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Sommario del 06/02/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: l'uomo è grande se si riconosce piccolo davanti a Dio Creatore
  • Il Papa crea in Brasile la prelatura territoriale di Cametá
  • Mons. Paglia: solidale con i vescovi inglesi, il sì di Londra a nozze gay scompagina società
  • Il vescovo di Portsmouth: Chiesa cattolica e anglicana unite contro le nozze gay
  • Abusi su minori. Il rev. Oliver: Chiesa sulla strada della guarigione e del rinnovamento
  • La mostra "Il cammino di Pietro". Il curatore: la fede diventa un viaggio nell'arte
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Caos in Tunisia dopo l'uccisione del leader dell'opposizione Belaid
  • Siria: attentato suicida a Tadmor. Zone del Paese in mano alla piccola criminalità
  • Usa: Obama fa causa a Standard & Poor's e per responsabilità nella crisi economica
  • Appello dell'Europarlamento: banche sostengano le piccole imprese
  • Mutilazioni genitali femminili: colpiscono 140 milioni di donne e bambine nel mondo
  • Incontro delle Chiese cristiane europee: intervista con i cardinali Erdő e Bagnasco
  • Pompei: la rinascita degli scavi grazie a un progetto della Commissione europea
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Cuba: governo autorizza la costruzione di una chiesa a un anno dalla visita del Papa a Santiago
  • Siria: esplode la “questione armena” fra i profughi in Turchia
  • L'Azerbaigian protesta per i rifugiati siriani armeni in Nagorno-Karabakh
  • Iraq: per il patriarca caldeo Sako il settarismo può contagiare anche i cristiani
  • Colombia: autobombe e scontri. Nuove minacce al processo di pace
  • Brasile: la Commissione dei vescovi per l’Amazzonia chiede più missionari
  • Spagna: messaggio del card. Ouellet per la Giornata Ispanoamericana
  • India: la giustizia sociale nel secondo giorno di lavori della Plenaria dei vescovi
  • India: nel Karnataka la polizia arresta due cristiani, picchiati da fondamentalisti indù
  • Taiwan: successo della Chiesa cattolica alla Fiera internazionale del libro
  • Congo: intervento urgente per centinaia di bambini colpiti dalla malaria
  • Sud Sudan: il Consiglio delle Chiese chiede il contributo di tutti alla riconciliazione
  • Assemblea dei Domenicani dell'America Latina: il Vangelo ci chiama in missione
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: l'uomo è grande se si riconosce piccolo davanti a Dio Creatore

    ◊   Dio come autore della vita umana e del Creato e il rapporto speciale che l’uomo, pur nella sua piccolezza, ha con il Datore di tutto. In una densa catechesi, all’udienza generale di questa mattina in Aula Paolo VI, Benedetto XVI ha proseguito la sua riflessione sulle parole iniziali del Credo. Il “peccato originale”, ha detto il Papa, altro non è che la “tentazione” dell’uomo di vedere in Dio un “nemico” della propria libertà. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Un pulviscolo, un nulla fatto con un pugno di terra. Questo è l’uomo davanti alla grandezza del cosmo. Ma un pugno di terra con dentro “l’alito di vita” di Dio e perciò una creatura unica e speciale come altre non ne esistono, anche se sempre tentata di sentirsi al di sopra del suo Creatore. Benedetto XVI si ferma sulle sei parole del Credo che definiscono Dio “Creatore del cielo e della terra” e attraverso di esse sfoglia il Libro della Genesi, mettendolo in rapporto con le convinzioni della scienza e della tecnica sull’origine dell’universo e dell’uomo. Ribadendo che la Bibbia “non è un manuale di scienze naturali”, il Papa afferma:

    “La verità fondamentale che i racconti della Genesi ci svelano è che il mondo non è un insieme di forze tra loro contrastanti, ma ha la sua origine e la sua stabilità nel Logos, nella Ragione eterna di Dio, che continua a sorreggere l’universo (...) Credere che alla base di tutto ci sia questo, illumina ogni aspetto dell’esistenza e dà il coraggio di affrontare con fiducia e con speranza l’avventura della vita”.

    Dunque, la Genesi – spiega Benedetto XVI – ci aiuta a “conoscere il progetto di Dio sull’uomo” e in particolare la sua straordinaria identità:

    “L’essere umano è fatto a immagine e somiglianza di Dio. Tutti allora portiamo in noi l’alito vitale di Dio e ogni vita umana – ci dice la Bibbia – sta sotto la particolare protezione di Dio. Questa è la ragione più profonda dell’inviolabilità della dignità umana contro ogni tentazione di valutare la persona secondo criteri utilitaristici e di potere”.

    Inoltre, il fatto di essere “a immagine e somiglianza” di Dio si ripercuote anche sull’ambiente nel quale Dio ha posto l’uomo, affidandogliene la cura:

    “L’uomo deve riconoscere il mondo non come proprietà da saccheggiare e da sfruttare, ma come dono del Creatore, segno della sua volontà salvifica, dono da coltivare e custodire, da far crescere e sviluppare nel rispetto, nell’armonia, seguendone i ritmi e la logica, secondo il disegno di Dio”.

    Tuttavia, c’è una “ferita” che dall’alba della sua esistenza impedisce all’uomo di riferirsi a Dio con un rapporto d’amore filiale tra Creatore e creatura. La “ferita” è il “peccato originale”. Il presupposto del peccato, ha affermato il Papa, è che l’uomo “è relazione”, ma tale relazione – soggiunge – è stata spezzata quando, con Adamo, “l’uomo ha fatto la scelta di se stesso contro Dio”. Cristo ha sanato quella frattura, riportando l’umanità alla piena unità con Dio. Consapevolezza, questa, che però va sempre alimentata:

    “La tentazione diventa quella di costruirsi da soli il mondo in cui vivere, di non accettare i limiti dell’essere creatura, i limiti del bene e del male, della moralità (…) Andando contro il suo Creatore, in realtà l’uomo va contro se stesso, rinnega la sua origine e dunque la sua verità; e il male entra nel mondo, con la sua penosa catena di dolore e di morte (...) Cari fratelli e sorelle, vivere di fede vuol dire riconoscere la grandezza di Dio e accettare la nostra piccolezza, la nostra condizione di creature lasciando che il Signore la ricolmi del suo amore e così cresca la nostra vera grandezza”.

    Benedetto XVI ha ripetuto questo concerto nell’ormai usuale tweet successivo all’udienza, nel quale ha scritto: “Ogni cosa è dono di Dio: solo riconoscendo questa vitale dipendenza dal Creatore troveremo libertà e pace”. Quindi, dopo le catechesi nelle altre lingue, il Papa ha salutato in russo la delegazione del Kazakhstan, giunta a Roma in occasione del 10.mo anniversario del primo Congresso interreligioso di Astana, e più tardi in italiano, fra gli altri, i vescovi partecipanti al convegno “Cristiani e Pastori per la Chiesa di domani”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, i Frati Minori Conventuali impegnati nel 200.mo Capitolo generale e ancora i partecipanti al Corso di formazione umana per il sacerdozio e la vita consacrata, accompagnati dal cardinale Elio Sgreccia.

    All’udienza generale erano presenti anche i vertici del “Bancofarmaceutico”, una onlus che risponde ai bisogni di farmaci delle persone indigenti. In particolare, sono stati donati a Benedetto XVI mille farmaci da destinare all’attività del Centro vaticano “Dono di Maria”, gestito dalle Missionarie della Carità di Madre Teresa.

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    Il Papa crea in Brasile la prelatura territoriale di Cametá

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina, al termine dell’udienza generale, i partecipanti all’Assemblea generale della Fraternità sacerdotale di San Carlo Borromeo.

    In Brasile, il Papa ha eretto in diocesi la prelatura territoriale di Cametá e ne ha nominato primo vescovo mons. Jesús María Cizaurre Berdonces, dell’Ordine degli Agostiniani Recolletti, finora Vescovo Prelato. Mons. Jesús María Cizaurre Berdonces è nato il 6 gennaio 1952 a Valtierra-Navarra, arcidiocesi di Pamplona (Spagna). Ha compiuto gli studi elementari a Olabierra, Guipúzcoa, Spagna. Nel 1964 è entrato nel Seminario liceale della Congregazione degli Agostiniani Recolletti a Martutene, Spagna. Dal 1968 al 1971 ha compiuto gli studi filosofici nel Seminario Santa Rita (Oar), in San Sebastián e, dal 1972 al 1976, quelli teologici nel Seminario
    Buen Consejo
    in Granada, dove ha ottenuto il Baccellierato in Teologia. Ha emesso la professione religiosa solenne nell’Ordine degli Agostiniani Recolletti il 10 settembre 1972 e ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 26 giugno 1976 a Granada. Giunto in Brasile, ha ricoperto successivamente i seguenti incarichi: 1977-1978: Vicario Parrocchiale in Porta, nella Prelatura di Marajó; 1978-1986: Parroco in Afuá, Marajó; 1986-1987: Vicario Parrocchiale in Salvaterra, Marajó; 1987-1990: Superiore della Missione e Rettore del Seminario di Soure, Marajó; 1990-1994: Vice-Priore e formatore nella casa
    Nossa Senhora da Saúde
    in São Paulo; 1994-1997: Priore, Parroco di São José de Queluz e Vicario Episcopale a Belém do Pará. Dal 1997 al 2000 è stato Vicario Provinciale della Congregazione degli Agostiniani Recolletti in Brasile. Il 23 febbraio del 2000 è stato nominato Vescovo Prelato di Cametá (Brasile). Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 7 maggio dello stesso anno. Dal 2007 è Presidente della
    Regional Norte II
    della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (Cnbb).

    Sempre in Brasile, il Pontefice ha nominato ausiliare di Brasília il sacerdote Valdir Mamede, finora Vicario Giudiziale e Parroco nella medesima arcidiocesi, assegnandogli la sede titolare vescovile di Naisso. Il Rev.do Valdir Mamede è nato il 21 luglio 1961 nella città di Silvianópolis, arcidiocesi di Pouso Alegre (Minas Gerais). Ha frequentato gli studi filosofici presso la Pontificia Università Cattolica di Minas Gerais (1981-1983) e quelli teologici presso lo
    Studium Theologicum
    a Curitiba (1984-1987). Ha conseguito anche il Dottorato in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Lateranense (2000-2002). È stato ordinato sacerdote il 21 maggio 1988. Nel corso del ministero sacerdotale ha ricoperto le seguenti funzioni: Vicario parrocchiale (1989-1992) e poi Parroco della Parrocchia
    Imaculado Coração de Maria
    a Rio de Janeiro (1992-1995); Parroco della Parrocchia
    Nossa Senhora do Perpétuo Socorro
    a Taguatinga, arcidiocesi di Brasilia (1995-1999). Attualmente ricopre l’Ufficio di Vicario Giudiziale e Parroco della Parrocchia
    Imaculado Coração de Maria
    a Brasília.

