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Sommario del 09/02/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all’Ordine di Malta: la vostra opera non è filantropia, ma fede in azione
  • Benedetto XVI: nessuno può dirsi cristiano senza accettare il martirio. Cristiani perseguitati perché "non conformi"
  • Altre udienze e nomine
  • Giornata mondiale del malato: celebrazioni ad Altötting in Germania
  • Plenaria della Cultura: accogliere i giovani senza pregiudizi né moralismi
  • La fiducia del Papa nei giovani, “multiverso” culturale: editoriale di padre Lombardi
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Tunisia: manifestazione degli islamici in difesa della Costituente
  • Siria: il regime apre a negoziati, 5 mila rifugiati ogni giorno
  • Intesa sul bilancio Ue. Zamagni: in atto conflitto d'interessi, mancano i valori
  • Usa. Giudice legittima tre genitori per una bimba. Forum Famiglie: "Calpestato diritto dei più deboli"
  • Giornata degli stati vegetativi. Scienza e vita: "Diamo voce a chi non ha voce"
  • Il dramma delle foibe: tante iniziative in Italia per il "Giorno del Ricordo"
  • A Bologna, un convegno ricorda la figura di Dossetti a 100 anni dalla nascita
  • Pubblicato il libro "Il Kerygma". Kiko racconta la sua conversione
  • Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Usa: la tempesta di neve "Nemo" provoca morti e danni ingenti
  • Colombia: pace e Anno della Fede tra i temi dell’assemblea dei vescovi
  • Iraq: attacco contro campo di dissidenti iraniani, almeno 5 morti
  • Mali: fermati due sospetti kamikaze a Gao
  • Pakistan: giovani protagonisti a convegno islamo-cristiano
  • Cile: ad aprile un seminario sulla comunicazione nella Chiesa
  • Anno della Fede in Turchia nel ricordo di mons. Padovese e don Santoro
  • Cinema: al festival di Berlino i film di Szumowska, Seidl e Van Sant
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all’Ordine di Malta: la vostra opera non è filantropia, ma fede in azione

    ◊   Non rinunciate mai agli ideali originari, specie alla vita spirituale: è quanto sottolineato da Benedetto XVI nel discorso ai membri del Sovrano Militare Ordine di Malta, incontrati, stamani, nella Basilica Vaticana in occasione del nono centenario del riconoscimento ufficiale dell’Istituzione da parte di Papa Pasquale II. Il Pontefice, salutando il Gran Maestro Fra’ Matthew Festing, ha ringraziato l’Ordine per una donazione che ha destinato ad un’opera di carità. Prima dell’incontro con il Papa, il cardinale Tarcisio Bertone aveva celebrato una Messa per la ricorrenza nella quale ha ribadito che “amare la Chiesa e difenderla dai nemici” è “un dovere di ogni cristiano”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Da nove secoli al servizio della Chiesa e dei più bisognosi. Benedetto XVI ha voluto sottolineare con forza l’originalità dell’Ordine di Malta. La vostra “preziosa opera”, ha detto, “non è semplice filantropia, ma espressione efficace e testimonianza viva dell’amore evangelico”:

    “In questo senso, il vostro Ordine, rispetto ad altre realtà impegnate in ambito internazionale nell’assistenza ai malati, nella solidarietà e nella promozione umana, si distingue per l’ispirazione cristiana che costantemente deve orientare l’impegno sociale dei suoi membri”.

    Il Papa ha così esortato i membri dell’Ordine a “conservare e coltivare” questo “carattere qualificante”, operando “con rinnovato ardore apostolico” sempre in “profonda sintonia con il Magistero della Chiesa”. Per questo, ha soggiunto, nel servizio degli ammalati e dei poveri non si deve “mai rinunciare agli ideali originari, specialmente quello dell’intensa vita spirituale dei singoli membri”. In questa direzione, ha avvertito, “deve proseguire il vostro impegno con un’attenzione del tutto particolare alla consacrazione religiosa” dei professi “che costituisce il cuore dell’Ordine”:

    “Per dare amore ai fratelli è necessario attingerlo alla fornace della carità divina, mediante la preghiera, il costante ascolto della Parola di Dio e un’esistenza incentrata sull’Eucaristia. La vostra vita di ogni giorno dev’essere penetrata dalla presenza di Gesù, sotto il cui sguardo siete chiamati a porre anche le sofferenze degli ammalati, la solitudine degli anziani, le difficoltà dei disabili”.

    Del resto, il Papa ha rammentato che gli ideali fondamentali dell’Ordine sono ben racchiusi nel suo motto: Tuitio fidei et Obsequium pauperum, “difendere la fede e servire i poveri”:

    “Queste parole ben sintetizzano il carisma del vostro Ordine che, come soggetto di diritto internazionale, non ambisce ad esercitare poteri ed influenze di carattere mondano, ma desidera svolgere in piena libertà la propria missione per il bene integrale dell’uomo, spirito e corpo, guardando sia ai singoli che alla comunità, soprattutto a coloro che più hanno bisogno di speranza e di amore”.

    Il Papa ha, quindi, incoraggiato i membri dell’Ordine di Malta a continuare ad “operare nella società e nel mondo, lungo le strade maestre indicate dal Vangelo: la fede e la carità per ravvivare la speranza”. Prima dell’incontro con Benedetto XVI, era stata celebrata in San Pietro una Messa per la ricorrenza, presieduta dal cardinale Tarcisio Bertone. Il porporato ha ripercorso la storia dell’Ordine di Malta ed ha affermato che esso “mancherebbe alla propria vocazione se la diffusione della fede cattolica non fosse più il suo primo dovere”. E ha aggiunto: “La fede è l’anima della sua carità”. Concludendo la sua omelia, il cardinale Bertone ha quindi affermato che “amare la Chiesa e difenderla dai nemici, occulti o palesi che siano, è un dovere di ogni cristiano”, ancor più se impegnato in un ordine religioso.

    E l’Ordine di Malta è in prima linea, in questo periodo, negli aiuti umanitari alla popolazione della Siria, sconvolta dalla guerra civile. Al riguardo ecco la testimonianza del Grande Ospedaliere, Albrecht Boeselager, al microfono di Emer McCarthy:

    R. – We are concerned about the development in Syria. …
    Siamo preoccupati per l’evoluzione della situazione in Siria. Le condizioni umanitarie stanno peggiorando di giorno in giorno, il numero delle vittime è in aumento. Noi cerchiamo di fare il possibile per aiutare i profughi che sono in Turchia, in Libano e gli sfollati in Siria. La maggior parte dei rifugiati che sono in Turchia sono radunati in campi profughi e noi distribuiamo kit di sopravvivenza in questi campi, dove la nostra attenzione è incentrata sui bambini e sulle mamme. Per quanto riguarda gli sfollati in Siria, cerchiamo di distribuire beni di soccorso a Damasco e nelle aree circostanti, mentre in Libano l’Ordine è ben diffuso attraverso la nostra realtà libanese: in Libano, infatti, gestiamo nove ambulatori; in particolare quelli nel Nord del Paese assistono i profughi. L’Ordine è impegnato anche ad aiutare, con sostegno finanziario, l’associazione libanese a far fronte alle enormi richieste in continuo aumento.

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    Benedetto XVI: nessuno può dirsi cristiano senza accettare il martirio. Cristiani perseguitati perché "non conformi"

    ◊   “Nessuno può essere cristiano senza seguire il Crocifisso, senza accettare il martirio”. Così il Papa ricordando le tante persecuzioni subite dai fedeli in Cristo durante la lectio divina tenuta di fronte alla comunità del Pontificio Seminario Maggiore, in occasione della festa della Madonna della Fiducia, patrona dell’istituto. Al termine della preghiera la cena con i 190 seminaristi della diocesi di Roma. Paolo Ondarza:

    Custoditi mediante la fede dalla potenza di Dio. Tre versetti tratti dal primo capitolo della lettera di Pietro ispirano un’articolata riflessione offerta dal Papa con parole a braccio ai seminaristi della diocesi di Roma durante la tradizionale visita per la festa della Madonna della Fiducia in quest’Anno della Fede. Benedetto XVI esprime gioia nel vedere tanti giovani in cammino verso il sacerdozio alla ricerca di come servire il Signore nei nostri tempi, poi, riflettendo sulle parole di Pietro, “prima Enciclica”, “piena della passione di chi ha trovato il Messia, ha poi peccato, ma è rimasto fedele a Cristo”, ne constata il linguaggio colto, che non sembrerebbe quello di un pescatore. In effetti – spiega il Santo Padre - Pietro ha scritto da Roma con l’aiuto di altri fratelli nella fede, con l’aiuto della Chiesa:

    “Pietro non parla come individuo, parla ex persona eccelsiae, parla come uomo della Chiesa, certamente come persona, con la sua responsabilità personale, ma non parla come genio individualistico. Parla nella comunione della Chiesa”.

