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Sommario del 07/01/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa al Corpo diplomatico: la pace non è un’utopia, prima dello "spread" pensare ai poveri
  • Il Papa alla Chiesa cambogiana: i vostri martiri e la vostra fede semi di speranza per il Paese
  • Tweet del Papa su dialogo in Siria, nigeriani vittime di violenze e obiezione di coscienza
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: dura critica di Usa e Ue al discorso in tv di Assad
  • Centrafrica: forse domani in Gabon, i colloqui tra miliziani e governo
  • Bahrein. Condannati leader della “primavera araba”. Intervista con il nunzio, mons. Rajic
  • Venezuela, futuro incerto. In forse il giuramento di Chavez, malato a Cuba
  • Scontri tra esercito pakistano e indiano in Kashmir
  • Nordest, 50 mila immigrati in meno. Mons. Tessarollo: famiglie disgregate, crisi acuta
  • Rosarno tre anni dopo la rivolta: è ancora emergenza immigrati
  • L’ombra del cyberbullismo sul drammatico suicidio della 14.enne di Novara
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Egitto: la Veglia di Natale celebrata dal Patriarca ortodosso Tawadros II
  • Egitto: sventato un attacco contro una chiesa copta
  • India. Stupro di New Delhi: processo a porte chiuse per 5 dei 6 imputati
  • Mali: verso colloqui di pace diretti. Pressioni dei ribelli su Bamako
  • La Cina potrebbe chiudere alcuni campi di lavoro forzato entro l'anno
  • Usa: al via la Settimana nazionale della Migrazione
  • Pakistan: nel Punjab i cristiani ricordano Salman Taseer e il suo coraggio contro la blasfemia
  • L’appello per la grazia a Rizana Nafeek, condannata a morte in Arabia Saudita
  • Sud Sudan: 200 mila bambini a rischio malnutrizione
  • Messico: nel Chiapas un’infezione respiratoria ha già ucciso cinque bambini
  • Cile: la Chiesa contro l’intensificarsi delle violenze nella regione dell’Araucanía
  • Nicaragua: i vescovi sulle minacce all'integrità del ruolo della famiglia
  • Cina: all’Epifania la Chiesa annuncia l’importanza e la bellezza di essere cristiani
  • Cardinale Scola: con l'Epifania tutti i popoli aspirano all'universalità
  • Israele. Dall'Afghanistan recuperati manoscritti: anche un commentario su Isaia
  • Messaggio per il nuovo anno dell’ex arcivescovo di Canterbury, Williams
  • Rapporto World Giving Index: in calo nel 2012 le offerte per la carità
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa al Corpo diplomatico: la pace non è un’utopia, prima dello "spread" pensare ai poveri

    ◊   Pace, crisi economica, rispetto della vita: sono stati questi i tre pilastri del grande discorso che Benedetto XVI ha rivolto stamani, in Vaticano, al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, in occasione degli auguri di inizio anno. Il Pontefice ha rinnovato un accorato appello per la pace in tutti quegli Stati, dalla Siria al Congo alla Nigeria, dove le popolazioni sono travolte dalla guerra e dalla violenza. Quindi, parlando della crisi economica, ha detto che non bisogna rassegnarsi “allo spread del benessere sociale”, mentre “si combatte quello della finanza”. Attualmente, sono 179 gli Stati che intrattengono relazioni diplomatiche piene con la Santa Sede. A questi vanno aggiunti: l’Unione Europea, il Sovrano Militare Ordine di Malta e una Missione a carattere speciale: l’Ufficio dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Fin dalla sua origine, è stata la premessa di Benedetto XVI, la Chiesa è orientata ad “ogni popolo”: ecco perché il suo impegno non è “un’ingerenza” nella vita delle società ma un contributo “per il progresso del genere umano”. Il Papa è partito da qui, dalla missione della Chiesa per sviluppare la sua visione sulle grandi sfide che oggi il mondo ha di fronte, a partire dall’urgenza della pace. Il Pontefice ha innanzitutto ricordato i suoi viaggi del 2012 in Messico, Cuba e Libano. Visite, ha detto, per “riaffermare l’impegno civico dei cristiani di quei Paesi” come pure “per promuovere la dignità della persona umana e i fondamenti della pace”. E proprio alla pace ha dedicato la parte più consistente del suo articolato discorso:

    “Aujord’hui, on est quelqefois amené à penser que…”
    “Oggi – ha constatato – si è indotti talvolta a pensare che la verità, la giustizia e la pace siano utopie e che esse si escludano mutuamene”. Anzi, sembra che gli sforzi per affermare la verità sfocino “spesso nella violenza”. D’altra parte, ha aggiunto, pare che “l’impegno per la pace si riduca alla ricerca di compromessi”. Al contrario, ha detto, “nell’ottica cristiana esiste un’intima connessione tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini”. Per questo, è stato il suo monito, “è proprio l’oblio di Dio” a “generare la violenza”. Infatti, ha annotato, “se si cessa di riferirsi a una verità oggettiva trascendente, come è possibile realizzare un autentico dialogo?” In realtà, ha detto il Papa, “senza un’apertura al trascendente, l’uomo cade facile preda del relativismo” ed è quindi poi difficile “agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace”. Alle manifestazioni dell’oblio di Dio, ha proseguito, si può associare il “pernicioso fanatismo di matrice religiosa”, che è invero “una falsificazione della religione stessa”. Il Papa ha così rivolto il suo pensiero a tutti i popoli che soffrono a causa della guerra, a partire dalla Siria:

    “Je renouvelle mon appel afin quel les armes…”
    “Rinnovo il mio appello – ha detto – affinché le armi siano deposte e quanto prima prevalga un dialogo costruttivo per porre fine a un conflitto che, se perdura, non vedrà vincitori, ma solo sconfitti, lasciando dietro di sé soltanto una distesa di rovine”. Ed ha chiesto alle autorità politiche di essere sensibili alla “grave situazione umanitaria”. Ha così rivolto il pensiero alla Terra Santa. Ricordando il recente riconoscimento della Palestina come Stato Osservatore non Membro dell’Onu, ha rinnovato l’auspicio che israeliani e palestinesi “si impegnino per una pacifica convivenza nell’ambito dei due Stati sovrani, dove il rispetto della giustizia e delle legittime aspirazioni dei due popoli sia tutelato e garantito”. Gerusalemme, è stata la sua invocazione, diventi “Città della pace e non della divisione”. Per l’Iraq, ha augurato riconciliazione e stabilità, per il Libano l’auspicio che i cristiani diano una testimonianza efficace “per la costruzione di un futuro di pace con tutti gli uomini di buona volontà”:

    “En Afrique du Nord, aussi, la collaboration de toutes…”
    “Anche in Nord Africa – ha affermato – è prioritaria la collaborazione di tutte le componenti della società e a ciascuna deve essere garantita piena cittadinanza, la libertà di professare pubblicamente la propria religione e la possibilità di contribuire al bene comune”. Poi, ha assicurato la sua preghiera agli egiziani, “in questo periodo in cui si formano nuove istituzioni”. Né ha mancato di volgere lo sguardo all’Africa subsahariana, dove tanti Paesi sono feriti dalle guerre. Il Papa ha indicato in particolare il Corno d’Africa, l’Est della Repubblica Democratica del Congo, il Mali e il Centrafrica. Un pensiero particolare lo ha dedicato alla Nigeria, “teatro di attentati terroristici che mietono vittime” soprattutto tra i “cristiani riuniti in preghiera”, quasi che l’odio volesse “trasformare dei templi di preghiera e di pace in altrettanti centri di paura e di divisione”. Il Papa ha detto di aver provato grande tristezza nell’apprendere che anche a Natale fedeli cristiani nigeriani sono stati “uccisi barbaramente”. Benedetto XVI ha, quindi, ribadito che la “costruzione della pace passa per la tutela dell’uomo e dei suoi diritti fondamentali”. Fra questi, ha rammentato, figura in “primo piano il rispetto della vita umana in ogni sua fase”. Il Papa si è detto rallegrato, a tal proposito, per la risoluzione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa che ha proibito l’eutanasia, “per atto o omissione”. Allo stesso tempo, il Papa ha espresso rammarico per la depenalizzazione e liberalizzazione dell’aborto in molti Stati, anche di tradizione cristiana:

    “L’avortement direct, c’est-a-dire, voulu comme…”
    “L’aborto diretto, cioè voluto come un fine o come un mezzo – ha detto – è gravemente contrario alla legge morale”. Nell’affermare ciò, ha soggiunto, la Chiesa cattolica “non intende mancare di comprensione e di benevolenza, anche verso la madre”. Si tratta, piuttosto, di “vigilare affinché la legge non giunga ad alterare ingiustamente l’equilibrio fra l'eguale diritto alla vita della madre e del figlio non nato”. Ed ha osservato che, specie in Occidente, vi sono “numerosi equivoci sul significato dei diritti umani”. Non di rado, ha detto, “sono confusi con esacerbate manifestazioni dell’autonomia della persona che diventa autoreferenziale”, “non più aperta all’incontro con Dio e con gli altri”, ma ripiegata su se stessa per “soddisfare i propri bisogni”. Per essere autentica, ha aggiunto, “la difesa dei diritti” deve considerare l’uomo “nella sua integralità personale e comunitaria”. Ha così dedicato la parte finale del suo discorso alla crisi economica e finanziaria che attanaglia molti Paesi. Essa, ha detto, si è sviluppata perché “troppo spesso è stato assolutizzato il profitto, a scapito del lavoro” e ci si “è avventurati senza freni sulle strade dell’economia finanziaria, piuttosto che di quella reale”:

    “Il convient donc de retrouver le sens du travail…”
    “Occorre - ha detto - recuperare il senso del lavoro e di un profitto ad esso proporzionato”. A tal fine, ha detto, bisogna “resistere alle tentazioni degli interessi particolari e a breve termine, per orientarsi in direzione del bene comune”. Inoltre, ha aggiunto, “è urgente formare i leaders che, in futuro, guideranno le istituzioni pubbliche nazionali ed internazionali”. Anche l’Unione Europea, ha avvertito il Papa, ha bisogno di “rappresentanti lungimiranti e qualificati, per compiere le scelte difficili che sono necessarie per risanare la sua economia e porre basi solide per il suo sviluppo”. Ed ha avvertito: “Da soli alcuni Paesi andranno forse più veloci, ma, insieme tutti andranno certamente più lontano”:

    “Si l’indice différentiel entre les taux financiers…”
    “Se preoccupa l’indice differenziale tra i tassi finanziari – ha affermato – dovrebbero destare sgomento le crescenti differenze tra pochi, sempre più ricchi, e molti, irrimediabilmente più poveri”. Si tratta, insomma, “di non rassegnarsi allo ‘spread del benessere sociale’, mentre si combatte quello della finanza”. Il Papa ha poi esortato a investire nell’educazione dei Paesi in via di sviluppo per aiutarli a vincere la povertà e le malattie. Ancora, ha aggiunto che la “pace sociale è messa in pericolo anche da alcuni attentati alla libertà religiosa”. Ed ha espresso rammarico perché capita anche che ai cristiani “sia impedito di contribuire al bene comune con le loro istituzioni educative ed assistenziali”. Per salvaguardare l’esercizio della libertà religiosa, è stato il suo richiamo, è essenziale perciò “rispettare il diritto all’obiezione di coscienza”. Nella parte finale del discorso, Benedetto XVI ha ricordato l’impegno a tutto campo della Chiesa per chi è in difficoltà e in particolare per quanti soffrono a causa di calamità naturali. Ha ricordato, così, le vittime delle inondazioni nel Sud Est asiatico, dell’uragano Sandy e del terremoto nel Nord Italia. “Auspico – ha concluso il Papa – che in questo momento della sua storia”, lo spirito “di tenacia e di impegno condiviso” animi tutta la nazione italiana.

    L’udienza del Papa al Corpo diplomatico darà vita oggi pomeriggio, alle 16, a una tavola rotonda organizzata dalla Radio Vaticana. Protagonisti saranno tre ambasciatori presenti all’incontro con Benedetto XVI: Ulla Gudmundson, ambasciatore svedese, John McCarthy, ambasciatore australiano, e Mercedes A. Tuason, ambasciatore delle Filippine. Il dibattito, imperniato su un commento agli argomenti toccati dal Pontefice, potrà essere seguito in diretta audio-video all’indirizzo “youtube.com/radiovaticanavideo”.


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    Il Papa alla Chiesa cambogiana: i vostri martiri e la vostra fede semi di speranza per il Paese

    ◊   La Chiesa cambogiana è dinamica e la testimonianza di fede, oggi come ieri, dei suoi fedeli e dei suoi martiri è fonte di speranza per tutto il Paese. Lo afferma Benedetto XVI in un videomessaggio inviato ai partecipanti al congresso “Il Vaticano II e la Chiesa”, che si conclude oggi a Phnom Penh, e organizzato in occasione dell’Anno della Fede. Al termine, consegnati ai presenti i testi del Concilio e del Catechismo tradotti in lingua cambogiana. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Il volto del Papa appare in un posto e in un giorno che per la storia della Cambogia contemporanea, e soprattutto per la piccola Chiesa che vive nel Paese, significano moltissimo, e cioè il luogo dove sorgerà la nuova cattedrale di Phnom Penh, al posto di quella distrutta nel 1975, durante il sanguinario regime dei Khmer Rossi di Pol Pot, del quale oggi si ricorda il 34.mo anniversario della caduta. Le parole di Benedetto XVI nel videomessaggio sono fin da subito un inno alla pace ritrovata e al contributo di sangue che, a quella pace, ha dato la Chiesa cambogiana:

    “Me souvenant de la pario de troubles…
    Ricordando il periodo di disordini che ha precipitato il vostro Paese nel buio, vorrei sottolineare come il coraggio, la fede e la perseveranza dei vostri pastori e dei tanti vostri fratelli e sorelle cristiani, molti dei quali hanno trovato la morte, rappresenti una nobile testimonianza alla verità del Vangelo”.

    Il discorso del Papa, affettuoso come un abbraccio a una Chiesa lontana ma vicina ai suoi pensieri, suggella il lavoro di tre giorni degli oltre 400 congressisti, chiamati ad approfondire il Vaticano II a 50 anni dal suo inizio, ma anche il Catechismo della Chiesa cattolica a 20 dalla sua pubblicazione. Significativa in questo senso, al termine della Messa conclusiva di oggi, è stata la distribuzione di centinaia di copie dei testi conciliari e del Catechismo tradotti in cambogiano. Un segno di vitalità di una Chiesa che è si solo l’1% della popolazione – a fronte di un 96% di seguaci del buddismo – ma nella quale Benedetto XVI coglie un “dinamismo” dimostrato – dice – dai “numerosi catecumeni” e dai “battesimi di adulti”, “un segno felice – sottolinea ancora – della presenza attiva di Dio” nei credenti cambogiani:

    “Soyez sûrs de la prière de vos frères…
    Siate certi delle preghiere dei vostri fratelli e sorelle, il cui sangue scorreva nelle risaie! Siate lievito nella pasta della vostra società, testimoniando l'amore di Cristo per tutti, la costruzione di vincoli di fraternità con i membri di altre tradizioni religiose e camminando lungo le vie della giustizia e della misericordia”.

    Ai seminaristi e ai sacerdoti cambogiani Benedetto XVI chiede che l’offerta della loro vita e preghiera sia “fonte di speranza” e di nuove vocazioni. E insieme, auspica che lo zelo dei missionari, religiosi e laici consacrati, di provenienza straniera “porti molti di coloro” da loro serviti e amati “a incontrare Gesù Cristo”. E intense sono anche le parole rivolte ai giovani nella fede e a coloro che questo dono non l’hanno ancora:

    “Chers jeunes, mes amis, qui avez été baptisés…
    Cari giovani amici, battezzati nel corso degli ultimi anni, non dimenticate che la Chiesa è la vostra famiglia: essa conta su di voi per testimoniare la vita e l'amore che avete trovato in Gesù. Prego per voi e vi invito a essere discepoli generosi di Cristo (...) E tutti voi che cercate Dio, perseverate e siate certi che Cristo vi ama e vi offre la sua pace”.

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    Tweet del Papa su dialogo in Siria, nigeriani vittime di violenze e obiezione di coscienza

    ◊   Tre nuovi tweet del Papa sono apparsi stamane in rete subito dopo l’udienza al Corpo diplomatico. Il primo dedicato alla Siria, “affinché – scrive il Papa – il dialogo costruttivo prenda il posto dell’orribile violenza”. Il secondo tweet riguarda i nigeriani, vittime di violenze: “Occupano – ribadisce Benedetto XVI – un posto speciale nel mio cuore”. Il terzo tweet si riferisce, scrive, alla difesa del diritto “all’obiezione di coscienza degli individui e delle istituzioni, promuovendo la libertà e il rispetto per tutti”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il filo rosso: in prima pagina, un editoriale del direttore sul discorso di Benedetto XVI al corpo diplomatico.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, la Siria: Stati Uniti e Unione europea criticano il discorso del presidente Assad.

    L'adozione di un orfano è un dono agli occhi di Dio: nell'informazione religiosa, il messaggio del Patriarca di Mosca per il Natale ortodosso.

    Dopo le tenebre la primavera: nell'informazione vaticana, il videomessaggio di Benedetto XVI ai fedeli della Cambogia; tradotti nella lingua del Paese asiatico i testi del Vaticano II e il Catechismo della Chiesa cattolica.

    Simbolo dei popoli in cammino verso Dio: all'Angelus della solennità dell'Epifania il Papa parla della figura dei Magi.

    Come inquieti cercatori di Dio: durante la messa dell'Epifania il Pontefice ordina quattro arcivescovi.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: dura critica di Usa e Ue al discorso in tv di Assad

    ◊   Continuano le reazioni internazionali al discorso del presidente siriano Assad, che è tornato in tv per ribadire che continuerà ad usare la forza e a non negoziare con i ribelli. Intanto, proseguono gli scontri nei sobborghi di Damasco e i bombardamenti nel Paese. Il servizio di Roberta Barbi:

    Il mondo dice "no", a gran voce, al presidente siriano Assad che è tornato in tv, dove mancava dal novembre scorso, per ribadire che non negozierà con i ribelli, per ringraziare pubblicamente Russia, Cina e Iran e per fare appello alla mobilitazione nazionale contro quelli che ha definito "gli estremisti". Il presidente ha anche proposto, per porre fine alla guerra civile nel Paese, una modifica della Costituzione, la formazione di un nuovo governo e un’amnistia. “Una soluzione sconnessa dalla realtà, che significa solo la sua volontà di restare al potere e di ostacolare la transizione”, la definiscono gli Stati Uniti, mentre la Francia denuncia una “negazione della realtà per giustificare la repressione del popolo” e, insieme al capo della diplomazia europea Ashton torna a chiederne la deposizione come “condizione irrinunciabile per la transizione politica”. “Promesse vuote”, le ha definite anche il ministro degli Esteri britannico Hague. Per tutta risposta, l’esercito siriano ha lanciato stamani un nuovo attacco nei sobborghi di Damasco, a Daraya, mentre proseguono i disordini per il controllo dell’aeroporto di Taftanaz e i bombardamenti a Dayr az Zor e sulle province di Hama e Homs.

