dei rifugiati crescono anche le insidie alla stabilità politica e all'ordine sociale “che il Libano non è in grado di sostenere”. Così ieri, nella consueta riunione mensile convocata preso la sede patriarcale a Bkerké, il Sinodo dei vescovi maroniti ha preso atto dell'inquietudine che attraversa il Paese, i cui fragili equilibri sono messi a dura prova dalla crisi economica e dagli effetti della guerra civile nella vicina Siria. I vescovi maroniti hanno anche auspicato che le forze politiche trovino un accordo proficuo e ampiamente condiviso per varare una nuova legge elettorale, denunciando nel contempo il rischio di paralisi e di collasso a cui porterebbe inevitabilmente il perdurante accaparramento in chiave privata o settaria delle istituzioni nazionali. Nel comunicato finale, pervenuto all'agenzia Fides, l'episcopato maronita affronta con avveduto discernimento pastorale i nodi politici e istituzionali della crisi libanese, richiamando tutti a servire la pace in quella parte del mondo - il Medio Oriente - “che Dio ha scelto per rivelare il mistero della salvezza e della redenzione”. I vescovi della più rilevante comunità cristiana libanese esaltano le iniziative caritatevoli messe in campo a favore dei profughi provenienti dalla Siria. Ma esprimono anche inquietudine “per l'aumento quotidiano del numero dei rifugiati, e tra loro per la presenza dei palestinesi. I soccorsi umanitari, che esigono la convergenza di tutti gli sforzi – osserva il sinodo maronita - esigono anche, accanto all'empatia, che l'autorità libanese prenda le misure necessarie affinché l'ospitalità offerta ai profughi tenga conto delle minacce politiche, sociali e connesse con la sicurezza che il Libano non è in grado di sostenere”. Il comunicato sinodale auspica che la commissione parlamentare ristretta incaricata di predisporre la nuova legge elettorale trovi una soluzione in grado di assicurare la parità effettiva e l'uguaglianza nella rappresentanza di tutte le componenti del popolo libanese. Un accordo rapido per un nuovo governo – auspicano i vescovi maroniti – potrà puntare a tutelare la sicurezza, rilanciare l'economia e farsi carico dei bisogni reali della popolazione, mettendo il Libano al riparo “da tutte le rivalità degli assi regionali e internazionali”. In tale orizzonte, secondo i vescovi maroniti occorre distinguere con nettezza “gli imperativi del funzionamento dello Stato e gli obiettivi politici, privati e settari perseguiti dalle diverse parti”. A detta dei vescovi, la confusione delle due dimensioni ha effetti paralizzanti sulle istituzioni, visto anche “lo sforzo impiegato da ogni parte per rivolgere a proprio vantaggio l'azione dello Stato, coprire la corruzione amministrativa e la dilapidazione del denaro pubblico”. Uno Stato che persiste in questa confusione – conclude il comunicato - “è condannato alla paralisi, all'impotenza e, in fin dei conti, al collasso”. Secondo fonti libanesi, in una riunione svoltasi domenica scorsa sempre a Bkerké, le diverse forze politiche cristiane – attualmente divise e legate a coalizioni contrapposte – hanno raggiunto il consenso sul progetto di legge elettorale proposto dal cosiddetto “Rassemblement ortodosso”, in base al quale i cittadini dovrebbero votare candidati appartenenti alle rispettive confessioni religiose. (R.P.)

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    Iraq: l'arcivescovo di Mosul sul miracolo di Natale e le violenze contro i cristiani