    San Pietro sapeva che a Roma avrebbe trovato il martirio, ma non indietreggia: va verso la croce indicata da Cristo e invita anche l’uomo contemporaneo ad accogliere l’aspetto martirologico della fede:

    “Nessuno può essere cristiano senza seguire il Crocifisso, senza accettare anche il momento martirologico”.

    Di fronte ad oltre 190 giovani che hanno avvertito una chiamata particolare, Benedetto XVI si sofferma sull’aspetto dell’elezione: la scelta, unica e particolare, che il Signore fa su ogni uomo. “Essere voluti da Dio per conoscere il volto di Cristo, per essere cattolici, è un dono”:

    “Dobbiamo essere gioiosi perché Dio ci ha dato questa grazia. Questa bellezza di conoscere la pienezza della Verità di Dio, la gioia del suo amore”.

    “Eletti”, una parola di “privilegio e umiltà” nello stesso tempo, ma non di “trionfalismo”. Oggi – nota il Papa – i cristiani sono il gruppo più perseguitato al mondo perché “non conforme”, perché “contro le tendenze di egoismo e materialismo”. Pur avendo contribuito alla formazione della cultura occidentale i cristiani vivono da sempre in una condizione di minoranza ed estraneità:

    “Preghiamo il Signore perché ci aiuti ad accettare questa missione di vivere come dispersi, come minoranza in un certo senso, e di vivere come stranieri e tuttavia di essere responsabili per gli altri, dando forza al bene nel nostro mondo”.

    Infine Benedetto XVI rileva un “falso pessimismo” di chi oggi dice che il cristianesimo è finito. Di qui l’invito ad un sano realismo:

    “Ci sono anche cadute gravi, pericolose, e dobbiamo riconoscere con sano realismo che così non va, dove si fanno cose sbagliate. Ma anche essere sicuri, allo stesso tempo, se qua e là la Chiesa muore a causa dei peccati degli uomini, a causa della loro non credenza, nello stesso tempo nasce di nuovo. Il futuro è realmente di Dio: questa è la grande certezza della nostra vita, il grande, vero ottimismo che sappiamo. La Chiesa è l’albero di Dio che vive in eterno e porta in sé l’eternità e la vera eredità: la vita eterna”.

    Il Papa è stato accolto dal cardinale vicario Agostino Vallini, dal rettore del Seminario Romano Maggiore don Concetto Occhipinti e salutato calorosamente da 190 seminaristi presenti e dai 16 giovani in discernimento che frequentano l’anno propedeutico.

    (acclamazioni)

    Al termine della celebrazione, la preghiera del Papa alla Madonna della Fiducia, la cena in Seminario, quindi il rientro in Vaticano in elicottero.

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in Udienza un gruppo di Presuli della Conferenza Episcopale del Lazio, in Visita "ad Limina Apostolorum. Il Santo Padre riceve questo pomeriggio in Udienza il Card. Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi.

    In Guatemala, Benedetto XVI ha nominato Vicario Apostolico di Izabal il Rev.do Domingo Buezo Leiva, del clero di Zacapa, Vicario Episcopale per la Pastorale e Parroco di San Juan Bautista a Camotán, assegnandogli la sede titolare vescovile di Dardano. Il Papa ha annoverato al Collegio dei Protonotari Apostolici di Numero Partecipanti il Rev.mo Mons. Leonardo Sapienza, Reggente della Prefettura della Casa Pontificia.

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    Giornata mondiale del malato: celebrazioni ad Altötting in Germania

    ◊   La prima tappa del viaggio della delegazione pontificia in occasione della XXI Giornata mondiale del malato ad Altötting, in Germania, è stata suggellata ieri sera dall’intervento del cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, a chiusura del convegno scientifico organizzato dalla Università di Eichstätt-Ingolstadt, unica università cattolica attiva nei Paesi di lingua tedesca. Il convegno, svoltosi sul tema “Fare del bene a chi soffre”, ha riunito esponenti di diverse discipline, psicologi, medici di base, teologi, economisti e manager, tutti del settore ospedaliero, per guardare da diverse angolazioni la problematica della cura della persona sofferente anche e soprattutto partendo dalla cura spirituale del malato e affrontando il problema della sensibilizzazione degli operatori sanitari, spesso lasciati soli nella loro opera di “buoni samaritani” a causa delle crescenti ristrettezze economiche del settore sanitario.

    La presenza al convegno dell’inviato speciale del Papa, l’arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale della salute, e di altri esponenti del dicastero, è stata accolta con grande entusiasmo ed attenzione anche da parte degli esponenti politici locali. Rappresentanti del Governo federale e della Regione Baviera hanno dato il loro benvenuto alla delegazione e hanno espresso il loro apprezzamento per le numerose ed importanti iniziative portate avanti dal Pontificio Consiglio, anche per l’attenzione posta all’organizzazione della Giornata mondiale del malato, momento importante per i sofferenti, troppo spesso emarginati per ragioni utilitaristiche ed egoistiche.

    Dopo la tappa scientifica della Giornata, adesso sarà la volta di quella pastorale. La delegazione pontificia si è spostata da Eichstätt a Monaco, dove le prossime due giornate saranno dedicate a visite in ospedali e incontri con persone malate e sofferenti. Non a caso questi incontri sono concentrati nella parte centrale del pellegrinaggio, che durerà fino a martedì prossimo: l’evento culminerà nella parte liturgica con una grande Messa il giorno in cui si celebra la memoria della Beata Maria Vergine di Lourdes il prossimo 11 febbraio nel Santuario di Altötting con la sua Madonna delle Grazie, conosciuta ben oltre i confini bavaresi e di particolare importanza anche per Benedetto XVI, cresciuto proprio in questa terra della Madonna Nera. (Da Monaco, Christine Seuss)

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    Plenaria della Cultura: accogliere i giovani senza pregiudizi né moralismi

    ◊   Con la presentazione di un documento ricco di spunti e indicazioni, si è conclusa l’Assemblea Plenaria annuale del Pontificio Consiglio della Cultura, iniziata lo scorso mercoledì a Roma ed incentrata sul tema delle “Culture giovanili emergenti”. Nel testo si evidenzia l’importanza dell’ascolto dei giovani di oggi ed una “vicinanza rispetto al multi-verso giovanile”. I ragazzi – si legge nel documento – sono la cassa di risonanza della crisi della società in genere e pertanto la “comprensione include la dimensione culturale, insieme alla visione economica e strutturale”. L’esempio degli “indignados” è emblematico perché da un lato esprime il disincanto e la stanchezza delle giovani generazioni di fronte al sistema, e “mette in questione le vecchie prassi politiche e il modo abituale di trasmettere la fede”.

    “I giovani – evidenzia il documento - vivono un ‘presentismo’ senza futuro, facendo dell’esperienza personale una cosa pubblica, dando vita a comunità fondate sui sentimenti, creando rapporti globali che confluiscono in una ciber-identitá”. Così la tecnologia diventa una connotazione centrale dell’identità giovanile; un’identità che spesso nei modelli e nel gruppo trova àncore di sicurezza. Sono proprio le tecnologie che, intervenendo nell’esperienza delle persone, permettono un ampliamento delle potenzialità umane: “cerco, trovo, ne fruisco quando mi serve” ma con selezione, possibilità di commento e di interazione. I giovani – si legge - sono più pronti all’interazione che all’interiorizzazione. Da qui la necessità di trovare spazi nei quali accogliere le domande radicali, stare in silenzio e meditare. Ma lo sforzo da fare è capire “la grammatica dei ragazzi”.

    “I giovani tante volte non capiscono il linguaggio della Chiesa e la Chiesa non capisce il linguaggio dei giovani”. Così per non far fallire la comunicazione bisogna comprendere profondamente la cultura dei ragazzi. Gli adulti sono chiamati ad assumersi le responsabilità in un’ottica matura e non prigioniera del mito dell’eterna giovinezza. Capire soprattutto che i giovani vogliono sottrarsi alla sofferenza e cercano il loro senso a volte con mezzi paradossali - tentativi di suicidio e ricerca del coma, come se la morte fosse una guarigione dalle ferite, una sospensione di sé, un rifugio dove ricostruirsi – le comunità cristiane in questo senso devono aiutare a riconoscere le domande fondamentali. “L’indugiare della Chiesa in vuoti ritualismi, in compromessi senza audacia, non aiuta a far convergere verso la fondamentale questione del senso della vita”. “Le nuove tecnologie sono un modo sempre più ordinario per esprimere il desiderio di una spiritualità capace di coniugare sapienza e flusso della vita – aggiunge il documento - ai rapporti umani fondati unicamente sulla scelta degli amici, la Chiesa invita a scoprire la presenza degli altri come fratelli e sorelle donati”.