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    Centrafrica: forse domani in Gabon, i colloqui tra miliziani e governo

    ◊   Il Papa ha ricordato oggi nel suo discorso al Corpo diplomatico anche la crisi nella Repubblica Centrafricana, dove i ribelli della coalizione Seleka sono quasi alle porte della capitale Bangui. Domani, dovrebbero cominciare in Gabon i colloqui dei miliziani con il governo, ma domina l’incertezza. Il portavoce dei ribelli, Eric Massi, ha dichiarato che una soluzuione politica si potrà avere solo con le dimissioni dal potere del presidente in carica, Bozizé. Anche sul terreno la situazione è lontana dalla stabilità. Ascoltiamo nell’intervista di Davide Maggiore, la testimonianza di mons. Juan José Aguirre Muñoz, vescovo di Bangassou:

    R. - La gente è molto inquieta, perché stanno sentendo che i ribelli si stanno spostando pian piano verso Bangassou e hanno preso le città non molto lontano da Bangassou. Speriamo che si fermino e non arrivino a Bangassou…

    D. – Lei fino a ieri era a Bangui, ha avuto queste notizie e quindi ha deciso di tornare a Bangassou?

    R. – Sì. Era molto difficile spostarsi perché la strada è completamente interrotta. Ci sono da una parte i militari dell’Unione africana e dall’altra i ribelli che tentano di arrivare a Bangui. E con la strada interrotta io non potevo arrivare a Bangassou. Ieri, invece, per una coincidenza sono riuscito a entrare a Bangassou: volevo veramente essere qui, perché se i ribelli arrivano, voglio essere presente con la mia gente e poter sedermi con loro, incoraggiarli, contare le loro lacrime e consolarli se succede qualcosa. Anche a Bangui la gente era molto inquieta, c’erano i ragazzi che chiudevano le strade, che facevano le barricate con i pneumatici e fermavano tutte le macchine… In altri posti i ribelli sono entrati e hanno fatto del male, hanno rubato molto e speriamo che non capiti anche altrove.

    D. – Domani, dovrebbero cominciare i colloqui in Gabon tra i rappresentanti del governo e i rappresentanti della coalizione Seleka. Quali sono i suoi auspici, cosa ci si può aspettare?

    R. – Le negoziazioni e il dialogo sono sempre buoni. Speriamo che tutti e tre vedano sia il governo, sia il gruppo Seleka, sia l’opposizione. Non sappiamo ancora se tutti i gruppi ribelli accetteranno di andare, se il governo arriverà, non sappiamo quanto dureranno, se incominciano … Continuiamo a vedere che i ribelli vanno avanti a prendere le città. Preghiamo il Signore di trovare la pace. Qui nell’est del Centrafrica c’è un’altra ribellione. Noi siamo presi da due ribellioni diverse: una è quella di cui abbiamo parlato e l’altra che ci portiamo dietro da sei anni è la ribellione guidata da Joseph Kony. Stiamo vivendo un calvario! Joseph Kony è un ugandese, che è venuto in Centrafrica con i suoi ribelli e stanno facendo del male in metà della diocesi di Bangassou. Stiamo vivendo momenti molto duri: villaggi bruciati, ragazzi e ragazze sequestrati e portati nella foresta…

    D. – Ritornando all’argomento dei colloqui che si dovrebbero svolgere in Gabon, c’è chi dice che questi colloqui, potrebbero non avere effetto perché ormai i ribelli sono molto sicuri di poter prendere in qualsiasi momento la capitale. E’ questo un timore che c’è anche a Bangui e a Bangassou?

    R. – E’ un timore perché loro sono in una posizione di forza. Loro arrivano a prendere le città con solo due auto piene di soldati, non è che ci sia uno scontro; le forze armate non si difendono, fuggono. Abbiamo fiducia nelle barriere che stanno facendo i soldati delle forze armate africane e che i ribelli non vadano a combattere contro i soldati di altri Paesi. Ma questa mattina hanno già sentito che sono molto vicini a Damara, la città in cui sono questi soldati. Questo ci fa essere molto inquieti. Intanto viviamo in una situazione di affogamento: non abbiamo più carburante, non abbiamo più medicinali, non abbiamo più il telefono, non sappiamo come vanno le cose in altri posti… C’è uno strangolamento di tutto il Paese perché molte cose partono da Bangui e vanno un po’ dappertutto. Se non partono da Bangui perché la strada è chiusa, sentiamo che non possiamo più respirare, stiamo vivendo in questa situazione da tre settimane ormai e non sappiamo quanto tempo potremo resistere.

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    Bahrein. Condannati leader della “primavera araba”. Intervista con il nunzio, mons. Rajic

    ◊   In Bahrein, l'Alta Corte ha confermato le sentenze di condanna a carico di 13 leader della rivolta antigovernativa del 2011, esplosa sulla scia della cosiddetta “Primavera araba”. Molti osservatori temono che possano riaccendersi le proteste della maggioranza sciita, governata dalla monarchia sunnita. Massimiliano Menichetti:

    Sale la tensione in Bahrein, dopo la conferma da parte della Cassazione delle condanne nei confronti di tredici leader del “Movimento 14 febbraio”, che nel 2011 capeggiarono le contestazioni antigovernative, costate la vita a trenta persone. Venti in realtà i condannati, tredici quelli che avevano presentato il ricorso che si è chiuso con sentenza inappellabile. Condanne da cinque anni di reclusione, all’ergastolo. Alcuni sono riusciti a fuggire dal Paese prima dei processi. Tra i condannati alla pena a vita, anche l'attivista per i diritti civili Abdulhadi al-Khawaja e il leader dell'opposizione Hassan Mushaimaa, che aveva chiesto l'instaurazione della repubblica. Ora, comunque, si temono nuove proteste della maggioranza sciita del Paese, governata dalla monarchia sunnita, come accadde nell'aprile 2011 prima e durante il Gran Premio di Forula 1 che si tenne nella capitale Manama. Ma come vivono i cattolici in Bahrein questa situazione? Lo abbiamo chiesto al nunzio apostolico, mons. Petar Rajic:

    R. – Loro non si sentono tanto coinvolti nelle vicende attuali, sociali e civili, del Paese perché sono vicende che riguardano soprattutto la comunità musulmana, ma comunque vivono la pressione che c’è nell’atmosfera generale della società. D’altro canto, i cristiani sono percepiti e conosciuti come buoni lavoratori, molto responsabili, e sono apprezzati per il loro contributo alla società. Il fatto che mantengono una posizione “neutrale” da loro la possibilità di donare una bella testimonianza di valori come la pace e la concordia.

    D. – Quanto è grande la comunità cattolica nel Paese?

    R. – E’ assai grande. Sono tra 80 mila e 100 mila persone che provengono da varie parti dell’Asia, maggiormente dall’India e dalle Filippine, poi, ci sono europei e latinoamericani. E’ una comunità in costante crescita.

    D. – Quali sono i progetti che in questo momento si stanno portando avanti?

    R. – Dato che la comunità è in crescita e abbiamo una sola chiesa nel Paese, il vescovo locale ha richiesto l’autorizzazione per un nuovo terreno e la costruzione di una nuova chiesa, sempre nella speranza che sia concessa al più presto possibile. E ci sono ottime possibilità in questa direzione: le massime autorità del Bahrein, a cominciare dal re e poi dal governo, desiderano realizzare questo progetto come un segno di apertura verso i cristiani.

    D. - Quindi, c’è una Chiesa viva e dall’altra parte c’è un buon dialogo con le varie realtà locali?

    R. – Senz’altro. C’è un buon dialogo e il fatto che il vescovo abbia trasferito la sede del vicariato da Kuwait city a Manama in Bahrein mostra la vivacità di questa realtà e l’apertura che qui c’è. Finora, non ci sono state difficoltà con le autorità: unico aspetto è la lentezza burocratica, ma sappiamo e speriamo che ogni progetto sarà realizzato.

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    Venezuela, futuro incerto. In forse il giuramento di Chavez, malato a Cuba

    ◊   Settimana decisiva in Venezuela: con ogni probabilità, sarà rinviato il giuramento del presidente, Hugo Chavez, previsto giovedi 10 gennaio prossimo. Rieletto per la quarta volta, il 7 ottobre scorso, alla guida del Paese, il leader è tuttora ricoverato a Cuba, a un mese circa dall’ultima operazione subita per contrastare il cancro che lo ha colpito. Il servizio di Roberta Gisotti:

    E’ lui, Chavez, il presidente eletto per governare il Paese nel periodo 2013-2019 e continuerà a farlo: lo ha dichiarato Diosdado Cabello, non appena riconfermato sabato scorso presidente del parlamento venezuleno, sostenenendo che la cerimonia d’insediamento del capo di Stato non è altro che una prassi formale e la data può essere spostata. Ma l’opposizione insiste nella sua richiesta: in assenza del leader ricoverato a L’Avana, in condizioni critiche di salute, è proprio il presidente del parlamento che deve assumere l’incarico per convocare nuove elezioni entro 30 giorni. Entrambe le parti fanno riferimento alla Costituzione. Una situazione che appare complicata. Maurizio Stefanini, collega della rivista di geopolitica “Limes”, esperto di America Latina:

    D. – Diosdado Cabello e Nicolas Maduro, vicepresidente designato dallo stesso Chavez suo successore, rappresentano interessi diversi nel Partito chavista: quali scenari si profilano?