    ◊   A Mosul si respira "un clima generale di forte tensione", che "non riguarda solo i cristiani, anche se finisce per investirli come il resto della popolazione". La gente "è stanca" per queste continue violenze e per la mancanza "dei servizi minimi come luce e acqua", mentre politica e istituzioni pensano solo "al tornaconto personale". Così mons. Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo di Mosul, nel nord dell'Iraq, descrive all'agenzia AsiaNews il clima di una città "da 10 giorni teatro di continue manifestazioni". Tuttavia, il prelato rilancia il valore primario "della fede e della speranza", come avvenuto durante le festività natalizie da poco concluse. "Per la prima volta dal 2003 - spiega - abbiamo celebrato la messa della notte alla presenza di centinaia di fedeli, che si è conclusa dopo le 23.00. Una vera fonte di gioia per tutti". In questi giorni Mosul è stata teatro di una serie di violenze, che hanno investito in particolare la minoranza cristiana. Lunedì scorso la morte di una donna, sgozzata durante una rapina. Martedì l'esplosione di un'autobomba, che ha ucciso uno studente universitario laureando in medicina. Episodi legati al clima tensione che si respira in tutto il Paese, teatro di una lotta confessionale fra sunniti e sciiti e di uno scontro di potere che ha per protagonisti arabi, curdi e turcomanni. Il tutto a spese delle minoranze, che non hanno alle spalle un sistema di potere o un movimento politico in grado di tutelarne gli interessi. In passato proprio la città di Mosul ha registrato alcune morti eccellenti fra i cristiani, fra cui il precedente vescovo mons. Faraj Rahho (nel contesto di un sequestro) e di padre Ragheed Ganni. "Da 10 giorni a Mosul" racconta mons. Nona, "ci sono manifestazioni in diverse parti della città" e la polizia interviene, anche "in modo molto duro, per reprimerle". A scendere il piazza sono i gruppi sunniti, anche se essi rivendicano nei loro slogan "l'appartenenza alla città", piuttosto che sottolineare l'elemento confessionale. La tensione "non è un elemento positivo, soprattutto per i cristiani" avverte il prelato, in particolare nei periodi "che precedono le elezioni". Ad aprile si terranno infatti le amministrative del governatorato e la minoranza "rischia di essere coinvolta nel gioco degli interessi incrociati". "Così è successo negli ultimi anni - afferma il vescovo - e anche se speriamo per il meglio, da quello che si può vedere è concreto il rischio che succeda qualcosa". In un quadro dalle tinte fosche è difficile mantenere la speranza. Come cristiani, avverte mons. Nona, dobbiamo credere che "la vita continua nonostante il male". Resta però la realtà dei fatti "e la gente è stanca". Negli ultimi 10 anni, sottolinea l'arcivescovo di Mosul, il clima non è mai cambiato: corruzione fra i gruppi politici, governo centrale impotente, partiti e movimenti che cercano accordi "finalizzati al tornaconto personale". E la popolazione, ribadisce il prelato, "è stanca e non ne può più: mancano gli elementi base della vita, fra cui elettricità, acqua, benzina e strade". "Se avessero pensato al bene comune - avverte - a garantire almeno i servizi minimi, questo non sarebbe successo. La gente è sul punto di esplodere, bisogna cambiare tutto a partire dalla mentalità". Mons. Nona vuole condividere anche alcuni aspetti che restano fonte di speranza, testimonianze di piccoli miracoli che rafforzano la fede e invitano a continuare. Fra questi "le feste di Natale a Mosul", sottolinea l'arcivescovo ad AsiaNews, "molto belle e partecipate: sono andate benissimo!". "Ho celebrato la messa della notte della vigilia alla parrocchia di San Paolo, assieme a un sacerdote, davanti a quasi 600 fedeli". Vi era un "clima bello, di festa, che ha alimentato la fiducia e la speranza". Per la prima volta dal 2003, anno dell'invasione statunitense che ha portato alla caduta del rais Saddam Hussein, "abbiamo potuto celebrare la messa della sera e siamo rimasti davanti alla chiesa fino a tardi, le 23.00, come mai era successo in passato. Una bella festa". Dal 2003 in poi, a causa dell'insicurezza, le messe - anche quella di Natale - venivano celebrate nel pomeriggio. (R.P.)

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    I vescovi venezuelani chiedono di chiarire i dubbi sulla salute del presidente Chávez

