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Sommario del 23/12/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: a Natale, facciamo posto a Gesù invece che alle spese e al rumore
  • Udienze e nomine di Papa Francesco
  • Tweet del Papa: ci farà bene stare un po’ in silenzio a Natale, per sentire la voce dell’Amore
  • Ilva. Mons. Santoro: il Papa è vicino alla popolazione e vuole venire a Taranto
  • Messa di Natale alla Radio Vaticana: dal Papa nuovi stimoli per l'annuncio del Vangelo
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Scontri in Sud Sudan: sempre più grave la situazione umanitaria
  • Natale in Somalia, mons. Bertin: la pace annunciata a Betlemme arrivi anche da noi
  • Iraq: il governo dichiara il Natale "festa nazionale". Il patriarca Sako: un gesto di speranza per i cristiani
  • Pellegrinaggio in Iraq. Mons. Andreatta: segno di comunione tra cristiani
  • Lampedusa, padre La Manna: "Le promesse del governo sono rimaste parole"
  • L'ansia negli adolescenti, una delle cause dell'abbandono scolastico: intervista con Cinzia Sarlatto
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Terra Santa: Messaggio di Natale dei patriarchi e capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme
  • Terra Santa: a Betlemme, Natale nel ricordo dei popoli in guerra
  • Emirati Arabi. Natale ad Abu Dhabi: chiese "stracolme in tutta la regione: pregheremo per la pace"
  • Vietnam. Natale a Saigon: dai cattolici attività pastorali e sociali per poveri e bisognosi
  • Sud Sudan: sei operatori italiani di "Medici con l'Africa Cuamm" restano nel Paese
  • Thailandia: l’opposizione vuole bloccare il voto del 2 febbraio
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: a Natale, facciamo posto a Gesù invece che alle spese e al rumore

    ◊   A Natale, come Maria, facciamo posto a Gesù che viene. E’ l’esortazione di Papa Francesco nella Messa di stamani a Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che il Signore visita ogni giorno la sua Chiesa ed ha messo in guardia da un atteggiamento di chiusura della nostra anima. Il cristiano, ha ribadito, deve sempre vivere in vigilante attesa del Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Natale è vicino. In questi giorni che precedono la nascita del Signore, Papa Francesco ha sottolineato che la Chiesa, come Maria, è in attesa di un parto. Anche Lei, ha osservato, “sentiva quello che sentono tutte le donne in quel tempo”. Sente queste “percezioni interiori nel suo corpo, nella sua anima” che il figlio sta arrivando. Maria, ha detto il Papa, sente nel cuore che vuole guardare il volto del suo Bambino. Noi come Chiesa, ha soggiunto, “accompagniamo la Madonna in questo cammino di attesa” e quasi “vogliamo affrettare questa nascita" di Gesù. Il Signore viene due volte, ha detto Papa Francesco, “quella che commemoriamo adesso, la nascita fisica” e quella in cui “verrà alla fine a chiudere la storia”. Ma, come afferma San Bernardo, c’è anche una terza nascita:

    “C’è una terza venuta del Signore: quella di ogni giorno. Il Signore ogni giorno visita la sua Chiesa! Visita ognuno di noi e anche la nostra anima entra in questa somiglianza: la nostra anima assomiglia alla Chiesa, la nostra anima assomiglia a Maria. I padri del deserto dicono che Maria, la Chiesa e l’anima nostra sono femminili e quello che si dice di una, analogamente si può dire dell’altra. La nostra anima anche è in attesa, in questa attesa per la venuta del Signore; un’anima aperta che chiama: 'Vieni, Signore!'”.

    E anche ad ognuno di noi, in questi giorni, ha proseguito, “lo Spirito Santo ci muove a fare questa preghiera: Vieni! Vieni!”. Tutti i giorni dell’Avvento, ha rammentato, “abbiamo detto nel prefazio che noi, la Chiesa, come Maria, siamo vigilanti nell’attesa”. E la vigilanza, ha evidenziato, “è la virtù” del pellegrino. Noi tutti “siamo pellegrini!”:

    “E mi domando: siamo in attesa o siamo chiusi? Siamo vigilanti o siamo sicuri in un albergo, lungo il cammino e non vogliamo più andare avanti? Siamo pellegrini o siamo erranti? Per questo la Chiesa ci invita a pregare questo 'Vieni!', ad aprire la nostra anima e che la nostra anima sia, in questi giorni, vigilante nell’attesa. Vigilare! cosa succede in noi se viene il Signore o se non viene? Se c’è posto per il Signore o c’è posto per feste, per fare spese, fare rumore… La nostra anima è aperta, com’è aperta la Santa Madre Chiesa e com’era aperta la Madonna? O la nostra anima è chiusa e abbiamo attaccato sulla porta un cartellino, molto educato, che dice: 'Si prega di non disturbare!'”.

    “Il mondo – ha avvertito il Papa – non finisce con noi, noi non siamo più importanti del mondo: è il Signore, con la Madonna e con la Madre Chiesa!”. Ecco allora, ha detto, “ci farà bene ripetere” l’invocazione: “O saggezza, o chiave di Davide, o Re delle genti, vieni!”:

    “E oggi ripetere tante volte 'Vieni!', e cercare che la nostra anima non sia un’anima che dica: 'Do not disturb'. No! Che sia un’anima aperta, che sia un’anima grande, per ricevere il Signore in questi giorni e che incominci a sentire quello che domani nell’antifona ci dirà la Chiesa: ‘Sappiate che oggi viene il Signore! E domani vedrete la sua gloria!’”.

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    Udienze e nomine di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: il signor Rodney Alejandro López Clemente, ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali; il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali; mons. Javier Echevarría Rodríguez, vescovo tit. di Cilibia, prelato della Prelatura personale dell’Opus Dei. E ancora il card. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, con una delegazione per la presentazione del Presepio offerto in Piazza San Pietro; mons. Pedro López Quintana, arcivescovo tit. di Agropoli, nunzio apostolico.

    In Argentina, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Santiago del Estero, presentata da S.E. Mons. Francisco Polti Santillán, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo di Santiago del Estero mons. Vicente Bokalic Iglic, C.M., finora vescovo titolare di Summa ed Ausiliare di Buenos Aires.