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    Mons. Paglia: solidale con i vescovi inglesi, il sì di Londra a nozze gay scompagina società

    ◊   Primo sì di Londra alle nozze gay. La Camera dei Comuni britannica ha approvato ieri la legge voluta dal premier conservatore Cameron, nonostante l’opposizione di molti deputati del suo stesso partito. Ora il provvedimento passa alla Camera alta del Parlamento che dovrà pronunciarsi a maggio. Immediata la reazione dei vescovi inglesi che hanno espresso la loro contrarietà alla legge. Ascoltiamo il commento di mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, al microfono di Sergio Centofanti:

    R. – Anzitutto, sono totalmente solidale con i vescovi del Regno Unito per la loro presa di posizione, la loro contrarietà a questa iniziativa legislativa, come sono stato solidale con i vescovi francesi, anch’essi unanimi, assieme a tanti altri, compresi ebrei, musulmani, umanisti, che hanno espresso la loro contrarietà a quelle che vengono chiamate le “nozze gay”. La dottrina della Chiesa su questo è molto chiara. A dire il vero, è chiara anche una tradizione giuridica plurimillenaria, che attraversa, inoltre, tutte le culture: il matrimonio è tra un uomo e una donna per fondare una famiglia, anche attraverso l’indispensabile tensione alla generazione. Ecco perché io credo che deviare da questa affermazione significhi intraprendere strade che davvero non sappiamo dove portano, o meglio sappiamo che portano non certo verso la stabilità, ma verso l’instabilità e la scompaginazione della società umana.

    D. – Lei, durante la recente conferenza stampa in Vaticano, ha parlato di diritti individuali, in particolare riguardo a questioni patrimoniali. Ma alcuni media hanno riferito che lei avrebbe parlato di riconoscimento di diritti delle coppie gay. Dai suoi testi, però, non risultano queste affermazioni…

    R. – Ovviamente sono rimasto molto sorpreso da quanto alcuni media hanno riportato. Non solo non sono state comprese le parole - e quindi non compreso anche l’affetto con cui sono state dette – ma in verità, e forse con consapevolezza, sono state come “deragliate”. Mi permetta questa immagine ferroviaria: sono state deragliate dal loro binario. E assicuro che, quando il treno deraglia, non trova la stazione, rischia di trovare il precipizio. Altra cosa è verificare se negli ordinamenti esistenti possano ricavarsi quelle norme che tutelano i diritti individuali. Questo è tutt’altro che l’approvazione di certe prospettive.

    D. – Lei ha ribadito con forza il principio della pari dignità di tutti i figli di Dio: dunque, assolutamente nessuna discriminazione verso le persone con tendenze omosessuali…

    R. – Mi auguro che si sia compresa la passione con cui dico queste cose. Mi trovavo stamattina all’udienza del Papa e mi ha colpito la sua riflessione nel dire che tutti veniamo dalla terra buona, per opera del Creatore buono; e poi, l’essere umano è fatto ad immagine e somiglianza di Dio; tutti allora portiamo in noi l’alito vitale di Dio e ogni vita umana sta sotto la particolare protezione di Dio. Sono parole queste assolutamente straordinarie, direi piene di verità e stracolme di amore. Guai a sporcarle con pregiudizi o appunto deviazioni. Tra l’altro, già nel 1986, il cardinale Ratzinger affermava con decisione – e mi permetto di citarlo – “va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressione malevola e di azioni violente”. Credo che più chiaro di così non si possa esprimere. Mi auguro davvero che quel tesoro prezioso, quel patrimonio dell’umanità, che è la famiglia, possa essere difeso, sostenuto e aiutato, e guai a stravolgerne il senso.

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    Il vescovo di Portsmouth: Chiesa cattolica e anglicana unite contro le nozze gay

    ◊   Il progetto di legge sulle nozze gay in Gran Bretagna, per la Chiesa cattolica e quella anglicana mette a rischio anche la libertà religiosa per le conseguenze di carattere civile e sociale. Da parte sua, il nuovo arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, nel giorno del suo insediamento a Lambeth Palace, lunedì scorso, ha ribadito che “per la Chiesa anglicana il matrimonio sarà sempre l’unione tra un uomo e una donna”. Sulla questione, Emer McCarthy ha intervistato mons. Philip Egan vescovo cattolico di Portsmouth:

    R. – I always have to say that first of all, the Catholic Church loves…
    Sempre mi trovo a dover ripetere, tanto per cominciare, che la Chiesa cattolica ama le persone omosessuali, ama i gay, non facciamo differenza tra le persone secondo il loro orientamento sessuale, perché la nostra missione – dato che Dio ama ogni singola persona – la nostra è una missione d’amore nei riguardi di ogni singola persona. Quindi, qui non si tratta di omofobia, quanto piuttosto della ri-definizione di un’istituzione antica, fondata sulla legge naturale ed elevata a sacramento da Nostro Signore Gesù Cristo, della ri-definizione del matrimonio: questo è il punto. Questo voto è solamente un primo passo, e io credo che ci saranno molti dibattiti e molte discussioni; per noi ovviamente è deludente. E’ interessante comunque considerare che un gran numero di membri dello stesso partito del primo ministro hanno chiaramente votato contro questa proposta ed hanno fornito argomenti “contro” con straordinaria chiarezza, fornendo tutte le motivazioni. Alcuni di essi sono cattolici, membri cattolici del partito dei Tories, e si sono espressi molto chiaramente sull’istituzione del matrimonio.

    D. – Il progetto di legge passa ora alla Camera alta del Parlamento britannico. Ci sono anche molti vescovi della Chiesa d’Inghilterra nella Camera alta, e sappiamo che l’arcivescovo di Canterbury, di recentissima nomina, Justin Welby, ha ribadito decisamente il suo sostegno ai vescovi della Comunione anglicana nella loro posizione sul matrimonio. Questo è un elemento di incoraggiamento, è un elemento su cui le Chiese possono lavorare insieme?

    R. – Yes, I think it is. We are having a meeting of the Catholic and the Anglican…
    Sì, credo di sì. E’ previsto un incontro tra vescovi cattolici e anglicani. Dall’altro lato, però, credo che ci sia una sorta di direzione inevitabile che si sta manifestando e non so se saremo in grado di “vincere”. La Camera alta e i vescovi anglicani membri della stessa dicono che “sezioneranno” la proposta; può essere che riusciremo ad ottenere delle concessioni, ma credo che la direzione di marcia sia segnata. Ora, posso immaginare che i cattolici vorranno distaccarsi dalla registrazione civile dei nuovi matrimoni, perché il matrimonio avrà un significato molto diverso da quello che noi cattolici intendiamo con lo stesso termine. Questo significherà l’isolamento della comunità cattolica nella società britannica…

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    Abusi su minori. Il rev. Oliver: Chiesa sulla strada della guarigione e del rinnovamento

    ◊   A un anno di distanza dal Simposio internazionale sugli abusi su minori commessi da esponenti del clero, tenutosi alla Pontificia Università Gregoriana, la Chiesa mantiene l’impegno di proseguire il cammino, tracciato dal Papa, “verso la guarigione e il rinnovamento”. Ieri, nuovo incontro presso l’ateneo romano per presentare gli Atti del Simposio ed esporre le prime attività del Centro per la Protezione dei Minori varato lo scorso anno. Tra i partecipanti il reverendo Robert W. Oliver, dal dicembre scorso nuovo promotore di Giustizia presso la Congregazione per la Dottrina della Fede. Il servizio di Stefano Leszczynski:

    Ad un anno dal coraggioso Simposio con cui la Chiesa ha inteso proseguire la sua lotta contro il triste fenomeno degli abusi sui minori commessi dal Clero, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha fornito dati che sono ancora allarmanti a livello mondiale: 600 nuovi casi di abusi vengono portati alla luce ogni anno. In maggioranza - fa notare il promotore di Giustizia, il reverendo Oliver, riguardano abusi commessi dal '65 all'85. Certo, il dato è in diminuzione, ha fatto notare il promotore di Giustizia, rispetto agli 800 casi denunciati nel 2004, e gli sforzi messi in atto dalle 112 Conferenze episcopali del mondo stanno dando risultati positivi. Forti restano, tuttavia, i problemi e gli ostacoli di tipo culturale nello sforzo di elaborare delle linee guida univoche per contrastare il fenomeno, come ha sottolineato padre Hans Zollner presidente del Comitato Direttivo del Centro per la Protezione dei Minori. ''Più di tre quarti delle Conferenze episcopali - ha detto il reverendo Robert Oliver - hanno consegnato le loro risposte sulle linee guida alla Congregazione per la Dottrina della Fede, il maggior numero sono da Sud America, Nord America, Oceania e Europa'' e ''di recente la Congregazione ha cominciato a inviare osservazioni alle singole Conferenze episcopali''. Al primo posto delle indicazioni del dicastero vaticano c’è la cura delle vittime e l’obbligatorietà della cooperazione con le autorità civili nel perseguire i crimini di abuso sessuale. Il progetto di formazione a distanza promosso dal Centro per la tutela dei Minori con sede a Monaco, si è concentrato sui Paesi in cui la percezione del fenomeno è ancora bassa, ma nei prossimi 3 anni si prefigge di coinvolgere un numero crescente di diocesi nei 5 continenti. Il professor Hubert Liebhardt, direttore del Centro, ha sottolineato come lo sforzo di questa iniziativa sia diretto in particolare a garantire una efficace prevenzione degli abusi.

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    La mostra "Il cammino di Pietro". Il curatore: la fede diventa un viaggio nell'arte

    ◊   Sarà inaugurata questa sera a Castel Sant’Angelo, alla presenza del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, la mostra “Il Cammino di Pietro”, una delle iniziative in calendario per l’Anno della Fede. L’esposizione propone, fino al 1 maggio 2013, capolavori provenienti dalle più prestigiose sedi museali europee. Federico Chiapolino ha chiesto al curatore, don Alessio Geretti, su quali criteri si è basato per proporre un tema così impegnativo:

    R. – Abbiamo pensato che nell’Anno della Fede la cosa migliore fosse raccontare cos’è la fede e non definirla in maniera astratta, attraverso l’avventura umana e spirituale dell’Apostolo Pietro. In questo si trovano anche i criteri di tutte le altre scelte che nella mostra sono state fatte. Il criterio narrativo: la mostra non è costruita sulla base dei confronti tra le scuole artistiche, ma sulla base dei momenti della vita di Pietro e, dunque, delle diverse sfaccettature che la fede ha e rivela nella sua esperienza. Il secondo criterio è quello dell’accompagnamento dei visitatori attraverso diversi linguaggi, in modo da farci entrare nella vicenda di Pietro e nel clima dei momenti diversi di quella vicenda. La parola scritta, le apparizioni teatrali previste lungo il cammino della mostra, la proiezione cinematografica a un certo punto del cammino, la musica nei passaggi fondamentali, l’illuminazione dinamica che ci invita non solo a guardare le opere ma a seguire una sorta di vera e propria rappresentazione drammaturgica: sono tutti criteri di costruzione del percorso che rispondono alla logica iniziale, cioè coinvolgere e avvolgere il visitatore in un grande racconto, per poi invitarlo a uscire e a guardare dalla loggetta di Castel Sant’Angelo la cupola della Basilica di San Pietro, pensando che lì è finito e in un certo senso è ricominciato il cammino di Pietro.