    Le comunità cristiane sono invitate poi a presentare la bellezza e la gioia della vita cristiana, i precetti evangelici sono un’indicazione di senso per raggiungere la pienezza della vita. Preparare i giovani cristiani è dunque una responsabilità per il futuro, per costruire una fraternità universale. Importante è così lavorare sul dialogo interculturale, già avviato, e fornire alcune proposte per le comunità cristiane come, ad esempio, “accogliere a braccia aperte i giovani così come sono, senza pregiudizi e giudizi moralistici”; “essere luogo di ascolto”; “offrire integrazione in comunità” e supportare le competenze dei giovani, “il loro contributo profetico” per il bene del mondo, coscienti di un bene comune senza esclusione e forme di emarginazione. (A cura di Benedetta Capelli)

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    La fiducia del Papa nei giovani, “multiverso” culturale: editoriale di padre Lombardi

    ◊   Nelle visite ad Limina dei vescovi italiani, il Papa sta indicando con insistenza una priorità: i giovani. La Chiesa ha fiducia nei giovani – ha ribadito incontrando il Pontificio Consiglio della Cultura, che ha svolto la sua plenaria sul tema delle “Culture giovanili emergenti”. Nello stesso tempo, Benedetto XVI ha lanciato l’invito a non banalizzare il mondo dei giovani nei consueti luoghi comuni. Ascoltiamo in proposito il nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per Octava Dies, il Settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

    Come capire i giovani e il loro modo di sentire, di pensare, di esprimersi? E’ difficile, perché l’orizzonte di oggi è sempre più frammentato e in velocissima evoluzione, con continui cambiamenti di mentalità, di costume, di comportamento. Tanto che il Papa, piuttosto che di un “uni-verso” culturale omogeneo, arriva a parlare di un “multi-verso”, caratterizzato dalla pluralità delle visioni e delle prospettive.

    Ma se è difficile, proprio per questo è urgente riflettere sulle culture giovanili, come cerca di fare il Pontificio Consiglio della Cultura. Lo sforzo è quello di “intercettare” le domande, le esigenze profonde a cui dobbiamo dare delle risposte comprensibili e pertinenti, con linguaggio e approccio capaci di raggiungere cuore e mente dei giovani così come sono. Le domande ci sono, anche nel flusso continuo del mondo digitale e della musica pop o rock, ma spesso non incontrano le nostre risposte.

    Per questo non basta riflettere: con i giovani bisogna starci, essere solidali e partecipi, amarli, avere fiducia in loro, come ha detto bene il Papa. Senza fiducia reciproca non si farà mai un discorso comune con loro, non si condividerà e non si trasmetterà loro quella fede che domani, o sarà loro, o non sarà. Nella Chiesa sono sempre sorti educatori meravigliosi, veri amici dei giovani, e moltissimi giovani desiderano spendere con grandi ideali le loro straordinarie energie. Non possiamo deluderli. Camminiamo e cerchiamo con loro il senso delle nostre vite.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   E’ Pietro che parla: in prima pagina, un editoriale del direttore sulla lectio divina di Benedetto XVI durante la visita al Pontificio Seminario Maggiore in occasione della festa della Madonna della Fiducia.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, l’instabilità tunisina: dopo l’ondata di sdegno suscitata dall’assassinio di Belaid il Paese rischia la crisi politico-istituzionale.

    Gli indomabili cavalli di Galileo: in cultura, Piero Benvenuti sul metodo scientifico moderno e il rapporto tra fede e ragione.

    Dalla sofferenza può ripartire la nuova evangelizzazione: nell’informazione religiosa, l’inviato Mario Ponzi sull'apertura delle celebrazioni, in Baviera, della Giornata mondiale del malato.

    La carità cristiana non è semplice filantropia: nell’informazione vaticana, Benedetto XVI al Sovrano Militare Ordine di Malta nel nono centenario del riconoscimento ufficiale.

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    Oggi in Primo Piano



    Tunisia: manifestazione degli islamici in difesa della Costituente

    ◊   Sempre alta la tensione in Tunisia. "Ennahda", il partito filo islamico al potere, ha indetto una manifestazione in difesa dell’Assemblea Costituente nel centro di Tunisi, all’indomani dei funerali del leader dell’opposizione, Belaid. In queste ore, mentre è in corso la manifestazione, sono state attaccate diverse sedi del partito che si oppone all’idea del premier Jebali di formare a breve un "governo tecnico". Eugenio Bonanata ne ha parlato con Ilaria Guidantoni, esperta di Tunisia:

    R. - Purtroppo è sconcertante quanto è avvenuto, ma non inatteso e inaspettato. Evidentemente c’è una situazione ingestibile legata soprattutto all’assenza di lavoro e di programmazione economica. Su questo il governo non ha tenuto. Complice la corruzione e una macchina burocratica che non funziona, si è spaccato il partito di maggioranza vanificando anche quello che definirei un po’ ironicamente il “compromesso storico in salsa araba”, cioè l’unione al governo con i laici.

    D. - È in gioco il ruolo dell’islam nella società tunisina?

    R. - Ritengo che non si possa parlare di islam radicale o islam moderato perché mi sembrano semplificazioni inutili. Si può parlare di persone moderate o persone estremiste. Ritengo che l’islam politico, così come è stato concepito, probabilmente è fallimentare... In una società multiculturale - quale la Tunisia è sempre stata - è importante massimizzare il dialogo con la diversità, e i cristiani e gli ebrei di Tunisia possono avere un ruolo importante.

    D. - Da dove può ripartire la Tunisia?

    R. - A mio avviso sono due i punti di partenza fondamentali. Il primo è l’associazionismo trasversale della società civile. Speriamo che la paura e l’autocensura non abbiano mai la meglio. In particolare è molto importante il ruolo delle donne che stanno dando prova di questo. L’altro punto fondamentale trasversale è il ruolo del sindacato per il lavoro. L’Ugtt (Unione generale dei lavoratori tunisini) è molto forte; è uno dei sindacati arabi più importanti con oltre mezzo milione di iscritti, una cifra notevole se pensiamo che la popolazione tunisina non arriva ad 11 milioni di persone. Un loro motto dice questo: “La rivoluzione ci ha unito, i partiti ci hanno diviso. I partiti fanno ognuno i propri interessi, ma l’Ugtt può pensare a tutto”. Quindi, ascoltare la piazza e non la rabbia. In ultimo, vorrei dire che è molto importante il ruolo dei cristiani europei, proprio in questo senso di mediazione e di accoglienza tra istanze diverse, perché probabilmente noi abbiamo una tradizione e un’esperienza ormai metabolizzata...

    D. - I giovani in questo quadro sono disorientati?

    R. - Spaesati, acerbi politicamente, perché è una generazione che si è formata sotto una dittatura che ha distrutto la possibilità del dialogo politico. Ci sono pochi giovani intellettuali in prima linea - dai rapper ai blogger in particolare, che sono poi quelli che conosciamo all’esterno - e ci sono invece molti giovani che, purtroppo, stanno cominciando a rimpiangere il vecchio regime perché sentono di perdere i propri privilegi e di non aver altro. Forse non hanno ancora la consapevolezza di quanto sia importante la libertà di espressione, ma è anche comprensibile la loro fretta di trovare un lavoro e un ruolo sociale. D’altra parte, in Rete vedo circolare molta rabbia e forse troppa emotività: dall’inno di una laicità radicale - che può portare solo allo scontro - ai giovani di "Ennahda", della cosiddetta fascia più moderata, che hanno scritto espressioni del tipo: “Le mani che hanno paura non faranno la storia”. Ma, in qualche modo, questo è un invito alla battaglia. Sono istanze pericolose se iniziano ad affermarsi.

    D. - Come ne esce l’obbiettivo di formare un governo di tecnici?

    R. - Bisognerà vedere se effettivamente si concretizza. Credo che il governo dei tecnici - ne sappiamo qualcosa da vicino - è sempre in funzione di emergenza e di transizione. Penso che se al sindacato si darà un ruolo strutturale importante, possa valere la pena di percorrere questa via, che al momento mi sembra l’unica accettabile.

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    Siria: il regime apre a negoziati, 5 mila rifugiati ogni giorno

    ◊   C’è poi l’allarme dell'Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati: nell’ultimo mese si contano oltre 160 mila nuovi fuggitivi siriani, al ritmo di circa 5 mila al giorno. Fausta Speranza ne ha parlato con Marco Bertotto, direttore del network "Agire" che riunisce numerose organizzazioni non governative umanitarie:

    R. – E’ un dato eclatante che rispecchia una situazione in Siria che va peggiorando. Parliamo di quattro milioni di persone all’interno del Paese che necessitano di aiuto, di cui due milioni sono fuggite da casa, sono sfollati, e di 760 mila siriani che sono rifugiati nei Paesi confinanti con flussi di fuga che hanno raggiunto la cifra di 5 mila persone al giorno.

    D. – In questo momento quali strutture, quali organismi sono davvero in prima linea per accogliere questi rifugiati nei vari Paesi intorno alla Siria?

