Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 04/02/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa al nuovo patriarca caldeo: la grazia del martirio è un prezioso dono della fede cristiana
  • Concerto in Aula Paolo VI con Benedetto XVI e Napolitano. Zubin Mehta: grande emozione suonare per loro
  • Mons. Paglia: no alla Babele tra famiglia e unioni. A ottobre, le famiglie di tutto il mondo incontrano il Papa a Roma
  • Altre udienze
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Medio Oriente: cresce il ruolo della Turchia di Erdogan
  • Londra: vertice sul futuro dell'Afghanistan dopo il 2014
  • Giornata mondiale contro il cancro: aumentano i casi, diminuiscono morti
  • Domani, l’Internet Safer Day: dai rischi di cyberwar ai danni del cyberbullismo
  • Sette anni fa l'assassinio di don Andrea Santoro. La sorella: "Esempio di testimonianza e dialogo"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Gran Bretagna: no dei vescovi anglicani e cattolici alle nozze gay
  • Siria: si aggrava la crisi umanitaria. L'aiuto di Acs per i rifugiati
  • Siria. Metà degli sfollati sono bambini. In Mesopotamia allarme rapimenti
  • Vietnam: condanne da 10 anni all’ergastolo nel maxi-processo contro 22 attivisti
  • Colombia: assassinati due sacerdoti in meno di 15 giorni
  • Pakistan: rifiutava di convertirsi all’islam, cristiano ucciso a colpi di pistola
  • Pakistan: minorenne cristiana stuprata e torturata da musulmani
  • India. Vescovi dell'Orissa: l'Anno della Fede per i cristiani perseguitati
  • Mali: appello del vescovo di Mopti per gli sfollati
  • Centrafrica: capo dei ribelli Seleka nuovo ministro della Difesa
  • Somalia: sempre alto il pericolo di mine sparse nell’intero Paese
  • Congo: i leader religiosi chiedono una Commissione elettorale indipendente
  • Consiglio Mondiale delle Chiese: i cristiani della Corea del Sud siano agenti di pace
  • Usa: i vescovi sull’obbligo di copertura sanitaria dei mezzi anticoncezionali
  • Venezuela. Il card. Urosa: “Il carcere non è un deposito di condannati a morte”
  • Pakistan: nell’anno della Fede la Chiesa sceglie il Web per evangelizzare i bambini
  • India. Religiosi e religiose hanno celebrato la Giornata per la vita consacrata
  • India: nel Sud l’urbanizzazione mette a rischio la salute dei bambini
  • Argentina: a marzo, Congresso dei vescovi sulla Nuova Evangelizzazione
  • Rwanda. Conclusa l’Assemblea Caritas: pubblicate le raccomandazioni finali
  • Un “cappuccino” al bar vale dieci pasti caldi per un bambino africano
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa al nuovo patriarca caldeo: la grazia del martirio è un prezioso dono della fede cristiana

    ◊   Il Papa ha ricevuto stamani il nuovo patriarca di Babilonia dei Caldei, Sua Beatitudine Louis Raphaël I Sako, accompagnato dai membri del Sinodo dei Vescovi della Chiesa Caldea che lo hanno eletto venerdì scorso a Roma. Dopo l’incontro, il patriarca ha presieduto nella Basilica Vaticana una Divina liturgia durante la quale si è svolta la celebrazione pubblica della Ecclesiastica Communio concessagli dal Papa. Il servizio di Sergio Centofanti.

    Un incontro pieno fraternità e speranza: il Papa ha accolto con grande affetto il nuovo patriarca caldeo attorniato dai membri del Sinodo, incoraggiandoli a continuare a testimoniare il Vangelo in una terra che sta vivendo momenti difficili. Poi, durante la Divina liturgia, il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali, ha citato le due lettere che Benedetto XVI ha indirizzato a lui e al nuovo patriarca. In entrambe, il Papa “menziona la grazia del martirio, non solo come prezioso dono dei tempi passati, bensì come permanente dimensione della autenticità cristiana”. La prima visita in Iraq, “che ho recentemente compiuto – ha detto il cardinale Sandri - ha evocato proprio la croce gloriosa di Gesù. E la scelta del nuovo Patriarca Caldeo avvenuta al Celio, il colle di Roma dove i Padri Passionisti hanno piantato il vessillo del Crocifisso che è Risorto, l'ha simbolicamente confermata quale fonte di vita e risurrezione”. Il porporato ha quindi affidato il nuovo patriarca “all'amore senza limiti di Colui che ha obbedito fino alla morte, all'amore che abbraccia cielo e terra ed abbatte ogni discordia perché sia profonda la pace”. “Imploriamo speciali grazie e benedizioni su di Lei – ha proseguito - perché come il Buon Pastore possa asciugare le molte lacrime del popolo iracheno, e poi consolare, incoraggiare, correggere, sempre pacificare fratelli e figli ed accompagnarli nella testimonianza”. Il cardinale Sandri ha auspicato che il nuovo patriarca possa “essere modello di sequela e segno di speranza” per tutti i battezzati, i quali – come ha detto il Papa - possono diventare, grazie all’Eucaristia, seme di "riconciliazione, vicendevole accoglienza e pace". Il porporato ha concluso il suo intervento con questo appello: “In Iraq e nel mondo intero i cristiani e quanti credono nel Dio Unico e Misericordioso fermino finalmente l'inimicizia e rendano sicura la via della universale fraternità”.

    Sull’incontro con il Papa ascoltiamo il nuovo patriarca caldeo Louis Raphaël I Sako:

    R. – Il Papa ha mostrato tutta la sua vicinanza a noi, alla nostra Chiesa caldea; noi tutti siamo stati commossi per questa sua amicizia. Lo abbiamo davvero sentito come un padre: non c’era niente di preparato, tutto è stato spontaneo, tutto veniva dal cuore. Io gli ho detto i miei timori per questo nuovo incarico e lui mi ha risposto: “Non preoccuparti, siamo tutti con te!”. Dunque, questo è un sostegno molto grande per noi tutti in questo Paese che vive un tempo molto critico.

    D. – Il Papa vi ha incoraggiato a testimoniare la fede in una terra difficile …

    R. – Sì, ci ha comunicato tanta speranza! E il suo sorriso ci ha aperto una dimensione più grande, più ampia rispetto a quella che noi spesso viviamo, che è a volte un po’ ristretta. Adesso noi ci sentiamo confermati nella speranza e anche nella perseveranza.

    D. – Purtroppo, dall’Iraq continuano a giungere notizie di gravi attentati con decine di morti: cosa c’è dietro tutte queste violenze?

    R. – Tutto è politicizzato. Anche il cardinale Bertone, che abbiamo incontrato, ci ha detto di essere molto preoccupato della situazione, che prega e che la Santa Sede fa il possibile per aiutare questi Paesi sulla strada del dialogo, per la pacifica convivenza. Ma bisogna aprire le orecchie e il cuore per ascoltare la voce di Dio, la voce dell’uomo, nostro fratello …

    Sugli eventi della mattinata, abbiamo intervistato anche il cardinale Leonardo Sandri:

    R. – Abbiamo avuto una mattinata veramente piena, a cominciare dall’incontro con il Santo Padre, con la sua benedizione e il suo incoraggiamento. Tutti i vescovi hanno potuto rinnovare il loro amore e la loro fedeltà al successore di Pietro e lui ha avuto parole di grande benevolenza, di grande simpatia e vicinanza per ogni vescovo che vive in terre dove c’è tanta sofferenza. Poi abbiamo incontrato il segretario di Stato, il cardinale Bertone, in un incontro veramente fraterno, e da lì siamo andati nella Basilica Vaticana dove c’è stata la Divina liturgia con lo scambio delle Sacre Specie tra me, in quanto delegato del Papa, e Sua Beatitudine, e poi siamo andati a venerare il Sepolcro di San Pietro e lì Sua Beatitudine ha rinnovato la professione di fede con noi tutti. Credo che sia stata una mattinata veramente degna dell’Anno della Fede, dell’Anno che il Papa ha convocato per rinnovarci interiormente, per camminare avanti con la forza della Parola del Signore.

    D. – Quali sono state le parole del Papa che più vi hanno colpito?

    R. – Il Papa è stato molto vicino al Patriarca perché ha rilevato la grande unanimità che lo ha accompagnato nell’elezione; poi ha salutato ogni membro del Sinodo con parole di grande vicinanza soprattutto per il vescovo siriano, il cui Paese sta vivendo momenti così difficili; ha salutato con simpatia i due vescovi dell’Iran e, ovviamente, i vescovi dell’Iraq e poi quello del Libano e gli altri presuli presenti. Il Papa ha avuto una parola di fiducia e di forza per ognuno.

    inizio pagina

    Concerto in Aula Paolo VI con Benedetto XVI e Napolitano. Zubin Mehta: grande emozione suonare per loro

    ◊   Si terrà questa sera alle ore 18, in Aula Paolo VI, un Concerto offerto dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede in onore di Benedetto XVI e del presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, in occasione dell’84.mo anniversario dei Patti Lateranensi. L’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, diretta dal maestro Zubin Mehta, eseguirà la Sinfonia n.3, l' Eroica, di Beethoven e la sinfonia da “La forza del Destino” di Giuseppe Verdi. “L’evento – si legge in un comunicato dell’ambasciata – mira a suggellare idealmente quella specialissima intesa e sintonia che ha legato negli anni queste due personalità, e che tanto ha contribuito alla stabilità di un Paese troppo spesso afflitto da travagliate divisioni”. Al microfono di Gabriella Ceraso, il maestro Zubin Mehta racconta l’emozione che precede l’evento:

    R. – Ho l’onore e il piacere di suonare per il Santo Padre. Il presidente Napolitano è già stato a Firenze, per una prima, due anni fa. Suonare ora di nuovo per tutti e due insieme, è un sogno che si realizza per me. L’ultima volta che ho suonato per il Papa è stato quando lui era arcivescovo a Monaco: abbiamo suonato in occasione di una Messa alla quale era presente anche lui.

    D. – Sappiamo infatti di questa occasione: che ricordo ha? Ebbe modo di conoscere l’allora cardinale Ratzinger …

    R. – E’ sempre stato un grande amante di musica. In questi anni del suo Pontificato ho sempre letto dei diversi concerti ai quali è stato presente: naturalmente, anche io desideravo suonare per lui! Per questo sono molto impaziente: non vedo l’ora che arrivi il momento!