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    Tweet del Papa: ci farà bene stare un po’ in silenzio a Natale, per sentire la voce dell’Amore

    ◊   Il Papa ha lanciato un nuovo tweet: "Il Natale spesso è una festa rumorosa: – scrive - ci farà bene stare un po’ in silenzio, per sentire la voce dell’Amore". L'account @Pontifex in 9 lingue ha superato i 10 milioni 930mila follower.

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    Ilva. Mons. Santoro: il Papa è vicino alla popolazione e vuole venire a Taranto

    ◊   Papa Francesco è vicino alle famiglie tarantine alle prese con la drammatica vicenda dell’Ilva. A sottolinearlo è il vescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, che nei giorni scorsi è stato ricevuto in Vaticano dal Pontefice. Al microfono di Cristiane Murray, mons. Santoro parla dell’incontro e si sofferma sull’attenzione del Papa per i problemi della città pugliese:

    R. - Prima impressione: è stata l’accoglienza di sempre del Papa, la stessa che vediamo quando incontra le moltitudini, quando incontra gli ammalati, i bambini; ha avuto e ha manifestato nei miei confronti la stessa attenzione. E poi, soprattutto l’interesse per la situazione di Taranto, per questo conflitto aperto tra il lavoro della grande fabbrica siderurgica e l’esigenza della salvaguardia della vita, della salute e dell’ambiente. Lui conosceva già la situazione, e nonostante questo mi ha chiesto di approfondirgliela. Gli ho presentato il quadro e, ascoltandomi, lui ha esplicitamente detto: “Don Filippo, ma io voglio venire a Taranto! Desidero venire a Taranto!”; quindi il desiderio è proprio chiaro. Gli ho detto: “Santità, il 2014 sarebbe un anno buono, perché, il Beato Giovanni Paolo II che Vostra Santità proclamerà Santo, è stato a Taranto proprio 25 anni fa; nel 1989”. Allora mi ha detto: “Filippo vedo la situazione, i miei viaggi internazionali e poi ti dirò”. Quindi il desiderio c’è, la possibilità c’è; l’attenzione del Papa verso le persone che vivono in situazioni dove ci sono problemi umani, sociali, come succede in tutta Europa, in Italia - ma qui a Taranto in modo particolare -, è molto chiara. Questo Papa ci comunica l’essenziale, la tenerezza di Dio per noi, la sua vicinanza e ci chiede di continuare a portare l’essenziale, curare le ferite, riscaldare i cuori. Questo è l’augurio di Natale che sotto il carisma, con il carisma di Papa Francesco, rivolgo a tutti: che sia un Natale di fede, un Natale di solidarietà, un Natale di speranza per tutti noi.

    D. – Certo, la presenza del Papa così sensibile alle questioni dell’ambiente e del lavoro sarebbe di grande incoraggiamento per questa popolazione così sofferta ...

    R. – Certamente! Quando sono tornato a Taranto ho visto che le persone erano felicissime e dicevano: “Lo vogliamo tra noi, affinché ci dia la speranza”; inoltre, anche per favorire quello che è stato il mio sforzo in tutti questi mesi, lo sforzo dell’unità, del dialogo tra posizioni che spesso sono opposte e di chiusura. Questo è stato il lavoro che ho fatto in questi due anni da quando sono qui. E poi, quello che Papa Francesco favorirebbe: un dialogo tra le persone e un attenzione precisa, rigorosa, sia al problema della salute che a quello del lavoro. È una grande speranza per tutti!

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    Messa di Natale alla Radio Vaticana: dal Papa nuovi stimoli per l'annuncio del Vangelo

    ◊   Messa di Natale questa mattina per la comunità della Radio Vaticana che si è raccolta nella Cappella dell’Annunciazione di Palazzo Pio. A presiedere la celebrazione è stato padre Josef Bartkovjak, responsabile del Programma Slovacco della nostra emittente. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “Dio-con-noi ci dona tre doni: la vita, la comunità, la missione”. Così, si è espresso padre Josef Bartkovjak nella sua omelia, ispirata alle letture sacre in preparazione del Natale:

    “Dio è presente. E’ già presente qui, con la sua mano, e sta preparando ancora di più nel futuro”.

    Poi, il riferimento al senso della missione affidata alla Radio Vaticana:

    “Giovanni Battista è stato - come dice la Scrittura - ‘la voce che grida nel deserto’. Penso che anche questo faccia parte del nostro ‘noi’: anche noi siamo una voce! Lo slogan della Radio dice: ‘La voce del Papa’. E’ una voce plurilingue. Se Giovanni è stato chiamato a essere la voce di Gesù Cristo, se il Papa è chiamato ad essere la voce di Gesù Cristo in questo mondo, noi siamo quelli che sono chiamati a portare queste parole ovunque nel mondo”.

    Infine, il ringraziamento per i tre doni:

    “Il dono della vita: quindi speranza e certezza che la nostra vita sia sempre nella mani di Dio. Il secondo: il dono di legami comunitari, di fratellanza, di poter partecipare alla stessa missione di questo miracolo della Radio, che dimostra che la salvezza è ormai arrivata anche nella Babilonia delle lingue. E il terzo: il dono di un nome che porta salvezza, il nome di Gesù”.

    In un clima gioioso, dopo la Messa, la comunità della Radio Vaticana si è riunita nella Sala Marconi di Palazzo Pio per scambiare gli auguri. Padre Federico Lombardi, direttore generale, ha voluto condividere i nuovi stimoli portati al lavoro della nostra emittente da Papa Francesco.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Una cesta di sogni: l’incontro di Papa Francesco con i piccoli degenti dell’ospedale pediatrico romano Bambino Gesù.

    Una casa per ogni famiglia: appello del Pontefice all’Angelus.

    “Così grande da farsi bambino”: un editoriale di Hermann Geissler

    Per l’informazione internazionale: Sud Sudan ormai nella guerra civile

    “Storia di una vocazione”: un inedito di Jorge Mario Bergoglio sulla figura del salesiano padre Enriqe Pozzoli, che lo battezzò nel giorno di Natale.

    Nasce a Betlemme il Pane della vita: Manuel Nin sul Natale del Signore in un’omelia di Severo di Antiochia.

    Giocattolo teologico: Sylvie Barnay sul piccolo Gesù di cera.

    Ecco perché esistono il tempo e lo spazio: Inos Biffi sull’incarnazione di Cristo.