    R. - Ci sono diverse agenzie delle Nazioni Unite, ci sono numerose organizzazioni non governative, la Mezzaluna rossa siriana, il movimento della Croce rossa internazionale e poi svariate organizzazioni non governative italiane, alcune delle quali sono operative all’interno del Paese.

    D. –Quali sono i bisogni davvero urgenti e reali di queste persone che si ritrovano fuori dalla Siria fuggite dalla guerra?

    R. – In questo momento c’è bisogno pressoché di tutto. In Siria il Pil è crollato del 30% dal marzo 2011, mese in cui questa situazione di violenza si è venuta a creare. Inoltre, è salito il prezzo del cibo, è salito il prezzo del carburante, è crollata la produzione agricola, per cui 4 milioni di siriani, circa un quarto della popolazione complessiva, hanno necessità di aiuti specie di beni essenziali come cibo, acqua. Anche la situazione sanitaria è una situazione estremamente precaria, è molto difficile far arrivare medicinali. C’è un problema centrale che oggi le organizzazioni umanitarie hanno, che è quello dell’accesso alle popolazioni in stato di necessità. Le misure di sicurezza non rendono possibile raggiungere tutte le comunità colpite dalla violenza e dalle conseguenze del conflitto e quindi l’accesso costituisce uno dei principali ostacoli ai soccorsi di aiuto umanitario.

    D. – Nella sua esperienza incontrando queste persone, la speranza principale è di tornare presto nel Paese?

    R. – Evidentemente queste persone sono fuggite da una situazione estremamente pericolosa nella speranza di poter presto tornare a casa. Oggi purtroppo la situazione del conflitto è tale che queste speranze rischiano di essere disilluse ancora a lungo, a meno che non ci sia da parte della comunità internazionale quello che è mancato fino ad oggi, cioè una precisa strategia finalizzata a mantenere una situazione di stabilità che possa consentire il rientro. Però oggi siamo ben distanti da questo momento.

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    Intesa sul bilancio Ue. Zamagni: in atto conflitto d'interessi, mancano i valori

    ◊   Per la prima volta nella sua storia, l'Unione Europea diminuisce il bilancio, approvato ieri a Bruxelles dai capi di Stato e di governo dell'Ue dopo una lunga e difficile trattativa. Per infrastrutture, innovazione e ricerca vengono stanziati 13 miliardi di euro in meno rispetto al passato. Risparmi anche per l'amministrazione pubblica dell'Ue e Affari Esteri. Crescono invece i fondi per la coesione "economica, sociale e territoriale", a vantaggio delle aree più povere dell'Europa ed i fondi per la politica agricola. Sei miliardi di euro vanno a Spagna, Italia, Portogallo e Grecia per iniziative contro la disoccupazione giovanile. Un compromesso al ribasso, dettato da esigenze di politica nazionale più che da ambizioni di integrazione continentale? Luca Collodi lo ha chiesto all'economista Stefano Zamagni:

    R. – Si ha un’ulteriore conferma del fatto che quando un’unione di Paesi come quella europea è fondata solo sugli interessi, e non anche su valori trascendenti, i risultati sono quelli che vediamo. Infatti, il conflitto oggi in atto è un conflitto di interessi: ci sono Paesi che danno più di quanto ricevano e altri ricevono più di quanto diano. Ed è chiaro che il primo gruppo di Paesi – quelli che danno più di quanto ricevano – hanno incominciato a dire: “Noi siamo stufi di finanziare il benessere degli altri Paesi”. In particolare, la miccia è stata innescata dalla Gran Bretagna che per le note ragioni ha interessi a ridurre il più possibile il bilancio europeo non solo per contribuire meno lei, ma soprattutto perché l’Inghilterra non è stata tra i Paesi fondatori, non ha nessuna propensione o disposizione d’animo verso l’Unione Europea, come tutti sanno.

    D. – Ma la Gran Bretagna non è sola, perché sia la Germania sia l’Olanda sia la Svezia, ma anche la Danimarca appoggiano questa linea di Londra …

    R. – Ma è evidente! Infatti, chiaramente, siccome Londra ha chiesto di ridurre il bilancio europeo di questi Paesi, che sono fra coloro che danno più di quanto ricevano, hanno chiaramente interesse a vedere approvata questa linea perché a loro volta daranno un contributo minore. L’Italia è tra i Paesi che danno più di quanto ricevano; il risultato è che negli ultimi anni l’Italia non ha utilizzato decine di miliardi di soldi che ci spettavano proprio per l’incapacità di trasformare queste risorse in progetti credibili.

    D. – I tagli alle infrastrutture, alle innovazioni e alla ricerca sono gravi?

    R. – Questa è una brutta notizia, ovviamente, soprattutto per quanto riguarda i tagli all’istruzione, che vuol dire scuola, università e ricerca scientifica. Quindi, perderemo ulteriormente terreno rispetto alle altre aree forti che sono il Nordamerica da un lato e l’Asia dall’altro. Cioè, ancora una volta prevale una concezione riduzionista della cultura e della ricerca scientifica, che le vede come “spese per consumi”. Quindi, siamo in crisi, ristrettezze di bilancio, tagliamo i consumi: ma questa è un’idiozia, letteralmente parlando! Perché? Perché la spesa per la scuola e la ricerca è una spesa di investimento! Questo significa mettere a repentaglio la situazione dei prossimi anni. Invece, la buona notizia è l’intervento a favore dell’agricoltura. Noi dobbiamo lanciare un progetto agricolo, perché non è vero – come qualcuno ancora si ostina a pensare – che l’agricoltura sia un’attività improduttiva: l’agricoltura ha una serie di vantaggi, che non è solo il prodotto agricolo che si ottiene, ma è la tenuta del territorio e soprattutto è un’attività ad alta intensità di lavoro, cioè crea più posti di lavoro che non l’industria altamente meccanizzata che sostituisce robot e macchine al lavoro.

    D. – A quanto pare, le esigenze di politica nazionale stanno avendo la meglio sulle ambizioni di integrazione europea …

    R. – Sì, questo è vero. Però, in questo caso c’è un’attenuante: in questo momento è ovvio che le situazioni nazionali non possano che avere il sopravvento sulle altre. Non perché le altre non siano importanti, ma perché è evidente che tutti aspettano l’inversione del ciclo economico che si è stimato possa avvenire alla fine di questo anno solare, per poi riprendere quel cammino che era stato interrotto.

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    Usa. Giudice legittima tre genitori per una bimba. Forum Famiglie: "Calpestato diritto dei più deboli"

    ◊   Sul certificato di nascita di Emma, due anni, di Miami, compaiono i nomi di tre genitori. La mamma, la sua compagna e il padre biologico, omosessuale, che ha donato il seme. I diritti genitoriali dei tre sono stati riconosciuti da un giudice della Florida chiamato a dirimere il caso dopo che l’uomo ha chiesto di essere riconosciuto come papà a tutti gli effetti. La questione ha sollevato un acceso dibattito negli Usa. La tutela dei desideri degli adulti calpesta il diritto dei più deboli. Il presidente del Forum delle Famiglie Francesco Belletti parla di “brutta notizia per tutti”. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

    R. – La sensazione principale è quella di una certa tristezza pensando ai bambini. La tutela dei cosiddetti diritti degli adulti qui sembra non guardare in faccia a niente. Immaginare di avere bambini condivisi o contestati tra due, tre persone - o anche cinque, perché no? - ci fa vedere che troppo spesso l’uomo dimentica i diritti dei più deboli. Qui la domanda da porsi sarebbe dovuta essere: quale sarebbe stato il benessere di questo bambino? E poi, l’altra cosa da dire è che il contesto giuridico non è il luogo migliore per regolare queste cose: la sentenza di un giudice, soprattutto nel contesto americano, fa giurisprudenza e va ad intaccare un luogo così sorgivo dell’umano quale è la famiglia, quale è la genitorialità e la differenza tra maschile e femminile. Credo che sia una cattiva notizia per tutti.

    D. – Cosa può significare per un bambino avere più figure genitoriali, peraltro con orientamento sessuale non eterosessuale?

    R. – Su questo c’è un grandissimo dibattito; però, che le identità sessuali e la differenza tra maschile e femminile sia un elemento insostituibile per un armonico sviluppo dell’educazione, è un dato di realtà: non è un dato ideologico. Questa indistinzione, questo rifiutare il dono della differenza del maschile e del femminile, scarica sui figli un compito di adattamento sociale, di adattamento identitario molto grave. Poi, qualche bambino non soffre, qualcuno riesce in qualche modo ad adattarsi a queste situazioni, ma certamente viene proposto loro un percorso molto complesso che non corrisponde affatto alla naturalità dell’esperienza dell’umano. Quindi, c’è proprio la sensazione di una deriva difficilmente contenibile perché l’uomo contemporaneo guarda solo ai propri diritti e non pensa ai bisogni dell’altro.