    D. – Entriamo allora nello specifico del programma: questa sinfonia di Verdi, “La forza del destino”, è una sinfonia su cui si è scritto tantissimo: è una sinfonia che vive di vita propria, rispetto all’opera, perché racchiude un po’ tutto quello che è narrato nell’opera di Verdi …

    R. – Lei ha giàdetto tutto! Però, l’opera che veramente io voglio interpretare per il presidente e per il Papa è l’“Eroica” di Beethoven, che è la sua opera centrale. Con l’“Eroica”, Beethoven ha concluso l’epoca che era incominciata con Haydn, con il mondo classico e ha posto le basi per tutto il periodo romantico che poi proseguirà per altri cento anni. Questa sinfonia è integrale, e questo aspetto è importantissimo. So che il Papa apprezza moltissimo anche Beethoven. La nostra orchestra ha suonato la Sinfonia in tutta la tournée del Sudamerica, la scorsa estate, e quindi siamo veramente pronti per interpretarla ancora a Roma.

    D. – Abbiamo letto della sua tournée entusiasmante che l’ha portata con l’Orchestra del Maggio musicale fiorentino dal Sudamerica fino alla Turchia, attraversando l’Europa: ha attraversato il mondo. Che pubblico, che umanità ha trovato?

    R. – Per tutta la vita, ho eseguito concerti ed opere per portare la musica, per unire le persone nel mondo: non si deve dimenticare la forza della musica! In particolare in Medio Oriente, in Israele, con molto impegno vedo poi quando arabi ed ebrei siedono insieme per due ore, in occasione di un concerto: non risolviamo i problemi, però si sorridono l’un l’altro. E questo va fatto mille volte, ogni giorno nel mondo, con la musica – non solo con la musica classica, ma in generale … Veramente, non ci si riesce ad immaginare quanto sia importante la musica per la gente, quanto sia importante per lo spirito e per l’anima. Spero che oggi, alla fine dell’esecuzione dell’“Eroica”, la gente abbia ricevuto un messaggio forte dal palco …

    inizio pagina

    Mons. Paglia: no alla Babele tra famiglia e unioni. A ottobre, le famiglie di tutto il mondo incontrano il Papa a Roma

    ◊   Sul matrimonio e sulle unioni tra persone dello stesso sesso bisogna evitare una Babele. E’ uno dei concetti espressi dal presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, mons. Vincenzo Paglia, che oggi in Sala Stampa Vaticana ha presentato gli atti dell’Incontro Mondiale delle Famiglie di Milano 2012, guardando al prossimo appuntamento di Filadelfia nel 2015. Annunciato un pellegrinaggio, in ottobre a Roma, nell'ambito dell'Anno della fede. In tale occasione, il Papa incontrerà i rappresentanti delle famiglie di tutto il mondo. Benedetta Capelli:

    La famiglia c’è ed è solida. E’ il primo concetto che mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ha voluto esprimere in apertura di conferenza stampa dove sono stati ripercorsi i momenti salienti dell’Incontro Mondiale delle Famiglie di Milano 2012, alla presenza del Papa. Un evento che ha fornito le linee guida e gli approfondimenti anche in vista di Filadelfia 2015. Ma prima ancora, - il 26 e 27 ottobre - è previsto l'incontro di Benedetto XVI con le famiglie che giungeranno a Roma per il pellegrinaggio sulla Tomba di San Pietro, in occasione dell’Anno della Fede. Tanti appuntamenti per riportare una luce importante sulle difficoltà che le famiglie di oggi vivono; un monito anche al mondo della cultura e della politica. Il pensiero di mons. Vincenzo Paglia:

    “La famiglia oggi è sfruttata dalle imprese e dal lavoro e non ricompensata e questo è un errore umanistico ed economico. Il 19 aprile al Pontificio Consiglio si svolgerà un seminario su 'La famiglia, prima impresa', perché riteniamo di sollecitare una riflessione anche da un punto di vista economico. Ci sono tutta una serie di indicazioni che possono essere messe in atto su questo versante. Una cosa che non è possibile accettare è che la famiglia sia sfruttata e dimenticata e, a volte, anche bastonata”.

    Gran parte delle domande dei giornalisti hanno poi riguardato la stretta attualità dopo il via libera della Francia alle unioni omosessuali. Ancora mons. Paglia:

    “Se un’autorità importante del governo dice che con questa legge non si vuole cambiare qualche virgola ma si vuole cambiare la civiltà ci chiediamo allora se è possibile cambiare civiltà con una legge che non viene approvata neppure dalla totalità? Allora è evidente che si nasconde qualcos’altro dietro tutto questo e, debbo dire, onore ai vescovi francesi che hanno aperto un dibattito: hanno avuto il coraggio di dire ‘parliamone, dibattiamone’. Io ho avuto modo di incontrare tutti i vescovi francesi nei mesi di ottobre e novembre e tutti loro sono rimasti sorpresi dell’adesione di tanti altri, compreso il Gran Rabbino Bernheim, uomini di cultura per nulla credenti, ma anche il rappresentante dei luterani francesi e pure alcuni musulmani. Per dire che è questa, a mio avviso, la via da seguire”.

    Francia ma anche altri Paesi in Europa hanno percorso questa strada ma la Chiesa non sta facendo battaglia – evidenzia mons. Paglia – la Chiesa è per la verità:

    “Il problema è evitare la Babele. Chi ci rimette? Ci rimettiamo tutti se per la Babele non ci capiamo più nulla. E’ ovvio. Il rispetto per la verità non richiede l’abolizione delle differenze, tutt’altro, ma non richiede nemmeno una sorta di egualitarismo malato che, per essere tale, abolisce ogni differenza”.

    Altro punto centrale è riconoscere che il matrimonio non è giustificato solo dall’affetto, dall’autosufficienza del sentimento, c’è molto di più come l’accoglienza del Mistero, del dono di un figlio e dei diritti dei bambini:

    “Il matrimonio è una dimensione chiara del diritto. Ci sono poi le altre convivenze non familiari, che sono molteplici. In queste prospettive si aiutino ad individuare soluzioni di tipo di diritto privato e, a mio avviso, anche di prospettiva patrimoniale. Io credo che questo sia un terreno che la politica deve cominciare a percorrere tranquillamente”.

    Su questo punto, il presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia specifica poi che c’è “un arcipelago di situazioni” – le convivenze non famigliari - di cui tenere conto:

    “Secondo me, all’interno dell’attuale codice, sia civile che patrimoniale, si possono trovare soluzioni di cui bisogna tener conto, sia a livello patrimoniale sia a livello di facilitazione della vita, per impedire anche le ingiustizie sui più deboli. Questa è una via che, per quel poco che ne so, mi pare importante percorrere”.


    inizio pagina

    Altre udienze

    ◊   Il Papa ha ricevuto oggi mons. Paul Richard Gallagher, Arcivescovo tit. di Holdem, Nunzio Apostolico in Australia e un gruppo di presuli della Conferenza Episcopale di Emilia–Romagna, in Visita “ad Limina Apostolorum”.

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Bisogna investire su vita e famiglia: all’Angelus Benedetto XVI auspica un’Europa in cui ogni essere umano sia tutelato nella sua dignità.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, l’alta tensione nel Vicino Oriente dovuta anche alle nuove polemiche sul presunto raid israeliano.

    In cultura, la conferenza stampa dell’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia (che il 14 febbraio sarà a New York per chiedere all’Onu più sostegno) e gli articoli di Marie Balmary e Sylviane Agacinski - pubblicati rispettivamente su “La Vie” e “Le Monde” - sulla distinzione di realtà diverse grazie alla diversità dei vocaboli pertinenti.

    Quel dono da non trattenere per sé: nell’informazione religiosa, la seconda lettera del patriarca di Venezia per l’Anno della fede.

    Nell’informazione vaticana, la lettera con cui Benedetto XVI ha comunicato a Sua Beatitudine Louis Raphaël I Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, la concessione della comunione ecclesiastica.

    La sapienza della debolezza nella società dell’efficienza: celebrata dal Papa la Messa per la giornata mondiale della vita consacrata.

    Un diplomatico al servizio della speranza: il cardinale Achille Silvestrini, prefetto emerito della Congregazione per le Chiese Orientali, sul cardinale Antonio Samorè nel trentesimo anniversario della morte.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Medio Oriente: cresce il ruolo della Turchia di Erdogan

    ◊   La Turchia continua a giocare un ruolo chiave nelle crisi mediorientali. Ieri il premier Erdogan ha fortemente criticato i raid aerei israeliani in territorio siriano, parlando di ''terrorismo di Stato'' e di una ''violazione inaccettabile del diritto internazionale''. Confermata, dunque, la distanza dalla politica di Difesa dello Stato ebraico, nonostante il regime di Assad continui ad essere considerato un nemico di Ankara. Salvatore Sabatino ne ha parlato con il giornalista turco Dundar Kesapli:

    R. - Da un bel po' di tempo, dopo quello che è successo nel mar di Marmara, i rapporti tra Israele e Turchia si sono raffreddati. Fino a questo momento la posizione di Erdogan nei riguardi di Israele non è cambiata e, nonostante l’attuale situazione di crisi con la Siria, il governo turco non accetta iniziative contro i cittadini siriani. Questo perchè la Turchia sta raccogliendo molti rifugiati all’interno del territorio turco.

    D. - La Turchia vuole mantenere il proprio ruolo guida nell’area, soprattutto per quanto riguarda i Paesi della "Primavera araba". Ci riuscirà, essendo, tra l’altro, un Paese non arabo?

    R. – Non è importante questo, perché la Turchia è un Paese musulmano e non è importante che sia arabo. Sappiamo bene, infatti, che molti Paesi arabi vedono il governo turco come un ponte importante per molti aspetti. Tutti i leader hanno un ottimo rapporto con Erdogan e quindi vuol dire che il governo turco sta tenendo un ritmo giusto, un rapporto giusto, con questi Paesi. Perciò, non vedo ostacoli al momento.

    D. – Molto attesa è la visita del presidente turco Gul al Cairo. Turchia ed Egitto sono i due grandi Paesi dell’area. Che rapporti ci sono attualmente?