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    Oggi in Primo Piano



    Scontri in Sud Sudan: sempre più grave la situazione umanitaria

    ◊   Il bilancio delle vittime, dopo una settimana di violenze interetniche in Sud Sudan ha ormai superato i mille morti. Sul terreno si confrontano i ribelli, fedeli all’ex vicepresidente Riek Machar, e l’esercito di Juba. Stamani, il capo dello Stato, Salva Kiir, ha annunciato una vasta controffensiva nella città di Bor, appena conquistata dai miliziani. La situazione appare sempre più preoccupante e il presidente americano, Barack Obama, ha annunciato la possibile adozione di misure per arginare gli scontri. Sempre più grave l’emergenza umanitaria causata dal conflitto. Lo conferma Bruna Sironi, responsabile per il Sud Sudan di "Mani Tese", intervistata da Giancarlo La Vella:

    R. - Gli effetti del conflitto saranno molto gravi, perché il Paese comunque non è mai uscito definitivamente dall’emergenza e, dunque, le operazioni di supporto alla popolazione civile sono ancora molto rilevanti.

    D. - Quali sono i numeri di questa emergenza umanitaria?

    R. – Adesso, il conflitto si sta giocando in due Stati: lo Stato di Jonglei e lo Stato di Unity. Lo Stato di Jonglei da un anno è in guerra; già c’erano problemi molto gravi di violazione dei diritti umani nei confronti della popolazione. Adesso il conflitto si sta giocando anche nello Stato di Unity, che è il secondo Stato in emergenza del Paese: ospita il più grande campo profughi dell'area, dove ci sono circa 78 mila rifugiati provenienti dal Sud Kordofan, lo Stato del Sudan in guerra da circa un paio d’anni. La situazione alimentare era già critica in questo periodo; con il conflitto le cose diventeranno sempre più drammatiche, perché non sarà possibile raggiungere i profughi. Tutti gli operatori umanitari sono stati rimpatriati e, dunque, i rifugiati sono praticamente da soli, in balia di loro stessi. Io sono molto preoccupata.

    D. - Operando sul terreno, quale idea vi siete fatta di questo conflitto? E’ una guerra per la gestione delle risorse petrolifere o una lotta per il potere nel nuovo Stato del Sud Sudan?

    R. - È sicuramente una lotta per il potere; le risorse petrolifere poi vengono di conseguenza ad aggravare il quadro. C’è probabilmente anche una diversa visione dello sviluppo delle istituzioni del Paese. Penso che la crisi sia sfuggita di mano e adesso il conflitto sta già coinvolgendo altri Paesi.

    D. - L’adozione di nuove misure – come ha paventato il presidente Obama – può risolvere qualcosa?

    R. - Credo che la Comunità internazionale dovrebbe agire in altro modo e cercare di mettere attorno un tavolo i contendenti, per studiare con loro un modo per uscire da questo momento così drammatico. Il Paese rischia di esplodere.

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    Natale in Somalia, mons. Bertin: la pace annunciata a Betlemme arrivi anche da noi

    ◊   L’impegno “in favore della pace in Somalia” è stato ricordato ieri dal Papa, salutando dopo l’Angelus i partecipanti alla staffetta giunta in Piazza San Pietro e promossa da un'associazione piemontese in memoria di Laura Garavelli, un’insegnante di Alessandria che ha dedicato la propria vita ai bambini somali. Il Paese africano vive un momento cruciale, dopo anni di anarchia: nei giorni scorsi il Parlamento ha votato la fiducia al nuovo premier, Abdiweli Sheikh Ahmed, insediatosi al posto di Abdi Farah Shirdon, sfiduciato dai deputati all'inizio di dicembre. Ce ne parla mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, intervistato da Giada Aquilino:

    R. - È un momento delicato perché le nuove istituzioni, nate un anno e mezzo fa, rimangono molto fragili. E poi c’è l’insicurezza che prevale in molte parti del Sud della Somalia, anche a Mogadiscio, dove gli al-Shabaab continuano imperterriti la loro sfida per questa nuova Somalia.

    D. – Le azioni del gruppo islamico al-Shabaab, legato ad Al Qaeda, come influiscono di fatto sul Paese?

    R. – Rendono molto insicura la situazione, fanno degli assassinii mirati. Le persone che più si stanno impegnando per la rinascita della Somalia devono avere un supplemento di coraggio, sapendo che rischiano veramente la vita, perché questo gruppo di opposizione armata se la prende proprio con loro.

    D. – La fiducia votata dal Parlamento somalo al nuovo premier Sheikh Ahmed può essere un’iniezione di speranza per la Somalia?

    R. – Direi di sì. Personalmente non lo conosco, però il mio ragionamento è sull’importanza dell’istituzione: il fatto che il Parlamento abbia bocciato un premier e ne abbia approvato un altro può essere un segno che le istituzioni funzionano. Certo, poi bisognerà vedere ciò che si farà in futuro.

    D. – Il pensiero del Papa è andato alla Somalia e alla speranza di pace per il Paese. Oggi la gente come vive in Somalia?

    R. – Ci sono zone ancora occupate dagli al-Shabaab, dove c’è sicurezza ma pochissima libertà. Ci sono poi zone non controllate dagli Shabaab, come parte di Mogadiscio ed altre città, dove c’è una certa insicurezza, però c’è una grande speranza. Ho incontrato diversi somali che venivano anche dall’Italia e che erano tornati proprio per contribuire alla rinascita del Paese. Questo è un segno di grande speranza: quando i somali stessi sono pronti anche a perdere il lavoro o la bella posizione che si erano costruiti all’estero - e a volte anche a rischio della vita - per tornare e contribuire alla rinascita della Somalia.

    D. – Perché nelle zone controllate dagli al-Shabaab non c’è libertà?

    R. – Perché è una ideologia contraria alla libertà: di religione prima di tutto, ma anche alla libertà di espressione del proprio pensiero, alla manifestazione delle proprie abitudini culturali…

    D. – Ad inizio novembre una violenta tempesta abbattutasi sul Puntland ha portato ad una grave emergenza nella regione, che è semi-autonoma. Qual è la situazione?

    R. – Anche lì è un momento delicato: all’inizio di gennaio si terranno le elezioni per la nuova leadership, compreso il nuovo presidente del Puntland; dunque c’è una certa instabilità, a cui si è aggiunto questo fenomeno naturale che ha causato la morte di un centinaio di persone e un vero disastro, compresi l’abbandono di pozzi d’acqua e la morte di molti capi di bestiame. Rimane una situazione particolarmente difficile.