    R. – Non è che sembri complicato: è complicato. Il fatto che sia bloccato in un letto di ospedale rientra fra i motivi sopravvenuti, che permettono il giuramento davanti al tribunale supremo di giustizia, in base all'art. 231. E' un impedimento permanente che obbliga a nuove elezioni, art. 133. Evidentemente, una cosa del genere è in gran parte una decisione politica: dovrebbe essere deciso dalla Commissione medica e dal voto dell’Assemblea nazionale. Soprattutto, la complessità si vede già dal fatto che non esista una figura unica che subentri al presidente. Se il presidente viene meno, infatti, fra il periodo dell’elezione e del giuramento – quindi in questo momento – dovrebbe in teoria essere il presidente dell’Assemblea nazionale a subentrare e a dichiarare nuove elezioni entro 30 giorni. Se invece avvenisse subito dopo, quindi per esempio l’11 gennaio, venerdì, allora a questo punto subentrerebbe il vicepresidente della Repubblica, nominato dallo stesso presidente. E’, di fatto, un primo ministro alla francese, il capo di governo. In questo caso, però, dovrebbe comunque a sua volta indire nuove elezioni solo nei primi quattro anni, perché negli ultimi due anni, se un presidente viene meno subentra il vicepresidente, ma rimane per gli ultimi due anni. Quindi, tre ipotesi diverse.

    D. – Cabello e Maduro, vicepresidente designato dallo stesso Chavez suo successore, rappresentano interessi diversi nel partito chavista. Quali scenari?

    R. – Cabello è un ex militare. La lobby dei militari sta diventando sempre più importante, perché la maggior parte dei governatori eletti alle ultime amministrative erano militari. I militari hanno avuto anche la responsabilità della maggior parte delle imprese. Non è un militare, però è considerato vicino a Cabello, Rafael Ramirez, il ministro del petrolio e presidente della società di Stato petrolifera, la Pdvsa, con 50 miliardi di petroldollari all’anno. La lobby dei militari ne controlla la cassa. Maduro – la cui moglie è il procuratore generale, quindi è responsabile del potere giudiziario – è un ex sindacalista ed è colui che è stato designato da Chavez come suo erede. Ha anche buoni rapporti con gli Stati Uniti, essendo il ministro degli Esteri. Probabilmente, però, ha meno basi di potere interno. Poi, c’è una terza cordata che è rappresentata in particolare dai familiari di Chavez, soprattutto dal fratello maggiore, Aran Chavez, che è governatore dello Stato di Barinas, di cui è originaria la famiglia Chavez, e poi c’è il genero del presidente, Jorge Arreaza, che è anche ministro delle Scienze, anche lui considerato un personaggio. Ci sarebbe, inoltre, teoricamente, una quarta cordata, che è quella del vicepresidente precedente a Maduro, che però fu cacciato da Chavez dopo la rielezione. Su di lui, in qualche modo, ha scaricato il risultato pessimo dell’economia.

    D. – Si può rimproverare a Chavez, comunque, di essersi candidato quando già sapeva di essere malato? E quindi, comunque, di aver gettato il Paese in questa situazione di incertezza?

    R. – Se su Chavez si fa un’analisi negativa, effettivamente questo è un carico ulteriore. Oltretutto, sembra presumibile che si sia anche riempito di medicinali apposta per ingannare. Se invece si dà un’immagine positiva della rivoluzione chavista, per la quale si sta costruendo un nuovo modello, per il quale ogni spazio di tempo è guadagnato per perfezionare queste conquiste positive, allora si potrebbe anche dire che Chavez è stato un eroe, che ha sacrificato se stesso pur di far guadagnare tempo alla rivoluzione.

    D. – Saranno, dunque, giorni caldi i prossimi, in Venezuela?

    R. – Il capo di Stato è "sigillato" in un posto in cui i membri dell’opposizione non possono andare ed è stato scelto apposta perché è un posto dove non possono andare a controllare.

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    Scontri tra esercito pakistano e indiano in Kashmir

    ◊   Sale la tensione in Kashmir, la regione contesa tra India e Pakistan. L’esercito di Islamabad ha denunciato due morti per un attacco contro un posto di frontiera da parte dei militari di Nuova Delhi. E’ successo ieri nella zona della cosiddetta "linea di controllo", che segna il confine provvisorio tra le aree di competenza dei due Paesi. Eugenio Bonanata ha chiesto un commento a Michelguglielmo Torri, esperto di questioni asiatiche e docente all’Università di Torino:

    R. – Da un certo punto di vista, è il manifestarsi di una situazione in tensione che dura sostanzialmente da quando India e Pakistan furono create. Dall’altro punto di vista, però, bisogna tenere conto che questo incidente avviene dopo circa un anno in cui c’è stato un processo di distensione in corso fra India e Pakistan e, secondo me, è la manifestazione dell’azione di forze politiche presenti anche fra i militari dei due opposti schieramenti, che sono ostili a una soluzione del conflitto attraverso strumenti pacifici.

    D. – Secondo lei, qual è l’evoluzione di questa situazione?

    R. – E’ difficile dire perché, in tanti decenni che seguo la questione da vicino, mi sono abituato a fasi di tensione cui si succedono fasi di distensione, senza che la cosa sfoci decisamente in un modo o nell’altro. Da un certo punto di vista, la guerra regolare fra i due Paesi è diventata impossibile nel momento in cui entrambi i Paesi si sono dotati di armi atomiche. Dall’altro punto di vista, la soluzione con strumenti diplomatici del problema incappa sempre su incidenti del tipo di quello di cui stiamo parlando o sul tipo di quello assai più grave, che si verificò qualche anno fa a Mumbay, quando una squadra di terroristi provenienti dal Pakistan attaccò la città nel momento stesso in cui a Delhi erano in corso delle trattative volte a dare una svolta in senso pacifico alla questione della tensione tra i due Paesi.

    D. – La questione del Kashmir alimenta in modo diretto il terrorismo?

    R. – Da un certo punto di vista, sicuramente lo alimenta, perché è diventato chiaro che ci sono organizzazioni che usano come pretesto la questione del Kashmir per agire e per portare avanti azioni di tipo terroristico. Bisogna, però, tener conto che in India ci sono anche delle cause di tipo “domestico”, che sono legate al fatto che la minoranza musulmana, che è una grossa minoranza – sono 120 milioni di persone su un miliardo e 200 mila, quindi un decimo della popolazione – è discriminata, è trattata malissimo, è segregata addirittura in alcuni Stati dell’India, come il Gujarat, e non si fa mai giustizia nei suoi confronti, anzi la si perseguita in base ad accuse che spesso poi si rivelano false in un secondo tempo, al vaglio dei tribunali. Ora, questo ha portato a una reazione da parte di alcuni elementi della comunità, in particolare quelli più giovani, che negli ultimi anni sono passati alla clandestinità e hanno dato un aiuto al terrorismo che veniva da oltre frontiera.

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    Nordest, 50 mila immigrati in meno. Mons. Tessarollo: famiglie disgregate, crisi acuta

    ◊   La situazione degli immigrati nel Nordest nell’attuale fase di crisi economica: è il tema al centro della conferenza stampa, tenutasi oggi a Venezia, alla quale hanno partecipato mons. Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia, mons. Ferruccio Sant, coordinatore triveneto della Commissione Migrantes, e mons. Adriano Tessarollo, vescovo di Chioggia. Quest'ultimo traccia un quadro della situazione degli immigrati nel Nordest nell'intervista di Amedeo Lomonaco:

    R. - Nel Nordest, abbiamo un grande numero di immigrati. Però, la cosa che immediatamente colpisce è che a causa della crisi proprio a causa e della difficoltà nel trovare lavoro, abbiamo una diminuzione di circa 50 mila immigrati in meno proprio nel Nordest. Si crea così il problema della conseguente disoccupazione e disgregazione delle famiglie, perché tornano in patria componenti della famiglia, dato che qui non possono essere aiutati. Questo è il primo impatto della crisi attuale.

    D. - Questo impatto avrà, probabilmente, degli effetti negativi anche per l’economia della regione…

    R. - Solitamente, nell'opinione comune si dice: questi vengono a portarci via il nostro lavoro. Mentre si sa che sono anche una risorsa, perché svolgono determinati lavori, producono reddito e sono capaci anche di qualche imprenditorialità. Quindi, anche questo accresce il peso delle conseguenze della crisi. D’altra parte, ci sentiamo di seguire con maggiore attenzione queste comunità e noi nel Nordest accogliamo qui circa una sessantina di sacerdoti, provenienti dai Paesi di origine di questi migranti, principalmente da Europa dell’Est, Africa, Estremo Oriente, America del Sud…

    D. - Tra pochi giorni, il 13 gennaio, si celebrerà, la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. In che modo la Chiesa locale procede nell’opera di accompagnamento, di sostegno, di cura pastorale delle comunità cattoliche straniere presenti nel Nordest?