    R. – Fino ad adesso c’è stato un ottimo rapporto. Ricordiamo anche che Erdogan ha fatto visita alcuni mesi fa in Egitto. E’ un rapporto fondamentale perché la Turchia sta seguendo tutto ciò che succede in Egitto. Ci sono sempre stati ottimi rapporti anche a livello commerciale; la Turchia sta fornendo molti materiali industriali, tecnologici, per la costruzione di strade… Durante questa visita si parlerà dell’attuale situazione che sta vivendo l’Egitto, del rapporto bilaterale e di quello che succede in Siria, oltre che del rapporto con Israele.

    inizio pagina

    Londra: vertice sul futuro dell'Afghanistan dopo il 2014

    ◊   Nel 2014 le truppe Nato lasceranno l’Afghanistan, un evento che già da ora suscita la preoccupazione della Comunità internazionale per una possibile destabilizzazione dell’area pakistano-afghana, soprattutto per l'eventuale ritorno del fronte fondamentalista talebano. Dell’argomento se ne parla oggi a Londra in un vertice tra il premier britannico Cameron e i presidenti Karzai e Zardari, che si sono impegnati a raggiungere un accordo di pace nei prossimi mesi. Presenti anche i vertici dell’intelligence di Kabul e Islamabad. Giancarlo La Vella ha intervistato Riccardo Redaelli, docente di Storia e Istituzioni del mondo islamico all’Università Cattolica di Milano:

    R. - In realtà, Pakistan e Afghanistan sono già da tempo in una fase di caos: la stabilizzazione del Paese afgano, dopo il 2001, con la cacciata dei talebani, non si è mai pienamente realizzata, anzi, con il passare degli anni, è aumentata l’instabilità e si è avuto il ritorno di questa galassia talebana, ed il governo afgano, appoggiato dall'Occidente, si è rivelato estremamente corrotto ed inefficiente. L’uscita di scena delle truppe Nato, che è ormai ineludibile, dato che la comunità internazionale è stanchissima e tutti i governi vogliono ritirarsi, molto probabilmente aggraverà questo stato di instabilità strutturale dentro il Paese.

    D. - Il progetto dei talebani è soltanto ideologico, o il controllo della zona tra Afghanistan e Pakistan rappresenta strategicamente qualcosa di importante?

    R. - "Talebano" è oggi un’etichetta un po' di comodo: c’è un gruppo più ideologico, legato ancora al Mullah Omar e ai talebani del 2001; esiste poi una serie di gruppi talebani “per convenienza” o per affiliazione tribale: le popolazioni rurali pashtun, da una parte e dell’altra parte della frontiera tra Afghanistan e Pakistan, si riconoscono spesso nel messaggio dei talebani, ma soprattutto preferiscono un governo ed un’amministrazione più ordinata e meno corrotta rispetto a quella dell'attuale governo di Kabul. Poi ci sono in gioco gli interessi geopolitici: questa è un’area fondamentale dal punto di vista degli snodi del continente Euroasiatico, cruciale nella competizione tra India e Pakistan e anche per il grande traffico di droga, prodotta, per quanto riguarda l’oppio e l’eroina, in massima parte in Afghanistan. Quindi, ci sono interessi da miliardi di dollari in gioco e questo è ben più importante dell'affermazione dell’ideologia islamista.

    D. - La comunità internazionale ha i mezzi per prevenire un’ipotesi di ricaduta di questi due Paesi, in una situazione di caos, da qui al 2014?

    R. - Potenzialmente sì. Li aveva anche nel 2001, quando c'è stato l'ingresso in Afghanistan, ma ha giocato male le proprie carte. In realtà, quello che è davanti agli occhi di tutti è che queste missioni di stabilizzazione non sono delle guerre per combattere un nemico, ma rappresentano un impegno lunghissimo, snervante, costosissimo in termini umani e finanziari. Di fatto, l’Occidente che è in crisi, stanco e disilluso, non ha più voglia di impegnarsi in attività del genere. Quello che dovrebbe continuare a fare è cercare di impostare una transizione perlomeno credibile ed assicurare un sostegno in termini di assistenza alle forze locali di polizia e di ricostruzione del Paese. Sarà molto difficile farlo, ma l’alternativa - cioè l’inazione - è un'ipotesi assolutamente peggiore, come stanno dimostrando, ad esempio, gli eventi nell’Africa subsahariana e recentemente in Mali. Non agire aggrava i problemi, anche se sappiamo che comunque l’azione produce effetti limitati e molto costosi.

    inizio pagina

    Giornata mondiale contro il cancro: aumentano i casi, diminuiscono morti

    ◊   “Il cancro: lo conosci?" è il motto dell’odierna Giornata mondiale contro ogni forma di tumore. Al centro dell’edizione 2013 i miti e i pregiudizi che creano danni anziché aiutare a debellare il cancro. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Ogni anno sono 7 milioni e 600 mila le persone vittime del cancro e 13 milioni i nuovi ammalati. Tra le principali cause di morte, i tumori hanno un costo elevatissimo: 900 miliardi di dollari l’anno in spese sanitarie e perdita di produttività. Ma quali sono i ‘miti’ sul cancro e quale importanza riveste il poterli sfatare? Ci risponde il prof. Francesco Schittulli, presidente della Lega italiana per la lotta ai tumori (Lilt):

    R. – Credo sia importante l’apporto dei media perché ancora oggi parlano di malattia del secolo, di malattia incurabile, di malattia inguaribile, del grande male. Invece, non è più così. Il cancro è una malattia del tutto curabile ed è guaribile rispetto a 30 anni fa; 30 anni fa registravamo una guaribilità dal cancro del 35 per cento, oggi ci siamo attestati al 61 per cento di guaribilità. Questo è un mito da sfatare.

    D. – A parte le morti, i casi di tumore sono in aumento per stili di vita sbagliati o agenti esterni di inquinamento?

    R. – Sappiamo che la malattia del cancro è una malattia ambientale su base genetica. Questo significa che l’ambiente determina un’alterazione, una modificazione, un mutamento, un cambiamento dei nostri geni, che a lungo andare può portare allo sviluppo del cancro. Ambiente significa tutto ciò che e esterno all’uomo e, certamente, i corretti stili di vita, la corretta alimentazione, la lotta al tabagismo e alla cancerogenesi ambientale e professionale, la lotta alla sedentarietà e quindi l’attività fisica normale, regolare, agevolano il percorso anticancro. Questo riguarda già la prevenzione primaria. Ho parlato di alimentazione e di tabacco: la errata alimentazione è responsabile del 35 per cento di tutti i tipi di cancro e il tabagismo è responsabile del 30 per cento di tutti i tipi di cancro. Poi, abbiamo la prevenzione secondaria, cioè la diagnosi precoce. Oggi, grazie alla tecnologia, grazie alla evoluzione dell’imaging - perché oggi siamo dotati di tac, di pet, di risonanza magnetica – c’è la possibilità di scoprire le lesioni minimali e quando scopriamo un tumore di pochi millimetri, quel tumore ha un indice di malignità molto basso e il processo di metastasizzazione, cioè che possa diffondersi, è pressoché nullo. Ecco, il successo della diagnosi precoce nei confronti dell’80 per cento di tutti i tipi di cancro: parlo della mammella, del collo dell’utero, del colon retto, della prostata, di tumori cutanei, di tumori del cavo orale. Quindi, l’importanza di sviluppare e diffondere la cultura della prevenzione come metodo di vita.

    D. - Per quanto riguarda la mortalità di questa patologia?

    R. - Oggi io registro un incremento dei casi di cancro annualmente e, paradossalmente, insieme a questo aumento, anche nel nostro Paese, registro una diminuzione della mortalità: cioè, ci si ammala di più ma si muore di meno. Perché? Per due motivi. Il primo è perché è aumentata l’aspettativa di vita, perché viviamo di più. L’altro motivo è perché sono aumentati i fattori di rischio, per la conduzione della nostra quotidianità. Ma si muore di meno di cancro ed essenzialmente per tre motivi. Il primo è che oggi disponiamo di questa diagnostica strumentale più sofisticata, più precisa, più puntuale, che ci consente di scoprire le lesioni che sono in fase iniziale, di pochi millimetri. Il secondo motivo è che oggi noi disponiamo anche di terapie innovative. Abbiamo una radioterapia, una chirurgia, anche una medicina molto più avanzata che ci consentono anche di poter meglio guarire senza traumatizzare la persona che ha sviluppato un cancro, senza neppure intervenire con trattamenti estremamente demolitivi. Il terzo motivo è che si sta creando questa cultura della prevenzione perché la gente sa che ormai il cancro non deve fare più paura perché di cancro si vive, ci si può convivere tutta la vita, tanto che il cancro deve essere considerato una malattia cronica come il diabete, l’ipertensione, l’artrosi, e la persona può continuare la sua vita. Così sarà anche per il cancro.

    inizio pagina

    Domani, l’Internet Safer Day: dai rischi di cyberwar ai danni del cyberbullismo

    ◊   “Responsabilità e diritti nella rete”: è il tema scelto per l’Internet Safer Day 2013, la Giornata dedicata alla sicurezza su Internet indetta dalla Commissione Europea per domani. Nella sua prima edizione, nel 2004, la giornata ha coinvolto 14 nazioni, quest'anno viene celebrata in 90 Paesi. Diversi gli aspetti da considerare parlando di sicurezza e web. Innanzitutto ci sono da considerare i rischi della cyberwar. Fausta Speranza ne ha parlato con il prof. Marco Lombardi, docente di politiche della sicurezza all’Università Sacro Cuore di Milano:

    R. – E’ un rischio concretissimo, ormai, specialmente negli ultimi dieci anni. La prima conseguenza della globalizzazione, intesa come rete d’interdipendenze, è stata di spostare quella che possiamo ormai chiamare una vera e propria guerra nel mondo virtuale, quindi nel mondo della Rete. Siamo, infatti, in un contesto di guerra guerreggiata quotidiano. Quando parliamo di “cyber attack” vediamo la criminalità organizzata che ci attacca evidentemente su questo piano, vediamo che ci sono più o meno sconsiderati “lone worker”, personaggi che lavorano da soli come gli hacker, e ormai - ed è anche di questi giorni – vediamo che ci sono Paesi, nazioni, che attaccano altre nazioni sul piano virtuale. Si parla ormai di “cyber warfare”, strategie, comportamenti, tecnologie, che insieme lavorano per una nuova guerra, in un modo al quale ancora non siamo abituati.

    D. – Possiamo dire che la dimensione virtuale del web stia cambiando anche gli equilibri geopolitici?

    R. – Assolutamente sì e dobbiamo cominciare a pensare la geopolitica intesa come una politica correlata ad un altro spazio: ormai lo spazio non è più quello della geografia fisica, ma quello della geografia virtuale. Quindi, quando noi parliamo di geopolitica oggi, dobbiamo incorporare la nuova geografia, che è stata delineata dal web. In questo senso, allora, comprendiamo questo “cyber warfare”, questa guerra che si sta sviluppando tra Paesi sulle corde della Rete.

    D. – Sembra che l’Occidente, in qualche modo, possa essere più esposto, perché ha affidato nuclei nevralgici, come l’energia, la sicurezza e così via, alla digitalizzazione, mentre altri Paesi – per esempio l’Iran – sono esperti in materia, ma non hanno affidato così tanto i nuclei nevralgici al sistema digitale. E’ vero?