    D. - Nel percorso espositivo, quali sono le opere più emblematiche, più significative, su cui è bene soffermarsi?

    R. – Non è così facile scegliere, perché le opere in mostra sono già il frutto di una selezione accurata. Senz’altro, però, momento per momento, ne potremo indicare una. Credo che fra le opere presenti, la moneta del tributo trovata da Pietro nel pesce, dipinta da Mattia Preti, sia particolarmente potente. Penso che l’orazione nell’orto di Marcello Venusti, stretto parente artistico di Michelangelo, potrebbe essere l’opera su cui soffermarsi di più, non soltanto per ragioni stilistiche e storiche, ma anche perché è uno dei rarissimi casi in cui nel Getsemani viene rappresentato il momento in cui Gesù sveglia Pietro. Poi, il rinnegamento di Pietro di Georges de La Tour, una delle opere più importanti della mostra, uno dei notturni più belli della storia dell’arte, con accanto le “Lacrime di Pietro” inedite di Guercino, toccante, commovente. E poi l’alba più bella della storia dell’arte, quella di Eugène Burnand, la corsa di Pietro e Giovanni al sepolcro di Gesù vuoto al mattino della Risurrezione.

    D. - Perché la scelta innovativa di proporre un’offerta che non è solo visiva ma sinestetica, multisensoriale, multimediale?

    R. – Perché il cristianesimo è una forma di materialismo spirituale. Il cristianesimo non ha mai concepito l’incontro con Dio senza passare per la concretezza degli incontri fisici e per la dignità della materia. Per questo ha generato arti in tutte le forme possibili e ci pareva non secondario che nell’Anno della Fede, sulla fede, si chiamassero a raccolta diverse arti e non una soltanto.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Non siamo Dio: Benedetto XVI pone all'origine dell'essere umano la ragione eterna del Padre, il suo amore e la libertà.

    L'illusione dei superpoteri: in prima pagina, Laura Palazzani su pillole dell'intelligenza e doping cognitivo.

    Dialogo al Cairo: in rilievo, nell'informazione internazionale, i colloqui tra i presidenti egiziano e iraniano, dedicati ai rapporti bilaterali e alla crisi siriana.

    In cultura, l'inaugurazione - da parte del cardinale segretario di Stato - della mostra "Il cammino di Pietro", nel cinquantesimo dell'apertura del concilio Vaticano II e nel ventesimo della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica,e il ricordo degli anni conciliari da da parte di Massimo Marcocchi (che esce su "La Rivista del Clero Italiano").

    Vivere fino alla fine: Lucetta Scaraffia sul libro di Ferdinando Cancelli che chiarisce alcuni concetti stravolti dalla cattiva informazione.

    E Papa Ratti disse "Siamo tutti semiti": Valerio De Cesaris sulla svolta razzista del fascismo e la dura opposizione della Chiesa.

    Quando l'oriente arrivava da Firenze: Simona Verrazzo sugli ambiziosi progetti editoriali in arabo, siriaco, persiano, turco, ebraico della tipografia della Biblioteca Medicea.

    Nell'informazione vaticana, un articolo dal titolo "Se il cardinale ascolta Amy Winehouse": concerto rock per la seduta pubblica che apre la plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura.

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    Oggi in Primo Piano



    Caos in Tunisia dopo l'uccisione del leader dell'opposizione Belaid

    ◊   Sgomento in Tunisia per l’omicidio, stamani nella capitale, del leader dell’opposizione Belaid, coordinatore del partito progressista “Patrioti democratici uniti”. Un’uccisione che ha causato un’ondata di proteste. In molte città, migliaia di persone sono scese in piazza, diverse sedi del partito al potere Ennahda sono state date alle fiamme. Il servizio di Benedetta Capelli:

    Colpi di pistola sparati a breve distanza hanno ucciso stamani, fuori dalla sua casa di Tunisi, Chokri Belaid, 48 anni, avvocato, uno dei più importanti esponenti dell’opposizione. Negli ultimi giorni, aveva espresso molte riserve sull’operato del partito al governo Ennahda, al centro delle critiche anche per uno scandalo di corruzione nel quale è finito uno dei suoi ministri. Belaid aveva pure denunciato il tentativo islamista di “smantellare lo Stato” e di creare milizie per terrorizzare il Paese. Alla notizia della sua morte, migliaia di persone hanno manifestato sotto il ministero dell'Interno e in diverse città tunisine, compresa Sidi Bouazid, “culla” della rivoluzione dei gelsomini che nel 2011 segnò la caduta di Ben Ali. Qui, si segnalano anche lanci di lacrimogeni per disperdere la folla. Date alle fiamme pure alcune sedi del partito Ennahda, formazione indicata dai parenti di Belaid come mandante dell’assassinio. Intanto, proprio il presidente di Ennahda Gannouchi ha condannato l’uccisione di Belaid, il premier Jebali ha invocato lo spettro del terrorismo. Il presidente Marzouki – da Strasburgo ma in procinto di rientrare nel Paese – ha parlato di “odioso assassinio”. Sulla stessa linea il presidente dell'europarlamento, Schultz, per il quale “questo crimine non può restare impunito”.

    Su quanto sta accadendo nel Paese, Benedetta Capelli ha intervistato Chiara Zappa di "Missionline", da poco rientrata da Tunisi:

    R. – E’ stato un omicidio shock, nel senso che nessuno si aspettava veramente un’escalation di questo tipo. Il Paese è in un momento di fortissima difficoltà da tanti punti di vista: sia per la crisi economica molto forte, che attanaglia la Tunisia e che non è stata assolutamente affrontata in modo adeguato dal governo – il popolo è molto arrabbiato e deluso – sia dal punto di vista sociale. Il Paese è fortemente diviso a metà, si è creata una frattura molto forte tra laici e un’altra parte di popolazione che si considera in qualche modo depositaria della tradizione islamica, anche invasiva nella vita privata. Il problema emerso – me lo diceva anche la tunisina Lina Ben Mhenni, attivista e protagonista dell’inizio della "primavera araba" con il suo blog “Tunisian girl” – è che il governo, a maggioranza islamica, non fa che fomentare queste divisioni tra una parte del popolo e tutti quelli che si definiscono laici, che cercano di portare avanti alcune istanze e che vengono invece fatti passare per “non buoni” musulmani. Inoltre, vengono fatti passare per conservatori, ovvero ancora vicini a ciò che era il passato, quindi alla corruzione di Ben Ali… Questa polarizzazione forte e violenta all’interno del Paese ha dato origine in questi mesi a molti episodi di violenza da parte di gruppi legati ai salafiti, ma anche alle milizie create dal partito di Ennahda che vengono poi fatte passare come garanti della rivoluzione.

    D. – Adesso quali scenari si possono prospettare?

    R. – Gli scenari che a questo punto si prospettano sono veramente gravi, nel senso che è cambiato qualcosa in questi giorni. Il governo si poneva un po’ come baluardo contro la corruzione e proprio in questi giorni c’è stato lo scandalo del ministro degli Esteri di Ennada che è stato coinvolto in un caso di corruzione molto grave. Quindi, questa cosa è uscita allo scoperto e, secondo me, ha messo veramente in difficoltà il suo partito. A questo punto – dopo questa uccisione – lo spettro della violenza civile oggi aleggia davvero. È stato fatto un passo in più, uno "strappo" per portare alle estreme conseguenze questa empasse.

    D. – A due anni di distanza, che bilancio si può fare nel Paese tunisino? Quali sono i pro e quali invece i contro della rivoluzione?

    R. – Il bilancio di questi due anni è come sempre positivo. Positivo soprattutto il tentativo di cambiamento, perché ci si è liberati davvero da una dittatura. Quello che è venuto dopo, però, ovvero le tensioni interne, per ora hanno prevalso. Per quanto riguarda l’economia, il governo della Tunisia non è stato in grado di trovare delle soluzioni “strutturali” e a questo si aggiunge il fatto che il Paese è percepito dall’esterno come instabile e infatti una voce importante del bilancio tunisino – quella del turismo – è andata in crisi. Fa tutto parte, come dicono i critici, dell’incapacità di gestire la transizione perché è stato lasciato troppo spazio – l’impressione è questa – a questi gruppi di salafiti che non sono al governo. Ma i critici dicono che c’è una connivenza da parte dei partiti islamici moderati al governo e i gruppi di salafiti che hanno attaccato, per esempio, resort turistici. Quindi, è tutto un circolo vizioso e, secondo me, il bilancio della rivoluzione è chiaramente positivo nel senso del cambiamento e nel fare passi in avanti, ma è chiaro che oggi questi passi in avanti non saranno gratis.

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    Siria: attentato suicida a Tadmor. Zone del Paese in mano alla piccola criminalità

    ◊   Nuovi bombardamenti in Siria alle periferie di Damasco e Aleppo. Stamani, un attentatore suicida si è fatto saltare in aria nei pressi della sede dei servizi nella città di Palmira, provocando un numero imprecisato di vittime. Dopo l’attentato, riferisce l'Osservatorio siriano per i diritti umani a Londra, un commando di ribelli ha attaccato l'edificio e sono scoppiati violenti scontri in tutta la città. Proprio all'interno dell'opposizione, si registra una spaccatura tra chi vorrebbe dialogare con alcuni personaggi vicini ad Assad e chi invece rimane su posizioni oltranziste. Intanto, in diverse zone sotto il controllo degli insorti, gruppi della criminalità locale vivono sempre più spesso di furti, rapimenti e altri delitti. Giancarlo La Vella ne ha parlato con la giornalista Susan Dabbous, raggiunta telefonicamente al confine tra Libano e Siria:

    R. – Basta oltrepassare il confine per vedere i villaggi siriani gestiti oramai da una criminalità locale. In particolare, mi ha colpito uno di questi centri, dove ormai c’è un unico personaggio che controlla ogni aspetto della vita dei civili, da quello economico a quello legale. Esiste, quindi, una Corte islamica che decide i casi di controversie, esiste una microeconomia, che ruota intorno a furti e contrabbando. Inoltre, qualsiasi aspetto della vita quotidiana passa attraverso la concessione da parte di questa figura che è il capo in questo posto.

    D. – Questa criminalità ha una connotazione politica o dobbiamo parlare invece di un fenomeno a sé stante?

    R. – No, non ha una connotazione politica. A causa della guerra, ci sono tantissimi disoccupati in Siria e per questo alcuni di loro hanno dato vita a bande specializzate in furti di auto – in particolare nei quartieri bene di Aleppo e Damasco – che poi vengono rivendute in piccoli villaggi. Spesso queste macchine oltrepassano anche la frontiera, ad esempio vanno in Turchia.

    D. – In questo quadro, possiamo inserire i recenti rapimenti che sono avvenuti in Siria?

    R. – Sì. Se da un lato c’è l’esercito siriano libero, che ha il controllo nei territori cosiddetti “liberati dal regime”, dall’altro dentro questo territorio si inseriscono bande che, oltre ai furti di piccole entità, si dedicano anche ai rapimenti. Ovviamente i sequestri degli stranieri, come nel caso dell’ingegnere italiano rilasciato pochi giorni fa, fanno più scalpore. Ma c’è un fenomeno di micro-rapimenti che durano per poche ore o per pochi giorni e per un riscatto piuttosto minimo.

