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Sommario del 21/12/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa alla Curia: servire la Chiesa con santità e senza chiacchiere, non sia dogana burocratica
  • Tweet del Papa: l’Avvento è un cammino verso Betlemme. Lasciamoci attrarre dalla luce di Dio fatto uomo
  • L'attesa dei piccoli del Bambin Gesù per la visita di Papa Francesco
  • Appello del Papa alla valorizzazione del patrimonio culturale italiano: il commento del prof. Buranelli
  • Altre udienze e nomine del Papa
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Il conflitto civile in Sud Sudan: colpito aereo militare Usa durante le operazioni di evacuazione
  • Siria: al lavoro per "Ginevra 2", grande preoccupazione per i rapiti nel Paese
  • Crèche di Betlemme, Gesù nasce ogni giorno per i bambini palestinesi abbandonati
  • Cattura detenuti, Cancellieri: "Sistema funziona". Don Balducchi: mai negare possibilità di recupero
  • Raccolta viveri a Sant'Anna in Vaticano. P. Silvestrini: aumentano i poveri, ma c'è tanta solidarietà
  • Sta bene Maria, la bimba nata dalla mamma in coma. Il parroco: balsamo per le ferite dei familiari
  • Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Sud Sudan: i vescovi cristiani condannano le violenze. 5mila rifugiati nella cattedrale di Juba
  • Solidarietà con il popolo sud-sudanese dell'Amecea e dei vescovi dell'Africa orientale
  • Iraq. Il patriarca Sako: fra guerra e crisi, il Natale è la vera speranza per il Medio Oriente
  • Filippine: il Natale dei profughi del tifone Haiyan, tra fame e rischi di abusi sui bambini
  • Civiltà Cattolica: il Natale di Papa Francesco ci indica la scelta delle periferie
  • Libano. Il Patriarca Raï: i cattolici spinti a passare ad altre Chiese per poter divorziare
  • Messico: messaggio della Chiesa agli emigrati che tornano a casa per il Natale
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa alla Curia: servire la Chiesa con santità e senza chiacchiere, non sia dogana burocratica

    ◊   Professionalità, servizio e santità. Sono queste le tre caratteristiche che dovrebbe avere chi lavora alla Curia Romana. A sottolinearlo è stato stamani Papa Francesco nel suo primo discorso proprio alla Curia, in occasione degli auguri natalizi. Il Papa ha quindi messo in guardia dalla chiacchiere che, ha avvertito, “danneggiano la qualità delle persone, del lavoro e dell’ambiente”. E ha aggiunto: non siate una “dogana burocratica”, che non permette l’azione dello Spirito Santo. L'indirizzo d'omaggio al Papa è stato rivolto dal cardinale decano, Angelo Sodano. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Riconoscenza e gratitudine. Il discorso di Papa Francesco alla Curia Romana è iniziato con l’espressione di questi sentimenti per chi lavora ogni giorno al servizio della Chiesa. E subito ha rivolto un saluto speciale a mons. Pietro Parolin, neo-segretario di Stato, che, ha detto, “ha bisogno delle nostre preghiere”. Mentre ci avviciniamo al Natale, ha proseguito, “è bello dare spazio anche alla gratitudine tra noi”:

    “E io sento il bisogno, in questo mio primo Natale da Vescovo di Roma, di dire un grande ‘grazie’ a voi, sia a tutti come comunità di lavoro, sia a ciascuno personalmente. Vi ringrazio per il vostro servizio di ogni giorno: per la cura, la diligenza, la creatività; per l’impegno, non sempre agevole, di collaborare nell’ufficio, di ascoltarsi, di confrontarsi, di valorizzare le diverse personalità e qualità nel rispetto reciproco”.

    In modo particolare, ha soggiunto, “desidero esprimere la mia gratitudine a coloro che in questo periodo terminano il loro servizio e vanno in pensione”. Sappiamo bene, ha precisato, che “come sacerdoti e vescovi non si va mai in pensione, ma dall’ufficio sì, ed è giusto, anche per dedicarsi un po' di più alla preghiera e alla cura delle anime, incominciando dalla propria!”. Il grazie speciale del Papa è andato a chi ha lavorato in Curia “per tanti anni e con tanta dedizione, nel nascondimento”:

    “Questo è veramente degno di ammirazione. Io ammiro tanto questi monsignori che seguono il modello dei vecchi curiali, persone esemplari... Ma anche oggi ne abbiamo! Persone che lavorano con competenza, con precisione, abnegazione, portando avanti con cura il loro dovere quotidiano”.

    “Da questo modello e da questa testimonianza – ha aggiunto – ricavo le caratteristiche dell’officiale di Curia, e tanto più del Superiore, che vorrei sottolineare: la professionalità e il servizio”:

    “La professionalità, che significa competenza, studio, aggiornamento… Questo è un requisito fondamentale per lavorare nella Curia. Naturalmente la professionalità si forma, e in parte anche si acquisisce; ma penso che, proprio perché si formi, e perché venga acquisita, bisogna che ci sia dall’inizio una buona base”.

    E la seconda caratteristica è il servizio, “servizio al Papa e ai Vescovi, alla Chiesa universale e alle Chiese particolari”. Nella Curia Romana, ha affermato, “si respira in modo speciale proprio questa duplice dimensione della Chiesa, questa compenetrazione tra universale e particolare”. Parole corredate da un avvertimento:

    “Quando non c’è professionalità, lentamente si scivola verso l’area della mediocrità. Le pratiche diventano rapporti di cliché e comunicazioni senza lievito di vita, incapaci di generare orizzonti di grandezza. D’altra parte, quando l’atteggiamento non è di servizio alle Chiese particolari e ai loro Vescovi, allora cresce la struttura della Curia come una pesante dogana burocratica, ispettrice e inquisitrice, che non permette l’azione dello Spirito Santo e la crescita del popolo di Dio”.

    A queste due qualità, professionalità e servizio, il Papa ha aggiunto una terza: “la santità della vita”. Sappiamo bene, ha detto, che “questa è la più importante nella gerarchia dei valori. In effetti, è alla base anche della qualità del lavoro, del servizio”:

    “Santità significa vita immersa nello Spirito, apertura del cuore a Dio, preghiera costante, umiltà profonda, carità fraterna nei rapporti con i colleghi. Significa anche apostolato, servizio pastorale discreto, fedele, portato avanti con zelo a contatto diretto con il Popolo di Dio”.

    “Questo – ha ribadito – è indispensabile per un sacerdote”. “E vorrei direi qui – ha aggiunto a braccio - che nella Curia Romana ci sono stati e ci sono Santi! E lo ho detto pubblicamente più di una volta per ringraziare il Signore”. Quindi ha proseguito: “Santità nella Curia significa anche obiezione di coscienza alle chiacchiere!”:

    “Noi giustamente insistiamo molto sul valore dell’obiezione di coscienza, ma forse dobbiamo esercitarla anche per difenderci da una legge non scritta dei nostri ambienti che purtroppo è quella delle chiacchiere. Allora facciamo tutti obiezione di coscienza; e badate che non voglio fare solo un discorso morale! Perché le chiacchiere danneggiano la qualità delle persone, danneggiano la qualità del lavoro e dell’ambiente”.