    ◊   “E necessario che le autorità informino con chiarezza e verità sullo stato ed evoluzione della salute del Presidente Chavez perche si tratta di un tema d’interesse pubblico dato il suo incarico. Le valutazioni di un’equipe medica conformata da professionisti venezuelani potranno chiarire le incertezze”. Con queste parole i vescovi venezuelani, in un comunicato emanato dall’Assemblea plenaria in corso a Caracas, hanno voluto essere partecipi alla “inquietudine” generalizzata nel Paese, suscitata dalla malattia del Presidente Hugo Chávez, in questo momento ricoverato a Cuba. Davanti alla confusa situazione legislativa creata dall’assenza del Presidente per la presa del potere prevista per oggi, l’episcopato ha invitato i poteri pubblici a “rispettare scrupolosamente la normativa costituzionale”, perche dal rispetto dello Stato di diritto, dipendono la stabilita e la pace del Paese. “Un’interpretazione accomodante della costituzione, per raggiungere un obiettivo politico, è moralmente incettabile”- affermano i vescovi - nel comunicato emesso nel corso della Plenaria che ha analizzato anche i recenti processi elettorali che hanno coinvolto il Paese nel 2012. “Sebbene le due elezioni si siano svolte in un ambiente di pacifica convivenza, le proteste per la mancanza di condizioni di equità nello sviluppo della campagna elettorale obbligano a intraprendere una revisione e l’assoluta imparzialità del sistema elettorale. Inoltre, la Conferenza episcopale venezuelana ha manifestato la sua preoccupazione per l’insieme di leggi con un forte contenuto ideologico, chiamate del “Potere popolare” che non sono contemplate nella costituzione e che attentano contro la concezione di Stato pluralista, non escludente e democratico. (A cura di Alina Tufani)

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    Il card. Gracias lancia una Giornata per l’uguaglianza tra uomo e donna

    ◊   Il prossimo 27 gennaio nell'arcidiocesi di Mumbai si terrà una Giornata di solidarietà per la Giustizia, la sensibilizzazione e l'uguaglianza di genere, voluta dal card. Oswald Gracias, arcivescovo e presidente della Conferenza episcopale indiana. La decisione - riferisce l'agenzia AsiaNews - è stata presa dopo il caso di stupro di New Delhi, che ha riacceso il dibattito sulla violenza contro le donne. È "l'emarginazione di Dio dalla vita umana" a condurre gli uomini verso "ogni tipo di crudeltà", in particolare nei confronti delle donne. Per 24 ore, la comunità cattolica dell'arcidiocesi parteciperà a incontri, seminari e iniziative di vario genere. Inoltre, in ogni parrocchia, convento e seminario si terrà un'ora di preghiera, dalle 18 alle 19 di sera. Il card. Gracias nel presentare la Giornata, afferma che "la Chiesa cattolica in India è stata gettata in una profonda angoscia e dolore per la morte della vittima dello stupro di gruppo a New Delhi. La barbarie inflitta a questa giovane donna indiana è stata orribile e feroce - afferma il porporato - e voglio sperare che questa Giornata di solidarietà possa servire ad annunciare una trasformazione sociale e un cambiamento radicale negli atteggiamenti verso le donne, e possa sollecitare una urgente sensibilizzazione, giustizia e uguaglianza di genere in tutta la nazione. L'uguaglianza di genere è da sempre una questione scottante. Essa affligge non solo il 50% delle donne - sottolinea il card. Gracias - ma tutto il genere umano. La disuguaglianza di genere provoca immense ferite non solo alle donne, ma anche agli uomini e alla società intera. La Chiesa - prosegue il cardinale - è stata sempre all'avanguardia nel valorizzare la donna. La storica lettera apostolica Mulieris Dignitatem (1988) di Giovanni Paolo II si concentra sulla dignità delle donne, ricordando dell'importanza del ruolo giocato dalle donne in famiglia, nella società, nel mondo e nella Chiesa. La situazione socio-culturale delle donne ha luci e ombre, ed episodi di emarginazione e oppressione si manifestano in modo diverso - afferma - in tutti i gruppi sociali ed etnici. Pur avendo esempi di donne che occupano posizioni di rilievo e potere, o modelli come la beata Madre Teresa e la beata suor Alphonsa, ciononostante la realtà delle donne in tutte le sezioni della società rivela esempi di violenza domestica e sociale su giovani ragazze e donne adulte. A seconda delle regioni, feticidi femminili, infanticidi, stupri, molestie, rapimenti, sequestri, aggressioni, omicidi per dote, assassini, traffico sessuale e schiavitù esistono ancora oggi. Fondamentalismo e scontri etnico-religiosi - conclude il card. Gracias - rafforzano inoltre l'assoggettamento delle donne agli uomini, sopprimono i movimenti femminili dividendo le donne secondo linee religiose e intensificano la violenza contro le donne". (R.P.)