    D. – In che modo vengono gestiti i proventi di questa attività criminosa?

    R. – Le persone, appunto piccoli criminali, in questo modo si guadagnano da vivere. Tuttavia, c’è anche chi sta facendo molti soldi con questa situazione, soprattutto con il contrabbando delle armi, che vengono vendute dagli ufficiali del regime o dalle cosiddette “milizie pro-regime” a intermediari. Questi, a loro volta, le rivendono all’esercito siriano libero. In particolare, in questo settore c’è chi sta facendo veramente molti soldi. Al momento questo denaro resta in Siria, come nel caso di personaggi minori, mentre chi fa il contrabbando da anni e ha una certa posizione consolidata ovviamente investe questi soldi all’estero.

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    Usa: Obama fa causa a Standard & Poor's e per responsabilità nella crisi economica

    ◊   Il presidente americano, Barack Obama, fa causa a Standard & Poor's e chiede cinque miliardi di danni: il colosso del rating è accusato di aver sopravvalutato titoli immobiliari, scatenando la crisi. Il servizio di Salvatore Sabatino:

    Una causa civile senza precedenti, per risarcire parte dei danni causati dalla crisi dei mutui subprime scoppiata nel 2007. Standard & Poor's (S&P) – secondo il Dipartimento alla giustizia americano – avrebbe delle grandi responsabilità, per aver gonfiato le valutazioni di alcuni mutui ipotecari. Questo pur essendo a conoscenza degli enormi rischi e della possibilità, poi divenuta realtà, di scatenare una forte recessione. Tutti i dati sono contenuti in un corposo e segretissimo dossier, che a giorni dovrebbe essere presentato in Tribunale. Ultimo atto di una lunga indagine delle istituzioni a "stelle e strisce" sulle principali agenzie di rating. Indagini che hanno scavato pure nelle valutazioni degli altri due colossi del rating, Moody's e Fitch, su cui non sono, però, state riscontrate irregolarità e che, dunque, restano fuori dalla bagarre. “Le accuse contro di noi sono false e immotivate”, si difende S&P, che in una nota sottolinea come il suo impegno, anche nel 2007, sia stato sempre quello di “garantire gli interessi degli investitori e di tutti gli attori del mercato, fornendo opinioni indipendenti sul valore dei prodotti finanziari sottoposti alla sua valutazione”.

    Sulla decisione dell'amministrazione Obama di far causa al colosso Standard & Poor's, Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento dell’economista dell’Università Luiss, Nicola Borri:

    R. - Sarà molto interessante vedere quale sarà il giudizio sulla causa intentata da Obama, perché la linea di difesa di Standard & Poor’s - che è poi la linea scelta delle altre agenzie di rating in procedimenti intentati da privati - è quella del primo emendamento ovvero quello che riguarda la libertà di espressione. Ciò che le agenzie di rating sostengono è che esprimono semplicemente dei giudizi e che quindi poi non possono essere considerate responsabili di eventuali difformità rispetto ai giudizi stessi che loro hanno espresso.

    D. - Cosa comporterebbe una vittoria dell’amministrazione Obama?

    R. - Un forte colpo indietro per le agenzie di rating, che vedrebbero il loro business estremamente ridotto. Ciò che però è necessario sottolineare, è che tutt’ora quello che rende il giudizio delle agenzie di rating fondamentale, è la regolamentazione stessa degli Stati Uniti, ma anche in Europa, che obbliga molte istituzioni finanziarie, fondi pensione, a mantenere una certa quota del proprio investimento in titoli che abbiano un determinato rating. E’ dunque la stessa regolamentazione a far si che le agenzie di affidabilità con i loro giudizi siano fondamentali. Quindi piuttosto che procedere per vie legali contro queste, forse andrebbe ripensata la regolamentazione.

    D. - Questa decisone potrebbe aprire ad un ripensamento?

    R. - Questa decisione sicuramente indica che la politica negli Stati Uniti ha deciso di intraprendere un’azione molto più aggressiva di regolamentazione dei mercati. Quello che però è da vedere è se poi - nei fatti - questa maggiore regolamentazione sarà efficace o meno. Il rischio è che queste amministrazioni pubbliche negli Stati Uniti, ma anche in Europa, cerchino un po’ di soddisfare l’appetito dell’investitore o del cittadino che è rimasto deluso e scottato sui mercati finanziari, senza però poi veramente dare il colpo decisivo che possa rendere questi mercati meglio regolamentati e quindi più efficaci, più giusti per tutti gli investitori.

    D. - Ma questa causa civile intentata da Barak Obama, mette in discussione anche l’affidabilità globale delle agenzie?

    R. - Secondo me no. Quello che però probabilmente cambierà è un po’ il meccanismo che lega le agenzie di rating con chi emette i prodotti che poi devono essere giudicati. Ovvero, nel caso dei prodotti che l’amministrazione Obama sta prendendo in questione, le agenzie di rating emettevano un giudizio dopo che l’emittente del titolo stesso aveva chiesto questo giudizio ed aveva pagato per ottenerlo. Quindi c’è un potenziale rischio di collusione tra chi compra il giudizio, l’emittente, e chi vende il giudizio, l’agenzia di rating. Questo conflitto di interesse, che è inerente al ruolo della agenzie di rating, in questo caso deve necessariamente essere risolto con una maggiore regolamentazione. Al contrario nel caso del rating sovrano, cioè quello di un Paese come l’Italia o come la Spagna, le agenzie di rating non sono pagate dai Paesi emittenti di queste obbligazioni. Quindi questo meccanismo di conflitto di interesse non viene ad esistere.

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    Appello dell'Europarlamento: banche sostengano le piccole imprese

    ◊   Alla vigilia del Consiglio europeo a Bruxelles, decisivo per un accordo sul bilancio dell'Unione Europea, dal Parlamento europeo, a Strasburgo, arriva un forte appello ai capi di Stato e di governo a non tagliare le risorse per il periodo 2014-2020, proprio in un momento in cui bisogna sostenere la crescita di alcuni Paesi. E poi un deciso richiamo sul ruolo delle Banche. Il servizio da Strasburgo della nostra inviata, Fausta Speranza:

    L’Aula di Strasburgo ha ascoltato ieri il presidente Hollande che, a nome di Italia e Spagna, si è impegnato a difendere peri prossimi sette anni almeno le risorse stanziate finora, mentre Germania, Finlandia e altri Paesi del Nord vogliono tagliare i costi dell’Unione. Agli europarlamentari, Hollande ha spiegato che si tratta di una questione di principio: è in ballo – ha detto – la concezione di solidarietà su cui si basa l’Unione Europea. E alla vigilia del meeting dei capi di Stato e di governo, dal Parlamento europeo espressione del voto popolare, arriva chiaro l’appello ad assumersi più responsabilità. Alain La Massoure è il presidente della Commissione bilancio dell’Europarlamento:

    "Sur la base d’informations qui ont filtrées…
    Sulla base delle informazioni che abbiamo filtrato, secondo il Rapporto della Commissione europea, la 'forbice' sarebbe tra -73 miliardi (Consiglio europeo di novembre) e -90 miliardi, o forse ancora meno. In ambedue i casi, questo significherebbe che il budget europeo per il 2020 sarebbe inferiore a quello di oggi – cioè, sette anni prima – e sarebbe, sia nel migliore dei casi sia nel caso meno peggiore, riferito al budget del 2008, cioè precedente alla crisi finanziaria causata della Lehman Brothers, o a quello del 2004, cioè prima dell’allargamento dell’Unione ai 12 Paesi dell’Europa centrale e orientale, con Malta e Cipro. Quale parlamentare europeo può accettare ciò e in nome di che cosa? Senza dubbio, l’ordine del giorno riguarda l’economia di bilancio, l’ordine del giorno del 2013. Il nostro mandato scade tra un anno: come potremmo condannare i nostri successori e i successori dei nostri successori - e nel 2019 ci saranno nuove elezioni europee - all’austerità budgetaria e all’incapacità di finanziare una qualsiasi nuova politica europea per tutta la durata del mandato? Chi si prenderebbe questa responsabilità? E aggiungo: spero che i membri del Consiglio europeo diano a questa responsabilità la stessa importanza che le conferisco io e spero che altrettanto facciano il presidente del Consiglio europeo e il presidente della Commissione europea. Chi sono loro, e chi siamo noi, per condannare i nostri successori all’impossibilità di finanziare le nuove decisioni di cui potrebbero avere bisogno?“.

    Inoltre, gli eurodeputati – con una risoluzione molto chiara – mettono nero su bianco le richieste per sostenere le piccole e medie imprese. A proposito di crescita, ricordano che ci sono, in Europa, oltre 23 milioni di piccole e medie imprese in difficoltà. Il problema comune è l’accesso al credito: mancano regole chiare per tutti in tema di finanziamenti di Stato e di responsabilità delle banche. Dunque, gli eurodeputati chiedono chiaramente ai governi di pretendere dagli istituti di credito che sono stati sostenuti con aiuti di Stato o finanziamenti dalla Banca centrale europea di erogare prestiti su misura alle piccole e medie imprese.

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    Mutilazioni genitali femminili: colpiscono 140 milioni di donne e bambine nel mondo

    ◊   Potrebbe arrivare fino a 140 milioni circa il numero delle donne e delle bambine, nel mondo, ad aver subito una forma di mutilazione genitale. A loro se ne aggiungono, ogni anno, altri tre milioni. I dati sono dell’Oms, l'Organizzazione mondiale della sanità, che indica nell’Africa, con 27 Paesi, il continente in cui il fenomeno è più diffuso, dove sono oltre 90 miloni le ragazze di età superiore ai 10 anni vittime di questa orribile pratica. Da segnalare che, purtroppo, negli ultimi tempi l’età è scesa ai 4/5 anni e che alcuni casi si sono verificati anche in Paesi occidentali, a causa delle migrazioni. Egitto, Eritrea, Gibuti, Guinea, Mali, Sierra Leone e Somalia sono alcuni tra i paesi in cui il fenomeno riguarda praticamente l’intera popolazione femminile. L’organizzazione "Plan Italia", da tempo impegnata in alcuni di questi Paesi, in occasione dell’odierna Giornata contro le mutilazioni genotali femminili lancia una petizione rivolta al futuro governo italiano, affinché si impegni ad affrontare la sfida della eliminazione di queste pratiche nei Paesi in cui vengono ancora eseguite. Sulle ripercussioni patite dalle ragazze vittime delle mutilazioni, Francesca Sabatinelli ha sentito Tiziana Fattori, direttore nazionale di Plan Italia:

    R. - E' un dolore atroce e un trauma che si porteranno avanti per tutta la vita. Si verificano poi infezioni, molto spesso, perché queste pratiche non vengono fatte in condizioni di igiene, protette, ma vengono assolte all’aperto, proprio come una vera cerimonia di iniziazione, con strumenti che non sono assolutamente sterilizzati. Per tutta la vita, si porteranno avanti infezioni alle vie urinarie, cisti... Ci sono crescenti casi di infertilità, provocati proprio da questa pratica e gravi complicanze anche durante il parto. E per questo c’è un aumento anche del numero di neonati che muoiono subito dopo esser venuti alla luce.

    D. - Per molti, le mutilazioni genitali femminili sono da ricondurre a motivi religiosi, ma sappiamo che questo non è vero, o meglio, è vero in parte. Cosa determina in certe comunità la scelta di praticare le mutilazioni?