    D. – Questa deriva, come lei dice, sta prendendo sempre più piede: se ne parla quasi quotidianamente, di campagne finalizzate a promuovere modelli alternativi di famiglia. Perché?

    R. – C’è come una costanza nel dare notizia, nel dare regole che destrutturino l’identità della famiglia, la maternità, la paternità e la genitorialità …

    D. - … anche a livello di opinione?

    R. – Addirittura a livello di vocabolario! Dire padre e dire madre in alcuni Paesi europei è stato cancellato, e si parla di genitore. E’ una dittatura del pensiero, perché quando si vanno ad intaccare i significati radicali delle parole, vuol dire che si sta modificando la realtà. La difesa della famiglia non è una difesa ideologica della Chiesa o di un valore religioso: è una difesa di una qualità fondamentale dell’umano. Credo che ci sia veramente un’emergenza dell’umano a livello globale. La battaglia è culturale, il confronto deve rispettare la libertà di tutte le persone ma deve custodire dei valori che non sono disponibili.

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    Giornata degli stati vegetativi. Scienza e vita: "Diamo voce a chi non ha voce"

    ◊   “S’impone la necessità di una vera svolta culturale e sociale che coinvolga società, medicina e politica“. E’ l’appello lanciato, in occasione dell’odierna terza Giornata degli stati vegetativi, dall’Associazione Scienza e Vita, che tiene a sottolineare anche quanto sia cambiata negli ultimi anni la valutazione scientifica di questo tipo di pazienti. Lo spiega al microfono di Gabriella Ceraso, Massimo Gandolfini neurochirurgo e vicepresidente dell’Associazione:

    R. – Dal punto di vista terminologico, lo stato vegetativo nasce intorno agli anni Settanta-Ottanta ad opera di un neurologo e di un neurochirurgo, volendo intendere con vegetativo il fatto che venissero conservate ed erano autonome le possibilità di vita biologica, con – allora così si disse – un annullamento, una cancellazione della coscienza. Oggi c’è una revisione totale: si deve dire che non siamo in grado di comprendere, di evidenziare la quantità di coscienza che è presente in quel soggetto, ma abbiamo le prove che una forma di coscienza in questi pazienti c’è. E’ il versante comunicativo del paziente che è stato gravemente leso. Poi c'è lo stato di minima coscienza che è invece una forma di stato vegetativo ancora più attenuata.

    D. – E’ fuori luogo o è necessario parlare anche in questa occasione di tematiche quali eutanasia, accanimento terapeutico o leggi sulle dichiarazioni anticipate?

    R. – Certamente dobbiamo affrontare questo argomento che è sul tappeto, della Dichiarazione anticipata di trattamento (Dat). Queste dichiarazioni ci sono, hanno fatto il loro iter parlamentare e così come sono state composte, tutto sommato, possono essere accettabili. Però, limitarsi a questo nella Giornata degli stati vegetativi, è riduttivo. Poniamo l’argomento della intollerabile eticità di poter comminare la morte di un nostro cittadino, ma prendiamo anche coscienza del fatto che ci sono famiglie che già oggi devono essere aiutate. E’ una Giornata, secondo me, davvero importante e virtuosa per fare presenti tutte e due le cose. L’interessante è che il filo rosso che unisce tutte e due le cose è il tema della dignità della vita umana.

    D. – Per il mondo politico, questo tema oggi che cosa deve significare?

    R. – Bisogna cercare di risparmiare da una parte, ma questi fondi destinati alle queste famiglie sono intoccabili e sacri!

    D. – Quindi lei metterebbe al primo posto tra le necessità la questione delle risorse?

    R. – Sì. C’è bisogno, secondo me, di una rilevazione reale, cioè sul territorio, in cui però l’aiuto, il finanziamento non sia legato alla diagnosi, ma alla singola persona; dall’altra parte un coordinamento statuale e nazionale che indichi dei protocolli o delle linee-guida alle Regioni, è di grandissima importanza.

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    Il dramma delle foibe: tante iniziative in Italia per il "Giorno del Ricordo"

    ◊   Un ricco calendario di appuntamenti in tutta Italia per celebrare il “Giorno del Ricordo” istituito nel 2004 per il 10 febbraio di ogni anno. La serie di iniziative: dibattiti, presentazione di libri, spettacoli teatrali, mostre fotografiche e altro ancora, culminerà lunedì prossimo con una cerimonia al Quirinale, alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. L’obiettivo è non dimenticare una pagina di storia ignorata per quasi 60 anni e che riguarda i tragici fatti accaduti nelle terre della Venezia Giulia tra gli anni ’43-’50, l’utilizzo cioè delle foibe come sistema di eliminazione degli italiani, da parte dei partigiani jugoslavi, e il grande esodo dai territori istriani e dalmati. Con la firma del Trattato di pace – il 10 febbraio 1947 a Parigi –ci fu infatti la cessione di quelle terre alla Jugoslavia a cui seguì una fuga di massa. In quell’anno, dalla città di Pola, andò via il 90% della popolazione perdendo ogni cosa. Ma perché questa enorme sofferenza ha avuto bisogno di decenni per venire riconosciuta? Adriana Masotti lo ha chiesto a Marino Micich, direttore dell'Archivio Museo storico di Fiume, anche lui esule con la sua famiglia:

    R. - Ci sono voluti decenni, perché l’Italia perdendo la guerra ha dovuto ricostruirsi un percorso, nuovi equilibri internazionali e mettere sul piatto il problema dei 350 mila profughi - dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia – e i massacri avvenuti nelle foibe, ad opera dei partigiani comunisti jugoslavi, creava contenziosi diplomatici, ma anche dibattiti politici interni. È noto che, all’epoca, il partito comunista italiano si schierò dalla parte jugoslava, non tanto per il discorso della conquista delle terre, ma proprio perché bisognava far fronte comune contro il fascismo ed il nazismo.

    D. – Gli studiosi si interrogano ancora se l’esodo dalla Venezia Giulia, diventata terra jugoslava, fu qualcosa di forzato, o una scelta degli italiani: si può affermare che da parte di quella Jugoslavia era stata messa in atto una vera e propria pulizia etnica?

    R. – Si può affermare sicuramente che gli italiani da oltre 400mila, ne sono rimasti solo 20 mila. Già questo fa capire che l’esodo può essere considerato anche una pulizia etnica. In quel momento, però, non c’è solo l’elemento etnico, ma ideologico: si instaura la dittatura di Tito, che cambia radicalmente l’economia, le regole sociali; anche la Chiesa viene perseguitata fortemente. Quindi, non esistendo un decreto di espulsione da parte della Jugoslavia, questo ha fatto parlare alcuni storiografi di “scelta volontaria”; invece tutti questi fatti narrati – gli arresti, le persecuzioni, le foibe ecc…- pensiamo che oltre 12 mila persone risultano mancanti all’appello – fanno capire come gli italiani furono costretti ad un certo punto a lasciare tutto, per rimanere comunque italiani ed anche andare verso la libertà che in quel momento rappresentava il mondo occidentale.

    D. – Lei ha detto: per rimanere italiani, eppure ad accrescere la sofferenza degli esuli fu proprio la diffidenza con la quale l’Italia e gli italiani hanno accolto questi esuli…

    R. – Non tutti gli italiani accolsero male gli esuli: ci furono frange di partito, di militanti che li accolsero male, inscenando scioperi nei porti di Ancona, di Venezia; oppure, i sindacalisti della Cgil, che fermarono il treno a Bologna, venne vietato anche ogni tipo di soccorso a donne, vecchi e bambini che dovevano raggiungere i campi profughi all’interno della Penisola. Gran parte però del popolo italiano ha accolto gli esuli e ha cercato di dare loro aiuto, come ci furono anche gli aiuti che provenivano dall’Opera Pia Pontificia e da altre istituzioni.

    D. – La questione dei risarcimenti: quanto ancora resta da fare da parte dell’Italia, ma anche da parte di Slovenia e Croazia?

    R. – Il discorso dei risarcimenti – purtroppo - non arriverà mai ad una congrua ed equa soluzione. I profughi questo lo sanno, gli esuli, i figli lo sanno, anche perché le stime di risarcimento sono talmente ridicole che non è nemmeno il caso di dirle. Comunque un’ultima tranche di risarcimenti in denaro, deve essere stabilita: la Slovenia e la Croazia hanno offerto determinate cifre e la parte italiana deve trovare – con la prossima finanziaria – la sua parte di indennizzo.