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    Vietnam: fino a 13 anni di prigione per i cattolici attivisti di Nghe An

    ◊   Dopo due giorni di processo, oggi il Tribunale del popolo di Nghe An (nel Vietnam centrale) ha emesso la sentenza per i 14 cattolici accusati di "sovversione" contro lo Stato. Il gruppo rischiava la pena di morte. Tre degli imputati - Hồ Đức Hòa, Đặng Xuân Diệu, Lê Văn Sơn - sono stati condannati a 13 anni di prigione ciascuno. Gli altri 11 hanno ricevuto condanne da 3 a 8 anni. Molti gruppi cattolici in Vietnam criticano la pesante sentenza che mira a colpire la libertà di espressione. Il gruppo dei 14 cattolici - riferisce l'agenzia AsiaNews - era accusato di far parte di un movimento detto Viet Tan, un gruppo non violento che sostiene la democrazia, che le autorità considerano "terrorista". Secondo testimoni del processo, gli imputati hanno spesso rivendicato che il loro impegno era solo un aiuto alla popolazione, diffondendo notizie e critiche sulla corruzione dei membri del partito e del governo e sul loro arricchirsi durante la crisi finanziaria. Alcuni membri della comunità cattolica affermano che tutto il processo - a cui i fedeli non hanno potuto partecipare - è stato "immorale". Molti degli arrestati sono stati presi dalla polizia, a caso, andando a visitare le chiese durante i servizi liturgici. Gli avvocati difensori dei 14 cattolici, hanno anche affermato che i loro clienti hanno subito torture e sono stati costretti ad auto-accusarsi. Fra i 14 , 11 di loro appartengono a un gruppo di 17 che ha inviato un appello al gruppo Onu contro la detenzione arbitraria. (R.P.)

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    Lanciato oggi a Dublino l'Anno europeo dei cittadini

    ◊   La proclamazione ufficiale del 2013, quale Anno europeo dei Cittadini, è avvenuta oggi nella capitale irlandese, dinanzi alla Commissione Europea al completo e ai rappresentanti del Governo irlandese, che guida, per i prossimi sei mesi, la Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea. La celebrazione si prefigge di portare l’Europa in casa dei suoi cittadini con dibattiti pubblici sul suo futuro, campagne di comunicazione e di sensibilizzazione, in grado di rispondere alle attese di tutti e di incidere sulla vita giornaliera. Incontri e dibattiti sono già in atto nei 27 Stati dell'Unione, incluso in Italia, dove il 21 febbraio a Torino interverrà la commissaria agli affari interni, Cecilia Malmstroem. Pisa ospiterà il 5 aprile un dibattito dedicato all'uso sostenibile delle risorse, in presenza del commissario per l'ambiente Potočnik e, in occasione della festa dell'Europa, il 7 maggio, è in programma a Trieste un grande evento con la vicepresidente della Commissione, Viviane Reding. L’anno europeo dei cittadini coincide con il ventesimo anniversario della cittadinanza dell’Unione Europea, introdotta con l’entrata in vigore del trattato di Maastricht nel 1993 e, con la celebrazione di quest'anno, si spera che i cittadini europei potranno apprendere come beneficiare direttamente dei loro diritti all’interno dell’Unione. (Da Dublino, Enzo Farinella)

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    Il card. Filoni: Pauline Jaricot, fedele a Cristo e lungimirante per l’evangelizzazione