    R. - Già ieri - nella giornata dell’Epifania - in molte delle nostre diocesi e comunità è stata celebrata la Festa dei Popoli, per offrire una possibilità di integrazione. In questa Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che ha come tema “Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza”, noi vorremmo diffondere questo messaggio. Come comunità cristiana, dovremmo essere in grado di stare accanto a queste persone, che hanno vissuto una certa sofferenza uscendo dai loro territori e che conservano nel cuore la speranza di una gioia, di una serenità, di una vita più gioiosa, con più certezze. Come cristiani, quindi, invitiamo le nostre comunità a rendere presente questo segno della speranza, attraverso la nostra accoglienza.

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    Rosarno tre anni dopo la rivolta: è ancora emergenza immigrati

    ◊   A tre anni dalla rivolta di Rosarno, in Calabria è ancora emergenza. Nelle tendopoli allestite per accogliere i lavoratori stagionali, provenienti dall’Africa, vivono oltre mille persone a fronte di una capienza di 250. La situazione rischia di diventare esplosiva, si teme, infatti, un’altra rivolta. “Di fronte a realtà simili – afferma il vescovo di Oppido-Palmi, mons. Francesco Milito – non si può rimanere immobili”. La Caritas italiana ha stanziato la somma di 30 mila euro che si aggiunge ai diecimila euro messi a disposizione dalla diocesi. Alessandro Filippelli ha intervistato don Salvatore Tucci della parrocchia di San Nicola di Mira a Messignadi, Reggio Calabria.

    R. – E’ una situazione, certamente, che ci lascia sempre degli interrogativi. Da tre anni, dopo che c’è stata questa rivoluzione, la situazione non è cambiata: è una situazione gravissima, di indigenza nella quale versano migliaia di nostri fratelli immigrati, distribuiti nella Piana di Gioia Tauro ma anche in certe collinette delle nostre campagne. Come si può continuare sempre così? Come si possono lasciare questi nostri fratelli in queste baracche, dove ci sono la sete, la fame, la nudità e non solo: anche le malattie? Certo, noi speriamo che l’appello lanciato dal vescovo, mons. Francesco Milito, sia risuonato con forza nei cuori non soltanto nel popolo ma – mi auguro – anche nelle istituzioni. Il messaggio del vescovo in realtà è una domanda che vuole scuotere le nostre coscienze, i nostri cuori e innanzitutto la nostra fede: ogni volta che avete fatto qualcosa ad uno di questi nostri piccoli, l’avete fatto a me, ha detto Gesù. Quindi, penso che questo messaggio sia stato sposato da tutti; speriamo che questi nostri fratelli possano sempre di più trovare calore da parte nostra.

    D. – Come la Chiesa ha contribuito per arginare l’emergenza?

    R. – La Chiesa ha contribuito con un contributo economico di quasi 10 mila euro – se non erro – oltre alla Caritas nazionale, che ha dato 30 mila euro. Questo per quanto riguarda l’aspetto economico. Questo aiuto non riguarda soltanto le varie mense: la mattina la nostra Caritas diocesana porta latte caldo; le parrocchie hanno aperto diverse mense. Abbiamo preparato, qualche domenica fa, 120 pasti … Ecco, mi sembra che una risposta immediata ci sia stata.

    D. – Qual è l’appoggio che la comunità, i cittadini quindi, offrono a chi vive nelle tendopoli, in uno stato di degrado?

    R. – Possiamo dire che non c’è stata indifferenza: c’è stato appoggio subito, pronto. Non soltanto una coperta, ma anche viveri, vestiario e anche medici che stanno dando un contributo volontario per curare le malattie che si sono manifestate.

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    L’ombra del cyberbullismo sul drammatico suicidio della 14.enne di Novara

    ◊   Suscita profondo dolore e amarezza la notizia del suicidio della 14.enne di Novara avvenuto nella notte tra il 4 e il 5 gennaio scorsi, ma anche indignazione per il fenomeno di bullismo che sembra esserci dietro la sua drammatica decisione. In attesa che gli inquirenti accertino i fatti, sul web sono tantissimi i "post" di amici e conoscenti che in queste ore denunciano il dolore della ragazzina vittima di dileggio e derisione su Internet. Non è il primo caso di quello che chiamiamo cyber-bullismo. Fausta Speranza ne ha parlato con il prof. Giampiero Gamaleri, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università Roma Tre:

    R. - Soprattutto nei ragazzi, ma - a questo punto - anche negli adulti, sembra che la propria personalità non riesca a manifestarsi ed esprimersi pienamente, se non ha anche questo esito, questa manifestazione virtuale: se non va in Rete. C’è questa ansia - diciamo così - di partecipazione all’universo della Rete, che fa sì che soprattutto i ragazzi siano risucchiati e cerchino di esserci nel modo più pervasivo possibile.

    D. - Adesso, un reato, come quello che abbiamo da sempre conosciuto, della diffamazione o il fenomeno del bullismo, nella Rete riceve un’amplificazione terribile: su Internet niente si cancella. Questi ragazzi “iperconnessi” sono consapevoli di tutto ciò?

    R. - Non sono pronti. Per un semplice fatto: la formazione che ricevono, la riflessione che si fanno e che viene loro proposta anche dagli educatori, è una riflessione che non mette in evidenza i caratteri di quella che è la piazza telematica e per cui si creano delle situazioni veramente molto molto pesanti ed imbarazzanti. Non si mette in evidenza il fatto che ciò che va in Rete tende ad essere permanente, quindi, è irrimediabile. Quando si è fatto un passo in avanti non si può più fare un passo indietro, quando il passo in avanti è addirittura fatto da qualcuno che magari non ci vuol bene e ci vuole danneggiare, rimane permanentemente dentro la Rete. Quindi, non è eliminabile e non è circoscrivibile: se noi abbiamo, per esempio - penso ai ragazzi e a noi stessi - un dissapore con alcuni amici, possiamo chiarirlo. Ma nella Rete questo è molto più difficile, anche perché nel frattempo - per cerchi concentrici - questa posizione, questa diffamazione, questa nota negativa, si è diffusa: come quando si butta un sasso nell’acqua e le onde arrivano a tutte le rive. Quindi, bisogna prendere coscienza ed avere un tipo di formazione che renda noto quali sono le caratteristiche strutturali della Rete. Ci sono alcune parole del Santo Padre che vorrei ricordare in questo momento. Fanno parte del messaggio dell’anno scorso, molto molto significativo, sul "silenzio e parola", in cui si parla di Twitter, per esempio, e si dice che: “Nell’essenzialità di questi brevi messaggi, spesso non più lunghi di un versetto biblico - dice testualmente il Papa - si possono esprimere pensieri profondi, se ciascuno non trascura di coltivare la propria interiorità”. Questa è una pista formidabile: non dimenticare di coltivare l’interiorità. Non si possono prendere alla leggera queste cose. Se io ho questa possibilità, mi butto e dico quello che mi passa per la testa. Invece io ho questa possibilità che è tanto potente, per cui devo misurare quello che dico, alimentare un’interiorità e chiedere a me stesso che cosa sto facendo e verso quale strada mi sto muovendo. Quindi, credo che su questo punto ci sia molto da fare. Non vorrei fare il solito richiamo ai doveri della scuola, ma purtroppo questo è un passaggio di civiltà, è un vero e proprio passaggio di civiltà, dove la scuola e la formazione non possono sottrarsi.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Egitto: la Veglia di Natale celebrata dal Patriarca ortodosso Tawadros II

    ◊   Durante la veglia di Natale, i militanti di alcuni partiti egiziani hanno esposto striscioni di augurio davanti alla cattedrale di San Marco dove il patriarca Tawadros II - da due mesi alla guida della più numerosa comunità cristiana presente in un Paese arabo - ha celebrato la solennità liturgica natalizia. Alla celebrazione erano presenti numerose personalità politiche dell'opposizione, compreso l'ex Segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa. Il Presidente Morsi ha reso omaggio per telefono al patriarca, e ha inviato in propria rappresentanza alla liturgia del Natale il Capo del gabinetto presidenziale, Refaa El-Tahtawi. Secondo fonti locali, consultate dall'agenzia Fides, è stata rispettata la richiesta del Patriarca di non applaudire o rumoreggiare in chiesa all'ingresso dei leader politici. Già a novembre il nuovo Patriarca aveva chiesto che i fedeli si astenessero dagli applausi e dagli “ululati” durante le celebrazioni liturgiche, rispettando le chiese come case di Dio. In un'intervista rilasciata all'agenzia turca Anadolu in occasione del Natale copto, e rilanciata dai media egiziani, Tawadros ha affermato che la condizione dei copti nel nuovo quadro politico dominato dalle correnti islamiste “non rappresenta una crisi”, facendo notare che incidenti a sfondo confessionale hanno punteggiato la cronaca egiziana già nel corso degli ultimi decenni. Tawadros ha anche ribadito che le riserve dei copti davanti alla nuova Costituzione non possono essere interpretate come una reazione di carattere settario: esse esprimono solo preoccupazione rispetto agli articoli della carta costituzionale che “non sono coerenti con i principi di cittadinanza”. Il patriarca ha poi respinto la proposta degli esponenti della diaspora copta che hanno lanciato l'idea di dividere l'Egitto per creare uno Stato-enclave copto. Tawadros ha affermato con forza che “la Chiesa è parte integrante di quell'Egitto che non sarà diviso, che è unito dai tempi del Faraone Menes e lo rimarrà per sempre”. (R.P.)