    D. –Come si spiega la brutalità delle foibe, il fatto di gettare ancora vive delle persone dentro buche nel Carso…

    R. – Fu un sistema veramente barbaro ed incivile. Si possono dare delle interpretazioni, ma non si è trovato, purtroppo, un esponente dell’allora polizia segreta che ci potesse spiegare con parole sue il perché di tanta efferatezza. Noi possiamo solo fare ipotesi e soprattutto aborrire questa forma di violenza e farla conoscere ai giovani affinché ciò non si ripeta. Le devo dire, sinceramente, che anni fa ci era molto difficile rompere il muro del silenzio, della diffidenza, perché parlare di queste cose risultava scomodo. Il mito che nelle foibe ci sono finiti i fascisti ha molto diviso le coscienze e non è la verità, perché nelle foibe è finita un’intera umanità.

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    A Bologna, un convegno ricorda la figura di Dossetti a 100 anni dalla nascita

    ◊   Genova, 13 febbraio 1913. Nasce cento anni fa Giuseppe Dossetti. Attraversa tutto il novecento fino al 1996 partecipando attivamente all’insegnamento universitario, alla resistenza, alla Costituente, alla politica nazionale e locale, al Concilio Vaticano II e alla vita diocesana bolognese. In questi giorni in Italia, e nel capoluogo emiliano, una serie di eventi ricorda la sua figura. Il servizio di Luca Tentori:

    Una lunga vita nel secolo breve quella di Giuseppe Dossetti, che non si risparmiò nello scendere in campo “con Dio e con la storia”. Ricorrono i cento anni dalla nascita e si cominciano a trarre le fila di un vasto patrimonio di insegnamenti, riflessioni e studi. Un personaggio a tutto tondo difficile da sintetizzare per le tante esperienze intraprese apparentemente così divergenti. Fu studioso, politico, monaco e sacerdote sulla breccia degli snodi ecclesiali e sociali. Un convegno di studi questa mattina, a Bologna, ha voluto ricordare qualche aspetto unitario della sua esperienza. Il pensiero di don Athos Righi, suo primo successore alla guida della "Piccola famiglia dell’Annunciata" da lui fondata:

    “Quello in cui mi ha coinvolto e quello che mi ha lasciato è stata l’Eucaristia: questo evento celebrato nella Chiesa per la salvezza del mondo e dentro il quale c’è stata tutta la sua vita precedente. L’unità era quella di testimoniare, come cristiano, la verità del momento e la giustizia. In lui c’era soprattutto la preoccupazione di dare un insegnamento che lasciasse alle generazioni future una grande speranza. Poi la sua fede nella Scrittura, come voce viva del Cristo, Maestro che insegna ad ogni uomo in ogni tempo”.

    Don Giuseppe Dossetti è stato per la diocesi di Bologna una figura di grande rilevo al fianco del cardinale Giacomo Lercaro allora arcivescovo della città. Prima come laico, politico e intellettuale e poi come fondatore di una comunità che ancora oggi custodisce i luoghi della memoria della strage nazista di Monte Sole. Divenne sacerdote diocesano e poi provicario generale nel 1967. Durante gli anni del Concilio Vaticano II fu segretario del cardinale Lercaro, uno dei quattro moderatori dell’assise conciliare. Il vicario generale della diocesi di Bologna, mons. Giovanni Silvagni, questa mattina lo ha così ricordato:

    “Don Giuseppe prima di tutto è stato un cristiano; già da laico un consacrato al Signore fin dalla sua giovinezza. Una consacrazione così determinata, così radicale che si è imposta agli occhi di tutti. Il cardinale Giacomo Lercaro ebbe a dire: “La chiesa diocesana e forse in grande addirittura anche la Chiesa universale sono state irrigate da rivoli di luce, di grazia e di salvezza”. Questa è la consapevolezza che in questi giorni molti hanno di don Giuseppe Dossetti”.

    Nei suoi primi anni di impegno politico Dossetti fu uno dei protagonisti della neonata Democrazia cristiana. Sul tema è intervenuto lo storico Enrico Galavotti che parlerà anche a uno dei convegni dei prossimi giorni ideati dalla Fondazione per le scienze religiose di Bologna:

    “L’idea fondamentale che muove il politico Dossetti è quella di dare vita in Italia, dal 1945 con la sconfitta definitiva del fascismo, a una democrazia sostanziale, che non ripetesse cioè gli errori della stagione pre-fascista, ma che coinvolgesse davvero l’intera popolazione nel nuovo processo democratico”.

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    Pubblicato il libro "Il Kerygma". Kiko racconta la sua conversione

    ◊   Dalla crisi esistenziale alla riscoperta della fede fino agli inizi del Cammino neocatecumenale a Roma. Nel libro “Il Kerygma. Nelle baracche con i poveri”, scritto da lui stesso, Kiko Argüello racconta la sua esperienza. Nato in una famiglia medio-alta di Madrid, studia pittura e, dopo un periodo di dubbio, vive una profonda conversione che lo porta prima ad andare a vivere fra gli ultimi nelle baracche della capitale spagnola e poi ad iniziare, assieme a Carmen Hernandez, l’esperienza del Cammino neocatecumenale. Il libro, edito dalla San Paolo, è in edicola questa settimana anche con Famiglia Cristiana. Debora Donnini ha intervistato Kiko Argüello, partendo proprio dal momento in cui ha avuto questa esperienza di crisi:

    R. – Ho avuto questo momento di grandissima sofferenza. Si vive in un mondo con un grande desiderio di giustizia e risulta che invece c’è tantissima ingiustizia. Perché succede questo? Sono arrivato, seguendo un poco il pensiero di Sartre, al fatto che una risposta potesse essere che tutto fosse assurdo. E’ stato un momento molto duro, in cui ho provato a vivere come se Dio non ci fosse, ma la mia vita si era fatta difficile… Ho ricevuto anche un premio straordinario di pittura, che non mi ha dato nulla interiormente. Ma in questa kenosi, in questa discesa, Dio ha avuto pietà di me e ho ricevuto un primo barlume di luce leggendo un filosofo ebreo, Bergson, che dice che l’intuizione è un mezzo di conoscenza della verità superiore alla ragione. Pensando che potesse essere vero, ho capito dentro di me che effettivamente non tutto il mio essere credeva che fosse tutto assurdo. Qualcosa dentro di me - l’intuizione, l’arte – mi ha detto che forse, forse, c’era una ragione. E se c’è una ragione, Dio comincia ad apparire all’orizzonte. Allora, Dio ha permesso fossi sufficientemente umile per chiedere aiuto. Forse prima ero molto superbo. L’esperienza più profonda è stata, in fondo, scoprire che Dio c’era, che c’è, ma Dio non è un’idea, non è una filosofia. Dice San Paolo che lo Spirito rende testimonianza al nostro spirito e questa testimonianza è la certezza assoluta che Dio c’è e ti ama. Se Dio c’è, io sono. Come si può provare questo? Io l’ho provato: ho avuto un incontro profondo dentro di me con Gesù Cristo, attraverso lo Spirito Santo.

    D. – Dopo questa esperienza, lei è andato a vivere nelle baracche, e in un certo senso ha visto la presenza di Gesù Cristo nei poveri, nella sofferenza degli innocenti...

    R. – Dopo questo, mi sono messo in cammino e sono andato a parlare con un prete, perché volevo essere cristiano. Lui mi diceva: “Lei non è battezzato?” Ed io: “Sì, sì, sono battezzato, ma non sono formato”. Volevo essere cristiano e in quel momento, nelle parrocchie non ho trovato nessuno strumento per una persona adulta, che veniva dall’ateismo e voleva essere cristiano. Dopo ho avuto altri incontri con il Signore. Un incontro importantissimo nella mia vita è stato quello con la sofferenza degli innocenti, per cui sono rimasto completamente scioccato. Dio ha permesso, per una serie di circostanze attraverso la donna di servizio della mia famiglia, che ha avuto una vita di inferno, che andassi ad aiutare la sua famiglia, con un marito alcolizzato, che li picchiava. Lì ho trovato un ambiente di gente distrutta. Dice Sartre: “Guai all'uomo che il dito di Dio schiaccia contro il muro”….gente completamente schiacciata per i peccati di altri: gli innocenti sono quelli che sono vittime dei peccati degli altri. Sono tanti i tipi di sofferenza degli innocenti, violenze nelle famiglie e così via. La fede è una luce che ti dà il discernimento per comprendere la storia. Io di fronte a questa realtà sono rimasto scioccato e ho pensato: “Se domani venisse Gesù Cristo, mi piacerebbe trovarmi ai piedi di Cristo crocifisso in queste persone, negli ultimi”. Non potevo continuare a vivere nel mondo così e ho lasciato tutto. Seguendo le orme di Charles de Foucault, ho pensato di andarmene lì, in una zona terribile di grotte, di zingari, di clochard. Non sono andato a portare un’opera sociale, perché per me l’opera sociale era quella di mettermi ai piedi di Cristo crocifisso.

    D. – In questa esperienza, che lei ha vissuto nelle baracche, lei ha visto come la Parola di Dio avesse la forza di cambiare la vita delle persone...