    ◊   “Se San Franesco Saverio fu il missionario entusiasta dell’evangelizzazione, la Jaricot fu colei che vide nel sostegno dell’evangelizzazione ‘un dovere fondamentale del Popolo di Dio’, che chiamò alla partecipazione spirituale e materiale”: sono le parole del Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il card. Fernando Filoni, durante l’omelia della Messa che ha presieduto ieri sera, nella chiesa di Trinità dei Monti, a Roma, a conclusione delle celebrazioni per il 150° anniversario della morte della venerabile Pauline Marie Jaricot (1799-1862) e nel 50° anniversario del decreto sull’eroicità delle sue virtù. La lionese Pauline Marie Jaricot - riferisce l'agenzia Fides - è la fondatrice della Pontificia Opera per la Propagazione della Fede e del movimento del Rosario vivente. “Siamo in questo momento uniti spiritualmente a Saint-Nizier – ha detto il cardinale -, la chiesa che a partire dal 1935 custodisce a Lione il corpo della Venerabile Pauline-Marie Jaricot. Si realizza dunque un ponte di preghiera tra questa storica e ben nota chiesa di Trinità dei Monti e Saint-Nizier”. Il Prefetto del Dicastero Missionario ha quindi ripercorso le tappe principali della biografia della Jaricot, sottolineando come “la sua vita e l’Opera che ha fondato sono l’immagine reale di quello che ci ha detto l’Apostolo Giovanni: ‘amare gli altri come Dio ci ha amati’. L’amore di Dio che la Jaricot ha trasmesso agli altri, per mezzo della sua vita e dell’Opera che ha fondato, continua a essere diffuso anche oggi tramite l’Opera della Propagazione della Fede”. La celebrazione di questi due importanti anniversari della Jaricot avviene “mentre ricorre l’Anno della Fede, in cui tutti i cristiani sono chiamati a riflettere sul dono ricevuto nel battesimo, spesso dimenticato se non rigettato” ha sottolineato il card. Filoni, ricordando che “l’eroicità delle virtù della Jaricot non consiste in una miracolistica serie di eventi, ma in quella feconda fedeltà a Cristo cui consacrò se stessa, sia nei momenti belli, sia in quelli difficili e tormentati, nonché nella visione lungimirante di un impegno per l’evangelizzazione, perché a tutti i popoli potesse giungere la conoscenza di Cristo e dell’amore misericordioso di Dio”. (R.P.)

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    Francia: appello dei vescovi a non dimenticare Haiti, a tre anni dal sisma

    ◊   Era il 12 gennaio 2010 quando un devastante terremoto di magnitudo 7 sulla scala Richter colpiva Haiti, procurando 222mila vittime ed 1,3 milioni di sfollati. A tre anni dal sisma, nei giorni scorsi, una delegazione della Conferenza episcopale francese (Cef) – rappresentata da mons. Marc Stenger e padre Luc Lalire, responsabili dell’America Latina nell’ambito della Cef - ha compiuto una visita di solidarietà sull’isola. Al termine del viaggio, i due presuli hanno diffuso una nota per descrivere la drammatica situazione di Haiti: si parla di “un popolo provato dal sisma”, di “persone rimaste traumatizzate a vita sia a livello fisico, sia psicologico e materiale”, di una “situazione politica poco brillante”, in cui è in dubbio “la promozione del bene comune”. Nonostante ciò, tuttavia, scrivono i vescovi francesi, la popolazione di Haiti “vuole vivere” e tale desiderio “è fondato sulla fede”. Di qui, la sottolineatura che la Cef fa al grande lavoro portato avanti dalla Caritas locale, dalle suore, dai missionari e dai seminaristi di Port-au-Prince che hanno contribuito e stanno contribuendo alla ricostruzione del Paese. “Una ricostruzione – si legge nella nota – che non è solo quella degli edifici, ma anche quella dell’insieme della comunità”. Per questo, mons. Stenger e padre Lalire chiedono “alla Chiesa di Francia e a tutti gli uomini di buona volontà: “Non dimentichiamo Haiti!”. “Bisogna restare solidali – prosegue la nota – nel sostenere gli sforzi già intrapresi”, poiché “uomini, donne, sacerdoti, religiosi, religiose e volontari laici sono impegnati nello sforzo colossale della ricostruzione. Incoraggiamoli!”. Quindi i presuli francesi concludono: “Haiti vive!”. (I.P.)

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    Colombia. Processo di pace: le Farc non prorogheranno la tregua