    R. – Non so se sia esattamente questo. Ormai, infatti, tutte le strutture critiche, necessariamente, in qualunque parte del mondo, più sono evolute, più devono affidarsi al controllo digitale e alla messa in rete delle medesime risorse. Secondo me, l’Occidente ha più un atteggiamento passivo nei confronti del “cyber warfare”, nel senso che è poco attivo, o meglio poco proattivo. La guerra cyber non si può vincere semplicemente continuando a installare nuove forme di difesa passiva. Ogni volta che noi facciamo uno scudo, costruiamo un nuovo scudo, è solo questione di tempo, perché questo venga perforato. Secondo me, l’Occidente, l’Europa, sta pagando di più questa situazione difensiva nel “cyber warfare”, mentre i Paesi che abbiamo citato - dalla Cina all’Iran ad altri Paesi del Medio Oriente – hanno un’attitudine molto più offensiva. Insomma, si è chiamati a fare la guerra digitale non soltanto aspettando di parare il colpo.

    Save the children denuncia in particolare il cyberbullismo tra giovani. Fausta Speranza ne ha parlato con Raffaela Milano responsabile dei programmi per l’Italia dell’organizzazione:

    R. – C’è un’altissima percentuale di ragazzi – l’83 per cento – giovanissimi e adolescenti, che valuta proprio il bullismo virtuale come un dolore, qualcosa che colpisce profondamente la loro crescita, molto di più rispetto a quello che può succedere nella vita reale. L’uso di Internet amplifica e rende ancora più duro un comportamento ostile o aggressivo da parte dei propri coetanei.

    D. – Cosa emerge dalla ricerca? Questo avviene perché dietro all’online ci si trincera e quindi è più facile lanciare attacchi?

    R. – Sì, fondamentalmente è questo: c’è sia più tempo – questi attacchi possono avvenire in qualsiasi ora del giorno e della notte - ma soprattutto il velo di Internet rende i rapporti tra ragazzi più opachi e quindi c’è più facilità di rendersi invisibili in qualche modo, rispetto all’esterno. E’ da rilevare anche il fatto che questa minaccia riguarda tantissimi comportamenti. Un ragazzo può essere colpito per l’aspetto estetico, e questo lo notano soprattutto le ragazze - il 77 per cento di esse, infatti, tra i 12 e i 14 anni, è colpito da questo tipo di rischio - la timidezza, l’orientamento sessuale, il fatto di essere di origine straniera e così via. Ogni comportamento, che viene vissuto come diverso, può essere davvero oggetto di attacco da parte dei coetanei. Questo, tramite, Internet, diventa più facile.

    D. – Emerge la consapevolezza ma non sembra che i ragazzi prendano tutele...

    R. – No, dalla ricerca emerge in qualche caso, un rapporto importante con i genitori, però certamente percepiscono il rischio e dobbiamo fare in modo, noi tutti – la scuola, le famiglie, le organizzazioni come "Save the Children" ed altri – di rendere i ragazzi più accorti circa le tutele che possono essere assunte nella comunicazione via Internet. Al di là di altre forme di protezione, che ci possono essere da parte delle aziende, che noi sempre invochiamo, sappiamo però che la componente principale è rendere i ragazzi più forti nel loro rapporto con le nuove vie della comunicazione digitale. Essere, quindi, maturi nel rapporto con i nuovi media e soprattutto capire che quello che succede nel mondo virtuale ha delle conseguenze nel mondo reale e che non sono due mondi staccati, anzi si tratta di un modo più pervasivo e più invadente rispetto alla propria identità.

    inizio pagina

    Sette anni fa l'assassinio di don Andrea Santoro. La sorella: "Esempio di testimonianza e dialogo"

    ◊   A sette anni dall’assassinio, avvenuto mentre pregava nella Chiesa di Santa Maria a Trabzon in Turchia il 5 febbraio 2006, la Chiesa di Roma ricorda don Andrea Santoro. Varie le iniziative di preghiera organizzate in questi giorni per ricordare il sacerdote "fidei donum", definito da Benedetto XVI un “silenzioso e coraggioso servitore del Vangelo”. A Trabzon è giunto un gruppo di pellegrini accompagnati dal vescovo ausiliare di Roma mons. Matteo Zuppi per celebrare un’Eucaristia nel luogo in cui il sacerdote venne ucciso: tra loro c’è la sorella Maddalena Santoro. Paolo Ondarza l’ha raggiunta telefonicamente:

    R. – Don Andrea aveva solo questo desiderio: che la gente si accostasse alla Chiesa, a Gesù, all’Eucaristia per fede, senza fare proselitismo. Lui diceva: non dobbiamo convertire ma convertirci qui, nella terra dove gli Apostoli hanno predicato e fatto conoscere Gesù. E oggi, l’unico modo possibile concesso in questi luoghi è essere presenti, ed è una presenza viva. “Non abbandonate le vostre chiese”, ci diceva don Andrea, “siate presenti per alimentare la vostra fede e per poterla poi testimoniare”.

    D. – Questo esserci, questa testimonianza cristiana silenziosa è l’esempio che don Andrea Santoro lascia come eredità ai cristiani di oggi...

    R. – Sì, è l’eredità che ci lascia, ma che lascia a tutti. E tutti coloro che l’hanno conosciuto sentono veramente forte questo desiderio di vivere il Vangelo in prima persona. Non tanto di annunciarlo nel senso di dire agli altri quello che devono fare, ma ciascuno di noi sente quello che deve fare egli stesso per essere più conforme a Gesù. E anche la sua morte forse ci dà la forza di tentare di vivere questa conformità a Cristo nella vita di ogni giorno, attraverso il lavoro, la famiglia, la presenza e la carità verso gli altri.

    D. – Don Andrea spronava a non lasciarsi mai vincere dalla tentazione di fermare il dialogo …

    R. – Sì, questo era importante. Anche questa mattina, visitando la città, abbiamo incontrato un imam che don Andrea frequentava, ma per amicizia, per dire “ci siamo anche noi”. Don Andrea era convinto che si potesse, attraverso la semplice presenza cristiana, arrivare a conoscere Gesù, non soltanto come profeta, ma come Figlio di Dio, come Dio che è venuto veramente per amarci e salvarci. Lui diceva: “Ci vogliono uomini e donne coraggiosi, persone coraggiose che testimonino il Vangelo attraverso la vita. La tentazione di chiudere le porte, di chiudere le finestre è forte, soprattutto quando non si è apprezzati. Ma questa tentazione va vinta perché bisogna aprire le finestre, bisogna aprire la porta, ed essere lì ad accogliere quelli che vogliono entrare”, diceva lui, “ e anche ad uscire semplicemente per salutare, per farsi conoscere, per dirsi: ecco, ci siamo!”.

    D. – Lei si trova a Trabzon dove suo fratello, Andrea Santoro, venne ucciso a colpi di pistola il 5 febbraio 2006, mentre pregava con una Bibbia in lingua turca tra le mani. I proiettili – lo ricordiamo – attraversarono – il suo corpo e il Libro Sacro. Che significato assume, per lei, tornare su quei luoghi?

    R. – Il senso è quello di visitare anche i luoghi in cui Andrea è stato presente, dove ha vissuto. Come lui ci diceva sempre: “Andiamo nella Terra Santa – compresa la Turchia oltre alla Palestina – dove Gesù è passato, dove gli apostoli hanno camminato, per unire un po’ delle nostre fatiche alla fatica degli apostoli, alla fatica di Gesù, di Dio che si è incarnato, camminando sulla terra”. E quindi qual è il senso? Il senso è rivivere insieme a lui questa presenza cristiana forte.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Gran Bretagna: no dei vescovi anglicani e cattolici alle nozze gay

    ◊   Alla vigilia del voto sulla legge che introdurrebbe le nozze gay, sostenuta dal premier conservatore David Cameron, il nuovo arcivescovo di Canterbury Justin Welby userà la sua investitura ufficiale, nella cattedrale londinese di St. Paul’s, per affermare che il matrimonio dovrebbe rimanere “l’unione di un uomo e di una donna”. Le sue parole - riferisce l'agenzia Sir - vengono anticipate dalla stampa britannica mentre il primo ministro si prepara a usare i voti del partito liberaldemocratico, suo alleato in coalizione, e di quello laburista, all’opposizione, per ottenere un sì a una legislazione alla quale sono contrari quasi 200 parlamentari Tory. Anche la Chiesa cattolica, insieme a quella anglicana, ha condotto una lunga battaglia contro le nuove norme, diffondendo in ogni parrocchia cartoline che i fedeli potevano usare per chiedere ai parlamentari della loro zona di votare no al “gay marriage bill”, come è denominata la legge. I vescovi hanno anche diffuso un opuscolo tra i parlamentari che spiegava le ragioni della loro opposizione. Durante una Messa celebrata ieri, l’arcivescovo di Southwark, diocesi del sud di Londra, Peter Smith, ha chiesto preghiere affinché la legge non sia approvata. Parlando al quotidiano britannico più venduto, il “Daily Telegraph”, l’arcivescovo Smith ha spiegato che la “definizione di matrimonio come unione di un uomo e una donna precede sia lo Stato che la Chiesa e nessuna di queste due istituzioni ha il diritto di cambiarla”. Anche l’arcivescovo cattolico di Birmingham, Bernard Longley, ha invitato tutti i parlamentari che erano “incerti o stavano pensando di astenersi” a votare contro “una legge pensata male”. “Il Primo ministro fa approvare in fretta dal Parlamento queste nuove norme senza un mandato e senza un’adeguata consultazione”, ha avvertito l’arcivescovo Longley. Benché il ministro della cultura Maria Miller, responsabile della nuova legge, abbia promesso che nessuna organizzazione religiosa sarà costretta a sposare coppie gay, negli opuscoli, diffusi tra i parlamentari alla vigilia del voto, sia la Chiesa cattolica sia quella anglicana, esprimono i loro dubbi. Secondo i vescovi le Chiese che si rifiuteranno di condurre matrimoni omosessuali potrebbero essere portate davanti alla Corte europea dei diritti umani. La Chiesa teme anche che gli insegnanti nelle scuole religiose saranno costretti a promuovere il matrimonio gay presentandolo come identico a quello eterosessuale e che rischieranno di venire incriminati sulla base della nuova legislazione se non lo faranno. Le Chiese hanno ricordato che la nuova legislazione non faceva parte del manifesto elettorale di nessun partito, mentre il governo ha deciso d’ignorare le firme di oltre 625mila persone che hanno firmato una petizione contro le nuove norme. (R.P.)