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    Egitto: sventato un attacco contro una chiesa copta

    ◊   Un attentato terroristico contro una chiesa copta di Rafah, nella penisola egiziana del Sinai, al confine con l’omonima località della Striscia di Gaza, è stato sventato oggi dalle unità speciali dell’esercito. Lo riferisce il portavoce ufficiale delle forze armate dell’Egitto, sottolineando che l’attacco doveva aver luogo nel giorno in cui le Chiese orientali che seguono il calendario giuliano, tra cui, appunto, quella copta egiziana, celebrano il Natale. Nella notte i militari hanno intercettato due mezzi carichi di armi e di esplosivo nel quartiere di al-Safa, nei pressi dell’edificio di culto: uno è stato fermato e sequestrato, l’altro è riuscito a fuggire. (R.B.)

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    India. Stupro di New Delhi: processo a porte chiuse per 5 dei 6 imputati

    ◊   Sarà un processo a porte chiuse, quello che giudicherà cinque dei sei accusati per lo stupro e la morte di una ragazza a New Delhi. Lo ha ordinato oggi - riferisce l'agenzia AsiaNews - il giudice della corte, dopo che una folla di persone ha fatto irruzione in aula - dove per la prima volta avrebbero dovuto comparire gli imputati - impedendo il regolare svolgimento dell'udienza. Ad aggravare la situazione, anche un litigio tra alcuni avvocati, che hanno aggredito verbalmente un loro collega, dichiaratosi disposto a difendere i cinque. Qualche giorno fa infatti, l'associazione legale del distretto di Saket, dove ha sede il processo, aveva stabilito che nessuno dei suoi membri avrebbe assunto la difesa degli accusati. Le reazioni sono sempre più forti, a volte violente, e si ripetono dal giorno seguente l'aggressione. Eppure, in un'intervista rilasciata all'emittente tv indiana Zee News, l'amico della vittima e unico testimone dell'accaduto racconta una profonda indifferenza proprio da parte della comunità. "La gente che passava, in auto o in bicicletta, si voltava verso di noi, ci vedeva nudi a terra, e proseguiva. Nessuno, nessuno si è fermato per aiutarci". Aggredito insieme alla vittima, egli sottolinea come "solo dopo 30 minuti sono arrivati dei poliziotti, ma hanno aspettato altro tempo prima di chiamare l'ambulanza, per decidere a quale stazione appartenesse il caso". Intanto, i due giacevano sanguinanti, chiedendo almeno dei vestiti per coprirsi. Il card. Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale indiana e arcivescovo di Mumbai, afferma che lo stupro di New Delhi è "un esempio del malessere della società indiana", che "riflette il più profondo disprezzo per le donne", esercitato anche in altre forme: aborti selettivi, feticidi femminili, discriminazione ed esclusione nel mondo della scuola e del lavoro. Una condizione che è "conseguenza dell'emarginazione di Dio" dalla vita umana, e che grida al "cambiamento radicale di tutto il Paese". (R.P.)

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    Mali: verso colloqui di pace diretti. Pressioni dei ribelli su Bamako

    ◊   Comincerà il 10 gennaio la seconda fase dei colloqui diretti tra il governo di Bamako e alcuni dei gruppi armati che controllano le regioni settentrionali del Mali: lo ha annunciato il presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, mediatore per conto della Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale (Cedeao). Come al primo appuntamento, il mese scorso, Ouagadougou sarà sede dell’incontro tra le autorità di transizione, i tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) e gli islamisti di Ansar Al Din. Da alcune settimane - riporta l'agenzia Misna - la Cedeao, con il contributo dell’Algeria, sta cercando di riportare le due formazioni armate su posizioni meno estremiste e distanti da quelle di Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi). A pochi giorni dalla nuova fase negoziale tuttavia, gli islamisti di Ansar Al Din alzano la voce con dichiarazioni presentate da stampa e osservatori come un tentativo di esercitare pressioni su Bamako. Il documento politico consegnato la scorsa settimana a Compaoré, rimasto finora segreto, contiene alcuni punti fermi che potrebbero complicare la trattativa col governo centrale. Tra questi c’è l’applicazione della sharia: per il movimento guidato da Iyad Ag Ghaly si tratta di “una condizione non negoziabile visto che il popolo maliano è musulmano al 95%”. Nella ‘piattaforma’ politica – un documento di 17 pagine – viene anche evidenziata l’identità tuareg delle popolazioni del nord, “trattate come cittadini di serie b”. Ansar Al Din, in alcuni momenti alleato all’Mnla – ribellione tuareg laica e pro secessione – si dice disposto a rinunciare all’indipendenza da Bamako a favore di “un’ampia autonomia” nello Stato maliano che dovrebbe sancire nella Costituzione la sua “natura islamica”. Gli osservatori sottolineano che le rivendicazioni formulate saranno argomento di scontro: Bamako ha ribadito in più occasioni la laicità e l’indivisibilità dello Stato maliano. Inoltre dal terreno fonti di stampa internazionale hanno riferito di una progressione verso il sud del Paese di alcuni jihadisti, miliziani armati legati ad Ansar Al Din, Aqmi, al Movimento per l’unità e il jihad in Africa occidentale (Mujao) ma anche alla setta nigeriana di Boko Haram. Circa 300 uomini, provenienti da Gao e Timbuctù, sarebbero stati avvistati nei pressi della località di Bambara-Maoudé, a meno di 200 chilometri dalle zone controllate dall’esercito maliano. Intanto dalla Mauritania, confinante con le regioni settentrionali del Mali, è stata confermata la resa all’esercito di Nouakchott di decine di combattenti tuareg dell’Mnla che hanno consegnato “armi, munizioni e veicoli” nella zona di Bassiknou. Secondo fonti militari mauritane gli ex ribelli sono già stati trasferiti nel campo sfollati di M’bera, dove negli ultimi mesi sono affluiti più di 100.000 maliani in fuga dal nord. A guardare in direzione di Nouakchott è anche il governo di Bamako. In un colloquio col presidente mauritano Mohamed Ould Abdel Aziz, il primo ministro maliano Diango Cissoko ha chiesto un “maggior coinvolgimento del vostro Paese nella risoluzione della crisi del nord”. La Mauritania, che condivide col Mali migliaia di chilometri di confini porosi, ha già annunciato che non fornirà truppe alla futura Forza internazionale in Mali (Misma). Oltre all’appuntamento di Ouagadougou, la Cedeao ha convocato a Bamako per il 23 e il 24 gennaio un mini-vertice dei capi di Stato dei Paesi dell’Africa occidentale per “fare il punto sugli ultimi sviluppi della crisi maliana in vista del vertice dell’Unione Africana a fine mese”. Tra questi, il più significativo è stato la risoluzione approvata il 20 dicembre dal Consiglio di sicurezza dell’Onu che ha dato il via libera al dispiegamento per un anno di una Forza internazionale sotto comando africano per “ristabilire l’integrità territoriale” del Mali. (R.P.)

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    La Cina potrebbe chiudere alcuni campi di lavoro forzato entro l'anno

    ◊   La notizia, diffusa dal giornale di Hong Kong South China Morning Post e riportata da AsiaNews, non è ancora ufficiale, ma a quanto pare nel 2013 la Cina chiuderà i laojiao: i campi di lavoro in cui sono rinchiusi molti cristiani, membri della Falun Gong e persone responsabili di piccoli crimini. I laojiao sono parte della pratica cinese della “rieducazione attraverso il lavoro” introdotta da Mao Zedong nel 1957 e prevedono pene detentive di un massimo di tre anni (prolungabili fino a quattro) senza alcun obbligo che l’arresto e la reclusione siano notificati ai familiari. Le condizioni di vita dei prigionieri, seppur meno dure che nei laogai, consistono in turni di lavoro di 12-15 ore al giorno e paghe mensili esigue. Secondo un giornale statale cinese, il China Daily, nel Paese esistono 320 laojiao in cui sono rinchiuse 500mila persone, ma le stime ufficiali parlano di numeri diversi: fino a due milioni di detenuti. Infine, molti Paesi esteri, come gli Stati Uniti, hanno deciso il boicottaggio dei prodotti cinesi che provengono dai campi di lavoro. (R.B.)

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    Usa: al via la Settimana nazionale della Migrazione

    ◊   Inizia oggi negli Stati Uniti la Settimana nazionale della Migrazione, l’annuale appuntamento che da oltre un quarto di secolo promuovono i vescovi cattolici del Paese. Quest’anno – riferisce Fides – ricorre il decimo anniversario della lettera pastorale “Non siamo più stranieri: insieme nel cammino della speranza”, scritta nel 2003 congiuntamente dai presuli statunitensi e messicani e prendendo spunto da ciò, la Conferenza episcopale degli Usa chiede la riforma dell’immigrazione per riuscire a legalizzare gi circa 11 milioni di immigrati privi di documenti presenti nel Paese. “È un’occasione per ricordare e riflettere sugli obblighi che riguardano la migrazione”, ha detto il presidente della Commissione episcopale per le Migrazioni e arcivescovo di Los Angeles, mons. José Gomez. Inoltre, il Dipartimento per i migranti e i rifugiati dell’episcopato, ha in calendario l’invio di cartoline al Congresso in cui chiedere un percorso di cittadinanza per gli immigrati privi di documenti; la garanzia dell’unità delle famiglie, una soluzione legale per gli immigrati in cerca di lavori non qualificati; il ripristino del processo di protezione nelle politiche sull’immigrazione; una politica efficace contro le principali cause della migrazione provocata dalla persecuzione e dalla disuguaglianza economica. (R.B.)