    ◊   Proseguirà fino e non oltre il 20 gennaio il cessate-il-fuoco decretato unilateralmente dalle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) nell’ambito del processo di pace con il governo il 20 novembre scorso, il primo da parte della guerriglia negli ultimi dieci anni. “Non ci sarà un’estensione, non abbiamo contemplato questa possibilità. L’unica possibilità è un cessate-il-fuoco ma bilaterale” ha detto il capo dei negoziatori delle Farc Iván Márquez parlando ai giornalisti all’Avana, dove il 14 gennaio riprenderanno i colloqui. Di fatto, il governo non ha previsto finora alcuna cessazione delle ostilità e durante le trattative ha anche inferto duri colpi al gruppo armato, tra cui un bombardamento in un’area vicino al confine con l’Ecuador a dicembre in cui sono stati uccisi almeno 20 ribelli. Nel frattempo, i negoziatori delle Farc hanno ricevuto in questi giorni il rapporto del Forum di politica di sviluppo agrario integrale ospitato a metà dicembre a Bogotá; uno spazio creato per raccogliere la voce di centinaia di esponenti della società civile in merito al primo punto dell’agenda delle trattative nonché alla base della sollevazione in armi delle Farc, mezzo secolo fa, la questione agraria. L’ufficio delle Nazioni Unite in Colombia e l’Università nazionale colombiana, organizzatori del Forum, hanno raccolto in 11 volumi le 546 proposte emerse dai partecipanti, in rappresentanza di 522 organizzazioni dei 32 dipartimenti amministrativi del Paese. Proposte che entreranno nel vivo del dibattito alla sua ripresa, lunedì prossimo. (R.P.)

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    Messico: anche la Chiesa partecipa alla campagna per il disarmo nella capitale

    ◊   “Anche la Chiesa cattolica partecipa in modo concreto alle iniziative volte alla ricerca della pace e della tranquillità nella capitale” ha detto l'arcivescovo di Mexico, il cardinale Norberto Rivera Carrera, inaugurando nell'atrio della basilica di Guadalupe lo stand per il disarmo (“despistolización”) del Governo del Distretto Federale (Gdf), che rimarrà aperto fino al 18 gennaio. L'iniziativa di scambiare le armi da fuoco con dei tablets, contenitori di genere alimentari oppure denaro in contanti, ha avuto inizio martedì scorso, alla presenza del cardinale Norberto Rivera Carrera, del capo del Gdf, Miguel Angel Mancera, e di altri funzionari pubblici. Oltre a partecipare a questo programma di disarmo, il cardinale Rivera Carrera ha detto che l'arcidiocesi di Mexico opera in diversi programmi sociali fondamentali per la popolazione della capitale. “La Chiesa non è estranea ai tempi di violenza in cui viviamo” ha detto il cardinale, proprio per questo la Chiesa aderisce a questi programmi promossi dalla Gdf, ed ha ribadito la collaborazione con le autorità locali "non solo nel santuario di Guadalupe, ma in tutta l'arcidiocesi”. Nel suo discorso, il capo della Gdf ha sottolineato l'importanza per la capitale di questa campagna, con la consegna pacifica delle armi che molti hanno nelle loro case, e proprio nell'atrio del santuario di Guadalupe. "Devo sottolineare l’importanza simbolica di questo luogo dove siamo oggi, e anche l'impegno dei rappresentanti della Chiesa" ha detto Miguel Angel Mancera. (R.P.)

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    Nigeria: il card. Onaiyekan e il presidente Jonathan denunciano le violenze religiose

    ◊   Una denuncia congiunta, della Chiesa e dello Stato in Nigeria, contro le violenze antireligiose perpetrate nel Paese. A farla sono stati, ieri, il card. John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, e il capo dello Stato Goodluck Jonathan, nell’ambito di una cerimonia religiosa svoltasi ad Abuja, nella Cattedrale di “Notre Dame-Regina della Nigeria”. “Coloro che uccidono le altre persone, creature di Dio – hanno detto i due esponenti – non conoscono affatto Dio”. “Coloro che usano la religione per dividere la popolazione o che uccidono la religione stessa – ha incalzato il card. Onaiyekan – non possono essere fedeli a Dio”, perché “se la religione significa escludere l’altro, guardarlo con arroganza, allora si corre il rischio di deviare dal cammino che conduce a Dio”. Quindi, il porporato ha deplorato il fatto che l’immagine della Nigeria sia negativa “a causa del fanatismo, dell’intolleranza religiosa, dello spargimento di sangue”. Dal suo canto, il presidente Jonathan ha ribadito che “l’omicidio è contrario ai veri precetti religiosi, poiché le grandi religioni del mondo non incoraggiano affatto la violenza e l’odio, anzi: esse esortano alla fraternità, all’amore e alla coesistenza pacifica”. Infine, il capo dello Stato ha ricordato che la Nigeria si trova di fronte a numerose sfide e che tutti – Chiesa e autorità politiche – hanno la responsabilità di “educare la popolazione, portandola sulla strada giusta”. (I.P.)