    R. - In molti casi, è veramente vista come il rispetto di una tradizione locale molto radicata nella comunità. Viene praticata infatti dalle madri: sono loro che vogliono che la figlia si sottoponga alla pratica, perché ritengono che se non escissa la figlia non potrà mai trovare marito e non potrà mai quindi essere accolta dalla comunità. In un certo senso, viene vista positivamente dalle stesse bambine, che naturalmente non sanno cosa aspetta loro, e vedono nel rito una cerimonia di iniziazione, per essere pronte poi al matrimonio. In certi casi, è vista come pratica per raggiungere una maggiore fertilità - ma è stato dimostrato che è assolutamente il contrario - e anche per ottenere una maggiore igiene, riconducendo l’escissione alla circoncisione maschile. Sappiamo, invece, che si tratta di due pratiche che non sono assolutamente paragonabili.

    D. - La diffusione delle mutilazioni genitali femminili è amplissima. Di che Paesi si tratta e ce n’è qualcuno che sta facendo marcia indietro?

    R. - Ancora oggi, è praticata per la maggior parte in Africa, in alcune zone dell’Asia e nel Medio Oriente. Ci sono sicuramente Paesi che, grazie a un intervento a livello governativo e a un grande lavoro con le comunità locali, stanno uscendo con successo da questa atrocità. Ad esempio, Plan sta lavorando da diversi anni in Burkina Faso e in Guinea. Proprio in quest’ultimo Paese, è in vigore, da circa 40 anni una legge che prevede anche pene severissime, lavori forzati e addirittura la pena di morte per il colpevole, se la bambina muore a causa dell’escissione. Eppure, il 98% delle donne è escissa e non mai stato punito nessuno. Dal 2007, Plan ha iniziato a lavorare in Guinea con un’organizzazione locale che si chiama "Afaf" e - con un intenso lavoro a livello comunitario, individuando una cerimonia alternativa di iniziazione all’età adulta - nell’aprile del 2008 un primo villaggio si è dichiarato libero dalla pratica delle mutilazioni genitali femminili, seguito subito dopo da villaggi limitrofi: un grandissimo successo, secondo noi, in un contesto come la Guinea.

    D. - C’è una risoluzione delle Nazioni Unite che ha messo al bando le mutilazioni genitali femminili e, come spiegava per la Guinea, ci sono molti Paesi che hanno inserito nel loro Codice penale il reato in questo senso. Nonostante questo, però, vengono ancora praticate seppur in modo clandestino o con la connivenza delle autorità e dello Stato. È così?

    R. - Sicuramente sì. Come, appunto, il caso della Guinea, abbiamo anche il caso dell’Egitto o il caso del Mali. Riteniamo che si debba stare molto attenti a non legittimare la “medicalizzazione” della pratica delle mutilazioni genitali. In molti Paesi, si cerca di convincere le comunità locali a non praticarle più perché hanno conseguenze di tipo igienico-sanitario. La risposta della comunità è stata quella di dire: allora le facciamo all’interno di un centro sanitario, con personale medico, in un ambiente sterile. Questo, purtroppo, non fa altro che perpetuare la pratica, mentre noi vogliamo che venga abbandonata.

    D. - Quanto conta in tutto questo lo status socio-economico delle bambine?

    R. - Conta tantissimo. Abbiamo visto che nei Paesi come ad esempio l’Egitto, dove questa pratica sta per fortuna diminuendo, dove c’è una migliore condizione economica - ma soprattutto dove c’è una maggiore istruzione e quindi una maggiore possibilità da parte delle donne di avere un’educazione di qualità - sicuramente la pratica viene abbandonata più rapidamente.

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    Incontro delle Chiese cristiane europee: intervista con i cardinali Erdő e Bagnasco

    ◊   Si sono chiusi oggi a Varsavia, in Polonia, i lavori del Comitato Congiunto della Conferenza delle Chiese Europee (Kek) – che riunisce le Chiese e le comunità ortodosse, protestanti e anglicane del Vecchio continente - e del Consiglio delle Conferenze Episcopali cattoliche Europee (Ccee). Al centro dei lavori, il tema “Fede e religiosità in un’Europa che cambia. I nuovi movimenti cristiani in Europa: sfide o opportunità?”. “I partecipanti - informa un comunicato finale - hanno esaminato la sfida posta alle Chiese cristiane dai gruppi e movimenti religiosi che si collocano al di fuori della corrente maggioritaria delle Chiese cristiane”, ribadendo tanto la necessità di una nuova evangelizzazione quanto del rinnovamento della vita delle Chiese. “Particolare preoccupazione” è stata espressa per “quei migranti che sono venuti in Europa, ma non si sentono a loro agio nella corrente maggioritaria delle Chiese europee e si rifugiano in uno di questi nuovi movimenti religiosi”. Tra gli interventi anche quello del cardinale Angelo Bagnasco, vice-presidente del Ccee, che ha parlato degli interrogativi che pone il fenomeno dei nuovi movimenti religiosi. Ascoltiamo la sua riflessione:

    R. – Ci deve far riflettere sul perché ci sono fuoriuscite di cattolici, o comunque di cristiani, verso questi nuovi movimenti. Quindi, il bisogno di una maggiore accoglienza, di un’appartenenza più avvertita, di una dimensione anche più gioiosa e partecipata, sicuramente sono elementi, sono fattori su cui dobbiamo riflettere, perché sono esigenze reali della persona umana. Evidentemente, le nostre comunità devono anche un po’ rimotivare e riflettere su se stesse. Questo, in prima battuta. Un secondo motivo che abbiamo analizzato è che a volte questi nuovi movimenti fanno delle promesse facili, non solo sotto il profilo strettamente spirituale, ma anche sotto il profilo materiale e fisico del successo nella vita: queste sono promesse che poi non si adempiono e che deludono. Tant’è vero che al recente Sinodo sulla nuova evangelizzazione, molti vescovi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, dicevano: sì, questo fenomeno del passaggio dalla Chiesa cattolica ai nuovi movimenti esiste, però c’è anche il fenomeno contrario, un fenomeno di ritorno, quindi, proprio perché la gente vede che le promesse di benessere materiale, di superamento delle varie povertà e via discorrendo non si realizzano, come è ovvio. Un terzo elemento, a mio parere, è una “teologia facile”, o se vogliamo un “messaggio religioso facile” da parte di questi movimenti che non mi pare chiedano un notevole impegno di approfondimento teologico, dottrinale. Puntano molto di più sull’esperienza dell’essere insieme e quindi sull’emotività molto forte dei soggetti, che fa parte dell’uomo ma che non è tutto l’uomo. Questo è un elemento che, evidentemente, le Chiese storiche non possono rincorrere: puntare sull’emotività e tralasciare l’impegno quotidiano … L’ultimo elemento che abbiamo messo in rilevo, è che spesso i nuovi movimenti sono un po’ deboli - se non addirittura assenti - sul piano della dimensione sociale: il messaggio, l’esperienza sono molto centrati sul singolo, sulla persona, se pure insieme, per creare un grande pathos collettivo, ma quello che riguarda la trasformazione della società - rispetto alla giustizia, alla pace e via discorrendo – sembra affidato più al singolo, ma in termini estremamente personalistici. Quindi, sono elementi su cui bisogna riflettere e su cui stiamo riflettendo, per fare tesoro della parte che ci può riguardare direttamente e per valutare serenamente anche aspetti che sono certamente limitati.

    D. – Nell’Anno della Fede, questi nuovi movimenti ci stanno dicendo che c’è una forte “domanda di Dio”. Come la Chiesa italiana, le Chiese storiche devono rispondere a questa “domanda di Dio”?

    R. – Intanto, con una catechesi più profonda, più articolata e fedele, che però sia sempre congiunta con un’esperienza globale della vita cristiana, di cui la catechesi è evidentemente un elemento. Poi, c’è la vita sacramentale, la vita di preghiera personale, la liturgia, la testimonianza della carità, la comunità cristiana, ecclesiale; quindi, l’esperienza è un percorso e non è soltanto un fattore. Certamente, il fattore della catechesi è un fattore importante. Si parla di “analfabetismo religioso” e l’analfabetismo si colma attraverso l’approfondimento dottrinale. Una seconda cosa - risuonata anche nel Sinodo – è una maggiore attenzione alla pietà popolare, alla devozione popolare, che qualche volta abbiamo un po’ guardato come una forma di serie B della religiosità, ma che fa parte dell’umano. La devozione è, certo, da purificare laddove deve essere purificata, anche da sostanziare, ma assolutamente da valorizzare.

    Durante l’incontro il cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente del Ccee, ha parlato dei pericoli, anche di carattere politico, che la Chiesa in Europa oggi corre, con il rischio di essere strumentalizzata o emarginata. Questa la sua analisi:

    R. – E’ sempre stato così! Da un lato ci sono, e c’erano anche prima, correnti in Europa che vorrebbero eliminare la religione come tale, almeno dalla vita pubblica se non dall’intera società. Una forma piuttosto forte di questo tentativo è stato il comunismo: nei nostri Paesi ne abbiamo fatto un’esperienza abbastanza dettagliata. Però, ci sono anche tentativi diversi: c’è quello di far riferimento ad una certa tradizione – tradizione che oggi forse non è più così forte nei singoli Paesi europei – che vorrebbe servirsi dell’aiuto delle Chiese restringendo però la loro attività a manifestazioni che potrebbero sembrare politicamente corrette. E’ difficile operare solamente nel campo assistenziale o sociale senza trasmettere le verità fondamentali della nostra fede! Quindi, la vita della Chiesa è complessa … Il contenuto della nostra fede non è a nostra disposizione: noi non possiamo inventare la nostra fede sempre di nuovo, a seconda dei desideri dell’ambiente; ma certamente possiamo riflettere sulla realtà intorno a noi in base alla nostra eredità cristiana: non siamo, infatti, una religione puramente filosofica e neppure una religione di sole emozioni, ma siamo una religione rivelata che necessariamente deve far riferimento al fatto storico della Rivelazione – nel nostro caso, alla Persona di Gesù Cristo.

    D. – La sua esperienza di vita in Ungheria, come può aiutare a comprendere quale sia il senso della collaborazione ecumenica?

    R. – Anche in Ungheria, il movimento ecumenico ha un passato ricco di esperienze. Certo, negli ultimi due anni in tutta Europa si sono manifestati fenomeni che parlano di una certa chiusura da parte di alcune Chiese o comunità. Eppure, la tendenza generale è rimasta ferma: miglioramento delle relazioni umane, presa di coscienza della nostra fratellanza nella fede attraverso la Persona di Gesù Cristo, ma anche il rispetto verso le differenze. Sarebbe infatti un ecumenismo troppo facile, negare le differenze teologiche che ci sono tra di noi, soltanto per sentirci bene insieme. Noi dobbiamo sentirci sempre meglio, insieme, ma dobbiamo anche lavorare insieme in quei campi in cui è possibile. Parlo per esempio della testimonianza nel campo sociale, nel campo morale: una voce cristiana che la società molto spesso aspetta. Questi sicuramente sono ambiti di solidarietà, e in questi abbiamo esperienze molto positive, soprattutto con le Chiese ortodosse, perché la loro visione teologica sull’essere umano, sulla famiglia, sul matrimonio ma anche sulla vita è uguale alla visione cattolica, e quindi è anche più facile formulare una posizione comune.