    D. – Nelle ultime ore il pensiero del Papa per la Somalia, alla vigilia del Natale: che Natale sarà per la piccola comunità cristiana somala?

    R. – I cristiani somali sono pochissimi. Il Natale sarà celebrato pregando e unendosi, attraverso la radio – compresa la Radio Vaticana – e tutti i mezzi di comunicazione, alla grande comunità cristiana cattolica nel mondo. Eleveremo la preghiera a Dio, perché la pace annunciata a Betlemme possa crescere anche in Somalia.

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    Iraq: il governo dichiara il Natale "festa nazionale". Il patriarca Sako: un gesto di speranza per i cristiani

    ◊   Il governo irakeno ha accolto la richiesta avanzata dal patriarcato caldeo e ha stabilito che il prossimo 25 dicembre sarà giornata di festa nazionale e di vacanza per tutti i cittadini del Paese. Un nuovo, importante riconoscimento nei confronti della minoranza religiosa da parte dell'esecutivo a Baghdad; che, già nei giorni scorsi - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha allestito un albero di Natale di cinque metri sulle sponde del fiume Tigri, dimostrazione di "solidarietà" e tentativo di "arginare l'esodo" della comunità degli ultimi 10 anni. Questo sorge nel quartiere di Karrada, sul lato orientale del fiume, dove convivono in modo pacifico cristiani e musulmani sciiti e sunniti. La settimana scorsa sua il patriarca Louis Raphael I Sako aveva inviato una lettera al Primo Ministro Nouri al-Maliki, chiedendogli di dichiarare il 25 dicembre "giorno di vacanza per tutti gli irakeni". Un modo per riconoscere il valore e l'importanza di una comunità che, per secoli, ha contribuito in modo attivo allo sviluppo della nazione. Nella missiva, il patriarca caldeo ricorda che "Gesù non è venuto solo per i cristiani, ma è per tutti"; ha inoltre sottolineato "il rispetto speciale" che i musulmani "hanno per Lui". In risposta, ieri mattina il Consiglio dei ministri riunito a Baghdad e presieduto dal premier al-Maliki ha preso questa "importante decisione". In aggiunta, le autorità della capitale hanno allestito luminarie e altri alberelli decorati in diversi quartieri per "mostrare il loro rispetto e la loro vicinanza" alla comunità cristiana in questi giorni di festa. Dopo l'invasione degli Stati Uniti nel 2003, gli estremisti islamici hanno preso di mira la minoranza religiosa, uccidendo centinaia di persone fra cui un vescovo, sacerdoti, uomini d'affari, medici e politici. Tale situazione ha spinto migliaia di cristiani a fuggire dall'Iraq, passati in 10 anni da oltre due milioni a meno di 300mila. Sulla decisione del governo ascoltiamo il patriarca Louis Raphael I Sako, al microfono di Manuella Affejee:

    R. – E' un gesto molto positivo, che riconforta i cristiani. Tutti i preti hanno preparato la Messa della Veglia, non nella notte ma nella tarda serata, e tanti musulmani hanno chiesto di venire e di partecipare alla Messa, per fare gli auguri ai cristiani … C’è un gesto di solidarietà da parte di tutti e questo ci dà tanta speranza.

    D. – Qual è il suo augurio per questo Natale?

    R. – Che nel Medio Oriente e per tutti sia la pace; che venga la pace e anche la serenità, che la gente possa vivere tranquillamente e quindi che sia una festa della vita e non di morte e distruzione.

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    Pellegrinaggio in Iraq. Mons. Andreatta: segno di comunione tra cristiani

    ◊   Sempre tesa la situazione in Iraq, dove negli ultimi undici mesi hanno perso la vita oltre ottomila persone. Intanto, si è concluso nei giorni scorsi il primo pellegrinaggio dell’Opera Romana Pellegrinaggi (Orp) organizzato nel Sud del Paese, in cui la situazione è più tranquilla. Per un bilancio del viaggio, ascoltiamo il vicepresidente dell’Opera romana pellegrinaggi, mons. Liberio Andreatta, al microfono di Antonella Pilia:

    R. - Il bilancio di questo pellegrinaggio è estremamente positivo, prima di tutto nei confronti dei cristiani che si sono sentiti meno isolati e hanno avuto finalmente un contatto diretto con pellegrini provenienti dall’Italia, da Roma, tra l’altro con la benedizione di Papa Francesco. Quindi un grande entusiasmo e una grande iniezione di energia e di incoraggiamento per le piccole comunità cristiane. In tutta Nassiriya c’è una sola famiglia di cristiani e in tutta la città di Babilonia sono soltanto cinque: queste persone hanno sentito il calore dei fratelli cristiani che sono venuti a far loro visita. Il secondo obiettivo del viaggio è stato quello di un dialogo, di un incontro: abbiamo avuto una sorprendente accoglienza da parte degli sciiti e dei sunniti. Nell'esperienza di tutti i miei pellegrinaggi nei Paesi musulmani, per la prima volta ho sentito pronunciare le parola “riconciliazione” e “perdono”. Ogni incontro terminava sempre con questa parola, detta da tutti: "Ecco, finalmente possiamo sperare".

    D. - Tra i doni benedetti da Papa Francesco e portati in Iraq, c’è anche un lembo della veste che Giovanni Paolo II indossava il giorno dell’attentato…

    R. - Sì, esattamente! Un lembo della veste che indossava quel giorno, intrisa di sangue, quasi a significare che il sangue del Papa si è mescolato col sangue dei martiri caduti. Quel reliquiario prezioso lo abbiamo portato a Nassiriya, nella chiesa dei siro-cattolici dove dieci anni fa ebbe luogo la strage di cristiani da parte di un gruppo di terroristi, che ha fatto oltre 30 vittime, tra cui due sacerdoti. Un segno che vuole incoraggiare i nostri fratelli cristiani, soprattutto i siro-cattolici.