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    Pakistan: nel Punjab i cristiani ricordano Salman Taseer e il suo coraggio contro la blasfemia

    ◊   "Sono trascorsi due anni e l'assassino dell'ex governatore viene ancora dipinto come un eroe. È un fatto vergognoso". Con queste parole padre Arshad John sacerdote dell'arcidiocesi di Lahore, ricorda all'agenzia AsiaNews il secondo anniversario dalla morte di Salman Taseer, governatore del Punjab ucciso da Malik Mumtaz Hussain Qadri, una delle sue guardie del corpo, il 4 gennaio 2011. Durante il suo mandato egli aveva saputo intrecciare un forte legame con i leader cristiani, prendendo in prima persona le difese di Asia Bibi e bollando come "Legge nera" le norme sulla blasfemia. Per onorarne la memoria, a Lahore e in diverse parti del Pakistan associazioni, attivisti e semplici cittadini hanno organizzato funzioni e veglie di preghiera. Il sacerdote ricorda Salman Taseer come un uomo "coraggioso", che ha saputo "resistere nonostante pressioni e minacce". Padre Arshad aggiunge che il politico pakistano - come, dopo di lui, è successo al ministro cattolico per le Minoranze Shahbaz Bhatti - "ha donato la propria vita per la causa" e "il suo sacrificio non sarà vano. La sua posizione nei riguardi delle minoranze verrà ricordata per sempre". Salman Taseer si è battuto per emendare le leggi sulla blasfemia, che prevedono il carcere a vita o la condanna morte per quanti profanano il Corano o dissacrano il nome del profeta Maometto. Una norma che è fonte di abusi ed è stata usata, diverse volte, per dirimere controversie personali o colpire minoranze religiose, fra cui i cristiani. Fra i tanti casi ricordiamo il più emblematico: Asia Bibi, madre di cinque figli, per la cui salvezza il governatore si era speso in prima persona. Per questa sua lotta egli aveva ricevuto una fatwa di condanna a morte da parte di alcuni imam radicali. Il suo assassino Mumtaz Qadri è ancora oggi celebrato come un "eroe nazionale". Egli è stato condannato alla pena capitale in primo grado; il processo di appello è tuttora pendente presso l'Alta corte di Islamabad, ma non vi sono date precise sulle udienze. Al tempo stesso, è ancora avvolta nel mistero la sorte di Shahabz Taseer, uno dei figli dell'ex governatore, sequestrato da un commando estremista alla luce del giorno il 26 agosto 2011 e di cui non si hanno più notizie certe. (R.P.)

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    L’appello per la grazia a Rizana Nafeek, condannata a morte in Arabia Saudita

    ◊   L’associazione per i diritti umani Asian Human Rights lancia l’allarme sul caso di Rizana Nafeek, la donna di origine srilankese dal 2007 nel braccio della morte in Arabia Saudita con l’accusa di aver ucciso il bambino della famiglia presso cui prestava servizio, che potrebbe essere giustiziata “da un momento all’altro”. Per la sua liberazione, che per mesi il governo di Colombo ha definito “vicina” ma che ora sembra lontana più che mai secondo quanto riportato da AsiaNews, occorrerebbe anche il perdono della famiglia, che in genere si ottiene attraverso trattative diplomatiche, invocando la compassione oppure pagando. La donna, musulmana, era arrivata in Arabia Saudita nel 2005 per lavorare come cameriera e dopo la morte del neonato che era sotto la sua responsabilità, è stata formalmente accusata e costretta a firmare una confessione forzata senza conoscerne il contenuto, in quanto scritta in arabo, lingua a lei sconosciuta. Recentemente la vicenda sembrava giunta a un punto di svolta positivo, in seguito ad alcune dichiarazioni del principe ereditario del regno, ma secondo Asian Human Rights allo Sri Lanka sarebbe già stata comunicata l’imminenza dell’esecuzione. (R.B.)

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    Sud Sudan: 200 mila bambini a rischio malnutrizione

    ◊   È lo Stato più giovane del mondo, ma è già afflitto da problemi molto gravi: è il Sud Sudan, in cui 200mila bambini vivono a rischio morte a causa dell’elevato tasso di malnutrizione e sottonutrizione. In tutto il mondo, sono i dati in possesso dell'agenziaFides, ogni giorno per queste cause muoiono 19mila bimbi. Nel Sud Sudan, nonostante gli sforzi delle organizzazioni umanitarie che riescono ad assisterne circa 70mila, la situazione è grave soprattutto nelle aree rurali, in cui le febbri alte frequentemente sfociano in malaria: da qui molti arrivano nell’unico ospedale pediatrico esistente, nella capitale Juba, ma spesso è ormai troppo tardi. Il Paese ha circa 9 milioni di abitanti, la metà dei quali è minorenne. (R.B.)

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    Messico: nel Chiapas un’infezione respiratoria ha già ucciso cinque bambini

    ◊   È di 5 bambini morti e 41 contagiati tra i piccoli che hanno meno di un anno d’età, il bilancio dell’ondata di infezione respiratoria che si sta diffondendo in Chiapas, Messico, e precisamente nella remota comunità indigena Emiliano Zapata, nel municipio Yajalón. A causare l’epidemia, secondo gli esperti, le piogge torrenziali e l’intenso freddo che sta colpendo la regione in questi ultimi tempi. I sintomi più frequenti – riferisce l'agenzia Fides – sono tosse e febbre alta. Per limitare i contagi, le autorità sanitarie hanno inviato in loco alcuni medici per una campagna di vaccinazioni straordinaria, dal momento che la difficoltà maggiore dell’area è quella dell’accesso alle cure, ma la prevenzione migliore resta quella condensata in due semplici regole: restare in casa ed evitare il contatto con persone che presentano i sintomi. (R.B.)

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    Cile: la Chiesa contro l’intensificarsi delle violenze nella regione dell’Araucanía

    ◊   Un appello alla pace nella regione dell’Araucanía, in Cile, viene dalla comunità cattolica locale, stanca di un conflitto di vecchia data, che si trascina – ricorda Fides – da quando piccoli gruppi indigeni radicali hanno rivendicato la proprietà di terre ancestrali e l’autonomia dell’area. Nell’ultimo periodo la situazione è tornata ad acutizzarsi e si registrano diversi incendi appiccati a case nell’area, nell’ultimo dei quali, il 4 gennaio scorso nel comune di Vilcún, a 25 km dalla capitale nella zona di La Araucanía, è rimasta uccisa una coppia. Così il vicario generale della diocesi di San José de Temuco, padre Giglio Linfati Cantergiani, ha rilasciato nel merito una dichiarazione in cui ha anche citato il messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno: “Deploriamo profondamente quanto sta vivendo la regione, questi atti irrazionali per la convivenza umana e democratica e preghiamo Dio che non si ripetano più questi eventi – ha detto – basta violenza che genera violenza, devono regnare la giustizia, il dialogo e la pace”. “Come Chiesa – ha concluso – riaffermiamo che il dialogo nella verità è l’unico modo responsabile per costruire una società in cui ci sia sempre giustizia per tutti”. Gli fa eco il presidente del Cile che, immediatamente recatosi nella zona, ha promesso: “Questo governo lavorerà per combattere il terrorismo che sta colpendo la zona e si applicherà la legge con tutto il rigore”. (R.B.)

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    Nicaragua: i vescovi sulle minacce all'integrità del ruolo della famiglia

    ◊   Un’ampia radiografia sulla grave situazione della famiglia in Nicaragua, dalla globalizzazione, al turismo sessuale, dalla violenza dentro il nucleo familiare alla secolarizzazione, dall’ideologia de genere all’Aids è il contenuto del documento che vescovi nicaraguensi hanno pubblicato lo scorso 30 dicembre, festa della Sacra Famiglia. “Vediamo con preoccupazione che la crescente secolarizzazione e l’influsso della globalizzazione minaccia la famiglia come luogo di dialogo, di educazione e come istituzione sociale e religiosa” avvertono i prelati che non sottovalutano le difficoltà causate dall’allarmante divario fra ricchi e poveri e il dramma della disoccupazione. Il documento dell’episcopato nicaraguense sottolinea “la persistente violenza al interno delle famiglie, il più delle volte prodotto dal maschilismo imperante”; il crescente flagello del narcotraffico, unico modo di sopravvivenza per molte famiglie; e il fenomeno l’alcolismo molto esteso e logorante della vita familiare. I vescovi del Nicaragua denunciano anche la crescita della tratta di persone e l’aumento della prostituzione tra gli adolescenti e giovani nell’ambito del turismo sessuale. In questo contesto, la messaggio della conferenza episcopale mette in discussione gli antivalori che spesso provengono dai mezzi di comunicazione, usati per manipolare anche politicamente ai più giovani. Inoltre, i prelati avvertono sulla minaccia della chiamata “ideologia di genere” e le proposte di legge che la accompagnano ferendo ancora di più la dignità del matrimonio e della famiglia. L’Aids, la migrazione, il divorzio anche tra le “ombre” segnalate nel messaggio dell’episcopato che esorta alle famiglie cristiane ad assumere con serietà la propria responsabilità di sposi fedeli, di genitori che educano i propri figli nella fede e di cittadini attenti nella salvaguardia dei propri valori morali e etici. “Non possiamo essere indifferenti davanti alle possibili decisioni legislative che mettano in pericolo i valori rivelati da Dio e dalla morale della Chiesa” ribadiscono i vescovi nicaraguensi che concludono il messaggio esortando la comunità politica a non dimenticare il loro dovere di proteggere la famiglia e la sua libertà di vivere ed educare i figli sotto le proprie convinzioni morali e religiose. (A cura di Alina Tufani)

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    Cina: all’Epifania la Chiesa annuncia l’importanza e la bellezza di essere cristiani

    ◊   L’importanza della tutela della propria identità di cristiani, da cui derivano la dimensione missionaria e l’evangelizzazione, sono stati i contenuti delle omelie delle Messe celebrate dai sacerdoti cinesi per la festa dell’Epifania, ricorsa ieri, in comunione con la Chiesa universale. Ricordare il significato della nascita di Gesù e dell’Adorazione dei Magi, infatti, “aiutano a portare il messaggio di Cristo a tutti quelli che ci circondano”. Secondo quanto venuto a conoscenza dall’agenzia Fides, in molte parrocchie e comunità la festa è stata degnamente celebrata: nella diocesi di Nan Chong, parrocchia del Sacro Cuore di Gesù, ad esempio, i fedeli hanno offerto al Signore il loro desiderio di una vita di fede e hanno effettuato una processione davanti al presepe. Altri sacerdoti, infine, hanno invitato le comunità a essere coraggiose “sentinelle di Cristo” per trasmettere la Buona Novella attraverso il catechismo e le attività di formazione cristiana. (R.B.)