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    Pompei: la rinascita degli scavi grazie a un progetto della Commissione europea

    ◊   "Conservazione, manutenzione e miglioramento del sito archeologico di Pompei". Questo il nome del progetto di riqualificazione finanziato dalla Commissione europea con quasi 42 milioni di euro di fondi regionali, parte di un finanziamento complessivo di 105 milioni di euro. Una cifra importante, per un sito archeologico, sotto patrimonio dell’Unesco, visitato ogni anno da 2,3 milioni di visitatori. Con l'aiuto di alcune delle più sofisticate soluzioni tecnologiche all'avanguardia, si contribuirà alla conservazione degli scavi, gravemente danneggiati nel corso degli ultimi anni. Il commissario europeo per la Politica regionale, Johannes Hahn, ha dato il via stamattina alla prima tranche di lavori, che riguarderanno la "Casa dei Dioscuri" e il "Criptoportico". L'intero intervento riguarderà invece la messa in sicurezza delle "Regiones" e la mitigazione del rischio idrogeologico nel sito. Sulla caratteristiche di questo progetto, Salvatore Sabatino ha intervistato lo stesso commissario europeo, Hahn:

    R. – It’s about the rehabilitation of Pompei...
    Si tratta del restauro di Pompei: 50 anni fa, si potevano visitare più di 50 siti all’interno di Pompei. Ora, a causa del crollo dei muri, delle case e così via, se ne possono visitare solo cinque. Penso che Pompei sia un’eredità culturale di rilevanza mondiale e quindi, da questo punto di vista, è un obbligo da parte della famiglia europea investire fondi per il suo restauro. Non dovremmo comunque sottovalutare il fattore economico nel farlo: bisogna considerare che con quel poco che è stato fatto, oggi abbiamo oltre due milioni di visitatori e la potenzialità, nel futuro, è molto più alta e oltretutto potrebbe creare molti posti di lavoro nella regione: lavori duraturi, lavori pratici, impieghi per gli accademici e anche lavoro per i giovani. E da questo punto di vista, è assolutamente importante fare qualcosa usando tutti i fondi dell’Unione Europea.

    D. – Il settore turistico può aiutare a combattere la crisi economica?

    R. – Absolutely. I mean, Europe is...
    Assolutamente. L’Europa è un’attrazione per gli stranieri, non certo per il suo clima, quanto soprattutto per il patrimonio culturale, per l’atmosfera, per la varietà delle attività. Quello che chiamiamo turismo di qualità, in particolare per l’Italia, è una grande prospettiva, un grande potenziale. Perciò, è importante sviluppare siti culturali e archeologici come Pompei, per creare questo valore aggiunto, per renderlo più attraente proprio per un turismo di qualità. I turisti, infatti, spendono più denaro in queste aree rispetto a quanto spenda il turismo di massa nelle località balneari.

    D. – Pompei si trova in una Regione dove il crimine organizzato ha infettato molte aree della vita civile. Come possiamo assicurarci che i fondi vadano a finire nelle giuste mani?

    R. – There’s an established structure...
    Esiste una struttura riconosciuta adibita a questo, che garantisce che non ci sia crimine organizzato: ci sono molti filtri anti-frode. Quindi sono fiducioso che l’implementazione di questo progetto, in particolare, possa diventare un modello di come gestire progetti di questo genere.

    D. – Per quanto riguarda la difesa del patrimonio culturale, potrebbe questo essere un modello per il resto dell’Italia ed anche per il resto dell’Europa?

    R. – Yes, it could be and it will be…
    Sì, potrebbe esserlo e lo sarà. Ho avuto proprio oggi un incontro con il ministro italiano Barca, che mi ha detto che ci sono già 25 progetti più piccoli ma di struttura simile nel piano. Quindi, Pompei è l’apripista, ma ne seguiranno molti altri.

    D. – Ci sono altri luoghi in cui sarà possibile avere un progetto come questo di Pompei?

    R. – Yes, more of…
    Sì, certamente molti, perché l’Italia ha un grande numero di siti archeologici che dovrebbero essere utilizzati per un turismo di qualità e dovrebbero essere preservati come patrimonio culturale. Ci sono, dunque, molte opportunità di lavoro, in particolare in aree dove c’è un alto tasso di disoccupazione.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Cuba: governo autorizza la costruzione di una chiesa a un anno dalla visita del Papa a Santiago

    ◊   Il Consiglio Provinciale dell’Amministrazione della Provincia di Santiago di Cuba ha deciso la restituzione di due chiese e una casa parrocchiale, appartenenti all’arcidiocesi, e l’autorizzazione per la costruzione di una nuova chiesa in commemorazione della visita di Benedetto XVI, nel marzo dello scorso anno. Secondo un comunicato dell’arcidiocesi, il 26 gennaio scorso, la segretaria dell’Assemblea provinciale del “Poder Popular”, Caridad Reitor ha comunicato a mons. Ibáñez l’accordo preso dal Consiglio per la restituzione delle proprietà confiscate agli inizi degli anni ‘60, come risposta alla richiesta presentata anni fa dall’arcidiocesi. “Ringraziamo Dio e tutti quelli che hanno dato un apporto nel rendere possibili questi passi a beneficio della comunità”, si legge nella nota che annuncia, inoltre, la costruzione di nuovi edifici religiosi. Nel distretto di Abel Santamaría, zona dove negli anni ’50 si trovava la cappella di San Giuseppe Lavoratore, oggi sede dell’Accademia delle Scienze, sarà costruita una chiesa, intitolata al medesimo santo. Nella Parrocchia della Purissima Concezione, nel locale ora destinato a una panetteria locale, sarà costruita la chiesa di San Benito, mentre la Casa parrocchiale della chiesa della Nostra Signora de la Carità, sede di una scuola elementare, sarà restituita alla fine dell’anno scolastico. Riguardo alla chiesa che sarà costruita nel distretto José Martí in commemorazione della visita di Benedetto XVI, si rende noto che è stato donato l’altare costruito per la celebrazione eucaristica, del 26 marzo, nella Piazza Antonio Maceo. Infine, il comunicato dell’arcidiocesi di Santiago di Cuba informa che non sarà restituita la chiesa parrocchiale del Cobre, oggi sede di una dipendenza del ministero di Commercio Interno. Nonostante questo, l’arcidiocesi informa che ci sarà una nuova richiesta di restituzione alle autorità cubane perché l'edificio - costruito nel 1601 - ha una rilevanza storica e culturale: ha ospitato infatti la terza parrocchia nella regione orientale del Paese, ha ospitato più volte la Madonna del Cobre, ed è stato un punto di partenza dell'antico sentiero che conduceva al Santuario della Patrona cubana. (A cura di Alina Tufani)

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    Siria: esplode la “questione armena” fra i profughi in Turchia

    ◊   Nel lungo conflitto che sta dilaniando la Siria c’è un effetto collaterale: è esplosa la questione degli armeni, che potrebbe avere conseguenze anche in Turchia e nel Caucaso. La “settarizzazione” del conflitto siriano – in cui ogni gruppo sociale cerca la sua strada di sopravvivenza – rischia di toccare in modo specifico la componente degli armeni siriani, circa 100mila nel Paese, prima dell’inizio della guerra. Gli armeni sono un popolo dalla forte identità etnica, culturale e religiosa (sono cristiani). Dopo circa due anni di scontri, e data la progressiva destabilizzazione della Siria, la popolazione armena è andata a ingrossare il flusso di profughi che stanno lasciando il Paese. Mèta dei profughi è, per la gran parte, la madre patria Armenia, ma lo sono anche le comunità della diaspora presenti in Europa, America, Canada, Australia. Come appreso dall'agenzia Fides, passaggio obbligato quasi per tutti, in questo percorso, è la Turchia: colonie di armeni provenienti dall’area di Aleppo e Latakia, ma anche dalle città della Mesopotamia (Hassake, Deir Ezzor, Ras El Ein), sono giunte nelle città turche trasfrontaliere come Antiochia, Sanliurfa, Gaziantep e anche Osmaniye, Kahramanmaras e Adiyaman. I profughi siriani in Turchia, secondo cifre del governo, sono oltre 200mila. Gli armeni che hanno lasciato la Siria sono, secondo alcune stime, 20mila, mentre altre fonti diplomatiche sostengono che, nel complesso, il numero arrivi fino a 50mila. I rifugiati armeni in Turchia ora chiedono alle autorità turche di poter varcare la frontiera con l’Armenia, che la Turchia ha chiuso dal 1993 (i due Paesi non hanno relazioni diplomatiche). I profughi desiderano raggiungere l’Armenia, dove possono trovare accoglienza adeguata, sicurezza, possibilità di alloggio, lavoro e istruzione. Le autorità turche per ora non hanno concesso l’autorizzazione. Come riferito all'agenzia Fides, Ong e associazioni di armeni nella diaspora, specialmente negli Stati Uniti (“Armenian Relief Network”, “Mission Armenia” e altre) hanno lanciato una campagna di pressione e una raccolta di firme per chiedere al governo turco di “lasciar andare gli armeni”. Le Ong chiedono l’intervento del Presidente Obama per intercedere sul Premier turco Erdogan. Padre Domenico Bertogli, missionario cappuccino in Turchia, residente ad Antiochia sull’Oronte, commenta a Fides: “In città vediamo molti profughi siriani, data l’estrema permeabilità delle frontiere con la Siria. Alcune famiglie cristiane si fermano per poi cercare di raggiungere l’Europa. La questione dei rifugiati armeni l’abbiamo sentita dai mass media. Credo che, alla fine, il governo turco potrà chiudere un occhio e lasciarli andare”. La “questione armena” è tuttora un nervo scoperto nei rapporti fra Turchia la comunità internazionale, data l’annosa controversia del riconoscimento del genocidio armeno del 1915. (R.P.)

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    L'Azerbaigian protesta per i rifugiati siriani armeni in Nagorno-Karabakh

    ◊   Alta tensione fra Armenia e Azerbaigian per l’annosa questione del territorio conteso del Nagorno-Karabakh, enclave controllata dall’Armenia in territorio azero, dopo una guerra conclusa nel 1994. Due soldati azeri sono stati uccisi ieri nell'enclave da un cecchino armeno, secondo quanto denuncia il ministero della difesa dell’Azerbaigian. Si teme una nuova escalation del conflitto, legata anche alla questione del reinsediamento dei profughi ameni siriani nel territorio del Nagorno-Karabakh. Secondo i dati del governo centrale, circa 6.000 armeni siriani sono arrivati in Armenia, in seguito allo scoppio della violenza in Siria. Circa 100 famiglie siriane armene sono state insediate nei territori controllati dall’Armenia in territorio azero e il sentimento nazionalista sembra essere un fattore determinante nelle aspirazioni di reinsediamento di questi rifugiati. Il Ministro degli esteri azero ha protestato ufficialmente, esprimendo “grave preoccupazione”, notando che in Armenia vi sono molti luoghi dove è possibile ospitare i profughi e che questo potrebbe rappresentare il tentativo di mutare gli equilibri demografici nella provincia contesa. L’arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, Boutros Marayati, commenta all'agenzia Fides: “La questione del Nagorno Karabakh è una questione tra Armenia e Azerbaigian. Non vorrei che i profughi siriani fossero coinvolti strumentalmente in questo conflitto. Sappiamo che alcune famiglie amene siriane sono tornate in Armenia, dove magari hanno una casa e figli che studiano all'Università. Queste famiglie si sono trasferite a Yerevan, capitale dell'Armenia, dove so che è stata aperta anche una piccola scuola per i figli delle famiglie provenienti dalla Siria. Non abbiamo notizie dirette su famiglie andate nel Nagorno Karabach. La maggior parte degli armeni di Aleppo vivono qui, nelle condizioni difficili in cui vivono tutti. D’altronde è difficile lasciare la città: non ci sono aerei, l'aeroporto è chiuso, e spostarsi in auto è pericoloso”. (R.P.)