    D. - Da questo pellegrinaggio sono anche scaturiti dei progetti per il futuro?

    R. - Sì, noi abbiamo promesso che non li lasceremo soli: torneremo! Cominceremo con piccoli gruppi, soprattutto nel sud dell’Iraq, dove la sicurezza e la tranquillità sono pressoché alla normalità. Cominceremo entrando dalla Giordania, attraverseremo Bassora e Nassiriya, Url, fino a Karbala e Babilonia, luoghi biblici legati all’Antico Testamento e quindi alla nostra storia sacra. La permanenza sarà di pochi giorni, in modo che iniziamo intanto ad abituare i pellegrini affinché, tornando, possano incoraggiare gli altri rassicurando che c’è sicurezza. E poi anche per dare modo e tempo ai nostri fratelli dell’Iraq ad organizzare le infrastrutture che oggi non sono molto all’altezza. Ma la cosa importante è andare con fede!

    D. - Lei crede che ci possa essere un futuro di pace per l’Iraq?

    R. - Io ne sono certo! Credo che sarà ancora un anno duro e difficile, perché nella primavera del prossimo anno ci saranno le elezioni. Quindi certamente una situazione esplosiva perdurerà, ma sarà soprattutto al Nord dell’Iraq, da Baghdad in su: non potremmo certo andare, ad esempio, a Ninive, un'altra zona straordinaria della storia sacra. Nonostante ciò, il futuro dell’Iraq è sicuramente la pace: io lo credo, ne sono convinto ed è per questo che preghiamo insieme a loro, per loro e con loro, perché la pace arrivi!

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    Lampedusa, padre La Manna: "Le promesse del governo sono rimaste parole"

    ◊   Il governo lavorerà ad una revisione dei Cie, i Centri di identificazione ed espulsione, e del sistema complessivo dell'accoglienza" degli immigrati. Lo ha detto il presidente del Consiglio italiano Letta annunciando una discussione su alcuni aspetti delle legge Bossi Fini. Intanto, prosegue la protesta del deputato Pd Khalid Chaoouki, barricatosi nel Centro di prima accoglienza di Lampedusa che con una capienza di 245 posti ospita al momento 500 migranti. “Una vergogna, le promesse del governo sono rimaste parole”, commenta padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli di Roma. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

    R. – E’ una vergogna sapere che in quel centro, a Lampedusa, dove le persone dovrebbero rimanere per un tempo limitato, ancora ci sono gli eritrei sopravvissuti alla tragedia del 3 ottobre. In quel luogo, il governo ha manifestato il cordoglio, ha avanzato timidamente delle promesse che poi però sono rimaste parole.

    D. – In queste ore è in corso la protesta del deputato Pd Chaouki, barricato nel centro di Lampedusa …

    R. – Ho avuto modo di comunicargli la mia solidarietà piena e la mia vicinanza, perché purtroppo in Italia funzioniamo così: se non c’è qualcuno che evidenzia queste situazioni indegne, da lager, l’opinione pubblica e le stesse istituzioni fanno finta di nulla. Non si può più aspettare e il cambiamento dev’essere importante e avvenire in tempo reale.

    D. – Intanto, al Cie di Ponte Galeria, 10 nordafricani si sono cuciti la bocca in segno di protesta per denunciare le condizioni in cui si trovano a vivere …

    R. – Anche lì, ci troviamo di fronte ad una vergogna, però parliamo di persone che sono trattenute in attesa di essere espulse. Questo non vuol dire che si possa procedere senza dignità, senza rispetto nei loro confronti. Sono persone che non hanno un titolo per rimanere in Italia; chiedono spesso di essere riaccompagnate nel loro Paese eppure possono rimanere mesi e mesi in quelli che sono delle vere e proprie carceri. Noi riaffermiamo la nostra contrarietà a questi luoghi. Io dico che è urgente rivedere tutta la nostra situazione in materia di migrazioni, soprattutto con un’attenzione particolare ai profughi e ai rifugiati. L’Italia non ha nessuna autorevolezza né credibilità nel momento in cui prova a portare a livello europeo queste situazioni, perché risulta mancante. Le situazioni che stiamo vivendo in questi giorni non sono altro che il segno dell’inadeguatezza, cioè dell’assoluta mancanza di volontà onesta nel governare questo fenomeno.

    D. – Manca la volontà, quindi?

    R. – Manca la volontà, perché se ci fosse stata una volontà onesta di fronte ai 366 eritrei morti, tra i quali donne e bambini, qualcosa sarebbe accaduto. Invece c’è stata la solita ondata emotiva e dopo l’emozione, l’indifferenza e il silenzio.

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    L'ansia negli adolescenti, una delle cause dell'abbandono scolastico: intervista con Cinzia Sarlatto

    ◊   L’ansia negli studenti tra i 15 e i 18 anni - rilevano le ultime statistiche - è una delle cause dell’abbandono scolastico. Si tratta di un fenomeno che desta una preoccupazione crescente. La dott.ssa Cinzia Sarlatto, responsabile dell’Ambulatorio dei Disturbi dell’Ansia e dell’Umore in Adolescenza dell’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma, ha spiegato - al microfono di Elisa Sartarelli - come si manifesti l’ansia negli studenti adolescenti:

    R. - Si manifesta in maniera veramente variegata: il più delle volte sono simboli somatici, tanto è vero che spesso i ragazzi arrivano a noi su segnalazione di altri specialisti medici, che hanno fatto indagini diagnostiche come gastroenterologi o dermatologi, perché il più delle volte sono sintomi quali il mal di pancia, la nausea, i giramenti di testa. Un altro sintomo che noi riscontriamo spessissimo è il mal di testa: il mal di testa è un sintomo che presentano. Invece la causa, il più delle volte, è un disagio!

    D. - Un disagio di che tipo?

    R. - Nell’ambito dell’adolescenza il disagio è sempre molto, molto aspecifico: il 99 per cento dei ragazzi che sono arrivati da noi avevano già manifestato difficoltà nella scuola, quindi nel seguire le lezioni in maniera costante, avevano fatto tantissime assenze…. Spessissimo i sintomi si manifestano con l’abbandono scolastico.

    D. - La vicinanza della famiglia può aiutare gli adolescenti a combattere l’ansia o magari, in alcuni casi, ne è la causa?

    R. - I ragazzi hanno uno spazio, però altrettanto spazio è dedicato alle famiglie, allo stabilire la genitorialità e comunque a ristabilire - laddove siano interrotte - le comunicazioni e le relazioni funzionali. La famiglia è una fonte, comunque, inesauribile di risorse!