    R. – Molta di quella gente che stava lì, era distrutta, era stata violentata…una situazione tremenda. Ho conosciuto allora Carmen Hernandez che si stava preparando per andare in India, che aveva studiato teologia. Quindi, lei ha conosciuto le baracche e le persone che venivano con me ad ascoltare la Parola. Volevano che io parlassi di Gesù Cristo, anche se io non sapevo... Attraverso questo, il Signore ha cominciato a mettere un seme, che è stato dato dai poveri. Le catechesi che noi facciamo nelle parrocchie sono create dai poveri, dagli zingari, che erano tutti analfabeti: una presenza di Gesù Cristo immensa. Si è quindi cominciata a creare una piccola comunità di poveri, degli ultimi della Terra, era sorprendente! L’ha conosciuta anche l’arcivescovo di Madrid, mons. Casimiro Morcillo, che è venuto a difenderci quando la polizia voleva buttare giù le baracche, e lui stesso è rimasto molto impressionato e ci ha detto di andare nelle parrocchie.

    D. – Ci sono centinaia di famiglie del Cammino neocatecumenale che si trasferiscono in diversi Paesi del mondo, dai più poveri del Sud America, dell’Africa a quelli del Nord Europa, per annunciare il Vangelo. Come si annuncia il Vangelo a persone che non l’hanno mai ascoltato?

    R. – Tutti noi uomini abbiamo dentro il principio di vivere tutto per noi stessi. Gesù Cristo dice: Amatevi, come io vi ho amato. Come ci ha amato Cristo? Quando eravamo suoi nemici. Possiamo amare al di là della morte. Perché? Perché abbiamo ricevuto la vita eterna. Ogni battezzato ha ricevuto la vita eterna. Noi facciamo comunità cristiane secondo il dettame “Amatevi, come io vi ho amato”, nella dimensione della Croce. E come possiamo arrivare a questa statura di fede? Ecco la necessità di un’iniziazione cristiana, di un cammino. Ripercorrendo il Battesimo possiamo riscoprire cosa sia veramente essere cristiani. Queste famiglie, che hanno fatto questo percorso, sono invitate a formare una comunità cristiana e quando i pagani vedono come ci amiamo, vengono a chiedere il Battesimo. Facciamo “missio ad gentes” in Germania, in Austria, a Stoccolma, ad Amsterdam. Quando le persone vedono una comunità d’amore chiedono il Battesimo perché sono impressionati da come ci relazioniamo.

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    Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella quinta Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il passo del Vangelo in cui Pietro, invitato da Gesù, getta di nuovo le reti per pescare, dopo una notte di vana fatica. Presa una quantità enorme di pesci, Pietro si getta alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Il Signore gli dice:

    «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».

    Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente emerito di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:

    Oggi Gesù appare un po' invadente: prima sale sulla barca di Simone per farsi sentire meglio mentre predica; e poi vuole anche insegnare ai pescatori dove trovare il pesce che per una notte intera non avevano incontrato. Un falegname che si improvvisa esperto di pesca: ce ne voleva per credergli! Eppure danno credito alla sua parola, nonostante la fatica di una notte sprecata. E le reti si riempiono e anche le barche quasi affondano per la quantità enorme di pesci. Fortuna e sorpresa, ma anche forse segnale di qualcosa di straordinario, come Simon Pietro subito pensa: non è degno di tanta grazia, non ha meriti e forse non ha neanche capito bene i discorsi di Gesù. Il rabbì non lo lascia neppure finire, e subito gli propone un affare: lasciare barca e lavoro, e farsi con lui pescatore di uomini. Che vorrà dire mai pescare uomini? Raccoglierli da quel fondo dove pensano di vivere e invece non vivono; mostrare loro la luce, a guardare in alto, a camminare con libertà e audacia. Anche noi possiamo fare qualcosa, almeno ospitare in barca Gesù; o più ancora imparare da lui come pescare uomini, come servire il Regno, come diffondere la Parola.

    Cari amici, sono tre anni che ogni sabato ci parliamo e insieme ascoltiamo con cuore innamorato la Parola. Il nostro incontro finisce qui: grazie per l'ascolto e grazie alla Radio Vaticana che di sabato in sabato ha trasmesso il mio breve commento. È stata una bella avventura e una dolce fatica. Grazie ancora!

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Usa: la tempesta di neve "Nemo" provoca morti e danni ingenti

    ◊   È stata definita la più grande tempesta degli ultimi 20 anni quella che si sta abbattendo sulla costa nord-orientale degli Stati Uniti e che ha provocato già almeno 2 morti. Nota anche come ‘Nemo’ la perturbazione di neve e vento ha già colpito Boston e New York, dove sono stati sospesi tutti i voli aerei sia in partenza che in arrivo. Sono circa 650 mila le case e le aziende rimaste senza elettricità e un’allerta è stata emessa per sette Stati: Connecticut, New Hampshire, Massachusetts, New Jersey e New York. (D.M.)

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    Colombia: pace e Anno della Fede tra i temi dell’assemblea dei vescovi

    ◊   La speranza di un ritorno della pace nel Paese è stato uno dei temi al centro della 94.ma Assemblea Plenaria dell’Episcopato Colombiano. L’assemblea si è svolta a Bogotà dal 4 all'8 febbraio. I presuli, secondo l'agenzia Fides, si sono dedicati in particolar modo allo studio e alla riflessione sull'importanza della testimonianza cristiana nella società, nel contesto dell'Anno della Fede. Giovedì scorso i vescovi hanno ricevuto la visita del presidente della repubblica colombiana, Juan Manuel Santos Calderón, che ha espresso la sua gioia per l'ingresso del cardinale Rubén Salazar Gómez al Collegio Cardinalizio e ha manifestato la sua soddisfazione per l’annuncio fatto da Benedetto XVI della data per la canonizzazione della Beata colombiana Laura Montoya nel Concistoro ordinario. Il presidente ha condiviso con i vescovi alcuni criteri sul processo di pace e le questioni relative allo sviluppo del Paese. Da parte dei vescovi, il presidente della Conferenza Episcopale della Colombia, il cardinale Rubén Salazar Gómez, ha ricordato alla massima autorità del Paese la volontà della Chiesa di collaborare nel processo di pace e in "tutto ciò che conduce alla pace nel Paese". (D.M.)

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    Iraq: attacco contro campo di dissidenti iraniani, almeno 5 morti

    ◊   Razzi e colpi di mortaio sono stati indirizzati oggi contro un campo di rifugiati iraniani nei pressi della capitale dell’Iraq, Baghdad. Secondo una fonte del ministero dell’interno iracheno sono almeno 5 i morti – oltre a numerosi feriti - nella struttura, denominata Camp Liberty, che ospita militanti dell’organizzazione dissidente iraniana ‘Mujaheddin del popolo’. Secondo la portavoce dell’Onu a Baghdad, Eliana Nabaa, tra i feriti vi sono anche alcuni poliziotti locali. In un comunicato i ‘Mujaheddin del popolo’ hanno parlato di 6 morti e una cinquantina di feriti, dovuti a 35 tra razzi e colpi di mortaio sparati su Camp Liberty. (D.M.)

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    Mali: fermati due sospetti kamikaze a Gao

    ◊   Due giovani con cinture esplosive sono stati arrestati nei pressi di Gao, nel nord del Mali, all’indomani dell’attentato suicida in città, rivendicato dagli islamisti del movimento per l’Unità e il Jihad in africa occidentale (Mujao). I giovani arrestati oggi, secondo testimoni locali, sarebbero un tuareg e un arabo che viaggiavano a dorso d’asino trasportando diversi ordigni. Contro alcuni capi del Mujao, come dell’altro gruppo jihadista "Ansar Dine", ma anche dei tuareg nazionalisti del Movimento di Liberazione Nazionale dell’Azawad le autorità maliane avevano emesso, ieri sera, mandati d’arresto per “terrorismo” e “sedizione”. Sempre nella serata di ieri, il presidente ad interim Dioncounda Traoré ha condannato gli scontri “fratricidi” tra diversi reparti dell’esercito che hanno provocato due morti e 13 feriti. Gli scontri erano stati innescati da un attacco contro il campo dell’unità di élite dell'esercito, i ‘berretti rossi’, a Bamako. Il capo dello Stato ha assicurato che sono in programma incontri del governo con rappresentanti dei militari per trovare una soluzione alla questione. Dalle Nazioni Unite arriva invece il sostegno alla ‘road map’ annunciata recentemente da Traoré. L’Onu, comunicano dal Palazzo di Vetro, lavorerà per permettere lo svolgimento di elezioni “credibili e legittime” per la fine di luglio. (D.M.)