    inizio pagina

    Siria: si aggrava la crisi umanitaria. L'aiuto di Acs per i rifugiati

    ◊   La fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) ha approvato un aiuto straordinario di 155 mila euro per i rifugiati siriani in Siria, Libano e Giordania. Le condizioni di profughi e sfollati interni, infatti, si sono aggravate a cause delle rigide temperature invernali, come spiega padre Andrzej Halemba, responsabile internazionale Acs per il Medio Oriente: “per i cristiani la tensione è insostenibile. Il loro unico supporto e punto di riferimento è la Chiesa. Ecco perché è essenziale distribuire gli aiuti attraverso le diocesi e la Caritas”. Nel 2012 - riferisce l'agenzia Sir - Acs ha finanziato progetti in Siria e nei Paesi confinanti per 474 mila euro. “Dall’inizio del 2013 il numero di richieste è aumentato ulteriormente - afferma padre Halemba - e sono stati già stanziati nuovi contributi per la città di Aleppo e per la cosiddetta ‘Valle dei Cristiani’, dove la situazione dei profughi è davvero critica”. Per il responsabile Acs è fondamentale dare una speranza ai cristiani rimasti in Siria: “le esigenze materiali sono importanti, ma non possiamo fermarci a queste. Dobbiamo fornire cibo, medicine e bevande ai rifugiati, ma anche assistenza spirituale”. "È nostro desiderio accogliere i profughi e rifugiati della Siria ma da soli non ce la facciamo, non possiamo mantenerne un numero elevato" afferma dal canto suo mons. Simon Atallah, arcivescovo maronita di Baalbek, diocesi che occupa un terzo dell’intero territorio libanese e nella cui giurisdizione cade la valle della Beqaa, dove si trovano migliaia di profughi siriani, giunti in particolar modo dalla città martire di Homs. "L’economia è in crisi. Il Paese è indebitato per circa 60 miliardi di dollari. La produzione di beni è in calo, le esportazioni ferme. Il governo - afferma il presule - chiede aiuto alla comunità internazionale ma finora ha ricevuto solo promesse e niente soldi”. (R.P.)

    inizio pagina

    Siria. Metà degli sfollati sono bambini. In Mesopotamia allarme rapimenti

    ◊   Centinaia di migliaia di famiglie siriane continuano a fuggire dalla violenza che persiste nel loro Paese dal mese di marzo del 2011 e vivono in tende con lo stretto indispensabile. Finora 635 mila persone hanno dovuto abbandonare le rispettive abitazioni con gravi ripercussioni prevalentemente sui bambini. Nel campo profughi di Zaatari, a 80 chilometri di distanza da Amman, in Giordania, hanno trovato riparo almeno 45 mila famiglie. Secondo le stime delle Nazioni Unite quasi la metà degli sfollati sono bambini, molti dei quali vivono in pessime condizioni e senza alcun accesso all’istruzione. Tra le iniziative promosse per cercare di aiutare questi piccoli, l’Unicef ha organizzato, in scuole prefabbricate, classi per alunni di scuola elementare e media. Le bambine vanno la mattina e i bambini il pomeriggio, sono circa 4500, e sono seguiti da un gruppo di insegnanti giordani. Sono tante le organizzazioni di tutto il mondo che offrono il proprio aiuto per l’educazione dei piccoli sfollati ma rimane insuperabile l’ostacolo la lingua. Nella provincia di Homs circa 210 mila minori hanno bisogno di aiuti umanitari, e un totale di 420 mila persone sono in stato di emergenza. Delle 1500 scuole presenti in tutta la provincia, circa 200 hanno subito danni e altre 65 sono state trasformate in centri di accoglienza. Nella regione di Homs, il Fondo per l’Infanzia delle Nazioni Unite ha distribuito teli, coperte, articoli per l’igiene e capi di abbigliamento. Solo nella città di Talbiseh, sono stati distribuiti migliaia di questi articoli, compresi 2000 capi di abbigliamento per i bambini. Intanto nella provincia di Jazira, nell'alta Mesopotamia siriana, l'aumento esponenziale dei rapimenti – effetto collaterale del conflitto siriano – continua a flagellare le popolazioni civili anche nelle aree non interessate dagli scontri tra ribelli e esercito governativo. L'ultimo rapito in ordine di tempo è un farmacista cristiano sequestrato domenica, per il quale è stato richiesto un ricatto di un milione di lire siriane (quasi 11mila euro). “Per i banditi di tutte le specie – riferisce all'agenzia Fides l'arcivescovo Jacques Behnan Hindo, titolare della arcieparchia siro-cattolica di Hassaké-Nisibi – questo è un momento buono per fare soldi”. Venerdì scorso, decine di cristiani hanno improvvisato un blocco stradale bruciando copertoni a un incrocio della città di Hassaké per protestare contro il rapimento lampo del rettore dell'Università statale di Al-Furat, il cristiano Jack Mardini, sequestrato in pieno giorno da sicari armati e liberato dopo due ore. Nel suo caso, dietro il rapimento non c'era un tentativo di estorsione, ma questioni legate al funzionamento dell'Ateneo. Sintomo che ormai si ricorre alla prassi criminale dei sequestri per risolvere col sopruso i conflitti d'interesse personali e sociali. Nelle ultime settimane, nella sola città di Hassaké ci sono stati una cinquantina di rapimenti, e quasi la metà sono avvenuti a danno di cristiani. “Molti di loro sono medici, avvocati e professionisti – nota mons. Hindo – ma ormai cominciano a rapire anche i poveri”. (R.P.)

    inizio pagina

    Vietnam: condanne da 10 anni all’ergastolo nel maxi-processo contro 22 attivisti

    ◊   Si è concluso con pene variabili da 10 anni fino all'ergastolo il maxi-processo contro 22 imputati accusati di sovversione finalizzata a "rovesciare il legittimo governo comunista" del Vietnam. Per l'avvocato della difesa, nominato d'ufficio dal tribunale, nel corso del dibattimento lampo - durato una sola settimana - essi "hanno ammesso le loro colpe" e la pena è "adeguata". Il caso - riferisce l'agenzia AsiaNews - testimonia il pugno di ferro adottato dalle autorità di Hanoi contro comunità religiose, oppositori o semplici attivisti, che ha colpito pure i cattolici e le proprietà della Chiesa, come avvenuto di recente nella capitale con la demolizione del monastero del Carmelo. Phan Van Thu, leader del movimento ambientalista, ha ricevuto la condanna all'ergastolo; gli altri 21 suoi compagni pene variabili dai 10 ai 17 anni di prigione, più altri cinque di arresti domiciliari al termine della custodia in carcere. Le sentenze, durissime, sono parte di un'escalation continua voluta dal regime comunista contro la dissidenza, che ha destato profonda preoccupazione in seno alla comunità internazionale. Nguyen Huong Que, avvocato d'ufficio assegnato dallo Stato, in quello che sembra essere un vero e proprio processo farsa, sottolinea che "nel corso del dibattimento, la maggior parte degli accusati ha ammesso la propria colpa", ovvero di voler "rovesciare l'amministrazione popolare". Il legale ha anche aggiunto che "le sentenze sono adeguate ai crimini commessi". I 22 membri del gruppo Hoi Dong Cong Luat Cong An di Bia Son (Consiglio per il diritto e gli affari pubblici di Bia Son, una montagna della provincia di Phu Yen) sono stati incriminati in base al famigerato articolo 79 del Codice penale. Attivisti ed esperti di questioni legali sottolineano che la norma, in passato, è stata usata più volte per reprimere il dissenso e silenziare l'opposizione democratica. Sul gruppo guidato dal 65enne Phan Van Thu, che le autorità vietnamite bollano come "terrorista", non si hanno molte informazioni. Essi avrebbero dato vita a un movimento sovversivo, col pretesto di "reclutare persone per una campagna ambientalista"; gli appartenenti sarebbero oltre 300, sparsi nel centro-sud del Paese. Procedimenti e condanne per "sovversione" o attività anti-rivoluzionarie sono una pratica comune in Vietnam, il più delle volte sfruttata per colpire la dissidenza o soffocare la libertà religiosa, come avvenuto di recente. Nei primi giorni dell'anno, infatti, il tribunale del popolo di Nghe An (nel Vietnam centrale) ha emesso la sentenza per i 14 cattolici accusati di 'sovversione' contro lo Stato. Il gruppo rischiava la pena di morte. Tre degli imputati - Hồ Đức Hòa, Đặng Xuân Diệu, Lê Văn Sơn - sono stati condannati a 13 anni di prigione ciascuno. Gli altri 11 hanno ricevuto condanne da tre a otto anni. Il gruppo dei 14 cattolici era accusato di far parte di un movimento detto Viet Tan, un gruppo non violento che sostiene la democrazia, che le autorità considerano "terrorista". La scorsa settimana gli attivisti di Human Rights Watch (Hrw) hanno riferito che il governo del Vietnam "sopprime in modo sistematico la libertà di espressione, associazione e riunione pacifica", oltre che "perseguitare quanti mettono in dubbio le politiche [di Hanoi]". (R.P.)

    inizio pagina

    Colombia: assassinati due sacerdoti in meno di 15 giorni

    ◊   Un altro sacerdote ucciso in Colombia. Si tratta di padre Luis Alfredo Suárez Salazar, appartenente all'arcidiocesi di Villavicencio nel dipartimento di Meta, che trascorreva le vacanze nella sua città natale, Ocaña, nel Nord di Santander (alla frontiera con Venezuela). L'omicidio è avvenuto nel quartiere di Martinete, dove due uomini armati su una moto hanno sparato almeno una decina di colpi contro il sacerdote e altre due persone che erano con lui in quel momento. Secondo una radio locale (che ha intervistato il Comandante della Polizia di Santander) i sicari non intendevano uccidere il sacerdote ma una delle persone che erano al suo affianco. Padre Salazar la mattina del 2 febbraio aveva celebrato la Messa nel Santuario di Nostra Signora di Torcoroma a Ocaña e secondo le prime versioni della polizia, l'attacco è avvenuto mentre stava camminando nei pressi della chiesa di San Agustinì. Meno di 15 giorni fa, il 16 gennaio, un altro sacerdote era stato ucciso in Colombia nella città di Buga. Secondo la polizia di Buga, in quella occasione si era trattato di un furto finito in tragedia. P. José Francisco Vélez Echeverri, 55 anni, era molto impegnato nel sociale e non aveva, secondo le testimonianze dei fedeli, nessun nemico. L'omicidio ha causato costernazione e profondo dolore in tutta la diocesi di Buga, guidata da Mons. José Roberto Ospina Leongómez. Secondo il rapporto annuale dell’agenzia Fides del 2012, in America sono stati uccisi 6 sacerdoti: 2 in Brasile; 2 in Messico; 1 in Colombia; 1 in Guatemala. (R.P.)

    inizio pagina

    Pakistan: rifiutava di convertirsi all’islam, cristiano ucciso a colpi di pistola