    D. - Durante le vacanze dalla scuola, come quelle natalizie, i ragazzi possono combattere l’ansia con il riposo?

    R. - Sicuramente lo stress è una delle cause principali del disagio che i ragazzi manifestano, poi la chiamiamo ansia perché l’ansia è un qualcosa che ci accomuna e che - se supera la soglia di allerta - crea dei disagi incredibili, fino a dei deficit dell’attenzione e al decadimento dell’apprendimento scolastico. Quanto studiare è veramente soggettivo, nel senso che il ragazzo che vive lo studio con meno apprensione riesce a ottimizzare i tempi dello studio; chi ha queste difficoltà diluisce tantissimo i tempi dello studio, ha difficoltà mnemonica, ha difficoltà di apprendimento, momentaneamente ci sono quasi delle difficoltà cognitive. Quindi cercare, per esempio, di recuperare le lacune con una base ansiosa è pressoché impossibile! E’ ovvio che bisogna, pian pianino, arrivare a degli obiettivi che sono però coordinati insieme alla scuola.

    D. - Come si può combattere l’ansia negli studenti adolescenti?

    R. - Abbiamo curato un progetto con la Regione Lazio, nato per rispondere alle strategie di Europa 2020, il cui obiettivo era ridurre il tasso di abbandono scolastico a meno del 10 per cento, perché nella statistica europea noi siamo 24.mi: veniamo prima soltanto della Spagna, del Portogallo e di Malta. Abbiamo svolto dei corsi all’interno di scuole superiori di Roma: 20 scuole che abbracciavano 20 municipi diversi ed erano i docenti che assistevano al corso. Sono stati forniti loro dei mezzi per poter notare tutti quei sintomi in maniera assolutamente precoce che i ragazzi mostravano all’interno della classe: i ragazzi che non riescono a socializzare sicuramente sono da segnalare. Quest’ansia può causare delle scelte di vita che non sono poi confacenti al ragazzo: a volte gli fa perdere di vista le sue reali risorse e magari cambia indirizzo scolastico o non finisce gli studi. I nostri ragazzi sono tutti rientrati a scuola!

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Terra Santa: Messaggio di Natale dei patriarchi e capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme

    ◊   “In mezzo a realtà difficili, noi ci rallegriamo che la luce di Cristo brilla ancora, anche nei luoghi più bui”: è quanto scrivono in un messaggio i patriarchi e i capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme in occasione del Natale. Pubblicato sul sito del patriarcato latino di Gerusalemme www.lpj.org sabato scorso, è introdotto da una citazione dell’evangelista Giovanni (1, 4-5) e spiega come a volte sia facile dimenticare che il primo Natale ha avuto luogo in un contesto di forte instabilità politica e che “il mondo in cui Gesù è venuto al mondo non era molto diverso dalla situazione attuale” nel Medio Oriente, scrivono i patriarchi. “Crediamo fermamente che la violenza non sia la soluzione – prosegue il messaggio – e che Gesù, il ‘Principe della Pace’, è venuto a mostrarci non solo come riconciliarci con Dio, ma anche come riconciliarsi gli uni con l’altro”. Paragonando la fuga in Egitto di Gesù, Giuseppe e Maria alla realtà di centinaia di migliaia di rifugiati, che in questo periodo hanno dovuto lasciare le loro case e tutto ciò che era loro familiare, i patriarchi e i capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme invitano i fedeli a pregare per quanti sono lontani dalla loro patria, per tutte le organizzazioni che li sostengono e per i leader del mondo perché cerchino di creare una situazione in cui la ricerca di un rifugio non sia più necessaria. (G.P.)

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    Terra Santa: a Betlemme, Natale nel ricordo dei popoli in guerra

    ◊   Sarà un Natale nel segno del ricordo e della preghiera per i cristiani e per tutti i popoli che vivono il dramma della guerra, in modo particolare per i vescovi, i sacerdoti e le monache rapite in Siria. A Betlemme la parrocchia latina guidata da padre Nerwan Nasser Al-Bann fa suo lo slogan natalizio della municipalità, “Come home for Christmas” (vieni a casa per Natale), per aprire le porte alle migliaia di pellegrini che raggiungeranno a breve la città. Un invito, dice all'agenzia Sir il frate, rivolto non solo alla popolazione locale, ma “a tutti coloro che credono nella pace. Betlemme vuole essere la casa della pace come ci ha insegnato Gesù”. Per questo fervono i preparativi che non sono solo esteriori ma anche interiori “rivolgendo il nostro pensiero ai fratelli cristiani, e non, che vivono il dramma della guerra e della violenza in Siria, in Iraq come anche in Egitto e Libano. Ai vescovi, ai sacerdoti e alle monache rapite. A loro va la nostra preghiera”. Il Natale non fa dimenticare le difficoltà in cui versa la popolazione: “Non abbiamo libertà di movimento, viviamo in un carcere - dice riferendosi al muro israeliano che sigilla la città - se la situazione resterà così, quale futuro avremo? Ogni giorno parliamo con la nostra gente cerchiamo di infondere coraggio e speranza. Tanti - continua il parroco - soprattutto i giovani, meditano di andarsene per farsi una vita fuori, all’estero. Solo con condizioni di vita migliori, con il rispetto della libertà e dei diritti, resteranno”. Ecco allora l’importanza dei pellegrini: “Pellegrino significa anche lavoro, salario, la possibilità di avere una casa, di andare a scuola e quindi una vita migliore per le nostre famiglie. Non è mica facile - spiega padre Al-Bann - vivere qui. Non abbiamo libertà di movimento, viviamo in un carcere. Mancano molte cose. Devo essere sincero - confessa il parroco - se la situazione resterà così, quale futuro avremo? Ogni giorno parliamo con la nostra gente cerchiamo di infondere coraggio e speranza. Tanti, soprattutto i giovani, meditano di andarsene per farsi una vita fuori, all’estero. Solo con condizioni di vita migliori, con il rispetto della libertà e dei diritti, resteranno”. A Natale, conclude, “chiediamo pace per Betlemme e preghiamo perché questo avvenga. Lo chiediamo con Papa Francesco, la cui visita prevista il prossimo anno ci donerà ancora più speranza e forza. Lo chiediamo ai governanti, ai leader politici, ai rappresentanti dei Paesi che parteciperanno alla Messa di Mezzanotte”. (R.P.)