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    Kenya: nuove stragi nel delta del Tana

    ◊   Almeno 11 persone sono state uccise nel villaggio di Kibusu, nella regione del delta del Tana, in Kenya, in un attacco condotto all’alba di oggi. Tra le vittime 5 sono bambini. Gli assalitori hanno bruciato 19 abitazioni e diverse vittime sono morte tra le fiamme. Secondo le autorità, si tratterebbe di una rappresaglia per la morte di 10 persone che sono state uccise ieri nel villaggio di Nduru. Nella zona vi sono da anni contrasti tra i Pokomo, agricoltori, e gli Orma, pastori semi-nomadi, per la spartizione di terre e fonti d’acqua, ma negli ultimi mesi le tensioni sono sfociate in assalti armati reciproci. L’ultimo massacro avvenuto nella regione nel 2012 aveva provocato 30 morti. In Kenya si sospetta che vi siano politici che alimentino le violenze in vista delle elezioni presidenziali, parlamentari e locali del 2013. Il gran numero di armi leggere in circolazione nel Paese favorisce la possibilità di condurre attacchi mortali. Secondo la Kenya National Focal Point on Small Arms and Light Weapons, un’agenzia di coordinamento contro la proliferazione di armi illegali posta sotto la tutela dell’Ufficio del Presidente, sono tra le 530.000 e le 680.000 le armi da fuoco detenute illegalmente in Kenya, comprese numerose armi da guerra, come i fucili AK47 (Kalashnikov) provenienti dalla Somalia e da altri Paesi. (R.P.)

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    Sudan: nel Darfur villaggi in fiamme per una miniera d'oro

    ◊   Almeno 25 villaggi rasi al suolo, un numero imprecisato di vittime e migliaia di sfollati: è il bilancio di scontri in corso da sabato nella regione del Darfur, nel Sudan occidentale, tra alcune comunità in lotta tra loro per il controllo di una miniera d’oro. Le notizie sugli scontri, diffuse da Radio Dabanga e altre emittenti locali, sono state confermate all'agenzia Misna da un portavoce della missione di peacekeeping dell’Onu e dell’Unione Africana in Darfur (Unamid). Sulla base delle ricostruzioni disponibili, gli scontri sono in corso nel nord del Darfur, nei pressi della miniera di Kabkabiya. Secondo Radio Dabanga, le violenze hanno costretto a lasciare la zona circa 60.000 persone, molte delle quali cercatori d’oro. A combattersi sarebbero gruppi di uomini armati di comunità arabe, i Beni Hussein e i Rizegat. Una delegazione di rappresentanti dei due gruppi sarebbe arrivata da Khartoum con lo scopo di favorire un negoziato. Abitato per lo più da popolazioni non arabe, diffidenti o ostili nei confronti del governo sudanese, il Darfur è stato dilaniato da un conflitto civile che dal 2003 al 2007 ha provocato centinaia di migliaia tra vittime e sfollati. Ancora oggi la regione stenta a ritrovare un suo equilibrio interno, forse anche per le ripercussioni dell’indipendenza proclamata dal Sud Sudan nel luglio 2011. (R.P.)

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    Gabon: a Port-Gentil incontro internazionale di formazione sulla povertà

    ◊   Il degrado e la povertà nel mondo e in Africa soprattutto sono le tematiche di un incontro internazionale di formazione organizzato nella diocesi di Port-Gentil, in Gabon, che sviluppa in questi giorni sessioni su giustizia, pace e credito sociale. “Dio ci vede con la nostra povertà … i vostri fratelli hanno fame, date loro da mangiare” ha detto martedì scorso il vescovo di Port-Gentil mons. Mathieu Madéga, durante la messa d’apertura dell’incontro nella cattedrale Saint Louis. Il presule, inoltre, ha esortato ad incrementare l’assistenza verso i più bisognosi e padre Raphaël Magloire SE Mbogba, coordinatore dell’incontro di formazione ha aggiunto che la Chiesa deve esprimersi anche sul sociale e cercare soluzioni per sdradicare la povertà. L’incontro, riferisce il portale www.gabonnews.com, si protrarrà fino al 16 gennaio e vedrà a confronto centinaia di partecipanti, tra cattolici, protestanti e musulmani che svilupperanno il loro dialogo sulla miseria nel mondo e nelle realtà di ogni giorno. Tra gli oratori ci sarà anche il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. (T.C.)