    Il Papa ha concluso il suo discorso volgendo lo sguardo a San Giuseppe “così silenzioso e così necessario accanto alla Madonna”. “Pensiamo a lui – ha detto – alla sua premura per la sua Sposa e per il Bambino”. Questo, ha soggiunto, “ci dice tanto sul nostro servizio alla Chiesa! Allora viviamo questo Natale spiritualmente vicini a san Giuseppe”:

    “Vi ringrazio tanto per il vostro lavoro, e soprattutto per le vostre preghiere. Davvero mi sento ‘portato’ dalle preghiere, e vi chiedo di continuare a sostenermi così. Anch’io vi ricordo al Signore e vi benedico, augurando un Natale di luce e di pace a ciascuno di voi e ai vostri cari. Buon Natale!”

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    Tweet del Papa: l’Avvento è un cammino verso Betlemme. Lasciamoci attrarre dalla luce di Dio fatto uomo

    ◊   Il Papa, a tre giorni dalla vigilia di Natale, ha lanciato un nuovo tweet: “L’Avvento – scrive - è un cammino verso Betlemme. Lasciamoci attrarre dalla luce di Dio fatto uomo”.

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    L'attesa dei piccoli del Bambin Gesù per la visita di Papa Francesco

    ◊   Cresce l’attesa tra i piccoli degenti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, sul Gianicolo, per la visita che Papa Francesco compirà oggi pomeriggio, a partire dalle 16.00. Una visita intensa che durerà circa tre ore. Il rientro in Vaticano è infatti previsto per le 19.00. Il Pontefice si recherà nella Cappella e nei diversi reparti dell’Ospedale, con l’obiettivo di incontrare il maggior numero possibile di pazienti con le loro famiglie. Tutti i piccoli ricoverati al Gianicolo potranno seguire in diretta i momenti salienti della visita attraverso gli schermi televisivi a circuito chiuso presenti nelle stanze. Le immagini riprese dall’Ospedale verranno trasmesse in diretta nelle stanze e nei reparti, anche nelle sedi locali, per consentire al maggior numero possibile di pazienti, familiari, medici e personale di partecipare all’avvenimento.

    Di proprietà della Santa Sede, il Bambino Gesù è il più grande Policlinico e Centro di ricerca pediatrico in Europa, collegato ai maggiori centri internazionali del settore. Al suo interno lavorano quasi 2600 tra medici, ricercatori, infermieri, tecnici ospedalieri e impiegati. Oltre 1 milione, ogni anno, le prestazioni ambulatoriali, 27mila ricoveri, 25mila interventi chirurgici, 71mila accessi al dipartimento di emergenza. 607 i posti letto complessivi nelle sedi del Gianicolo, di Palidoro e Santa Marinella. Nato nel 1869 come primo ospedale pediatrico italiano (per la generosa iniziativa dei duchi Arabella e Scipione Salviati), donato alla Santa Sede nel 1924, il Bambino Gesù è conosciuto dalle famiglie come “l’Ospedale del Papa”. La visita di Papa Francesco rinnova una tradizione cara ai suoi predecessori, inaugurata da Papa Giovanni XXIII nel Natale del 1958.

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    Appello del Papa alla valorizzazione del patrimonio culturale italiano: il commento del prof. Buranelli

    ◊   “L’Italia è sempre stata nel mondo sinonimo di cultura, di arte, di civiltà”: lo ha detto ieri il Papa ricevendo le rappresentanze diplomatiche italiane. In effetti nel Belpaese sono presenti la maggior parte dei siti – ben 49 – considerati Patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Per un commento alle parole del Santo Padre e per sapere se gli italiani s’identificano ancora nelle proprie risorse culturali, Roberta Barbi ha intervistato il prof. Francesco Buranelli, archeologo, storico dell’arte e segretario della Pontificia Commissione per i Beni culturali della Chiesa:

    R. – Ha espresso un sentire comune a tutti noi italiani. È un elemento per dimostrare quanto non solo il bello sia un elemento aggiuntivo della nostra cultura, ma il bello porta il buono e arriva una massima spiritualità che è proprio l’essenza naturale del nostro essere italiani. Ogni popolazione ha un quid che la identifica: per noi italiani è il bene culturale. Questo è veramente un grande incitamento a quello che Papa Francesco ha detto fin dall’inizio del suo Pontificato: difendiamo il Creato, difendiamo il nostro ambiente, difendiamo la natura, difendiamo l’uomo che è il centro del Creato e che crea, a sua volta, il bene culturale.

    D. – Papa Francesco ha sottolineato anche che l’Italia “ha una carta in più da giocare: quella del patrimonio cultuale” e che la valorizzazione di tale patrimonio va a vantaggio del bene comune. Le politiche culturali come possono aiutare il Paese in questo periodo di crisi?

    R. – I tecnici hanno bisogno indubbiamente dell’appoggio politico; nello stesso tempo i politici devono valorizzare, favorire l’opera minuziosa, eccellente di tanti tecnici che operano sul territorio. In più, però, ci vuole una popolazione cosciente, una gioventù partecipe, attiva anche nel dettaglio della difesa di questo patrimonio. La particolarità italiana è che è un patrimonio distribuito su tutto il territorio: non è concentrato. Siamo chiamati noi stessi a tutelarlo, a valorizzarlo e a promuoverlo.

    D. – Siamo tutti coinvolti, insomma?

    R. – Assolutamente! Perché non dobbiamo dire: “Beh, i politici non ci danno i soldi, i tecnici sono i soliti statalisti …”. È tutto un insieme che noi dobbiamo valorizzare per poi non far prevalere l’interesse personale, ma il valore che questi oggetti hanno all’interno della nostra società e della nostra cultura.

    D. – Oltre agli investimenti, infatti, c’è anche un altro aspetto della questione: quello legato ai consumi culturali che, secondo l’Istat, nel 2013 sono ulteriormente calati. È sempre e solo colpa della crisi?

    R. – È colpa della sensibilità delle persone e dell’opinione pubblica. Non solo la valorizzazione del bene culturale, ma pure i media: quanta poca cultura trasmettono! Eppure, danno un taglio della nostra società che deve recuperare quello che i nostri genitori ci hanno insegnato e ci hanno lasciato. Siamo forse un po’ troppo distratti e proiettati verso altri traguardi; non dobbiamo però dimenticare le nostre radici e il Papa oggi ce le ha richiamate.

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    Altre udienze e nomine del Papa

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

    Il Santo Padre ha accettato le dimissioni di mons. Aurelio José Kühn, O.F.M., dal governo pastorale della Prelatura di Deán Funes (Argentina), per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Gustavo Gabriel Zurbriggen, finora vescovo prelato coadiutore della medesima Prelatura.