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    Emirati Arabi. Natale ad Abu Dhabi: chiese "stracolme in tutta la regione: pregheremo per la pace"

    ◊   Le Chiese di Abu Dhabi e di tutta la regione dell'Arabia meridionale si preparano al Natale con grandi celebrazioni e messe a cui sono attese decine di migliaia di persone. Le funzioni di quest'anno sono rivolte alla pace e alla riconciliazione per tutte le persone coinvolte in violenze e conflitti. Intervistato dall'agenzia AsiaNews mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell'Arabia meridionale, sottolinea il grande fermento delle piccole comunità cattoliche presenti negli Emirati Arabi, Oman e Yemen in vista del Natale. "Nel periodo di Avvento - racconta - migliaia di persone hanno partecipato alla novena natalizia organizzata dalla comunità filippina, la più numerosa nella regione dell'Arabia meridionale. Lo scorso 20 dicembre a Dubai oltre 20mila persone erano presenti nella piccola chiesa della Vergine Maria. In Abu Dhabi vi erano circa 6mila fedeli". Il prelato confessa che quest'anno sarà un Natale molto sentito a causa dei vari conflitti che colpiscono la regione e i disastri naturali che hanno devastato l'arcipelago delle Filippine. "Il numero di persone che partecipano alle messe è sorprendente per le comunità cattoliche residenti in Paesi musulmani". Per raggiungere le chiese molte persone devono viaggiare per centinaia di chilometri. "Per far fronte alla folla di fedeli - racconta mons. Hinder - domani sera vi saranno tre turni di celebrazioni solenni in lingua inglese. Il primo turno inizierà alle 18,30, il secondo alle 21,00 e il terzo alle 24,00. Altre celebrazioni si terranno il 25 dicembre in viarie lingue nelle varie parrocchie degli Emirati e Oman". Nella regione dell'Arabia meridionale vive circa un milione di fedeli, tutti di nazionalità straniera. La comunità più importante è quella filippina, seguita dai cattolici indiani, provenienti soprattutto dal Kerala. Il resto della Chiesa è composto da libanesi, siriani, iracheni, egiziani e giordani giunti nella regione per motivi di lavoro. Grazie alla libertà di culto concessa dalle monarchie di questa regione del Golfo Persico la vita della Chiesa è molto attiva ed è organizzata intorno a 7 parrocchie negli Emirati Arabi Uniti, 4 parrocchie in Oman con circa 18mila fedeli e una piccola comunità in Yemen. Al momento non vi sono ancora edifici di culto ufficiali e queste persone hanno come punto di riferimento quattro luoghi in cui celebrano la messa e gli incontri dedicati alla comunità. Sul territorio vi sono 55 sacerdoti che lavorano nelle chiese e nelle scuole cattoliche dedicate ai migranti. (R.P.)

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    Vietnam. Natale a Saigon: dai cattolici attività pastorali e sociali per poveri e bisognosi

    ◊   Per le festività di Natale i cattolici dell'arcidiocesi di Ho Chi Minh City hanno organizzato una serie di attività pastorali e sociali rivolte a bambini e adulti che vivono in circostanze "speciali", con disabilità, problemi familiari o di salute. I fedeli hanno condiviso l'iniziativa con i non-cattolici, all'insegna dell'entusiasmo e della partecipazione comunitaria. Come sottolinea un cattolico di Saigon, la ricorrenza "non può essere vissuta solo con celebrazioni e festival di strada". Al contrario, è necessario che in questi giorni le parrocchie "cerchino di vivere gli insegnamenti di Gesù Cristo", cercando di essere il più possibile "umili e al servizio degli altri". Fra le varie iniziative concrete a favore dei più sfortunati - riferisce l'agenzia AsiaNews - la Caritas della parrocchia di Xóm Chiếu ha organizzato un viaggio nel lebbrosario di Bến Sắn; il progetto è frutto della cooperazione fra l'ente cattolico, l'Associazione madri cattoliche e i parrocchiani di Tắc Rỗi. In Vietnam ancora oggi vi sono almeno 70mila persone affette dal morbo di Hansen e solo una piccola parte riceve cure mediche adeguate. Per questo congregazioni e gruppi di suore si sono offerte volontarie per assistere i malati in centri come quello di Bến Sắn, fondato oltre 50 anni fa dalle Suore della carità francesi, in collaborazione con le consorelle vietnamite. Oggi dispone di sei dipartimenti di medicina, oltre che uno spazio dedicato a persone con problemi mentali. Nel tempo le religiose hanno curato 395 pazienti e 120 bambini nati da genitori in difficoltà; oggi possono frequentare la scuola con regolarità. I volontari della Caritas di Vườn Xoài hanno invece riunito dottori e infermiere cattolici e non, per fornire cure mediche gratuite a pazienti poveri o in difficoltà. Si tratta di persone anziane, disabili e bambini abbandonati. In questo Natale 2013 la Caritas di Saigon ha inoltre lanciato un appello ai medici, perché si offrano per portare aiuto nelle zone povere della costa e fra le parrocchie più isolate, garantendo così cure mediche gratuite. In preparazione alla nascita di Gesù, la parrocchia di Tân Định ha promosso ritiri per bambini, giovani e genitori, oltre che momenti di adorazione eucaristica. I laici della parrocchia hanno dedicato parte del loro tempo a bambini e adulti in difficoltà, senza fare distinzioni in base alla fede professata. Interpellato da AsiaNews un membro della Caritas di Tân Việt sottolinea che "i nostri sacerdoti e parrocchiani vogliono solo portare l'amore di Gesù e la gioia del Natale" alle "piccole rose" che vivono nel distretto di Củ Chi; si tratta di bambini abbandonati, strappati all'aborto o dal proposito di ucciderli da parte dei loro stessi genitori. "Questo ci ricorda - aggiunge il volontario - che ogni giorno in città centinaia di bambini innocenti sono gettati via dai genitori o uccisi nel ventre delle loro madri". Oggi in Vietnam, a fronte di una popolazione di circa 87 milioni di persone, i buddisti sono il 48%; i cattolici poco più del 7%, seguiti dai Sincretisti al 5,6%; infine, vi è un 20% circa che si dichiara ateo. Pur essendo una minoranza (sebbene significativa), la comunità cristiana è attiva in particolare nei settori dell'educazione, sanità e sociale. Di contro, la libertà religiosa è in costante diminuzione: l'introduzione del Decreto 92 ha imposto, di fatto, maggiori controlli e restrizioni alla pratica del culto, che è sempre più vincolata ai dettami e alle direttive del governo e del Partito unico comunista. (R.P.)