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    Malaysia. Le Chiese: eserciteremo il diritto costituzionale sull’uso del nome Allah

    ◊   I cristiani della Malaysia non osserveranno il divieto di usare il termine “Allah”, imposto ieri da una ordinanza del Sultano dello stato Selangor. Le Chiese in Malaysia fanno fronte comune: in un comunicato inviato all’agenzia Fides, la “Federazione Cristiana della Malaysia” (Cfm) ribadisce il suo “diritto costituzionale” di chiamare il suo Dio con il termine “Allah”, ricordando che la parola è presente nelle bibbie di lingua malese da oltre 400 anni. La Federazione, costituita nel 1985, è un organismo ecumenico che riunisce le principali Chiese protestanti e ortodosse e la Conferenza dei vescovi cattolici. Il comunicato nota che “Allah è parola araba utilizzata da tutte le comunità cristiane di lingua Bahasa Malaysia”, citando i cristiani dei gruppi etnici Orang Asli, Baba, i cristiani che vivono nelle province di Saba e Sarawak, nonché tutti quelli che vivono nella Malaysia peninsulare. Il vescovo anglicano Datuk Ng Luna Hing, presidente della Federazione cristiana, ribadisce: “In conformità con l'articolo 11 della Costituzione federale della Malaysia, affermiamo il diritto di ogni persona di professare e praticare la propria religione e, in tale contesto, la libertà delle Chiese di utilizzare la Sacra Bibbia in lingua Bahasa Malaysia, in tutti i nostri servizi liturgici e negli incontri di culto”. Negli ultimi tre anni le Chiese e il governo in Malaysia si sono confrontati, anche con un processo giudiziario, sulla questione dell’uso del termine “Allah” che, secondo alcuni, doveva essere esclusivo dell’Islam. I cristiani, ribadendo il loro legittimo diritto, hanno vinto la causa in tribunale nel 2009. Per rafforzare la loro posizione, le Chiese si richiamano a documenti storici come il “Dictionarium Malaico-latino e latino-Malaicum”, edito nel 1631 e ripubblicato di recente. Il testo, che contiene la parola “Allah” come traduzione di “Dio”, rappresenta la prova storica che i missionari cristiani come San Francesco Saverio, hanno svolto un ruolo fondamentale nello scambio di conoscenza e di cultura tra Europa e Sudest asiatico. (R.P.)

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    Taiwan: formazione di sacerdoti e seminaristi al centro dell'Assemblea dei vescovi

    ◊   L’impegno per sostenere la formazione di sacerdoti e seminaristi del continente, la celebrazione dell’Anno della Fede e l’esame dei progetti pastorali del 2013 sono stati i temi principali dell’Assemblea annuale della Conferenza episcopale regionale di Taiwan. Secondo quanto ha riferito il “Catholic Weekly” dell’arcidiocesi di Tai Pei, i vescovi hanno visitato i quattro sacerdoti ed i cinque seminaristi del continente che da settembre studiano presso l’Istituto teologico dell’Università cattolica di Fu Ren e soggiornano nel Seminario di San Paolo dell’arcidiocesi di Tai Pei, secondo un progetto di sostegno alla formazione vocazionale continentale. Il ciclo di studio è di tre anni. La visita - riferisce l'agenzia Fides - è stata motivata dalla necessità di conoscere da vicino la situazione scolastica e la sistemazione logistica degli studenti, ascoltare le loro esigenze per affrontare l’argomento durante l’Assemblea e migliorare il progetto, che è frutto di una collaborazione tra nunziatura di Taiwan, Commissione per l’Educazione e la Cultura della Conferenza episcopale regionale di Taiwan, e Istituto teologico dell’Università Cattolica di Fu Ren. Inoltre i vescovi si sono soffermati sulla celebrazione dell’Anno della Fede, in comunione con la Chiesa Universale, per realizzare gli scopi principali dell’Anno: la riscoperta della fede, la gioia dell’incontro con Cristo, stimolare l’entusiamo di proclamare la fede a tutti. I vescovi hanno anche studiato i progetti pastorali presentati dalle diverse Commissioni per il 2013. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 10

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.