    Il Papa ha nominato vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Gdańsk (Polonia) mons. Wiesław Szlachetka, finora parroco di San Policarpo a Gdańsk-Osowa e professore nel Seminario Maggiore, assegnandogli la sede titolare vescovile di Vageata. Mons. Wiesław Szlachetka è nato il 21 novembre 1959 a Mała Komorza. Superati gli esami di maturità, nel 1980 è stato ammesso al Seminario maggiore di Pelplin e il 17 maggio 1986 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale per la diocesi di Chełmno (attualmente Pelplin). Dal 25 marzo 1992 è incardinato all’arcidiocesi di Gdańsk. Dopo l’ordinazione sacerdotale, è stato vicario parrocchiale della Parrocchia di Cristo Salvatore a Gdańsk-Osowa dal 1986 al 2000. Negli anni 1988-1992 ha studiato presso l’Accademia di Teologia Cattolica a Varsavia, attualmente Università Stefan Card. Wyszyński, dove nel 1997 ha ottenuto il Dottorato in Teologia biblica. Dal 1992 è Docente di Teologia biblica nel Seminario maggiore di Gdańsk e nel Collegio teologico a Gdańsk. Dal 2000 e fino al presente è stato parroco di San Policarpo a Gdańsk-Osowa.

    Il Santo Padre ha nominato nunzio apostolico in Sud Sudan mons. Charles Daniel Balvo, arcivescovo titolare di Castello, nunzio apostolico in Kenya.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il modello di san Giuseppe: in prima pagina, un editoriale del direttore sull’udienza di Papa Francesco per gli auguri natalizi.

    La virtù di perdere tempo: intervista al cardinale Angelo Amato sulla canonizzazione del gesuita Pietro Favre.

    Il Sud Sudan sull’orlo del baratro.

    Attraverso un dialogo d’Avvento, Giuliano Zanchi descrive la conversione delle madri.

    Costantino è ancora vivo: Giuseppe Zecchini a conclusione dell’anniversario dell’editto di Milano.

    Natale in Giappone: Cristian Martini Grimaldi illustra ombre e luci di una festa vissuta in chiave esclusivamente laica.

    Il cardinale della pace: Manuel Maria Fuentes i Gaso ricorda Francesc d’Assis Vidal i Barraquer.

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    Oggi in Primo Piano



    Il conflitto civile in Sud Sudan: colpito aereo militare Usa durante le operazioni di evacuazione

    ◊   La crisi interetnica in corso in Sud Sudan preoccupa la comunità internazionale. Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha annunciato la partenza per Juba di un inviato speciale per favorire il dialogo tra le parti in conflitto. Intanto, è di 2 caschi blu e 20 persone uccisi il bilancio dell'attacco di uomini armati alla missione Onu nello Stato di Jonglei, dove erano rifugiati numerosi civili, mentre stamani un aereo militare statunitense è stato colpito durante le operazioni di evacuazione. Lo rendono noto fonti dell'esercito ugandese. Sulla grave situazione, Giancarlo La Vella ha intervistato Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dei Paesi africani all'Università di Torino:

    R. - In questo momento il motivo principale che si evidenzia è quello dell’incapacità delle varie componenti etniche del Paese di trovare un accordo e un’equa spartizione del potere.

    D. - Quanto sta avvenendo in Sud Sudan è qualcosa di meramente interno o c’è, in qualche modo, il coinvolgimento di Khartoum?

    R. - Certo che Khartoum non ha giocato a favore di questo nuovo Paese e delle sue prospettive: dal 2011 le due capitali si scambiano accuse reciproche di finanziare e aiutare le rispettive ribellioni. Poi c’è anche il fatto che i tre quarti dei giacimenti di petrolio, che facevano la ricchezza del Sudan, si trovano nel Sud Sudan; ma, questo nuovo Stato non ha disposizioni poi gli oleodotti necessari e i terminali per esportare il suo petrolio. Khartoum per far passare, attraverso i propri oleodotti, il petrolio estratto nel Sud Sudan esigeva percentuali sui proventi che il nuovo Stato non era disposto ad accettare. La conseguenza è stata che per oltre un anno il Sud Sudan non ha più prodotto petrolio, il che si è tradotto in una crisi economica per entrambi i Paesi, con costi umani, ma anche di instabilità politica crescenti.

    D. - Che cosa può fare la comunità internazionale per la stabilizzazione in Sud Sudan?

    R. - In questo momento direi ben poco: può ammonire, tentare di creare un tavolo di trattative, fare lavoro di intermediazione… Però il problema è davvero molto grosso! Forse si poteva fare qualcosa prima in termini di prevenzione. Quello che sta succedendo è davvero una tragedia annunciata!

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    Siria: al lavoro per "Ginevra 2", grande preoccupazione per i rapiti nel Paese

    ◊   Sempre tesa la situazione in Siria, mentre la comunità internazionale è al lavoro per la conferenza di Pace, cosiddetta "Ginevra 2", che si svolgerà il 22 gennaio. In forse la partecipazione dell’Iran e di tutte le anime che compongono l’opposizione siriana. Intanto, cresce la preoccupazione per la sorte delle suore rapite nelle scorse settimane nella zona di Maalula, nel sud-ovest del Paese. Silenzio sugli altri rapimenti di religiosi, due vescovi e tre sacerdoti, tra cui anche il gesuita padre Paolo dall’Oglio. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Lorenzo Trombetta, dell’Ansa di Beirut:

    R. - È molto difficile essere sicuri che il religioso, il prete, o la suora siano effettivamente in quel luogo e detenuti da quella brigata, o da quel gruppo. In questo senso, l’insieme di religiosi rapiti in Siria è un insieme molto molto composito ed è difficile fare un discorso unico; lo stesso discorso sul mandante e sulla ragione per cui vengono rapiti non sempre è lo stesso. La maggior parte dei casi, come avviene per tutti gli altri rapiti in Siria – ormai se ne contano a migliaia e la maggior parte sono laici, civili – avviene per questioni di denaro: i gruppi militari, le milizie - non soltanto quelle ribelli ma anche quelle che fanno parte del fronte lealista - cercano di autofinanziarsi con queste operazioni. In altri casi, si tratta di rapimenti politici: rapire un prete ortodosso che idealmente viene considerato vicino alla Chiesa russa e alla politica di Mosca in Medio Oriente, quindi favorevole al regime, può avere una valenza politica piuttosto che soltanto economica.

    D. – In ogni caso, i rapiti come merce di scambio...

    R. – Sì, i rapiti come merce di scambio sia economica che politica e non è ovviamente una questione che riguarda soltanto la Siria o che riguarda solo i religiosi che vengono rapiti in Siria. In questa situazione, anche se fossimo sul territorio, è davvero difficile orientarci in un ginepraio di sigle e di formazioni che spesso nascono la mattina e la sera già sono fuse in altre sigle, o sono completamente strumentalizzate da attori politici non sempre locali. Purtroppo ci scontriamo con una “nebbia” molto densa che ci rende tutti impotenti: i giornalisti in Siria ormai rischiano la vita, quindi non mettono più in pericolo loro stessi per cercare di capire chi rapisce chi.