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    Iraq: per il patriarca caldeo Sako il settarismo può contagiare anche i cristiani

    ◊   Domani ad Erbil, il governo regionale del Kurdistan accoglierà con una cerimonia di benvenuto il nuovo patriarca di Babilonia dei caldei, Louis Sako, appena sbarcato dal volo proveniente da Vienna. Le autorità civili e religiose incontreranno e saluteranno mons. Sako presso la cattedrale caldea di San Giuseppe, ad Ankawa, sobborgo della capitale del Kurdistan iracheno. La settimana successiva, dopo essere passato per Kirkuk – la città del nord Iraq di cui era arcivescovo, prima dell'elezione patriarcale – il nuovo patriarca si trasferirà a Baghdad, dove la presa di possesso ufficiale della sede patriarcale è fissata per il prossimo 6 marzo. Contattato dall'agenzia Fides, mons. Sako mette da parte le ipotesi - circolate negli ultimi mesi sui media - di un possibile trasferimento in America del patriarcato caldeo: “Risiederò a Baghdad, anche perchè voglio stare in mezzo ai nostri fratelli cristiani e a tutti gli altri che lì continuano a vivere tra difficoltà e sofferenze. Come Pastori dobbiamo dare l'esempio, e non cercare la nostra sicurezza, soprattutto nel momento critico vissuto dall'Iraq. Il prossimo Sinodo della Chiesa caldea si farà a Baghdad, e ho chiesto personalmente a tutti gli altri vescovi, compresi quelli della diaspora, di non mancare. Anche questo può essere di sostegno per i cristiani, per il governo e per tutti gli iracheni: vedere che i vescovi caldei possono fare il loro Sinodo, e andare a salutare il Presidente e il Primo ministro, sarà per tutti un segno che la Chiesa è presente, e non bisogna per forza andare via”. Secondo il patriarca Sako, nell'attuale fase storica anche i cristiani rischiano di essere contagiati dal settarismo che avvelena la convivenza tra i popoli del Medio Oriente: “Adesso purtroppo si sente qualcuno che dice: sono più armeno che cristiano, più assiro che cristiano, più caldeo che cristiano. E persiste qua e là una mentalità tribale, per cui ogni villaggio punta a avere il 'suo' vescovo o il 'suo' patriarca. In questo modo si spegne il cristianesimo. Noi, come vescovi, dobbiamo essere vigilanti contro queste forme malate di vivere la propria identità”. A questo proposito, il nuovo patriarca giudica fondamentale il legame di comunione tra la Sede Apostolica e le Chiese d'Oriente: “Ho chiesto a Benedetto XVI di non lasciarci soli, isolati, come in un ghetto. Le nostre Chiese, anche se sono piccole nei numeri, hanno una grande importanza per testimoniare l'universalità della Chiesa. E sono essenziali anche nel rapporto con l'Islam, con cui esse hanno convissuto da sempre”. (R.P.)

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    Colombia: autobombe e scontri. Nuove minacce al processo di pace

    ◊   Lo scoppio di due autobomba, attribuite alle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), accompagnato da combattimenti tra ribelli ed esercito, ha gettato nelle ultime ore nuove ombre sul processo di pace tra governo e guerriglia. Secondo fonti militari, un veicolo è esploso nei pressi del comune di Caloto, nel convulso dipartimento sud-occidentale di Cauca, dove sono frequenti scontri tra Farc e soldati governativi. La detonazione - riferisce l'agenzia Misna - è avvenuta a un posto di blocco dei militari: il conducente, presunto membro delle Farc, ha attivato l’esplosivo, uccidendo se stesso; secondo un portavoce dell’esercito l’obiettivo degli attentatori sarebbe stata la stazione di polizia locale, all’interno del centro urbano. Un soldato è in seguito rimasto ucciso e altri due sono rimasti feriti in uno scontro a fuoco con altri guerriglieri avvenuto nello stesso luogo. La seconda autobomba è scoppiata quasi in contemporanea con la prima vicino a una cisterna di acqua che rifornisce l’area di Caloto, senza provocare vittime. Agli ultimi avvenimenti si unisce l’incertezza sulla sorte di due cittadini tedeschi che si presume siano stati rapiti dall’Esercito di liberazione nazionale (Eln), secondo gruppo guerrigliero colombiano indicato come il responsabile il 18 gennaio del rapimento di sei dipendenti di una società mineraria, fra cui tre stranieri, nel dipartimento settentrionale di Bolívar. Dal canto loro, le Farc hanno preso negli ultimi giorni in ostaggio due poliziotti e un militare che si sono impegnati a liberare con la mediazione del Comitato internazionale della Croce Rossa in data e luogo imprecisati. (R.P.)

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    Brasile: la Commissione dei vescovi per l’Amazzonia chiede più missionari

    ◊   I 42 membri del Consiglio permanente (Consep) della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb), hanno seguito l’analisi del quadro politico attuale e gli aspetti sociali ed economici della realtà brasiliana e mondiale, effettuata ieri, dalla Commissione brasiliana di Giustizia e Pace, guidata dal prof. Pedro Gontijo. Ha così avuto inizio l’incontro di studio, che si svolge dal 5 al 7 febbraio, per la presidenza della Cnbb e i vescovi che presiedono le diverse Commissioni pastorali che compongono il Consep. La nota inviata all’agenzia Fides riporta che, come parte del programma che cerca di trattare i temi più importanti della vita ecclesiale e sociale del Paese, c’è stata anche la presentazione del Rapporto della Commissione speciale per l’Amazzonia, presentato dallo stesso presidente della Commissione, il cardinale Claudio Hummes, il quale ha affermato, come premessa urgente, “la necessità di contare su un maggior numero di missionari e missionarie. Questo è ciò che ho sentito da quasi tutti i vescovi incaricati nei diversi luoghi dell’Amazzonia: abbiamo bisogno di più missionari e missionarie. Benché si tratta di una Chiesa coraggiosa, abbiamo necessità di missionari” ha ribadito il cardinale. (R.P.)

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    Spagna: messaggio del card. Ouellet per la Giornata Ispanoamericana

    ◊   Tra meno di un mese, domenica 3 marzo, le diocesi di Spagna celebreranno la Giornata Ispanomericana, istituita nel 1959 per ricordare i vincoli di solidarietà, comunione e collaborazione evangelizzatrice tra la nazione iberica ed il continente latinoamericano. Per l’occasione, il card. Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina (Cam), ha diffuso un messaggio, dal titolo “America, porta aperta alla missione”: in esso, il porporato evidenzia come, nel corso dell’Anno della fede, indetto da Benedetto XVI per celebrare i 50 anni del Concilio Vaticano II, sia “irrinunciabile la chiamata all’impegno missionario”, poiché “è l’amore di Cristo che spinge ad evangelizzare”. Tanto più che, continua il card. Ouellet, “l’impulso missionario è sempre stato, e continua ad essere, il miglior indicatore della vitalità della fede della Chiesa e delle sue comunità cristiane”. Il porporato, quindi, evidenzia un dato significativo: oggi, “più del 50% dei cattolici di tutto il mondo risiede nel continente americano””, a dimostrazione del fatto che “la fede suscitata ed alimentata da migliaia di sacerdoti diocesani, da religiosi, religiose e laici provenienti da tutta la Spagna è stata portata avanti fino ad oggi grazie all’impegno missionario”. C’è, tuttavia, un aspetto che il presidente della Cam mira a sottolineare, ovvero che la nuova evangelizzazione si basa sulla “conversione pastorale”, poiché oggi “l’America Latina necessita di una nuova evangelizzazione di fronte alla realtà del cambiamento tanto profondo che sta avvenendo all’interno della sua società”. Tale cambiamento, scrive il porporato, ha aspetti positivi, come “l’intensa crescita economica che ha portato all’aumento della classe media ed allo sviluppo di nuovi areopaghi nel campo della politica, delle università e dei mass media”. Non mancano, tuttavia, i lati negativi, come “l’emarginazione di alcuni settori, la povertà e la sofferenza che si incontrano nelle periferie delle grandi città, la solitudine degli anziani, l’abbandono delle donne, gli immigrati che vengono sottoposti ad ogni genere di violenza, le vittime dell’alcolismo, della tossicodipendenza e della delinquenza”. E non solo: il card. Ouellet sottolinea come la realtà latinoamericana oggi sia pervasa ovunque “dalla cultura globale del relativismo e dell’edonismo, dall’erosione della religiosità popolare” e come ciò vada contro “l’istituzione familiare e la cultura della vita, lasciando i giovani smarriti, spesso orfani dei genitori, maestri ed educatori”. Proprio per questo, spiega il porporato, “la Chiesa in America Latina ha assunto, come principale impegno missionario, quello della conversione pastorale”, intesa come risposta alla chiamata di “essere discepoli di Cristo per farlo conoscere al mondo”. Questa conversione, sottolinea il presidente della Cam, riguarda “tanto le persone che le strutture della Chiesa” ed implica “una grande disponibilità a ripensare e riformare molte strutture pastorali, avendo come principio costitutivo la spiritualità della comunione e dell’audacia missionaria”. Anche perché, continua il card. Ouellet, “i cristiani non possono tenere la loro straordinaria esperienza di vita solo per sé, bensì devono condividerla con tutti gli uomini”. Ed è certo che “nella storia della Chiesa, l’impeto missionario è sempre stato segno di vitalità della fede, mentre la sua diminuzione ne ha denotato la crisi”. Il messaggio del presidente della Cam guarda anche alla realtà specifica delle migrazioni che – dice – “hanno messo in evidenza la fragilità della fede delle persone e delle comunità” e che implicano, attualmente, “una revisione della carità, di fronte ad evidenti episodi di rifiuto” nell’accogliere chi viene da un altro Paese. Al contempo, il card. Ouellet ricorda l’impegno missionario dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, evidenziando come “la vocazione alla missione sia stata sentita e portata avanti anche dai laici”. Infine, il presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina conclude il suo messaggio con queste parole: “La collaborazione sacerdotale e apostolica tra le comunità cristiane deve essere considerata come una delle risposte più valide per assicurare una globalizzazione nella solidarietà, così come una delle forme che caratterizzano la nuova evangelizzazione”, nell’ottica di “ favorire la disponibilità delle persone a servizio della missione”. (A cura di Isabella Piro)

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    India: la giustizia sociale nel secondo giorno di lavori della Plenaria dei vescovi

    ◊   È incentrato sulla giustizia sociale il secondo giorno di lavori della Plenaria dei vescovi indiani. Apertasi ieri, a Vailankanni, l’Assemblea si sta svolgendo in occasione di due importanti anniversari: i 25 anni della Conferenza episcopale locale (Ccbi) ed i 50 anni del Santuario cittadino dedicato alla Madonna della Salute. In questo contesto, guardando anche all’Anno della fede indetto da Benedetto XVI per il 50.mo anniversario del Concilio Vaticano II, i vescovi si dicono “pienamente consapevoli della forza democratica, dello sviluppo economico e della vitalità socio-culturale del nostro Paese”. “Dal punto di vista politico – continuano i presuli – l’anno 2012 è stato pieno di momenti di alta tensione, come quello relativo al decreto legge anti-corruzione, lo Jan Lokpal Bill, o ancora le discriminazioni di genere”. Per questo, i vescovi ricordano di “aver assistito recentemente al grido allarmato di tutta la nazione di fronte allo scioccante caso di stupro avvenuto a Delhi”, a causa del quale una studentessa di 23 anni è morta. “Serve una legge più rigorosa per rendere rapidamente giustizia alle vittime”, sottolinea la Ccbi, anche perché “il cambiamento e le sfide attuali che vive l’India, dovuti al consumismo, al sistema delle caste ed all’intolleranza religiosa, richiedono un piano politico e pratico chiaro”. Al secondo giorno di lavori partecipano 122 vescovi, 30 segretari episcopali e numerosi esperti. Ad aprire la sessione è stato il card. Telesphore Toppo, presidente della Ccbi, con una riflessione sul tema “Chiesa, una comunità di culto e di preghiera”: “Il culto unisce le persone – ha spiegato il porporato – e li fa crescere nella fede e nella carità”. Da segnalare, infine, che dal 9 all’11 febbraio si recherà in India il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli ed Inviato speciale del Santo Padre; domenica 10 febbraio, il porporato benedirà la nuova Chiesa di Vailankanni, dedicata a Maria, “Stella del Mattino”. (I.P.)