    ◊   È morto questo pomeriggio Younas Masih, 55enne cristiano di Chaman, nella provincia del Baluchistan, colpito il 31 gennaio scorso con cinque proiettili da uno sconosciuto mentre tornava a casa. Le sue condizioni sono apparse critiche fin dall'inizio; dopo cinque giorni di lotta fra la vita e la morte, egli è deceduto. Secondo le prime, frammentarie ricostruzioni della vicenda, pare che sia stato oggetto di un attacco mirato, per essersi rifiutato di convertirsi all'islam su pressione dei colleghi di lavoro. Masih era impiegato in qualità di operaio in una ditta di Chaman; gli amici lo descrivono come una persona onesta, affidabile e ferma nella sua fede cristiana, tanto da essere più volte coinvolto nelle attività della parrocchia di appartenenza. Fonti locali, dietro anonimato, raccontano all'agenzia AsiaNews che di recente alcuni colleghi gli hanno chiesto di convertirsi all'islam; una proposta che egli ha rispedito - sdegnato - al mittente, dicendo di voler restare "saldo nella fede in Cristo". Pur sapendo di conversazioni alle sue spalle e nonostante le ripetute minacce, egli ha continuato il lavoro e non ha mai ceduto alle pressioni o ai ricatti. Il 31 gennaio i colleghi sono tornati alla carica, chiedendogli di nuovo di convertirsi. Ne è scaturita una discussione animata, durante la quale sono volati insulti e minacce. Il giorno stesso, sulla via di casa, egli è stato raggiunto da un uomo armato che l'ha fermato e ha esploso cinque colpi di proiettile. Trasportato d'urgenza in ospedale, egli è stato ricoverato in condizioni definite subito "critiche". I medici sono intervenuti, estraendo i proiettili, poi lo hanno trasferito nel reparto di terapia intensiva dove è rimasto fino al decesso. Il figlio ha cercato di denunciare l'episodio alle Forze dell'ordine, ma gli agenti non hanno voluto redigere il First Information Report (Fir) e aprire un fascicolo di inchiesta. Nonostante i ripetuti tentativi, le forze dell'ordine hanno respinto ogni appello alla giustizia lanciato dalla famiglia. I parenti sono devastati dalla perdita del loro caro e si sentono abbandonati da istituzioni e autorità. Intanto le organizzazioni attiviste Masihi Foundation e Life for All, condannando con fermezza l'omicidio, sono intervenute chiedendo giustizia a nome dei familiari. E si dicono "sconcertate" per l'atteggiamento di polizia e autorità locali. Raggiunto da AsiaNews padre James Chand, sacerdote a Quetta, parla di "tragedia" che "ha colpito il cuore" perché "un uomo è stato ucciso per la propria fede". Egli conferma le ripetute minacce subite da Younas Masih e definisce "sconcertante" l'atteggiamento delle autorità che dovrebbero far luce sull'intera vicenda. "Chiediamo protezione per la vita e le proprietà delle minoranze pakistane", conclude il sacerdote, che si rivolge ai responsabili di governo e della giustizia perché assicurino "il rispetto dei diritti umani di base" e "proteggano le minoranze dal clima di odio e violenze". (R.P.)

    inizio pagina

    Pakistan: minorenne cristiana stuprata e torturata da musulmani

    ◊   Una ragazza minorenne cristiana è stata sequestrata, violentata e torturata da due influenti musulmani. Fouzia Bibi, 15 anni, e residente del villaggio di Roday, nei pressi di Kasur (in Punjab), viene da una famiglia poverissima, e lavora come operaia agricola con il padre, Malooka Masih, e con i fratelli. Come appreso dall'agenzia Fides, il 25 gennaio scorso Fouzia Bibi era andata a svolgere una commissione, per conto del padrone dell’azienda, in un località vicina. Sulla via del ritorno due musulmani armati di pistola, Sher Mohammed e Shabir Ali, personaggi influenti del territorio, l’hanno rapita, imprigionata in una stanza, violentata e torturata ripetutamente. La ragazza è stata poi lasciata priva di conoscenza in strada. Riuscita a tornare a casa, la famiglia di Fouzua si è recata alla stazione di polizia per una denuncia. Al rifiuto opposto dagli agenti, il padre di Fouzia si è rivolto al rev. Saleem Gill della “Chiesa del Pakistan” (anglicana) e al vescovo Irfan Jamil, che hanno cercato adeguata assistenza giudiziaria. E’ stata così coinvolta l’Ong Lead (Legal Evangelical Association Development”), che si dedica alla promozione sociale dei cristiani in Pakistan. Quattro giorni dopo, grazie all’aiuto della Ong, è stata presentata denuncia ufficiale (First Information Report) contro gli stupratori. Malooka Masih ha riferito che i colpevoli hanno anche minacciato la sua famiglia, per evitare che sporgesse denuncia. La famiglia di Fouzia è oggi “terrorizzata e sotto minacce”, riferisce a Fides la Lead. L’Ong nota che i cristiani sono spesso vittime di abusi da parte di potenti musulmani, che negano loro ogni dignità o diritto umano. In particolare le ragazze cristiane sono doppiamente discriminate e spesso trattate “come merce”. Secondo dati raccolti da Fides, ogni anno sono circa 700 i casi di ragazze delle minoranze religiose (cristiane o indù) che vengono stuprate o rapite, anche a scopo di conversione. L’avvocato Sardar Mushtaq Gill, capo di Lead, condanna fermamente gli stupratori, chiedendo al governo di “adottare misure forti per eliminare tali fenomeni della società”. Per contrastare queste pratiche e dare un contributo alla legalità, Paul Bhatti, Consigliere speciale del Primo Ministro, per l’Armonia nazionale e Presidente della “All Pakistan Minorities Alliance” (Apma), ha annunciato la creazione di uno speciale team legale dell’Apma che riunisce eminenti giuristi, di fede diversa, che forniranno gratuitamente assistenza legale a persone bisognose. (R.P.)

    inizio pagina

    India. Vescovi dell'Orissa: l'Anno della Fede per i cristiani perseguitati

    ◊   L'Anno della fede "deve rafforzare la Chiesa dell'Orissa, affinché sostenga i fedeli cristiani nei loro problemi più urgenti: persecuzione, laicismo, differenze culturali e povertà". Così i vescovi dello Stato esortano tutti i sacerdoti, i membri di Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica nella lettera pastorale per l'Anno proclamato da Benedetto XVI. I firmatari del documento - riporta l'agenzia AsiaNews - sono mons. Thomas Thiruthalil, vescovo di Balasore e presidente del Consiglio regionale dei vescovi dell'Orissa; mons. John Barwa, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneshwar e amministratore apostolico della diocesi di Rourkla; mons. Lucas Kerletta, vescovo di Sambalpur; mons. Sarat Chandra Nayak, vescovo di Berhampur. Nella lettera, i prelati suggeriscono un piano d'azione a tre livelli: regionale, diocesano e parrocchiale. Fondamentale è la rilettura del Catechismo della Chiesa cattolica, dei documenti del Concilio Vaticano II e delle vite dei santi, disponibili anche in lingua oriya, parlata in Orissa. Catechisti e personale di scuole cattoliche, ospedali e Centri sociali devono organizzare e partecipare a incontri, seminari e simposi. "Ognuno di noi - affermano i vescovi - è chiamato a rinnovare il proprio impegno per comunicare la propria esperienza di fede agli altri, promuovendo [anche] incontri con non credenti. Nel nostro cammino di fede dobbiamo tenere il nostro sguardo fisso su Gesù, autore e perfezionatore della nostra fede, che ha sacrificato la sua vita sulla croce ed è risorto per la nostra salvezza. Dobbiamo imitare Maria, modello della nostra fede. Dobbiamo seguire l'esempio di fede degli apostoli, che hanno lasciato tutto per seguire Gesù, e poi per proclamare al mondo intero il Vangelo". Per fare questo, i prelati invitano a leggere e meditare la Porta Fidei, lettera apostolica scritta da Benedetto XVI per inaugurare l'Anno della fede, anch'essa tradotta in oriya. (R.P.)

    inizio pagina

    Mali: appello del vescovo di Mopti per gli sfollati

    ◊   “La situazione sta migliorando a poco a poco ma la crisi non è terminata” dice all’agenzia Fides don Edmond Dembele, segretario della Conferenza episcopale del Mali. “Si avverte in particolare un miglioramento delle condizioni di sicurezza nelle grandi città del nord che sono state liberate dai gruppi jihadisti. Lo prova la visita del Presidente francese François Hollande a Timbuctù, che è stato accolto con gioia dalla popolazione. La crisi non è ancora finita” avverte don Dembele. Il conflitto non è finito e ci sono delle operazioni delicate da eseguire perché tutto il nord venga infine liberato. Non bisogna dimenticare inoltre la crisi umanitaria” aggiunge il sacerdote. “Continuano le fughe dei civili dai villaggi del nord sia perché non si sentono ancora al sicuro sia perché le condizioni di vita restano difficili. Anche nelle zone liberate mancano cibo e assistenza medica. Poi vi sono gli sfollati che si trovano nel sud che necessitano di assistenza”. Mons. Georges Fonghoro, vescovo di Mopti ha lanciato un appello tramite Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs): “Dobbiamo agire immediatamente. Le necessità della popolazione sono enormi”. Secondo una nota giunta all’agenzia Fides mons. Fonghoro ha inviato una lettera alla fondazione pontificia nella quale denuncia le terribili condizioni degli sfollati interni e in particolare dei bambini, molti dei quali gravemente malnutriti. Acs ha donato alla diocesi di Mopti un primo contributo di 40mila euro per assicurare viveri e medicinali a 326 famiglie. “Negli ultimi mesi – continua mons. Fonghoro – i maliani hanno sofferto molto, specialmente nel nord del Paese. Ora la situazione è lievemente più tranquilla, ma lo stato di emergenza è durato più di tre mesi e in molti hanno paura a tornare nei propri villaggi”. (R.P.)

    inizio pagina

    Centrafrica: capo dei ribelli Seleka nuovo ministro della Difesa

    ◊   Dopo giorni di intense trattative, il presidente François Bozizé ha nominato un nuovo governo di unità nazionale assegnando ai ribelli del Seleka il ministero della Difesa, come previsto dall’accordo di pace firmato a Libreville l’11 gennaio che ha sospeso l’offensiva avviata a dicembre dai miliziani nel centro-nord del Paese. Il capo di Seleka, Michel Djotodia, è stato designato nuovo titolare del dicastero nonché vice primo ministro. I ribelli hanno anche ottenuto i ministeri della Comunicazione e delle Foreste, mentre al primo ministro uscito dalle file dell’opposizione, Nicolas Tiangaye, è stato affidato anche il ministero delle Finanze. Il governo ha mantenuto gli Esteri, l’Economia e la Sicurezza pubblica. Da giorni Seleka (alleanza, in lingua sango) premeva per l’applicazione dell’accordo siglato in Gabon, accusando il governo di non volerlo onorare per mantenere il controllo di dicasteri-chiave. I ribelli sono stati a loro volta accusati da Bozizé di aver violato il cessate-il-fuoco rendendosi responsabili di episodi di violenza in alcune località del nord. Secondo l’intesa di Libreville, la transizione avviata da Bangui durerà 12 mesi, durante i quali il contestato Bozizé non potrà destituire il capo del governo. Alla fine di questo periodo sono previste elezioni legislative. Inoltre il presidente, al potere dal 2003 con un colpo di stato, si è impegnato a non candidarsi per un nuovo mandato nel 2016. La crisi centrafricana ha avuto origine lo scorso 10 dicembre, quando in pochi giorni la coalizione Seleka è riuscita a conquistare importanti località del centro-nord, accusando Bozizé di non aver rispettato precedenti accordi di pace e di non aver attuato le raccomandazioni fornite nel corso del “dialogo politico inclusivo” del 2008. (R.P.)