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    Pakistan: giovani protagonisti a convegno islamo-cristiano

    ◊   I giovani sono un “fattore di pace” e possono diventare una guida, autorevole e determinata, per “una trasformazione politica, sociale ed economica” del Paese. Una risorsa di grande potenziale, che il governo dovrebbe “capitalizzare”. Questo è il messaggio del convegno islamo-cristiano, di cui riferisce l'agenzia AsiaNews, intitolato “il ruolo dei giovani promotori di pace” e organizzato nei giorni scorsi a Faisalabad, nella provincia del Punjab, da alcune associazioni e da gruppi di attivisti per i diritti umani. Ideato da Women for Awarness and Motivation (Awam), l’evento ha potuto beneficiare dei contributi di esperti del Centro di studi cristiano (Csc), della Pakistan Girl Guide Associataion (Pgga) e della Phd Foundation, che opera per la pace e lo sviluppo umano. Nel suo discorso, Fahmida Saleem, direttore gestionale del Csc, ha evidenziato l’importanza del rispetto per le persone e della capacità di comprendere e accogliere le diversità presenti nella comunità, per fondare una “cultura di pace”. Suneel Malik, direttore del Phd, è intervenuto nella stessa direzione, guardando ai giovani come “agenti di pace”, che devono essere “coinvolti” per dare vita a un “cambiamento in positivo”. La mancanza di istruzione e l’ignoranza costituiscono però un fattore cruciale nella divisione fra le religioni. È l’opinione di Amna Eshan, coordinatore di Pgga e presidente dell’Awam. Anche il direttore di Awam, Nazia Sardar, condivide questo pensiero. A suo avviso, nei programmi scolasticui vanno evitati “materiali ed elementi” che possono alimentare l’odio e il distacco tra le diverse fedi. Al contrario – continua il direttore - le scuole dovrebbero diventare il polo centrale dove “promuovere la pace, i diritti umani, l’armonia e la tolleranza fra fedi ed etnie diverse”. Questi sono valori comuni a Islam e Cristianesimo secondo Thair Iqbal, direttore della ong pakistana Lyallpur. “Per questo - conclude - le persone devono privilegiare lo spirito del dialogo e dell’armonia, rimuovendo tutti quegli elementi di incomprensione e malinteso tra le fedi diverse”. (V.C.)

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    Cile: ad aprile un seminario sulla comunicazione nella Chiesa

    ◊   L’Anno della Fede e la Giornata Mondiale della Gioventù in Brasile sono i punti al centro della seconda edizione del Seminario Internazionale della Comunicazione della Chiesa, che si terrà, dall'8 al 10 aprile, nell’Università Cattolica del Cile. Ospite di eccezione sarà mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, invitato dalla Conferenza episcopale cilena, che organizza l’evento. Questa edizione del seminario sarà orientata alla situazione dei giovani cattolici rispetto alla Chiesa e alle nuove tecnologie della comunicazione, tenendo conto che dopo 25 anni torna a celebrarsi una Gmg in America Latina. Inoltre, l’Anno della Fede, inaugurato da Papa Benedetto XVI a ottobre del 2012, sarà fonte d’ispirazione nel trovare le chiavi per fare arrivare il messaggio del Vangelo in un linguaggio positivo, creativo e chiaro ai giovani del XXI secolo. La professionalizzazione e comprensione degli istrumenti della comunicazione istituzionale della Chiesa resterà un punto fermo delle discussioni del seminario, ma anche le alternative di comunicazione come lo “Storytelling”, o racconto di storie che centrate nella esperienza umana siano capaci di provocare empatia nel vivere la fede. Speciale rilevanza avrà lo studio di strategie e l’uso dei social network nella trasmissione della fede con la creazione di contenuti capaci di emozionare e d’attirare l’interesse dei giovani. Tra gli invitati ci saranno Andrea Tornielli, giornalista e editore di Vatican Insider; lo spagnolo Gustavo Entrala, uno dei responsabili dell’account Twitter di Benedetto XVI e della applicazione Pope App; infine Rafael Rubio, che stato il responsabile delle Comunicazioni della Gmg di Madrid 2011. (A.T.)

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    Anno della Fede in Turchia nel ricordo di mons. Padovese e don Santoro

    ◊   Per approfondire la fede e per dare un impulso alla missione dei cristiani in Turchia “sarebbe molto utile e sarebbe un grande dono tradurre le opere del vescovo Luigi Padovese in lingua turca”: è la proposta lanciata, attraverso l’Agenzia Fides, da padre Martin Kmetec, francescano, direttore delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) in Turchia. La proposta giunge mentre le comunità cristiane in Turchia celebrano l’Anno della Fede, con diverse iniziative ecumeniche e in particolare ricordando due figure martiri, che hanno dato la vita per la missione: mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia ucciso nel 2010, e don Andrea Santoro, missionario fidei donum ucciso nel 2006. Mons. Padovese era uno studioso di patristica e la maggior parte dei suoi scritti riguarda i Padri dalla Chiesa e i primi secoli del cristianesimo. Padre Kmetec nota a Fides: “Sentiamo tuttora la loro mancanza, ma il ricordo di queste due figure ci aiuta molto nella missione oggi, in quest’Anno della Fede”. “Siamo chiamati – prosegue il direttore delle Pom turche - ad approfondire la loro visione della missione”. “Un primo passo – spiega il padre francescano - potrebbe essere proprio la traduzione delle opere di mons. Padovese: egli amava la Turchia soprattutto ricordandola come terra in cui è nata la Chiesa nel mondo pagano”. “Qui si sono svolti i primi nove concili: in Turchia si trova la memoria della Chiesa dei primi secoli, che sta a noi riscoprire”, ricorda padre Kmetec. “Auspichiamo – prosegue - che le opere del vescovo possano avere vasta circolazione in Turchia, in modo da radicare in questa terra l’eredità spirituale, culturale e pastorale di mons. Padovese”. Di don Santoro, conclude il direttore delle Pom, “ricordiamo in particolare lo stile di presenza e di testimonianza, fatta di semplicità e di incarnazione nello spazio dove ha vissuto”. (D. M.)

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    Cinema: al festival di Berlino i film di Szumowska, Seidl e Van Sant

    ◊   Nevica sul 63° Festival di Berlino. Sotto un cielo cupo arrivano i primi titoli e le prime delusioni del concorso internazionale. La competizione si è infatti aperta con un film polacco, “In the Name of” di Malgoska Szumowska, che racconta i turbamenti di un giovane prete incaricato di gestire un centro di recupero per giovani con problemi comportamentali, reduci da anni di riformatorio. Ciò che rende particolarmente deludente questo film è che la cineasta sa filmare e per i nove decimi della sua durata sa strutturare il racconto, con bellissime sequenze che trasmettono tutta l’energia selvaggia della gioventù o la tensione del giovane sacerdote nella sua lotta interiore fra le tentazioni della carne e la purezza della fede. Il film cade purtroppo nel finale quando la cineasta non ha più fiducia nel potere dell’ellissi e invece di lasciare lo spettatore di fronte a una domanda insolubile, prende la strada più prevedibile e trasforma “In the Name of” nel più convenzionale dei gay film. Non ci convince neppure “Paradise: Hope” di Ulrich Seidl, terzo atto di una trilogia sparpagliata fra i Festival di Cannes, Venezia e Berlino. Se “Paradise: Love” e “Paradise: Faith” ci erano sembrati delle complesse testimonianze di un disperato e confuso bisogno d’amore ma anche dei gesti cinematografici di grande vigore, qui, in questa storia di seduzione fra un’adolescente sovrappeso e un maturo nutrizionista, la stanchezza prende il sopravvento e il dispositivo scelto dal regista austriaco mostra tutte le sue smagliature. Meglio si comporta Gus Van Sant, seppure alle prese con un film su commissione come “Promised Land”. Nato dalla volontà militante del suo attore protagonista, Matt Damon, in favore della lotta delle popolazioni contro gli interessi delle multinazionali che vogliono estrarre il gas scisto a scapito di devastanti inquinamenti ambientali, il film racconta la più classica della parabole di conversione, seguendo il percorso di un manager ambizioso, diviso fra gli interessi dell’azienda e la salute della gente comune. Film di sceneggiatura, ben diretto e interpretato, “Promised Land” non avrà nessun guizzo creativo (come altre opere del regista americano) ma almeno ci consegna un film che ci fa sentire dalla parte giusta. Il meglio della giornata viene tuttavia da un film documentario, “La maison de la radio” di Nicolas Philibert, già celebre autore di “Essere e avere”. Il cineasta, da sempre attento ai dettagli che possano rivelare la presenza del sacro nelle prosaiche vicende umane, ha passato sei mesi all’interno del complesso architettonico che ospita la radio francese. Vagabondando da una sala di registrazione a un’altra, dalle voci che raccontano i fatti quotidiani a quelle che riflettono sul presente e sulla storia a quelle che ricreano un universo attraverso la sottile modulazione dei suoni a quelle che accompagnano la musica, Philibert riesce ancora una volta nella più difficile impresa di un artista, filmare il visibile per captare l’invisibile. (Da Berlino, Luciano Barisone)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 40

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