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    India: nel Karnataka la polizia arresta due cristiani, picchiati da fondamentalisti indù

    ◊   Due pastori cristiani pentecostali del Karnataka sono in carcere da tre giorni, dopo che alcuni fondamentalisti indù li hanno aggrediti, picchiati e poi denunciati alla polizia con false accuse di conversioni forzate e proselitismo. L'attacco - riferisce l'agenzia AsiaNews - è avvenuto il 3 febbraio scorso nel distretto di Gadag, e per Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), è l'ennesimo esempio della "crescente e preoccupante intolleranza religiosa verso la minoranza cristiana". La sera del 3 febbraio il rev. Nagesh Naik, della Gipsy Church, ospitava un incontro di preghiera nella propria casa, a cui partecipava Mallikarjun Shingoli, anch'egli pastore pentecostale. All'improvviso, 20 attivisti del Bajarang Dal e del Vishwa Hindu Parishad (Vhp, due gruppi nazionalisti indù) hanno fatto irruzione, accusando i presenti di praticare conversioni forzate dall'induismo al cristianesimo. I due leader religiosi sono stati spogliati, insultati e picchiati. Gli aggressori hanno poi chiamato la polizia locale, che intervenuta sul posto ha portato Naik e Shingoli all'ospedale governativo di Mundargi. Una volta curate le ferite, gli agenti li hanno portati in Centrale, tenendoli in stato di fermo per tutta la notte. La mattina del 4 i pastori sono potuti tornare a casa qualche ora, con l'obbligo di ripresentarsi alla stazione di polizia. Una volta tornati, gli agenti hanno formalizzato l'accusa secondo l'art. 295A del Codice penale indiano (atti deliberati e maligni, volti a offendere i sentimenti religiosi o qualunque classe sociale, insultando la sua fede o credo religioso) e li hanno arrestati. Sajan George denuncia: "Questi estremisti continuano a disseminare odio all'interno della comunità, coltivano un clima ostile che scaturisce tensioni e incidenti, anche nell'intimità della propria casa. Oltre alla tolleranza e alla libertà religiosa, anche l'equilibrio, la pace e l'armonia della società sono sotto minaccia". (R.P.)

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    Taiwan: successo della Chiesa cattolica alla Fiera internazionale del libro

    ◊   Anche una fiera del libro può essere occasione di evangelizzazione. La Chiesa cattolica ha partecipato alla Fiera Internazionale del libro di Tai Pei, capitale di Taiwan, organizzando gli interventi attorno al tema di “Credere, sperare, amare”, in linea con l’Anno della Fede. Secondo quanto riportato dall’agenzia Fides, erano presenti nove realtà del mondo della comunicazione cattolica dell’isola. Tra queste: Kuang Chi Cultural Group (Gesuiti), Brancg Studium Biblicum (Ofm), Wisdom Press (Fsp), Constantinian Magazine (Congregazione dei Discepoli del Signore fondata dal Card. Celso Costantini), la Casa editrice Salesiana, Witness Magazine e Radio Veritas. Per il 13.mo anno, la comunità cattolica di Taiwan ha partecipato all’evento. L’intervento della Chiesa mirava infatti ad offrire una rinnovamento spirituale, non solo ai cristiani. Inoltre, il tema, centrato sugli elementi fondamentali della religione cattolica, ha permesso alla società taiwanese di conoscere l’essenza e la vita della Chiesa. Pieno appoggio dalla comunità cattolica isolana. I sacerdoti si sono resi disponibili con i visitatori per dei colloqui mentre i volontari hanno dato una testimonianza della loro fede attraverso il loro impegno nelle attività della fiera. L’iniziativa ha registrato una grande partecipazione di pubblico e delle aziende del settore. Stando ai dati rilasciati dagli organizzatori, tra il 30 gennaio e il 4 febbraio 508 mila persone e 737 case editrici provenienti da 70 Paesi nel mondo hanno preso parte all’evento. In totale, sono stati allestiti 2.112 stand e sono stati organizzati 1.123 convegni. (V.C.)

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    Congo: intervento urgente per centinaia di bambini colpiti dalla malaria

    ◊   Una epidemia di malaria registrata nella Provincia Orientale, nel nordest della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), ha già causato la morte di almeno 23 bambini tra 0 e 5 anni. Le notizie giungono da fonti mediche locali che, finora, hanno registrato 264 casi nella località di Weko, territorio di Isangi, 125 chilometri ad ovest di Kisangani. Secondo l’Ufficio Centrale Sanitario Rurale di Isangi - riferisce l'agenzia Fides - in appena 48 ore, i medici della zona hanno assistito 105 bambini affetti da malaria, il doppio dei casi registrati nel corso delle tre settimane precedenti a Weko. Il Centro sanitario della città ha a disposizione solo 10 posti letto, inoltre essendo privo degli strumenti adeguati per assistere tanti pazienti è costretto a trasferirli in un ospedale che si trova a 25 chilometri di distanza. Nel mese di giugno 2012, a Yabongonda, sempre nel territorio di Isangi, i bambini morti per la malaria sono stati circa 63. (R.P.)

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    Sud Sudan: il Consiglio delle Chiese chiede il contributo di tutti alla riconciliazione

    ◊   La strada per la riconciliazione è necessariamente lunga. In questo percorso, tutti sono chiamati a dare un contributo. È fondamentale che il governo non “prenda in ostaggio” una questione così importante. Questo è il centro del messaggio dei religiosi del Consiglio delle Chiese del Sud Sudan, riportato dall’agenzia Misna, lanciato dopo un incontro con i rappresentanti del governo su una campagna di sensibilizzazione per favorire la pace e lo sviluppo. Il vice-presidente Riek Machar è stato invitato a incentivare la “collaborazione” tra autorità politiche e organizzazioni religiose. Proprio Machar ha ideato un progetto di sensibilizzazione, che prevede come momento centrale una conferenza nazionale, programmata per il periodo che va dal 18 al 21 aprile 2013. Dopo questo primo incontro, inizierà una campagna per promuovere la pace e la riconciliazione in tutte le dieci regioni del Sud Sudan. Il Paese si è dichiarato indipendente nel 2011, dopo una sanguinosa guerra civile durata vent’anni. Secondo padre John Ashworth, consulente del Consiglio ecumenico delle Chiese e con una trentennale esperienza in Sudan e Sud Sudan, a Juba si teme che le organizzazioni religiose e civili possano essere pilotate in un processo organizzato e coordinato solo dai vertici politici. Si tratta di un percorso positivo e necessario per padre Ashworth. Tuttavia, affinché terminino i conflitti tra le comunità, le violazioni dei diritti umani, è fondamentale che ognuno dia il proprio contributo alla causa. (V.C.)

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    Assemblea dei Domenicani dell'America Latina: il Vangelo ci chiama in missione

    ◊   Definire gli obiettivi della missione alla luce della nuova evangelizzazione è stato il tema centrale della XVII Assemblea dell’Ordine dei Predicatori della America Latina e i Caraibi, che si è svolta dal 28 gennaio al primo febbraio, in Messico, con la partecipazione del Maestro Generale dell’ordine, fra Bruno Cadorè, i priori provinciali e regionali, i vicari generali e i membri della Conferenza Interprovinciale dei Domenicani di America Latina e i Caribi (Cidalc). Nel suo intervento, Fra Cadorè ha ricordato che la missione dell’ordine è diffondere la Parola, pertanto “la missione non è intraprendere un programma o un piano, ma collaborare con la missione del Signore”. In questo senso, il Maestro dell’ordine ha ricordato che questa missione non si riduce a un lavoro comune tra le diverse ramificazioni della famiglia domenicana ma la promozione e il riconoscimento del lavoro delle donne e dei laici nell’evangelizzazione. Tra i settori apostolici dove la collaborazione è indispensabile, fra Cadorè ha sottolineato l’ambito dell’educazione, il mondo dei giovani, le comunità ecclesiali integrate ai laici, l’impegno per i poveri, l’insegnamento della teologia e l’avvicinamento alla Chiesa delle persone allontanate. Il Giubileo per gli 800 anni di fondazione dell’Ordine dei Predicatori, che si celebrerà nel 2016, sarà – nelle parole del Maestro Cadorè - un momento per vivere, celebrare e approfondire nella Parola che è il centro della missione e la vita dell’Ordine. “Il cammino che Santo Domingo ci ha dato – ha affermato fra Cadorè - è quello della contemplazione nell’amicizia con la gente, negli studi, nella vita in comunità e nella preghiera”. Tra le varie iniziative previste per il Giubileo della Famiglia Domenicana, la più importante sarà l’incontro a Roma, il 22 dicembre del 2016. Come traguardo per quest’anniversario, il Maestro dell’Ordine ha proposto di ripensare e attuare dei cambiamenti a livello di formazione per “essere all’altezza delle necessità in un mondo che cambia rapidamente”. L’altra sfida lanciata da Cadorè è di aprire nuovi luoghi di missione ed essere disposti alla collaborazione tra le regioni e le Provincie, perche il “Vangelo ci chiama a uscire”. Infine, fra Cadorè ha incoraggiato i partecipanti nella Assemblea a continuare la missione con entusiasmo, perchè nonostante si tratti di una Congregazione piccola, con 6 mila fratelli, ce ne sono mille in formazione e sono tante le vocazioni in tutte le regioni del mondo. Durante l’incontro, circa 80 rappresentanti dei rami femminili e maschili della Famiglia Domenicana hanno eletto nuovo Segretario generale del Cidalc, Fra Yamil Samalot Rivera, del vicariato Generale della Santa Croce a Porto Rico, fino a oggi, coordinatore della zona caraibica dell’Ordine. (A.T.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 37

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.