    D. – Come valutare il silenzio ed il tanto tempo che sta passando per alcuni casi come quello di padre Dall’Oglio?

    R. – Non è l’unico caso per cui c’è molto silenzio, ci sono anche giornalisti occidentali rapiti da quasi un anno più di Dall’Oglio. Nei casi di alcuni giornalisti rapiti, che si crede siano nelle mani del regime, si presume che il regime non abbia interesse in questo momento a far conoscere le sorti del rapito. Analogamente nel caso dei qaedisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante - che secondo le informazioni più aggiornate ancora detengono padre Polo Dall’Oglio. La loro struttura, ben organizzata e gerarchica, è anche molto impermeabile ad infiltrazioni e a tentativi di defezioni. Quindi, è anche molto difficile dall’interno che qualcuno faccia trapelare informazioni, o dall’esterno che qualcuno riesca a trovare un canale giusto per negoziare. Credo, come osservatore della questione siriana, che la capacità organizzativa e l’impermeabilità della struttura di questo gruppo qaedista renda molto difficile l’accesso a informazioni credibili e verificabili sulla sorte di padre Polo Dall’Oglio. Chi lo detiene ha comunque interesse affinché il silenzio rimanga: più il silenzio rimane, più il tempo passa, più il prezzo politico o economico della sua liberazione si alza.

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    Crèche di Betlemme, Gesù nasce ogni giorno per i bambini palestinesi abbandonati

    ◊   Nel corridoio della Crèche di Betlemme i bambini siedono attorno all’albero, per molti di loro, di religione musulmana, è una novità, non sanno cosa sia, tantomeno sanno cosa sia il Natale. Nonostante questo, però, i canti li conoscono, e le luci natalizie sono una festa per tutti. La Crèche è il solo istituto nei territori palestinesi abilitato all’accoglienza di bambini abbandonati. Attualmente sono 42 i piccoli ospitati, tra loro anche casi sociali affidati dalla polizia palestinese, perché sottoalimentati, picchiati, o testimoni della tragica morte dei genitori. Oltre a loro, vi sono 65 bambini esterni che frequentano la scuola materna. Ad occuparsi della Crèche e dei bambini sono quattro Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli. Francesca Sabatinelli, a Betlemme, ha incontrato una di loro, l’unica italiana, suor Maria Rosaria Mastino:

    R. – Da quando c’è il muro, la situazione a Betlemme è molto peggiorata, moralmente e anche spiritualmente, non c’è più rispetto. Lo stesso papà molte volte non rispetta la figlia. Ci sono aggressività e violenza e queste ragazze sono quelle che ne subiscono le conseguenze. La maggior parte dei neonati sono bambini nati da incesto, innocenti cui è negato il diritto naturale, il diritto più importante, qual è quello di avere una mamma e un papà. La ‘Crèche’ è un’opera che vive prevalentemente di Provvidenza. Tutti i giorni, anche a piccole gocce, la Provvidenza è sempre presente, anche dalle famiglie di Betlemme, famiglie che noi stesse non conosciamo. Per esempio, tre o quattro volte al mese, davanti alla porta, troviamo il pane caldo ancora nelle buste di nylon e non sappiamo chi lo abbia messo. La Provvidenza non abbandona questi bambini. Questa è l’unica opera in tutta la Palestina che riceve bambini da zero a sei anni. Dopo i sei anni, una parte va nel villaggio Sos, e l’altra parte, i casi sociali, rientrano nelle loro famiglie o vanno in altre istituzioni.

    D. – Voi avete bisogno di molte cose...

    R. – Certo, noi abbiamo bisogno di tante cose. I bambini hanno anche bisogno di cure. C’è, per esempio, un fisiatra che viene tre volte alla settimana, perché i nostri bambini sono tutti particolari e mancano della cosa più importante: la mamma. Noi, nonostante tutto il nostro affetto, le nostre cure, non possiamo mai rimpiazzare la mamma. Bisogna capire che questo è un dramma, un trauma per questi neonati, che sentono da piccolini che c’è qualcosa che manca loro. Hanno bisogno di sentire il calore umano da neonati e quando sono grandi lo esprimono in altro modo, a volte sono anche aggressivi. Hanno bisogno di affetto. Ci sono bambini che si affezionano e bisogna stare molto attenti a non commettere parzialità.

    D. – Ma questi bambini che problemi di salute mostrano?

    R. – Non è che siano bambini ammalati, sono, però, bambini molto delicati, non hanno anticorpi e quindi non hanno difese. Il periodo invernale, per esempio, bisogna stare attenti con i neonati e quando arrivano dei gruppi di visitatori non li facciamo più entrare, per evitare che ci siano contatti. I nostri bambini non hanno difese, come hanno i bambini “normali”.

    D. – Ci sono bimbi che mostrano forti patologie cardiache...

    R. – Sì, ce ne sono. Specialmente i bambini nati da incesto, sono sempre esposti a dei pericoli.

    D. – Voi aiutate le mamme che devono nascondersi, perché hanno portato a termine una gravidanza fuori dal matrimonio. Cosa succede?

    R. – Queste donne vengono clandestinamente, a volte di nascosto dai genitori, a volte accompagnate anche dai genitori. Chiedono protezione. Non vogliono abortire e allora si cerca di collaborare con i medici del centro di neonatologia e ginecologia, gestito dall’Ordine di Malta (Holy Family Hospital di Betlemme N.d.R.). I ginecologi visitano la ragazza e poi le danno consigli, in modo che la gravidanza abbia un suo percorso normale. O, a volte, quando queste ragazze non possono stare in famiglia, vengono e si rifugiano qui da noi.

    D. – Lei accennava a quanto il muro abbia peggiorato la situazione. La costruzione va avanti, così come continuano a nascere gli insediamenti. Qual è la situazione oggi per chi vive nella Cisgiordania?

    D. – La situazione va sempre peggiorando: manca la libertà. Ci sono controlli dappertutto. Anche queste ragazze, prima venivano da noi, ma adesso non possono più venire, perché essendoci il muro hanno bisogno di un lasciapassare, di un permesso. Per avere un permesso bisogna aspettare cinque, sei mesi e a volte anche un anno. Quindi queste povere ragazze, non potendo più venire qui a Betlemme, partoriscono come possono e dove possono, clandestinamente. Tutto va bene, se la polizia arriva in tempo. E non sono casi sporadici, ma molto, molto frequenti, di cui a volte neppure noi sappiamo nulla. Nonostante tutte le difficoltà, qui alla Crèche il piccolo Gesù nasce tutti i giorni. Qui la vita continua.