    inizio pagina

    Somalia: sempre alto il pericolo di mine sparse nell’intero Paese

    ◊   Migliaia di mine antiuomo e di altri ordigni inesplosi (Uxo) sparsi in diverse zone della Somalia nel corso degli ultimi decenni di conflitto stanno costituendo una nuove fonte di minaccia per la relativa sicurezza raggiunta dal Paese. Secondo gli esperti, manca la strumentazione adeguata per il servizio di bonifica dagli ordigni bellici. La zona orientale di confine Somalia-Etiopia è tra quelle più invase dagli Uxo, seminati durante la guerra nel 1977. Ne sono ugualmente infestate anche le città coinvolte negli scontri più recenti tra le truppe governative e il gruppo di miliziani ribelli di Al-Shabab. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite che si occupa delle azioni anti mine (Unmas), una ulteriore minaccia proviene dalle fabbriche che conservano accumuli di esplosivi, armi abbandonate, munizioni e ordigni esplosivi (Ied). L’Unmas sostiene che la maggior parte delle comunità della Somalia meridionale e centrale sono altamente infestate da residui bellici esplosivi (Erw) e in poche di queste aree ci sono la competenza e il supporto necessari per far fronte a tali minacce. La regione centrale del Galgadud, dove si è verificata una delle più grandi installazioni militari somale, è piena di Erw. La regione confina con l'Etiopia ed è servita come base per le Forze armate somale che hanno lasciato esplosivi e armi quando il governo è crollato. Anche le regioni centro-meridionali di Bakool, Bay e Hiraan sono invase dalle mine, oltre alla fascia di Afgooye e parti di Mogadiscio dove, oltre agli Erw, si trovano mine anti-uomo e anti-veicoli. Nel 2012, almeno 8 bambini sono morti in una esplosione nella città di Balad nella Middle Shabelle Region. Secondo l’Unmas, nel 2011, le mine anti uomo hanno causato il 4% di morti e feriti in Somalia, mentre gli Uxo il 55%, altri tipi di ordigni esplosivi non identificati il 32%. La Somalia ha siglato nel 2012 la Anti-Personnel Mine Ban Convention, Convenzione per il bando delle Mine Anti Uomo, che prevede la distruzione dei residui bellici entro quattro anni oltre che liberare completamente il Paese entro 10. Negli ultimi cinque anni sono state distrutte in Somalia oltre 21.461 Uxo e mine antiuomo. (R.P.)

    inizio pagina

    Congo: i leader religiosi chiedono una Commissione elettorale indipendente

    ◊   Una Commissione elettorale che sia effettivamente “indipendente, autonoma e neutrale”. È quanto chiedono le confessioni religiose della Repubblica Democratica del Congo attraverso il loro portavoce, don Donatien Shole, Segretario aggiunto della Conferenza episcopale congolese. I leader delle diverse confessioni religiosi del Paese si sono incontrati il 1° febbraio a Kinshasa. Al termine dell’incontro don Shole ha riferito le indicazioni scaturite nel corso del dibattito sulla legge che rivede la composizione della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (Ceni). “Chiediamo al Presidente della Repubblica, che ha il potere di rinviare la legge al Parlamento per un approfondimento, di tenere conto delle aspirazione profonde del popolo congolese che vuole una Ceni veramente indipendente, autonoma e neutrale” ha affermato il sacerdote. I leader religiosi ricordano che l’attuale Ceni era stata criticata in occasione delle elezioni presidenziali e legislative del 2011, nelle quali erano state riscontrate numerose irregolarità. Il 12 dicembre 2012 l’Assemblea Nazionale aveva adottato una legge che modifica la composizione della Ceni. Il testo prevede che la nuova Commissione Elettorale sia formata da due organi: l’Ufficio di presidenza e l’Assemblea plenaria. Quest’ultima è composta da 13 membri (6 della maggioranza presidenziale, 4 dell’opposizione e 3 della società civile). Secondo le confessioni religiose questo testo non presenta progressi significativi. (R.P.)

    inizio pagina

    Consiglio Mondiale delle Chiese: i cristiani della Corea del Sud siano agenti di pace

    ◊   I cristiani della Corea del Sud "siano agenti di pace nella penisola. La pace è radicale, va annunciata ma bisogna anche crederci perché diventi possibile. La popolazione coreana attende da tempo una vera pace, e i cristiani possono renderla possibile". È l'auspicio del dr. Olav Fykse Tveit, capo del Consiglio mondiale delle chiese cristiane, che ha visitato la parte sud della penisola per preparare l'incontro annuale del gruppo che si terrà a ottobre a Busan. Parlando con i fedeli delle denominazioni protestanti coreane, il dr. Tveit ha dichiarato: "Il Salmo 85 è chiaro: Dio parla di pace al Suo popolo. E i coreani aspettano la pace da molto tempo, una pace che porti con sé la vita e la possibilità di vivere di nuovo come un Paese unito. Viviamo in tempi difficili, in cui la vita è minacciata e le ingiustizie sono una realtà in tutto il mondo. Basta guardare a quanto avviene in Siria, in Israele e in Palestina". Ma le minacce alla pace non vengono solo dalla guerra combattuta. Citando Benedetto XVI e il suo annuale Messaggio per la Giornata Mondiale della pace - riferisce l'agenzia Asianews - il dr. Tveit ricorda che "anche le diseguaglianze fra ricchi e poveri disturbano la pace. Così come la disoccupazione dei giovani, i cambiamenti climatici e tanti altri fattori sociali. Ma Dio parlerà di pace al Suo popolo, per fare in modo che i cristiani divengano agenti di pace". L'incontro annuale del Consiglio si terrà a Busan dal 30 ottobre al 10 novembre. Il tema scelto è "Dio della vita, guidaci verso la giustizia e la pace". Attualmente i cristiani in Corea del Sud rappresentano il 29,3 % della popolazione; il 47 % dei coreani si professa ateo, mentre il 22 % è di fede buddista. I cattolici sono il 10,9 %, un numero che da 10 anni a questa parte continua a crescere in maniera costante. Alle ultime elezioni presidenziali entrambi i candidati erano di fede cattolica anche se la vincitrice, Park Geun-hye, si dichiara "non praticante". (R.P.)

    inizio pagina

    Usa: i vescovi sull’obbligo di copertura sanitaria dei mezzi anticoncezionali

    ◊   Dopo un braccio di ferro che dura da oltre un anno ormai, l’Amministrazione Obama ha deciso che concederà la possibilità alle organizzazioni religiose di offrire ai propri dipendenti polizze assicurative che non coprano le spese per contraccezione, sterilizzazione e aborti. Toccherà in tale caso ad una terza organizzazione fornire questo tipo di assistenza. E’ quanto stabilisce il nuovo testo, presentato il 1° febbraio, delle linee guida del Ministero della salute (Hhs) sull’applicazione della riforma sanitaria (il “Patient Protection and Affordable Care Act”). Come è noto, da mesi la Chiesa cattolica americana, con in testa il presidente della Conferenza episcopale il card. Timothy Dolan, e altri gruppi religiosi contestano, anche con cause legali, il nuovo regolamento, sostenendo che le regole sull’obbligo di copertura sanitaria dei mezzi anticoncezionali viola la libertà religiosa e di coscienza . Secondo Ministro della salute Kathleen Sebelius, il compromesso proposto dovrebbe conciliare la duplice esigenza di salvaguardare l’accesso gratuito a tutti i servizi sanitari e i diritti di chi, per motivi religiosi ed etici, si oppone alla copertura gratuita dei mezzi anti-concezionali e abortitivi. I vescovi, per bocca del card. Dolan, si riservano di esaminare il nuovo regolamento prima di esprimersi con una dichiarazione. La Catholic Health Association, la più grande associazione cattolica di assistenza sanitaria, non ha per ora voluto commentare l’iniziativa del Governo. In una nota dell’associazione del giugno 2012 veniva osservato che i regolamenti sanitari fanno emergere “serie questioni costituzionali”.(L.Z.)

    inizio pagina

    Venezuela. Il card. Urosa: “Il carcere non è un deposito di condannati a morte”

    ◊   L'arcivescovo di Caracas, il cardinale Jorge Urosa Savino, ha chiesto ai venezuelani di non abituarsi all'idea che le carceri del Paese sono depositi di persone destinate a morire. "Al contrario, sono Centri di riforma, Centri di riabilitazione, Centri per re-inserirsi nella società". Il cardinale Jorge Urosa ha parlato, in un'intervista alla stampa locale, sugli eventi nella prigione di Uribana dove sono morte almeno 58 persone e oltre 90 ferite. In una nota inviata all’agenzia Fides, si afferma che “il governo nazionale ha la responsabilità delle carceri, della vita e la sicurezza delle persone che sono lì recluse". Il cardinale ha ribadito che la chiusura delle carceri non è una soluzione definitiva al problema. "Si creano altri problemi. Quello che bisogna fare è costruire più carceri, ottimizzare i processi, garantire condizioni migliori di vita e sostenere i diritti umani dei prigionieri, anche se alcuni di loro sono criminali", ha detto. Dopo che ha ringraziato Benedetto XVI per il suo l'interessamento e le sue preghiere, ha colto l'occasione per esprimere solidarietà ai prigionieri politici del Paese. (R.P.)

    inizio pagina

    Pakistan: nell’anno della Fede la Chiesa sceglie il Web per evangelizzare i bambini