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    Sud Sudan: sei operatori italiani di "Medici con l'Africa Cuamm" restano nel Paese

    ◊   Nella situazione di instabilità creatasi in Sud Sudan a seguito dei disordini esplosi nel Paese tra le forse lealiste e unità ribelli, Medici con l’Africa Cuamm resta accanto alla popolazione locale mantenendo aperti i servizi di cura e assistenza. Per ridurre il rischio per gli operatori, si è ritenuto di alleggerire la presenza negli ospedali di Yirol (Lake States) e di Lui (Western Equatoria), garantendo il rientro in Italia a quanti si trovavano a termine servizio o avevano già programmato le ferie. Ma nel complesso - riferisce l'agenzia Sir - su 20 cooperanti, 6 restano sul campo per assicurare continuità assistenziale alla popolazione, in attesa che le attività possano riprendere a pieno regime. Quattro all’ospedale di Lui (un chirurgo, un pediatra, un’infermiera e una amministrativa) e due all’ospedale di Yirol (un ginecologo e un’anestesita/pediatra). “Lui è a circa 200 km ad ovest di Juba, il nostro è l‘unico ospedale della ‘Great Mundri’, una mega contea che accorpa quelle di East Mundri, West Mundri ed Mvolo. È l‘unico ospedale con una maternità in grado di offrire chirurgia ostetrico ginecologica a una popolazione di 150.000 persone e questo è un buon motivo per non abbandonare il campo senza essere rimpiazzati. Abbiamo inoltre l‘unica chirurgia della zona ed ecco un altro motivo per restare”, dichiara Paolo Setti Carraro, chirurgo rimasto a Lui. “Il principale motivo di preoccupazione per noi - prosegue il chirurgo - è la presenza in zona di unità dell’esercito. Queste sono accorpate, abitualmente, in base all’etnia, il che non esclude che i ranghi militari prevedano posizioni di comando, in genere conquistate sul campo nel corso della guerra contro il Nord Sudan, affidate a ufficiali di etnia diversa. In generale oggi si parla di Dinka contro Nuer, ma ricordiamoci che i Dinka sono composti da decine di gruppi tribali diversi, non sempre in buon rapporto tra loro e che le etnie del Sud Sudan sono 52. Si pone quindi un problema di catena di comando, di affiliazione politica (Macher, che è Nuer, ha alleati anche tra i Dinka ed altre etnie) e non solo di etnia tout-court”. Medici con l’Africa Cuamm è in Sud Sudan dal 2006, anno in cui ha avviato l’intervento di riabilitazione dell’ospedale di Yirol nello Stato dei Laghi. Ha allargato poi il raggio d’azione intervenendo anche nell’ospedale di Lui, nel Western Equatoria. Solo nell’ultimo anno tra gli ospedale di Yirol e Lui sono state realizzate oltre 53.000 visite ambulatoriali, 13.000 ricoveri, 1.461 parti e oltre 47.000 vaccinazioni. (R.P.)

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    Thailandia: l’opposizione vuole bloccare il voto del 2 febbraio

    ◊   Si rafforzano le azioni di disturbo dell'opposizione thai verso la prossima tornata elettorale, con i manifestanti antigovernativi intenti a ostacolare le procedure di selezione dei prossimi candidati al Parlamento. Oggi - riferisce l'agenzia AsiaNews - le "Camicie gialle" hanno circondato lo stadio di Bangkok, dove sono in corso le operazioni di registrazione per il voto del prossimo 2 febbraio. Essi rilanciano a gran voce la richiesta di "riforme politiche" prima di tornare alle urne e restituire la parola ai cittadini. Nelle scorse settimane i leader della protesta, sostenuti dalle élite economiche e finanziarie della capitale, hanno respinto la proposta del voto a breve, invocando la formazione di un "consiglio del popolo" a cui è affidato il compito di sradicare l'influenza del "regime dei Thaksin" dal Paese. In realtà, l'obiettivo delle riforme è quello di fermare i successi elettorali della famiglia Shinawatra - prima Thaksin, ora la sorella Yingluck - che da almeno dieci anni vince grazie al consenso nelle aree urbane più povere e tra i contadini del nord. A inizio mese tutti i parlamentari del Partito democratico (il principale schieramento di opposizione) si sono dimessi; alcuni di loro, tra cui l'ex premier Abhisit Vejjajiva, si sono uniti ai manifestanti. La leadership del partito non ha ancora comunicato se intende partecipare o meno al voto; tuttavia, è chiaro che un eventuale boicottaggio priverebbe di legittimità la tornata elettorale, alimentando instabilità e incertezza. Il Primo Ministro Yingluck Shinawatra invita ancora una volta i dimostranti al rispetto del "sistema democratico". Per tutta la giornata di ieri almeno 150mila persone - per gli organizzatori molti di più, fino quasi a un milione - sono scese in strada per le vie della capitale, chiedendo a gran voce le dimissioni dell'esecutivo. Il capo della protesta Suthep Thaugsuban, figura di primo piano dei democratici ed ex vice-premier fino al 2011, ha confermato di non volere nuove elezioni, fino a che "il Paese non verrà riformato". Egli ha invitato i dimostranti a radunarsi all'esterno dello stadio, per bloccare di fatto le operazioni di registrazione dei prossimi candidati. "Se volete registrarvi - ha aggiunto - prima dovete passare sul nostro cadavere". In risposta, i partiti che intendono tornare a votare hanno trasferito la macchina elettorale in una caserma della polizia, subito circondata all'esterno dai dimostranti. Le procedure dovrebbero concludersi entro il prossimo 27 dicembre. Nove partiti hanno potuto sinora registrarsi, ma in molti sono rimasti all'esterno e non hanno espletato le formalità previste dal codice. Finora le proteste, che durano da diverse settimane, hanno avuto una connotazione in genere pacifica, sebbene non siano mancati momenti di tensione e scontri di piazza, che hanno causato la morte di quattro persone. I vertici militari, vera "eminenza grigia" del Paese, mantengono la linea della neutralità e auspicano il voto del 2 febbraio. Secondo alcuni manifestanti, le riforme politiche dovrebbero prevedere fra gli altri la fine del principio "una testa un voto" e il cambiamento del modello rappresentativo; difatti, la grande popolarità del governo nelle zone rurali è garanzia di vittoria anche alle prossime elezioni. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 357

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.