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    Cattura detenuti, Cancellieri: "Sistema funziona". Don Balducchi: mai negare possibilità di recupero

    ◊   Proseguono in Italia le polemiche sul sistema carcerario, nonostante la cattura, ieri, dei due detenuti fuggiti nei giorni scorsi: un ex pentito di camorra e un serial killer, evasi dopo un permesso premio. Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, ha sottolineato che la cattura dei due uomini dimostra che “il sistema Paese funziona". Sulla vicenda Antonella Pilia ha intervistato don Virginio Balducchi, ispettore generale dei cappellani d’Italia:

    R. - Sicuramente queste sono due situazioni che preoccupano molto e probabilmente c’è stata anche qualche disattenzione... Però, dall’altra parte, la Costituzione parla per chiunque di cammini di possibilità di recupero. Quando succedono questi fatti si dimentica che ci sono tante altre persone – anche con situazioni gravi – che stanno facendo dei percorsi molto positivi, responsabilizzandosi verso la propria famiglia, riparando il danno fatto, costruendo una capacità di riconciliazione sociale e anche personale molto profonda. Purtroppo l’opinione pubblica viene informata soltanto quando qualcosa non va e poco quando le cose stanno andando bene.

    D. - Quindi è veramente possibile un reinserimento sociale e lavorativo, anche per coloro che si sono macchiati di gravi reati?

    R. - Sicuramente noi non possiamo dire che questo non sia possibile, perché ci sono stati dei detenuti che hanno mostrato un cambiamento molto forte nel loro percorso di vita. Potrebbe darsi che alcune persone, che magari hanno anche problemi di malattia mentale – come nel caso di uno degli evasi – debbano in ogni caso essere seguite, accompagnate un po’ di più. Qualche rischio sicuramente si corre concedendo permessi a questi detenuti, ma potremmo dire che, anche dal punto di vista cristiano, il Padre Eterno rischia con chiunque di noi, fidandosi di noi. L’uomo è messo nella condizione di fare delle scelte libere, che possono portare a scegliere il bene o il male. Sicuramente il rischio è impossibile non correrlo, altrimenti vorrebbe dire che se qualsiasi persona commettesse qualsiasi tipo di male, non potrebbe essere mai recuperabile! Questo non è possibile dirlo né dal punto di vista cristiano né dal punto di vista della Costituzione italiana.

    D. - Al centro della cronaca c’è anche lo stato delle carceri in Italia, ultima in Europa per numero di detenuti, sovraffollamento e suicidi in carcere…

    R. - Sono anni che la situazione delle carceri sta continuamente deteriorandosi ed è chiaro che questo non permette, anche a coloro che stanno cercando di fare il possibile, di seguire bene tutte le situazioni. Più persone ci sono concentrate nel carcere, più le risorse umane in campo per aiutarle – anche nei cammini di cambiamento – sono in difficoltà. Questo è dovuto al fatto che molto del male sociale – tossicodipendenti, immigrazione clandestina e anche malati mentali – hanno oggi come una delle poche soluzioni di cura il carcere. Questo non è possibile! E’ una pazzia! Devono essere trovati degli strumenti di giustizia che aiutino le persone a prendere in mano la propria situazione, che sia essa problema sociale dal punto di vista dell’immigrazione, un problema socio-psicologico dal punto di vista della tossicodipendenza o il problema di essere seguiti per i malati mentali. Il carcere non è la soluzione!

    D. - Come giudica le misure introdotte con il decreto carceri, approvato dal governo nei giorni scorsi?

    R. - Le norme varate puntano a fare in modo che la pena sia svolta nel territorio e questo abbatte la concentrazione all’interno del carcere. Non è la soluzione, ma è sicuramente un alleggerimento. Ed è l’indicazione che è possibile compiere giustizia anche con strumenti diversi dalla detenzione. La mia speranza è che questi strumenti diventino davvero praticabili – perché non è poi così semplice – e mostrino alla gente comune che è possibile esercitare una giustizia senza costringere le persone a stare in modo quasi completamente ozioso all’interno delle carceri, ma ad assumere delle responsabilità che devono essere controllate – e questo il decreto lo prevede – e si traducono in cammini di reinserimento sociale.

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    Raccolta viveri a Sant'Anna in Vaticano. P. Silvestrini: aumentano i poveri, ma c'è tanta solidarietà

    ◊   Raccolta straordinaria di viveri nella parrocchia Sant’Anna in Vaticano. Per il decimo anno consecutivo sono stati donati, fino a questo sabato, beni di prima necessità che verranno poi distribuiti a poveri ed indigenti. L’iniziativa è stata autorizzata dalla Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, ma non è la sola del periodo dell’Avvento nella parrocchia affidata ai religiosi agostiniani. Un suggestivo presepe, realizzato da artigiani marchigiani e siciliani, celebra quest’anno i 700 anni dell’Editto di Costantino che consentì ai cristiani di praticare liberamente il culto. Al microfono di Tiziana Campisi, il parroco di Sant’Anna, padre Bruno Silvestrini, spiega il senso della solidarietà e il messaggio del Natale al mondo di oggi:

    R. – E’ il decimo anno che la Caritas della Pontificia parrocchia di Sant’Anna, la parrocchia del Santo Padre, si reca all’Annona per la raccolta viveri per i poveri che vengono a bussare alla porta di Sant’Anna. La nostra parrocchia, che si trova al confine tra l’Italia e il Vaticano, ogni giorno accoglie centinaia di persone che vengono a chiedere preghiere, a supplicare Sant’Anna per il parto, e vengono anche a chiedere il sostentamento per la vita di ogni giorno. C’è tanta povertà in giro. In questa crisi economica ci stiamo accorgendo, che non solo gli extra comunitari vengono a bussare alla nostra porta, ma anche le persone con reddito molto basso, con le spese, le tasse e gli affitti, che non riescono a terminare il mese. Questa iniziativa quindi va incontro a queste persone, che vengono a chiedere un aiuto per terminare il mese o per vivere quotidianamente. E c’è una grande solidarietà. I volontari della parrocchia - tutti pensionati e persone che danno il loro tempo – sono a disposizione tutti i giorni della settimana. E’ un’iniziativa che ci fa sentire il popolo di Dio che viene e che accogliamo con il sorriso, non solamente dando da mangiare, quanto donando insieme al necessario anche l’accoglienza.

    D. – Ma il Natale nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano non è soltanto attenzione al povero e al bisognoso, ci sono anche dei messaggi rivolti ai fedeli sul Natale...

    R. – Sì, quest’anno per esempio abbiamo organizzato un presepe molto interessante: colloca idealmente la nascita di Gesù nella periferia dell’antica Roma. Tale idea è stata suggerita dal settecentesimo anniversario dell’Editto di Costantino, del 313, e con il quale viene riconosciuta la libertà ai cristiani di professare la loro fede. Nello sfondo del presepe si può notare la costruzione del Ponte Milvio, dove avvenne la celebre vittoria di Costantino su Massenzio. La nascita di Gesù è stata immaginata sotto un porticato, di fronte ad un androne di una delle grandi "insulae", dove vi erano gli agglomerati delle persone povere, dove si vedono anche puntellati gli archi e le porte.