    ◊   Il catechismo ora è anche online. Padre Saleh Diego, direttore nazionale della Catechesi dell’arcidiocesi di Karachi, la città più popolosa del Pakistan, ha lanciato un sito web http://cssmk.org, con contenuti multimediali di supporto alla catechesi nelle scuole domenicali. Video, testi e immagini sono stati realizzati dall’ufficio catechistico nazionale. La piattaforma - riporta l'agenzia Fides - è accessibile da qualsiasi diocesi del Paese provvista di una connessione Internet. “Era necessario rispondere alle sfide della comunicazione, in questo Anno della Fede, secondo le indicazioni del Papa: i mass-media e le nuove tecnologie aiutano a coprire le distanze e ci consentono di aprire un nuovo capitolo per evangelizzare i bambini, con l’ausilio di Internet”. Così padre Diego ha presentato l’innovazione a catechisti e insegnanti. Il 70% è composto da ragazzi e studenti, che si adatteranno quindi facilmente ai nuovi strumenti. I mezzi tecnologici si aggiungeranno a quelli più tradizionali: il teatro, l’arte, il canto e i giochi. Padre Diego sottolinea l’impegno totalmente volontario dei giovani cristiani che si dedicano al servizio di catechesi, dopo un percorso di formazione psicologica e didattica. Solo nella sua arcidiocesi ci sono ben 716 insegnanti volontari, che si rivolgono agli oltre 11.000 bambini che frequentano le 125 scuole domenicali presenti. (V.C.)

    inizio pagina

    India. Religiosi e religiose hanno celebrato la Giornata per la vita consacrata

    ◊   Essere profeti e testimoni nella società, fra le sfide della modernità, ma nel contempo essere “mistici”, uomini e donne di preghiera, segno del trascendente: è l’impegno delle congregazioni e comunità indiane che, riunite nella “Conferenza dei Religiosi dell'India”, hanno celebrato ieri, a Mangalore, la “Giornata mondiale per la vita consacrata”. Come riferito all'agenzia Fides, oltre 570 religiosi e suore presenti hanno riflettuto sullo status e sulle sfide della vita consacrata, ripartendo dalla “crisi di identità” che si registra nell’umanità di oggi. Suor Jessy Merlyn (Sisters Minor of Mary Immaculate), relatrice della giornata, ha rimarcato che religiosi sono chiamati a riscoprire “la dimensione profetica e mistica” e “la fedeltà creativa” alla loro vocazione. Senza “sottomettersi al potere del mondo”, ma riscoprendo il loro carisma originario, e senza identificarsi eccessivamente con istituzioni e organizzazioni. Nel servizio di apostolato, i religiosi, quando sono impegnati nel campo educativo, sanitario o sociale, non devono offrire “un servizio aziendale”, ma piuttosto “offrire Cristo, testimoniando la sua presenza soprattutto fra coloro che sono ai margini della società”. Suor Merlyn ha ricordato il documento “Vita consacrata”, definendo i religiosi “dono di Dio” che, con la professione dei consigli evangelici, rendono le caratteristiche di Gesù costantemente visibili nel mondo. La vita religiosa non è una forma di realizzazione di sé attraverso l'isolamento, ma è una chiamata a vivere in comunione con gli altri, costruendo comunità di libertà, di fraternità e di giustizia, ha aggiunto. “La vita religiosa – ha concluso – è una profonda immersione nel mondo come discepoli di Gesù e con il radicalismo evangelico”. I presenti hanno espresso il loro desiderio di rinnovamento nel “ministero della vita attiva”, ricordando le numerose sfide di apostolato che l’India propone: povertà, emarginazione, ingiustizia, discriminazione castale, abusi dei diritti e della dignità umana, mancanza di pari opportunità uomo-donna, difficile accesso all’istruzione. (R.P.)

    inizio pagina

    India: nel Sud l’urbanizzazione mette a rischio la salute dei bambini

    ◊   In India, la convulsa urbanizzazione degli ultimi decenni ha generato degli effetti collaterali anche per i minori. I più piccoli sono colpiti da malattie infantili e sono soggetti a malnutrizione, sebbene non sia facile determinare il tasso di incidenza. Lo dimostra uno studio condotto da esperti su 176 bambini in fase di allattamento, provenienti da quattro baraccopoli, adiacenti l’una all’altra, situate nella periferia occidentale di Vellore, il capoluogo dell’omonimo distretto, situato nello Stato federato di Tamil Nadu. Per determinare il livello di sicurezza dell’acqua e le infezioni intestinali derivanti dall’eventuale contaminazione, gli studiosi - riferisce l'agenzia Fides - hanno somministrato ai soggetti del campione acqua in bottiglia e acqua del municipio di residenza. I bambini sono stati quindi sottoposti a controlli settimanali a domicilio. Ogni mese, fino al compimento dei due anni, la loro crescita è stata monitorata attraverso la misurazione dell’altezza. Sono stati registrati 3932 casi di malattia, con un’incidenza di 12.5 per bambino ogni anno. Le patologie più frequenti hanno riguardato l’apparato respiratorio e gastrointestinale. Lo studio ha permesso di rilevare che circa un terzo dei soggetti del campione era rachitico mentre i restanti due terzi hanno avuto almeno un problema di crescita. La provenienza dell’acqua sembra non aver avuto alcun impatto sulla morbilità. Le malattie di questo genere minano la crescita sana dei bambini. In una zona ad alta povertà, come quella oggetto dell’analisi, possono anche rappresentare un’ulteriore difficoltà per le famiglie, già in stato di grande indigenza. (V.C.)

    inizio pagina

    Argentina: a marzo, Congresso dei vescovi sulla Nuova Evangelizzazione

    ◊   Sulla scia del Sinodo dedicato alla Nuova evangelizzazione, svoltosi lo scorso ottobre, e guardando all’Anno della fede, indetto da Benedetto XVI per commemorare i 50 anni del Concilio Vaticano II, i vescovi argentini promuovono un Congresso sulla nuova evangelizzazione. L’evento si terrà a Buenos Aires dal 12 al 14 marzo, ospitato dal Teatro Santa Maria, e vedrà la partecipazione non solo di vescovi, ma anche di specialisti ed esperti di teologia, grazie anche al contributo di tante istituzioni coinvolte nel congresso: la Commissione per la Pastorale sociale della Conferenza episcopale argentina; la Facoltà di teologia dell’Università cattolica nazionale (Uca) ed il Consiglio nazionale dell’Azione cattolica argentina. Il programma prevede, per il 12 marzo, una conferenza preliminare dal titolo “Il Sinodo sulla nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. Il relatore sarà mons. Jorge Lozano, presidente della Commissione episcopale per la Pastorale sociale, il quale ha partecipato all’Assemblea generale dei vescovi in veste di rappresentante della Chiesa argentina. Dopo di lui, interverrà padre Carlos Maria Galli, docente di teologia sistematica e pastorale presso l’Uca, il quale farà un excursus storico dal Concilio Vaticano II al Sinodo 2012. In serata, sarà la volta di una riflessione su “I nuovi scenari dell’evangelizzazione e la missione dei laici”, che verrà tenuta da esponenti dell’Azione cattolica. Il 13 marzo, i lavori si apriranno con una relazione sul tema “Lo stile evangelizzatore di Gesù in tre passi del Vangelo e in tre testi del Sinodo”, ovvero le omelie del Papa per la chiusura del Sinodo e per l’apertura dell’Anno della fede e il Messaggio finale dell’Assemblea episcopale stessa. La relazione sarà tenuta da padre Gerard Söding, docente di esegesi biblica e teologia fondamentale. Quindi, mons. Lozano tornerà a prendere la parola, affrontando i rapporti tra la Nuova evangelizzazione, la promozione umana e l’opzione preferenziale per i poveri. Il giorno successivo, toccherà a mons. Carlos Maria Franzini, arcivescovo di Mendoza, affrontare il tema “Le Chiese particolari, soggetti primari della nuova evangelizzazione”, seguito poi da mons. Galli, con un intervento intitolato “La Chiesa latinoamericana nella nuova evangelizzazione: la creatività pastorale per un nuovo futuro missionario”. I lavori si concluderanno con un momento di preghiera condiviso. (A cura di Isabella Piro)

    inizio pagina

    Rwanda. Conclusa l’Assemblea Caritas: pubblicate le raccomandazioni finali

    ◊   Coordinare il piano operativo pastorale di quattro dipartimenti: amministrativo, sanitario, per lo sviluppo e per le opere sociali. È stato questo il focus dell’Assemblea generale di Caritas Rwanda, svoltasi presso il Centro dello Spirito Santo di Mbare-Kabgayi. Al termine dei lavori, mons. Thaddée Ntihinyurwa ha pubblicato un elenco di ‘raccomandazioni’ indirizzate a diversi destinatari: la Conferenza episcopale del Paese, ad esempio, viene invitata a promuovere un maggior coordinamento tra la Caritas stessa, le cappellanie carcerarie e le Commissioni dei vescovi dedicate al sociale, come Giustizia e pace, Famiglia, Giovani ed Educazione. Altre raccomandazioni riguardano la stessa Caritas: le si chiede, nello specifico, di preparare un messaggio per i fedeli in occasione dell’Anno della fede, e di continuare l’opera di assistenza ai rifugiati, guardando soprattutto ai giovani ed ai bambini dei campi profughi. Al contempo, le Caritas diocesane vengono invitate a sostenere i bambini nell’accesso ai centri di formazione professionale; ad incrementare la formazione degli animatori allo sviluppo comunitario; ad organizzare delle Giornate parrocchiali della Caritas. In chiusura dei lavori, l’Assemblea ha ricevuto il saluto di Ernest Rwagasana, direttore generale dell’Ufficio di formazione medica del Paese (Bufmar), l’ente che raggruppa i centri formativi sanitari della Chiesa cattolica e delle altre Chiese cristiane del Paese. In particolare, Rwagasana ha invitato la Caritas a partecipare alla prossima Assemblea generale del Bufmar, che si terrà il 14 marzo. (I.P.)

    inizio pagina

    Un “cappuccino” al bar vale dieci pasti caldi per un bambino africano

    ◊   Stando al frate cappuccino polacco padre Piotr Gajda, l’idea è venuta a un suo confratello mentre sorseggiava un caffè al bar. “Nulla di più naturale - si è detto il religioso - tentare di ricavare un aiuto per le missioni della Repubblica Centrafricana e del Ciad bevendo al bar la bevanda che meglio può rappresentarmi: un cappuccino”. Detto fatto. Ha contattato alcune caffetterie, e sei città hanno aderito all’iniziativa “un cappuccino per l’Africa”, devolvendo per tre giorni al mese l’equivalente della bevanda a pro delle missioni affidate alla Provincia cappuccina di Cracovia. In questo modo per ogni “cappuccino” sorseggiato in un bar polacco, i missionari della Repubblica Centrafricana e del Ciad possono distribuire dieci pasti caldi a bambini bisognosi, numerosissimi soprattutto nella Repubblica Centrafricana da vari anni in balia di bande armate che assaltano i villaggi rubando, violentando e reclutando bambini per la guerra. (A cura di padre Egidio Picucci)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 35

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.