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    Cardinale Scola: con l'Epifania tutti i popoli aspirano all'universalità

    ◊   “Benedetto XVI, dichiarando venerabile Giovanni Battista Montini, ha sancito che egli ha vissuto pienamente il Vangelo sine glossa e ci può essere maestro lungo l’affascinante cammino della sequela di Cristo”. È una frase del testo che ieri l’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, ha letto per celebrare la venerabilità di Paolo VI, all’inizio della messa in duomo, nella solennità dell’Epifania. Nell’omelia della celebrazione eucaristica per l’Epifania, il porporato ha sottolineato che “all’universalità, in forza della comune appartenenza alla natura umana, anelano tutti gli uomini e tutti i popoli. Essa si realizza attraverso l’unità dei popoli e delle nazioni nella famiglia umana”. Eppure, “pur tendendo al bene prezioso dell’universalità talora con tutte le nostre forze, noi non sappiamo costruirla”. “Troppo spesso, anzi - ha sottolineato -, sembriamo cospirare per distruggerla. Penso al riaffiorare allarmante dei conflitti sociali, alla recrudescenza del terrorismo, alle stragi di cristiani e alle persecuzioni contro uomini delle religioni e uomini di buona volontà, alle lotte intestine tra i popoli. Invece di affermare la forza del diritto, si vanta il diritto alla forza. E lo facciamo spesso a cominciare dai quotidiani rapporti interpersonali”. Ieri tra l'altro il card. Scola ha voluto pranzare nel suo appartamento in arcivescovado con 12 giovani provenienti da diverse nazioni e continenti: Perù, Filippine, Cina, Togo, Romania e Ucraina. “Vi ho voluti qui - ha detto loro - per due motivi: anzitutto per dire, con il gesto del pranzare con voi che venite da tutto il mondo, l‘universalità della fede in Gesù Cristo che nell’Epifania si manifesta”. È la prima volta che in occasione dell’Epifania e della Festa dei popoli il porporato ha compiuto questo gesto. “Inoltre - ha aggiunto il cardinale - avevo il desiderio di conoscere da vicino il volto della nuova Milano, costituito da tantissimi ragazzi come voi, venuti qui da lontano, da tanti popoli”. I giovani, in età compresa tra i 16 ai 25 anni, sia studenti sia lavoratori, nati a Milano o nei loro Paesi d‘origine, hanno raccontato all’arcivescovo di sé, delle proprie famiglie, della propria origine. È proseguito poi un dialogo spontaneo sulle opportunità e le fatiche del vivere a Milano come “nuovi italiani”. “Dire che siete voi il futuro della nostra Milano sarebbe una constatazione scontata e non del tutto veritiera. Voi sarete il futuro della nostra città se già da ora vi impegnate per animarne il presente”, ha affermato il porporato. (R.P.)

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    Israele. Dall'Afghanistan recuperati manoscritti: anche un commentario su Isaia

    ◊   Frammenti di manoscritti ebraici risalenti a un migliaio di anni fa e provenienti dall’Afghanistan sono stati acquisiti dalla Biblioteca nazionale israeliana. La notizia viene riferita sul sito internet della stessa Biblioteca secondo cui si tratta di documenti di significativo valore storico che costituiscono una ulteriore prova della presenza di comunità ebraiche nel nord dell’attuale Afghanistan. I frammenti acquisiti dalla Biblioteca - riferisce l'agenzia Misna - sono 29 e si ritiene facciano parte di un più cospicuo gruppo di alcune centinaia provenienti da una “ghenizah”, quella parte della sinagoga destinata a deposito di documenti. Il frammento più importante tra quelli arrivati in Israele è la pagina di un commentario della Bibbia (Isaia 34) attribuibile al rabbino egiziano Saadia Gaon che visse nel X secolo tra l’Egitto, dove era nato, e Baghdad dove morì. I frammenti sono invece risalenti a un secolo più tardi e testimoniano della presenza in Afghanistan di ebrei provenienti da diverse zone a influenza persiana e araba. “L’area di ritrovamento, oggi considerata remota, era un importante centro economico, culturale e politico durante il Medioevo” ha detto al quotidiano Haaretz Haggai Ben-Shammai, direttore accademico della Biblioteca. Secondo le ricerche fatte la presenza delle comunità ebraiche era legata alla Via della Seta, a quel tempo la principale via dei commerci tra la Cina e l’Europa: “Lungo quella strada – dice Ben-Shammai – furono create stazioni di servizio di ebrei per i commercianti ebrei che nel tempo si trasformarono in vere e proprie comunità”. A testimoniare dell’esistenza di queste comunità erano state finora fonti storiche locali, i manoscritti costituiscono invece la prima evidente prova di una presenza ora scomparsa ma durata a lungo. Ritrovati all’interno di una caverna, i manoscritti sono di varia natura: alcuni sono di carattere religioso, altri sono contratti e lettere; sono scritti in ebraico, aramaico, arabo e persiano; diversi sono gli alfabeti utilizzati, alcuni usano inoltre un sistema di vocalizzazione particolare, detto “babilonese”, molto comune tra gli ebrei di Baghdad. (R.P.)

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    Messaggio per il nuovo anno dell’ex arcivescovo di Canterbury, Williams

    ◊   La solidarietà e il silenzio in cui questa, spesso, opera, sono i temi al centro del Messaggio che l’ormai ex arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, ha rivolto alla sua comunità per il nuovo anno. Williams, infatti, ha lasciato l’incarico nel dicembre scorso e sarà sostituito dal vescovo di Durham, Justin Welby, la cui cerimonia di intronizzazione si svolgerà il 21 marzo prossimo. Williams, nel suo messaggio, ha parlato di “popolo silenzioso” che contribuisce a rendere il mondo un posto migliore e per meglio chiarire il concetto ha citato, come esempio, l’organizzazione dei Giochi olimpici e delle Paralimpiadi di Londra, ricordo ancora vivo nel cuore degli inglesi: “Uno spettacolo indimenticabile – sono state le sue parole citate dall’Osservatore Romano, che ha sottolineato in particolare il contributo delle comunità religiose in favore delle persone svantaggiate – in questo caso la religione diventa fonte di energia e di vita che fornisce la visione di come le persone dovrebbero essere considerate e trattate”. Williams, come detto, in primavera lascerà il posto di Primate alla guida dei circa 80 milioni di fedeli sparsi nelle 38 province in cui è suddivisa l’Anglican Communion, al vescovo di Durham, Welby, che ha commentato così la propria nomina: “Qualcosa di travolgente per la sua responsabilità e allo stesso tempo sorprendente, in quanto inaspettato”. (R.B.)

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    Rapporto World Giving Index: in calo nel 2012 le offerte per la carità

    ◊   Donazioni in denaro, tempo speso in volontariato, offerte di aiuto a chi non si conosce. Sono i tre parametri presi in considerazione dalla Caf (Charities Aid Foundation) per pubblicare il report 2007-2012 sul “donare” nel mondo. In un momento di crisi economica come quello attuale, la ricerca evidenzia un calo delle offerte di carità a livello globale. Secondo il documento della Caf, la partecipazione media alle offerte di carità negli ultimi cinque anni è scesa in media di circa due punti percentuali. L’Australia è il paese più generoso: in un mese tipo, più di due terzi della popolazione offre parte del proprio reddito a opere di carità o aiuta estranei, mentre un australiano su tre è impegnato in attività di volontariato. I primi Paesi della “classifica della generosità” hanno profili politici, sociali e geografici molto diversi: tra i primi 20 c’è almeno uno Stato per ogni continente. Ci sono il Qatar (secondo Paese al mondo per Pil pro capite) e gli Stati Uniti (300 milioni di abitanti), ma anche la Liberia (penultimo per Pil pro capite) e Trinidad e Tobago (1 milione di cittadini). I giovani tra i 16 e i 24 anni partecipano ad attività di volontariato e di aiuto agli estranei in maniera simile agli ultracinquantenni, che però com’è prevedibile che sia, destinano maggiori quantità di denaro alle opere di carità. L’Italia si attesta al 57° posto, con un indice di partecipazione del 33%, dato che rispetta la media europea. (L.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 7

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