    D. – E’ un presepe molto suggestivo, che fa calare nella realtà di Roma di tanti anni fa. Qual è il messaggio più profondo che volete far giungere a chi lo osserva?

    R. – Gesù nasce anche nelle nostre realtà piccole, povere, disagiate. Il Signore nasce nella nostra vita, che adesso è tanto problematica, nei nostri quartieri poveri, nelle situazioni in cui abbiamo problemi e difficoltà. Come nel presepe, Gesù nasce in mezzo ai poveri. Gesù viene a portare la sua umanità, la sua divinità e il suo abbraccio, che incontra tutti gli uomini e che vuole salvarli dal primo all’ultimo, anche i più lontani, i più abbandonati, i soli, quelli che nessuno mai pensa, quelli per cui nessuno mai ha un’attenzione particolare.

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    Sta bene Maria, la bimba nata dalla mamma in coma. Il parroco: balsamo per le ferite dei familiari

    ◊   Maria respira con un sondino ma sta bene. La bambina è nata nei giorni scorsi all’ospedale Cardarelli di Napoli dalla mamma Carolina Sepe, in coma da fine agosto, dopo essere stata colpita alla testa da un proiettile sparato da un vicino di casa. Nella lite, scoppiata per futili motivi, hanno perso la vita il padre di Carolina e la nonna. Una vicenda terribile che ha scosso e diviso il paese di Lauro, in provincia di Avellino. Al microfono di Benedetta Capelli, il parroco della Chiesa dei Santi Margherita e Potito, don Luigi Vitale, racconta come è stata accolta dalla sua comunità la notizia della nascita di Maria:

    R. – La notizia è stata accolta con sollievo, con gioia, perché è un segno di speranza, davvero, dopo un assurdo omicidio che è avvenuto proprio il giorno prima della festa padronale. La vita che nasce nonostante le gravissime condizioni della mamma, Carolina, che è in coma ormai da quel giorno, e lo sforzo dei medici, e il fatto che a Natale, proprio nella prossimità della nascita del Signore, questo evento abbia portato gioia e speranza a queste famiglie rovinate da un momento di follia inconcepibile, è stato accolto con grande gioia, con sollievo.

    D. – “Maria”: il papà della bambina ha scelto questo nome proprio per ringraziare la Vergine …

    R. – Il papà Giampiero si è aggrappato alla fede: in questo momento sembrava davvero l’unica cosa possibile da fare, l’unica realtà a cui rivolgersi, l’unico possibile punto di forza in una situazione di assoluta impotenza. Questa nascita ha il segno della protezione della Madonna su questa famiglia, e credo che possa essere per loro la possibilità di vedere come una preghiera fatta con fede, se rientra nella volontà di Dio, possa davvero considerarsi già esaudita.

    D. – E’ una storia che ci insegna anche che la vita è più forte di tutto …

    R. – Sì, sì. Ed è anche un segno che questa nascita può portare un po’ di pace, perché gli animi sono ancora scossi. Le famiglie – tanto quella dell’assassinato quanto quella dell’assassino – sono ovviamente in condizione di grande turbamento e sconvolte. Da una parte, la rabbia per una cosa assurda così, non è facile da smaltire. Una nascita come quella di Maria può dirsi davvero come una sorta di provvidenziale balsamo per ferite che spero possano rimarginarsi. E i segni di speranza vanno visti: noi siamo portati a vedere normalmente tutto quello che non va, siamo bravissimi ad analizzare, a vedere le cose che vanno storte; quelle che invece il Signore per grazia fa in modo che vadano a nostro vantaggio, quelle sono meno visibili e si dimenticano presto. E’ utile, in queste circostanze, segnalare anche quanto bene il Signore mette nelle nostre vite, quanti segni di speranza, quanti segni della sua presenza, della sua vicinanza sanante che, a partire dall’esperienza terrena e dalla vita terrena di Gesù, hanno iniziato ad essere costanti nel momento in cui ci si rivolge al Signore con fiducia.

    D. – Come leggere e spiegare la violenza così forte che ha portato poi alla morte di tante persone?

    R. – Che l’uomo, abbandonato a se stesso, è capace di questo e di altro. Questo è la conseguenza di quando noi abbandoniamo Dio, ci allontaniamo da Lui. Dio ci ha affidati gli uni nelle mani degli altri e ha detto: “Prendetevi cura gli uni degli altri”. E quando questo non accade, si arriva poi a questi raptus di follia che sono assolutamente ingiustificati. La lontananza da Dio credo che sia stato il motivo. Almeno, io ho dato questa chiave di lettura.

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    Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella quarta Domenica di Avvento, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Giuseppe medita di ripudiare in segreto Maria. Ma un angelo gli appare in sogno, dicendogli:

    «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

    Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

    “Stillate, Cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere il Giusto; si apra la terra e produca la salvezza” (Is 45,8). Colui che attendiamo è venuto dai Cieli, ma viene anche dalla terra. “E poiché il Cielo si unì con la terra, venne anche dalla ‘Terra vergine’, Maria, dalla cui inviolata verginità, dono divino, il Signore stesso si plasmò la carne del Figlio, come in antico aveva plasmato dalla terra vergine, infondendo all’argilla il suo Soffio divino (Gen 2,7)” (T. Federici). Il Vangelo di oggi è un inno allo Spirito Santo, alla sua opera nella storia, al suo agire nel preparare, accompagnare, attuare la nascita del Signore Gesù: in modo grandioso fa presente tutta la storia della salvezza che da Abramo conduce fino a Giuseppe, lo sposo di Maria, “dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo”. Solo se guidati dalla luce dello Spirito anche noi possiamo vedere e accogliere l’opera di Dio. Nella figura di Giuseppe, nella sua sofferta partecipazione alla storia della salvezza, anche nel suo travaglio interiore, ma soprattutto nella sua obbedienza, nel suo “fare come gli aveva ordinato l’angelo del Signore”, c’è in immagine il cammino di ogni uomo davanti al Natale del Signore, davanti all’Emmanuele, il Dio con noi, Gesù, che significa: “Dio salva”. A noi tutti piace la vita. Dio ci ha creato perché noi viviamo, infatti la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo (cf Sap 2,24), è il frutto e la conseguenza del nostro peccato. Il Natale annuncia che Dio è più grande della morte. Annuncia l’inizio della Pasqua, quando Gesù Cristo sconfiggerà la morte con la sua morte e risurrezione.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Sud Sudan: i vescovi cristiani condannano le violenze. 5mila rifugiati nella cattedrale di Juba

    ◊   Si moltiplicano gli appelli dei leader delle chiese cristiane alla pace e alla riconciliazione in Sud Sudan mentre l’Onu e diversi Stati stranieri procedono ad evacuare il loro personale e i propri cittadini dal Paese in preda al violento scontro tra fazioni rivali delle forze armate. L’assalto alla base dell’Onu di Akobo, nell’est del Sud Sudan, nel corso del quale 3 Caschi blu indiani hanno perso la vita, ha accelerato le operazioni di rimpatrio degli stranieri. Per evitare che la lotta tra il Presidente Salva Kiir (appartenente all’etnia Dinka) e l’ex vice Presidente Riek Machar (un Nuer) precipiti il giovane Stato (indipendente dal luglio 2011) nella spirale dello scontro etnico, diversi vescovi cattolici e di altre confessioni cristiane denunciano la strumentalizzazione dell’etnicità a fini politici. Secondo quanto riporta il Sudan’s Catholic Radio Network, mons. Erkulano Lodu Tombe, vescovo di Yei, ha rivolto un appello ai soldati della locale caserma ad evitare di ascoltare la voce di alcuni politici che istillano confusione e divisione negli animi. Gli ha fatto eco mons. Elias Taban, vescovo della Chiesa evangelica presbiteriana di Yei, che ha affermato che “alcuni traditori sud sudanesi intendono promuovere il tribalismo per lasciare il Paese sottosviluppato”. I leader religiosi cristiani hanno inoltre scritto una lettera comune. Definendosi “membri nativi delle comunità Dinka e Nuer” i vescovi e i tutti i membri del clero, affermano di “identificarsi non come rappresentanti di tribù o di denominazioni (religiose) ma come leader e rappresentanti della Chiesa e del Corpo di Cristo”. Nell’esprimere dolore per le violenze a Juba e nello Stato di Jonglei, gli estensori della lettera affermano di “condannare e di correggere le affermazioni dei media che affermano che la violenza deriva da un conflitto tra le tribù Dinka e Nuer. Quello che è accaduto non deve essere descritto come un conflitto etnico. Vi sono piuttosto contrasti politici tra il Sudan People’s Liberation Movement (Splm) Party, e i leader politici del Sud Sudan”. I leader religiosi denunciano gli episodi di uccisione su base etnica e fanno appello ai politici di smettere di incitare gli animi alla violenza e di operare invece per la pace e la riconciliazione. Sul fronte umanitario circa 5mila persone sono rifugiate nella cattedrale di Juba, capitale del Sud Sudan. Il vescovo ausiliare di Juba, Mons. Santo Loku Pio Doggale ha detto che i rifugiati dormono all’aria aperta e che molti di loro, tra cui diversi bambini, hanno contratto malattie. La presenza di un così alto numero di persone in uno spazio non attrezzato sta inoltre creando gravi problemi sanitari, e vi è il rischio dell’esplosione del colera. (R.P.)

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    Solidarietà con il popolo sud-sudanese dell'Amecea e dei vescovi dell'Africa orientale

    ◊   Anche i vescovi dell’Africa Orientale riuniti nell’Amecea sono preoccupati dal precipitare della situazione in Sud Sudan, da giorni alle prese con violenti scontri tra fazioni rivali che stanno mettendo a repentaglio la pace e l’integrità del giovane Stato africano. Informato dalla Conferenza episcopale sudanese degli ultimi sviluppi della situazione del Paese e del dramma delle popolazioni civili, il Segretario generale dell’Amecea padre Ferdinand Lugonzo ha espresso la solidarietà dell’associazione che riunisce gli episcopati della regione e la speranza che la situazione possa risolversi al più presto per evitare ulteriori sofferenze e che la pace possa prevalere. Un auspicio espresso anche dal coordinatore del dipartimento Giustizia e Pace della stessa Amecea, padre Jude Waweru che in una nota esprime la tristezza delle Chiese nella regione per l’improvviso precipitare degli eventi nel nuovo Stato nato poco più di due anni fa dopo la sanguinosa guerra di indipendenza dal Sud Sudan. La violenza scoppiata il 15 dicembre “sembra degenerare di giorno in giorno in uno scontro etnico e tribale (segnatamente tra Dinka e Nuer, ndr), un fatto deplorevole e se non viene fermata avrà effetti devastanti”, scrive il padre Waweru “. Di qui l’appello al governo e all’opposizione in Sud Sudan, ai leader delle Chiese cristiane e ai cittadini del Paese e fare il possibile per fermare subito l’escalation e a risolvere con mezzi pacifici tutti i contenziosi. Il messaggio assicura quindi al Sud Sudan le preghiere dei vescovi dell’Amecea perché venga perseguita la via della pace. Messaggi di solidarietà e preghiera sono giunti anche dai vescovi del Malawi e dell’Etiopia. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Iraq. Il patriarca Sako: fra guerra e crisi, il Natale è la vera speranza per il Medio Oriente

    ◊   La situazione dell'Iraq, le sofferenze della comunità cristiana e dell'intera popolazione; l'esortazione all'accoglienza attraverso la solidarietà, l'unità e la speranza; e ancora, l'invito a guardare al volto del Bambino, che sia "un segno per tutti", anche per i "fratelli musulmani", fonte di "prosperità" per il Paese e "benessere" per i suoi cittadini. Sono questi alcuni punti del messaggio - inviato all'agenzia AsiaNews - che il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako rivolgerà ai fedeli durante la messa di Natale. Il patriarca dei caldei auspica che la festa sia occasione per riscoprire la "presenza soprannaturale di Dio" e, al contempo, invita sacerdoti e fedeli al "servizio" perché le loro chiese diventino "una vera grotta", animata "da amore e calore, dalla fede, dalla speranza e dall'unità". Dalla festa una rinnovata "forza" per riunire quanti sono stati separati e ricondurre a casa, nella madrepatria, gli emigranti. (R.P.)

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    Filippine: il Natale dei profughi del tifone Haiyan, tra fame e rischi di abusi sui bambini

    ◊   Centinaia di migliaia di persone stanno soffrendo disagio e privazione “proprio come quella di Gesù e dei suoi genitori, lottando per sopravvivere tra le macerie causate dal tifone più grande che abbia mai colpito le Filippine. Sarà un Natale difficile, segnato da fame e sofferenza per i profughi accampati sotto teli di plastica o tende improvvisate”: così padre Shay Cullen, missionario di San Colombano, nelle Filippine dal 1969, noto per il suo impegno sociale e pastorale, descrive, in un messaggio inviato all’agenzia Fides, il Natale delle vittime del recente tifone Hayian che ha colpito la provincia filippine di Leyte, facendo oltre 5.000 morti e migliaia di sfollati. “Oltre a vento, piogge e devastazione, oggi giunge un'altra tempesta: quella dello sfruttamento umano e della tratta dei bambini, che sono nelle mire di trafficanti senza scrupoli”, ammonisce il missionario. Nei Centri di evacuazione a Leyte opera una squadra di soccorso della Fondazione “Preda”, creata dal missionario, per assistere i bambini: “Già si vedono manifesti che mostrano le foto di bambini fra 3 e 15 anni misteriosamente scomparsi, probabilmente rapiti e venduti. Cinque bambini sono stati salvati dagli assistenti sociali: erano già stati adescati da trafficanti. Si trattava di alcuni stranieri che dicevano di volerli portare a Manila: probabilmente era a scopo di sfruttamento sessuale”, racconta padre Cullen. “Oltre un milione di bambini, vittime del giro di prostituzione, pedofilie e sfruttamento sessuale, passeranno un Natale di inferno nelle Filippine” prosegue il missionario. A Natale occorre proclamare con forza “i diritti umani dei poveri e degli oppressi, degli affamati; i diritti dei bambini stabiliti quando i bambini sono i più importanti nel Regno di Dio”, ribadisce padre Cullen. “Natale – conclude – è simbolo di vita e di amicizia. E 'un momento per rafforzare i nostri valori spirituali, riflettendo sul mistero della vita, rinnovando la nostra fede e trovando la nostra forza di agire per salvare gli sfruttati, i maltrattati e affamati”. (R.P.)

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    Civiltà Cattolica: il Natale di Papa Francesco ci indica la scelta delle periferie

    ◊   “Reale, autentica e diffusiva”, e dunque tutto il contrario di “posticcia né indotta né elitaria”. È così che Papa Francesco intende la gioia del Natale, secondo Civiltà Cattolica. Il quindicinale dei Gesuiti apre il numero del 21 dicembre 2013 con un articolo intitolato “Il Natale di Papa Francesco” e una frase d’apertura recisa che afferma: “Papa Francesco ama più volti che le idee”. La riflessione si articola sui pensieri natalizi del cardinale Bergoglio, espressi durante le più recenti Messe della Notte di Natale, dai quali emerge la solidità dello spirito del Natale. Una festa che ha la concretezza “fisica” del piccolo Gesù tenuto in braccio da Maria e Giuseppe, la tangibilità della “speranza” e della “gioia” che il Bambino porta con sé e che, per sua natura, è “missionaria”, va annunciata, è “aperta a chiunque senza restrizioni di nessun genere”. Ma il Natale di Papa Francesco – scrive Civiltà Cattolica – è anche “l’inizio di un cammino”: dunque, un mistero, sì, ma “intimamente dinamico”, da percorrere su una non facile strada di “luce”. Non facile perché, mette in guardia, il cuore, umano “a volte si indurisce, diventa capriccioso o, peggio, si gonfia di sorda superbia”, e il desiderio della luce muta nel rifiuto di Dio. Natale, poi, “è un mistero di tenerezza”, offre un messaggio che fa intuire come Dio – affermava il cardinale Bergoglio nel 2004 – ci osservi “con occhi colmi di affetto”, accarezzi “la nostra miseria”, innamorato della “nostra piccolezza”. Il Natale, ancora, “è la celebrazione della pazienza di Dio”, che ha atteso l’uomo sin da quando – pur creato per amore – lo ha visto impugnare con Caino il coltello che ha dato il via a lunghi secoli “di assassinii, guerre, schiavitù, odio”. Eppure, osserva l’editoriale, Dio non si è stancato di aspettare l’uomo: “Ha atteso talmente a lungo che forse ad un certo punto avrebbe potuto rinunciare. Invece non poteva, essendo ‘schiavo’, per così dire, della propria fedeltà”. Infine, “il Natale ci indica la scelta delle periferie”. “Dio – ricorda il cardinale Bergoglio nel 2006 – nasce ai margini” e “si palesa a un gruppo di poveri pastori che vivevano nell’incertezza e nella miseria, e non agli scrupolosi guardiani delle leggi e dei costumi”. “Il significato profondo del Natale dunque ci spinge a considerare che gli eventi davvero centrali non avvengono mai al ‘centro’, ma nelle periferie, siano esse geografiche o esistenziali”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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    Libano. Il Patriarca Raï: i cattolici spinti a passare ad altre Chiese per poter divorziare

    ◊   Il patriarca di Antiochia dei Maroniti Béchara Boutros Raï ha denunciato gli avvocati che aiutano la coppie cattoliche a divorziare suggerendo di convertirsi a altre Chiese cristiane non cattoliche. “Ogni avvocato che aiuta coppie cattoliche a convertirsi allo scopo di poter divorziare è interdetto dal rappresentare casi davanti ai tribunali ecclesiastici” ha dichiarato il patriarca ricevendo ieri nella sede patriarcale di Bkerkè una delegazione di giudici dei tribunali ecclesiastici. “Noi” ha aggiunto il patriarca Raï “invitiamo i responsabili dei nostri tribunali ecclesiastici e quelli di altre due Chiese, ad astenersi dal commettere questo peccato in cambio di una manciata di denaro”. Il fenomeno a cui fa riferimento il patriarca Raï - riferisce l'agenzia Fides - è quello dei cattolici – compresi i maroniti – che pur di poter divorziare continuando a frequentare le chiese e accostarsi ai sacramenti, scelgono di passare a altre denominazioni cristiane. (R.P.)

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    Messico: messaggio della Chiesa agli emigrati che tornano a casa per il Natale

    ◊   "Emigrare in un Paese straniero è stata l'occasione che, volontariamente o involontariamente, la Provvidenza vi ha dato per vivere una vita migliore. Questa opportunità vi ha portato a trovarvi nel duro lavoro, nella solitudine, nel dolore, nella malattia e nel fatto di essere stranieri in una cultura e in un Paese che non è il vostro”. Sono le parole che mons. Faustino Armendáriz Jiménez, vescovo di Querétaro, rivolge nel suo messaggio agli emigrati messicani che tornano a casa per trascorrere le feste natalizie in famiglia. "Questa esperienza - continua il vescovo nella nota inviata all’agenzia Fides - vi ha portato ad osservare di persona che le nostre società stanno vivendo, come mai era accaduto prima nella storia, processi di reciproca interdipendenza e interazione a livello globale che, se comportano anche elementi negativi, hanno l'obiettivo di migliorare le condizioni di vita della famiglia umana, non solo in campo economico ma anche in politica e nella cultura”. Rivolgendosi ai migranti messicani, che ogni anno sono sempre di più, il vescovo prosegue: “Il mondo può migliorare solo se l'attenzione principale è rivolta alla persona, se la promozione della persona è integrata in tutte le sue dimensioni, compresa quella spirituale; e se non si abbandona nessuno, compresi i poveri, i malati, i prigionieri, i bisognosi, lo straniero; dobbiamo essere in grado di passare da una cultura del rifiuto a una cultura dell'incontro e dell'accoglienza". Infine mons. Armendáriz augurato che "questa esperienza di tornare a casa vi aiuti ad apprezzare ciò che ognuno è, le tradizioni e la cultura che avete ereditato dai vostri genitori, in particolare il dono della fede e, soprattutto, rafforzi la base della vostra vita cristiana". (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 355

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.